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domenica 1 gennaio 2023

Corso di materie prime tipiche del beverage: Lezione 1 Vini liguri piemontesi valdostani

 

VINI LIGURI 1

VINI LIGURI 2




ALBA



L'Alba è un vino a DOC prodotto nelle Langhe cuneesi.
 Sono previste le tipologie "Alba" e "Alba riserva", entrambe prodotte con une Nebbiolo almeno al 70% e Barbera almeno al 15%, con un massimo del 5% di altre uve piemontesi. Il disciplinare è stato approvato con DM il 30 novembre 2011.

ALTA LANGA

 

La zona di produzione delle uve dei vini appartenenti alla denominazione Alta Langa Doc è costituita dai terreni collinari situati nei territori di 142 comuni, nelle province di Cuneo, Asti ed Alessandria, alla destra del fiume Tanaro. Vitigni sono Pinot Nero e/o Chardonnay 90-100%; per l’eventuale restante percentuale possono concorrere le uve di altri vitigni non aromatici, autorizzati nella zona. L’Alta Langa Docg è un vino spumante metodo classico prodotto nelle tipologie: Bianco e Rosato. La gradazione minima deve essere di 11,5 gradi. All’esame visivo l’Alta Langa spumante bianco si presenta brillante, con spuma fine e persistente e colore giallo paglierino più o meno intenso; l’odore è netto, fruttato e complesso, con sentori che ricordano il lievito, la crosta di pane e la vaniglia; il sapore è secco, sapido e strutturato. Lo spumante rosato si presenta brillante, con spuma fine e persistente e colore rosa più o meno intenso; l’odore è netto, fruttato e complesso con sentori che ricordano il lievito, la crosta di pane e la vaniglia; il sapore è secco, sapido e ben strutturato. E' un vino da degustare alla temperatura di 6-8°C. Ottimo come aperitivo si abbina facilmente con pesci e carni bianche ma anche con antipasti e primi leggeri.

ARNEIS


Roero Arneis D.O.C.G. - D.M. 23 marzo 2006. Sulle arenarie siccitose del Roero, terreni soffici e permeabili dove gli strati sabbiosi sono inframmezzati da sottili strati di marne, l'Arneis acquista profumi sottili ed eleganti che richiamano i fiori bianchi e suggestioni di frutta fresca che vanno dalla mela alla pesca alla nocciola. Brillante nel suo giallo paglierino che scarica vivaci riflessi verdognoli, si propone secco e delicatamente acidulo al palato, con una gradevole persistenza di retrogusto amarognolo. Deriva dalla vinificazione di uve Arneis in purezza e la gradazione alcolica minima complessiva è di 11 gradi.
Accanto alla tradizionale vinificazione esiste la possibilità di produrre il Roero Arneis Spumante: in questo caso abbinato ad una spuma persistente emergono sentori di lievito, di crosta di pane e di vaniglia. Questo vino bianco che nasce dalle uve di un vitigno antico e spesso ricordato con il nome latino "Renexium" nelle zone viticole del Piemonte, è stato protagonista negli ultimi trent'anni di un singolare caso di rinascimento vitivinicolo nel Roero, la zona collinare alla sinistra del fiume Tanaro. Citato a partire dalla fine del '400 in vari documenti che si riferiscono a questo territorio, oggetto di esperimenti di vinificazione come vermout verso la fine del '700, fino all'800 era considerato uno dei vitigni più validi e radicati nella mentalità produttiva, tanto che il suo vino era citato espressamente negli inventari contabili come "bianco Arnesi" mentre il resto andava sotto la voce di "bianco di uve diverse".
Secondo l'usanza del tempo era prodotto probabilmente come vino dolce, ma le sue scorte nelle cantine equivalevano, quando non le superavano, a quelle del Nebbiolo.
Ancora agli inizi del '900 era talvolta definito come Nebbiolo bianco e la sua immagine era già legata esclusivamente al Roero.
Poi fu fatalmente colpito dalla crisi della viticoltura e dallo spopolamento delle campagne a cavallo delle due guerre mondiali, al punto che alla fine degli anni sessanta era ridotto a pochi ettari di impianto, filari sparsi qua e là tra quelli di Nebbiolo, soprattutto a contorno dei vigneti per tenere lontani gli uccelli dalle uve nere, più remunerative, con acini dolcissimi e di precoce maturazione.
E' stata intuizione imprenditoriale di alcuni produttori vitivinicoli che hanno voluto imporre un bianco di valore in una terra che sembrava destinata solo ai vini rossi, a ridare visibilità e prestigio al vino e al suo territorio d'elezione: il Roero.
Cavalcando l'onda dei vini bianchi richiesti dal mercato negli ultimi decenni è diventato in poco tempo il bianco piemontese più di moda, dando fiato agli impianti ed alla produzione. Ama la cucina semplice ed elegante, il pesce naturalmente, soprattutto quello di lago e di fiume, le carni bianche, le verdure, i primi delicati di pasta e di riso. Nella versione passita, che profuma deliziosamente di miele e di frutta secca, accompagna i dolci più sontuosi con sicura personalità.
Nel 1994 viene costituito l'attuale Consorzio di Tutela Barolo, Barbaresco, Alba Langhe e Roero, punto di riferimento per le aziende vitivinicole del territorio tra Langa e Roero, che hanno individuato in questa struttura lo strumento più idoneo per affrontare insieme ed in modo autorevole i problemi di sviluppo e di organizzazione della propria realtà e del settore nel suo complesso.
Caratteristiche organolettiche
colore: paglierino più o meno intenso, con riflessi leggermente ambrati.
odore: delicato, fresco ed erbaceo o legnoso.
sapore: asciutto, gradevolmente amarognolo, erbaceo e tannico (aspro)

ASTI

Denominazione di Origine Controllata e Garantita dal 1993 l’Asti è un vino di color giallo paglierino caratterizzato da un'intensa componente aromatica che ricalca il profumo dei grappoli maturi dell'uva moscato, accompagnata da un basso tenore alcolico e da un'armoniosa dolcezza. Deriva dalla vinificazione in purezza del vitigno moscato bianco e si presenta nelle due tipologie Asti Spumante" e Moscato d'Asti. Il primo è un vino spumante caratterizzato da un perlage fine e persistente, una gradazione compresa tra 7 e 9,5 gradi, mentre il secondo, fermo o talvolta vivace con un tenore alcolico inferiore, compreso nei limiti di 4,5 - 6,5 gradi, presenta una maggior dolcezza, dovuta ad una parziale fermentazione dello zucchero contenuto nell'uva. In virtù della diversa pressione interna alle bottiglie, l'Asti Spumante è identificabile dal fratello Moscato d'Asti dal tappo: il primo presenta il classico tappo a fungo, mentre il secondo un tappo raso.
L'area di produzione, delimitata ufficialmente fin dal lontano 1932, comprende 52 Comuni delle province di Alessandria, Asti e Cuneo.
Senza dubbio il moscato fu la prima uva a essere coltivata per via dei suoi profumi intensissimi e la sua dolcezza. Naturalmente non è il moscato che intendiamo oggi, quell'antico vitigno si è trasformato nel tempo nei tanti moscato che popolano le colline che si affacciano sul Mediterraneo ed ognuno ha avuto una vita diversa. Dallo zibibbo di Pantelleria al moscato bianco di Canelli le differenze si notano immediatamente, ma si nota anche una notevole parentela.
Il termine moscato deriva dal vocabolo latino "cuscus", un'essenza che veniva estratta dalla ghiandola di un piccolo animale e che veniva molto usata in profumeria, e significa semplicemente profumato, speziato.
La coltivazione del moscato nelle Langhe e nel Monferrato, inizia presumibilmente nel 1200, mentre la prima documentazione scritta del commercio di vino "moscatello" risale al 1593.
Dai due milioni di bottiglie dell'immediato dopoguerra, oggi la produzione tocca gli ottanta milioni Questo vistoso aumento della produzione è stato possibile grazie all'ampliamento dei vigneti in zona di origine, a scapito di altre varietà di uve meno ricercate e meno nobili.
Moscato d'Asti è un vino dolce a DOCG.

Da notare che Asti spumante e Moscato d'Asti, pur facendo parte della medesima denominazione Asti ed essendo ambedue espressioni di moscato bianco, sono due vini molto diversi: il primo è uno spumante, il secondo no. Spesso sono confusi dal consumatore nonché, cosa più grave, dai ristoratori.
In effetti il Moscato d'Asti, non subendo la presa di spuma, è caratterizzato talvolta da una lieve frizzantezza naturale (si dice che è "vivace") oppure è tranquillo. Il disciplinare prevede entrambe le possibilità.
La prima delimitazione della zona di produzione dell'Asti risale al 1932.
Vitigni con cui è consentito produrlo: Moscato Bianco 100%
Tecniche di produzione: I vigneti possono insistere esclusivamente su terreni collinari. Per i nuovi impianti e i reimpianti la densità non può essere inferiore a 4.000 ceppi/ha. Le forme di allevamento consentite sono a controspalliera. È vietata ogni pratica di forzatura ed anche l'irrigazione di soccorso.
Tutte le operazioni di vinificazione debbono essere effettuate nella zona DOC.
Produzione e invecchiamento
La produzione varia ogni anno da una provincia all'altra, secondo un accordo stipulato tra la parte industriale e quella agricola. Non è previsto per legge un invecchiamento minimo, tuttavia il moscato è un vino da bersi giovane, possibilmente nel giro di un anno, un anno e mezzo al massimo.
Caratteristiche organolettiche
colore: paglierino giallo più o meno intenso;
odore: caratteristico e fragrante di Moscato;
sapore: dolce, aromatico, caratteristico, talvolta vivace;
Cenni storici
Il Moscato bianco è un vitigno antico, proveniente dal bacino orientale del Mediterraneo. La diffusione di queste uve è dovuta dal particolare gusto dolce che si otteneva facendole appassire.
A partire dal Trecento, il vino dolce aromatico divenne molto ricercato, e grazie principalmente ai commerci che Venezia aveva nel Mediterraneo orientale si diffuse nella penisola italiana con il nome di "vino greco".
Nel 1511, l'uva è citata come "Muscatellum" negli statuti di La Morra, e nel 1597, sono richieste talee di Moscato alla comunità di Santo Stefano Belbo da parte del duca di Mantova.
Giovan Battista Croce, milanese, si trasferì in Piemonte alla fine del XV secolo, gioielliere del Duca di Savoia Carlo Emanuele I, può essere considerato, secondo Renato Ratti, il fondatore della branca enologica piemontese che ha dato origine ai vini dolci, aromatici e poco alcolici tra i quali primeggia il Moscato d'Asti.
Proprietario di un vigneto tra Montevecchio e Candia, il Croce produsse alcuni vini ottenuti da sperimentazioni da lui stesso eseguite e pubblicate in un libro dal titolo " Della eccellenza e diversità dei vini che sulla montagna di Torino si fanno e del modo di farli" (stampato nel 1606).
In questo manuale Giovan Battista Croce trattò di alcune tecniche ancora attuali al giorno d'oggi dalla spremitura, alla purificazione, che consiste di asportare tutte le sostanze impure dal vino ( sostanze pectiche e mucillaginose ), fino all'uso del freddo per bloccare la fermentazione.
La divulgazione di queste notizie, permise lo sviluppo del "vino bianco" in tutto il Piemonte e l'affermazione di questo sui mercati mondiali.
Il Consorzio per la tutela dell'Asti
Il Consorzio per la tutela dell'Asti è stato ufficialmente costituito il 17 dicembre 1932 e venne riconosciuto nel 1934.
Nato con l'intento di definire la zona d'origine, il vitigno, la tecnica di preparazione e la tipologia finale, oggi ha il compito anche di promuovere la conoscenza e la diffusione dell'Asti in tutto il mondo, oltre che vigilare sulle caratteristiche qualitative.
Nel caso che il prodotto sia ritenuto non idoneo, il marchio consortile non viene concesso.
La sede del Consorzio è in Piazza Roma 10 ad Asti nel Palazzo Gastaldi.
Abbinamenti consigliati
Dolci in genere. Ultimamente si consiglia anche con formaggi e salumi o generiche pietanze salate. Si abbina facilmente con i cibi speziati o piccanti, tipico abbinamento soprattutto negli Stati Uniti è il Moscato d'Asti con la cucina etnica soprattutto indiana.

BARBARESCO


https://youtu.be/KMXn6MYWUdY

La nascita del Barbaresco sconfina quasi nella leggenda. Infatti nel comune di Neive, al servizio del Conte di Castelborgo, operò l’enologo e mercante Louis Oudart che attrezzò la cantina e che, per primo nell’area, produsse con le uve nebbiolo un vino secco, stabile e quindi commerciabile, che, con il nome Neive, ottenne una medaglia d’oro all’Esposizione di Londra del 1862. Con le stesse tecniche utilizzate dall’Oudart per il Neive trent’anni più tardi fu prodotto nel castello di Barbaresco il primo vino Barbaresco.
Il Barbaresco è un vino DOCG la cui produzione è consentita nella provincia di Cuneo (comuni di Barbaresco, Neive, Treiso, Alba ma solo parte della frazione San Rocco). Il vino è ottenuto unicamente dalle uve Nebbiolo (sottovarietà Michet, Lampia e Rosé). Deve essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento di almeno due anni, di cui almeno un anno in botti di rovere o di castagno, a decorrere dal 1 gennaio dell'anno successivo a quello della vendemmia.
Ha colore granato con riflessi aranciati, profumo caratteristico, etereo, con note di pepe verde, spezie e mandorla amara e sapore elegante fine, di corpo, speziato.
Il Barbaresco d.o.c.g è adatto per la cucina nazionale ed internazionale. Va servito a 18-20 gradi, eventualmente decantato in bottiglia. A tavola si sposa egregiamente con primi piatti potenti o abbinati al tartufo bianco, funghi porcini e cucina piemontese, tipo tajarin al tartufo bianco o ravioli d'anatra con tartufo bianco. E’ particolarmente indicato con vari tipi di carni rosse alla griglia e carni rosse da pelo, agnello al forno, arrosti, brasato (al Barbaresco), lepre al vino e in salmì, cinghiale, selvaggina in genere, cacciagione a piuma, pollame nobile, rognoncini trifolati, fegatini. Si abbina bene con formaggi stagionati e piccanti, il castelmagno, il grana padano, il pecorino romano, il montasio, il parmigiano reggiano.

BARBERA


 
 
https://youtu.be/1tWvT3i00uo
 



Per prima cosa il nome: la barbera o il barbera? In Piemonte il vino e' sempre stato indicato al femminile, mentre il maschile si riferisce al vitigno. Quindi chiamiamo questo italianissimo vino "la" barbera, come un simpatico vezzo distintivo. E' il vitigno a bacca rossa piu' diffuso in Piemonte, certo per la sua resistenza al clima e ai parassiti.
Nel Liber Ruralium, celebre trattato di enologia e viticoltura del Medioevo, Pier de' Crescenzi, giudice in Asti, nel 1304 cita, tra le varieta' di uve, la Grissa, cioe' la Grigia, da cui si ricava "un ottimo vino, molto potente, tenuto in grande onore nella citta' di Asti". Con ogni probabilita' era proprio la barbera. Tuttavia le prime notizie certe della sua presenza si hanno nel '700 e da allora il suo successo e' stato grandissimo, sicuramente aiutato dal disastro provocato dalla fillossera. Fu uno dei pochi vitigni a salvarsi e ad essere quindi innestato nella vite americana che non teme il terribile parassita.
Per decenni ha rappresentato il tipico vino da pasto. Poi alcuni produttori ne hanno via via migliorato la qualita' e l’immagine, esaltandone le grandi capacita' di invecchiamento e le ottime potenzialita', facendolo diventare in alcuni casi un vino da meditazione. La Barbera puo' essere messa in commercio l'anno successivo a quello della vendemmia dichiarato in etichetta. Tuttavia, due o tre anni di affinamento esaltano le sue caratteristiche organolettiche. Ne sono riconosciute 7 DOC, tra cui Barbera d'Alba, di Asti e del Monferrato.
Abbinamenti: Antipasti caldi, primi piatti (tajarin con fegatini), pollo alla cacciatora, arrosti, formaggi a media stagionatura o cremosi.

BAROLO

 

Il Barolo è un vino DOCG Denominazione di Origine Controllata e Garantita, ottenuto dalla fermentazione di uva Nebbiolo in purezza nelle sue tre varietà Michet, Lampia e Rosé anche se quest’ultimo è un vitigno differente dal nebbiolo, anche se uno suo stretto parente
Deve essere invecchiato minimo 3 anni a decorrere dal 1º gennaio dell'anno successivo alla vendemmia, di cui almeno 2 in botti di rovere o castagno. Se invecchiato per un periodo minimo di 5 anni, cui almeno 2 in botti di rovere o castagno, può fregiarsi della dicitura Riserva.
La gradazione alcolica minima deve essere di almeno12,5°. La zona di produzione è in provincia di Cuneo, in Piemonte.
Vino di colore rosso granato con riflessi aranciati, al naso si presenta intenso e persistente, ovvero con un patrimonio olfattivo eccezionalmente complesso, che tende a prediligere, a seconda dello stato evolutivo, note fruttate e floreali come viola e vaniglia o note terziarie come goudron e spezie.
In bocca le componenti "dure" (acidità, tannini, sali) risultano piacevolmente equilibrate da quelle "morbide" (alcoli e polialcoli), con una intensità e persistenza eccezionali che fanno del Barolo un vino potente, elegante e di grande personalità. Il Vino Barolo prende il nome dalla nobile famiglia Falletti, marchesi di Barolo, che ne iniziarono la produzione nei loro vigneti. Si racconta che un giorno la marchesa Falletti offrì al re Carlo Alberto, 300 carrà di Barolo, perché il Re aveva espresso il desiderio di assaggiare quel "suo nuovo vino"; l'omaggio passò alla storia: le carrà erano infatti botti da trasporto su carro, della capacità di circa 600 litri (12 brente). Carlo Alberto rimase così entusiasta del vino avuto in dono che decise di comprare la tenuta di Verduno per potervi avviare una sua produzione personale.
Il vino Barolo, vino da meditazione per eccellenza, trova il giusto abbinamento con piatti come arrosti di carne rossa, brasati, cacciagione, selvaggina, cibi tartufati, formaggi a pasta dura e stagionati.

BRACHETTO D'ACQUI




Anche se qualcuno lo vuole importato dalla Provenza, si ritiene il vitigno Brachetto originario delle provincie di Asti e Alessandria, in particolare della zona di Acqui Terme. Pare ce ne siano tracce giaàin epoca romana, tanto che Plinio parla di un vinum aquense, dolce e aromatico, molto apprezzato per i suoi poteri afrodisiaci.
 Il vitigno nasce e cresce in una zona famosa per le sue terme: la cittadina di Acqui Terme e' infatti una rinomata stazione termale, conosciuta gia' dai Romani, come Aquae Statiellae. Famosa per la Bollente, fonte ottocentesca nella piazza principale, da cui sgorga l'acqua a una temperatura di 75 gradi, Acqui quindi coniuga il buon vino con il benessere, elementi che vanno sicuramente d'accordo.
La tradizione popolare vuole che il brachetto fosse il vino preferito da Gianduia, Gioan de la duja, cioe' Giovanni dal boccale, la maschera torinese, che dalla sua spuma fragrante e finemente dolce, traeva la sua allegria e la sua fama di gran bevitore.
Apprezzato già nell'800, ma poi messo da parte dalla moda del brut. Poco alcolico e profumato di rose era considerato il vino delle donne per eccellenza e nelle riunioni domenicali nella campagna piemontese addolciva le chiacchiere femminili.
Offre alla vista un bellissimo colore rosso rubino, tendente al granato chiaro o al rosato ed all'olfatto un profumo di rosa, di fragola, con sentori muschiati; il suo sapore e' dolce, morbido e delicato. Dal corpo debole, ha una sapidita' appena accentuata e una discreta acidita' che lo rende piacevolmente fresco. Si serve ad una temperatura di 8-10 gradi circa, in un calice a tulipano, e si abbina perfettamente a pasticceria secca, crostate ai frutti di bosco, cannoncini alla panna, bavarese ai lamponi, madeleine e pesche ripiene.
Il consumo deve avvenire dopo un anno, massimo due dalla vendemmia, per poter apprezzare al meglio la fragranza del profumo e la freschezza, le sue caratteristiche principali.

DOLCETTO

Dolcetto
Esistono due tipologie di Dolcetto DOCG: il Dogliani superiore la cui produzione è consentita nella provincia di Cuneo e l’Ovada superiore la cui produzione è consentita nella provincia di Alessandria.
La gradazione alcolica minima deve risultare di almeno 12,5 °C. L’acidità totale deve essere minimo del 5‰. E’ ottimo nell'annata, deve essere invecchiato almeno 1 anno, ma si conserva bene per 2÷3 anni.
Ha colore rosso rubino tendente al violaceo o al granato. Il suo odore è vinoso, gradevole, caratteristico, talvolta con sentore di legno. Il sapore risulta di moderata acidita', asciutto, amarognolo, delicato, gradevole, di discreto corpo, armonico, con sentore mandorlato o di frutta. La temperatura di degustazione consigliata varia da 16 a 20 °C. Per gustare completamente tutte le sue qualità occorre sturare la bottiglia a temperatura ambiente, maneggiando delicatamente per evitare di scuotere l'eventuale deposito.
L’abbinamento gastronomico prevede: antipasti robusti, primi piatti con sughi di carne, risotti, minestre, fritto misto piemontese, carne cruda tritata anche insaporita con scaglie di tartufo bianco, carni bianche, cotechino/salamelle, salumi, è vino da tutto pasto.

ERBALUCE DI CALUSO
Le prime notizie del vitigno Erbaluce risalgono al 1606; esso è stato menzionato per la prima volta in un suo libro da Giovan Battista Croce, gioielliere presso il duca Carlo Emanuele I. Il nome del vitigno deriva dal colore che assumono gli acini in autunno: i riflessi rosati e caldi si fanno più intensi, ambrati, nelle parti esposte al sole. Questa Docg viene prodotta in diverse tipologie: oltre il Tranquillo, esistono le versioni Spumante e Passito. Questo vino è ottenuto con le uve del vitigno Erbaluce coltivate in una ristretta zona viticola di cui il comune di Caluso (Torino) è l'epicentro e che si estende fino alle province di Vercelli e di Biella. Può essere usato sia come aperitivo, sia durante il pasto, abbinandolo ad antipasti e piatti a base di pesce.

FREISA D'ASTI
Il Freisa d'Asti è un vino DOC la cui produzione è consentita nella provincia di Asti.
Caratteristiche organolettiche
colore: rosso granato cerasuolo piuttosto chiaro, con tendenza a leggero arancione quando il vino invecchia.
odore: caratteristico, delicato, di lampone e di rosa.
sapore: amabile, fresco con sottofondo assai gradevole di lampone.
In genere la Freisa veniva vinificata soprattutto in versione spumante o "mossa". Se ne ottiene così un vino di facile accesso, beverino e poco impegnativo, abbastanza vicina come tipologia ai lambruschi mantovani e reggiani o alla bonarda dell'oltre Po. Questa scelta deriva anche dal fatto che la Freisa, benché sia genealogicamente una parente stretta del ben più famoso Nebbiolo, l'uva principe del Piemonte, ha con una componente tannica sensibilmente più marcata di questo. Da alcuni decenni è però prodotta in versione "ferma". Vino da tutto pasto, di buon corpo, è secco e asciutto.

GATTINARA
Il Gattinara è un vino DOCG prodotto con il vitigno nebbiolo, con eventuale aggiunta di vespolina (max 4%) oppure bonarda (max 10%) purché tali vitigni non superino il 10% totale,. la cui produzione è consentita nella provincia di Vercelli, esclusivamente nel territorio del comune omonimo.
Di colore rosso granato tendente all'aranciato, ha odore fine di viola e sapore asciutto, armonico, con caratteristico fondo amarognolo.
Titolo alcolometrico minimo 12,5% e affinamento minimo di 36 mesi di cui almeno un anno in botti di legno. Nella versione riserva, con titolo alcolometrico minimo di 13%, l'affinamento è di minimo 48 mesi di cui almeno due anni in botti di legno.
Si abbina bene a carni rosse di selvaggina e cacciagione, arrosti, brasati, formaggi stagionati a pasta dura. Ottimo anche utilizzato per cucinare il risotto che prende il nome di risotto al gattinara.

GAVI

Il Gavi o Cortese di Gavi è un vino bianco piemontese DOCG prodotto esclusivamente da vitigno Cortese in provincia di Alessandria. Se vendemmiata precocemente, l'uva Cortese offre vini acidi, di colore e struttura leggera, da consumarsi nei primi tre anni. Ma il Gavi prodotto da uve più mature, di maggior struttura, può affinare a lungo in bottiglia aprendosi a profumi terziari e minerali di grande eleganza. La gradazione alcolica minima deve essere di 10,5%; l’acidità totale minima 5 per mille. Viene prodotto in tre diverse tipologie: tranquillo, frizzante e spumante.
Di colore paglierino più o meno intenso, limpido ha odore caratteristico, delicato e sapore asciutto, gradevole di gusto fresco e armonico.
Come aperitivo va degustato a 8-10 °C; in tavola a 12 °C. Si accompagna con antipasti, zuppe, primi piatti di pasta, pesce (insalate di mare, alici marinate, gamberi bolliti conditi con olio/limone), fritti di verdure, carni bianche e nelle tipologie più strutturate anche con formaggi caprini o erborinati. Secondi di pesce come trota alla mugnaia, merluzzo bollito condito con olio e limone, orata al forno o al sale.

GHEMME



https://youtu.be/cStmL_tEqEk

Il Ghemme è un vino DOCG la cui produzione è consentita nell'omonimo comune ed in parte nel comune di Romagnano Sesia, in provincia di Novara. Vino prodotto con i vitigni nebbiolo (biotipo spanna) e vespolina (fino ad un massimo del 25%) e/o eventualmente uva rara (bonarda novarese). Titolo alcolometrico minimo 11,5%. Affinamento minimo di tre anni di cui almeno venti mesi in botti di rovere e almeno nove mesi in bottiglia.
Può essere designato in etichetta con la menzione "riserva" qualora derivi da uve aventi un titolo alcolometrico naturale minimo del 12,5% e sia stato sottoposto ad un periodo di invecchiamento di quattro anni, di cui almeno venticinque mesi in botti di legno e almeno nove mesi in bottiglia.
 Il colore è rosso granato intenso con riflessi mattonati dopo lunga maturazione; l’odore ha profumo caratteristico intenso di violette, con sentori speziati, etereo e di liquirizia; il sapore è tannico e particolarmente strutturato, buona acidità con fin di bocca amarognolo. L'uvaggio con l'uva rara (vitigno inserito nella disciplinare insieme alla vespolina) ammorbidisce i toni del nebbiolo che è il vitigno principale di questa docg.
La prima testimonianza del Ghemme risale ad una iscrizione romana sulla lapide di Vibia Earina, di proprietà di Vibio Crispo, senatore romano ai tempi di Tiberio, rinvenuta nei pressi di Ghemme, un reperto archeologico che è la prova della coltivazione nella zona della vite fin dai tempi dei Romani. Essi possedevano in queste terre delle vere e proprie vigne modello che coltivavano seguendo regole stabilite in tutte le fasi di produzione, dall'impianto delle viti alla vinificazione. La località, quella appunto che oggi conosciamo, era chiamata ‘pagus Agamium’, da cui il nome Ghemme. Già Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis historia del 77 d.C., parla di “un vitigno ‘spionia’ (nome che ricorda da vicino un altro vino novarese, lo Spanna, ndr)” caratteristico per la maturazione che avviene alle prime nebbie di autunno, particolarità questa tipica delle uve di Nebbiolo. Un'importante testimonianza non tanto sul vino in sé, ma sui luoghi dove nasce, l'ha lasciata Stendhal ne La Certosa di Parma (romanzo), romanzo storico scritta alla fine del 1838. Lo scrittore attribuisce alla madre di Fabrizio Del Dongo, il protagonista, una proprietà a Romagnano Sesia: “Si stabilì a poca distanza da Romagnano, in un magnifico palazzo […] disabitato da una trentina d'anni, tanto che vi pioveva in tutte le stanze e neppure una finestra chiudeva. S’impossessò dei cavalli dell'amministratore, che egli montava senza soggezione tutto il giorno…”. Forse lo stesso Stendhal aveva cavalcato fra le colline del Ghemme, dimostrazione della dovizia di particolari con cui lo scrittore descrive quelle zone. Lo storico novarese Angelo Luigi Stoppa parla della “villa del Cavanago che in quegli anni si trovava nelle misere condizioni descritte da Stendhal”, come aveva potuto appurare lui stesso da alcuni documenti locali dell'epoca. Oggi quel palazzo è stato ristrutturato ed è raggiungibile percorrendo una strada che fiancheggia la collina con i vigneti che producono l'uva del Ghemme. Un'altra testimonianza nei secoli del Ghemme ci è data dallo storico Carlo Dionisotti che, nel 1871, citando proprio Plinio, parla del metodo di coltivazione della vite e asserisce che nella zona del Ghemme è “ancora praticato” come allora. Con il tempo le testimonianze si moltiplicano: da Fogazzaro che nel primo capitolo di Piccolo mondo antico, del 1895, cita il “vin di Ghemme” come accompagnamento di un pranzo organizzato dalla marchesa Maironi, a Mario Soldati che nel suo racconto L'albergo di Ghemme decanta questo vino: “Il Ghemme: eccellente, prim’ordine. Lo definirei un Gattinara più spesso, più scuro, più violento. Meno trasparente, meno liquoroso, meno raffinato: ma forse più genuino”. Il Ghemme diventa DOC nel 1969, mentre il disciplinare che istituisce la denominazione DOCG è stato istituito il 14 giugno del 1997.
Questo vino si abbina a primi piatti con ragù robusti, brasato al Ghemme, arrosti di carne rosse, selvaggina da piuma in salmì e allo spiedo, lepre in civet e tupalone, oltre che a tutti i formaggi stagionati.

MOSCATO D'ASTI




Da notare che Asti spumante e Moscato d'Asti, pur facendo parte della medesima denominazione Asti ed essendo ambedue espressioni di moscato bianco, sono due vini molto diversi: il primo è uno spumante, il secondo no. Spesso sono confusi dal consumatore nonché, cosa più grave, dai ristoratori. In effetti il Moscato d'Asti, non subendo la presa di spuma vera e propria, è caratterizzato da una leggera frizzantezza.
Vitigni con cui è consentito produrlo
Moscato Bianco 100%
Tecniche di produzione
I vigneti possono insistere esclusivamente su terreni collinari. Per i nuovi impianti e i reimpianti la densità non può essere inferiore a 4.000 ceppi/ha. Le forme di allevamento consentite sono a controspalliera. È vietata ogni pratica di forzatura ed anche l'irrigazione di soccorso.
Tutte le operazioni di vinificazione debbono essere effettuate nella zona DOC.
Caratteristiche organolettiche
colore: paglierino giallo più o meno intenso;
odore: caratteristico e fragrante di Moscato;
sapore: dolce, aromatico, caratteristico, talvolta vivace;
Abbinamenti consigliati
Dolci in genere. Ultimamente si consiglia anche con formaggi e salumi o generiche pietanze salate. Si abbina facilmente con i cibi speziati o piccanti, tipico abbinamento soprattutto negli Stati Uniti è il Moscato d'Asti con la cucina etnica soprattutto indiana

NEBBIOLO D'ALBA
Il Nebbiolo d'Alba è un vino DOC la cui produzione è consentita nella provincia di Cuneo.
Caratteristiche organolettiche
colore: rosso rubino più o meno carico con riflessi di granato per il vino invecchiato.
odore: profumo caratteristico, tenue e delicato che ricorda la viola che si accentua e perfeziona con l'invecchiamento.
sapore: dal secco al gradevolmente dolce di buon corpo, giustam. tannico da giovane, vellutato, armonico.
Abbinamenti consigliati
Ottimo con le carni di manzo, maiale e pollo. Come antipasti, è ben adatto ad affettati o formaggi. Comunque questo vino, pur essendo gustoso, si abbina molto bene con risotti, pasta e lasagne.

PINOT CHARDONNAY SPUMANTE PIEMONTE

Il Piemonte Pinot Chardonnay spumante è un vino DOC la cui produzione è consentita nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo.
Caratteristiche  organolettiche
colore: giallo paglierino
odore: caratteristico, fruttato
sapore: sapido, caratteristico
Resa (uva/ettaro) 110 q
Resa massima dell'uva 70,0%
Titolo alcolometrico naturale dell'uva 9,5%
Titolo alcolometrico minimo del vino 10,5%
Estratto secco netto minimo 17,0‰
Vitigni con cui è consentito produrlo Chardonnay: 0.0% - 100.0% Pinot Nero: 0.0% - 100.0%

ROERO
Il Roero è un vino DOCG la cui produzione è consentita in 19 comuni sulla riva sinistra del Tanaro, vicino ad Alba, nella provincia di Cuneo. Prende il nome dall'omonimo territorio, appunto il Roero.
Caratteristiche organolettiche
colore: rosso rubino più o meno intenso con riflessi granati se invecchiato.
profumi: delicato, fragrante fruttato e con profumo caratteristico, etereo se invecchiato.
sapore: asciutto, di buon corpo, vellutato, armonico di buona persistenza.
Cenni storici
Il 4 marzo 2014 è stato costituito il "Consorzio di tutela Roero" che ha la funzione di tutelare e valorizzare la DOCG "Roero". Tale DOCG si articola su due vini: il Roero, un vino rosso a base di uve nebbiolo, e il Roero Arneis, un vino bianco a base di uve arneis. Entrambi sono vitigni autoctoni.
Abbinamenti consigliati
La "Terra dei Vini" consiglia di accompagnare il vino Roero con carni in umido e bollite tipiche della regione Piemonte. Si può accompagnare anche con carni arrosto principalmente rosse. Ottimo con piatti a base di tartufo

RUCHÉ
Il Ruché di Castagnole Monferrato è un vino DOCG piemontese rosso della provincia di Asti, prodotto da un vitigno autoctono omonimo, presso una piccola zona nord-orientale del suo capoluogo. Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, con Decreto ministeriale 8 ottobre 2010, ne ha delimitato la DOCG in soli sette comuni astigiani: oltre Castagnole Monferrato, anche i vicini paesi di Montemagno, Grana, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi. Attualmente la denominazione ha un'estensione vitata di 110 ettari.
Caratteristiche
colore: rosso rubino non troppo carico, con leggeri riflessi violacei che poi divengono tendenti all'aranciato con l'invecchiamento.
odore: intenso persistente leggermente aromatico, fruttato.
sapore: secco o amabile, armonico leggermente tannico di medio corpo, leggera componente aromatica.
Cenni storici
Il suo nome ha etimologia incerta, tuttavia alcuni ipotizzano un legame in merito ai primi vigneti coltivati vicino a una chiesetta benedettina dedicata a san Roc (san Rocco), oggi inesistente, che si doveva trovare neri pressi di Portacomaro o Castagnole Monferrato. Il vitigno fu probabilmente importato durante il XII secolo da monaci cistercensi provenienti dalla Borgogna. Altri ancora pensano che il nome possa derivare dai tipici luoghi collinari, da cui il dialettale ruché, indicando l'erto arroccamento della vigna ben esposto al sole.
Ha un gusto unico e particolare, mediamente strutturato e generoso. Fino al XIX secolo, il vitigno veniva coltivato anche tra Monferrato e Langhe, ma il terreno a nord-est di Asti (leggermente meno alcalino) si presta meglio ad esaltarne le qualità. A Castagnole Monferrato verso la fine degli anni settanta, il parroco don Giacomo Cauda, insieme al sindaco Lidia Bianco - già segretaria della scuola d’agraria di Asti - si impegnarono nella sua rivalutazione qualitativa, fino a ottenerne la DOC nel 1987. Da allora, Il Ruchè un posto di nicchia nell'enologia, a livello nazionale e internazionale, di tutto rispetto. Infatti, sebbene ne sia autorizzato legalmente un taglio d'uvaggio del 10% di altre uve, quali brachetto e/o barbera, si preferisce produrlo puro. Successivamente, alcuni comuni limitrofi a Castagnole Monferrato si impegnarono con quest'ultimo per diffondere l'eccellenza qualitativa di tale vino.
Abbinamenti consigliati
È un ottimo vino da formaggi saporiti di media-alta stagionatura (Castelmagno, Grana Padano, tome varie) e per i piatti tipici piemontesi come la bagna cauda, la finanziera e gli agnolotti, si abbina molto bene con secondi di selvaggina.

ARNAD-MONTJOVET

Il Valle d'Aosta Arnad-Montjovet è un vino DOC la cui produzione è consentita in Valle d'Aosta.
colore: rosso rubino brillante con riflessi granata.
odore: fine, caratteristico, lievemente mandorlato.
sapore: secco, con fondo amarognolo, armonico.

BLANC DE MORGEX ET DE LA SALLE

Il Valle d'Aosta Blanc de Morgex et de La Salle è un vino DOC la cui produzione è consentita nella Regione Valle d'Aosta. Il vino pare prendere il nome da due comuni tra i vari in cui viene prodotto (Morgex e La Salle). Viene prodotto tra i più alti vigneti d'Europa, dai 900 ai 1200 m di altitudine.
Caratteristiche organolettiche
colore: giallo paglierino tendente al verdino.
odore: delicato con sottofondo di erbe di montagna.
sapore: secco, acidulo, leggermente frizzante, molto delicato.
Cenni storici
La data di inizio produzione è ancora incerta, alcune fonti la fissano intorno all'VIII secolo, altre invece lo vorrebbero importato in Valle d'Aosta verso l'anno 1630. Un'altra ipotesi è quella che il vitigno sia autoctono, scelto attraverso i secoli secondo una selezione attuata partendo da eventuali modificazioni o da spontanee seminagioni.
Abbinamenti consigliati
Adatto come aperitivo, si accompagna con antipasti delicati, con piatti di pesce o con carni bianche, è ottimo anche con formaggi come Fontina e Reblec.

CHAMBAVE MOSCATO

Il Valle d'Aosta Chambave Moscato (conosciuto soprattutto nella denominazione in francese Vallée d'Aoste Muscat de Chambave) è un vino DOC la cui produzione è consentita nella Valle d'Aosta.
Caratteristiche organolettiche
colore: giallo paglierino.
odore: intenso, caratteristico di moscato.
sapore: secco, fine, delicato e aromatico.
Cenni storici
È un vino prodotto da una varietà di vitigni, appartenenti alla famiglia dei moscati, giunta in Italia dall'Asia Minore in epoca pre-romana.
La zona di coltivazione dell'uva è situata lungo il corso della Dora Baltea, tra i paesi di Chambave, Châtillon, Pontey, Montjovet, Saint-Vincent, Saint-Denis e Verrayes, a quote collinari.
Abbinamenti consigliati
Vino da dessert adatto ad accompagnare biscotti e pasticceria secca; ottimo nello zabaione. Tuttavia si può servire anche come aperitivo, o abbinato a piatti di crostacei, pesce o a base di uova, oppure semplicemente come vino da degustazione.

ENFER D'ARVIER
Enfer d'Arvier
Il Valle d'Aosta Enfer d'Arvier è un vino DOC la cui produzione è consentita in Valle d'Aosta.
colore: rosso granata piuttosto intenso.
odore: delicato, con bouquet caratteristico.
sapore: secco, vellutato, di giusto corpo, gradevolmente amarognolo. L'Enfer d'Arvier doc si abbina gradevolmente a carni rosse, arrosti e selvaggina, bollito misti ma anche a piatti tipici come agnolotti di carne canavesani, fonduta, soupe paysanne con toma e fontina, polenta e salsicce, pernice e formaggi locali.

NUS
Il Valle d'Aosta Nus rosso è un vino DOC la cui produzione è consentita in Valle d'Aosta.
Caratteristiche organolettiche
colore: rosso intenso con riflessi granata.
odore: vinoso, intenso, persistente.
sapore: secco, vellutato, leggermente erbaceo.

TORRETTE
Il Valle d'Aosta Torrette è un vino DOC la cui produzione è consentita in Valle d'Aosta.
Caratteristiche organolettiche
colore: rosso vivace con riflessi violacei.
odore: profumo di rosa selvatica, tendente a mandorlarsi con l'invecchiamento in bottiglia.
sapore: secco, vellutato, di buon corpo, con fondo amarognolo
Abbinamenti consigliati
Salumeria tipica, carni bianche e rosse, formaggi locali di media stagionatura (Toma e Fontina).
Produzione
Le uve provengono da vigneti situati nei comuni di Quart, Saint-Christophe, Aosta, Sarre, Villeneuve, Saint Pierre, Aymavilles, Jovençan, Gressan, in destra e sinistra orografiche della Dora Baltea. La vendemmia è scaglionata nell’arco di dodici/quindici giorni in riferimento alle diverse altitudini ed esposizioni dei vigneti. I vigneti sono situati tra i 600 e gli 800 metri s.l.m..

Il Valle d'Aosta è dal 2002 un vino DOC rosso e bianco della Valle d'Aosta.
Attualmente, la denominazione Valle d'Aosta è suddivisa in sette sotto-denominazioni geografiche e in nove sotto-denominazioni secondo i vitigni in questione.
Le condizioni climatiche della Valle d’Aosta unitamente alle caratteristiche dei terreni, alla loro esposizione, giacitura e pendenza sono i punti di forza di una viticoltura di montagna che, inserita in un ambiente ancora incontaminato, ha saputo evolversi con modernità e oggi rappresenta una realtà significativa anche in termini economici.
A partire dagli anni ‘60, la Regione Autonoma Valle d’Aosta ha investito notevoli risorse finanziarie nel settore viticolo, attivando numerose iniziative che, nel volgere di pochi anni, hanno contribuito al recupero e successivamente allo sviluppo della coltivazione della vite.
Negli anni successivi il mondo viticolo valdostano ha assunto la piena consapevolezza che lo strumento di valorizzazione delle produzioni viticole locali si basava sul binomio qualità-territorio e che pertanto ogni sforzo doveva essere compiuto per ottenere il riconoscimento di origine per i principali vini prodotti.
La denominazione di origine controllata Valle d'Aosta Müller Thurgau, Pinot grigio, Pinot bianco, Chardonnay, Petite Arvine, Blanc de Morgex et de La Salle, accompagnata dalla menzione vendemmia tardiva è riservata ai vini ottenuti da uve sottoposte a parziale appassimento naturale sulla vite. La vinificazione del vino Valle d'Aosta Pinot nero può essere effettuata anche in bianco. La denominazione di origine controllata Valle d'Aosta Novello deve essere ottenuta con macerazione carbonica di almeno il 30% delle uve. La denominazione Valle d'Aosta Blanc de Morgex et de La Salle spumante può essere utilizzata per designare i vini spumanti naturali ottenuti con vini derivati dal vitigno Prié blanc e rispondenti alle condizioni stabilite dal presente disciplinare. La tipologia spumante deve essere ottenuta esclusivamente per rifermentazione naturale in bottiglia con permanenza sui lieviti per almeno 9 mesi e la durata del procedimento di elaborazione deve essere non inferiore a 12 mesi e deve essere posto in commercio nei tipi "extra-brut", "brut", "demi-sec" e "pas dosé" con l'indicazione del tenore zuccherino.