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martedì 3 gennaio 2023

Corso di materie prime tipiche del food: Lezione 3 SALUMI

ANNOIA ABRUZZESE
L'annoia o localmente nuje o annuje è un salume insaccato che utilizza lo stomaco e le budella di maiale. È prodotto in tutto l'Abruzzo, ma la specialità è della provincia di Chieti.
Lo stomaco e le budella di maiale vengono pulite con lavaggi in acqua e farina di mais e successivamente vengono bollite per due ore. La lavorazione successiva prevede il taglio di piccole strisce e messe sotto sale. Si aggiungono gli aromi: peperone piccante, aglio, seme di finocchio, bucce di arancia. Il sapore risulta più o meno aromatizzato a seconda della miscela di tali aromi.
Di solito viene consumato dopo pochi giorni dalla preparazione come una salsiccia fresca.

BARBUSTO DELLA VALSUGANA
Il nome barbusto deriva forse dal tedesco Schwarz-Wurst. e' un insaccato di puro suino da consumarsi fresco, previa cottura ai ferri o in acqua.
Nell'Ottocento, gli abitanti della Valsugana (in provincia di Trento), macellato il maiale e prodotti, con le carni nobili, i salami e le luganeghe, utilizzavano le frattaglie del maiale, mescolandole con altra carne per ottenere i "barbusti". In genere, oggi sono composti da carne di spalla, pancetta, cuore e polmone di maiale, macinati con l'aggiunta di sale, pepe, aglio, cannella e poi insaccate in un budello, sempre di maiale. La stagionatura, di solito, non supera gli 8-10 giorni, in luogo asciutto.
Per la preparazione del barbusto vengono macinati col tritacarne, usando una piastra con fori di diametro 4,5 mm, carne (spalla e pancetta), cuore e polmone (nella misura massima del 20% dell’impasto totale) di suino, preventivamente tagliati e accuratamente lavati.
All’impasto così ottenuto viene aggiunta una salamoia secca di sale, pepe, cannella e aglio miscelati. L’impasto viene lavorato a mano in appositi contenitori (marne) e successivamente insaccato in budello di maiale del diametro di 40 mm, legato ogni 10 cm con spago alimentare. La filza così ottenuta, fatta gocciolare ed asciugare a temperatura ambiente, viene successivamente conservata in luogo fresco per 8-10 giorni.

BARDICCIO FIORENTINO
Il bardiccio o bardiccio fiorentino o ancora salsiccia matta è un tipico insaccato toscano, simile al burischio, la cui preparazione si basa sull'utilizzo delle parti meno pregiate e ricche di sangue del suino. Il suo tipico colore rosso scuro dipende dalla quantità di cuore – generalmente di bovino – impiegata nell'impasto. Il bardiccio ha la forma caratteristica della salsiccia, ma è più lungo ed è insaccato nel budello di suino, legato con dello spago. Si produce da settembre a maggio e si consuma fresco.
Il bardiccio fa parte dei Presidii ed Arca del Gusto di Slow Food con il nome di bardiccio fiorentino ed è inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani dalla Regione Toscana alla voce "Carni (e frattaglie) fresche e loro preparazione".
La zona di produzione originaria è circoscritta ai comuni della Valdisieve e, marginalmente, del Valdarno.
Originariamente il bardiccio nasce come piatto della così detta tradizione povera Toscana. In una logica di riciclaggio alimentare – tipica delle famiglie contadine o comunque meno abbienti – tutte le parti meno nobili del maiale e del bue, comprese le interiora, venivano recuperate. In origine il bardiccio, oltre ad essere consumato fresco, veniva stagionato per essere poi utilizzato nel corso dell'anno come ripieno o come ingrediente per insaporire le zuppe vegetali.
L'Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'Innovazione nel Settore Agricolo - forestale (ARSIA) stima una produzione annua di bardiccio di circa 400-500 quintali suddivisa tra macellerie (30-60 kg la settimana) e salumifici (80-100 kg la settimana).
Del bardiccio non esiste una ricetta codificata, poiché ogni piccolo produttore miscela i vari ingredienti sulla base di una propria tradizione.
Per realizzarlo si utilizza principalmente carne suina di seconda e terza scelta, quella generalmente non impiegata nella produzione di altri salumi come la finocchiona, la salsiccia o il salame: tenerume tritato, grasselli saporiti, cuore, polmone, fegato, milza ed altri tagli inutilizzati nelle altre lavorazioni perché di pezzatura troppo piccola. A questa si aggiunge, in percentuale minore e con lo scopo di ingentilirne il gusto, anche carne bovina.
Le carni vengono macinate grossolanamente con un tritacarne e successivamente vengono aggiunti sale, pepe, aromi e spezie tra cui, quella principale, è il finocchio selvatico. Il bardiccio è, a tutti gli effetti, una salsiccia aromatizzata al finocchio.
Il composto così ricavato viene mescolato con una impastatrice e confezionato con una insaccatrice in un budello di maiale di circa 30 centimetri legato alle estremità con dello spago. Generalmente si lega a file di due o a file di quattro.
Il bardiccio viene cotto alla brace oppure in umido. Più raramente viene bollito. Viene tipicamente servito con pane toscano e accompagnato con del Chianti Rufina o altri vini toscani robusti.
Seppur circoscritte alla provincia di Firenze, sono molte le manifestazioni enogastronomiche legate al bardiccio:
Festa del bardiccio, Dicomano (dicembre)
Sagra del bardiccio, Vicchio (ottobre)
Sagra del fusigno, Londa (24 dicembre)
Sagra del tortello e bardiccio, Rufina (primavera-estate)
Sagra della zucca gialla e del bardiccio, Pelago (ottobre)
Toscanello d'oro, Pontassieve (maggio-giugno)

BASTARDEI LOMBARDI
I bastardei sono un prodotto agroalimentare tradizionale della Lombardia, consistente in salamini in budello naturale di carne mista bovina e suina. È prevista solo l'aggiunta di sale, salnitro e spezie, in particolare del pepe. È prodotto nel territorio della Valchiavenna in provincia di Sondrio.
La lunghezza è di 15 cm e il diametro di 4 cm; la stagionatura dura 20/25 giorni.

BAUERNSPECK DELL'ALTO ADIGE
Il Bauernspeck è uno speck prodotto da suini selezionati e allevati in piccoli gruppi nei masi dell’Alto Adige. Disponibile in quantità limitate, il Bauernspeck ha caratteristiche ricercate anche grazie ad un’adeguata quantità di grasso.
Il Bauernspeck viene ricavato dalle migliori cosce di suino. I suini si distinguono per dimensioni e quantità di grasso, grazie al mangime non geneticamente modificato e all'età.
La produzione del Bauernspeck segue minuziosamente il metodo tradizionale ed è soggetta a rigidi controlli. Questi controlli iniziano già dalla scelta dei mangimi non modificati da parte dei contadini e accompagnano l'intero processo produttivo. Solo nel momento in cui tutti i criteri di qualità sono soddisfatti viene impresso a fuoco il marchio di qualità. I controlli sono effettuati dall'istituto indipendente INEQ in collaborazione con l'Assessorato all'agricoltura della Provincia di Bolzano.
Oltre alla coscia vengono utilizzati anche altri tagli (coppa, spalla, carré, pancetta) in modo da sfruttare tutte le parti del suino, come vuole la tradizione.

BERODO
In tutto il territorio dell'entroterra ligure si produce anche il Sanguinaccio. Veniva il Natale e i negozianti solevano fare piccoli omaggi ai loro clienti più affezionati. Il salumiere donava i beròdi, i sanguinacci locali, che un tempo erano decisamente più gustosi perché all'interno racchiudevano anche pinoli e uvetta. Nel periodo natalizio erano ulteriormente arricchiti dalle noci, che ne ingentilivano l'aroma. I sanguinacci si gustano, dopo averli fatti bollire, rosolati in padella con le cipolle. Salamino di animelle e sangue di maiale (insaccato, fresco, cotto), è un insaccato di colore marrone, normalmente confezionato di pezzatura di circa 200 grammi. Il sangue di maiale, mescolato con latte fresco in parti uguali e condito con pinoli, sale, pepe e animelle, viene insaccato nel budello di maiale e legato con lo spago. Anche altri aromi, come foglie di alloro e chiodi di garofano, possono essere aggiunti all'impasto.

BIROLDO DELLA GARFAGNANA
Il biroldo della Garfagnana è un salume dalle origini molto antiche, il cui nome sembrerebbe derivare dall'epoca longobarda. In questi luoghi l'allevamento dei maiali ha tradizioni remote e il biroldo veniva confezionato con le parti meno nobili del maiale, come la testa, il cuore e la lingua, che venivano tagliate e bollite, conciate con sale e spezie amalgamate con il sangue del maiale. Infine il tutto veniva insaccato nella vescica o nello stomaco e quindi nuovamente bollito. In Garfagnana le persone più anziane non vogliono neppure sentir nominare il biroldo, che per loro rappresenta il cibo povero dei tempi grami.
Ancora oggi viene seguita questa metodologia di lavorazione per ottenere il biroldo, e il risultato è un salume dal gusto piccante, dal colore molto scuro e dalla forma di palla leggermente schiacciata.
Possiede una consistenza abbastanza morbida e un intenso profumo di spezie ed aromi. Le spezie che profumano l’impasto di carne e sangue possono variare, con una prevalenza del finocchio selvatico, sale e pepe, noce moscata, chiodi di garofano, cannella e anice stellato, ma sono tassativamente esclusi i pinoli che, caratterizzano invece il biroldo di Lucca.
Il biroldo si consuma tagliato a striscioline alte un centimetro entro quindici giorni dalla produzione, magari accompagnato dal tipico pane di castagne garfagnine o dal pane di patate. In bocca è morbido e il suo gusto è perfettamente equilibrato: sangue e spezie non prevaricano il sapore della carne magra ma gli conferiscono sentori delicati e persistenti.

BODEUN VALDOSTANO
Il bodeun o boudin (fr.) è un salume di origine antica riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. Viene prodotto in Valle d'Aosta ed appartiene alla categoria dei sanguinacci.
Preparazione
L'insaccato viene preparato con patate bollite alle quali vengono mescolati cubetti di lardo, barbabietole rosse, sangue di maiale (o di bovino), vino, spezie e aromi naturali. La barbabietola rossa, oltre che contribuire al gusto e alla colorazione del prodotto, svolge anche la funzione di conservante naturale. Il tutto viene insaccato in budello suino legato a mano e poi appeso e stagionato per almeno una decina di giorni.
Consumo
I boudins vengono in genere consumati come antipasto. Possono essere mangiati freddi oppure bolliti, magari con l'accompagnamento di insalata o verdure cotte, oppure scaldati al forno; in quest'ultimo caso va utilizzato un prodotto ancora piuttosto fresco e poco stagionato.
Si prestano ad accompagnare l'insaccato vini rossi non invecchiati e con una buona componente aromatica.

BONDIOLA FRIULANA 
La Bondiola, un misto di carne insaccata di forma sferica di antica tradizione, è una variante pordenonese del Linguâl prodotto sia in destra che in sinistra Tagliamento. I macellai pordenonesi chiamano la Bondiola anche “Saûc” dal nome dialettale del Monte Cavallo. 
Nell’impasto usuale del cotechino (carne magra e cotiche macinate) vengono aggiunti muscoletti interni del maiale, pure macinati, e la lingua a piccoli pezzetti. Il tutto viene insaccato in grossi budelli (in particolare nel budello gentile) in modo che assuma la caratteristica forma sferoidale. La lavorazione viene eseguita nei locali abitualmente destinati alla lavorazione del suino per uso familiare o in locali annessi alle macellerie.

BORZAT DI LIVIGNO
Il borzat è un insaccato di carne di pecora, prodotto esclusivamente nel comune di Livigno, in provincia di Sondrio, che è posto in una valle con una altezza minima di 1.800 metri, al di là della linea di displuvio delle Alpi, con un fiume lo Spöl, affluente dell'Inn che è tributario del bacino del Danubio.
Il borzat è stato riconosciuto come un prodotto agroalimentare tradizionale e consiste in un parallelepipedo di pelle di pecora, cucito a mano, ripieno di carne di pecora, aromatizzato con aglio, pepe, sale, cannella.
Il peso è di 1/3 kg. La carne di pecora è tagliata a pezzetti e viene introdotta nell'involucro che viene cucito con un filo di lana. Una bruciatura elimina la lana in eccesso.
Il prodotto viene consumato cotto previa bollitura.

BRESAOLA DELLA VALTELLINA
La Bresaola della Valtellina è un salume a Indicazione Geografica Protetta (IGP), ottenuto da carne di manzo, salata e stagionata, che viene consumato crudo.
È alquanto difficile stabilire con precisione da dove derivi il nome di questo salume. Potrebbe derivare dall'espressione "sala come brisa", per l'uso che un tempo si faceva del sale nella conservazione e per il fatto che in Valchiavenna (valle vicina alla Valtellina) "brisa" indicava una ghiandola dei bovini fortemente salata. Ma c'è chi riconduce l'origine di questo nome al termine "brasa" (in dialetto significa brace) poiché un tempo l'asciugamento del prodotto avveniva in locali riscaldati da bracieri alimentati con carbone di legna di abete e bacche di ginepro, timo e foglie di alloro. Da "brisaola" il nome è poi mutato con gli anni in "bresaola".
Le prime testimonianze letterarie relative alla produzione della Bresaola risalgono al XV secolo, ma l’origine del salume è senz’altro antecedente. La produzione rimane circoscritta all’ambito familiare sino ai primi decenni dell’Ottocento. Nel XIX secolo la lavorazione artigianale del salume diventa particolarmente florida e il prodotto varca i confini nazionali per essere esportato nella vicina Svizzera. Il settore agro-alimentare è tradizionalmente molto forte in Valtellina, le cui ottime specialità gastronomiche sono vendute in tutta Italia e nella vicina Svizzera.
Il Disciplinare di produzione è stato recepito dall’ordinamento italiano con decreto 23 dicembre 1998 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. La denominazione "Indicazione Geografica Protetta" identifica un prodotto per il quale almeno uno degli stadi della produzione, della trasformazione o dell'elaborazione hanno luogo in un'area geografica determinata e caratterizzata da una perizia riconosciuta e constatata. La Bresaola della Valtellina viene elaborata nella tradizionale zona di produzione che comprende l'intero territorio della provincia di Sondrio, ma le carni utilizzate possono provenire da bovini allevati e macellati in altre zone, anche e soprattutto d’importazione (principalmente dal Brasile e dall'Argentina). L'economia della Provincia di Sondrio è notevolmente dipendente dalle sorti di questa importazione. Infatti, la sottospecie bovina Zebù è allevata nel nuovo continente e si adatta particolarmente alla produzione di conserve del genere. La principale alternativa alla carne extracomunitaria è peraltro la carne bovina proveniente dall'Irlanda.
La bresaola si ricava dalle seguenti masse muscolari:
fesa: corrisponde alla porzione posteromediale della muscolatura della coscia e comprende il muscolo retto interno, il muscolo adduttore ed il muscolo semimembranoso
punta d'anca: è il taglio più pregiato, corrisponde alla parte della fesa privata del muscolo adduttore. Ha un peso minimo di 2,5-3 kg
sottofesa: corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e precisamente al muscolo lungo vasto e pesa almeno 2 kg
magatello: corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e più in particolare al muscolo semitendinoso e pesa almeno 1 kg
sottosso: corrisponde alla fascia anteriore della coscia, composta dal muscolo retto anteriore e dal muscolo vasto esterno, interno e intermedio (quadricipite femorale).
Preparazione
La materia prima viene sottoposta a salagione, effettuata a secco in vasche d’acciaio dove la carne viene cosparsa con sale (in quantità variabili dai 2,5 ai 3,5 kg per quintale, secondo la stagione), pepe macinato e aromi naturali. Possono essere aggiunti vino, spezie, zuccheri (con lo scopo di favorire i fenomeni microbici responsabili in buona parte della stagionatura del prodotto), nitriti e nitrati di sodio e potassio, acido ascorbico e suo sale sodico. La miscela salante spesso cambia da produttore a produttore e si tramanda come una ricetta da custodire gelosamente. La durata della salagione va dai 10 ai 20 giorni, a seconda della stagione, della pezzatura e l'altitudine del luogo di lavorazione. Ogni quattro giorni i pezzi vengono trasferiti in nuovi contenitori dopo aver eliminato l'eccesso di salamoia mediante operazioni di massaggio, che consentono una più rapida e uniforme migrazione del sale all’interno del prodotto. In questa fase la carne si insaporisce perdendo parte dell'acqua libera presente nel tessuto muscolare. Si passa poi alla lavatura delle bresaole che successivamente vengono insaccate in involucri di protezione (budelli naturali o artificiali) e inviate alla fase successiva di asciugamento in apposite celle.
L’asciugamento deve consentire una rapida disidratazione del prodotto nei primi giorni di trattamento. Viene condotto a temperatura compresa tra 20 e 30 °C e in condizioni di umidità dell’aria pari al 35-65%.
Alla fase di asciugamento segue la stagionatura condotta a temperatura compresa tra 12 e 18 °C e in condizioni di umidità dell’aria pari al 70-90% per un periodo che varia dai 2 ai 4 mesi.
I locali di stagionatura, così come quelli di asciugamento, devono essere muniti di impianti per il mantenimento e la rilevazione della temperatura e dell’umidità e devono consentire un ottimale ricambio dell’aria.
Questo processo di maturazione provoca un notevole calo di peso e un conseguente insaporimento del prodotto per effetto della concentrazione degli aromi e del sale, rendendo possibile la conservazione della bresaola per periodi piuttosto lunghi pur mantenendo inalterate tutte le caratteristiche di sapore, morbidezza e digeribilità.

BRUSTI DELLA VAL DI NON
Vengono chiamati Brusti nella Val di Non (TN). Insaccati in budella di vario calibro, di colore marrone, di consistenza morbida, cremosa e con un gradevolissimo profumo di spezie, da consumarsi crudi, o cotti alla brace.
Sono composti con il sangue del maiale, alle volte mescolato con quello di vitello, al quale viene aggiunta farina bianca, sale, pepe, latte, spezie, alle volte, noci tagliuzzate e un po' di grasso. Si serve bollito o con polenta.

CAPOCOLLO DI CALABRIA 
Il capocollo o capicollo o coppa è un insaccato, che è presente nel territorio italiano con varie interpretazioni e ricette, ottenuto dalla lavorazione della porzione superiore del collo del maiale e da una parte della spalla (questo ne giustifica il nome).
Le carni vengono salate e massaggiate (questa operazione è necessaria per favorire sia la penetrazione che la distribuzione uniforme del sale) poi vengono insaccate in un budello naturale e fatte stagionare.
Nel corso della lavorazione sono aggiunte spezie ed erbe aromatiche tipiche delle diverse località di produzione del salume. In passato per la sua stagionatura si usava avvolgere la carne in una tela grezza.
Riconoscimenti D.O.P.
Capocollo di Calabria
Capocollo di Martina Franca
Coppa Piacentina
Prodotti agroalimentari tradizionali italiani
regione Puglia capocollo
regione Basilicata capocollo
regione Campania capicollo
regione Lazio capocollo
regione Toscana Capocollo tipico senese (finocchiata)
regione Umbria capocollo 

CAPPELLO DEL PRETE
Il cappello del prete (denominato alle volte tricorno) è un insaccato di forma triangolare che ricorda, per l'appunto, il cappello usato dai preti. È una variante del cotechino e dello zampone. Anch'esso è costituito da carne di maiale macinata, di norma più finemente, con la variante che nell'impasto viene aggiunto del vino. Lo si cucina come i più noti cotechini e zamponi (bolliti) e lo si accompagna con abbondante purè di patate.

CERVELLATA CALABRESE

La cervellata è un insaccato di carne suina che si caratterizza per il fatto che, al contrario della tipica salsiccia calabrese, non contiene pomodoro, peperoncino né vino rosso. La cervellata è un insaccato nel quale la carne è insaporita con pepe nero, vino bianco e finocchio selvatico. Nella cucina milanese è tradizionale un insaccato con uguale nome italiano (cervelaa in dialetto milanese), ma di composizione e impiego diversi.

CERVELLATINE NAPOLETANE

Le cervellatine sono una varietà di salsiccia di suina non stagionata tipica del napoletano e della Campania. Le cervellatine sono più sottili delle normali salsicce fresche, con un diametro tra 1 e 2 cm, e di lunghezza variabile dai 30 cm fino a circa un metro. Alla carne possono essere aggiunti aromi vegetali, principalmente pepe nero macinato. Come tradizionalmente per tutte le salsicce napoletane, sono preparate con taglio della carne piuttosto grossolano ("a ponta 'e curtiello", in napoletano), e sono avvolte in budello naturale suino.
Si accompagnano spesso, nella cucina tradizionale napoletana, con friarielli o patatine fritte tagliate a cubetti.

CHORIZO
Chorizo (chouriço in portoghese, chorizu in asturiano, chourizo in galiziano, xoriço in catalano) è un termine che indica numerosi tipi di insaccati e salsicce, di solito a base di carne bovina, suina e speziati con paprica, tipici della penisola iberica (Portogallo, Spagna e Andorra) e di alcune ex colonie spagnole ( Argentina, Uruguay, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Filippine, Colombia, Messico ).
Caratteristica del chorizo è che la carne di maiale non è macinata ma tritata in modo grossolano, e condita, oltre al sale, con paprica dolce o piccante. È proprio la paprica a dare al salame il caratteristico colore rosso e sapore.
Il chorizo vela ha una forma sottile e allungata ed è condito con paprica piccante. Il morcón de chorizo ha una forma tozza e grossa, è insaccato nell'intestino cieco ed è condito con aglio e paprica dolce.

CIAÙSCOLO DELLE MARCHE
Il ciaùscolo (o ciavuscolo o ciabuscolo, filologicamente più corretto, o anche ciaiuscolo) è un insaccato tipico della regione Marche.
L'etimologia del termine viene da alcuni fatta risalire al latino cibusculum, ossia «piccolo cibo», dal momento che questo gustoso salume viene spesso spalmato su piccole fette di pane, e il termine dialettale ciausculu, che sta a indicare il budello gentile adoperato appunto per gli insaccati, deriverebbe dal nome di questo salume; secondo altri, invece, sarebbe il contrario.
Il 5 dicembre 2006 il ciauscolo ha ottenuto il riconoscimento di Indicazione geografica protetta (IGP) a livello nazionale.
Il 11 agosto 2009 il ciauscolo ha ottenuto il riconoscimento di Indicazione geografica protetta (IGP) a livello europeo.
Con il riconoscimento del marchio di qualità IGP i produttori locali possono indicare nell'etichettatura la dicitura PRODOTTO DELLA MONTAGNA.
La produzione di questo tipico salame marchigiano si attesta sulle 600 tonnellate l'anno. Viene prodotto in particolare nel territorio maceratese, fermano e ascolano, soprattutto nella zona dell'Appennino, e in particolare nelle località di: Visso, Ussita, Sarnano, Montemonaco, Arquata del Tronto e Acquasanta Terme, tutti comuni immersi nei Monti Sibillini.
Di un invitante colore rosato, è un salame spalmabile, costituito da un impasto di carne di maiale: pancetta, spalla, rifilatura di prosciutto e di lonza con l'aggiunta di sale e spezie quali pepe nero e aglio pestato, con l'aggiunta di vino (gli ingredienti sono comunque variabili a seconda degli usi locali). L'impasto, ricavato al termine di almeno due macinature delle materie prime utilizzate, viene insaccato in un budello anch'esso di maiale e dopo la stagionatura, che va da alcune settimane ad alcuni mesi, è pronto per essere consumato.

CICCIOLATA PARMENSE
La cicciolata è un salume cotto prodotto nel territorio di Parma a base di carne suina.
La sua preparazione si svolge in due fasi. La prima è quella di far bollire la testa e le zampe del maiale in un grosso pentolone e cuocere le cotenne a parte in un paiolo di rame, fino a che friggeranno nel loro stesso strutto e saranno completamente dorate. Queste ultime a fine cottura verranno pressate in un torchio per togliere tutto lo strutto in eccesso. Il risultato sono i cosiddetti "ciccioli".
Nella seconda fase i ciccioli vengono poi uniti alle teste completamente ripulite dalle ossa, e mescolati tutti assieme e di nuovo pressati avvolti in un telo da casaro. Dopo un giorno di riposo la cicciolata viene tolta dal telo e può essere consumata.
Alcuni norcini mettono nell'impasto del vino bianco o del cognac per rendere questo salume ancor più profumato e ricco di sfumature.

CIUIGA DEL BANALE
La ciuiga è un tipico insaccato tradizionalmente prodotto in tutti i comuni delle Giudicarie Esteriori e recentemente diventata "simbolo culinario" dei comuni di Dorsino e di San Lorenzo in Banale, nel Trentino centro-occidentale.
Come la maggior parte degli insaccati tradizionali esso è composto da carne di maiale ma la vera particolarità della ciuiga è che nell'impasto vengono aggiunte le rape cotte e sminuzzate.
Ogni anno alla prima domenica di novembre viene organizzata la fiera della ciuiga dove il prodotto tipico viene valorizzato e venduto ai turisti. La ciuiga è riconosciuta come un prodotto tipico del Banale.
Inventata del macellaio Palmo Donati di San Lorenzo in Banale, che nel 1875 propose di aggiungere le rape agli scarti di maiale (testa, cuore, polmoni) con i quali venivano confezionate le salsicce per rendere il prodotto più sostanzioso, all'epoca era composta da circa 30% di carne e 70% di rape.
Oggi nella preparazione si usano anche le parti migliori del maiale (spalla, coppa, pancetta, gola) e una percentuale inferiore di rape (35-40%).

COPPA DI PARMA

La Coppa di Parma IGP è costituita dalla porzione muscolare del collo del maiale accuratamente rifilata. 
Secondo accurate indagini di cultori delle origini storico-gastronomiche dei prodotti tipici, si trovano riferimenti inequivocabili della sua produzione fin dal lontano 1680. La zona di produzione della Coppa di Parma IGP, è identificata dall’intero territorio amministrativo delle Province di Parma, Modena, Reggio Emilia, Mantova, Pavia, e dai comuni lungo la fascia del Po facenti parte del territorio amministrativo delle province di Lodi, Milano e Cremona. Per la produzione della Coppa di Parma si utilizza gran parte dei muscoli della regione cervicale superiore, il peso fresco è di circa chilogrammi 2,7 kg -3 kgIl sale si applica con il metodo di salagione a secco, riponendole in cella di salagione su appositi carrelli a più ripiani; questa tecnica di salagione è quella migliore per conferire al prodotto una lunga stagionatura e le migliori qualità organolettiche. Al termine della salagione, il prodotto va investito in budello naturale di bovino e poi legato a mano con spago di canapa. A seguito di un accurata asciugatura, il prodotto passa a stagionare per un lungo periodo (stagionatura minima 60 giorni) dove le carni disidratandosi prendono profumo, aroma, fragranza e un gusto squisito e delicato, mentre gli spaghi della legatura vanno man mano allentandosi. La Coppa di Parma va conservata in un luogo umido e fresco (possibilmente una cantina). Una volta aperta è necessario riporla in frigo avvolta in un panno in cotone umido. La Coppa di Parma, dal gusto morbido e persistente al palato e dal profumo delicato, è ottima come aperitivo ed ideale durante i pasti e perché no…accompagnata da un buon vino bianco dei Colli di Parma DOC.

COPPA DI TESTA
La coppa di testa è un insaccato di carni suine cotte, inserite in un budello naturale. È composto dalle parti magre che rivestono la testa dell'animale: guancia, lingua, cotenna e con l'aggiunta di muscolo di suino, geretto di spalla. Ha una forma cilindrica leggermente curva, del diametro di 12-15 cm e del peso variabile da 3 a 5 kg, con aspetto simile ad una soppressa , ma priva di muffa esterna. Al taglio si mostra a chiazze di colore variabile per le varie parti di carne della testa che vi sono inserite. L'aroma e ricco di sfumature, il gusto sapido e piacevole.
Per la produzione di questo insaccato viene utilizzata esclusivamente la testa del suino, compresa la lingua. Le teste vengono accuratamente lavorate eliminando ossa, occhi e orecchie. Lo spolpo ottenuto, lingua compresa, viene bollito in poca acqua per avere una ottimale concentrazione del sapore. A cottura ultimata la carne vien e sgocciolata e passata al tritacarne dove viene grossolanamente macinata. La carne tritata con aggiunta di sale e aromi naturali (pepe, chiodi di garofano, cannella, noce moscata, ecc.) viene impastata ed insaccata in budello naturale (o artificiale) di grosso diametro (15-20 cm), legata e raffreddata in celle frigorifere.
Il prodotto va consumato entro breve tempo dalla produzione; si taglia in fette sottili e si consuma come antipasto, merenda o come piatto unico con verdure di stagione.

COPPA MARCHIGIANA
La coppa marchigiana, chiamata anche coppa di testa, è un salume cotto, diffuso soprattutto nelle regioni centrali delle Marche e dell'Umbria, da non confondersi con la coppa Emiliana. Per il tipo di carni utilizzate nella preparazione, viene considerata un insaccato povero: la coppa si produce a partire dallo spolpo della testa del maiale, della sua lingua, delle cartilagini auricolari e di altre parti meno nobili del suino. Viene aromatizzata con l'aggiunta di pistacchi, cannella o noce moscata, arance e limoni grattugiati o a pezzi. Generalmente viene prodotta nei periodi freddi dell'anno, dopo la cottura viene raffreddata sotto pressa e non necessita di stagionatura.
Al taglio si presenta di colore rosato o grigiastro(a seconda del tempo di cottura), con nervature bianche che testimoniano la presenza delle parti cartilaginee delle orecchie. Il profumo è speziato e il sapore è fortemente aromatico.

COPPA PIACENTINA
Coppa Piacentina è un insaccato italiano a base di carne suina a Denominazione di origine protetta. È prodotta con carne proveniente dal collo del maiale. Le carni possono provenire dall'Emilia-Romagna o dalla Lombardia ma la lavorazione deve avvenire nella provincia di Piacenza. Il prodotto finito, dopo almeno sei mesi di stagionatura, ha forma cilindrica e peso superiore a 1,5 kg. La sua caratteristica peculiare è la dolcezza, che richiede una percentuale di sale limitata e l'uso molto calibrato delle spezie che non devono sovrastare il profumo del salume stagionato.
Salatura: il muscolo, opportunamente tagliato in un solo pezzo, viene ricoperto con una miscela di sale e spezie e riposto in un ambiente freddo. Un tempo veniva massaggiato a mano per far penetrare e assorbire sale e spezie.
Fasciatura: il muscolo viene avvolto con cura nella pelle di sugna: uno strato sottile e trasparente (il peritoneo) che avvolge l'intestino del maiale; questa "pelle" serve da protezione e contribuisce alla stagionatura, come il budello del salame.
Legatura: si procede a legare strettamente con un grosso spago tutta la coppa, per evitare che la pelle di sugna si possa staccare facendo penetrare aria che potrebbe danneggiare il salume. Con un'estremità dello spago si crea un lungo anello che serve per appenderlo.
Asciugatura: appesa per 10-15 giorni in un apposito locale, un tempo nel solaio, la coppa perde una notevole percentuale d'acqua.
Stagionatura: è la fase molto delicata di maturazione. Una buona stagionatura, che deve essere di almeno sei mesi, determina la qualità del prodotto. Un tempo avveniva in cantina.

COTECHINO DI MODENA
E' un insaccato tipico modenese composto da un impasto di carne magra, grasso e cotenna di suino, con l'aggiunta di sale, pepe e altre spezie, e a volte anche vino, a seconda delle ricette; la miscela del cotechino è contenuta in un budello naturale o artificiale. La preparazione del Cotechino di Modena ha inizio con la macinatura in tritacarne, con stampi caratterizzati da fori di dimensioni comprese tra 7 e 10 millimetri per le frazioni muscolari e adipose e tra 3 e 5 millimetri per la cotenna. Segue eventuale sgrossatura ed impastatura in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica. L'impasto così ottenuto viene insaccato in involucri naturali o artificiali, a differenza dello zampone, che è contenuto nella zampa anteriore del maiale. Il prodotto fresco subisce un ulteriore processo di asciugamento in stufa ad aria calda mentre quello precotto, è bollito in acqua e confezionato in contenitori ermetici, idonei al successivo trattamento termico in autoclave a una temperatura minima di 115°C, per un tempo sufficiente a garantire la stabilità del prodotto nelle condizioni commerciali raccomandate. Il cotechino deve essere facilmente affettabile e tenere la fetta, la quale deve presentarsi compatta, con granulometria uniforme e di colore roseo tendente al rosso non uniforme.

CULATELLO DI ZIBELLO
Il Culatello di Zibello è un salume a Denominazione di origine protetta tipico della provincia di Parma. È inoltre catalogato tra i Presidii di Slow Food dell'Emilia-Romagna.
Il Culatello, citato con certezza per la prima volta in un documento del 1735, è prodotto a partire dalla coscia di maiale.
Il Consorzio del Culatello di Zibello ha stabilito che la lavorazione può avvenire solo in una determinata e circoscritta zona ed esclusivamente nel periodo tra ottobre e febbraio, quando la Bassa è avvolta dalla nebbia e dal freddo. È in quel periodo che la parte di carne ricavata dalla coscia dei suini adulti, allevati secondo metodi tradizionali, viene decotennata, sgrassata, disossata, separata dal fiocchetto e rifilata a mano, così da conferirle la caratteristica forma "a pera".
A queste operazioni seguiranno poi, dopo circa una decina di giorni, la salatura e la cosiddetta investitura, cioè l'insaccamento del salume nella vescica del suino e la legatura con lo spago che, dopo la stagionatura, dovrà risultare a maglie larghe e irregolari. La stagionatura in cantina accompagna il Culatello dalle nebbie invernali all'afa estiva, per arrivare sulle nostre tavole l'inverno successivo nel pieno delle sue più originali qualità di sapore.
Il periodo di stagionatura è da un minimo di 10 mesi per le pezzature inferiori (almeno 3 kg) fino ad una media di 14 mesi per tutti i pezzi. La produzione annua è di circa 50.000 pezzi di Culatello di Zibello DOP.

FINOCCHIONA
La finocchiona è un insaccato tipico toscano preparato con carne di maiale macinata, aromatizzata con semi di finocchio e bagnata con vino rosso.
Nel giugno 2013, a livello europeo, è stata presentata una domanda di registrazione del «Finocchiona» nel registro delle indicazioni geografiche protette (IGP).
a sua origine risale probabilmente da un periodo tardo medievale o rinascimentale: si narra che Niccolò Machiavelli fosse anche un buongustaio ed alcuni passi di lettere testimoniano suo grande interesse per il finocchiona. Inizialmente presente e diffusa particolarmente nella zona di Firenze (la paternità è rivendicata sia da Campi Bisenzio sia da Greve in Chianti) viene confezionata in forme più grandi di quelle di un salame classico.
Si prediligono le parti della pancia e della spalla del suino e una stagionatura lunga. La tipicità del salume deriva dalla presenza di semi di finocchio nell'impasto, abitudine introdotta dai Toscani per sopperire all'uso del più costoso pepe. La preparazione di questo salume si è poi diffusa in tutta la nazione, tanto che questa produzione è ormai divenuta nota da decenni in Italia e all'estero con il nome di finocchiona. L'uso del finocchio per insaporire le carni dei suini pesanti italiani è l'unico tratto distintivo e caratterizzante di questo salume, la cui produzione avviene ormai in tutte le principali regioni italiane dedite alla salumeria.
Esiste anche una variante, preparata con un impasto più grossolano, che subisce una stagionatura breve. Il prodotto deve essere tagliato in fette più alte rispetto al salume più secco perché tende a sgranarsi; da questa caratteristica deriva il nome di sbriciolona.

GALANTINA
Un altro prodotto derivante dalla lavorazione delle carni del maiale è la galantina, definita il prosciutto dei genovesi grazie alla sua composizione pregiata di carni di vitello e di maiale: caratteristica peculiare di questo prodotto è la sua delicatezza nel gusto e la presenza di aromi naturali particolari, come per esempio i pistacchi.

GAMBETTO DI MAIALE DI CALICE AL CORNOVIGLIO
Gambetto di maiale di Calice al Cornoviglio (La Spezia) è un particolare insaccato ottenuto dalla lavorazione della zampa del maiale. Si presenta di forma triangolare, con dimensioni di 30 x 30 centimetri circa. Il gambetto era preparato già nei primi del '900. Nell'alto calicese era un piatto apprezzato dai braccianti agricoli perché nutriente e ricco di calorie: il periodo di macellazione dei maiali coincideva infatti con l'inizio della lavorazione delle terre. Le carni per produrre il gambetto sono rigorosamente parti del maiale: la pelle della zampa è riempita con un impasto ottenuto usando carne della testa, retina, sangue, con l'aggiunta di sale, pepe, cannella e noce moscata. Per la preparazione dell'impasto, si macina la carne e la si mescola a tutti gli ingredienti. Si lega la pelle della zampa a forma di triangolo con spago per insaccati, lasciando una piccola apertura, poi opportunamente chiusa, da dove viene inserito l'impasto. Il tutto si cuoce in pentola di rame, su fuoco a legna per circa tre ore. A questo punto il gambetto va appeso in cantina per la stagionatura e può essere consumato nei trenta giorni successivi.
L'abbinamento ideale è con il castagnaccio o con le verdure lesse.

LARDO DI COLONNATA
Il Lardo di Colonnata è un salume ad indicazione geografica protetta (IGP) tipico dell'omonimo paesino sulle Alpi Apuane, frazione del comune di Carrara. Il Lardo di Colonnata viene prodotto con lardo di suino stagionato in conche di marmo di Carrara.
In queste zone il marmo viene impiegato anche per conservare gli alimenti. Dal marmo infatti si ricavano le conche in cui vengono riposte, a strati alterni, le falde di lardo suino e la salata con gli aromi: pepe, cannella, chiodi di garofano, coriandolo, salvia, rosmarino. Le conche, strofinate con aglio, hanno temperature ed umidità particolari, per cui il prodotto finito ha caratteristiche uniche. La vasca piena viene coperta, controllata periodicamente e poi riaperta circa 6-10 mesi più tardi a stagionatura ultimata.
Il lardo di Colonnata ha un aspetto umido, è di colore bianco leggermente rosato e presenta una consistenza omogenea e morbida. Ha un sapore delicato e fresco, quasi dolce, finemente sapido se proveniente dalla zona delle natiche, arricchito dalle erbe aromatiche e dalle spezie usate nella lavorazione e dal profumo fragrante.
Il suo utilizzo ideale è al naturale, tagliato a fette sottili. In passato era considerato un semplice condimento o il companatico "povero" per i lavoratori delle cave, dato il grande apporto nutritivo. Lo si può gustare come piatto a sé o anche in abbinamenti inusuali, ad esempio con i crostacei.

LUGÀNEGA
La lugànega, anche detta luganiga o luganica, è il nome tradizionalmente attribuito ad un insaccato fresco di carne di suino, macinata insieme a grasso di suino, insaccata a filza, da consumarsi previa cottura diretta del prodotto oppure nella preparazione di altre pietanze, come ad esempio di risotti. Particolarmente ricca è la luganega di Monza, nel cui impasto si trovano anche formaggio grana, brodo di carne e vino; è l'ingrediente fondamentale per il risotto alla monzese.
È una preparazione tipica dell'Italia del nord i cui natali vengono contesi tra Veneto e Lombardia, anche se l'origine del nome viene solitamente collegata all'uso, comune in epoca romana, di indicare con lucanica un tipo di salsiccia originaria della Lucania (antica regione coincidente grosso modo con l'attuale Basilicata, parte della Campania meridionale (Cilento), e parte della Calabria settentrionale).
Una testimonianza di quest'uso linguistico la ritroviamo in Varrone che, nella sua opera De lingua Latina (V, 111), informa: « ...una salsiccia fatta con l'intestino crasso del maiale è chiamata lucanica, perché i soldati l'hanno imparata a fare dai Lucani »
È però possibile che ad importare la luganega nell'Italia settentrionale siano stati non i soldati romani, ma gli stessi Longobardi i quali discesero la penisola italiana e occuparono anche la Lucania (nella cosiddetta Langobardia Minor), venendo a conoscenza di usi e costumi delle popolazioni locali che poi potrebbero avere portato con sé durante altre migrazioni all'interno del territorio da loro occupato.
Appare invece assai debole l'ipotesi alternativa di una derivazione della parola luganega dal nome di Lugana, località vicina al lago di Garda.
Luganega P.A.T. in Lombardia
La lunghezza va da un minimo di 20 cm fino anche a 18 m, sempre in budello naturale, ripiegata su sé stessa a formare un grappolo. Il diametro è di 4–5 cm.
Nell'impasto macinato con granulometria medio-piccola si aggiungono sale e spezie. Nella variante bergamasca anche vino passato nell'aglio. La legatura viene effettuata a mano, con una catena di salsicce legate solo in testa ed in coda.
Luganeghe riconosciute
Le luganiche dal Ministero riconosciute come P.A.T. sono le seguenti:
Lombardia
Luganega
Luganega di cavallo
Lughenia di passola
Provincia di Trento
Lucanica di capra o pecora
Lucanica mochena di cavallo
Lucanica mochena piccante
Lucanica mochena stagionata
Luganega cauriota affumicata o lucanica cauriota affumicata
Luganega secca della valle di cembra
Nella sua versione classica trentina l'impasto della luganega è composto solo di suino e spezie e viene insaccato in budello di cavallo. Le spezie vengo comunemente denominate dosi e ogni produttore ha la sua ricetta. La dose per ogni kg di carne e lardo macinati a grana media è solitamente così composta: dai 25 ai 27 grammi di sale; da 3 a 2 grammi di pepe nero; circa altrettanto aglio in polvere. In Trentino in molte botteghe di paese (come per esempio le famiglie cooperative) si possono acquistare le dosi per la preparazione della luganega in quanto è tradizione che i contadini (e non solo) se la producano in casa; alcuni anche allevando i maiali in proprio.
Veneto
Luganega da riso
Luganega nostrana padovana
Luganega trevigiana
Luganeghe de tripan
Luganeghe della Val Leogra

MAZZAFEGATO DELLE MARCHE
Il mazzafegato o mezzafegato è un prodotto tipico di Marche, Umbria, e della Valtiberina toscana dove è anche detto sambudello. Si produce con lo stesso impasto della salsiccia o della soppressata, composto prevalentemente da carni di seconda e terza scelta, al quale è aggiunta una proporzione del quindici per cento di fegato di maiale e altre interiora. Il tutto, macinato e condito con sale, pepe, eventualmente aglio, e pinoli nella ricetta umbra, viene insaccato in un budello di piccolo diametro preventivamente lavato e aromatizzato nel vino caldo. Il Mazzafegato dell'area camerte, nelle alte Marche, può contenere scorza di arancio in piccole quantità o, in alternativa, fiore di finocchio. È anche diffusa in Umbria una versione dolce, che prevede l'aggiunta di modeste quantità di scorza d'arancia, zucchero e uva passa. È particolarmente rinomata la produzione della zona di Fano nell'Urbinate, dove viene anche detto salsiccia matta.

MORTADELLA  DI CAMPOTOSTO
La mortadella di Campotosto, popolarmente denominata coglioni di mulo, è un salume tipico prodotto in limitate quantità nel territorio del comune di Campotosto in provincia dell'Aquila e zone limitrofe.
Per un periodo di tempo la città di Amatrice si era appropriata della paternità del salume, in seguito al dominio che nel periodo medioevale aveva avuto sulle zone di Campotosto e paesi vicini. La tradizione della mortadella di Campotosto è molto antica, si ritiene abbia più di 500 anni, per come la conosciamo oggi, solo pochi campotostari continuano la tradizione della mortadella, e solo pochi palati hanno oggi la possibilità di degustarla, causa la rarità del prodotto.
La mortadella è composta solamente da carne di suino, che i pastori e i vari fattori allevavano nel territorio dei Monti della Laga. Ha una forma ovoidale (ed un peso tradizionalmente individuato in 330 gr.); ha una grana fine e all'interno, lungo tutta la sua lunghezza, ha infilata una barretta di lardo che caratterizza il prodotto rispetto agli altri salumi. Quando viene tagliata, la sezione presenta un colore roseo, mentre la barretta centrale di lardo ha un colore bianco. La preparazione dell'insaccato avviene nella seguente maniera:
macinazione molto fine delle carni;
condimento con sale, pepe e vino bianco;
maturazione dell'impasto per almeno 24 ore all'interno di un contenitore di legno (lo scifone) oppure di acciaio. L'impasto viene rimescolato più volte con infuso di chiodi di garofano e cannella.
L'insaccatura avviene manualmente, con cucitura del budello attorno all'impasto. Nella parte inferiore del salame viene apposto un tralcetto che avvolge lo spago durante l'allentamento dovuto alla stagionatura.
Il prodotto può essere consumato dopo almeno tre mesi dalla macinatura.

MORTANDELA DELLA VAL DI NON
La mortandela (da non confondersi con la mortadella) è un salume a pasta macinata di carni di maiale. Non è un insaccato in quanto non si usa il budello nella sua preparazione. Una volta la si faceva macinando (o meglio, pestando nel mortaio, e da qui il suo nome) le parti meno nobili del maiale, quali lingua, fegato e coppa del collo. Oggi si utilizzano solo parti nobili quali coppa, spalla, parte della coscia e pancetta le quali dopo essere state macinate grossolanamente vengono unite in modo da formare delle polpette delle dimensioni di una palla da tennis, ma di forma più schiacciata. La più nota Mortanguela della Val di Non è un Presidio Slow Food, e in questo caso la ricetta tradizionale prevede che l'impasto venga avvolto a mano nell'omento (o reticolo) di suino, prima di essere sottoposta ad affumicatura ed eventuale stagionatura. Da sempre usata fresca nella tipica minestra d'orzo o nei crauti, o stagionata da 15 a 30 giorni per poi essere consumata come salume da antipasto o aperitivo. La si può trovare, preparata in differenti modi, nelle macellerie e salumerie della Val di Non.
La particolarità di questo prodotto sta nelle dosi delle spezie contenute nell'impasto, che non sono prestabilite, ma ogni famiglia ha la sua ricetta che custodisce gelosamente. Ci sono anche altre zone in Trentino in cui si produce un salume chiamato Mortandela. Ad esempio un'antica ricetta di Caldonazzo prevede che si utilizzi il filetto e il fegato di maiale macinati e uniti dal cosiddetto "redesin".
Dal 1999 si tiene a Caldonazzo La Festa della Mortandela.

MORTADELLA DI FEGATO D'ORTA
La mortadella di fegato (o mortadella d'Orta, in piemontese fidighin) è un insaccato riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano in due diverse tipologie: quella cotta, indicata come "48 - mortadella di fegato cotta (mortadella d'orta)", e quella cruda, indicata come "49 - mortadella di fegato cruda (fidighin o fideghina)". Viene prodotta nel nord-est del Piemonte, in particolare attorno al lago d'Orta e nella bassa Valsesia. Gli ingredienti principali (carni suine magre, pancetta e fegato di maiale fino al 50%) sono ridotti ad una pasta a grana piuttosto grossolana. Le carni vengono salate e conciate con spezie, aromi (possono essere presenti pepe, chiodi di garofano, cannella, noce moscata, scorza di limone etc.) e vino rosso (spesso barbera). Il tutto è infine insaccato in budello naturale, legato in modo da formare un salume a ferro di cavallo e infine stagionato per 4-5 mesi. L'affinamento del prodotto era un tempo aiutato dall'uso di tenere stufe e bracieri accesi nei locali di stagionatura. La pezzatura del prodotto finito varia in genere dai due etti al mezzo chilo. Il colore può variare in base alla quantità di fegato utilizzata e tende in genere al rosso mattone chiaro. La consistenza deve risultare morbida, con tendenza a sfaldarsi. Quella descritta è una produzione artigianale che prevede diverse varianti allo schema generale tra le quali la conservazione dell'insaccato sotto grasso (fidighin d’la doja) o la produzione di mortadelle da consumare previa cottura.

MORTADELLA DI PRATO
La Mortadella di Prato è un prodotto tipico della città toscana. È di origine remota ed è un salume "povero" che veniva fatto con le carni scartate dalla produzione della finocchiona o di seconda scelta, che venivano sottoposte ad una forte speziatura con pepe nero macinato e in grani, sale, polpa d'aglio pestato, coriandolo, cannella, chiodi di garofano e aromatizzate con alchermes. La mortadella di Prato è un salume bollito e quindi sicuro contro la toxoplasmosi. La produzione e la diffusione della mortadella di Prato decaddero negli anni cinquanta del XX secolo, tanto che si rischiò persino di perderne la memoria, a causa del maggior benessere che portò a preferire le mortadelle pregiate di altre regioni. Solo nei successivi anni novanta si è assistito a una riscoperta di questo salume che sta vivendo oggi una seconda giovinezza. La zona di produzione attuale comprende i comuni di Prato e Agliana.

MOSTARDELA
Se la prosciutta è un salume pregiato esistono preparazioni decisamente più economiche. Per esempio la mostardella. Un tempo era usanza, in zona, che l'aspirante sposo portasse ai genitori della fanciulla 237 una mostardella. Se, dopo i convenevoli e le indagini di rito da parte del padre della futura sposa, veniva tagliato il salame il matrimonio era permesso. Durante i mesi invernali, quando non si lavorava nei campi, i contadini trovavano lavoro stagionale presso i salumieri che li pagavano con un chilo e mezzo di mostardella e una lira alla settimana. Zona di produzione: Tutto il territorio dell'entroterra genovese Essa utilizza anche parti non idonee a creare il più rinomato salame. Si tratta di un tipico salame povero. Nervetti, piccole porzioni di carne attaccate alle ossa e grasso formano l'impasto di questo salume che viene legato dal vino. Alle carni suine e bovine, in parti generalmente equivalenti, si unisce circa il 30% di grasso suino molle, si condisce con sale, pepe e aromi naturali. Quindi si insacca nel budello naturale. Si presenta come un cacciatorino fresco dal colore rosso scuro. È ottima se mangiata tagliata un po' spessa su calde fette di pane, oppure a dadetti come aggiunta nelle minestre. Si consuma fresco tagliato a fette, spalmato sul pane o scottato in padella.

MUSTARDELA DELLE VALLI VALDESI

Si tratta di un salume povero, come tutti i sanguinacci, nato per recuperare interamente le parti del maiale, anche la testa, la gola, la lingua e le cotenne. Per prepararlo si fanno lessare le varie parti, si disossano e si macinano. Poi si aggiunge un trito fatto di ciccioli e di cipolle e porri appassiti nel grasso e si unisce il sangue. Qualcuno insaporisce l’impasto con un po’ di vino rosso aromatizzato con la cannella. Tutti quanti condiscono con sale, pepe e spezie (noce moscata, cannella, chiodi di garofano e così via) e insaccano nel budello bovino (la torta), legando poi la mustardela (che pressappoco ha una lunghezza di 20, 30 centimetri e un diametro di 6 o 7) e facendola lessare per una ventina di minuti a 90°C (l’acqua non deve raggiungere l’ebollizione, altrimenti il salume si spacca).
Non ci sono documenti sull’origine della mustardela, ma con ogni probabilità questo sanguinaccio è legato alla tradizione occitana. Tant’è vero che i produttori sono certi di aver visto un prodotto identico in Francia e in Spagna, vicino ai Pirenei.
Se si scende in bassa valle la mustardela non c’è più. Giù si fa un altro sanguinaccio, il budìn, preparato con sangue, latte e spezie e simile ai vicini cugini francesi (boudin) e valdostani (caratterizzati dall’uso delle rape).
La mustardela è una specie di salsicciotto color melanzana. Pastosa e morbida in bocca, ha un sapore speziato e vagamente agrodolce. Si mangia semplicemente lessa, accompagnata dalle patate o dalla polenta.

'NDUJA DI CALABRIA
La 'nduja è un salume di consistenza morbida e dal gusto particolarmente piccante.
Il nome 'nduja o più semplicemente duja, che trae origine dal termine latino "inducere", cioè introdurre, è altresì collegato ad altri due particolari tipi di insaccato, sempre costituiti da carne e spezie, prodotti di salumeria dai piemontesi chiamati "salam dla doja" mentre dai francesi "andouille". Questi due prodotti, come quello calabrese, nonostante la comune matrice latina della denominazione, hanno caratteristiche assolutamente diverse. È tipica del Monte Poro: Spilinga (in provincia di Vibo Valentia) è il comune d'elezione, ma l'area di produzione è estesa a molti comuni del vibonese. Imitazioni del prodotto sono ormai reperibili in tutta la regione, a tal punto da fare della 'nduja un alimento tipicamente associato a tutta la Calabria come nelle aree in cui il prodotto è arrivato più di recente (ad esempio nel cosentino o crotonese) vengono aggiunte, a questi ingredienti, le cotiche bollite tagliate a pezzettini molto piccoli. Preparata con le parti grasse del maiale, con l'aggiunta del peperoncino piccante calabrese, è insaccata nel budello cieco (orba), per poi essere affumicata. Storicamente la 'nduja è un piatto povero, nato per utilizzare gli scarti delle carni del maiale: milza, stomaco, intestino, polmoni, esofago, cuore, trachea, parti molli del retrobocca e faringe, porzioni carnee della testa, muscoli pellicciai, linfonodi, grasso di varie regioni, ecc. Il successo commerciale è all'origine delle modificazioni attuali nelle diverse composizioni. Si consuma spalmandola su fette di pane abbrustolito, meglio se ancora calde, o utilizzata come soffritto per la base di un ragù o di un sugo di pomodoro, con aglio; può essere usata per guarnire la pizza, prima degli altri condimenti se cruda, oppure appena sfornata; si può consumare su fettine di formaggi semi-stagionati o può entrare nella composizione di frittate.

PALETTA BIELLESE
La paletta (in piemontese përsucc dla palëtta - lett.: prosciutto della paletta) è un insaccato riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale (P.A.T.) italiano, tipico del Biellese. In particolare la paletta prodotta nel comune di Coggiola (commercializzata anche con il marchio registrato Paletta di Coggiola), è un presidio Slow Food. Il nome del salume deriva dalla conformazione a paletta dell'osso della scapola suina sul quale si appoggia il muscolo della spalla alla base della preparazione. La documentazione storica attesta la presenza della paletta tra le portate servite ad un banchetto quattrocentesco. Questa pietanza proveniva in origine dal comune di Coggiola. Nella tradizionale macellazione dei suini in Valsessera, effettuata da masular che giravano casa per casa, i salumi ottenuti dalla coscia erano riservati ai notabili locali e al clero mentre quelli ottenuti dalla spalla erano destinati anche a persone meno abbienti.
L'insaccato viene preparato utilizzando la parte centrale della spalla del maiale, che viene tagliata in due parti, ed ha un peso in genere compreso tra 0,8 e 1,3 kg. Il prodotto finito è largo sui 13 cm e lungo circa 20 cm. La carne è mantenuta per circa tre settimane in una salamoia insaporita con bacche ed erbe aromatiche e viene quotidianamente smossa per facilitare la penetrazione del sale e dei principi aromatici. Segue l'insaccatura in vescica naturale, la legatura e la stagionatura, che si protrae per un mese. La tradizionale paletta di Coggiola prima della chiusura nella vescica prevede inoltre una abbondante pepatura.
La paletta, tradizionalmente, viene venduta cruda ma consumata cotta, facendola bollire per un paio d'ore in un grosso recipiente colmo d'acqua e mantenendola appesa ad un bastoncino di legno in modo che non tocchi il fondo della pentola. Può quindi essere affettata e servita come secondo, accompagnata ad esempio da patate bollite, polenta o composta di cipolle. Può anche essere consumata fredda come antipasto. In alternativa alla cottura casalinga è possibile trovare in commercio la paletta già cotta intera oppure, in alcuni punti vendita, anche già affettata.
Il salume, in taluni casi, può essere anche consumato crudo o sotto grasso, ma il suo sapore risulta leggermente piccante.

PANCETTA CANUSINA
La pancetta canusina è un salume tipico dell'Appennino Reggiano. È ottenuta da tagli di pancetta fresca di suino pesante padano, tipico di tutta l'area padana e alimentato, tra l'altro, con il siero di produzione del formaggio Parmigiano Reggiano. La pancetta canusina è poi sottoposta ad una lenta ed accurata lavorazione comprendente, tra l'altro, salatura ed aromatizzazione a secco, lavorazione artigianale e cucitura manuale e processo di stagionatura in ambiente naturalmente fresco ed umido e non forzato.
Il prodotto finito si presenta in forma arrotolata o a forma schiacciata, pressata in questo caso tra due legni di faggio naturale.

PANCETTA DI CALABRIA
pancetta di Calabria
Questo tipo di salume viene prodotto nell'intero territorio calabrese. Per la sua produzione si impiegano maiali nati e allevati nella regione e tutto il ciclo produttivo deve essere compiuto in Calabria. La carne proviene dal sottocostato inferiore, tagliato insieme alla cotenna; il peso di partenza oscilla tra i tre e i quattro chilogrammi. La prima operazione da compiere è la salatura, dopo la quale si ha una prima fase di affinamento che dura circa una settimana. La carne viene poi lavata accuratamente e bagnata con aceto di vino. Dopo l'asciugatura, si procede ad una nuova salagione nella parte superficiale, alla quale si abbina anche l'aggiunta di peperoncino dolce finemente tritato. Si fa poi stagionare per circa un mese, in locali aerati con umidità costante.

PANCETTA PIACENTINA
Pancetta piacentina (DOP) è un preparato a base di carne a Denominazione di origine protetta.
Salume tipico del Piacentino, si presenta di forma cilindrica, di peso variabile tra i 4 e gli 8 kg. Al taglio si distinguono chiaramente la parte bianca adiposa e la parte rosso vivo della carne. Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione della Pancetta Piacentina debbono essere situati del territorio delle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, la zona di lavorazione è la sola provincia di Piacenza. Il gusto della pancetta piacentina è molto particolare e la grande percentuale di grasso gli conferisce un odore e sapore dolce e leggermente speziato molto gradevole. La produzione avviene esclusivamente nella zona dei Colli piacentini, non al di sopra dei 1000 m di altitudine.
Procedimento
Salatura: la pancetta, un pezzo unico di forma rettangolare, alto qualche centimetro e con la cotenna viene ricoperto con la giusta quantità di sale e spezie.
Massaggiatura: serve a far penetrare sale e spezie nella carne.
Legatura: Il pezzo rettangolare viene strettamente arrotolato, legato con uno spago robusto, il risultato è un cilindro arrotondato alle estremità con un laccio per appenderlo.
Asciugatura: appesa da 10 a 15 giorni.
Stagionatura: durata di almeno 3 mesi, se maggiore la pancetta migliora la qualità.
Una fiera dedicata alla pancetta si tiene a Ponte dell'Olio (PC) nel mese di giugno.

PANCETTA TARESE VALDARNO

La Tarese valdarno (o Tarese del valdarno) è un prodotto tradizionale italiano della Toscana. Viene ancora preparato dai norcini del Valdarno superiore, tra Arezzo e Firenze, in ridotte quantità e secondo il metodo tradizionale con la tecnica tipica della pancetta tesa, ma è un prodotto a rischio dato che difficilmente si riescono a trovare maiali delle dimensioni e del peso richiesto per questo tipo di prodotto. Per questo e altri motivi, la Tarese è stata introdotta tra i presidi di Slow Food.
La Tarese valdarno è un salume di carne di suino di notevoli dimensioni: 70 x 90 cm, può arrivare a pesare oltre i 20 kg. Le dimensioni caratteristiche sono date dal taglio, che comprende quasi la metà dell’animale, dalla pancia all’arista, coscia e spalla escluse, ma soprattutto dall’uso di maiali adulti e di grosse dimensioni, compresi tra i 180 e i 210 kg.
La Tarese valdarno ha un gusto profondo e delicato. La lenta maturazione conferisce al grasso finezza e morbidezza con note aromatiche eleganti e persistenti, mentre la parte magra dell’arista esprime tutta la sua complessità ed unicità.
A tavola, la Tarese valdarno si dimostra un salume di grande duttilità ed utilizzo: può essere consumata cruda, se ben stagionata, accompagna al classico pane senza sale toscano, ma può anche essere usata in cucina per foderare pasticci, arrotolare involtini, come base per soffritti e all'interno di qualunque ripieno. Si può consumare anche grigliata fresca, in questo caso ben accompagna la zuppa di fagioli Coco nano e zolfino.
Come vino, in abbinamento alla Tarese valdarno si può bere un rosso giovane e profumato, poco tannico, come un Chianti Colli Aretini, oppure un altro rosso biodinamico locale.
La lavorazione si sviluppa in varie fasi. In un primo momento, la parte centrale della carne viene disossata e rifilata. La carne è poi massaggiata con una mistura di pepe, aglio rosso macinato grossolanamente, ginepro e altre spezie, secondo una ricetta tenuta segreta e che varia da produttore a produttore. Il pezzo così aromatizzato viene messo sotto sale grosso. Dopo la salatura, che varia a seconda della grandezza del pezzo e che dura in genere circa tra 10 e i 15 giorni, la Tarese viene ripulita, lavata e nuovamente frizionata con una mistura di spezie agliate, e posta in cella o altro luogo fresco di stagionatura per un periodo variabile dai 60 ai 90 giorni.
La Tarese valdarno viene prodotta dai norcini presenti nell'area del Valdarno in provincia di Arezzo, in particolare nel territorio dei comuni di Montevarchi, San Giovanni Valdarno, Bucine, Terranuova Bracciolini.
La Tarese valdarno viene tutelata normativamente dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sul territorio dall'Associazione produttori Tarese del valdarno e dal Presidio Slow Food.

PASQUALORA
La salsiccia pasqualora è un insaccato di carne di maiale tipico siciliano. È un prodotto inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).
Il nome deriva dall'usanza di riservare alcuni tagli della carne di maiale macellata durante la settimana santa di pasqua per l'insaccamento e il successivo consumo estivo.
La salsiccia pasqualora è riconosciuta come P.A.T siciliana originaria dei comuni di Trapani, Erice, Valderice, Paceco, Calatafimi, Alcamo, Castellammare del Golfo, Buseto Palizzolo, San Vito Lo Capo, Custonaci. La sua preparazione è diffusa però anche in tutto il resto della Sicilia soprattutto nelle zone montane. Esiste anche la salsiccia pasqualora caccamese o di Caccamo in provincia di Palermo la quale è stata inclusa nell'arca del gusto Slow Food.
Questo prodotto era noto già nell'antichità romana citato da Virgilio nelle Georgiche. È una salsiccia di sola carne di maiale tagliata in punta di coltello e macinata con piatto a fori larghi prodotta con l'aggiunta di sale (30 grammi ogni chilo) pepe nero (5 grammi ogni chilo), peperoncino, vino bianco e semi di finocchio selvatico. Una volta prodotta viene fatta stagionare per una o due settimane. Oltre che cotta alla brace viene consumata soprattutto cruda come se fosse un salamino. Si presenta con una forma ad "U" allungata.

PATE' DI LARDO
Zona di produzione: Castelnuovo Magra e Sassello Il paté di lardo deriva dalla lavorazione del lardo di suino, salato e aromatizzato con erbe locali, adatto ad essere consumato spalmato. Viene venduto come una crema da prelevare con un cucchiaio da una ciotola. Dopo una salagione minima di 20 giorni, il lardo viene scotennato, tagliato a pezzetti e macinato fine con una crivella che lo riduce alle dimensioni di uno spaghetto, creando una crema. A questo punto si lavora a mano, cospargendolo di aromi e spezie, erbe particolari che sono un segreto per le due macellerie che lo producono. Si conserva anche per circa un mese ma, se utilizzato entro due o tre giorni dalla sua preparazione, sprigiona tutti i profumi e gli aromi delle erbe spontanee utilizzate per la sua preparazione. Questo salume fresco che va consumato entro un mese: più passa il tempo e più perde l'aroma conferitogli dalle essenze utilizzate. Ottimo spalmato con un filo di miele su fette di pane appena scaldato che sono particolarmente gustose accompagnate con un buon vino bianco aromatico e fresco o meglio ancora con lo sciacchetrà delle Cinque Terre.

PROSCIUTTA CASTELNOVESE
Tutti conoscono il prosciutto, pochi, purtroppo per loro, la prosciutta, che i suoi creatori definiscono la moglie felice del noto prodotto di salumeria. Se il nome nasce dalla fantasia, Prosciutta castelnovese, il prodotto è invece frutto dell'abilità di una famiglia di salumai di Castelnuovo Magra che ha saputo fondere la tradizione ligure con quella toscana creando un salume inconfondibile per il suo profumo delicato e per il sapore gustoso, esaltato dal pane casereccio e dal vino rosso.
Zona di produzione: Castelnuovo Magra
Si scelgono le cosce del maiale calibrate, che servono per i prosciutti di migliore qualità, si disossa, si toglie lo zampino e lo stinco e si mantiene solo la parte più magra.
Si pone quindi in salamoia, in una apposita vasca d'acciaio, sotto peso, girandola quotidianamente. Trascorsa una settimana, il taglio può già essere utilizzato come carne salata. Per ottenere invece la prosciutta bisogna lavare la carne, strofinarla con un trito di spezie e trasferirla in una prima stanza di maturazione, al caldo e in penombra, dove permane per circa due mesi accanto alle erbe spontanee delle vicine montagne. Successivamente si procede alla stuccatura, usando il suo grasso e di nuovo si massaggia con le spezie.
L'operazione si ripete per almeno tre volte, intercalata ad altrettante operazioni dette oleature: entrambe servono a far sì che le spezie penetrino meglio nella prosciutta. Dopo almeno sette mesi, il prodotto rifinito è pronto per essere gustato.
La giusta temperatura, l'utilizzo sapiente di aromi e sapori nonché la bassa esposizione alla luce, contribuiscono alla qualità del prodotto.

PROSCIUTTO AMATRICIANO
prosciutto amatriciano
Il Prosciutto Amatriciano IGP viene prodotto sin dai tempi antichi nella zona di Amatrice, in provincia di Rieti, e in tutto il territorio della conca amatriciana compreso fra le alte valli del Tronto e del Velino. Le fonti storiche riferiscono che già in epoca medievale la zona era rinomata per la sua rilevante produzione di pregiati prosciutti, che erano utilizzati come vere e proprie merci di scambio o addirittura come “moneta” per pagare le tasse ai feudatari.
Zona di Origine: i comuni Amatrice, Accumoli, Antrodoco, Borgo Velino, Cantalice, Castel Sant’Angelo, Cittaducale, Cittareale, Configni, Contigliano, Colli sul Velino, Cottanello, Greccio, Labro, Leonessa, Micigliano, Morro Reatino, Petrella Salto, Poggio Bustone, Posta, Rieti e Rivodutri della provincia di Rieti.
Il primo documento in cui si fa riferimento ad una fiorente “industria” di prodotti suini nella zona di Amatrice, risale al 1811. Il riferimento ai prosciutti provenienti dalla conca amatriciana è entusiastico: “…la loro bontà dipende più che altro dalla buona qualità delle carni e dalla purezza dell’aere”.
Il territorio di origine del Prosciutto Amatriciano è infatti prevalentemente montano, e solo sporadicamente interrotto da poche zone pianeggianti di limitata estensione. Le particolari caratteristiche climatiche di questa area rappresentano un elemento essenziale nel determinare la qualità del prodotto. Qui infatti l’aria è fresca e pulita, ed il clima d’inverno è piuttosto rigido; inoltre il tasso di umidità relativa raramente supera il 70%. Tutti questi aspetti ambientali consentono al Prosciutto Amatriciano, nel corso della sua lunga stagionatura, di acquisire profumi e sapori caratteristici ed inconfondibili.
A riconoscimento della eccezionale qualità del prodotto e della sua lunga storia, nel luglio del 2011 l’Unione Europea ha assegnato al Prosciutto Amatriciano la prestigiosa IGP (Indicazione Geografica Protetta). Questo significativo riconoscimento ha portato a ben 229 il totale dei prodotti del nostro Paese a marchio registrato DOP e IGP, a conferma dell’assoluta eccellenza italiana nel settore agroalimentare. Tutti gli aspetti produttivi che ruotano intorno al Prosciutto Amatriciano IGP sono stabiliti dal Disciplinare di Produzione.
La produzione del Prosciutto Amatriciano IGP è limitata ad una precisa area geografica appartenente alla provincia di Rieti, che interessa 22 Comuni. Il limite altimetrico della produzione di questa specialità IGP è stabilito a non oltre i 1200 metri sul livello del mare.
Tutte le fasi del processo produttivo del Prosciutto Amatriciano IGP sono attentamente monitorate mediante una documentazione che interessa sia i prodotti in entrata (input) che quelli in uscita (output), obbligatoria per tutti i soggetti che fanno parte della filiera. Mediante l’iscrizione in elenchi appositi, che vengono poi gestiti dalla struttura deputata ai controlli, la tracciabilità del prodotto è garantita attraverso tutti i passaggi della filiera: dai macellatori ai sezionatori, sino ai trasformatori, ai confezionatori ed agli affettatori. Tutti questi soggetti sono inoltre tenuti a dichiarare tempestivamente all’organismo di controllo le quantità prodotte, il che garantisce una tutela contro qualsiasi tentativo di contraffazione.
Caratteristiche del Prosciutto Amatriciano
Il Prosciutto Amatriciano IGP immesso al consumo deve presentare caratteristiche chimiche, fisiche, organolettiche e qualitative ben definite.
Questo prodotto IGP è caratterizzato da una tipica forma “a pera” con una rifilatura piuttosto alta. Ciò significa che su un lato del prosciutto vi è una ampia parte scoperta che si estende verticalmente al di sopra della metà dell’altezza della coscia. Questa rifilatura alta è una tecnica tradizionale che contraddistingue da sempre i prosciutti prodotti nella conca amatriciana, e rappresenta un elemento distintivo che differenzia il Prosciutto Amatriciano IGP dagli altri prosciutti stagionati che appaiono infatti meno “scoperti”.
La notevole esposizione del muscolo della coscia, oltre a rappresentare un elemento visivo caratteristico, conferisce anche particolari qualità organolettiche al prodotto. La concia a base di sale viene infatti assorbita più facilmente, e al termine della salagione l’assenza della cotenna facilita l’asciugatura delle carni. Ecco perché il Prosciutto Amatriciano IGP, rispetto agli altri prosciutti, presenta un minore tasso di umidità ed un contenuto proteico superiore per effetto dell’evaporazione.
Il colore delle parti magre (muscolo) è variabile fra il rosso e il rosato, mentre il grasso visibile deve essere di colore bianco brillante senza alcuna sfumatura tendente al giallastro. Una volta tagliata la fetta presenta un’ottima tenuta, e sua la consistenza risulta elastica e compatta. Il profumo del Prosciutto Amatriciano IGP è gradevole, intenso ma dolce al tempo stesso, ed è ben distinguibile l’aroma di stagionatura. Il sapore risulta sapido e gradevole, ma non salato.
Come riconoscere il Prosciutto Amatriciano
Il Prosciutto Amatriciano IGP si può trovare in commercio in tre diverse forme:
- intero con osso, riconoscibile per il collarino distintivo.
- intero disossato, il disosso viene attuato al termine della stagionatura, e il prosciutto viene confezionato sottovuoto in buste per alimenti che rispondono alla vigente normativa. Il prosciutto così immesso in commercio, marchiato a fuoco, deve presentare un peso minimo di 6 chilogrammi.
- affettato, il prodotto deve essere confezionato sottovuoto oppure in atmosfera protettiva (vaschette) nel rispetto della vigente normativa.
Qualunque sia la forma di commercializzazione, su collarini, etichette e confezioni devono essere presenti e ben leggibili, queste indicazioni:
Simbolo grafico comunitario che identifica i prodotti IGP e relative menzioni;
Dicitura “Prosciutto Amatriciano”, cui fa seguito la sigla I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta);
Nome, ragione sociale e indirizzo dell’azienda produttrice;
Logo del prodotto, costituito da una coccarda di forma rotonda dallo sfondo giallo e con due nastrini nella parte inferiore. All’interno della coccarda sono riportate la dicitura “Prosciutto Amatriciano” e la sigla “I.G.P.”, che racchiudono un disegno stilizzato che rappresenta una montagna a tre punte e una ghianda.

PROSCIUTTO COTTO DI SASSELLO
Nell’elencare i salumi liguri non può mancare il prosciutto cotto di Sassello, nell’entroterra di Savona, che ha una tradizione almeno secolare. Le cosce fresche di suino sono salate e lavorate con aromi locali, in particolare un'acqua profumata con sale, zucchero e una miscela di aromi, secondo una ricetta segreta. Successivamente le cosce sono depositate in salamoia (al 13%) e a una temperatura di 2-4°C per almeno quindici giorni. In seguito si disossano, si zangolano, si mettono in cioè una macchina centrifuga che mantiene in moto il muscolo del prosciutto e si introducono in stampi, pronti per essere cotti. La cottura avviene a 70°C fino a raggiungere una temperatura interna della coscia di almeno 68°C. Dopo la cottura la coscia viene raffreddata, tolta dagli stampi, ripulita e confezionata.

PROSCIUTTO CRUDO DI CUNEO
prosciutto crudo di Cuneo
Il prosciutto denominato “Crudo di Cuneo”, interessa un’area di produzione comprendente le province di Cuneo, Asti e parte di quella di Torino (nell’area pedemontana del Pinerolese e del Carmagnolese) per un totale di 54 Comuni.
La zona di produzione della DOP è fin dai tempi più antichi legata alla storia della suinicoltura, della lavorazione e stagionatura del «Crudo di Cuneo», grazie a specifiche caratteristiche pedo-climatiche che la contraddistinguono da altre zone e che conferiscono al prodotto tipiche proprietà qualitative, ben riconoscibili dal consumatore finale.
Il disciplinare di produzione prevede che vengano utilizzate solo cosce suine fresche, provenienti da animali di razze tradizionali nati, allevati e macellati nella zona di produzione, e alimentati in buona parte con cereali locali. Ha un peso compreso tra 7 e 10 kg. Al taglio la fetta si presenta di colore rosso uniforme nella parte magra e di colore bianco in quella grassa.
Caratteristiche organolettiche
- Colore al taglio: rosso uniforme;
- Consistenza della parte magra esterna e di quella interna: morbida, compatta non flaccida;
- Grasso esterno visibile (grasso di copertura) di colore bianco tendente al giallo, compatto non untuoso;
- Aroma e sapore al taglio: fragrante, stagionato, dolce;
- Grasso interno di colore bianco, presente in piccola quantità entro e fra i principali fasci muscolari.
Metodo di produzione
La salagione è eseguita a secco con sale essiccato o parzialmente umidificato. Il sale può contenere piccole quantità di pepe nero spaccato e aceto e può essere miscelato con spezie o estratti di spezie. Segue un riposo di almeno 50 giorni in ambienti tali da garantire un adeguato asciugamento a freddo del prodotto. La successiva fase di toelettatura ha lo scopo di rimuovere le asperità derivanti dall’asciugamento superficiale. Si effettua poi un lavaggio ed un secondo asciugamento. La stagionatura è condotta in ambienti con adeguato ricambio d’aria.

PROSCIUTTO DI CARPEGNA
salume
Prosciutto di Carpegna (DOP) è un preparato a base di carne italiana (Emilia-Romagna, Marche e Lombardia) a Denominazione di origine protetta tipico di Carpegna (PU)
Caratteristiche fisiche
Forma: tondeggiante, tendente al piatto.
Peso: 8–11 kg.
Colore della fetta: rosa salmone.
Presenza di grasso: solido, di colore bianco rosato all'esterno.
Luogo di lavorazione e stagionatura: comune di Carpegna e durano almeno 13 mesi.
Additivi: assenti (né nitriti né nitrati).
Caratteristiche organolettiche
Consistenza: masticazione piacevole per la fragilità delle fibre muscolari in stato di "predigestione" da maturazione enzimatica naturale.
Profumo: delicato e penetrante di carne stagionata.
Gusto: delicato e fragrante.

PROSCIUTTO DI MODENA
Prosciutto di Modena (DOP) è un preparato a base di carne a Denominazione di origine protetta.
La storia della produzione di tale salume è molto antica. Già dai tempi Celti e dei Romani, vi era l'abitudine di conservare la carne sotto sale. Espediente questo utilizzato per conservare il prodotto durante le campagne militari. Il prodotto si può consumare con melone o fichi. Deve essere affettato fine e può essere abbinato a vini non invecchiati, sia rossi che bianchi.

PROSCIUTTO DI NORCIA
Prosciutto di Norcia (IGP) è un prosciutto crudo stagionato. Per rispondere alle caratteristiche IGP deve essere prodotto nella zona che comprende i comuni di Norcia, Cascia, Preci, Poggiodomo, Monteleone di Spoleto a un'altitudine superiore ai 500 metri, in quanto le condizioni climatiche sono parte integrante del ciclo produttivo.

PROSCIUTTO DI PARMA

Il Prosciutto di Parma è il prodotto tipico delle Terre matildiche che si estendono tra la via Emilia e il letto del fiume Enza. È celebre in tutto il mondo e si contraddistingue oltre per le peculiarità nutrizionali anche per la "corona", il marchio che viene impresso a fuoco solo sull'originale.
Storia
La tradizione plurisecolare degli insaccati risulta ordinata, come attività a sé stante, solo alla fine del Medioevo, dall'Arte dei Lardaroli, originatasi per specializzazione dalla più forte Arte dei Beccai. Ma la fama del Prosciutto di Parma, esclusiva specialità dei lardaroli Parmensi, affonda le sue radici in tempi ancor più lontani, all'epoca romana. Parma, allora situata nel cuore di quella che era la Gallia Cisalpina, era rinomata, come ricorda Varrone nel De Re Rustica, per l'attività dei suoi abitanti che allevavano grandi mandrie di porci ed erano particolarmente abili nel produrre prosciutti salati. Lo stesso Catone delinea già nel II secolo a.C., nel suo De Agricoltura la tecnologia di produzione, sostanzialmente identica all'attuale. Risalendo il corso dei secoli, del prosciutto e della tecnica di preparazione parlarono Polibio, Strabone, Orazio, Plauto e Giovenale. John B. Dancer scrive che quando Annibale nel 217 a.C. entrò in Parma e fu accolto come liberatore, gli abitanti per festeggiare gli offrirono delle cosce di maiale conservate sotto sale dentro dei barili di legno che lui apprezzò moltissimo. Riferimenti gastronomici al Prosciutto di Parma si trovano nel Libro de Cocina della seconda metà del Trecento, nel menu delle nozze Colonna del 1589, nel prezioso testo del Nascia, cuoco di Ranuccio Farnese nella seconda metà del XVII secolo. Il Prosciutto fa capolino tra le rime del Tassoni e nei consigli dietetici del medico bolognese Pisanelli. Il Primo Ministro di don Filippo di Borbone, Guglielmo Du Tillot, aveva studiato un piano per la realizzazione, a Parma, di due macelli per suini, per valorizzare ed incrementare la locale industria dei salumi. Lo sviluppo di questa tradizione fu senz'altro influenzato dalla presenza nella zona di Parma di sorgenti saline come ad esempio quelle di Salsomaggiore. La primitiva fase, interamente artigianale, si è progressivamente sviluppata fino ai nostri giorni verso un processo di industrializzazione che, migliorando sensibilmente le condizioni igieniche, ha saputo mantenere intatte le caratteristiche tradizionali del prodotto.
Per proteggere la qualità di questo crudo, gli stessi produttori nel 1963 hanno costituito il Consorzio del prosciutto di Parma, che, d’allora, vigila sulla lavorazione e sulla scelta della materia prima. Inoltre, la Comunità Europea ha conferito nel 1996 al prosciutto italiano più famoso il riconoscimento Denominazione di origine protetta (DOP). Il marchio necessita la registrazione di disciplinari di produzione e il rispetto degli stessi da parte di chiunque intenda avvalersene.
Origine del nome
Nel territorio parmense in dialetto locale il termine "prosciutto" si dice "pàr-sùt", cioè "sembra asciutto", a causa della stagionatura della carne che, oltre ad arricchirsi di una percentuale di sale, perde molta acqua ed in questo modo la carne si asciuga, "pèra sùta", "sembra asciutta". Altra scuola di pensiero vuole che il nome venga dal latino Perex Suctum che significa "prosciugato", tale teoria viene avvalorata rispetto alla precedente dal fatto che il dialetto Parmigiano e con essa la parola "pàr-sùt" è senz'altro più giovane del prodotto "prosciutto". Inoltre quest'ultima teoria è stata adottata ufficialmente dal consorzio Prosciutto di Parma.
Caratteristiche
Prosciutto crudo dal sapore dolce e raffinato, è una pietanza a basso contenuto calorico, ma dal gusto intenso. L'unico conservante ammesso dal disciplinare, tra l'altro in quantità minore rispetto ad altri tipi di prosciutto crudo, è il sale. Al di là del sale e della sugna non vi sono altri additivi (nitrati, nitriti o altro).
Produzione
Il Prosciutto di Parma conta su circa 200 produttori concentrati nella parte est della provincia di Parma, in particolare nella zona di Langhirano. Le fasi di allevamento e ingrasso degli animali nonché il trattamento e la stagionatura successivi sono regolati e garantiti dal consorzio. Vengono usate solo cosce di grande peso (fresche pesano tra i 12 e i 13 kg). Viene anche chiamato prosciutto dolce in quanto viene aggiunta una bassa quantità di sale durante la lavorazione. La salatura è accompagnata da un breve periodo di riposo in celle frigorifere e seguita dal cospargimento di un grasso surrenale pregiato, la sugna, ricavata dal maiale. Questo garantisce una lenta asciugatura, così che il produttore può stagionare la coscia per lungo tempo (minimo 12 mesi), aggiungendo poco sale. A stagionatura completata, il prodotto disossato dovrebbe uscire sul mercato con un peso compreso tra i 7 kg e gli 8 kg, mentre il prodotto con osso dovrebbe pesare tra i 9,5 kg e i 10,5 kg. I Prosciutti di Parma con un peso che si discosta molto da quelli appena menzionati, hanno un valore commerciale inferiore.
Zona di produzione e zona di allevamento
La zona tipica di produzione del prosciutto di Parma, cioè l'area ammessa per l'intera lavorazione del prosciutto, viene indicata dal disciplinare, così come dalla legge 13/07/1990 n.26 e prima ancora dalla la legge 4/7/1970 n.506, è quell'area della provincia di Parma posta a sud della via Emilia, ad almeno 5 km da essa, al di sotto dei 900 metri di altitudine e delimitata a est dal fiume Enza e a ovest dal torrente Stirone. Il grosso della produzione comunque si concentra attorno al paese di Langhirano, la cui economia ruota attorno all'indotto dei salumifici.
I maiali invece possono provenire da allevamenti italiani situati in queste regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise.
Ingredienti
Nella produzione del prosciutto di Parma viene usato solo il sale e sono esplicitamente vietate sostanze chimiche, conservanti o altri additivi, inoltre non è permessa né l'affumicatura né il congelamento.
Utilizzo
Il Prosciutto, in cucina, si usa abbinato a sapori diversi: con il melone come antipasto, con l'arrosto di maiale, la celebre rosa di Parma, ed è l'ingrediente principale dei classici tortellini. Si accompagna con numerosi vini locali, preferibilmente bianchi (come la Malvasia dei Colli di Parma, il prosecco, ecc.)

PROSCIUTTO DI S. DANIELE
Prosciutto di San Daniele (DOP) è un prosciutto crudo stagionato riconosciuto prodotto a Denominazione di Origine dal 1970 dallo Stato italiano con la legge n. 507 e dal 1996 dall'Unione Europea come prodotto a Denominazione di Origine Protetta - DOP: perché le sue caratteristiche uniche e irripetibili sono dovute al particolare ambiente geografico, che include fattori naturali e umani. Il Prosciutto di San Daniele viene prodotto da 31 aziende nel comune di San Daniele del Friuli, in provincia di Udine secondo modalità rigorosamente definite dal relativo Disciplinare di produzione che ha valore di legge. Solo i prosciutti che rispettano tutti i parametri sono certificati e su di essi viene impresso a fuoco il marchio del Consorzio, che comprende il codice identificativo del produttore e costituisce elemento di certificazione e garanzia.
Gli unici ingredienti del prosciutto di San Daniele sono cosce di maiali italiani, sale marino e il particolare microclima di San Daniele. Nessun tipo di conservante viene utilizzato. I suini sono nati, allevati e macellati in Italia, in particolare in dieci regioni del centro - nord (Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Marche, Umbria, Toscana, Lazio, Abruzzo). Tutte le fasi di trasformazione e lavorazione del prodotto (dalla coscia fresca al prosciutto crudo stagionato) devono avvenire all'interno dei confini del Comune di San Daniele del Friuli.
Il ciclo produttivo dura almeno 13 mesi. Le cosce che arrivano a San Daniele del Friuli devono avere un peso non inferiore a 12 kg e conservare lo «zampino», che oltre a rappresentare un omaggio alla tradizione, permette di mantenere l’integrità biologica della coscia e agevola il drenaggio dell'umidità.
Le fasi di lavorazione, che si svolgono tutte all’interno dei 31 prosciuttifici aderenti al Consorzio, sono nell’ordine:
il raffreddamento e la rifilatura delle cosce che dopo aver passato il controllo preliminare di conformità vengono rifilate per favorire la perdita di umidità e conferirgli la tradizionale forma; la salatura, dopo le prime 24-48 ore, secondo la tradizione, le cosce vengono coperte di sale e così rimangono per un numero di giorni pari ai chilogrammi del loro peso; la pressatura, è una fase tipica ed esclusiva del San Daniele che permette di far penetrare al meglio il sale e dare alla carne una consistenza migliore; il riposo, le cosce salate rimangono a riposo in apposite sale fino al quarto mese dall’inizio della lavorazione; il lavaggio e l’asciugamento; la sugnatura, che prevede l’applicazione di un impasto, la sugna, a base di farina di riso e grasso sulla porzione non coperta dalla cotenna per mantenerla morbida; la stagionatura che deve prolungarsi fino al compimento del tredicesimo mese dall'inizio della lavorazione; dopo questo periodo minimo l'INEQ (Istituto Nord Est Qualità), autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, esegue i controlli che verificano la rispondenza dei prosciutti ai requisiti prescritti dal Disciplinare. Solo i prosciutti che rispettano tutti i parametri sono certificati e su di essi viene impresso a fuoco il marchio del Consorzio, che comprende il codice identificativo del produttore e costituisce elemento di certificazione e garanzia.
Lungo l’intera lavorazione vengono effettuati i tradizionali controlli periodici, tra cui la puntatura con l’osso di cavallo e la battitura, che è la percussione della cotenna, che monitorano l’evoluzione del prodotto.
La parte magra contiene in media: 2,3% sodio, 58-61% acqua, 29% proteine e 3-4% grassi.
Colore uniforme rosso-rosato del magro; profilo e striature di grasso bianco candido; profumo intenso; gusto dolce e delicato con retrogusto più marcato; fette delicate e vaporose; morbidità al taglio.
Si accompagna preferibilmente con un vino bianco secco, non troppo aromatico.
Nel 2012 sono stati prodotti 2.646.000 prosciutti per un fatturato totale di 345 milioni di euro con un incremento di 2,5 punti rispetto al 2011.

PROSCIUTTO DI SAINT MARCEL
Il Prosciutto di Saint Marcel è un prosciutto crudo preparato nel comune di Saint-Marcel in Valle d'Aosta.
Tramite la delibera del consiglio comunale n. 45/2012 del 14 dicembre 2012 è stata approvata la scheda identificativa del "Prosciutto di Saint-Marcel" e la sua iscrizione nel registro De.Co.
È un prodotto di salumeria ottenuto dalla lavorazione della coscia intera di maiali nati e allevati in Italia. A Saint-Marcel vengono effettuate le operazioni di sugnatura, parte della stagionatura, disossatura, confezionamento e ricondizionamento. La sua forma è all’incirca quella della coscia fresca di maiale, sia con osso che disossato. Può essere rivestito da uno strato di grasso suino (sugna con erbe aromatiche) applicato durante la sua lavorazione.

PROSCIUTTO DI SAURIS
Il «Prosciutto di Sauris» I.G.P. è ottenuto esclusivamente nel comune di Sauris, nella regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Il territorio del Comune di Sauris è posto nella parte occidentale delle Alpi Carniche, a un’altezza superiore ai 900 m. sul livello del mare ed è costituito da una tipica conca circondata da montagne alte oltre i 2.000 m. L’ambiente nel quale viene ottenuto caratterizza fortemente il Prosciutto di Sauris I.G.P. Rispetto al territorio della Carnia a cui appartiene, Sauris presenta caratteristiche climatiche peculiari. Nella zona, infatti, ci sono precipitazioni piovose inferiori ai 1.600 mm. che invece costituiscono le medie della Carnia. La conformazione orografica e l’esposizione consentono una bassa variabilità climatica con rare giornate di freddo intenso durante l’inverno, in cui le temperature medie sono comprese fra -2°C e +4°C, e ancor più rare
giornate estive di caldo afoso, in cui le temperature medie sono comprese fra 12°C e 18°C. La ventilazione è costante tutto l’anno. La parziale disidratazione dei prosciutti durante la stagionatura è determinata dalle brezze che spirano verso monte di giorno e nella direzione contraria durante la notte, influenzate dal bacino artificiale presente nella valle e realizzato nel 1948. Le condizioni igroscopiche create dal microclima tipico della valle di Sauris, favoriscono lo sviluppo sulla superficie del prodotto, di muffe che assicurano il raggiungimento delle caratteristiche organolettiche tipiche del Prosciutto di Sauris I.G.P. quali il sapore e l’odore. La vallata di Sauris è quasi interamente ricoperta da boschi di conifere e di latifoglie; fra queste assume particolare importanza la presenza del faggio fra le specie autoctone, che grazie al basso contenuto di resine e alla larga diffusione è utilizzato da sempre per l’affumicatura.
Ai fattori naturali, si somma l’intervento dell’uomo per la produzione del Prosciutto di Sauris I.G.P., che influenza, in modo determinante, la sua qualità e la sua reputazione. La tecnica di produzione del Prosciutto di Sauris I.G.P., infatti, è legata alla tradizione delle popolazioni germaniche di lavorare e conservare, attraverso l’affumicatura, la carne e le cosce suine. In questa vallata, si insediarono, nel secolo XIII, genti provenienti dalla Carinzia e dal Tirolo che hanno saputo usare e mantenere le usanze, durante i secoli.
Emerge nell’ambito del processo di produzione del Prosciutto di Sauris I.G.P. il metodo dell’affumicatura che veniva e viene tutt’oggi effettuata con le stesse modalità, proprio per assicurare al prodotto le caratteristiche inconfondibili per le quali è conosciuto e apprezzato anche al di fuori dei confini regionali e nazionali.
A testimonianza dell’importanza del fattore umano, nell’ottenimento del Prosciutto di Sauris I.G.P., si ricorda come tale prodotto sia il risultato dell’incontro di due popolazioni e, quindi, di due culture e di due tradizioni agroalimentari. Quella friulana che utilizza il sale per la produzione di prosciutto; quella germanica che utilizza l’affumicatura. La produzione fu dapprima familiare e la vendita del Prosciutto di Sauris I.G.P. avveniva nella fiera di San Martino dell’11 novembre, dove veniva portato a piedi e barattato. A partire dalla fine della Seconda guerra Mondiale, compaiono laboratori artigianali prima e industriali dopo, che continuano l’attività gettando le basi del definitivo successo di questo prodotto che è continuato fino a oggi.
Gli stabilimenti che possono eseguire le elaborazioni previste dal presente disciplinare sono ubicati ad un’altitudine non inferiore a 1.000 metri s.l.m., ove esiste un equilibrato microclima dovuto alla conformazione orografica a catino della valle e all’orientamento lungo la direttrice est-ovest che favorisce, con una ventilazione costante nel tempo ed una giusta esposizione, la presenza di una bassa variabilità climatica durante l’anno. Tale microclima, reso possibile dalla presenza di un vasto bacino artificiale situato a 900 metri s.l.m., permette la parziale disidratazione del Prosciutto di Sauris I.G.P. e lo sviluppo di muffe superficiali indispensabili alla maturazione e alla caratterizzazione organolettica del prodotto.
Nel territorio del comune di Sauris nel corso dei secoli si è sviluppata una tecnica, diventata vera e propria arte, che unisce l’uso prettamente nordico di affumicare le carni al metodo decisamente latino della conservazione delle carni mediante il sale. Tecnica che ha permesso al nome di Sauris di essere conosciuto al di fuori dei confini regionali proprio per il buon prosciutto affumicato che vi si produce.
Caratteristiche
Il Prosciutto di Sauris è un prosciutto crudo salato, affumicato e stagionato per almeno dieci mesi. A fine stagionatura il prosciutto si presenta intero con osso senza lo zampino. La cotenna ha colore uniforme noce-dorato con sfumature arancioni, mentre la parte magra visibile ha colore rosso scuso. La consistenza è soda ed elastica; il grasso è di colore bianco candido o bianco-rosato. Il Prosciutto di Sauris è riconoscibile anche grazie al suo particolare profumo delicato e al gusto dolce con una garbata nota di affumicato.

PROSCIUTTO TOSCANO
Il Prosciutto Toscano DOP è un tipo di prosciutto a denominazione di origine protetta prodotto in Toscana.
La produzione ha inizio con la separazione delle cosce dal resto del corpo dell'animale e la classica rifilatura ad arco, alla quale segue poi la speziatura con sale, pepe, aromi naturali e spezie. Nello stesso momento tutti i prosciutti vengono dotati di un sigillo non rimovibile che indichi la data in cui ha inizio il processo di stagionatura, che deve durare almeno 12 mesi, al termine del quale è possibile apporre sul prodotto il tipico marchio che comprovi l'adesione agli standard obbligatori per potersi fregiare del marchio DOP.
Alla fine del processo di lavorazione il prodotto si presenta piuttosto rotondeggiante, con forma ad arco all'estremità superiore, e un peso che oscilla tra 7,5 e 10 kg; internamente la carne varia tra diverse tonalità di rosso, ed è particolarmente bassa la quantità di grasso rilevabile, il che dona al prodotto un gusto delicato e complesso allo stesso tempo, frutto anche della particolare tecnica di stagionatura utilizzata.
Il Prosciutto Toscano DOP si presenta normalmente con la porzione di superficie libera dalla cotenna interamente pepata.

PROSCIUTTO VENETO
Prosciutto Veneto Berico-Euganeo (DOP) è un preparato a base di carne a Denominazione di origine protetta il cui disciplinare identifica la zona di produzione nei comuni di Montagnana, Saletto, Ospedaletto Euganeo, Este, Pressana, Roveredo di Guà, Noventa Vicentina, Pojana Maggiore, Orgiano, Alonte, Sossano, Lonigo, Sarego, Villaga, Barbarano Vicentino.
Il prosciutto viene prodotto utilizzando la coscia del maiale sottoposta a salagione e stagionatura. Nella produzione del prosciutto veneto berico-euganeo si utilizzano cosce di maiali della varietà Suino Pesante Padano dell'età di almeno 9 mesi affinché abbiano superato i 150 chili di peso corporeo. Al termine della lavorazione, che dura circa un anno, il prosciutto pesa fra gli 8 e gli 11 chili.
Il disciplinare descrive le caratteristiche del prosciutto veneto: "colore rosa tendente al rosso nella parte magra, bianco puro in quella grassa, dall’aroma delicato, dolce e fragrante". Impresso a fuoco il marchio del consorzio per la tutela, il leone alato di S. Marco.
Il prosciutto dolce Val Liona, ovvero un prosciutto veneto esclusivamente lavorato nei comuni vicentini, è in attesa del riconoscimento del marchio IGP.
La Val Liona, che da Sossano si protende fra i Colli Berici verso Montecchio Maggiore, era ricchissima di vegetazione e l'abbondanza di ghiande e castagne rese possibile allevare i suini fin dal VI - VII secolo: gli animali erano lasciati pascolare liberamente, senza spesa per il contadino, si riproducevano con facilità e giungevano ad una taglia notevole in pochi mesi. Dal maiale si potevano ricavare vari insaccati, da conservare e utilizzare in ogni momento dell'anno.
In Veneto la tradizione di lavorare la carne per conservarla era persino precedente: sin dal III secolo a.C. i veneti commerciavano con i romani vendendo carni salate o affumicate o salami e salsicce speziate prodotti con carne di vari animali, fra cui suini.
L'allevamento del maiale (o Mas'cio in lingua veneta) e la sua uccisione al momento opportuno rappresentano una delle tradizioni contadine più antiche e sentite in tutto il veneto. A testimonianza di questo il portale della Basilica di S. Marco di Venezia, risalente alla metà del XIII secolo, è decorato da un bassorilievo nel quale il mese di dicembre è rappresentato della macellazione del maiale da parte del mazzìn. Tradizionalmente il maiale era sacrificato dopo la festa di san Tommaso (21 dicembre).
Nel XVII secolo era già in uso una tecnica di lavorazione paragonabile a quella odierna.
Dall'inizio degli anni settanta a Montagnana è ubicata la sede del Consorzio del Prosciutto Veneto Berico Euganeo nato nell'intento di tutelare il marchio "prosciutto veneto".
Il primo importante riconoscimento si ebbe quando, attraverso la Legge 4/11/1981 N° 628 "Tutela della denominazione d’origine del prosciutto veneto-berico-euganeo", fu delimitata con precisione la zona di produzione
Il riconoscimento della denominazione DOP da parte dell'Unione Europea risale al 1996.
Tecniche di lavorazione
• 1º giorno
All’arrivo le cosce vengono scelte rigorosamente, selezionate per peso, sottoposte all’esame sanitario e, in presenza dell’ispettore del Consorzio, munite del sigillo metallico che garantira' origine e data certa di salatura. Questa fase è la prima e più importante ai fini dell’acquisizione da parte del prosciutto di quella dolcezza che è una delle sue peculiari caratteristiche. È qui che la maestria di chi “accarezza” le cosce diventa l’arte di fare il Prosciutto Veneto.
• 10º - 15º giorno
L’abilita' del salatore non consiste tanto nel distribuire la quantità di sale sul prosciutto, quanto invece nel levarlo dal sale al momento giusto (tra il 10º e il 15º giorno appunto), in rapporto al peso delle cosce. A questo punto il prosciutto viene leggermente pressato e posto a riposo a temperatura e umidita' controllate per 60 giorni, tempo in cui comincia il processo d’asciugamento e il sale penetra uniformemente in tutta la massa muscolare.
• 75º giorno
Il prosciutto viene lavato, rifinito, e fatto asciugare al naturale.
• 90º giorno
Inizia ora la lunga fase della maturazione naturale.
• 160º giorno
Viene eseguito un primo controllo di qualità, mediante la puntatura con un ago-sonda che permette di valutare il progredire della maturazione. L’applicazione dello “stucco”, un semplice naturale impasto di farina di cereali e grasso suino, protegge il prosciutto e ne mantiene intatta la morbidezza per tutto il successivo periodo di stagionatura.
• 300º giorno
Raggiunto il minimo di stagionatura previsto dalla Legge, l’ispettore del Consorzio effettua un ulteriore controllo di qualità. Il prosciutto giudicato idoneo viene marchiato a fuoco con il Leone di S. Marco e la scritta VENETO, simboli che garantiscono le caratteristiche tutelate dalla Legge. Munito del marchio dell’azienda produttrice, il Prosciutto Veneto e' distribuito per la commercializzazione. Il prolungamento di stagionatura ne esalta ed accresce il profumo, il sapore e la fragranza, frutti del lungo e paziente lavoro dei Maestri Prosciuttai Veneti.

RIGATINO TOSCANO
Il rigatino toscano è una pancetta prodotta in Toscana, facente parte dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Il rigatino toscano, a differenza della pancetta, si ricava dalla parte superiore del maiale, fra il lardo (che è la schiena del maiale) e la pancetta vera e propria (che è la parte inferiore del maiale, la pancia appunto). Il rigatino viene preparato dividendo la carne dalla cotenna, ma lasciando la cotenna attaccata ad una estremità per poter poi ricoprire il rigatino stesso, che viene condito con sale, pepe, rosmarino, aglio, buccia di limone e arancia. Il tutto viene arrotolato, ricoperto dalla cotenna e legato strettamente con lo spago. Poi viene messo a stagionare per 40-45 giorni in luogo fresco e asciutto. A questo punto è pronto per essere affettato e mangiato.

SALADA DEL TRENTINO
La carne salada è un salume caratteristico della provincia di Trento, generalmente preparato con tagli di manzo, lingua di vitellone o coscia di cavallo.
La Carne Salada del Trentino si ottiene con la fesa (ma occasionalmente anche con sottofese e magatelli) di bovino adulto. I tagli, ripuliti da tutte le parti grasse e tendinose, vengono cosparsi con una miscela di sale e altri ingredienti e disposti in un contenitore dove rimarranno dalle 2 alle 5 settimane a seconda delle dimensioni dei singoli pezzi. Durante tutto il periodo di maturazione la Carne Salada del Trentino va conservata in locali bui ad una temperatura massima di 7 °C e deve essere massaggiata almeno ogni 2/3 giorni. È importante sottolineare che per una produzione di qualità non deve assolutamente essere utilizzata l'acqua nel processo produttivo.
Una variante poco conosciuta ma molto gustosa della Carne Salada del Trentino è la Carne Fumada della Val di Cembra. Questo pregiato salume, che si ottiene affumicando e stagionando per circa 4/8 settimane la Carne Salada, si presta ottimamente per la preparazione di profumati antipasti come pure per semplici merende.
In origine la Carne Salada del Trentino veniva utilizzata per realizzare dei semplici e gustosi bolliti. Nei secoli l'affinamento delle tecniche produttive ha permesso un utilizzo molto più vario ed oggi possiamo trovare piatti tradizionali con la Carne Salada cotta saltata in padella oppure cruda come carpaccio o come una semplice tartare.
Storia
La Carne Salada del Trentino è un prodotto di cui possiamo trovare traccia in Trentino già in un manoscritto quattrocentesco dal titolo Libro de cosina composto et ordinato per lo hegregio homo Martino de Rubei de la Valle de Bregna, coquo dell’illustre Signore Johanne Jacobo Trivulzio. Altra illustre documentatrice della cucina del Trentino è stata la baronessa Giulia Turco (1848-1912) che nel suo libro l'Antico Focolare riporta al capitolo decimoquarto come preparare una buona carne salada. Nel '900 i coniugi Anna Lucia e Carlo Alberto Bauer nel loro manuale dal titolo La nostra cucina - piatti vecchi e nuovi alla trentina fra la polenta e sguazet e il tonco de pontesel inseriscono la ricetta della Carne Salada come elemento fondamentale della cucina trentina. La diffusione della conservazione della carne di bovino si deve probabilmente all'abbondanza di tale materia prima come riporta Michel'Angelo Mariani nel 1671 nel suo libro Trento con il Sacro Concilio et Altri Notabili a pagina 21 raccontando che li carnaggi in Trento s'hanno preziosi e a buon prezzo tutto l'anno. La Stiria e Pusteria fornisce i Buoi, che li vedono venir a caterve di quando in quando. Questa abbondanza è facilmente comprensibile leggendo Casa e cucina trentina in otto secoli di principato (Dossi Editore) dello studioso Aldo Bertoluzza dove troviamo riportata una norma la quale imponeva che qualunque forestiero condurrà bestie da carne da qualunque luogo....se vorrà passare fuori del distretto di Trento sii obbligato ammazzare la quinta parte di dette bestie... e venderle al macello di Trento.

SALAM DLA DOJA
Il Salam dla doja è un insaccato tipico di Novara, Biella e Vercelli. Prende il nome dal contenitore dove viene lasciato a maturare, la doja (in latino dolium), che è un boccale di terracotta.
Le carni suine di prima scelta (culatello, spalla, coscia e coppa) sono macinate a grana media insieme a grasso di pancetta e condite con sale, pepe, aglio e vino rosso. Il salame, insaccato in budello di manzo, viene fatto maturare nella doja, immerso nello strutto fuso, che gli consente di restare morbido a lungo. Alla maturazione segue la stagionatura della durata di circa un anno.
Il Salam dla doja è un Prodotto agroalimentare tradizionale del Piemonte, inserito nell'elenco con deliberazione della Giunta Regionale mischiando italiano e piemontese con grafia errata.

SALAMA DA SUGO
La salama da sugo è un insaccato di carni di maiale tipico della provincia di Ferrara.
Viene preparata macinando varie parti del maiale quali coppa del collo, guanciale, polpa magra derivante dalla rifilatura della coscia, destinata alla produzione del prosciutto e dalla spalla, si aggiunge una piccola percentuale di lingua e fegato, alle quali, nella ricetta contemporanea, vengono aggiunte sale, pepe, noce moscata. Preparazioni casalinghe del prodotto a volte prevedono, anche se raramente, l'aggiunta anche di altre spezie come chiodi di garofano e cannella, come richiamo alla prima ricetta della salamina che si conosce, quella risalente al Settecento di Don Domenico Chendi parroco di Tresigallo.
La concia dell'impasto termina con l'aggiunta abbondante di vino rosso robusto, non amabile e non pastorizzato e senza solfiti aggiunti che, oltre ad aromatizzare l'insaccato, caratterizza in modo determinante la stagionatura, orientando la formazione del tipico sapore che presenta la salama da sugo. L'impasto così ottenuto viene insaccato nella vescica del maiale stesso, in una caratteristica forma rotondeggiante. Il tipo di legatura permette la formazione di otto o sedici spicchi a seconda della grandezza; dopo qualche giorno d'iniziale essiccatura, la stagionatura continua per circa un anno in adeguati ambienti con un clima da cantina.
Il procedimento per la cottura della salamina è semplice. La prima operazione è diagnostica, si tratta della cosiddetta piombatura ovvero dell'immersione della salama in acqua osservando se affonda o se tende a galleggiare. Se affonda nell'acqua (come un piombo), significa che la salama non presenta difetti insorti durante la stagionatura; se invece tende a galleggiare significa che all'interno, durante la maturazione, si sono formate piccole sacche d'aria che potrebbero avere irrancidito il prodotto.
Il procedimento di cottura procede con l'immersione della salamina in acqua tiepida per una notte. Si lava poi sotto l'acqua corrente, aiutandosi anche con le mani, così da togliere lo strato di muffa, ormai ammollito, dovuto alla stagionatura. Per la cottura si continua con l'immersione della salamina in una pentola tipo asparagiera (recipiente alto e stretto che richiede nel complesso meno acqua di altri recipienti a base più larga), inserendola direttamente in acqua. Occorre adottare la precauzione di tenerla sospesa legandola ad un cucchiaio collocato di traverso sopra il bordo per evitare che tocchi le pareti interne o il fondo della pentola: se la salamina è ben fatta, lo spago di legatura riesce a reggere il peso della salama durante tutta la lunga cottura. Questo procedimento, facendo fuoriuscire un po' del grasso di preparazione, rende più gradevole l'intenso gusto. L'importante è che non venga forata prima della cottura, come si fa invece per il cotechino.
Il tempo di cottura può essere variabile dalle quattro alle otto ore a fuoco lento – evitando accuratamente le cotture a pressione dove le elevate temperature che si producono tendono a modificare in modo anomalo la consistenza dell'impasto. La durata della cottura si determina tenendo conto principalmente di due fattori:
la percentuale di grasso presente nell'impasto originario;
il tempo di stagionatura.
In presenza di elevata percentuale di materia grassa, la cottura – intesa come gradevole consistenza delle carni al palato – si raggiunge in un minor tempo; com'è noto infatti il grasso contiene meno parte acquosa del taglio magro, quindi durante la stagionatura, essendo minore la disidratazione (ed il conseguente calo di peso) rispetto ad una salama di alta qualità prodotta con carni più magre, questa rimane più morbida e la cottura si raggiunge più velocemente.
Per quanto riguarda l'altro fattore relativo al tempo di stagionatura: più questa è stata lunga, maggiore dovrà essere la durata della cottura; tale accorgimento serve a compensare la maggiore perdita di acqua che avviene sia nella salama prodotta con carni più magre, sia in quella confezionata con carni grasse. La lunga permanenza nei locali di stagionatura, infatti, porta la salama ad avere una minore morbidezza. La lunga fase di cottura restituisce così alla salama la sua gradevole consistenza.
Certamente la consumazione al cucchiaio può avvenire solo per salamine da sugo con una relativamente alta parte grassa ed una stagionatura non oltre i 6-8 mesi, limite entro il quale anche una buona salama relativamente magra può essere servita al cucchiaio dopo adeguata lunga cottura. Le salamine più magre tuttavia e con tempo maggiore di stagionatura – che conferisce loro una fragranza maggiore – si prestano meglio per essere servite a spicchi o a fette dopo avere tagliato in due la salamina.
In entrambe le modalità di questa lunga cottura si deve porre particolare attenzione a mantenere la salama sospesa, ma sempre sommersa in acqua. È frequente riscontrare che, durante la cottura, la salama tende a risalire ed a capovolgersi per la formazione di vapore al suo interno, questo fenomeno tuttavia non compromette la corretta cottura del salume. Ciò che invece è fondamentale curare è il rabbocco costante della pentola con acqua calda quando necessario.
Terminata la cottura, la salama viene consumata calda, rimuovendo la parte superiore ed estraendo la carne con un cucchiaio se vi sono le condizioni per farlo. Diversamente si toglie interamente la pelle e la si colloca, ancora intera, su un tagliere, meglio se a conca, per raccogliere più agevolmente il sugo che esce durante il taglio a fette o a spicchi che viene eseguito per preparare la portata. Viene solitamente accompagnata da abbondante purè di patate, che ha la doppia funzione di ottimo contorno e componente necessario alla diluizione del sapore intenso della salama. Un cucchiaio del sugo rosso che esce nel taglio può essere infine recuperato e versato sul purè dove è stata collocata la fetta di salamina.
Altri contorni consigliati, ma poco diffusi, sono la crema fritta oppure un cremoso purè di zucca. Per il suo contenuto calorico la salamina potrebbe essere consumata come portata unica, in quanto la seppur ridotta quantità, come normalmente si serve, è comunque sufficiente per un pasto completo, tuttavia la tradizione vuole che essa sia preceduta da un piatto di cappelletti in brodo e seguita da una fetta di pampepato o da una torta tenerina o, ancora, da una torta con le tagliatelle o una zuppa inglese.
All'interno della Provincia di Ferrara, i paesi di Portomaggiore, Poggio Renatico, Madonna Boschi, Vigarano Mainarda e Buonacompra si "contendono" il primato in fatto di qualità di questo insaccato vantando ricette che differiscono tra loro per alcuni particolari. La "rivalità", nel corso degli anni ha portato questi paesi a cercare di aumentare la visibilità del proprio prodotto portandolo anche alla ribalta nazionale.
La salama da sugo è stata inclusa nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali e una menzione autonoma è data alla salama da sugo di Madonna dei Boschi.
Il 24 ottobre 2014 la «Salama da Sugo» è stata iscritta nel registro delle indicazioni geografiche protette (IGP).

SALAME AQUILA
Il salame Aquila è un insaccato ottenuto dalla macinazione di tagli di carne magra e grassa di maiale, originario dell'Aquila, capoluogo abruzzese da cui esso prende il nome.
La carne viene tritata e amalgamata con pepe, sale e vino bianco, quindi viene insaccata in budelli naturali o artificiali, legati infine con spago alle due estremità.
In seguito viene sottoposta a pressione, per farne fuoriuscire l'aria all'interno che potrebbe rovinare la carne. La forma finale ne risulta appiattita e irregolare.
Spesso, nelle preparazioni artigianali, vengono sconciati i prosciutti per utilizzarne la carne nell'impasto del salame.

SALAME CASALIN MANTOVANO
Il Salam casalin è un insaccato considerato prodotto tradizionale dalla regione Lombardia e dal Ministero. Secondo il disciplinare ha come area di produzione la provincia di Mantova e può essere preparato solo «...con l'utilizzo di suini allevati in azienda e trasformati direttamente nella stessa nel rispetto della tradizione rurale».
Alla carne di suino si aggiunge grasso, anch'esso di suino "maturo" aromatizzato con sale, pepe, aglio fresco (pelato e pestato), vino o grappa, chiodi di garofano, noce moscata, nitrato di potassio come conservante.
Il salame, insaccato in budello naturale ha un peso tra gli 800g e i 3 kg e un diametro da 4 a 10 cm, ha forma cilindrica regolare con un rigonfiamento nella parte opposta alla legatura.
La stagionatura minima è di due mesi per le pezzature piccole, mentre per le pezzature grandi deve essere di 4 mesi.
Ha anche il riconoscimento tra i Presidii di Slow Food con la denominazione "Salame casalin dei contadini mantovani".

SALAME CON I LARDELLI
Il Salame con i lardelli viene prodotto nell'entroterra di Lavagna e di Chiavari (val d'Aveto e val Graveglia). Salame di carne suina di forma cilindrica allungata, affusolata alle estremità. Ha diametro da 5 a 8 centimetri circa e lunghezza variabile da 20 a 45. Il colore della pasta va dal rosso carne fino al violaceo, in funzione della stagionatura. La percentuale in grasso è 8% circa e la grana dell'impasto è grossa.
La carne viene dapprima tagliata a strisce con il coltello, poi macinata con il tritacarne, utilizzando il crivello n. 14. Nel frattempo si taglia a dadetti la parte grassa (i lardetti o lardelli), sempre utilizzando il coltello.
Si impasta il tutto con spezie varie (pepe nero, noce moscata, cannella, chiodi di garofano), quindi la pasta viene insaccata in budelli (bèli) di maiale. Il salame viene legato a mano con spago grosso e fatto stagionare appeso a travi di legno, in luogo fresco e asciutto.
I salami si lasciano stagionare appesi alla distanza di circa 4 cm l'uno dall'altro, per un periodo di circa 40 giorni. La stagionatura si svolge in cantine dove viene fatto stagionare anche il formaggio (spesso su scaffali di legno) e conservato il vino e l'olio.

SALAME D'OCA DI MORTARA
Il salame d'oca di Mortara è un salume cotto a base di carne d'oca e maiale. Si fregia di certificazione Indicazione geografica protetta.
È ottenuto da carne di oche nate, allevate e macellate nell'ambito dei territori della regione Lombardia. La zona di origine e produzione principale è localizzata nella Provincia di Pavia, in Lomellina, nel comune di Mortara.
Nella produzione del "Salame d'oca di Mortara" le materie prime sono costituite dalle parti magre dell'oca per il 30-35 %, dalle parti magre del suino, come per esempio coppa del collo, spalla o altre parti magre per il 30-35 % e dalle parti grasse del suino, quali guanciale o pancetta, per il restante 30-35 %. La percentuale di carne d'oca utilizzata, non deve comunque mai scendere sotto un terzo del totale.
Il trito di carni di oca e di maiale viene impastato con sale, pepe ed aromi vari. Il composto risultante viene avvolto nella pelle di oca, cucito e legato a mano conferendogli la caratteristica forma asimmetrica. Esso viene quindi ben coperto da un panno e lasciato asciugare per qualche giorno. Dopo l'asciugatura, viene punzecchiato e cotto in acqua calda (ma non bollente). Una volta pronto viene fatto raffreddare, risultando pronto per il consumo.

SALAME DELLA BERGAMASCA
Il salame della bergamasca è un prodotto tipico della provincia di Bergamo. Le sue origini sono molto antiche. Nel secondo dopoguerra abbiamo fonti che ci ricordano che veniva utilizzato anche come mezzo formale di pagamento.
Il prodotto è legato alle particolarità climatiche della provincia di Bergamo, dove la forte umidità ha impedito lo sviluppo di altri salumi, come il prosciutto.
Per questo è stato “creato” un prodotto come il salame bergamasco che potesse essere stagionato anche a lungo (oltre i 90/100 giorni) in queste condizioni. La sua caratteristica peculiare è quella di utilizzare tutte le parti del maiale, anche quelle più nobili che in altre regioni sono utilizzate per i prosciutti, le coppe o i culatelli e quindi non avere necessità di inserire altri tipi di carni, come quelle bovine. Un'ulteriore caratteristica è quella di provenire da un suino pesante (quello che da sempre si adatta meglio all'economia del territorio per resa e qualità), alimentato esclusivamente con i cereali facilmente coltivati nella zona, come il mais.
È difficilmente acquistabile al di fuori della provincia di Bergamo e i migliori sono ancora artigianali. È comunque in corso un progetto per l’etichettatura di qualità del prodotto.

SALAME  DI BRIANZA
Il Salame di Brianza DOP si produce nella zona omonima, che si estende a nord di Milano, nella Provincia Monza-Brianza. I maiali utilizzati devono provenire da allevamenti presenti in Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte.
Per il confezionamento si procede ad una macinatura della spalla, insieme ai fiscoli di banco, la pancetta e la gola, oltre ad altri parti magre. Si impasta il tutto insieme a sale, pepe, aglio e vino. È ammessa anche l'aggiunta di zucchero e di sostanze conservanti e antiossidanti. Il tutto viene poi inserito in budello, naturale o artificiale, e sottoposto a stagionatura: gli esemplari più piccoli sono pronti in quindici giorni, altrimenti occorrono almeno cinque mesi. Di colore acceso, ha un gusto morbido e delicato.

SALAME DI CINTA SENESE
Il salame di Cinta senese è un salume tipico toscano. Viene prodotto mediante l'utilizzo di animali di razza Cinta senese, caratterizzati nel mantello da una striscia di colore depigmentata (bianca) che li circonda dalla schiena all'addome anteriore, a ricordare una cintura, da cui il nome. Si tratta di un salume le cui dimensioni possono variare tra 0,5 e 2 kg, insaccato in budello animale, dalle tonalità di colore molto intenso e dal gusto saporito, di costo superiore ai corrispondenti salumi di maiale.
La Cinta senese è un suino di razza rustica, allevato nella zona senese dal Medio Evo. Degli esemplari sono stati rappresentati in dipinti e affreschi dal XII secolo; il più noto è l’affresco del 1338 Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico (Siena), che mostra un contadino che porta in città una Cinta senese. La Cinta senese è originaria della Montagnola senese, un territorio boscoso delimitato dalla vallata del fiume Merse e dalla vallata del fiume Elsa, a nord di Siena. In seguito la razza si è diffusa a nord verso il Mugello e il Valdarno e a sud verso la Maremma. Attualmente questi suini vengono allevati in quasi tutta la Toscana, sia al pascolo brado integrale, sia semibrado con l’impiego di semplici porcili e integrazione alimentare. La vegetazione della Macchia mediterranea fornisce abbondante nutrimento (castagni, lecci, cerri, corbezzolo ecc.), ma nei periodi di minore disponibilità naturale la nutrizione viene integrata artificialmente. L’allevamento misto consente di arrivare alla massima produttività. La Cinta senese presenta la caratteristica fascia anulare bianca del mantello dalle spalle agli arti anteriori, dovuta a assenza di pigmento nella cute e nelle setole. Il resto della cute è color grigio ardesia con setole nere. L’aspetto è snello e robusto, con scheletro leggero ma solido, con arti lunghi e sottili; il peso del maschio adulto arriva a 300 Kg, la femmina adulta può arrivare a pesare 250 Kg; il peso medio è intorno ai 150 Kg.. Nel luglio 2015 Il Consorzio di Tutela della Cinta Senese ha ottenuto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali l'incarico a svolgere attività di tutela per la DOP "Cinta Senese". Nel Disciplinare del Consorzio viene indicato che "la zona di produzione comprende tutto il territorio della regione Toscana fino ad un’altitudine di 1200 metri slm di altitudine".
L'Università di Siena, Dipartimento di Scienze della vita, e il Serge-Genomics S.r.L., hanno pubblicato nel maggio 2015 uno studio sulla tracciabilità genetica della Cinta senese. L'opportunità di tracciare dal punto di vista dell'analisi molecolare le carni dalla produzione al consumo permette una maggiore tutela dei consumatori e assicura l'autenticità delle informazioni riportate sull'etichetta.
Viene utilizzata solo la carne di suini di Cinta senese, i quali devono essere macellati non oltre i 16 mesi d'età
L'impasto è composto da carne magra ricavata dalle spalle, scamerite e rifilature di prosciutto; la carne viene tritata e mescolata a parti di grasso sminuzzate a mano, pepe, sale, zucchero, aglio e vino rosso (in genere Chianti. che vengono, dopo l'impastatura le carni vengono chiuse in budello naturale, di maiale o eventualmente di manzo o pecora. La legatura avviene a mano. Successivamente c'è il passaggio della stufatura, durante il quale il salame effettua la fermentazione naturale ed elimina l'umidità in eccesso e forma la caratteristica muffa bianca. La stagionatura avviene in luogo fresco e aerato; la durata dipende delle dimensioni dei singoli prodotti: se per i salami più piccoli sono sufficienti tre settimane o poco più, infatti, per i più grandi può essere necessario anche un anno. In questi casi, per permettere al prodotto di mantenere inalterate le proprie caratteristiche organolettiche, passati circa 4 mesi dall'inizio della stagionatura, i salami vengono cosparsi esternamente con grasso proveniente da salami più grandi. Il salame è caratterizzato dall'assenza di acidità e da un gusto morbido e dolce.

SALAME DI CREMONA
I principali documenti storici che attestano in modo chiaro e preciso l'origine del prodotto ed il legame con il territorio, risalgono al 1231, conservati presso l'Archivio di Stato di Cremona, e confermano un commercio tra il territorio cremonese e gli Stati vicini di suini e di prodotti a base di carne. Dai documenti rinascimentali esistenti nei «Litterarum» e nei «Fragmentorum» si rivela inconfutabilmente la presenza, ma soprattutto l'importanza del prodotto «salame» nella zona di produzione individuata nel disciplinare. Nelle relazioni redatte in occasione della visita del Vescovo Cesare Speciano (1599-1606) ai monasteri femminili della zona risulta che nel «modo di vivere cotidianamente», «nelli giorni che si mangia di grasso» veniva distribuita anche una certa quantità di salame.
La zona di elaborazione del Salame Cremona comprende il territorio delle seguenti regioni: Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto.
Il clima è in tutto il territorio di produzione caratterizzato da autunni e inverni relativamente rigidi, molto umidi e nebbiosi, primavere temperate e piovose, mentre le estati si distinguono per temperature abbastanza elevate, piogge non raramente frequenti, di breve durata e molto spesso, di forte intensità. Il suino si è sempre dimostrato nella pianura Padana e nelle valli ad essa adiacenti, l'animale ottimale per sfruttare al meglio le disponibilità di mais e scarti di lavorazione del latte.
Caratteristiche e fasi di produzione
Il processo produttivo è sinteticamente il seguente: la materia prima per la produzione della IGP deve provenire da suini nati, allevati e macellati nelle seguenti Regioni: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio e Molise. Possono essere utilizzati: suini delle razze tradizionali Large White Italiana e Landrace Italiana, così come migliorate dal Libro Genealogico Italiano, o figli di verri delle stesse razze; suini figli di verri di razza Duroc Italiana, così come migliorata dal Libro Genealogico Italiano; suini figli di verri di altre razze ovvero di verri ibridi purché provengano da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del Libro Genealogico Italiano per la produzione del suino pesante.
I suini sono inviati alla macellazione non prima che sia trascorso il 9° mese e non dopo il 15° mese dalla nascita. Il peso medio della singola partita inviata alla macellazione deve essere ricompreso nell'intervallo corrente tra Kg 144 e Kg 176.
La carne suina da destinare all'impasto è quella ottenuta dalla muscolatura della carcassa e dalle frazioni muscolari striate ed adipose.
Ingredienti: sale, spezie, pepe in grani o pezzi grossolani, aglio pestato e spalmato nell'impasto.
Eventuali altri ingredienti: vino bianco o rosso fermo, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio e/o lattosio, colture di avviamento alla fermentazione, nitrito di sodio e/o potassio, acido ascorbico e suo sale sodico.
Sono vietate carni separate meccanicamente.
Preparazione: le frazioni muscolari ed adipose sono mondate accuratamente asportando le parti connettivali di maggiori dimensioni e il tessuto adiposo molle, linfonodi e i grossi tronchi nervosi. La macinatura si effettua in tritacarne con stampi con fori di 6 mm. La temperatura della carne alla triturazione deve essere superiore a 0 °C; la salatura è effettuata durante la macellazione; ottenuto il macinato si uniscono gli altri ingredienti e gli aromi. L'impastatura è effettuata in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica per un tempo prolungato. Il «Salame Cremona» è insaccato in budello naturale di suino, bovino, equino o ovino di diametro iniziale non inferiore a 65 mm. La legatura avviene con spago manualmente o meccanicamente. E' ammesso lo stoccaggio del prodotto in cella per un massimo di 1 giorno e con temperatura compresa tra 2 e 10 °C. L'asciugamento è a caldo con una temperatura compresa tra 15 e 25 °C.
La stagionatura avviene in locali con sufficiente ricambio d'aria a temperatura compresa fra 11 e 16°C per un periodo non inferiore a 5 settimane. Il periodo di stagionatura varia a seconda del calibro iniziale del budello.
Caratteristiche
Peso a fine stagionatura non inferiore a 500 gr.
Diametro al momento della preparazione non inferiore a 65 mm; lunghezza al momento della preparazione non inferiore a 150 mm.
Il salame di Cremona deve essere compatto di consistenza morbida.
Aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta ed omogenea, caratterizzandosi per la tipica coesione delle frazioni muscolari e adipose, tale da non consentire una netta evidenziazione dei contorni (aspetto «smelmato»). Non sono presenti frazioni aponeurotiche evidenti.
Colore: rosso intenso.
Odore: profumo tipico e speziato.
Il “Consorzio di Tutela Salame Cremona” nasce il 7 marzo 1995, su iniziativa di un gruppo di imprenditori che hanno inteso costituire un organismo in grado di identificare, salvaguardare e proporre al mercato un prodotto tipico dell'area lombarda.

SALAME DI FABRIANO
Salame di Fabriano è un salume a base di carne di maiale.
Il salame di Fabriano è un prodotto tipico della tradizione Marchigiana con particolare riferimento alla zona di produzione geograficamente individuata dai seguenti comuni: Fabriano, Arcevia, Cerreto d'Esi, Genga, Serra San Quirico, Sassoferrato, Matelica, Esanatoglia, Serra Sant'Abbondio, Frontone, Pergola, Pioraco e Fiuminata.
Nei luoghi di produzione tradizionali si impiegano ancora le carni ottenute dalle razze autoctone dell’entroterra anconetano dal tipico colore scuro e dal pelo ruvido; questo perché in passato era predominante la razza nera, ma oggi il suino che si alleva e si utilizza per la produzione del salame di Fabriano è quello derivato dall’impiego indifferente di razze bianche e scure purché nato nel territorio dell’Appennino umbro-marchigiano. L’età ideale per la macellazione è quella che storicamente veniva definita dalla tradizione come “animale sopranno”, cioè un suino con almeno 12 mesi d’età, alimentato con prodotti derivanti da colture di provenienza locale rigorosamente Ogm free. Dei suini si utilizzano solo le parti pregiate e di prima qualità derivanti dalla Spalla (solo il fiocco), dalla Coscia con l’aggiunta del Fondello. Assolutamente vietate l’impiego o aggiunta di tagli non di prima qualità. Il grasso rappresenta un percentuale di circa l'8-12%, viene prelevato dalla fascia adiposa dorso-lombare e tagliato a cubetti (in quantità proporzionali all’impasto magro) di 0,5-1 centimetri. L’impasto, con l’aggiunta di sale, pepe (macinato ed in grani) e vino bianco, viene inserito preferibilmente nel budello gentile che rappresenta la sezione dell’intestino più adatta alle lunghe stagionature ed in grado di conferire aromi particolari. È vietato aggiungere grasso nell’impasto.
L’impasto subisce un primo taglio con trafile grosse, poi è ripassata almeno due volte in trafile più strette fino ad arrivare alla giusta grana. L’impasto è condito con 26 – 29 grammi di sale per chilo di prodotto, pepe nero in polvere e in grani (in misura totale non superiore ai 5 grammi) e vino bianco. Il lardo, tagliato a cubetti, viene salato e mescolato all’impasto di tagli di carne prima dell’insaccatura. Poi è insaccato e pressato il tutto nel budello naturale, preferibilmente gentile che viene dissalato mediante lavaggio con vino bianco naturale privo di additivi o trattamenti chimici (prima dell’insacco), aceto e acqua calda. I salumi confezionati nel budello vengono appesi senza contatti (per evitare l’insorgere di muffe indesiderate) e lasciati riposare (essiccazione) per un periodo di 2- 3 giorni in appositi locali riscaldati a fuoco lento, in modo da consentire l’asciugatura delle parti acquose che il budello può aver assunto nella fase di lavaggio. Quindi il salame passa nei locali di maturazione dove resta per un periodo di circa 3 mesi dove gli ambienti hanno una temperatura di circa 14 °C ed umidità relativa di circa l’80%.
Il Consorzio dei produttori richiede da alcuni anni (invano per ora) alle istituzioni europee il marchio DOP per salvaguardare e valorizzare ulteriormente il prodotto. Il Salame di Fabriano è Presidio Slow Food. Fin dalla nascita dei Presidi, Slow Food ha inserito tra i primi il Salame di Fabriano, quale espressione di uno dei migliori insaccati italiani, che a causa della esiguità dei produttori è a rischio di estinzione.

SALAME DI FELINO
Il salame di Felino, è un salame italiano, prodotto storicamente nella cittadina di Felino (da cui il nome) e in alcuni comuni limitrofi, come Sala Baganza e Langhirano, tutti in provincia di Parma. In tutta l'Emilia-Romagna, e anche in altre regioni, si produce un salame simile che non essendo appunto prodotto nella provincia di Parma (dove si trova la cittadina di Felino) viene chiamato comunemente salame "tipo Felino"
Il salame di Felino si produce per tradizione con pura carne di suino maiale. L'impasto è costituito da carne di maiale chiamata "trito di banco" (sottospalla dell'animale), all'incirca composta da un 70% di magro e un 30% di parti grasse scelte. La macinazione avviene con trafile medie, ottenendo un impasto a grana medio-grossa che viene addizionato con sale, pepe a grani interi. Solitamente vengono aggiunte piccole quantità di nitrato di potassio e talvolta anche ascorbati (antiossidanti e regolatori di acidità) e zuccheri. Dopo la macinazione, vengono aggiunti anche aglio e pepe pestati e sciolti in vino bianco secco, quindi l'impasto viene insaccato in budello naturale suino di origine danese. Tradizionalmente, per la confezione del salame di Felino si utilizza il cosiddetto budello gentile, ossia la parte intestinale del maiale che corrisponde al retto: si tratta di un budello d'aspetto liscio e dal grosso spessore, che consente di mantenere morbido l'impasto che contiene anche dopo stagionature lunghe. La stagionatura ideale per il salame di Felino è di almeno 60 giorni, propiziata dal particolare microclima della località parmense. Oggi la maggioranza di produttori di Salame Felino utilizza, per la stagionatura del prodotto, ambienti appositi a temperatura controllata.
Si presenta con una fetta di colore rosso intenso, con il bianco del grasso macinato. La compattezza della carne è strettamente legata alla stagionatura ed alla qualità della carne utilizzata per produrre il salame. Il profumo è intenso, molto caratteristico, mentre il sapore è delicato.
È uno degli antipasti più tipici del parmense, specialmente se accoppiato col Prosciutto di Parma, che si produce nella stessa zona. Solitamente, si abbina con un vino Lambrusco (sia quelli reggiani e modenesi, sia quelli parmensi prodotti con la Indicazione Geografica Tipica Emilia).
Tradizionalmente viene tagliato in modo diagonale creando quindi delle fette ovali, di lunghezza circa doppia rispetto al diametro del salame. Per gustarlo al meglio è molto importante lo spessore: tradizionalmente le fette devono essere spesse quanto un grano di pepe.
Il paese di Felino ha dedicato al salame un museo storico.
Nella Bassa Parmense si produce un salame molto simile al Felino, insaccato nel medesimo budello. Si chiama salame gentile.
Il Salame di Felino è stato riconosciuto dal Ministero delle Politiche agricole e dalla regione come prodotto agroalimentare tradizionale. La Comunità europea ha operato il riconoscimento dell'IGP.

SALAME DI MUGNANO
Il salame di Mugnano è un salame che trova origine in un paese del baianese, Mugnano del Cardinale. È stato riconosciuto, dal ministero delle Politiche agricole su proposta della regione Campania come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
La lavorazione di questo insaccato è ancora effettuata da diversi opifici presenti nel territorio del paese e nei comuni limitrofi. La caratteristica principale del prodotto risiede nel tipo di asciugatura data al prodotto, che si basa sia sull'utilizzo di bracieri che producono fumo, sia, in un secondo momento, sulla presenza sul territorio di un forte vento che contribuisce alla fase conclusiva del processo. Il prodotto può contare su un mercato che si estende quanto meno in tutto il meridione.

SALAME DI SASSELLO
Il salame, sia cotto sia crudo, è un insaccato lavorato artigianalmente secondo una ricetta tradizionale della zona. A seconda del tipo di impasto e di budello, può subire una stagionatura variabile da uno a otto mesi. Il salame cotto presenta una lavorazione abbastanza simile a quella del crudo, salvo l'aggiunta di carni derivanti dalla testa del maiale. Si spezia con sale, pepe e noce moscata, si macina e si insacca in budelli di manzo, i cosiddetti tasconi. Dopo aver eseguito una blanda legatura il prodotto viene cotto in pentole a 70°C per 6 ore, quindi è pronto per l'ultima fase, il raffreddamento. Nel salame crudo, invece, la carne magra è impastata con una percentuale variabile di grasso di pancetta (circa il 25%), quindi si aggiungono il sale e il pepe e si macina, è insaccato nei cosiddetti culari e passa quindi alla legatura e all'asciugatura. In quest'ultima fase temperatura e umidità vengono costantemente controllati in modo tale che, nel tempo, l'umidità aumenti e la temperatura diminuisca, fino a raggiungere per la fase di stagionatura una temperatura di circa 12°C e un'umidità del 60%.

SALAME DI TURGIA
Il salame di Turgia, detto anche, in dialetto, salam d'turgia, è un salume tipico delle Valli di Lanzo, in provincia di Torino.È un prodotto a base di carne di vacca, lardo e pancetta suina, sale, pepe, aglio, vino rosso, spezie. Viene insaccato nel budello torto di bovino. Si può consumare sia fresco, crudo o cotto, oppure stagionato. La parola turgia in piemontese indica una vacca sterile, giunta alla fine della sua carriera riproduttiva. Può pertanto anche essere un animale giovane.
Fu riscoperto e rilanciato sul finire degli anni 90 dal medico veterinario torinese Andrea Fontana, che contribuì anche a riscriverne il disciplinare di produzione.
La Provincia di Torino ha inserito questo salame nel Paniere dei Prodotti Tipici della Provincia di Torino, un progetto che si propone di valorizzare le tipicità del comprensorio torinese. Il ministero delle politiche agricole, d'intesa con la regione Piemonte, ha inserito il Salame di turgia tra i Prodotti tradizionali.
In altre zone del Piemonte, e specificamente in quella di Carmagnola, è in uso una preparazione simile, chiamata salame di giura o di giora.

SALAME DI VARZI
Il salame di Varzi (DOP) è un preparato a base di carne a Denominazione di origine protetta, originario delle zone del comune di Varzi nell'Oltrepò pavese in provincia di Pavia.
L’origine di questo salame è incerta, essendo un prodotto così importante e antico. Secondo alcune fonti, sembra che già i Longobardi allevassero il maiale. Infatti i Longobardi, durante le loro varie trasmigrazioni in tutta Europa (dal II al VI secolo) causate dalla mancanza di terre, da una forte crescita della popolazione e da un irrigidimento del clima, in un'epoca di problemi e ristrettezze economiche, avevano bisogno di un prodotto a lunga conservazione.
Già nel XII secolo era usato come pietanza prelibata: i marchesi Malaspina, un’indiscussa famiglia longobarda, lo servivano agli ospiti durante pranzi e cene.
Nel corso dei secoli a venire, i contadini iniziarono a considerare il maiale come una risorsa indispensabile per la loro sopravvivenza: grazie alla produzione nell’ambito famigliare, il salame si inserì facilmente nella povera mensa dei contadini.
Finito il lungo processo di stagionatura, è necessario che il salame di Varzi (nel rispetto della DOP) abbia le seguenti caratteristiche:
La forma del prodotto deve essere cilindrica e ci devono essere muffe grigie distribuite uniformemente lungo la buccia;
Se si pressa il prodotto con un dito, deve presentare una tenera e compatta consistenza;
Quando lo si taglia, si deve riconoscere la parte grassa che deve essere bianca e la parte di carne che deve essere di colore rosso vivo;
Nell’impasto la parte deve costituire una determinata percentuale;
L'impasto nel suo complesso deve essere compatto.
Composizione percentuale del prodotto
acqua 31.0%
minerali 4.19%
proteine 35.5%
grassi 29.3%
Il salame di varzi DOP è uno tra i più costosi tra i salami regionali. Ciò è spiegato dal fatto che il salame è prodotto anche con l’utilizzo del filetto, che è la parte più cara dell’animale. In più il processo attraverso il quale il salame di Varzi viene prodotto è sottoposto a severi controlli che comportano costi maggiori.

SALAME GENOVESE DI SANT'OLCESE
Se cerchiamo il salame genovese per antonomasia lo dobbiamo cercare in alta val Polcevera.
Sembra che gli antichi Liguri che abitavano la Valpolcevera avessero appreso dai Romani le tecniche per la conservazione delle carni suine. Queste tecniche sono state tramandate per secoli dai contadini della zona di Sant'Olcese, dove un tempo era diffuso l'allevamento dei suini.
La notorietà dei piccoli centri di Sant'Olcese e di Orero, è data dall'ospitare macelli che producono insaccati, tra i quali il più conosciuto e apprezzato è il salame crudo a base di carne mista, denominato popolarmente salame di Sant'Olcese. Fu prodotto per la prima volta a Orero, oggi frazione del comune di Serra Riccò, ma che sino al 1877 faceva parte del comune di Sant'Olcese. La produzione a livello industriale e il successo commerciale nell'area genovese iniziarono sicuramente prima dell'inizio del XIX secolo.
Oggi la tradizione salumiera dell'alta val Polcevera è rappresentata da un artigianato derivante da forme produttive familiari. Secondo fonti orali, erano probabilmente stipulati dei veri e propri contratti di soccida: i salumieri acquistavano i vitelli e li consegnavano ad allevatori e contadini della zona di Sant'Olcese e dei comuni e delle valli limitrofe, perchè eseguissero la fase di ingrasso. Quando i bovini erano pronti per la macellazione, venivano nuovamente riacquistati in occasione delle fiere zootecniche. Il numero di salumieri di Sant'Olcese e di Orero si è ormai ridotto a tre: due a Sant'Olcese e uno a Orero.
Il salame di Sant'Olcese e di Orero è un insaccato di carne suina e bovina cruda (anticamente anche di mulo) a forma cilindrica o a guanciale, impasto a grana media con occhi di grasso piuttosto grossi, profumo particolare e caratteristico di affumicato datogli dalle stufe a legna poste nei locali dove i salumi subiscono il processo di stagionatura.
Tradizionalmente in primavera nelle scampagnate primaverili dei genovesi questo salame viene mangiato accompagnato da fave novelle e formaggio sardo fresco. Presenta al taglio un aroma fragrante ed un leggero gusto di aglio che ne accentua la delicatezza.
Poco noto fuori dai confini regionali, questo salame era un tempo il preferito dai cambusieri delle navi per il suo tipo di lavorazione e per la scelta degli ingredienti che lo rendevano resistente all'azione del salmastro.
Zona di produzione: Orero di Serra Riccò e Sant'Olcese (val Polcevera)
Le carni suine grasse (30%) e magre (20%) sono impastate con uguale quantità di carni bovine magre, conciate, insaccate nel budello naturale con aglio, aceto, e aromi. A questo punto il salame subisce un processo di affumicatura: gli insaccati sono esposti al fumo di legna forte (rovere o castagno) per alcuni giorni, in locali appositi, resi neri dal fumo, prima di passare nelle stanze di stagionatura.

SALAME MANTOVANO
Il salame mantovano è un preparato a base di carne suina. La richiesta per il riconoscimento del marchio Denominazione di origine protetta è già stata inoltrata alla comunità europea.
Ci sono testimonianze dagli scavi del Forcello, a sud di Mantova, che anche gli Etruschi consumassero carne suina. Nel rinascimento i Gonzaga avevano a corte dei masin o masalin (norcino), che erano figure richieste e definiti "perfecto maestro de tal mestero". Isabella d'Este era ghiotta del salame (anche in alcune varianti come il "Salame della Lingua").
Il colore è rosso fragola, la pasta compatta e morbida, punteggiata di grassoli bianchi o rosa, mentre l'aggiunta di pepe e aglio fresco conferisce un caratteristico profumo e un sapore inconfondibile. La preparazione prevede esclusivamente l'uso di carni suine, macinate a grana grossa e condite con sale, pepe e aglio. L'impasto viene poi insaccato in budello di maiale e legato a mano. Successivamente avviene l'importantissimo processo di stagionatura, che può protrarsi dai 3 ai 6 mesi, a seconda delle dimensioni. L'aria umida della Pianura Padana contribuisce a formare le muffe bianche o color tortora, necessarie a garantire la qualità del risultato finale. Esistono diverse versioni di questo gustoso insaccato. Il budello deve essere naturale e può essere di diversi tipi:
il budello gentile (budello ottenuto dall'intestino retto del suino, molto grasso e di spessore elevato, permette una stagionatura e una conservazione più lunga)
il budello sottogentile (la parte più interna del gentile, usato per salami di pezzatura medio-piccola ad asciugatura medio-veloce)
il budello crespo o crespone (ottenuto dal colon, di forma più irregolare)
la mariola (intestino cieco)

SALAME PIACENTINO
Il salame piacentino è un preparato a base di carne a denominazione di origine protetta. Viene preparato con carne e grasso di maiali provenienti da Emilia-Romagna e Lombardia e lavorato nella sola provincia di Piacenza. Ha forma cilindrica e peso che oscilla tra 400 g e 1 kg. Salame a grana grossa, al taglio deve essere compatto, con la parte magra di un rosso carico e ben distinguibili lardelli bianco-rosati abbastanza grossi. Dolce e saporito con profumo delicato non sovrastato dalle spezie.
Preparazione
Macinatura: la carne e il grasso, accuratamente selezionati, vengono tritati separatamente, con misura differente, la parte grassa più grossa, la tradizione vorrebbe il lardo tagliato a cubettini con il coltello.
Impastatura: la parte magra e quella grassa vengono lavorate a lungo insieme con il sale, le spezie, vino bianco e aglio, fino ad ottenere un impasto ben legato.
Insaccatura: l'impasto viene insaccato in un budello naturale di suino.
Legatura: legatura con spago o rete per mantenere il budello a contatto della carne e per poter appendere il salame
Asciugatura: dura una settimana
Stagionatura: fase delicata che dura almeno 45 giorni.

SALAME S. ANGELO DI BROLO
Il Salame Sant'Angelo di Brolo (IGP) è un preparato a base di carne di maiale allevato sui Nebrodi, a pasta grossa, a Indicazione geografica protetta, prodotto a Sant'Angelo di Brolo, in provincia di Messina, e nei comuni limitrofi.
Il salame di Sant'Angelo è un salame con Indicazione Geografica Tipica: è infatti interamente realizzato a Sant'Angelo di Brolo in provincia di Messina. E' preparato con le carni suine fresche o refrigerate più pregiate come prosciutti e filetti. La carne viene tagliata "a punta di coltello" a grana grossa e arricchita con sale e pepe nero a mezza grana. Le carni vengono poi insaccate in budello naturale e lasciate stagionare. Il colore della carne è tendente al rosso scuro mentre il grasso si presenta bianco. Queste 2 parti risultano ben legate e compatte, non ci sono vuoti d'aria nel salame. Alla palpazione risulta consistente. La produzione del salame di Sant'Angelo IGP è limitata perchè legata appunto a questa piccola porzione di territorio, ma allo stesso tempo è sicuramente un eccezionale insaccato fatto secondo tradizione. Il prodotto va conservato in frigo e va ricoperto con pellicola dopo l'apertura.

SALSICCIA DI CALABRIA
L'origine della tradizione salumiera calabrese risale, probabilmente, all'epoca della colonizzazione greca delle coste ioniche e ai fasti della Magna Grecia. Le testimonianze storiche descrivono lavorazioni di carni suine fin dal secolo XVII. In tale epoca si colloca il primo riferimento scritto, inserito in un'opera intitolata "Della Calabria Illustrata", dove si fa menzione di un ampio utilizzo della specifica tecnica di lavorazione della carne suina. In epoca più recente la produzione di insaccati in Calabria è attestata da statistiche, pubblicate a seguito di censimenti dell'epoca di Gioacchino Murat, risalenti ai primi anni del XIX secolo. In tali documenti si evidenzia anche l'utilizzo di spezie e aromi derivati da piante locali per dare maggiore sapidità alle carni.
Il gusto particolare e intenso è valorizzato dall'accostamento con vini rossi della tradizione locale, a elevata gradazione alcolica. La salsiccia, che entra a far parte di gustosissime ricette della gastronomia meridionale, può essere gustata anche da sola, servita come antipasto insieme ad altri salumi e formaggi tipici, abbinata al pane a lievitazione naturale.

SALSICCIA DI CERIANA E DI PIGNONE
La Salsiccia di Ceriana e Pignone è un insaccato di colore rosa. La carne tritata del maiale è aromatizzata con sale, pepe e aromi naturali come la noce moscata, la cannella e i chiodi garofano. Si presenta sotto forma di salamelle, insaccate in budellina naturale, della lunghezza di circa 10-12 cm e di colore rosa con striature bianche date dalla presenza della pancetta.

SALSICCIA LIGURE

La salsiccia è un insaccato di carne suina a forma cilindrica del diametro di 2-3 cm. L'impasto è a grana media, con una percentuale in grasso del 15-16%, salato ma generalmente non troppo speziato. La salsiccia ligure è tendenzialmente magra rispetto a quella di altre regioni. Si consuma cotta, alla piastra o saltata in padella bucherellando il budello per farne uscire parte del grasso. La tecnica di lavorazione per le salsicce è simile a quella seguita per il salame, la percentuale di grasso è però maggiore (intorno al 15%). Le carni suine grasse e magre vengono, a volte, impastate con uguale quantità di carni bovine magre e insaccate nel budello naturale. Le parti magre vengono macinate più finemente rispetto a quelle grasse. Tipiche sono quella di Ceriana e quella di Pignone. Continuiamo a parlare della lavorazione del maiale. Un tempo il maiale era macellato nel periodo tra novembre e Pasqua: non esistevano i frigoriferi moderni, perciò preparare salumi e insaccati era l'unico modo per preservare la carne del suino. Nell'antica Roma, per conservare la carne del maiale si procedeva essenzialmente alla salatura e all'affumicatura. Nel De Re rustica ovvero L'arte dell'agricoltura di Columella, agronomo della Roma antica, vi è un paragrafo dedicato alla macellazione e alla salatura del maiale. Vengono qui date indicazioni precise: la procedura per la preparazione consiste in una disossatura e in una salatura con sale torrefatto, non troppo sminuzzato; le varie parti salate sono quindi poste sotto peso e quotidianamente strofinate con sale, fino a maturazione ultimata; a questo punto si lava con acqua dolce e si appende nella dispensa della carne, dove giunga un po' di fumo, in modo che asciughi del tutto. Naturalmente anche i salumi hanno il loro quarto di nobiltà letteraria addirittura latina. Per esempio le salsicce erano già note ai tempi dei romani: conserviamo le indicazioni da Apicio per la loro preparazione, citate anche da Marziale che le nomina come omaggio, e antiche ricette che non si scostano da quelle attuali. In tutto il territorio dell'entroterra ligure si producono salsicce.

SIGNORA DI CONCA CASALE
È un insaccato di carne suina, di grande pezzatura, tipico di alcune zone montuose del Molise, nei pressi di Venafro.
A differenza di altri salumi della pratica gastronomica molisana, la Signora non fa parte di una tradizione povera, ma è considerato un prodotto pregiato e particolare. I tagli pregiati richiesti dalla lavorazione, e la grande pezzatura in cui viene realizzata (da 800 grammi fino a 5 kg), fanno sì, ad esempio, che da ogni capo possa essere realizzata un solo salume.
Il salume è annoverato tra i Presidii alimentari di Slow Food e individuata tra i Prodotti agroalimentari tradizionali molisani.
La preparazione avviene con un procedimento manuale che prevedo lo sminuzzamento della carne e del grasso 'in punta di coltello', con il ritaglio di pezzi a diversa grana, fine e grossa, in modo da favorire l'omogeneo riempimento del budello nella fase successiva.
Secondo la tradizione, la parte magra del riempimento si ottiene con lo sminuzzamento di carni dai tagli di lombo e spalla anche se, attualmente, si ricorre anche al controfiletto e a parti provenienti dalla coscia. La parte grassa si ottiene invece dal lardo del dorso e della pancetta.
I pezzi, di varia grana, vengono quindi amalgamati e speziati con aromi, come pepe in grani, peperoncino rosso ridotto in polvere, finocchio selvatico, coriandolo.
L'amalgama così ottenuto viene dapprima lasciato a "maturare" alcune ore prima di passare alla fase successiva, mentre si può procedere al lavaggio e alla preparazione del budello.
Per l'insaccatura si usa il budello cieco del maiale, localmente detto zia, che viene sottoposto a un particolare procedimento lavaggio, in cui intervengono "ingredienti" particolari: vino, aceto, farina grezza di mais, succo d'arancia e di limone.
Anche la fase di insaccatura avviene con procedimento interamente manuale, per la cui riuscita è richiesta la perizia dell'operatore. Le carni, dopo la conciatura, l'amalgama e la "maturazione" a riposo, vengono inserite con estrema accuratezza nel budello attraverso un apposito imbuto, avendo particolare cura che il riempimento avvenga in modo il più omogeneo possibile.
La pezzatura finale potrà variare da circa 800 grammi, fino a esemplari di prodotto del peso di 5 chilogrammi.
Il successo della stagionatura è legata all'accuratezza e all'omogeneità del riempimento del budello. La grande pezzatura richiede una stagionatura piuttosto lunga, per almeno sei mesi, a seconda delle dimensioni. Poiché il salume viene generalmente preparato nella stagione invernale, il suo consumo non può quindi avvenire prima dell'estate.
L'aspetto finale della Signora di Conca Casale, ricorda la forma esteriore di un alveare. Il prodotto stagionato viene consumato dopo essere stato tagliato in fette spesse.
Per quanto riguarda l'aspetto organolettico, si avverte tutto il sapore e la consistenza di un salame crudo a grana grossa con, in evidenza, il finocchietto selvatico e una nota di agrumi, dovuta al lavaggio del budello.

SOPPRESSATA DEL MOLISE
La Soppressata del Molise è una variante della soppressata prodotta in Molise, soprattutto nei comuni di Rionero Sannitico, Macchiagodena, Montenero di Bisaccia e Castel del Giudice.
È un insaccato prodotto con carne di Suino (lombo e capicollo) macinata finemente (tradizionalmente la carne va tagliuzzata a mano), a cui va aggiunta in minime quantità del lardo e condita con sale e pepe in grani. La carne magliata viene mescolata a mano con gli altri ingredienti, e dopo qualche ora di riposo, insaccata nel budello precedentemente lavato e trattato con gli odori e poi messo ad asciugare sotto la presione di alcuni pesi per alcuni giorni. Tolte dalla pressa, le soppressate vengono appese e lasciate asciugare in locali aerati e possibilmente riscaldati dal fuoco del camino, anche per la leggera affumicatura che, oltre ad avere una funzione conservante, conferisce un gradevole apporto organolettico. La conservazione avviene in locali freschi, per effettuare la stagionatura vera e propria di circa cinque mesi. Una volta completata la stagionatura il prodotto è conservato sotto grasso (sugna) in barattoli di vetro, oppure in casse di grano.

SOPPRESSATA DI CALABRIA
La Soppressata di Calabria (o sopressata) è un insaccato a denominazione di origine protetta. Si ottiene con carne di maiale tagliata a pezzettoni a cui si unisce pepe nero finocchio (a grani) e sale e peperoncino.
Preparazione
Si prepara prendendo le parti migliori della coscia del maiale, tritate e prive di nervi e insaccandole in budello naturale, in particolare bisogna usare il budello proveniente dall'intestino crasso, ben lavato con acqua e limone e messo a mollo. Una volta riempito il budello, viene forato con uno spillo e legato a mano. Il tutto viene poi lasciato asciugare all'aria.
Dopo circa due settimane si sistema sul pavimento un lenzuolo di lino e vi si adagiano le soppressate, le une vicine alle altre, con l'accortezza di lasciare tra esse uno spazio di circa un centimetro. Le soppressate vengono quindi coperte con un altro lenzuolo di lino, al disopra del quale viene poggiato un tavoliere (o un tavolo rigirato). Sul tavoliere vanno posti dei pesi in modo da ottenere quella pressatura che conferisce il nome al salume.
Dopo circa una settimana viene interrotta la pressatura e gli insaccati vengono messi ad asciugare.
Nella fase di asciugatura, della durata di circa due settimane, si usa spesso l'accorgimento di accendere un braciere nelle vicinanze che conferisca al prodotto una leggera affumicatura, nel braciere vengono aggiunte scorze di arance per garantire un'affumicatura aromatica.
Quindi si ripete l'operazione della pressatura (la "soppressa"). Nella fase conclusiva le soppressate vengono lasciate a stagionare per un periodo di cinque-sei mesi.

SOPRÈSSA VICENTINA
La Soprèssa Vicentina è un salume tipico della provincia di Vicenza e ogni anno si svolgono manifestazioni dedicate ad essa: una delle più famose è la Sagra della sopressa di Valli del Pasubio.
La Soprèssa Vicentina è uno dei prodotti cardine della tradizione culinaria veneta, tanto che si hanno molteplici testimonianze riguardo alla sua esistenza che risalgono ormai a molti secoli fa: una tra le più significative risale al 1577, anno in cui il pittore bassanese Jacopo da Bassano realizzò il dipinto intitolato "Cristo in casa di Marta Maria e Lazzaro" in cui si vede una persona che si accinge a tagliare un insaccato molto simile alla sopressa di forma cilindrica con gli inconfondibili pallini rossi e bianchi.
La sopressa è un salume tipico della tradizione culinaria veneta e per questo motivo ne esistono di varie tipologie (come ad esempio la sopressa trevigiana): è doveroso quindi specificare che la Soprèssa Vicentina è stata la prima ad ottenere l'importante certificazione D.O.P (Denominazione di Origine Protetta).
Per proteggere la Soprèssa Vicentina da facili contraffazioni e per una maggior tutela del consumatore è sorto il "Consorzio di Tutela della Soprèssa Vicentina D.O.P" che raggruppa 4 produttori locali sparsi nel territorio vicentino.
La Soprèssa Vicentina D.O.P. è realizzata secondo il disciplinare produttivo, approvato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dall’Unione europea con il Reg. 492 del 2003. La lavorazione per ottenere questo prodotto si suddivide in 6 fasi e ognuna di queste è fondamentale al fine di ottenere il gusto caratteristico di questo salume: sezionamento e disosso, macinatura, insaccatura, legatura, asciugatura ed infine la stagionatura.
La tradizione di uccidere e insaccare il maiale (copare e far su el mas'cio in dialetto) nei mesi freddi dell'anno (ovvero da fine novembre a fine febbraio circa) continua a sopravvivere grazie alle moderne tecnologie: i salumifici lavorano la carne in ambienti in cui si ricreano per tutto il periodo dell'anno le condizioni climatiche in cui si soleva macellare il maiale e allo stesso modo la stagionatura avviene in ambienti in cui vengono costantemente ricreate le condizioni ottimali per la stagionatura del prodotto.
La soprèssa si ottiene insaccando in budelli di origine bovina (in dialetto quelli più grandi sono chiamati maneghe mentre quelli di dimensioni più piccole sono detti cornète) le migliori carni del maiale: spalla, coppa, lombo (o lonza), pancetta, grasso di gola e coscia. La coscia (che come è ben noto è destinata solitamente alla produzione del prosciutto) conferisce un'importante nota di pregio e di qualità al prodotto. Questo miscuglio di carni macinate viene poi miscelato a sale, a pepe e a un mix di spezie varie (consa).
La sopressa è caratterizzata da un buon equilibrio fra parti magre e grasse, da un impasto morbido grazie alla macinatura a freddo della carne (con una grana compresa fra 6 e 7 mm) e da una stagionatura che varia da un minimo di 2 mesi fino ad oltre 6 mesi la quale dipende dalle dimensioni del prodotto (ad esempio una sopressa tra 1 e 1,5 kg ha bisogno di almeno 60 giorni di stagionatura).
Il prodotto che si otterrà al termine della lavorazione (stagionatura compresa) è un salume di forma cilindrica e leggermente curvo, di color grigio chiaro e di massa compresa solitamente tra 1 e 3 kg.

SPECK DELL'ALTO ADIGE
Lo speck dell'Alto Adige IGP (in ladino cioce) è una specialità della salumeria sud-tirolese. Consiste in un prosciutto crudo completamente disossato, lievemente affumicato, tipico del territorio altoatesino, in Italia. È protetto dall'Unione europea con il marchio IGP. Il termine speck, in tedesco, significa letteralmente "lardo".
I primi documenti contenenti la parola speck risalgono al XVIII secolo, ma esso compare nei regolamenti dei macellai e nei registri contabili dei principi tirolesi già dal 1200, seppur con definizioni e nomi diversi.
Inizialmente lo speck veniva prodotto per la necessità di conservare la carne. Esso permetteva di conservare per tutto l'anno la carne dei maiali che venivano uccisi durante il periodo natalizio. Lo speck rappresentava soprattutto per i ceti meno abbienti l'unica opportunità di mangiare carne e far fronte al bisogno di lipidi. Col tempo è diventata una delle pietanze principali in occasione di feste e banchetti. E ancora oggi, insieme al pane e al vino, è il protagonista della tipica "merenda" sudtirolese.
Lo speck è un prodotto tipico della provincia italiana dell'Alto Adige ed è nato dall'unione dei due metodi di conservazione della carne: la stagionatura, come il prosciutto crudo nell'area mediterranea, e l'affumicatura, tipica del nord Europa. L’Alto Adige trovandosi in una posizione intermedia e godendo di un particolare clima ha fuso i due metodi, producendo lo speck secondo la regola "poco sale, poco fumo e molta aria fresca", che consiste in una salatura moderata e nell'alternanza di fumo e aria fresca.
Inizialmente lo speck veniva prodotto dalle singole famiglie contadine. Successivamente la produzione si è sviluppata prima a livello artigianale, con i macellai di paese, e negli anni sessanta a livello industriale.
Lo Speck Alto Adige IGP deve il suo carattere inconfondibile al metodo di lavorazione tradizionale. Il disciplinare di produzione prevede un’affumicatura leggera della coscia salata di maiale, una stagionatura media di 22 settimane e un contenuto di sale non superiore al 5% nel prodotto finale.
L’elemento che accomuna i piccoli e grandi produttori è il rispetto della regola "poco sale, poco fumo e molta aria fresca" e la dedizione e cura nel creare una specialità amata ben oltre i confini nazionali. La produzione prevede cinque fasi: selezione della materia prima, speziatura, affumicatura, stagionatura, controlli e marchio di qualità.
Per la produzione dello Speck Alto Adige IGP vengono utilizzate solo cosce suine magre e provenienti da allevamenti riconosciuti appartenenti ad un Paese all'interno dell’Unione Europea. Esse vengono selezionate in base ai criteri definiti nel capitolato sulla materia prima e tagliate secondo i metodi tradizionali. Le cosce selezionate vengono marchiate con la data di inizio produzione, a garanzia indelebile e come base per i successivi controlli.
Le baffe di speck vengono cosparse di sale e di una miscela di aromi (sale, pepe, ginepro, rosmarino, alloro). Esse vengono salmistrate a secco in ambiente controllato per tre settimane e girate più volte per agevolare la penetrazione uniforme della salamoia. Il contenuto di sale nel prodotto finale non deve superare il 5%.
Successivamente, le baffe vengono sottoposte alternativamente alle fasi di affumicatura e asciugatura. L’affumicatura con legna poco resinosa è leggera e la temperatura del fumo dev’essere inferiore ai 20 gradi centigradi.
La fase finale è quella della stagionatura, in cui le baffe restano appese in locali pervasi da aria fresca. La durata della stagionatura è definita tenendo conto del peso finale della baffa ed è di circa 22 settimane. Durante questa fase si forma uno strato naturale di muffa aromatica, rimossa alla fine del processo, che arrotonda il gusto dello speck ed evita che si secchi troppo.
Infine, lo speck che risponde ai criteri imposti dal disciplinare di produzione e che ha superato i controlli viene marchiato a fuoco sulla cotenna in 4 differenti punti con l’apposito sigillo.
Lo Speck Alto Adige IGP è un prodotto protetto dall’Unione europea attraverso il marchio IGP, che sta per "indicazione geografica protetta". Tale riconoscimento è attribuito ai prodotti selezionati che seguono il metodo produttivo tradizionale in una particolare area geografica. Tuttavia il Disciplinare di produzione non richiede che la carne di suino sia di origine locale e neppure di origine italiana, e nessuno dei produttori aderenti al consorzio dichiara di usare carne italiana.
A garanzia della qualità e dell’autenticità dello Speck Alto Adige IGP il Consorzio Tutela Speck Alto Adige, in collaborazione con l’istituto di controllo indipendente INEQ (Istituto Nord Est Qualità) ha sviluppato un sistema di controllo inerente tutte le fasi di produzione: dalla selezione della carne fino al prodotto finito. I controlli vengono effettuati sulla stagionatura, il rapporto tra parti magre e grasse, il contenuto salino, la consistenza, l’aroma e naturalmente il sapore.
Lo speck approvato dal consorzio è commercializzato sotto un apposito marchio di qualità.
Nella tradizione altoatesina, lo speck era il cibo consumato dai contadini e costituiva una fonte di energia durante i lavori nei campi. Col tempo è diventato anche il protagonista di banchetti in occasione di festeggiamenti e cerimonie di benvenuto. Quest’ultima funzione è stata tramandata fino ai giorni nostri: lo speck, insieme al pane nero e al vino o birra, costituisce l’elemento chiave della tipica "merenda" altoatesina, consumata e offerta come simbolo di ospitalità.
Brettljause è il nome della tipica merenda altoatesina (in dialetto sudtirolese Marende), un’usanza che trae appunto origine dalla tradizione contadina e che vive tuttora nei masi e nelle baite. Essa consiste in un tagliere con speck, salsicce, formaggi tipici e cetrioli, accompagnato da pane casereccio e vino. Nel Brettljause lo speck dev'essere ben stagionato ed è servito in un pezzo intero largo circa 3 cm, successivamente tagliato a pezzetti.
La manifestazione più rilevante legata allo Speck Alto Adige IGP è lo "Speckfest Alto Adige", ovvero la tradizionale festa dello speck, che ha luogo ogni anno in autunno a Santa Maddalena in val di Funes, ai piedi delle Odle.
Lo Speckfest Alto Adige, giunto nel 2010 alla sua ottava edizione, è un evento organizzato in collaborazione tra l’associazione turistica Val di Funes, il Consorzio Tutela Speck Alto Adige e l’Organizzazione Export della Camera di Commercio di Bolzano. Ogni anno in occasione della festa vengono presentate delle creazioni a sorpresa, ideate da Hans Mantinger "Gletscherhons", maestro nell’arte del taglio dello speck.

STROLGHINO EMILIANO
Lo strolghino è un salame di dimensioni ridotte tipico delle province Parma e Piacenza.
È ottenuto dalle rifilature magre del culatello e del fiocco di prosciutto, a loro volta ricavati da suini pesanti italiani. Per dare al culatello la sua tradizionale forma a pera è necessario infatti rifilare il pezzo e la pregiata carne che avanza viene destinata a questo prodotto di nicchia. Viste le dimensioni e la composizione magra, questo insaccato ha una stagionatura breve, di solito di 20 giorni.
La forma tradizionale è a ferro di cavallo, il diametro intorno ai 3 cm e la pezzatura oscilla tra 0,5 e 1 kg. È insaccato nella budellina suina ed è caratterizzato da una macinatura fine della carne
Il nome strolghino deriva da strolga, cioè indovina in dialetto. Prende questo nome dal fatto che veniva utilizzato per prevedere l'andamento della stagionatura dei salami di pezzatura maggiore. Un'altra versione molto diffusa dà ragione di questa denominazione nella difficoltà di una corretta preparazione e stagionatura del prodotto, per le quali ci vuole appunto un indovino.
Lo strolghino si presenta molto magro e dal sapore delicato e soprattutto dolce. Va mangiato tenero e per favorire la rimozione della pelle esterna lo si può immergere per pochi minuti in acqua tiepida, ma ancor meglio avvolgere in un panno bagnato col vino bianco misto ad acqua (consiglio della "nonna"). Tradizionalmente lo si taglia in fette diagonali molto spesse e lo si serve accompagnato da crostini o pane fragrante come antipasto. Ottimo con la Malvasia.
Lo strolghino va conservato in un luogo umido e fresco. Bisogna evitare gli ambienti secchi perché tende ad asciugare rapidamente. Per la stessa ragione non va fatto stagionare troppo a lungo, poiché in tal caso perderebbe la sua caratteristica dolcezza.

TETEUN VALDOSTANO
Il teteun è un salume valdostano riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. Il nome, che riprende la voce patois per mammella, è dovuto al fatto che esso è prodotto con mammelle bovine salmistrate.
Il teteun viene preparato a partire da mammelle di razze bovine autoctone valdostane, in particolare la pezzata rossa. Queste vengono preliminarmente incise in diversi punti e pressate per espellere l'eventuale latte ancora presente. Dopo essere state tagliate a fette vengono quindi stratificate in appositi contenitori con l'aggiunta di sale e varie erbe aromatiche (salvia, rosmarino, alloro, ecc.) e altre spezie tra le quali bacche di ginepro.
Seguono un paio di settimane di macerazione, la cottura a bagnomaria e la pressatura del prodotto ottenuto in stampi. La tecnica descritta può avere alcune varianti a seconda del produttore: la cottura può ad esempio avvenire a vapore o possono essere aggiunti alcuni additivi quali addensanti, antiossidanti o zuccheri.
In fase di cottura si assiste a una forte perdita di peso rispetto a quello della materia prima. Per la distribuzione commerciale il teteun viene in genere confezionato in tranci sotto vuoto, il che ne consente la conservazione per circa tre mesi in frigorifero o su scaffali refrigerati. Attualmente per la produzione del salume è piuttosto noto il comune di Gignod, dove essa ha conosciuto un rilancio a partire dagli anni Settanta del Novecento, ma il prodotto vanta origini molto antiche.
L'uso alimentare delle mammelle è molto antico ed è per esempio testimoniato in libri di cucina romani quali il celebre De re coquinaria (L'arte culinaria) di Marco Gavio Apicio. Ai tempi dei romani erano apprezzate le mammelle di scrofa, denominate sumen, che venivano in genere sbollentate e poi grigliate, oppure farcite in vari modi. In Valle d'Aosta però l'allevamento di bovini è largamente prevalente su quello di suini, per cui la gastronomia locale ha dovuto adattarsi all'utilizzo della materia prima effettivamente disponibile. Attualmente nella macellazione delle bovine le mammelle vengono invece spesso considerate un sottoprodotto e asportate prima della scuoiatura; esse possono poi essere smaltite come rifiuti oppure utilizzate nella preparazione di mangimi per animali o di fertilizzanti.
Il teteun viene spesso consumato come antipasto, in genere accompagnato con salse a base di aglio, marmellate di vari frutti come fichi e lamponi oppure ancora con uva passa o pere sciroppate (preferibili in questo caso i tipici Martin Sec). A Gignod si tiene tutti gli anni nella seconda metà di agosto la fëta di teteun, un evento dove a fianco della degustazione del salume vengono proposti musica e spettacoli folkloristici.

VALLE D' AOSTA JAMBON DE BOSSES
Vallée d'Aoste Jambon de Bosses DOP è un prosciutto di montagna a Denominazione di origine protetta, stagionato in quota, prodotto in quantità limitata a Saint-Rhémy-en-Bosses, nella valle del Gran San Bernardo ai piedi dell'omonimo colle, in Valle d'Aosta.
Materia prima
Per la produzione del Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP si possono usare solamente cosce di suino di razza pregiata (suino pesante italiano) proveniente da allevamenti situati nel territorio delle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni sono conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima del prosciutto di Parma DOP e San Daniele DOP e alimentati negli ultimi due mesi con sostanze ad alto contenuto proteico, con esclusione di mangimi concentrati. Gli allevamenti devono attenersi alle prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e metodologia di allevamento. I suini devono essere di peso non inferiore ai 160 kg e di età non inferiore ai nove mesi.
Preparazione della coscia
La coscia di suino, attentamente scelta tra carni di elevatissima qualità, viene salata a secco, con aggiunta di aromi naturali: pepe macinato e in grani, salvia, rosmarino, aglio, ginepro, timo, alloro e erbe autoctone. Qualsiasi tipo di additivo, ivi compreso il salnitro, è espressamente vietato dalle Norme relative alla tutela della denominazione di origine del Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP.
Maturazione della coscia
Nei venti giorni successivi la salatura, la coscia viene massaggiata per favorire la fuoriuscita di siero e sangue. La maturazione si svolge in ambienti igienicamente controllati, in grado di simulare l’ambiente che nel passato era caratteristico dei luoghi di maturazione: le cantine umide e i fienili. Dopo tale periodo la coscia viene lavata e asciugata, la testa del femore e le superfici esposte vengono ricoperte con abbondante pepe macinato grossolanamente per evitare l’ossidazione ed infine viene messa a stagionare.
Periodo di stagionatura
Il periodo di stagionatura si sviluppa da un minimo di 12 mesi sino a 30 mesi in luogo fresco in grado di riprodurre l’ambiente dei rascard, tipiche costruzioni in legno delle case rurali, che conservavano anche i fieni o delle camere del prosciutto. In particolare queste ultime, presenti in ogni baita, erano esposte a Nord e rivestite di legno ad evitare bruschi sbalzi di temperatura.
Area di produzione
Comune di Saint-Rhémy-en-Bosses in Valle d'Aosta, ad una altitudine attorno ai 1600 m s.l.m.
Caratteristiche organolettiche e fisiche
Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP ha un profumo di carne stagionata delicato e aromatico. Il sapore è sapido con punta di dolce e sottofondo aromatico, con una delicata venatura di fieni e di selvatico. Il grasso si ammorbidisce già a 16-18 gradi. La forma è naturale semi-pressata con legatura a mezzo di corda nella parte superiore del gambo, il peso non può essere inferiore a 7 kg. L’aspetto esterno è di colore giallo paglierino con superficie liscia della cute nella parte esterna della coscia, leggermente pieghettata nella parte interna della coscia. Il gambetto deve essere piegato di almeno 30 gradi. Al taglio, il Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP presenta massa muscolare compatta e soda di colore rosso vinoso con fibra consistente, il lardo è sodo e brillante con sfumatura rosa nella parte più esterna.
Storia
La Valle del Gran San Bernardo, sin dal Medioevo una tra le vie di transito più praticate dell’Europa occidentale (via Francigena) nonché centro di traffici commerciali, fu depredata dai Saraceni, ragion per cui una comunità di canonici agostiniani decise di edificare una chiesa e un ospizio dove accogliere i passanti, dare loro cibo ed alloggio e soccorrerli in caso di necessità. Ben presto i signori più potenti, i vescovi e i papi si accorsero dell’importanza dell’opera di assistenza offerta dagli Agostiniani concedendo loro grandi benefici fiscali ed economici; anche il popolo iniziò a ricompensare i monaci per il loro operato con donazioni di beni tra cui già figura lo Jambon de Bosses. Altre numerose testimonianze, tratte dai registri inventariali di vendita o scambio di tybias porci risalenti al XIV secolo, confermano la presenza dello Jambon de Bosses fin dall’antichità. Una produzione, quella del Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP, arrivata fino a noi senza sostanziali varianti grazie alla passione della piccola comunità di Saint-Rhémy-en-Bosses desiderosa di mantenere questa lunga tradizione secondo i propri più rigorosi canoni conservando le peculiarità di questa antica ma sempre attuale prelibatezza.
La qualità certificata
Tra le numerose qualità che hanno permesso al Vallée d’Aoste Jambon de Bosses di ottenere la Denominazione di origine protetta troviamo da un lato l’ambiente con un microclima particolare dall’altro l’abilità degli uomini, la produzione artigianale e la tecnica tramandata nei secoli e alla quale la comunità è ancora profondamente legata. Questo marchio, che si definisce nell’assoluta identificazione del prodotto, prevede una serie di controlli costanti e altre piccole attenzioni uniche nel loro genere quali ad esempio la stagionatura su letto di fieni cambiato con frequenza regolare. Riconosciuta dalla Comunità Europea con Reg. CE n° 1263 del luglio 1996 e garantita dal Ministero delle Risorse Agricole e Forestali, la DOP attesta la conformità di tutta la filiera produttiva ai parametri previsti dal disciplinare di produzione, assicurando la massima qualità ai consumatori e, al tempo stesso, tutelando il Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP dalle imitazioni. Il metodo di lavoro è antico e sempre uguale, mantiene inalterate le virtù di questo prosciutto crudo unico nel suo genere e raro essendo la produzione limitatissima, meno di 3000 cosce all’anno.
Dove assaggiarlo
Il Comitato per la Promozione e Valorizzazione del Vallée d'Aoste Jambon de Bosses DOP, partecipa ad alcune manifestazioni per far conoscere le caratteristiche del prodotto. A Saint-Rhémy-en-Bosses in luglio si tiene la Sagra del Vallée d'Aoste Jambon de Bosses DOP mentre il 13 agosto si svolge Percorso in Rosso, un filo conduttore tra le eccellenze eno-gastronomiche della Valle d'Aosta. A dicembre al Castello di Bosses si organizza "Il Re è Crudo" una serie di serate di degustazione con verticali e orizzontali di prosciutto. Nel periodo autunnale invece l'appuntamento è al Marché au Fort al forte di Bard.

VALLE D' AOSTA LARD D'ARNAD
Valle d'Aosta Lard d'Arnad DOP è un preparato a base di carne a Denominazione di origine protetta tipico di Arnad, nella bassa Valle d'Aosta.
Si ottiene dal lardo di spalla di maiale (l’animale del peso di almeno 160 kg e d’età non inferiore ai 9 mesi), la cui carne deve essere rosata e senza macchie; il peso è variabile dai 3 etti ai 4 kg, la forma è a trancio quadrangolare. Dai tempi più antichi e fino alle più recenti disposizioni di tipo igienico, il Lardo veniva conservato e stagionato nei “doils”, forme di legno di castagno con particolari incastri che non facevano fuoriuscire la salamoia; oggi i recipienti per questo uso sono di vetro.
La preparazione prevede la rifilatura del lardo che, privato della cotenna, è posto nel recipiente di vetro a strati alternati con sale e acqua (precedentemente fatta bollire con sale ed aromi quali pepe, rosmarino, alloro, salvia, chiodi di garofano, cannella, ginepro, noce moscata, achillea). Il recipiente viene chiuso, quindi, con un coperchio su cui è posto un peso; inizia così la stagionatura che si protrae fino ad un anno: per una conservazione prolungata il lardo viene posto, coperto di vino bianco, in vasi a chiusura ermetica.
Consumazione
Si consuma affettato sottilmente, posto su fette di polenta abbrustolite e calde, in modo che, sciogliendosi, il salume sprigioni il suo aroma dolce e delicatamente aromatico oppure in una preparazione tipica, il "bocon du diable", su una fetta di pane di segale, abbrustolito in teglia con aglio e spalmata di miele (alternativamente alla motsetta di camoscio, altro salume tipico della zona).

VENTRICINA ABRUZZESE
La Ventricina è un salume tipico del territorio a confine tra Abruzzo e Molise. Esso comprende circa 30 comuni, tra cui Vasto, Montecilfone e Montenero di Bisaccia. È uno dei salumi italiani più cari: solo carne nobile suina ne costituisce l'ingrediente principale con una percentuale di magro dell'ottanta per cento, mentre il grasso 20% proviene dalla parte dorsale più soda. È tutta tagliata a punta di coltello a formare cubetti difformi di 2-4 cm. Una volta pronta la carne, nella concia viene immessa una percentuale più alta di peperone trito dolce ed una piccola percentuale di peperoncino. Altro ingrediente il finocchietto. Come conservante nella ventricina tradizionale contadina viene usato solo il sale. Dopo 48 ore di riposo l'impasto viene insaccato nella vescica del maiale. In origine veniva usato lo stomaco del suino (il ventre) e da ciò il nome ventricina. La stagionatura è sempre superiore a 120 giorni.
La ventricina teramana
È prodotta con carne e grasso del maiale (la percentuale di grasso è il 70-80% dell'impasto). Carne e grasso vengono macinati finemente aggiungendo aglio, sale, pepe bianco e nero macinati, il peperoncino dolce e piccante, buccia di arancia, rosmarino, pasta di peperoni, semi di finocchio.
A volte sono aggiunte altre spezie del territorio abruzzese. L'impasto viene insaccato e appeso in involucri come la vescica o lo stomaco di maiale, il budello sintetico e recentemente anche in contenitori di vetro.
La ventricina del Vastese
Solo l'origine etimologica è uguale a quella teramana perché era il ventre (lo stomaco del maiale) usato come contenitore-involucro. Ingredienti fondamentali e procedura di taglio ed impasto così come la stagionatura non hanno nulla a che vedere tra loro. La ventricina del vastese ha una minima percentuale di grasso (25% dell'impasto) e i tagli magri sono quelli nobili del maiale: prosciutto, lombo, filetto. La carne è tagliata a cubetti di misura non inferiore a 2 cm. Le spezie sono il peperone torto (detto corno di capra) tritato dolce e piccante. La stagionatura va da quattro mesi minimo in poi, oltre che un salame è una riserva di carne pregiata. Nel 2009 Ventricina del Vastese ha vinto il IV Campionato Italiano del Salame risultando il salume più buono e naturale.

ZAMPONE MODENA
Lo Zampone Modena è un salume a Indicazione geografica protetta (IGP). Esso viene prodotto con un impasto di carni suine, avvolto dall'involucro formato dalla zampa di un maiale. Ha una consistenza soda ed uniforme ed un colore rosa brillante tendente al rosso. La tradizione colloca il primo zampone agli inizi del XVI secolo a Mirandola, durante l'assedio di Papa Giulio II del 1511. La zona di produzione dello zampone di Modena comprende, oltre a Mantova, Cremona ed alcune altre zone del Nord Italia. Dal 1991 il paese di Castelnuovo Rangone in provincia di Modena detiene il record del mondo, iscritto nel Guinness dei primati, dello zampone più grande del mondo: nel 2000 ha raggiunto un peso di 450 kg, nel 2006 di 751 kg. Al 2008 risale l'ultimo primato con uno zampone del peso di 942 kg.