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martedì 20 settembre 2022

Cucina Ligure

 



Sčiattamàiu, Scarbassa e Pin de verdûa Colla Primavera che batte alle finestre e ci chiede di aprirle, qui in Liguria amiamo tanto cucinare ricette rustiche e genuine che sanno di campo e di orto. Per esempio il polpettone, una pietanza semplice ma sostanziosa da servire come piatto unico, caldo o tiepido. Si tratta di uno
sformato di patate arricchito con fagiolini, formaggio Parmigiano Reggiano, uova, pangrattato, con una crosta dorata e un interno morbido. Semplicità, per fare gusto, vuol dire abilità in cucina nel dosare gli ingredienti e nell’aromatizzare, nel nostro caso con abbondante maggiorana, che è una delle erbe principi della cucina ligure, che recita “dovunque ci siano uova, deve esserci maggiorana”.

Dati questi punti fermi si riscontrano numerose varianti della ricetta: aggiungere altri tipi di ortaggi ad esempio le zucchine; insaporire il ripieno saltandolo in padella prima di infornare; utilizzare la prescinsêua, un tipico formaggio genovese dalla consistenza cremosa; arricchire con mortadella, pancetta o altri salumi e insaccati per renderlo ancora più sfizioso; speziare con un po' di noce moscata. Ma fondamentale è la cottura in forno statico preriscaldato a 180° per 50 minuti, poi in modalità grill per circa 2 minuti, così da dorarlo in superficie.
Due delle più celebri definizioni del polpettone ligure sono: lo Sčiattamàiu ossia schiatta marito, la tradizione vuole infatti che sia talmente buono che gli uomini ne mangiassero così tanto da arrivare a stare male, e lo Scarbassa, di origini addirittura medievali, che prende il nome dalla cesta che, posizionata sulla groppa degli asini, veniva usata per trasportare le erbe e le verdure colte nei campi.

Quando poi le finestre restano sempre aperte per la prossimità dell’Estate, fa molto ligustico affiancare al polpettone le verdure ripiene “di magro”, röba pinn-a” o pin de verdûa, altro must della cucina ligure, leggere ma anche saporite. Le verdure ripiene alla ligure sono adatte in tutte stagioni, ma d’estate sono davvero ideali, sono semplici da realizzare, sono un piatto economico e sono squisite sia calde che fredde, con una bella insalata fresca sono un secondo da re, da sole sono un ricco antipasto.
Si tramanda che questo piatto fosse nato nelle cucine dell’allora fertile Val Bisagno, l’orto del Genovesato, per poi diffondersi in tutta la regione. Gio Batta Ratto, nella sua “La cuciniera genovese, ossia la vera maniera di cucinare alla genovese” pubblicata per la prima volta nel 1863, li definì ripieni di magro sfatando ogni dubbio sulla presenza di carni tra gli ingredienti tradizionali della loro farcia. Infatti la verdura ripiena in Liguria non ne contempla l’impiego, a differenza di quanto accade in altre regioni italiane quali il Piemonte, l’Emilia, la Campania, la Puglia e la Sicilia. La particolarità di utilizzare la polpa delle stesse verdure per il ripieno la rende delicatissima e unica. Il sapore dei ripieni di verdura dovrà però essere rafforzato con la persa, come a Genova si chiama la maggiorana, che va usata sbriciolata dopo averla fatta seccare, per esaltarne il profumo. Ingredienti tradizionali sono zucchine, patate e cipolle, ma la stessa farcitura può valere anche per peperoni e melanzane. Servono inoltre aglio fresco, prescinsêua ossia la quagliata o cagliata, (prodotto caseario tipicamente ligure, che con il suo gusto acidulo e la consistenza simile alla ricotta, conferisce ai ripieni di verdura un sapore inimitabile), uova sbattute, parmigiano, pane raffermo ammollato nel latte, olio di oliva. Qualche trucco? Il sapore acre della prescinsêua va stemperato con la mollica di pane cotta nel latte, ma soprattutto per poter ottenere le verdure adeguatamente croccanti e fragranti occorre cogliere il loro esatto punto di prebollitura. C’è chi preferisce un ripieno più grossolano, altri lo passato al mixer. Cuocere in forno ventilato, a 200° per circa 20 minuti.
Mamma mia quanto son buone, non dimagrirò mai!





TORTA PASQUALINA

Storia

La torta pasqualina (in ligure torta pasqualiña o torta de giæe) è una torta salata, tipica della Liguria (più precisamente del Genovesato e di Borgotaro). Si prepara nel periodo di Pasqua per celebrare la primavera e il risveglio della natura, infatti è l’ideale per le merende all’aria aperta nelle consuete gite fuori porta del Lunedì dell’Angelo insieme alla sua cugina meno nota, la torta de gee. In passato era l'apoteosi dell'abilità delle casalinghe, che leggendariamente si narra riuscissero a sovrapporre sino a trentatré sfoglie in omaggio agli anni di Cristo.
Le sue origini sono molto antiche, era conosciuta già nel 1400 e per la prima volta fu citata dal letterato Ortensio Lando nel suo “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevono” dandole però un nome diverso da quello che conosciamo noi; non Pasqualina ma Gattafura, “perché le gatte volentieri le furano et vaghe ne sono”, ma anche lo stesso scrittore ne era ghiotto tanto da scrivere: "A me piacquero più che all'orso il miele".

Preparazione

Il ripieno si prepara facendo bollire le bietole e strizzandole bene. Si tritano e si strizzano ancora. Versate in un tegame mezzo bicchiere di olio extravergine d'oliva ed unitevi la cipolla tritata. Fatela imbiondire, quindi unitevi l'aglio tritato, la maggiorana ed il prezzemolo tritato. Togliete il tegame dal fuoco ed unitevi le bietole, il sale, il pepe ed un uovo. La crema densa si prepara amalgamando in una ciotola pezzetti di quagliata (prescinsêua in lingua ligure), asciuttissima (in precedenza strizzata del suo siero in un tovagliolo, legato con uno spago da cucina e con sopra un peso), sale, pepe, 2 uova, un pugno di formaggio grattugiato, il latte e la farina. La sfoglia si prepara con farina, acqua e olio di oliva (senza lievito). Si dispone la farina a fontana e si crea un buco nel centro dove viene versato un pizzico di sale e mezzo cucchiaio d'olio extravergine d'oliva. Si inizia ad impastare aggiungendo via via dell'acqua fino ad ottenere un composto morbido ed elastico. Lo si ripone in una ciotola, lo si copre con un canovaccio e si lascia riposare per almeno un quarto d'ora. Lo si divide in 33 parti. Le sfoglie circolari si tirano sottilissime (quasi trasparenti) con un mattarello lungo e sottile, di dimensione più grande del tegame perché devono pendere fuori dal recipiente. Si unge il fondo della teglia e si stendono 17 sfoglie spennellandole tra l’una e l’altra con un po' d'olio. Indi si versa il ripieno e lo si spiana con una spatola, si versa quindi la crema densa. Su di esso si praticano, con l'aiuto di un cucchiaio, alcuni incavi nei quali vengono fatte cadere alcune uova intere che diventeranno sode con la cottura della torta. Su ogni uovo si mette sale, pepe e un ricciolo di burro. Si completa con la copertura delle restanti 16 sfoglie sempre spennellate d’olio. Si taglia col coltello l'eccesso di pasta sull'orlo e aiutandosi con la punta di uno spiedino, si arrotola il bordo su sé stesso formando un festone. Si spennella sopra l'ultimo strato un po' d'olio. Si infila nella parete esterna una cannuccia e si soffia, in maniera da creare all'interno una camera d'aria. Per controllare la cottura delle sfoglie si lascia un pezzo della pasta fuori dalla festonatura, chiamato oêgin (orecchietta). Si inforna per un'ora. Gli strati di pasta soprastanti il ripieno con la cottura si gonfiano e formano una cupola che cuoce al meglio.

Varianti

Della Pasqualina esistono molte varianti. La torta Cappuccina" (o capussinn-a in genovese) prevede che tutti gli ingredienti vengano mescolati tra loro senza fare gli strati tra verdure, cagliata e uova. Per altri periodi dell’anno si prevede l'uso dei carciofi, spinaci, cipolle, cardi, funghi, zucca, piselli, borragine.

A Ventimiglia si usano nel ripieno erbe selvatiche (caccialepre, ortica, allattalepre, songino), al posto delle bietole

Oggi viene sovente usata la pasta brisé o la pasta sfoglia pronta stesa su carta forno che, poiché non viene più soffiata, va bucherellata in superficie con i rebbi della forchetta, pennellata con albume, riposta in frigo per 30 minuti, quindi cotta a 200° in forno statico ben caldo per circa 25 minuti nella parte medio bassa del forno, poi a 180° per ancora 15 – 20 minuti fino a doratura del rustico. Sfornata la si lascia raffreddare 15 minuti in teglia. Poi si sforma e lascia a temperatura ambiente per almeno 5 – 6 h.

Meglio se viene gustata il giorno dopo abbinata con vino bianco giovane, profumato, secco ma morbido e sapido, come il Vermentino, servito a 10 °C.


A FUGASSA DE SANNA

La buona sera sta alla farinata come il buon giorno sta alla focaccia (a fugàssa). Si comincia prestissimo con la focaccia consumata a colazione, inzuppata nel caffellatte, si prosegue a metà mattina, come rompi digiuno, accompagnata da un buon bicchiere di vino bianco (u gianchettu) con la scusa che ne favorisce la digestione, o come aperitivo-antipasto nella versione per signorine snob.
Le nonne la compravano per viziare i nipoti, all’insaputa delle madri, che poi lamentavano inspiegabili disappetenze prandiali nei pargoli. La compravano a occhio, senza pesature: il Quadretto (bocconcino quadrato per togliersi lo sfizio uscendo dalla bottega), la Striscia (da condividere con l’amica del cuore in barba alla linea), il Mille lire (per fare una sorpresa a tavola al marito accanto al pane), la Sleppa (o slerfa) per gli appetiti robusti (nella versione con le cipolle, fugàssa co-a çiòula, capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame; era la consueta mancia del datore di lavoro ai suoi camalli, per incentivarli al lavoro), oppure la Leccarda (corrispondente a una lama, una teglia) in occasione di piccoli rinfreschi.
C’è chi la preferisce calda, appena uscita da una infornata mattutina, buonissima, ma chi bada al borsellino sa che paga un 30% di vapore acqueo.
C’è chi ne teorizza le virtù per i nottambuli discotecari alticci: esistono forni assaliti in ore antelucane come prosciuga budella dagli eccessi alcolici. Insomma la focaccia piace a tutti.
Ingredienti minimali e poveri: farina bianca di grano tenero, tipo 00 o 0, di media forza (W 200-300), lievito di birra, acqua pura o meglio una miscela di acqua e vino bianco, sale fino per l'impasto, sale grosso per il condimento, olio d'oliva extravergine (per l'impasto e per ungerla).
Serve comunque una grande arte nel realizzarla, Giove pluvio permettendo, poiché la focaccia, che non ama l’umidità, risente decisamente delle condizioni climatiche. Una lunga lievitazione e un'accurata lavorazione della pasta richiedono una ventina di ore. L'optimum di cottura lo garantisce soltanto un forno da panettiere (meglio se a legna, ma chi se lo può ancora permettere?).
La nostra società opulenta ha pensato di elaborare varianti per soddisfare tutti i gusti (ma soprattutto per alzare notevolmente il prezzo del venduto con poca fatica e minimo investimento). Ci sono ingredienti messi sopra, come le olive, le cipolle e i pomodori, e quelli messi nell’impasto come la salvia, il rosmarino, le patate, le noci o l'uvetta passa (nella sua forma più dolciastra). E si stanno sempre sperimentando nuovi abbinamenti. Insomma la focaccia, alimento vecchissimo, è un evergreen gastronomico.
Ma a Savona dove si può mangiare una buona focaccia? In molte panetterie il prodotto è molto buono, ma segnaliamo quelle savonesi in cui, secondo noi è veramente ottimo.
Rigorosamente in ordine alfabetico:
Il Panificio Emj in Via Don Bosco. 10 Tel: 019814885
Il Panificio Pedesini in Via Montenotte. 42 Tel: 019850869
Il Panificio Peisino in Via Boselli 5/R Tel: 019 829786
Il Panificio F.lli Ventura in Via De Amicis. 29 Tel: 019813718
Buona focaccia a tutti (anche gluten free per celiaci)





IN CERCA DI SCIAMADDE

A dispetto di molte credenze la farinata non è un prodotto tipicamente ligure, bensì pisano, tuttalpiù livornese, con radici assai antiche: latine e greche. In Liguria ci è arrivato per fatalità nel 1284. Le galee di Genova, vincitrice su Pisa, alla Meloria, furono coinvolte in una terribile tempesta. Nel putiferio, barilotti d'olio e sacchi di farina di ceci si rovesciarono e mescolarono con acqua di mare. La fame fece il resto. Non essendoci altro a bordo si allestì un pasto fatto di purea salata di farina di ceci e olio, asciugato al sole. Non doveva certo essere granché. Ma tornati a casa, carichi di gloria e di fame, il racconto epico infervorò la mente di qualche ingegnosa massaia che replicò con successo l’improbabile ricetta, cuocendola però al forno, in un "testo", una teglia bassa in rame stagnato, e chiamandola, per scherno agli sconfitti, l'oro di Pisa.
Era nata la farinata. Cibo povero, usato come piatto unico, certamente ingegnoso, dà un buon sostentamento grazie alle vitamine, B e C e al fosforo contenuti nella farina di ceci. Sazia certamente la pancia, ma non c’è prova comunque che faccia diventare anche più intelligenti.
Come spesso succede per ogni cibo povero che si rispetti, la sua riscoperta ha portato in tempi più recenti e ricchi, molte varianti. Ed eccola abbinata al rosmarino, ai cipollotti, ai carciofi, con stracchino, con gorgonzola, con pomodorini e rucola, con salsiccia o bianchetti.
Una variante di quella di ceci, tipica di Savona, è prodotta con farina di grano spolverata di pepe nero, ha colore bianco, uno spessore minore ed una maggiore croccantezza rispetto a quella di ceci.
La diffusione nel Mediterraneo ne ha cambiato il nome. Così la fainâ de çeixi del genovese è diventata il turtellassu nel savonese, la socca nel nizzardo, la cade a Tolone, la calda calda nel carrarese, la cecìna in Versilia, la bela cauda nell'oltregiogo, la fainè nel sassarese, il fainò nel carlofortino, la calentita a Gibilterra, la caliente in Marocco. Il bello è che oggi tutti ne rivendicano l’invenzione e l’esclusiva tipicità. Paradossi dell’era della DOP e della IGP.
Il successo dell’alimento è stato comunque tale da creare locali specifici in cui la si può acquistare per l’asporto o la si può mangiare accompagnandola con un bicchiere di buon vino. Sono le sciamadde (letteralmente "fiammate") caratterizzate dal grande forno a legna e da un odore tipico di fritto e di legna arsa.
In cerca di sciamadde a Savona ne ho trovate tre che voglio raccomandarvi.
La prima, storica e centralissima, è Vino e Farinata in via Pia 15r cell.3473784276, la seconda risponde al nome incredibile di Esco Pazzo in via Montenotte 75r tel.0198489309 ed infine in periferia fornacina si trova L’Arcata dell’Homo in via Saredo 100r tel. 019801670.

PRANZO QUOTIDIANO DI LAVORO: CROCE E DELIZIA

Oggi parliamo della pausa pranzo. Dove può andare chi lavora in città a godersi un momento di relax gastronomico? Le esigenze sono parecchie. C’è la donna in carriera che deve badare alla linea ma non può mangiare sempre insalatine e verdure scotte. C’è il manager che ha fretta ma ha imparato a staccare un quarto d’ora e se lo vuole godere. C’è il crocierista che approfitta per gustare qualcosa di tipico ma senza appesantirsi troppo, per proseguire dopo la passeggiata. C’è l’allievo pendolare che ha il rientro pomeridiano e non ce la fa a mangiare panini tutto l’anno. Tutti hanno comunque fretta, la cucina deve essere express, ma il fast food non è per tutti e per tutti i giorni.
Insomma le esigenze sono molte e difficili da conciliare, non ultima quella del portafoglio.
Chi ci riesce è bravo. Io credo di averlo trovato e ve lo segnalo.
Non è propriamente un ristorante, ma la cucina è pari a quella di uno chef. Non è un lounge bar, ma gli aperitivi ed i cocktail sono o.k., per non parlare degli apetizer dell’apericena. Non è propriamente una cremeria, ma la caffetteria è chic ed i dolci sono di tutto rispetto, sempre freschi di giornata. Non è certamente un wine bar, ma la cantina è fornitissima e di gran classe.
L’arredo è raffinato senza ostentazione, tra la modernità del vetro e l’antichità del legno, la toilette sempre aperta (in quanti locali bisogna chiedere la chiave e spesso ti rispondono che i servizi sono rotti?), pulita e profumata, la cortesia e la simpatia dello staff fatto di giovanissimi baristi camerieri fa il resto. Ti viene perfino da lasciar loro la mancia (che per certi savonesi è quasi un gesto contro natura, pare che negli ingauni manchi quel cromosoma nella spiraletta del DNA).
Eccovi il nome: Caffé del Duomo, si trova alla fine di Via Manzoni in prossimità dei portici. Sempre pieno. Si fa la coda leggendo il giornale al bancone e spiluccando stuzzichini, quando si libera un tavolo, via.

Il menù cambia tutti i giorni, tre primi ed una decina di secondi, sempre diversi. Ci vado spesso. Adoro alcuni suoi primi chiccosissimi: i cuoricini tricolore in salsa di taleggio, gli gnocchetti di castagne al ragù battuto al coltello, il risotto alla Mazzini (buonissimo anche se il mio idolo risorgimentale era Cavour e come lui adoro il “bicerin”), ecc. I vini proposti al calice sono di solito due, un bianco ed un rosso: non tradiscono mai. Dolci ammirevoli: io adoro la torta di mele calduccina in crostina friabile con cannella, ma la vecchia cara sacripantina ha il suo perché. Insomma si mangia sempre bene e la rapidità di servizio è ammirevole. Ma la virtù si vede nei dettagli, posateria di marca, cestino del pane con striscioline di focaccia a volontà, formaggiera del parmigiano sul tavolo con grattugiata sempre fresca e non lanugine di crosta, calice per degustare il vino di forma professionale, set di oliaceto con prodotti di qualità. Prezzi quasi popolari (non si paga il coperto).

 


CERCANDO LOW COST E TRADIZIONE

E’ possibile pranzare a meno di 10 euro a Savona? La crisi si combatte scegliendo bene dove mangiare
Prosegue la nostra indagine presso i ristoranti low cost del comune di Savona, per rispondere alla fatidica domanda: è possibile mangiare dignitosamente sotto la soglia di 10 euro con un rapporto qualità prezzo adeguato? La risposta è semplice: è possibile farlo a pranzo, non a cena.
Evidentemente il primo è considerato una necessità ed il secondo un lusso.
Segnaliamo comunque due locali che praticano due diverse filosofie.
Il primo centralissimo di trova in via Caboto 25r dirimpetto alle scuole elementari, e si chiama ovviamente Bar Ristorante Caboto. Se la fantasia del nome un poco difetta, certamente non si può dire così della cucina. Mangerete delle ottime orecchiette ed un coniglio alla ligure decisamente gustoso, completerete con frutta, dolce, bevande (un quarto di vino sfuso passabilissimo) e caffè.
Porzioni abbondanti. Il tutto per 10 euro tutto compreso. Prendere o lasciare. Se volete saltare il primo il secondo raddoppierà la porzione ma la cifra non cambierà.
Chi è di pasto buono ha trovato la sua sponda. Chi pensa alla dieta… guardi l’ambiente attorno ben curato, vivace e ben frequentato; spesso con i crocieristi stranieri (un must del locale) si possono intavolare interessanti conversazioni per rinverdire il proprio inglese scolastico semidimenticato.
Il secondo è decisamente decentrato, bisogna sapere la sua esistenza per rintracciarlo, ma il tam tam virale del  gastrospetteguless non tarda a fartelo trovare.
Si chiama Ristorante Trattoria La Cantina, ma non è assolutamente un’osteria. Anche qui la coerenza verbale difetta. Si trova in via Frascheri 14 rosso tel. 0194500107, un traversa di Via XX Settembre, nelle prossimità della ex Fabbrica del Ghiaccio.
Qui si trova un animatissimo ambiente multietnico di artigiani, in tute e canotte da lavoro, con i quali puoi fraternizzare facilmente, specialmente se cerchi un idraulico, un elettricista, un imbianchino, un piastrellista, un serramentista, tutte figure non più facilissime da trovare se non sei un amministratore di condominio. La specialità riconosciuta della casa è il minestrone: sublime. Evidentemente la cottura si prolunga, come è giusto, per le ore adeguate a fuoco basso. Qui si possono gustare anche piatti singoli, a prezzi supercompetitivi, ad esempio un primo sotto i 5 euro. Porzioni da appetiti robusti, per gente a cui non bastano le 5000 Kcal quotidiane per il lavoro che fa. Se il piatto non trabocca ti chiedono se era l’ultima porzione scarsa rimasta.
Tra un momento folkloristico e l’altro si mischiano le discussioni tra i tavoli in un intreccio verbale che farebbe la gioia di un glottologo o di un autore di cabaret in crisi di ispirazione.
Entrambi i locali comunque sono sempre stracolmi. Si racconta di pensionati “ricchi” che si siedono a tavola alle 12 per avere l’offerta completa del menu, altrimenti va in rapido esaurimento per i piatti speciali del giorno. Anche questa è Savona, una parte di città che mi piace molto.

6 ALLA RICERCA DEL BUONGUSTO

Alla ricerca del buon gusto raccoglie in maniera sistematica le recensioni pubblicate sul mensile savonese Il Letimbro nella rubrica Dalla parte del gusto e poi apparse nel blog  HOMO LUDENS https://nonmirompereitabu.blogspot.com/