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martedì 3 gennaio 2023

Corso di materie prime tipiche del food: Lezione 4 I FORMAGGI

AGRÌ DI VALTORTA

L'Agrì di Valtorta è un formaggio prodotto con latte intero di vacca appena munto, a pasta cruda, fresco.
Zona di produzione: Valtorta
Descrizione
Diametro 3–4 cm, scalzo 4–6 cm.
Peso circa 50 grammi.
Sapore: delicato ed aromatico.
Odore: delicato.
Colore: bianco (fresco), giallo (stagionato)

AINUZZI

L'Ainuzzi è un formaggio di latte vaccino a pasta filata, prodotto nella provincia di Agrigento, in particolare nei comuni di Cammarata e San Giovanni Gemini. Si tratta di un prodotto tradizionale inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf). L'Ainuzzi ha la caratteristica di riprodurre nella sua forma animali quali daini, cervi o capre.

ASIAGO

Il formaggio Asiago è un prodotto caseario di latte di vacca a pasta semi-cotta e a denominazione di origine protetta. La storia del formaggio Asiago si perde con quella delle popolazioni dell’Altopiano di Asiago, da cui trae il nome. Convenzionalmente la sua origine si fa risalire intorno l’anno Mille poiché esistono rarissime testimonianze provenienti dall'altopiano Asiaghese relative ai secoli precedenti. Tra il decimo ed il quindicesimo secolo nell'altopiano dei Sette Comuni, fertilissimo di buone erbe, l’allevamento ovino era l’attività predominante. Grazie ad esso si produceva un gustoso formaggio di latte di pecora e si ricavava la lana destinata alle attività tessili, artigianali prima ed industriali poi, delle valli dell'Alto Vicentino. Con la modernizzazione delle tecniche, intorno al 1500 gli allevamenti bovini cominciarono gradualmente a sostituire quelli ovini. Tale sostituzione si completò definitivamente solo attorno al XIX secolo. In tale periodo la tecnica casearia, che ancor oggi si conserva nelle malghe altopianensi, venne notevolmente affinata e si trasferì anche nei piccoli e medi caseifici disseminati nella zona di produzione.
La produzione dell’Asiago, prevalente fin a metà Ottocento sull’altipiano omonimo, si estese a poco anche nella parte pedemontana, nelle zone di pianura limitrofe e nelle vicine malghe trentine. La causa principale di tale diffusione fu l’ingente spopolamento dell’Altopiano dei Sette Comuni dovuto all’utilizzo del territorio quale linea di fronte durante la Prima Guerra Mondiale. In quel periodo, si produceva solo l’Asiago d’allevo (detto nel dialetto locale “pegorin”), le cui forme fragranti a seconda della lavorazione e della maturazione, venivano tagliate solo dopo mesi di stagionatura. Negli anni '20 cominciò invece la produzione di un formaggio Asiago a più breve stagionatura chiamato Asiago pressato, le cui forme appena prodotte sono sottoposte ad una pressatura sotto torchi manuali od idraulici. Si tratta di una variante tecnologica che veniva già adottata nelle malghe o alpeggi soprattutto nel primo periodo di monticazione del bestiame. Questo prodotto "nuovo" ha incontrato il gusto del consumatore moderno che privilegia i gusti dolci e morbidi. Nel 1955, il formaggio Asiago ottenne la Denominazione Tipica e, successivamente, con il D.P.R. del 21 dicembre 1978, la Denominazione d’Origine Controllata. Nel 1979, nacque il "Consorzio per la tutela del formaggio Asiago", creato da 56 caseifici sociali per salvaguardare le caratteristiche della produzione casearia, con lo scopo di perfezionare qualitativamente e quantitativamente il formaggio, di promuoverlo commercialmente e di vigilare sul corretto uso delle denominazioni, dei contrassegni e dei marchi consortili, gestendo le eventuali azioni giudiziarie per reprimere abusi e irregolarità. Il secolo attuale portò fama e fortuna all'Asiago; s’incominciò a produrlo in quantità sempre maggiori cosicché il mercato poté disporre di prodotto sufficiente a soddisfare la sempre crescente richiesta. Oggi l’Asiago è il sesto formaggio DOP italiano per quantità prodotta, il quinto per volumi commercializzati in Italia e la decima DOP del nostro Paese. Il formaggio Asiago è conosciuto da oltre il 95% degli Italiani. La strada che ha portato dalle 7.100 tonnellate iniziali alle oltre 23.000 attuali ha significato una crescita che trova pochi riscontri nel settore e che ha generato negli anni una redditività della filiera del latte che ha consentito, anche attraverso il fenomeno aggregativo cooperativo (latterie sociali), la continuazione di allevamenti di piccole dimensioni (fattorie a conduzione famigliare). La produzione di formaggio Asiago è oggetto di tutela D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta), deve quindi avvenire all'interno di un territorio circoscritto e solo con materia lattea proveniente da allevamenti ricadenti nel suo ambito. La zona di produzione dell'Asiago è identificata nelle province di Vicenza, Trento ed in parti confinanti con esse di quelle di Padova e Treviso, corrispondenti alla loro fascia pedemontana, inclusiva dei prati irrigui circostanti le relative, copiose risorgive. La produzione di Asiago è tipica dell'omonimo altipiano, in cui avviene in numerosi caseifici e, nella sola estate (per il tempo di vegetazione delle erbe spontanee), nelle caratteristiche malghe di proprietà privata o, più spesso, collettiva, in virtù di usi civici antecedenti la formazione del diritto statuale italiano e da esso recepiti come fonte normativa di tipo consuetudinario. Le malghe sull'Altopiano dei Sette Comuni sono oltre 100 e costituiscono per estensione e per numero il più importante sistema d'alpeggio dell'intero arco alpino. Il Consorzio di tutela nasce a Vicenza il 26 giugno 1979 con lo scopo di tutelare la produzione della specialità casearia dell’Altopiano di Asiago e dei Sette Comuni dalle imitazioni estere che invadevano il mercato. Oggi, il Consorzio per la tutela del formaggio Asiago, conta 14 soci stagionatori e 66 soci produttori che sono riusciti a collocare l'80 % della produzione nella fascia "buono-discreto", (nel 1986 era il 50 %). Il Consorzio, finanziato dall'AIMA, l'Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo, ha da poco avviato il "Progetto Qualità". Si tratta di un programma d’ulteriore miglioramento della qualità del prodotto che ha lo scopo di controllare l'intero processo produttivo, dalla scelta del latte ai particolari della lavorazione, al fine di ottenere un formaggio ancora più buono, più sano e più genuino. Il formaggio D.O.P. “Asiago” si produce solo con latte fornito da bovini allevati nelle zone dove risiedono i caseifici produttori situati in:
-Provincia di Vicenza: tutto il territorio.
-Provincia di Trento: tutto il territorio.
-Provincia di Padova: il territorio dei comuni di Carmignano di Brenta, S. Pietro in Gù, Grantorto, Gazzo, Piazzola sul Brenta, Villafranca Padovana, Campodoro, Mestrino, Veggiano, Cervarese S. Croce e Rovolon.
-Provincia di Treviso: il territorio così delimitato: prendendo come punto di riferimento il paese di Rossano Veneto, in provincia di Vicenza, il limite segue la strada Rossano – Castelfranco Veneto fino al suo incrocio con la strada statale n. 53 “Postumia”. Esso costeggia tale strada, attraversa la tangenziale sud di Treviso, fino alla sua intersezione con l’autostrada di Alemagna. Il limite prosegue a nord lungo il tracciato di detta autostrada fino al fiume Piave. Piega quindi ad ovest lungo la riva destra di detto fiume fino al confine della provincia di Treviso con quella di Belluno. Da questo punto il limite si identifica con il confine della provincia di Treviso fino al punto di incontro di questo con il confine della provincia di Vicenza.
Tipologie
Il formaggio Asiago viene sostanzialmente prodotto in due tipi diversi: pressato (fresco) e d'allevo (stagionato) che a sua volta a seconda della durata della stagionatura si divide in tre categorie.
Asiago pressato: viene prodotto utilizzando latte intero. Viene lavorato a pasta semicruda e durante la prima cottura del latte a 35°C si aggiungono fermenti specifici e caglio liquido. Ottenuta la cagliata, si procede a liberarla dal siero ed a romperla a dimensione di un guscio di noce, quindi, si cuoce nuovamente a 45°C circa. Dopo questa operazione si esegue una prima salatura a secco e si ripone la pasta in appositi stampi a pareti forate; a questo punto la forma viene pressata con un torchio, solitamente idraulico, per circa quattro ore. Successivamente le forme vengono avvolte lateralmente con fascere di plastica, che imprimono il marchio Asiago attorno a tutta la forma e vengono messe in un locale, chiamato "frescura", per 2-3 giorni ad asciugare. Si tolgono le fascere per eseguire l'ultima salatura mediante un bagno in salamoia per altri due giorni ed infine si mettono le forme a maturare per un periodo che va dai 20 ai 40 giorni. Il formaggio finito si presenta con forma cilindrica dal diametro di 30–40 cm e l'altezza di circa 15 cm. Il peso medio di una forma è di 11–15 kg. La crosta è sottile ed elastica; la pasta interna è morbida, burrosa, di colore bianco o leggermente paglierino e con occhiatura irregolare. Il sapore dolce e delicato, ricorda la panna ed il latte appena munto. Ottimo come formaggio da tavola, si presta egregiamente anche a molteplici ricette.
Asiago d’Allevo: lavorato a pasta semicotta, con latte vaccino proveniente da due mungiture, mattutina e serale, di cui una scremata per affioramento naturale. Per questo tipo di Asiago, la cagliata viene rotta con un apposito strumento chiamato "spino" così da raggiungere la dimensione di un chicco di riso; successivamente la cagliata viene cotta altre due volte prima a 40°C e poi a 47°C. A questo punto il prodotto grezzo, dopo essere stato posto nelle fascere che imprimono il marchio Asiago, è salato in leggera salamoia e messo a stagionare. La durata della stagionatura darà luogo alla denominazione di vendita:
Asiago mezzano, stagionato per 3-8 mesi. La pasta è compatta, anche se ancora abbastanza morbida, di colore paglierino abbastanza intenso, con occhiatura di piccola e media grandezza, molto gustoso ma ancora dolce. Ottimo formaggio da tavola, magari abbinato a delle buone pere mature.
Asiago vecchio, stagionato per 9-18 mesi. A pasta dura, compatta, di colore paglierino, con occhiatura media e sapore deciso, tendente al piccante.
Asiago stravecchio, stagionato per due anni o più. La pasta è molto dura, granulosa, di colore paglierino, con occhiatura abbastanza piccola. Il sapore è intenso, avvolgente, penetrante. Questo formaggio è un'autentica e rara "perla" per i buongustai, soprattutto se l'affinamento si protrae per oltre due anni donando al formaggio un sapore unico. Straordinario abbinato alla polenta, ai funghi e a vini rossi importanti.
Il prodotto finito, ha forma cilindrica con 30–35 cm di diametro e circa 10 cm di altezza; il peso di ogni forma varia dagli otto ai 12 chilogrammi. La crosta è sottile ma dura, liscia e regolare, di colore ambrato nel mezzano e bruno nel vecchio e stravecchio. Anche la pasta interna ed il sapore sono molto diversi a seconda della stagionatura e meritano quindi descrizioni separate.
Come riconoscere l'originale?
Al formaggio viene posta una marcatura all'origine costituita da una serie di scritte "ASIAGO" e dal logo della DOP impressi sul bordo (scalzo) del formaggio, che ne attestano l'origine. Presenta inoltre un numero di matricola impresso sullo scalzo di ogni forma per identificare il caseificio produttore. Tutte le forme di Asiago sono numerate: dal numero si può risalire alla data di produzione, ai dati della lavorazione, ai nominativi degli allevatori produttori di latte.
Come si conserva? 
La fetta deve essere tagliata perfettamente, avvolta nella pellicola, a temperature di 8-9°C. L’asiago fresco si conserva meno di quello d’allevo, per cui si consiglia di consumarlo più velocemente. Quello d’allevo se è "stravecchio" si conserva con buoni risultati avvolto in una tela, anche a temperature più elevate.
Abbinamenti enogastronomici
L'Asiago fresco, per la sua delicatezza, richiede vini altrettanto delicati, bianchi freschi e leggeri o rosati morbidi e leggeri. Se servito come aperitivo può essere accompagnato anche spumanti secchi. Alcuni esempi : Valpolicella classico, Vernaccia di San Geminiano, Biferno rosato, Franciacorta spumante brut. Per l’Asiago d’allevo la scelta del vino è in funzione della sua stagionatura, quindi più è stagionato più serve un vino strutturato. Alcuni esempi : Cabernet Colli Berici, Colli del Trasimeno rosso, Solopaca.
Valori nutritivi
Il contenuto proteico nell'Asiago è superiore a quello che si trova in un’eguale quantità di carne e varia da una media del 24% per l’Asiago fresco e del 28% per l’Asiago allevo. Per quanto riguarda i grassi, anche qui il contenuto si differenzia a seconda del tipo. L’Asiago fresco ha una percentuale di grassi sulla sostanza secca del 46-48%; l’Asiago stagionato del 42-44% (fonte: Istituto Lattiero Caseario e di Biotecnologie Agroalimentari di Thiene). Inoltre, il contenuto in colesterolo è modesto in rapporto alla percentuale di grassi. I sali minerali compresenti nella composizione del latte (calcio e fosforo) si conservano largamente nel formaggio, dove si aggiunge - nella lavorazione - il cloruro di sodio (sale) in quantità variabile a seconda che si tratti di una pasta più o meno "dolce", da 1,5gr/100gr. dell’Asiago fresco a 2,5gr/100gr. dell’Asiago stagionato. Il ph assume valori attorno al 5,50-5,60, confermando che l’Asiago è formaggio "dolce" poco fermentato, con abbondante presenza di fermenti lattici vivi, nel caso del tipo fresco, stante la breve stagionatura. Contiene vitamine in significative quantità del tipo A, B, B2, e PP. Contenuto calorico: 382 calorie per l'Asiago stagionato e 368 per l'Asiago fresco su 100gr di prodotto.
Asiago 1 porzione pari a 28 g fornisce: Energia: 110 calorie (460 kJ) Proteine: 7,5 g Carboidrati: 0,67 g Grassi totali: 8,7 g Fibre: 0,0 g Eccellente fonte di: Calcio (226 mg) Buona fonte di: Fosforo (145 mg)
ZONA DI PRODUZIONE
Veneto
Trentino-Alto Adige
TERRITORIO DI PRODUZIONE
Veneto. La zona di raccolta del latte e di produzione comprende l'intero territorio delle province di Vicenza e Trento e una parte delle province di Treviso e Padova, corrispondenti alla loro fascia Pedemontana. Le zone di produzione situate a un'altitudine non inferiore ai 600 metri vengono classificate come territorio montano.
ORIGINE
Latte di Vacca
FORMA E DIMENSIONE
Ha forma cilindrica, con facce piane o quasi piane e scalzo diritto o quasi diritto. Le facce hanno un diametro di 30-40 cm, altezza di 11-15 cm, peso 11-15 kg.
STORIA
L’Asiago D.O.P. si produce fin dall’anno 1000 sull’altopiano di Asiago. Veniva chiamato dagli abitanti della zona “Pegorin” perché, in passato, si utilizzava solamente latte di pecora. Nel 1500 i casari locali hanno colto l’importanza di utilizzare latte di vacca e dal 1700, grazie al progressivo miglioramento delle tecniche casearie, la produzione si è allargata ad altre zone limitrofe all’altopiano. L’Asiago D.O.P. viene commercializzato in due tipologie: una vecchia, chiamata Asiago d’Allevo (Mezzano, Vecchio e Stravecchio), e una più fresca, l'Asiago Pressato.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO PER TIPO DI LAVORAZIONE
Pasta semidura
TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE
Il latte crudo o pastorizzato per coagulazione, presamica, viene coagulato, previo innesto di fermenti lattici autoctoni, alla temperatura di 35-40° con caglio di vitello. Il taglio della cagliata avviene in granuli delle dimensioni di una nocciola. Segue una semicotta a 44°. Dopo l'estrazione e una prima pressatura su banco, si prosegue con la salatura e la formatura in fascere tipiche. La pressatura viene protratta per 12 ore al massimo.
MATURAZIONE/STAGIONATURA
Almeno 20 giorni.
CARATTERISTICHE DEL FORMAGGIO
Quello di media-grossa pezzatura ha crosta liscia, elastica, spesso cappata, di colore avorio o giallo paglierino scarico. La pasta è bianca o paglierino scarico, untuosa e presenta fitta occhiatura di media dimensione, distribuita in modo regolare.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO AL CONSUMO
Formaggio di breve e media stagionatura, a pasta semidura.
INTENSITÀ AROMATICA E SENSAZIONI
Medio-bassa.
ABBINAMENTI
Consigliato con miele di tarassaco, confettura di bacche di rosa canina, mostarda di fragoline. Ottimo con verdure fresche. Va accompagnato con vino bianco a bassa gradazione.
VALORI NUTRIZIONALI PER 100 GR
Valore energetico
368 KcalGrassi
24-36 gProteine
26-26 gSali minerali
500-700 mg. g
NOTE
Esportato in tutto il mondo, ha grande successo come formaggio da tavola. L’altopiano di Asiago è il più grande comprensorio di pascoli in attività in Europa.

BAGOSS DI BAGOLINO
Il nome di questo pregiato e raro formaggio deriva dal luogo di provenienza. "Bagòss" nel dialetto locale significa infatti "di Bagolino", un antico paese della valle del Caffaro, in provincia di Brescia. La ricchezza dei pascoli e la tradizionale tecnica di lavorazione ne fanno un formaggio esclusivo. La migliore produzione è quella ottenuta in estate nei pascoli d'alta quota. Ma anche il Bagòss prodotto nei mesi invernali nel fondovalle è comunque eccellente. Negli archivi del Comune di Bagolino sono catalogati documenti, che a partire dal 1500 raccontano del formaggio e del burro della Valle del Caffaro.
Dopo tanti anni la qualità e le caratteristiche organolettiche del Bagòss sono rimaste le stesse: la sia fama ha varcato i confini nazionali, ottenendo importanti riconoscimenti e divenendo un efficace mezzo di promozione per tutta la Valle del Caffaro.
La materia prima è il latte crudo vaccino, parzialmente o totalmente scremato per affioramento naturale della panna. Le forme vengono salate a mano e, durante il periodo di stagionatura, vengono periodicamente rivoltate, raschiate da eventuali muffe e unte con olio crudo di lino. La stagionatura può durare da un minimo di 2 mesi ad un massimo di 2 anni. Il prodotto finito ha forma cilindrica, con diametro di 40 cm e altezza di 12-15 cm. Il peso è di circa 15 kg. La crosta è liscia, di colore bruno-aranciato; la pasta è compatta, giallo-paglierino che diventa più carico col procedere della stagionatura. Il sapore è caratteristico, decisamente aromatico, ma non piccante.
Ottimo come formaggio da tavola o arrostito sulla piastra. Se stagionato, va servito a scaglie, come il formaggio grana.
I vini consigliati per l'abbinamento sono: Capriano del Colle Rosso, Franciacorta Rosso e Montepulciano d'Abruzzo.

BASTARDO DEL GRAPPA
La pratica casearia era un tempo molto diffusa in tutta la Pedemontana del Grappa, tanto più all’inizio della buona stagione quando in molti risalivano i versanti del Massiccio con le mandrie per sfruttare così le risorse naturali della montagna. La produzione del formaggio in malga era effettivamente molto semplice, non essendo chi lo produceva un casaro di professione, veniva per lo più trasmessa di padre in figlio facendo tesoro delle accortezze e dei “trucchi” che l’esperienza insegnava. Prevalentemente sulla Pedemontana si produceva il Morlacco, ma quando le condizioni ambientali e il modificarsi delle erbe del pascolo con l’avanzare della stagione mutavano la materia prima, il casaro cercava di produrre un formaggio diverso, ispirandosi alla lavorazione dell’Asiago d’Allevo o del Montasio.
Bastardo quindi perché la sua ricetta non era riconducibile a nessuna delle due tipologie, ma era un ibrido di esperienze tramandate e tecniche casearie. Bastardo inoltre perché talvolta, nel latte utilizzato per la sua produzione, veniva aggiunta anche una componente di latte di capra. Non era insolito infatti vedere le mucche durante l’alpeggio accompagnate da qualche capra, il cui latte era però insufficiente per essere utilizzato da solo e veniva perciò aggiunto a quello vaccino.
La tradizione delle malghe prevede che il latte raccolto la sera sia lasciato riposare al fresco per tutta la notte. Lo si separa quindi dalla materia grassa tramite scrematura ponendolo in una caldera di rame e mescolandolo al latte della mungitura del mattino. Quindi il latte viene riscaldato, tenendolo in movimento costante, e portato ad una temperatura compresa tra i 38° e i 42°C.
A questo punto si aggiunge il caglio per andare poi a rompere la cagliata finemente e nuovamente riscaldarla fino a 45 gradi. La cagliata viene quindi passata in fascere di legno e sottoposta a lieve pressatura, continuando lo spurgo per 24 ore. Si procede poi alla sformatura e la si lascia riposare, in “cason del fogo” per 2-3 giorni, fin quando la pasta assume una consistenza morbida.
La salatura avviene in salina, per la durata di non più di 4-5 giorni per non alterare quel sapore dolce e leggermente aromatico. Segue la maturazione in un locale adatto per un minimo di quattro mesi. Il prodotto realizzato oggi ha mantenuto l’arte delle vecchie tecniche tradizionali sposandole con le moderne procedure.
Ingredienti: latte vaccino, sale, caglio, fermenti lattici. Crosta non edibile.
Aspetto: pasta di colore chiaro tendente al paglierino, occhiatura sparsa e di piccole dimensioni, crosta ruvida e consistente.
Sapore: intenso, gradevole e mai piccante.
Maturazione: si compie in 90 - 120 giorni.
Caratteristiche fisiche: forma cilindrica con facce piane o leggermente convesse del diametro di 20 - 25 cm, scalzo di altezza variabile da 8 - 10 cm. Peso da 4 a 5 kg.
Conservazione e immagazzinamento: in luogo fresco e asciutto.

BEBÈ DI SORRENTO
Il Bebè di Sorrento è un formaggio a pasta filata, semicruda, dalla stagionatura di soli pochi giorni. Il processo con cui si ottiene è lo stesso che porta alla produzione del caciocavallo sorrentino, ma la stagionatura del bebè si interrompe precocemente, mentre quella del caciocavallo dura un mese.
La denominazione nasce dalla forma, che ricorda quella di un neonato in fasce.
La pasta ha una consistenza morbida ed umida, il colore è molto chiaro. Il diametro della confezione standard è di 5–6 cm altezza 10-12; la pezzatura è di circa mezzo chilo.
Il Bebè di Sorrento si ottiene mescolando il latte intero di due munte ovvero mescolando il latte munto al mattino con quello munto nel tardo pomeriggio, riposa in un tank latte fino al mattino seguente, quindi dopo aver subito un processo di pastorizzazione, viene scaldato in caldaie di acciaio inossidabile, a 36-38° (coagulazione presamica), cagliato con caglio liquido di vitello, spezzato in granelli di circa 7–10 cm che subiscono un trattamento termico a 50 °C. Dopo ulteriore maturazione la cagliata subisce il processo di filatura tramite acqua a 90-95° per 4-5 minuti. La fase successiva è la salatura mediante due immersioni in salamoia.

BELICINO
Il Belicino è un formaggio e prodotto tipico siciliano. Rientra nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) stilato dal ministero delle politiche agricole e forestali (Mipaaf).
È un formaggio prodotto con latte di pecora della Valle del Belice e oliva Nocellara del Belice (DOP). La produzione segue il processo di tutti i formaggi pecorini. Nella fase finale, prima della pressatura nelle vastelle vengono aggiunte le olive Nocellara del Belice precedentemente affinate in salamoia satura e successivamente snocciolate. Le forme prodotte hanno un peso che varia da uno a cinque chilogrammi. Viene prodotto nei seguenti comuni della Valle del Belice in provincia di Trapani Calatafimi Campobello di Mazara Castelvetrano Petrosino Poggioreale Salaparuta Salemi Santa Ninfa.

BEL PAESE
Il Bel Paese (o Italico) è un formaggio a fresco, originario del nord Italia, prodotto dalla Galbani.
Il formaggio nacque a Milano nel 1906 da un'idea di Egidio Galbani, fondatore dell'omonima azienda. Partendo dal fatto che nei più importanti negozi di salumiere non ci fossero altro che formaggi francesi, decise di produrre un formaggio che, per qualità, potesse stare al passo con la produzione casearia d'oltralpe. Nacque così un formaggio che prese il nome da Il Bel Paese, libro del 1876 dell'abate Antonio Stoppani.
Il Bel Paese divenne presto noto anche all'estero per il suo nome richiamante un modo di dire con il quale è nota l'Italia, e fa parte dei prodotti italiani conosciuti nel mondo, come il parmigiano, la bresaola e il prosciutto di Parma.

BETTELMATT DELLA VALDOSSOLA
Il nome di questo formaggio sembra derivare dall'Alpe Bettelmatt, situata nel comune di Formazza, in provincia di Novara. La zona di produzione è circoscritta all'omonima Alpe (a circa 2.100 metri di altitudine, al confine con la Svizzera) e a tutte le alpi di Formazza e, in misura minore, della Valle Antigorio. In queste zone la vegetazione è ricca di un'erba, la mattolina, che conferisce al Bettelmatt il colore giallino che lo caratterizza (un tempo questo formaggio veniva chiamato anche Mottolina). 
La tecnologia di lavorazione è simile a quella della fontina: si porta il latte crudo a 32-35 ° C e si aggiunge il caglio liquido naturale. In trenta minuti avviene la coagulazione.
Dopo la rottura della cagliata, la massa è deposta nelle fascere e leggermente pressata. Talvolta è sottoposta a breve stufatura a 22 gradi circa per favorire lo sviluppo dell'occhiatura. La salatura può avvenire in salamoia o a secco.
Viene stagionato dai 40-60 giorni a un anno in un ambiente con temperatura di 10°C.
Le forme di Bettelmatt sono cilindriche, con diametro anche superiore ai 50 cm e altezza fino a 9 cm. La crosta è spesso rossastra, la pasta burrosa, a volte con rilevante occhiatura, di colore giallo paglierino.
I vini consigliati per l'abbinamento sono Gattinara, Ghemme, Velletri rosso.

BITTO DELLA VAL BREMBANA
Il Bitto è un formaggio lombardo a Denominazione d'Origine Protetta.  Viene prodotto esclusivamente nei mesi estivi e nei pascoli d'alta quota, infatti le caratteristiche del formaggio sono condizionate dalle qualità di erbe consumate dalle mucche sugli alpeggi. La zona di produzione comprende l'intera provincia di Sondrio e alcuni comuni dell'alta Val Brembana anche se il vero Bitto viene prodotto nelle valli del Bitto (torrente omonimo da cui il formaggio prende il nome): la val Gerola e la Valle di Albaredo. Viene prodotto con latte vaccino intero a cui può essere aggiunta una percentuale di latte caprino non superiore al 10%.

BLEU D'AOSTE
Il Bleu d'Aoste è un formaggio italiano. Formaggio erborinato a pasta cruda di latte vaccino intero pastorizzato, ideato dal Dottor Battista Locatelli e prodotto per la prima volta l'8 marzo 2005 alla Centrale laitière de la Vallée d'Aoste. Si produce inoculando il latte intero pastorizzato di bovine di razza valdostana (razze Valdostana pezzata rossa e Valdostana pezzata nera), raccolto solo da allevamenti valdostani sopra i 600/700 metri s.l.m., con una coltura di Penicillium roqueforti e fermenti lattici selezionati; durante le fasi di produzione, il latte viene lasciato acidificare al fine di ottenere una cagliata dalle spiccate caratteristiche lattiche e che non verrà sottoposta a successiva cottura. La stagionatura è compresa tra 90 e 120 giorni in condizioni di umidità e temperatura controllate. Pasta sostenuta, compatta, di colore bianco, con caratteristica erborinatura. Il Bleu d'Aoste ha vinto la medaglia d’Oro, nella categoria formaggi erborinati, sia nella 4ª Olimpiade dei Formaggi di Montagna, svoltasi nell'Ottobre 2005 a Verona, che nella 6ª svoltasi nell'ottobre 2007 a Oberstdorf (Germania). La zona di produzione comprende l'intera Regione autonoma della Valle d'Aosta.
Abbinamenti
Da solo con pane caldo o accompagnato da miele di castagno o di marmellata al peperoncino. Si abbina in modo perfetto a vini rossi generosi e robusti quali Barbera e Barolo o, in alternativa, a vini bianchi liquorosi come Marsala o Moscato Passito.

BLU DEL MONTEFELTRO
La storia di questo formaggio erborinato è molto breve. Si tratta di un blu la cui sperimentazione nell’affinamento è iniziata quattro anni fa. Dopo due anni di ricerca il formaggio è stato posto sul mercato ed ha subito riscosso un buon successo partecipando nel 2010 al concorso “Infiniti Blu” di Gorgonzola (MI) classificandosi primo. Il Blu del Montefeltro è un formaggio erborinato esclusivamente di latte vaccino. Le forme cilindriche di circa tre chilogrammi vengono stagionate come minimo quattro mesi. Il formaggio matura affogato all'interno di vinacce di Albana passita. Non desta particolari sensazioni olfattive, in bocca risulta burroso, quasi solubile, poi si avverte la dolcezza che gli è stata conferita dalle vinacce passite quindi la nota classica del penicillium tipica dei formaggi erborinati e si termina con una nota leggermente piccante tipica del gorgonzola naturale. E' ottimo degustato in purezza volendo accompagnato da confettura di scalogno o mieli aromatici.

BLU DI BUFALA

E' un formaggio erborinato realizzato con lieviti e muffe nobili da poco presente nel mercato dei latticini e deve la sua particolarità al fatto di essere prodotto interamente con latte intero pastorizzato di bufala. Tipicamente il latte di bufala viene utilizzato per la produzione di mozzarelle ma in questo caso questo latte dolce e ricco dà vita ad un formaggio erborinato dalla tipica forma squadrata con crosta asciutta e rugosa di colore grigio ambrato. Al profumo presenta uno spunto lattico acido ed il sapore è distinto, mediamente intenso che lascia percepire la dolcezza del latte di bufala. Da gustare intorno ai 40 giorni.

BRA
Questo formaggio prende il nome dall'omonima città situata nella piana cuneese, che ne era il principale mercato, nel passato. L'area di produzione comprende l'intero territorio della provincia di Cuneo. La zona di stagionatura comprende, oltre all'intero territorio della provincia di Cuneo, anche il comune di Villafranca Piemontese in provincia di Torino. Formaggio semigrasso pressato. Il disciplinare di produzione prevede due tipologie: il Bra tenero e quello duro, a seconda della durata del periodo di stagionatura. La pasta è moderatamente consistente ed elastica ed ha piccolissime occhiature appena visibili e non troppo diffuse. Nella varietà tenera è di colore bianco o bianco avorio, mentre nella varietà dura diviene giallo ocra imbrunito ed opaco. La crosta esterna si presenta di colore grigio chiaro, elastica, liscia e regolare nel Bra tenero; nel Bra duro, invece, diviene dura, consistente , di colore grigio scuro. Le forme sono cilindriche a facce piane con diametro di 30-40 cm, scalzo leggermente convesso di 7-9 cm ed hanno un peso compreso tra i 6 e gli 8 Kg. Al gusto risulta moderatamente piccante e sapido nella varietà tenera, mentre quello stagionato è piccante e fortemente sapido. Viene prodotto con latte vaccino, eventualmente addizionato con una piccola aggiunta di latte ovino e/o caprino, proveniente da una o due mungiture giornaliere. Il bestiame da cui proviene il latte deve essere alimentato prevalentemente con foraggi verdi o affienati. La coagulazione del latte avviene ad una temperatura tra i 27 e i 32°C, utilizzando caglio liquido. La tecnica di produzione tradizionale prevede una doppia rottura della cagliata. Al termine di tale fase la pasta viene messa in idonei stampi dove subisce adeguate pressature. Di norma vengono effettuate due salature a secco, ma in alcuni casi la salatura può anche avvenire in salamoia. La stagionatura dura un minimo di 45 giorni per il Bra tenero mentre dura almeno 6 mesi per il Bra duro.

BRANZI

Il Branzi è un formaggio tra i più antichi e tipici delle Orobie. Prende il nome dall'omonimo paese dell'Alta Valle Brembana in cui è nata la produzione tradizionale e dove tuttora il latte intero di vacca viene lavorato presso i locali della Latteria Sociale di Branzi Casearia. Il Branzi è inserito nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Lombardia. Nel 1953 Giacomo Midali, casaro di Branzi, perseguì l'obiettivo di produrre tutto l'anno un formaggio di alta qualità, garantita dall'impiego delle tecniche tradizionali utilizzate in alpeggio e dal latte prodotto in valle: fondò la Latteria Sociale, a cui aderirono molti piccoli produttori, e dalle cui coldere uscirono le prime forme di quel particolare formaggio che i Soci denominarono Branzi. Da oltre cinquant'anni il latte della Valle Brembana e delle aree limitrofe, con la sua tipicità legata alla qualità del foraggio e dei pascoli, viene raccolto quotidianamente e fatto confluire alla Latteria Sociale di Branzi, dove è trasformato dopo meticolosi controlli. Per produrre questo formaggio è necessaria la coagulazione del latte alle temperatura di 35-37 °C con l'aggiunta di caglio liquido di vitello, per una durata di 30-35 minuti. Il coagulo ottenuto deve poi essere rotto, ottenendo grumi caseosi di piccole dimensioni. Successivamente la cagliata deve essere fatta scaldare ad una temperatura di 45 °C. Per ottenere un buon risultato è necessario mescolare il prodotto con la rotella o gli agitatori tradizionali. Una volta che il coagulo si è depositato sul fondo, si passa all'estrazione della cagliata, da depositare successivamente negli appositi contenitori di legno. Per ultimare la lavorazione si passa alla pressatura e alla salatura del prodotto ultimato (procedimento generalmente effettuato per salamoia).
Formaggio a pasta semicotta, di forma cilindrica.
Diametro: 40-50 centimetri.
Peso: varia dai 10 ai 12 chili.
Scalzo: laterale a "V" leggermente concavo, è alto 9 centimetri.
Crosta: liscia, sottile ed elastica di colore giallo sfumato.
Pasta: morbida di color giallo paglierino.
Occhiatura: sottile, regolare e fitta.
Sapore: dolce e delicato; con l'invecchiamento risulta più marcato, tendente al piccante.
Aroma: caratterizzato dalle essenze vegetali presenti nei foraggi.
Metodo di conservazione
La maturazione è fondamentale per la qualità del formaggio e avviene in ambienti climatizzati, con temperatura e umidità controllate. Le forme vengono rivoltate settimanalmente, pulite con spazzole e raspe e trattate per proteggere la crosta.
Tempo di stagionatura: 60 giorni per il prodotto fresco, da 6 a 7 mesi per quello stagionato fino a più di un anno per lo stravecchio.
Maturazione: ambiente con temperatura tra gli 8 e i 9 °C circa e umidità 90%.

BRUSS
Il bruss (bross in piemontese, anche brussu in ligure o, italianizzato, bruzzo) è un derivato del latte simile ad un formaggio cremoso e spalmabile dal gusto molto forte. È diffuso soprattutto in Piemonte e Liguria. Deve la sua origine alla necessità, tipica della cultura contadina e in particolare delle zone più povere, di sfruttare al meglio ogni possibile alimento. Anticamente veniva prodotto facendo fermentare croste o pezzi di altri formaggi (spesso anche ammuffiti) nel distillato di vinacce, la grappa, che i contadini producevano in proprio. Dopo aver mescolato il composto si otteneva un prodotto cremoso dal sapore intenso che veniva mangiato sul pane. Attualmente si trova in commercio presso mercanti specializzati nella vendita di prodotti tipici ma può anche essere realizzato in proprio facendo fermentare del formaggio fresco (ad esempio robiole o tomini) con grappa o brandy. Viene spesso commercializzato in vaschette di plastica trasparenti o in vasetti di vetro. Un abbinamento classico della versione ligure del bruss è quello con il pane di Triora. Viene anche utilizzato per condire la pasto o la polenta, per insaporire minestre o con le patate al cartoccio. I vini più indicati per accompagnare il bruss, quanto meno nella sua versione langarola, sono robusti rossi quali i nebbioli o le barbere oppure, con un abbinamento che ne esalta il sapore piccante, vini più zuccherini quali l'Erbaluce di Caluso passito. La versione ligure è stata riconosciuta come PAT e come presidio del gusto di Slow Food (bruzzo della valle Arroscia); quella piemontese, con la denominazione di brus, è anch'essa riconosciuta come PAT.
Ricotta di pecora fermentata con pasta di colore bianco grigiastro e consistenza cremosa: il sapore è più o meno piccante a seconda della stagionatura.
Lavorazione:
Si porta il siero di latte ovino a circa 70-90 gradi e si attende la formazione del coagulo che, una volta affiorato, è raccolto e sistemato in appositi cestelli forati per far sgrondare l'eccesso di liquido. Dopo queste operazioni, la massa viene fatta fermentare in appositi recipienti di legno (tradizionalmente di larice), aggiungendo varie sostanze a seconda della tradizione locale, come grappa o sostanze alcoliche fermentanti, aceto, olio di oliva e pepe o peperoncino. In alcune zone si effettua anche la salatura. Il prodotto matura in una settimana circa, in cantina, dove viene mescolato quotidianamente.

CACIOCAVALLO DI AGNONE
Il caciocavallo di Agnone è un formaggio prodotto con latte vaccino e prodotto tipico molisano. Come produzione tipica molisana è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf). Il caciocavallo di Agnone è inserito nell'arca del Gusto di Slow Food. Le origini del caciocavallo di Agnone sono antiche. La sua presenza è testimoniata fin dai tempi della Magna Grecia ed era legata alla transumanza. Fisicamente si presenta con una grossa forma a pera, di altezza variabile fra i 18 e i 22 cm, mentre il suo peso varia da 1,5 a circa 3 kg. La crosta è invece sottile e dura di colore nocciola. La crosta può essere ricoperta di muffe in caso di prolungata stagionatura. All'interno la pasta è compatta con varie fessurazioni che rilasciano liquido. Il profumo è intenso mentre il sapore è dolce e pastoso se fresco e piccante a maturazione avanzata. In passato il caciocavallo di Agnone veniva prodotto con il latte delle razze bovine autoctone. Oggi si utilizza latte delle razze Bruna Italiana, Frisona Italiana, Pezzata Rossa, Podolica. Il pascolo è libero ed estensivo nei prati montani può esservi aggiunta di mangimi. Questo caciocavallo è prodotto tutto l'anno in tutta la regione del Molise, ma in particolare nei comuni di Agnone, Capracotta e Vastogirardi in provincia di Isernia. Il latte viene portato a circa 37 °C e si aggiunge il caglio in pasta. Dopo circa 45 minuti la massa si coagula e successivamente la cagliata viene rotta minutamente. Si procede quindi con la prima operazione di filtraggio del siero. A questo punto si lascia riposare la massa caseosa per poi romperla di nuovo e lasciarla maturare sotto il siero caldo per a 50 °C per diverse ore. La pasta viene filtrata una seconda volta facendola grondare. Una volta spurgato il siero la massa viene tagliata a fette, filata in acqua a circa 80 °C e suddivisa in grossi pezzi a forma di pera. La salatura avviene in salamoia per circa 12 o 20 ore. Si lascia asciugare e maturare le forme per circa 20 giorni in ambiente fresco ed aerato. Le forme vengono appese legate a coppie ad asciugare. La stagionatura varia dai 3 mesi fino 2 due anni riponendo le forme in un ambiente a temperatura costante e aerato.

CACIORICOTTA DI CAPRA CILENTANA
Il cacioricotta di capra cilentana è un prodotto caseario della regione del Cilento, la cui lavorazione avviene dal latte caprino, con una tecnica che si pone a metà strada tra la produzione della ricotta e quella del formaggio. Infatti essa è ottenuta attraverso la coagulazione in parte presamica (caratteristica del formaggio) e in parte termica (caratteristica della ricotta). Tutto il ciclo produttivo avviene con mezzi manuali. È inserito con il nome di cacioricotta caprino del Cilento nell'elenco dei prodotti tipici campani. Viene utilizzato esclusivamente latte crudo, prodotto da una variante autoctona di capra, con caratteristiche specifiche, denominata cilentana. Il latte viene raccolto, poche ore prima della trasformazione, mediante mungitura a mano da esemplari non stabulati, bensì condotti al pascolo. Il caglio viene prodotto dallo stesso allevatore, mediante essiccazione in aria dell'abomaso intero del capretto, in luogo coperto ed aerato, per 30-40 giorni. La pasta, di colore bruno, ottenuta dal pestaggio nel mortaio, è conservata in vasetto ricoperta da uno sottile strato d'olio d'oliva. Il latte viene riscaldato fino alla temperatura di circa 85-90° celsius, utilizzando, quale innesco della trasformazione, il siero acido proveniente dalla cagliata del giorno precedente. Successivamente la mistura viene lasciata raffreddare fino a raggiungere una temperatura di 36°-40° Celsius per essere poi portata a cagliatura con l'aggiunta di caglio di capretto in pasta, nella misura di 40-50 grammi per quintale. La cagliata, ottenuta in circa 30 minuti, non viene rotta ma lasciata a rassodare per circa 30-40 minuti, prima di venire estratta e pressata, per circa 15 minuti, nei tipici stampi detti fiscelle fino ad espungere la maggior parte del siero. La stufatura si ottiene in maniera naturale esponendo per 24 ore le forme alla temperatura del locale di cagliatura. La salatura viene effettuata poche ore dopo la formatura, o dopo la stufatura, a secco, mediante cospargimento con sale da cucina. La stagionatura avviene generalmente su graticci, con una maturazione che, qualora si intenda avviare il prodotto al consumo da formaggio fresco, può avere durata brevissima, tipicamente 2 o 3 giorni (maturazione proteolitica). Nel caso del prodotto stagionato si prolunga invece per 3-4 mesi (maturazione proteolitico-lipolitica). In alcune zone del Cilento, come Montano Antilia e Laurito, la massa viene sottoposta a un ciclo termico più lungo (per circa 10-20 minuti in più), contenendo la temperatura con allontanamenti periodici dalla fiamma. In altri casi la cagliata può subire, dopo il rassodamento, la rottura in piccoli fiocchi della dimensione di un chicco di mais, lasciati in sosta nel siero per ulteriori 10-20 minuti. Si presenta in forme di 13-24 centimetri di diametro e di 4–7 cm di altezza con una superficie increspata. La pasta è bianca, morbida e priva di occhiatura nel prodotto fresco, secca, scagliosa e giallo paglierina, con occhiatura fine, nel prodotto maturo. Il cacioricotta presenta una percepibile complessità aromatica, conferitagli anche dalle specie arbustive della macchia mediterranea e della gariga che entrano nell'alimentazione dell'animale. In virtù di esse la composizione aromatica presenta una notevole variabilità in funzione dei terreni di pascolo e del progredire della stagione di raccolta. Il cacioricotta fresco è usato per condire primi piatti, entra nelle composizione di insalate o antipasti e come formaggio da tavola, anche in abbinamento col miele. La varietà stagionata, grattugiata o a scaglie, si presta bene all'abbinamento a piatti tipici come i fusilli cilentani conditi con il ragù di castrato. Il cacioricotta di capra cilentana è stato ritenuto meritevole di tutela dall'Associazione Slow Food che lo ha classificato tra i suoi presidii.

CACIORICOTTA PUGLIESE

Il cacioricotta è un formaggio di produzione stagionale (primavera-estate) e ottenuto con tecniche di lavorazione miste tra quelle del formaggio e della ricotta. Il latte intero e di acidità naturale, di pecore e capre allevate al pascolo, viene portato quasi a ebollizione, poi viene raffreddato e fatto coagulare con caglio di capretto; la cagliata viene rotta fino a raggiungere grani della dimensione di un chicco di riso e messa in fiscelle a raffreddare. A questo punto la forma, che ha un diametro di circa 
10 cm, un'altezza di 4-7 cm e un peso di 0,5-1 kg, viene salata a freddo. Il formaggio si consuma fresco, a maturazione rapida (2-3 giorni) o stagionato a maturazione media (2-3 mesi).
Nel primo caso si presenta come un prodotto a pasta morbida, uniforme, di colore bianco e a prevalente sapore sapido. Quando è stagionato si presenta a pasta semidura, leggermente occhiata, di colore giallo paglierino. Viene utilizzato sia come prodotto da tavola che da grattugia. Per la definizione delle caratteristiche organolettiche del cacioricotta è essenziale l'alimentazione degli animali che forniscono il latte. Infatti, la presenza nel periodo tardo primaverile-estivo di erba secca dà un sapore più deciso al latte e quindi al formaggio, anche se la resa cioè la quantità di latte prodotta si riduce.

CACIOTTA DI BRUGNATO
Formaggio grasso di latte vaccino di Forma cilindrica con altezza di 10 cm e diametro di circa 18 cm - 30 cm. Il peso è variabile da 0,2 fino a 5-7 kg; la crosta è assente o molto fine a seconda del grado di maturazione; se il formaggio è stagionato il colore della crosta diventa decisamente scura. La pasta risulta di colore bianco o giallo paglierino se fresco o semi stagionato. La consistenza è compatta e il gusto va dal delicato sapore di latte se fresco a quello più saporito e deciso se leggermente stagionato. Zona di produzione: Media val di Vara
Lavorazione:
Il latte crudo viene portato a temperatura di 38°-39°C. Per la preparazione della cagliata vengono aggiunti i fermenti e il caglio naturale. Una volta coagulata, la massa viene rotta con un apposito attrezzo detto chitarra e tale fase perdura finché non si raggiungono le dimensioni di una noce.

CACIOTTINA CANESTRATA DI SORRENTO 
La caciottina canestrata di Sorrento è un formaggio fresco a pasta molle da latte bovino.
È riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale della regione Campania.

CANESTRATO DI MOLITERNO
Il canestrato di Moliterno è un formaggio prodotto a Moliterno (provincia di Potenza). Il nome deriva dal fatto che la cagliata viene pressata a mano all'interno di canestri di giunco (localmente detti fuscelle). Questo formaggio si avvale della indicazione I.G.P. (Reg. UE n. 441 del 21.05.10). Si utilizza latte ovino e caprino allevati a pascoli brado, anche se si può aggiungere una parte di latte vaccino (razza podolica). Quando ancora era in voga la pratica della transumanza vi erano due tipi di formaggio: durante l'estate i greggi pascolavano sui pascoli vicini al mare e il formaggio era più grasso; durante l'inverno i pascoli erano quelli montani e il latte era meno grasso ma più aromatico.

CANESTRATO PUGLIESE
Il Canestrato Pugliese - riconosciuto Denominazione di Origine Controllata (D.O.C.) con D.p.r. del 10 set. 1985 e a Denominazione di origine protetta (D.O.P.) nel 1996 con il reg. (Ce) n.1107/96 - è un formaggio italiano di latte intero a pasta pressata non cotta, ottenuto da latte di pecora di razza gentile di Puglia, le cui origini genealogiche provengono dalla razza merinos.Il suo nome deriva dai canestri di giunco pugliese, entro cui lo si fa stagionare, i quali sono uno dei prodotti più tradizionali dell'artigianato pugliese. Il Canestrato Pugliese si produce in un periodo stagionale che va da dicembre a maggio, periodo questo legato alla transumanza delle greggi dagli Abruzzi alle piane del Tavoliere delle Puglie. È un formaggio tipico utilizzato nella cucina pugliese tradizionale.

CAPRINO BERGAMASCO

I Caprini bergamaschi sono formaggi di capra dell'area di Bergamo. Anticamente l'allevamento di capre e la produzione di formaggi caprini avveniva solo in aree altrimenti non sfruttabili. Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto un aumento della produzione di questi formaggi grazie a nuovi allevamenti di capre e a caseifici realizzati con le più moderne tecnologie che garantiscono la tradizionalità del prodotto. Oltre alla produzione dei formaggi è stato introdotto anche uno yogurt magro ad alta digeribilità. La regione Lombardia ha fatto riconoscere dal ministero il formaggio caprino come prodotto tradizionale facendo tre distinzioni
Caprino a coagulazione lattica
Caprino a coagulazione presamica
Caprino vaccino
Stagionatura di alcune settimane
Peso di circa 4 chili

CAPRINO DELLA LIMINA
Il Formaggio Caprino della Limina è uno dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani della provincia di Reggio Calabria a base di latte, l'area di produzione è il territorio dei Comuni della Comunità Montana Limina: Mammola, Grotteria, San Giovanni di Gerace, Martone, Gioiosa Jonica, Canolo, Gerace e i Comuni limitrofi di Marina di Gioiosa Jonica, Siderno e Agnana. Il “Formaggio Caprino della Limina” si ottiene esclusivamente dal latte di capra. L’aroma è particolare, il sapore forte, con caratteristica di piccantino, può essere consumato fresco o stagionato da 8 a 12 mesi.
Ingredienti utilizzati: latte di capra e caglio.
Forma: cilindrica.
Dimensioni medie: diametro 15 cm, altezza 10 cm.
Peso medio: da 1 a 2,5 kg.
Sapore: Il sapore forte, con caratteristica di piccantino che varia d’intensità e profumo col mutare delle stagioni.
Odore: di formaggio che varia con la stagionatura.
Colore: il colore esterno è giallo chiaro, all’interno è bianco.
Lavorazione prodotto
Si versa il latte caprino appena munto in un pentolone. Si scioglie il caglio (prodotto estratto dallo stomaco dei caprettini e messo a stagionare) in poca acqua e la si versa in latte ancora crudo. Si mescola il tutto e lo si lascia cuocere un’ora circa. Quando il contenuto si addensa, si mescola con un cucchiaio di legno, fino a che non diventa di nuovo liquido. Pian piano si estrae il formaggio separato dalla lacciata (latte sgrassato) con le mani e lo si mette dentro le forme di junco comprimendolo fino a quando non è ben scolato. Dopo la si rimette nella forma per un giorno ancora, quindi la si toglie e la si lascia stagionare. Hanno a questo punto inizio le operazioni di cura e protezione del formaggio, cospargendo un velo d’olio sull’intera superficie. Queste particolari tecniche di produzione fanno del formaggio caprino della Limina un prodotto tipico di grande pregio.
Periodo di produzione: tutto l'anno in particolare dal mese di dicembre a giugno Maturazione stagionatura del prodotto: da 8 a 12 mesi. Conservazione: nelle cantine dove viene curato esternamente con un’emulsione di olio d’oliva e un po’ di aceto.
Materiali utilizzati: i pentoloni sono di acciaio e i cucchiai sono di legno di erica. I contenitori del formaggio caprino si chiamano fasceji (fatte di junco) di forma rotonda.
Il Caprino della Limina con la suddetta scheda è stato incluso dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nell'Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (Suppl. Ord. Gazzetta Ufficiale N°167 del 18-7-02 pag. 10 N°44).

CAPRINO DELLA VALBREVENNA
In Val d'Aveto, nell'alta valle Scrivia e nelle zone montane delle Alpi Marittime, vengono prodotti tomini di latte caprino di forma cilindrica, dal diametro di circa 5 centimetri. Colore bianco, peso di circa 180 grammi. Si tratta di tomini prodotti con latte caprino puro. Le formine vengono trattate con cenere di castagno o di faggio per due ore e fatte maturare per circa 10 giorni, in Valbrevenna.
Viene anche prodotta una formaggetta, preparata mediante coagulazione enzimatica con solo latte crudo caprino, o talvolta con un'aggiunta di latte vaccino, del diametro di cm 10-14. Si consuma fresca o semistagionata, per circa trenta giorni.

CASATELLA ROMAGNOLA

La Casatella Romagnola è un formaggio di tipo fresco e a pasta molle, prodotto con latte di mucca pastorizzato. Di forma tondeggiante, con scalzo da 5 a 9 cm, 11-22 cm di diametro con un peso compreso tra i 200 g ai 2 Kg. La sua colorazione appare di un bianco avorio. Si tratta di un formaggio senza crosta, dal sapore dolce e un po' acido. La stagionatura richiede una settimana di tempo. Esiste anche la variante stagionata (circa un mese), con scorza color giallo sbiadito. La casatella romagnola deriva dalla Casatella Trevigiana, prodotto veneto riconosciuto a denominazione di origine protetta (Reg. CE n. 487 del 02.06.08, GUCE L. 143 del 03.06.08).

CASATELLA TREVIGIANA
La Casatella Trevigiana è un formaggio di tipo fresco e a pasta molle, prodotto con latte di mucca pastorizzato, tipico della provincia di Treviso. Si presenta in forme cilindriche, la pasta è lucida, lievemente mantecata, fondente in bocca, di colore da bianco latte a bianco crema. La casatella trevigiana è un prodotto veneto riconosciuto a denominazione di origine protetta (Reg. CE n. 487 del 02.06.08, GUCE L. 143 del 03.06.08).
ZONA DI PRODUZIONE
Veneto
TERRITORIO DI PRODUZIONE
Veneto, l’intera provincia di Treviso.
ORIGINE
Latte di Vacca
FORMA E DIMENSIONE
Cilindrica, del diametro di 8-22 cm, peso da 0,25 a 2,2 kg.
STORIA
Le prime testimonianze dell’esistenza di questo formaggio risalgono alla Repubblica Veneziana, nel 1700, e da sempre viene chiamata, in dialetto, “formajela”. Il nome deriva dal termine “casada”, espressione dialettale trevigiana per indicare prodotti realizzati in casa. Difatti, trovava sempre posto sulle tavole delle famiglie di contadini. La Casatella Trevigiana veniva citata nel 1700 nelle satire veneziane come alimento leggero, semplice e genuino.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO
Pasta molle
TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE
Il latte pastorizzato viene acidificato mediante l'inoculo di lattoinnesto. La coagulazione, presamica, avviene con caglio di vitello e successivamente subisce un taglio, prima a croce, poi alle dimensioni di una noce. Dopo l’estrazione la pasta trova posto in stampi dalla forma cilindrica riposti successivamente in locali di stufatura, fino al raggiungimento del giusto grado di acidificazione. La salatura può essere fatta direttamente in caldaia o a secco o in salamoia.
MATURAZIONE/STAGIONATURA
Varia dai 2 ai 4 giorni.
CARATTERISTICHE DEL FORMAGGIO
E’ senza crosta, con la superficie esterna che riporta i segni della fuscella. Colore bianco, così come la pasta interna, che si presenta molle, umida, occhiature piccole e rade, distribuite in modo irregolare. Non è un formaggio spalmabile, ma la sua adesività permette al degustatore di apprezzarne la componente lattica.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO AL CONSUMO
Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.
INTENSITÀ AROMATICA E SENSAZIONI
Bassa.
ABBINAMENTI
Le sue caratteristiche le consentono di essere utilizzata in cucina per condire primi piatti o dolci Si accosta a vini bianchi più o meno secchi come il Friulano o il giovane e beverino Prosecco.
VALORI NUTRIZIONALI PER 100 GR
Valore energetico
270 KcalGrassi
21-26 gProteine
14-19 g
NOTE
Il disciplinare di produzione prevede che il grasso del latte debba essere superiore al 3,2%.

CASATTA  DI CORTENO GOLGI

La Casatta di Corteno Golgi è un formaggio prodotto in Val Camonica.
È un formaggio dalla forma cilindrica dalla lunga stagionatura (fino a 60 giorni)
La crosta è di colore giallo, mentre la pasta assume un colore paglierino.

CASCIOTTA D'URBINO
La Casciotta d'Urbino è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta, tipico della Provincia di Pesaro e Urbino. Formaggio realizzato sin dall'antichità, sembra fosse il formaggio preferito da Michelangelo e da papa Clemente XIV. La prima apparizione ufficiale è del 1545 nel Commento alle Costituzioni del Ducato di Urbino di Solone di Campello. Di rilievo fu l'aiuto dato dai Duchi di Montefeltro e successivamente dalla famiglia Della Rovere, che dedicarono sempre grandi attenzioni alla produzione della Casciotta d'Urbino. Per mantenerne alto il livello qualitativo incoraggiarono l'utilizzo del latte delle locali pecore, migliore di quello delle pecore maremmane e dimezzarono l'importo per il transito delle pecore ai pascoli e la tassa sul trasporto del formaggio. Nel 1982 ottenne il riconoscimento D.O. e nel 1996 D.O.P..
Il riconoscimento D.O.P. naturalmente è riservato solamente al prodotto che presenta determinate caratteristiche e la zona di produzione è esclusivamente riservata alla Provincia di Pesaro e Urbino. La Casciotta d'Urbino è un formaggio a pasta semicruda da tavola, composto in misura variabile dal 70% all' 80% di latte ovino e per il restante di latte vaccino. L'altezza varia dai 5 ai 7 cm, il diametro dai 12 ai 16 cm, si presenta con una forma cilindrica a scalzo basso con facce arrotondate e il peso di ogni forma deve essere compreso fra gli 800 e 1200 gr. La pasta possiede un colore bianco-paglierino, la crosta è sottile 1 mm e il grasso sulla sostanza secca deve essere almeno il 45 %. In quanto di giovane vita il sapore è dolce, gradevole, ma leggermente acidulo conservando la componente aromatica del latte. All’atto della sua immissione sul mercato deve essere munito del contrassegno indicato nel Decreto di riconoscimento, a garanzia della rispondenza del prodotto alle specifiche prescrizioni normative.
La produzione della Casciotta d'Urbino segue delle rigide regole che ne certificano la qualità organolettiche e merceologiche che la Denominazione di origine protetta sancisce. Il latte giunge al caseificio dai vari produttori a seguito di mirate ed alternate raccolte nell'intera zona di produzione D.O.P. e tramite delle cisterne apposite per garantirne l'integrità. Dopo essere sottoposto ad analisi batteriologiche e chimiche viene, attraverso moderne strumentazioni, refrigerato alla temperatura di 4 °C e pulito dalle eventuali impurità. Successivamente viene aggiunto il caglio, solitamente di vitello e i fermenti lattici, il tutto a una temperatura di circa 35 °C. Dopo 20-30 minuti dall'aggiunta del caglio si rompe la massa cagliata, la si estrae dal siero e la si ripone negli appositi stampi forati, attualmente in plastica, ma anticamente in vimini, terracotta, ceramica o legno. La pressatura avviene effettuata con le mani, fino a conferire la caratteristica forma rotondeggiante; in seguito viene immessa in salamoia o salata a secco e riposta a temperatura di 10-12 °C, in luogo leggermente ventilato a un'umidità dell' 80-90%. La maturazione è prevista in 20-30 giorni. Una parte della produzione della Casciotta d'Urbino, per evitare l'insorgere di muffe, viene rivestita con un leggero strato di cera lucida e trasparente.
ZONA DI PRODUZIONE
Marche
TERRITORIO DI PRODUZIONE
Marche, provincia di Pesaro e Urbino.
ORIGINE
Latte di Pecora Latte di Vacca
FORMA E DIMENSIONE
Forma cilindrica con facce leggermente convesse del diametro di 12-16 cm, lo scalzo è convesso, alto 5-7 cm, peso di 0,8-1,5 kg.
STORIA
E’ un prodotto che risale al Trecento: rientrava tra le preferenze culinarie di Michelangelo e del Papa Clemente XIV. I Duchi di Montefeltro e la famiglia Della Rovere lo resero ancora più importante dedicando molta attenzione alla sua produzione, incoraggiando l’utilizzo delle lattifere locali e dimezzando sia l’imposta per il transito delle pecore ai pascoli, sia la tassa sul formaggio.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO
Pasta molle
TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE
Il latte, refrigerato a 4°, viene filtrato e pastorizzato. Alla temperatura di 35° vengono inoculati i fermenti lattici. La coagulazione, presamica, avviene con caglio liquido di vitello. Poi si procede alla rottura della cagliata, in grani delle dimensioni di una nocciola. Dopo una semicottura e l'estrazione, la pasta trova posto in appositi contenitori utilizzati anche per la produzione della Ricotta. Effettuata una pressatura manuale, la pasta viene lasciata a spurgare e rassodare. La salatura è in salamoia o a secco, secondo tradizione.
MATURAZIONE/STAGIONATURA
Avviene all’interno di celle per 20-30 giorni a una temperatura di 10-12°. Per evitare la formazione della muffa, la forma viene rivestita da una cera trasparente e lucida.
CARATTERISTICHE DEL FORMAGGIO
La crosta è sottile, morbida e di colore paglierino. La pasta è compatta, di colore bianco o paglierino scarico. È presente un’occhiatura fine, rada, distribuita in modo irregolare. La pasta è untuosa, umida, abbastanza elastica, a volte presenta gessatura centrale.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO AL CONSUMO
Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.
INTENSITÀ AROMATICA E SENSAZIONI
Medio-bassa.
ABBINAMENTI
Formaggio da tavola che può essere condito con olio d’oliva, erbe aromatiche e pepe. Ottimo con la polenta, ma anche con verdure fresche, olive ascolane, frutta fresca o secca. Adatto per accompagnare aperitivi, si accosta a mieli e marmellate. Predilige vini bianchi giovani come il Verdicchio o il Greco di Tufo, ma anche alcuni rosati.
VALORI NUTRIZIONALI PER 100 GR
Valore energetico
350 KcalGrassi
29,5 gProteine
19,8 g
NOTE
Si dice che porti il nome con la lettera “s” per un errore di trascrizione di un impiegato ministeriale, ma questa storpiatura le permette di differenziarsi dalle altre Caciotte della zona.

CASIZOLU
Il casizolu è un formaggio di latte vaccino a pasta filata. È ottenuto dal latte delle vacche di razza sardo-modicana (bue rosso) allevate tutto l'anno allo stato brado. È un presidio Slow Food. È tipico del Montiferru e ha la forma a pera col collo più o meno allungato a seconda della tecnica usata nella zona di produzione. L'aspetto esteriore è liscio di colore giallo chiaro. Con la stagionatura la pasta tende a scagliare.

CASOLÉT
Il Casolét è un formaggio prodotto in Val di Sole, in Provincia di Trento. Una sua variante di forma triangolare è prodotta anche in Val Camonica (BS). È un formaggio a forma cilindrica prodotto con il latte intero dei pascoli locali. Ha una crosta sottile e leggermente rugosa, mentre la pasta ha un colore bianco crema. Si può consumare dopo 30 giorni di stagionatura. Esprime sentori di erbe e aromi naturali. La variante prodotta in Val Camonica è prodotta nella classica forma triangolare, con pezzature abbastanza piccole.

CASTELMAGNO DELLA VAL GRANA
La Val Grana conserva un patrimonio di pascoli ricchi di essenze foraggere incontaminate e numerose varietà di erbe e fiori endemiche. La sua economia è legata alla produzione artigianale del Castelmagno, che nell'occitano di queste valli si dice castelmanh: un formaggio di latte vaccino con minime aggiunte di latte ovino o caprino (da un minimo di 5% a un massimo del 20%).
Le prime notizie sulla sua produzione risalgono al XII secolo, riportate in una sentenza del 1277 che già impone, per l’affitto di alcuni pascoli dal Marchese di Saluzzo, un versamento non in denaro ma in una certa quantità di forme di Castelmagno. L’Ottocento è la sua epoca d’oro: il Castelmagno diventa il re dei formaggi piemontesi e compare nei menu dei più prestigiosi ristoranti di Parigi e di Londra. Poi inizia la decadenza. Oggi il Castelmagno in commercio è spesso prodotto in caseifici di valle ma ci sono ancora malgari che lavorano il latte delle proprie vacche in alpeggio secondo la tecnica antica. Le malghe sono situate a quote superiori ai 1600 metri: qui, la grande varietà e fragranza delle erbe e dei fiori, arricchita dalle graminacee, in particolare poa e festuca, conferisce al Castelmagno caratteristiche organolettiche di eccellenza. La tecnica di caseificazione del Castelmagno prevede la rottura della cagliata in grumi grandi quanto un chicco di mais o al più una nocciola. La massa ottenuta si lascia sgrondare per 24 ore in un telo (la risola) che viene annodato a formare un fagotto e appeso. Dopo circa un giorno si effettua un’altra rottura in cubetti. La massa, raccolta nuovamente, rimane ad acidificare per tre, quattro giorni sotto siero prima di essere triturata e rimpastata con aggiunta di sale e poi pressata per un giorno nelle forme. Successivamente il Castelmagno è posto a stagionare in ambiente naturale almeno per 120 giorni. Il Castelmagno ha una forma cilindrica con dimensioni variabili da 15 a 25 centimetri di diametro mentre l’altezza dello scalzo va dai 12 ai 20 centimetri. Ogni forma pesa da 5 a 7 chilogrammi. La crosta del formaggio giovane è liscia e chiara ma con l'avanzare della stagionatura da giallo-rossastra diventa più scura, spessa e rugosa e il sapore, nei primi mesi latteo e delicato, tende via via al piccante intenso. La pasta è di colore avorio e morbida: dopo la maturazione acquista più compattezza e un colore più scuro, a volte con sfumature blu-verdastre dovute allo sviluppo delle muffe penicillium , responsabili dell’erborinatura.
ZONA DI PRODUZIONE
Piemonte
TERRITORIO DI PRODUZIONE
Piemonte, nei comuni di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana, in provincia di Cuneo.
ORIGINE
Latte di Capra Latte di Pecora Latte di Vacca
FORMA E DIMENSIONE
Cilindrica, facce piane del diametro di 15-25 cm, lo scalzo è alto dai 12 ai 20 cm, mentre il peso varia da 2 a 7 kg.
STORIA
Già nel 1277 era stata fissata una tassa annuale per i pascoli da versare in formaggio al Marchese di Saluzzo. Nel 1722, invece, si parla di fornitura di forme di Castelmagno al feudatario locale, per volontà di un decreto del re Vittorio Amedeo II. Non si hanno prove certe, ma si pensa che la produzione del Castelmagno abbia avuto inizio attorno all’anno 1000.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO
Pasta semidura
TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE
Il latte crudo di massimo quattro munte consecutive, con l’eventuale aggiunta del 5-20% di latte di pecora e capra, senza alcun inoculo di fermenti lattici viene coagulato con caglio di vitello. La cagliata, presamica, subisce una rottura alle dimensioni di un chicco di mais, agitata in caldaia e successivamente estratta e posta su un telo, che prende il nome di “risola”, dove resta 18 ore. La “risola” viene appesa o adagiata su un piano inclinato per lo spurgo. La pasta finisce poi in contenitori appositi, immersa nel siero della lavorazione precedente, per un periodo che varia da 2 a 4 giorni. Infine, viene rotta a cubetti, finemente tritata, salata e posta di nuovo in contenitori, dove viene pressata.
MATURAZIONE/STAGIONATURA
Avviene in luoghi naturali e asciutti, meglio se in grotte, per un periodo non inferiore a 60 giorni.
CARATTERISTICHE DEL FORMAGGIO
La crosta, quando il formaggio è giovane, si presenta liscia e di colore giallo rossastro (arancione). Se è stagionato, la crosta è rugosa e il colore paglierino carico, ammuffito, tendente al marrone. La pasta è granulosa, di colore bianco o paglierino, a seconda della stagionatura. Può essere erborinata in modo naturale, presentando venature verdi.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO AL CONSUMO
Formaggio semigrasso o grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.
INTENSITÀ AROMATICA E SENSAZIONI
Medio-elevata, elevata.
ABBINAMENTI
Impiegato soprattutto nella cucina piemontese, per arricchire piatti come Gnocchi di patate col Castelmagno fuso. Può essere gustato in purezza o accompagnato a mieli. I vini consigliati sono rossi e corposi, come Barbaresco, Barolo e Nebbiolo d’Alba.
VALORI NUTRIZIONALI PER 100 GR
Valore energetico
410 KcalGrassi
34,2 gProteine
25,6 g
NOTE
Può essere prodotto al pascolo, diventando Presidio Slow Food, e nelle malghe da piccole aziende nel periodo fra giugno e settembre. In questo caso la “sventolina”, la tipica etichetta a forma di elica, riporterà la scritta "di alpeggio".

CASU FRÀZIGU
Il casu fràzigu è un prodotto alimentare della Sardegna caratterizzato dal suo particolare processo di formazione: si tratta di formaggio pecorino o meglio caprino colonizzato dalle larve della mosca del formaggio che per tale motivo è conosciuta come mosca casearia (Piophila casei). È conosciuto anche come casu martzu, casu modde, casu becciu, casu fattittu, casu giampagadu, cassu 'attu, casu cundítu, (i nomi si differenziano a secondo delle regioni storiche dell'Isola). Viene prodotto anche in Corsica, dove è conosciuto come casgiu merzu.
Come si ottiene
In ambito familiare viene ancora ottenuto in modo naturale tramite la Piophila casei (conosciuta anche come mosca casearia), un insetto dalle cui uova, deposte sulla forma di pecorino, nascono larve che traggono nutrimento cibandosi della forma stessa e sviluppandosi al suo interno. Il periodo di produzione è quello primaverile ed estivo, ma si può protrarre sino ad autunno inoltrato. Durante la fase di produzione del formaggio, solitamente si utilizzano alcuni accorgimenti atti a creare condizioni favorevoli per la riproduzione della Phiophila casei, come quello di ridurre i tempi della salamoia oppure di fare dei piccoli buchi colmati poi di olio con il duplice obiettivo di ammorbidire la crosta e di attirare l'insetto.
Altro accorgimento è quello di limitare il rivoltamento delle forme di pecorino, che vengono poste in locali aperti proprio per essere attaccate (punte) dall'insetto che depone le sue uova. Dopo la schiusa le larve trasformano con i loro enzimi la pasta casearia del pecorino in una morbida crema. Il periodo di maturazione dura da tre a sei mesi. Quando il formaggio è maturo e le larve sono notevolmente diminuite di numero, la forma viene aperta togliendo la parte superiore (su tappu). L'interno della forma si presenta composto da una crema omogenea di colore giallastro e dal sapore molto particolare e pungente.
Metamorfosi delle larve
Si possono osservare quattro fasi nel processo di metamorfosi:
la deposizione delle uova da parte della mosca casearia
sviluppo della larva che si ciberà del formaggio
stadio di pupa
sfarfallamento del moscerino.
Una volta spuntate le ali e diventati moscerini, il tempo a disposizione per deporre le uova è molto limitato: prima di morire dovranno trovare un'altra forma di formaggio sul quale deporre le uova, dalle quali poi si schiuderà la nuova generazione di larve. Nei caseifici di tutto il mondo, queste larve sono ben conosciute e temute in quanto attaccano tutti i tipi di formaggio. Intere partite di formaggio possono venire contaminate irrimediabilmente e a quel punto non resta che distruggere parte della produzione del caseificio, provvedendo poi alla disinfestazione dei locali.
Le ricerche nei laboratori
Le norme tecniche emanate dall'Unione europea non ne consentono più la produzione ed è proibita dalla legge la commercializzazione, perché in contrasto con le norme igieniche e sanitarie stabilite in sede comunitaria. Per poter salvaguardare questo prodotto la regione Sardegna lo ha inserito nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani: tale riconoscimento certifica che la produzione è codificata da oltre 25 anni così da poter richiedere una deroga rispetto alle normali norme igienico-sanitarie. Nel 2005 alcuni allevatori sardi in collaborazione con la facoltà di Veterinaria dell'Università di Sassari, per poter produrre questo formaggio legalmente e con le adeguate garanzie igieniche, hanno incaricato l'istituto di Entomologia agraria di Sassari di realizzare un allevamento di Piophila casei in ambiente controllato, per poter ottenere il pieno controllo dell'intero processo produttivo.
Tutela del prodotto
Il Casu fràzigu è inserito all'interno della banca dati dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Rientra tra quelli che la Regione Sardegna vuole proteggere ed è stato richiesto all'Unione Europea il marchio DOP per tutelarne la denominazione d'origine Casu Martzu e salvaguardarlo dalla pirateria alimentare.

CESIO
Il formaggio Cesio, tipico della Vallata Feltrina nell'alto Veneto, prende nome dal comune di Cesio, ora Cesiomaggiore, ove aveva sede il caseificio che per primo lo ha realizzato.
Prodotto inizialmente dalla latteria di Cesio (trasformato in Cesiomaggiore dopo l'unità d'Italia al fine di non confonderlo con l'omonimo comune ligure). Successivamente la "Latteria Cooperativa della Vallata Feltrina Busche", in seguito denominata Lattebusche, ha conosciuto un ingrandimento del proprio volume di affari tale da assorbire quasi tutte le latterie turnarie e sociali della provincia di Belluno. Negli anni '90 la produzione è stata spostata nella succursale di Sandrigo (VI), ma dal 2008 è tornato ad essere prodotto nel suo luogo di nascita.

CEVRIN DI COAZZE

C’è chi lo chiama toma e chi robiola, ma nel patois locale il nome è Cevrin, caprino, anche se il latte dei rustici animali di razza Camosciata quasi mai è caseificato in purezza, bensì mescolato con quantità variabili di latte vaccino. I piccoli ruminanti indispensabili per la produzione del Cevrin sono di una razza particolare, la Camosciata delle Alpi. Di taglia medio - piccola, agile e snella, con mantello rossastro e magnifiche corna rivolte all’indietro, la capra alpina somiglia nettamente a uno stambecco, cugino selvatico di cui condivide l’attitudine frugale, intraprendente, capace di dare il meglio in condizioni estreme. Il suo habitat ideale è il pascolo, anche magro, ad alta quota. Il Cevrin è prodotto con latte misto di capra e vacca cui si aggiunge caglio liquido di vitello. La coagulazione è lenta: a metà tra la lattica e la presamica. Dopo la rottura della cagliata si lascia riposare e poi si trasferisce nelle fascere modellandola in forme larghe una ventina di centimetri. Infine si sala a secco su entrambe le facce. Il Cevrin stagiona almeno tre mesi (in alpeggio, in grotte naturali) e richiede un’impegnativa manutenzione. I caci vanno rigirati e puliti quotidianamente. Hanno una forma tonda con una crosta rugosa e umida e di colore ambrato. La pasta è leggermente granulosa con colore giallo verso l’esterno e bianco all’interno. L’altezza dello scalzo è di 
10 centimetri e il diametro delle facce va dai 15 ai 18 centimetri con un peso che varia da 0,8 a 1,5 chilogrammi.

CONTRIN
Il contrin è un formaggio di latte vaccino intero tipico di Livinallongo del Col di Lana (alto Cordevole, provincia di Belluno). Prende il nome da una delle frazioni del comune dove viene praticato l'allevamento estensivo dei bovini. Come gli altri due formaggi della zona, il renaz e il fodom, è prodotto esclusivamente dalla Latteria cooperativa di Livinallongo dal 1983. Viene comunque realizzato mediante metodiche tradizionali ed è stato per questo riconosciuto come P.A.T. Le forme di contrin sono cilindriche, con scalzo di 20 cm, diametro di 20 cm e peso di 4 kg. Il formaggio è a pasta semimorbida molle, di colore variabile a seconda del periodo di produzione (bianco d'inverno e paglierino d'estate). La crosta è ruvida e bianca con venature grigie. Ha profumo decisamente latteo, leggermente acido, e gusto fragrante e saporito.

FALLONE DI GRAVINA
Il fallone di Gravina è un formaggio fresco e delicato, prodotto nella zona di Gravina, in provincia di Bari. Il fallone va consumato freschissimo, possibilmente nello stesso giorno in cui viene preparato. I casari pugliesi lo producono da sempre con latte crudo, mentre i caseifici impiegano latte pastorizzato. Al di là di questa differenza, è rimasta invariata la formulazione della ricetta, secondo la quale si aggiunge al latte ovino una percentuale di latte caprino (10-15%), per dare all'impasto un carattere più deciso. La cagliata sminuzzata finemente e liberata dal siero con le mani, viene divisa in porzioni, messe poi in forma in stampi di plastica che hanno sostituito quelli più antichi di giunco. Il fallone così è già pronto per essere pienamente apprezzato: pasta molle, grassa e compatta, sapore caratteristico.

FIORE SARDO

Il Fiore Sardo è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta. Questo formaggio di pecora viene prodotto in Sardegna. Oltre alla denominazione DOP può vantare il prestigioso riconoscimento di Presidio di Slow Food, insieme al "Casizolu" e al "Pecorino di Osilo". Il formaggio, conosciuto ad Osilo con il nome di "casu ruju" (formaggio rosso), è a pasta cruda, viene prodotto con latte intero fresco e cagliato esclusivamente con caglio di agnello o capretto. La zona di produzione è estesa a tutta la Sardegna.

FONTINA VADAOSTANA
La Fontina (in francese Fontine) è un formaggio italiano a Denominazione d'Origine Protetta (DOP). La sua origine viene fatta risalire al 1270, sebbene la prima testimonianza iconografica risalga al XV secolo, in un affresco del Castello di Issogne. Formaggio grasso a pasta semicruda, ad acidità naturale di fermentazione, fabbricato con latte intero di vacca proveniente da una sola mungitura e munto da non oltre 2 ore. Il latte non deve aver subito, prima della coagulazione, riscaldamento ad una temperatura superiore ai 36 °C. Viene prodotta esclusivamente con latte intero crudo di bovine di razza valdostana (razze Valdostana pezzata rossa e Valdostana pezzata nera), alimentate prevalentemente con foraggio verde nel periodo estivo e con fieno locale nel resto dell’anno. L'aspetto al taglio, può variare leggermente sia nel colore che nella leggera occhiatura, in base al produttore nonché alla stagione in cui è stato fabbricato, anche la salatura, poco accentuata, varia leggermente a seconda del produttore. Le forme che non superano il controllo di idoneità al marchio Fontina, sono immesse al commercio come formaggio valdostano. La zona di produzione comprende esclusivamente il territorio della Regione autonoma della Valle d'Aosta.

FORMAGGELLA DEL LUINESE
La Formaggella del Luinese DOP è un formaggio a pasta molle, con stagionatura minima di 20 giorni, prodotto esclusivamente con latte intero e crudo di capra. Di forma cilindrica con facce piane, la Formaggella del Luinese DOP ha un diametro di 13-15 centimetri, scalzo variabile di 4-6 centimetri e peso di 700-900 grammi per toma. La crosta non è dura e, a volte, è caratterizzata dalla presenza di muffe. La pasta omogenea è di colore bianco. La pasta morbida e compatta ha un’occhiatura piuttosto fine. Le testimonianze storiche, che provano come il formaggio e la formaggella di capra siano da sempre presenti nella tradizione gastronomica luinese, sono numerose a partire dalla menzione dello "Specioso formaggio che si fa in Valtravaglia", presente in un celebre trattato del XVII secolo (MORIGIA, Paolo, Historia della nobiltà et degne qualità del Lago Maggiore, Milano, 1603). Questo, analogamente a diverse fonti del periodo medioevale, sottolinea la presenza dell’allevamento nelle Valli del Luinese e come i formaggi fossero ampiamente presenti sui mercati e oggetto di scambi, donazioni e commerci. Ancora, due secoli dopo, i formaggi locali e il loro sapore non mancano di colpire l’attenzione di Luigi Boniforti che, a proposito della Valtravaglia, annota: "... È fertile specialmente in viti e pascoli: di questi abbondano le supreme parti delle vicine montagne, nell’estiva stagione popolate da un gran numero di mandriani e caprai, che vi ammaniscono piccoli formaggi di gusto piccante, e molto gradito ai riverani..." (BONIFORTI, Luigi, Il Lago Maggiore e dintorni con viaggi ai laghi e ai monti circonvicini, Milano 1814). Il latte utilizzato per la produzione della Formaggella del luinese DOP, intero e al 100% di capra, deve essere ottenuto al massimo da 3 mungiture e conservato a una temperatura non superiore ai 4°C. Il riscaldamento può avvenire con fuoco a legna, gas o vapore. Il caglio impiegato è esclusivamente naturale. La coagulazione avviene tra 32 e 34 °C, per un tempo compreso fra i 30-40 minuti. Quando la cagliata ha raggiunto una densità media, si procede alla rottura per il raggiungimento di una grana fine tendente al chicco di mais. Successivamente, se l’ambiente è particolarmente freddo, si effettua un eventuale riscaldamento a una temperatura massima di 38°C, seguito da una fase di agitazione e da una di riposo di circa 15 minuti ciascuna. La formatura avviene in stampi di 14 cm di diametro. Il processo di stagionatura è di 20 giorni.
Di sapore dolce e gradevole, la Formaggella del luinese DOP ha un aroma delicato che s’intensifica con la stagionatura. Ideale come formaggio da tavola. La Formaggella del Luinese DOP è prodotta in tutte le valli del Luinese e nell’Alto territorio montano della provincia di Varese.

FORMAGGETTA DI MONTEBORE

Montébore è un paesino della Val Curone, sullo spartiacque tra le valli del Grue e del Borbera. Un angolo del Tortonese poco umanizzato e integro. La fama del luogo è legata a una formaggetta di latte vaccino e ovino dalla storia antichissima. Già nel XII secolo un ricco tortonese ne mandava ben cinquanta pezzi in dono a un alto prelato per perorare la promozione del fratello prete. E alla fine del Quattrocento è l’unico formaggio presente nel menù delle sfarzose nozze tra Isabella di Aragona, figlia di Alfonso, e Gian Galeazzo Sforza, figlio del Duca di Milano. La curiosa forma a torta nuziale si ispira alla antica torre del paese ed è data dalla sovrapposizione di robiole dal diametro decrescente. La crosta parte liscia e umida e poi, con la stagionatura, diventa più asciutta e rugosa. Il colore va dal bianco al giallo paglierino. La pasta è liscia o leggermente occhiata, di colore bianco in varie sfumature. Si fa con latte crudo: per il 75% vaccino (un tempo era quello delle vacche Tortonesi, oggi quasi estinte) e per il restante 25% ovino. La cagliata, rotta con un cucchiaio di legno, è posta nelle formelle, rivoltata e salata. Estratte dallo stampo, tre forme dal diametro decrescente sono poste a stagionare, una sopra l’altra, da una settimana a due mesi. L’assaggio di Montébore, opportunamente stagionato, denuncia il gusto del latte ovino, anche se la percentuale di latte di pecora non supera mai il 40%. Al naso, infatti, si percepiscono odori leggermente animali e un poco speziati. In bocca, all’inizio della degustazione, è tendenzialmente latteo e burroso, mentre nel finale si sente la castagna accompagnata da sfumature erbacee. Il Montébore può essere gustato fresco, semistagionato (quindici giorni) o da grattugia.

FORMAGGETTA DI SAVONA E STELLA
La zona in cui si produce è l’intero territorio della provincia di Savona. Si tratta di un formaggio di latte vaccino o misto (vaccino e ovino, vaccino e caprino). Diametro delle facce di circa 12 cm, altezza dello scalzo di circa 4 cm, con variazioni del 30% a seconda del metodo di lavorazione. Crosta assente e di colore bianco nel formaggio fresco, giallo paglierino nel formaggio stagionato. Il colore della pasta va dal bianco al giallo o avorio a secondo della stagionatura. Il sapore è fragrante, poco salato, non piccante, con aroma caratteristico debolmente acido. La formaggetta del ponente è un formaggio fresco o stagionato, per circa 30 giorni. Il latte, ottenuto da una o più mungiture giornaliere, deve essere intero se di tipo ovi-caprino e parzialmente scremato se vaccino, prima di essere sottoposto a coagulazione. La coagulazione è favorita dall'aggiunta di caglio liquido. Il processo si esegue a temperatura ambiente (fra i 16 e i 24°C) e si protrae per 8/24 ore. La coagulazione avviene in contenitori cilindrici. Raggiunta la giusta consistenza, questa viene posta con un lento capovolgimento per evitare la rottura, in scodelle di terracotta forate, dette cuppe. Quindi, dopo una sufficiente sgocciolatura, si procede alla salatura a mano della formaggetta, prima su una faccia e successivamente sull'altra. Dopo 8-12 ore, la formaggetta può essere estratta dai contenitori. Il prodotto si consuma fresco o stagionato. La stagionatura avviene ponendo le cuppe in cassettine appese in solaio. Si conserva anche sott'olio.

FORMAGGIO D'ALPEGGIO DI TRIORA
L'Alpeggio di Triora è un formaggio prodotto da latte vaccino. È di pasta semidura di colore giallo intenso. Si fonde facilmente, pertanto è adatto a condire tutti i tipi di pasta corta sia secca che fresca.

FORMAGGIO DI FOSSA DI SOGLIANO AL RUBICONE
Il formaggio di fossa è un tipico formaggio originario di Sogliano al Rubicone (FC) ma anche prodotto storicamente a Talamello (RN) e Sant'Agata Feltria (RN). Oggi, per estensione, viene prodotto in diversi comuni del Montefeltro e della val Metauro. A differenza delle altre località, Talamello è l'unica che, come vuole la tradizione, infossa il formaggio una sola volta all'anno e questo per ottenere il massimo della qualità. La produzione di Sogliano appare invece quella più antica.
Il formaggio di fossa può essere di pura pecora o misto (ovverosia di latte vaccino e di pecora) e viene stagionato per tre mesi in tipiche fosse di forma ovale scavate nella roccia.
La tecnica di stagionare il formaggio nelle fosse ha origine molto antica. Questo tipo di formaggio è nominato in due inventari del 1497 e del 1498. Da entrambi i documenti si evince che la fossa di tufo aveva un duplice utilizzo: era il luogo di conservazione del formaggio (in autunno) e del grano (per preservarlo dalle razzie dei soldati), in tempi diversi dell'anno. Il produttore di formaggio affittava la fossa per il tempo che era necessario alla stagionatura, tre mesi o massimo 100 giorni. il formaggio veniva posto, come tutt' oggi avviene, in sacchetti di tela coperti di paglia, per isolare il formaggio dall'aria.
Il periodo tradizionale di infossatura era fine agosto-settembre; la riapertura delle fosse avveniva il 25 novembre, giorno di Santa Caterina. Tale tradizione, lungi dall'essere scaramantica, era fondata su comportamenti e scelte razionali. La primavera-estate era il periodo in cui c'era maggiore abbondanza di pascolo, e quindi di maggiore produzione di latte. Si avvertiva la necessità di trasformare il latte in formaggio e di conservarlo per i periodi meno produttivi. Questa è la ragione fondamentale della permanenza in fossa del formaggio nel periodo autunnale. Il formaggio era consumato già a partire dall'inverno.
La Sagra del Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone si tiene ogni anno nelle ultime due domeniche di novembre e la prima di dicembre. Durante la sagra viene appositamente allestito il mercato del formaggio di fossa, per l'evento è possibile visitare direttamente le aziende che stagionano il formaggio nelle loro "fosse". Nelle domeniche della sagra le "fosse" vengono tenute aperte al pubblico.

FORMAGGIO DI MONTAGNA DI SESTO

Il formaggio di montagna di Sesto in tedesco Sextner Almkäse, detto anche "formaggio di malga" è un prodotto agroalimentare tradizionale fatto a Sesto in val Pusteria. Il Rio Sesto è tributario della Drava, a sua volta affluente del Danubio, nel bacino imbrifero del Mar Nero. L'intero territorio comunale è posto a più di 1.200 metri sul livello del mare, l'indicazione di malga indica poi che tradizionalmente il latte destinato a tale formaggio proviene da alpeggi situati ad altezza ancora superiore. Si presenta come un formaggio da taglio con almeno il 50% di materie grasse (M.G.S.S.), le forme, di aspetto cilindrico, pesano circa 7 chilogrammi. Il disciplinare prevede che la cagliata, previo riscaldamento, venga pressata nelle forme per 5 ore, a cui segue un riposo di una notte senza pressatura, salatura e una maturazione per almeno 10 settimane ad una temperatura di 8-10 °C ed una umidità di 85%. Durante la maturazione si forma una sottilissima peluria sulla crosta di ife fungine che sono ripulite prima della commercializzazione. Vengono utilizzati caldaie di rame e stampi di legno. La produzione viene effettuata dal caseificio sociale di Sesto che è stato fondato nel 1926.

FORMAGGIO DI SAN STE'

Proseguiamo il nostro viaggio caseario ed attraversiamo la val d’Aveto. Stiamo cercando il formaggio di Santo Stefano d’Aveto. Ben custodito dal suo forte. Ecco quale tesoro si cela dentro quelle mura. Forma cilindrica regolare; peso variabile tra 3 e 18 Kg, in relazione alla dimensione della forma. Crosta sottile, elastica, liscia di colore giallo paglierino con tendenze al bruno in base al grado di stagionatura. Pasta di colore giallo paglierino, con caratteristica occhiatura minuta e diffusa. Sapore con aroma di latte al minimo di stagionatura, fragrante ed intenso con lieve tendenza amara, raggiungendo la maturità. Zona di produzione: Alta val d'Aveto (Rezzoaglio e Santo Stefano d'Aveto) Lavorazione: Formaggio grasso a pasta semicotta prodotto con latte vaccino intero proveniente da bovine generalmente di razza Bruna, Cabannina e meticcia, la cui stagionatura dura almeno due mesi. Il latte viene parzialmente scremato (affioramento di meno di 12 ore) prima di subire la coagulazione utilizzando caglio di vitello. La temperatura di coagulazione è di circa 32-35°C. L'operazione si effettua in tradizionali contenitori in rame, detti parèu, ramà. La coagulazione si protrae per circa due ore. La lavorazione tradizionale comporta le seguenti fasi di lavorazione: rottura della cagliata con il bastone di legno (canelu) che successivamente viene raccolta con la schiumarola (cassa sbùsa) in un telo posto in una fuscella (friscèla). La massa viene quindi lavorata manualmente per essere frantumata, schiacciata e pressata in modo che possa fuoriuscire tutto il siero. La massa viene salata e messa sotto torchio per 2-3 giorni. Quindi, si effettua, per alcuni giorni la salatura a secco. A questo punto inizia il periodo di stagionatura in appositi locali (tradizionalmente si ponevano su lastre di ardesia), alla temperatura di cantina (15 C) e ad un'umidità relativa non inferiore al 60%.

FORMAI DE MUT DELLA VALBREMBANA
Il Formai de Mut dell'Alta Valle Brembana è un formaggio a Denominazione d'Origine Protetta (DOP).
Ai primi del '900 con il termine "formaggio di monte" veniva classificata l'intera produzione della Alta Valle Brembana; in seguito, nel 1985, al Formai de Mut venne attribuita la denominazione di origine controllata e nel 1996 la denominazione di origine protetta, DOP. Questo formaggio viene prodotto in alta montagna, sulle vette che vanno dai 1300 ai 2500 metri. Proprio in relazione a questo e al particolare clima delle valli brembane, ricche di acqua, il Formai de Mut ha un sapore particolare e conserva l'aroma tipico. La conservazione ottimale avviene in ambienti non troppo caldi che possono variare da una temperatura tra i 9 e i 14 °C. La stagionatura minima è di 40 giorni anche se questo formaggio, stagionato per più di un anno, è molto buono anche da grattugiare. Per la produzione di questo formaggio si utilizzando caldaie di rame con una portata di 300-400 litri. Il formaggio viene coagulato a 35-37 °C per un tempo di trenta minuti. Dopo aver rotto la caglia di vitello si passa alla cottura per poi mischiare il risultato "a freddo". Successivamente la caglia verrà a depositarsi sul fondo: il tutto viene quindi posto nelle fascere per poi pressarlo. Due giorni dopo tale operazione si procede a salazione del prodotto, a secco o in salamoia.
Caratteristiche principali
forme con diametro 30-40 centimetri
scalzo dritto di 8-10 centimetri di altezza
peso 8-12 chili
crosta color grigio e sottile
sapore delicato, non piccante

FURMAIN

Il Furmain (dizione esatta Furmaìn) è un formaggio di latte vaccino che si produce nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna (alla sinistra del fiume Reno), Mantova (alla destra del fiume Po). È una caciotta priva di additivi e conservanti ottenuto da latte di bovine alimentate prevalentemente con foraggi provenienti dalla zona di produzione. Il Furmaìn si presenta come una forma di formaggio sferica appiattita, con scalzo leggermente convesso, e varia da un peso medio che può andare dai 500 a 6.000 grammi. L’aspetto esterno varia a seconda delle due tipologie della caciotta: fresca (a pasta tenera da latte pastorizzato) con meno di 90 giorni di stagionatura, o stagionata (a pasta semidura da latte non pastorizzato o solamente termizzato) con minimo 90 giorni di stagionatura, che può protrarsi sino a un anno. Il Furmaìn fresco ha una crosta di colore bianco-panna e una pasta dolce, elastica e soffice, mentre quello stagionato è più tendente al giallognolo e presenta una pasta più soda e più piccante al gusto.
Il Furmaìn è il progenitore del Formadio, il padre del noto Parmigiano Reggiano, citato per la prima volta in una pergamena dell’abbazia di Marola di Canossa (Reggio Emilia), nel 1159. Si deve infatti al Furmaìn l’origine del Formadio, il formaggio antecedente al Grana, prodotto dal 1159 dai fratelli agricoltori Di Formolaria, un borgo ancora esistente a Marola, nel Comune di Carpineti, in provincia di Reggio Emilia. Tracce del prezioso Furmaìn si attestano già in documenti che risalgono al XVII secolo, nei quali fa capolino nella lista degli omaggi che i funzionari modenesi riservavano al loro Duca. Anche da rilevazioni statistiche datate ai primi anni del XIX secolo, emerge la produzione in casa di formaggio “vaccino”, mentre nel 1828 compare nel primo calmiere di generi alimentari di Filza. Il “formaggio di casa”, anticamente prodotto durante la stagione invernale, rischiò la scomparsa in Emilia nella seconda metà del Novecento, quando si iniziò a produrre il Parmigiano Reggiano tutto l’anno. Ora, sotto l’egida del Conva, il Consorzio per la valorizzazione dei prodotti d’Appennino, e con il sostegno della Provincia di Reggio Emilia, diversi caseifici e aziende lo stanno riscoprendo, sotto le disposizioni di un disciplinare di produzione.
Questa caciotta viene identificata da un marchio camerale composto dal nome “Furmaìn”, registrato, e la scritta "formaggio tradizionale di latte vaccino" assieme logo composto da un emblema di Matilde di Canossa, con sullo sfondo la trama di un castello, sovrastante l’immagine di una bovina da latte vista di profilo. Ogni etichetta prevede all’interno la personalizzazione coi dati del produttore autorizzato dal Conva. Sono previste due etichettature, una in colore arancione/oro per il formaggio stagionato con l’aggiunta della scritta “stagionato” e una in colore bordeaux per il formaggio fresco con l’aggiunta della scritta "fresco". Le aziende che producono il Furmaìn seguono un severo disciplinare di produzione, steso e certificato dal Consorzio Conva, che si riserva di effettuare controlli sul rispetto del regolamento riguardante il formaggio, e di eventuali norme di produzione in seguito definite, affidandosi a propri tecnici o personale esterno.

GALBANINO
Il Galbanino è un formaggio fresco a pasta filata, non stagionato, prodotto con soli tre ingredienti: latte vaccino, sale e caglio. Nasce negli anni 50 dal marchio Galbani, e nel corso degli anni diventa uno dei formaggi italiani più conosciuti in tutta la penisola. Il suo commercio è concentrato più che altro nel sud Italia, dove risiede una grande tradizione di formaggi a pasta filata come la Mozzarella e la Burrata, e in particolar modo il suo consumo è maggiore nella regione Sicilia.
È un formaggio dal sapore dolce, molto delicato, che grazie alla sua consistenza filante è l’ideale in cucina per essere utilizzato nelle torte salate o negli sformati perché non rilascia acqua durante la cottura. La sua forma caratteristica è a forma di cilindro, è di colore giallo paglierino e la sua crosta non è edibile, perché coperto da una cera protettiva; proprio grazie a questa cera che lo protegge dagli odori e dalle muffe, il Galbanino è prodotto senza conservanti. In commercio esiste anche un’altra versione, il Galbanino affumicato. Come dice il nome, a differenza di quello classico, essendo affumicato ha perciò un sapore più ricco e deciso, e un profumo tipico che solo l’affumicatura può rilasciare. Questa variante del formaggio è ottima per condire pizze e panini, data la sua elevata sapidità e il profumo intenso. Recentemente è stato introdotto sul mercato anche un’altra versione del Galbanino classico: Galbanino Il Saporito. Mentre la versione classica risulta dolce e delicata al palato, questa nuova variante è leggermente piccante, ed è l’ideale per dare un tocco differente ai soliti piatti. Inoltre, per chi preferisce un formato pratico già pronto all’uso, sono in commercio le comode fette di Galbanino confezionate singolarmente, che contengono in ognuna di esse ben un bicchiere di latte intero da 125 ml. Il Galbanino è un formaggio dall’alto valore energetico: per 100 grammi di prodotto, contiene 335 kcal e molti nutrienti tipici del latte. Uno di questi è il calcio, un minerale importante per l’organismo e per il suo benessere: il Galbanino ne contiene 600 mg, circa il 75% del fabbisogno giornaliero di un adulto. La quantità di sale è invece piuttosto bassa, solo 0,9 g, mentre le proteine sono 22 grammi. Con questo formaggio è possibile preparare tanti piatti diversi e gustosi. I primi di pastasciutta possono essere conditi con del Galbanino grattugiato, posto in precedenza in freezer in modo che rassodi bene, oppure tagliato a tocchetti e messo sulla pasta rovente, in modo che l’esterno fonda, lasciando invece l’interno ancora sodo. Anche le paste al forno possono essere rese più gustose dal Galbanino, specialmente da quello Saporito. In Sicilia, dov’è maggiore il suo consumo, la tradizione ha incontrato la modernità con l’utilizzo di Galbanino negli arancini e negli involtini classici di questa terra, quelli alla palermitana. Generalmente questi piatti sono preparati con il Caciocavallo, un formaggio filante tipico del meridione, che può essere però sostituito con tranquillità dal Galbanino, date le sue proprietà filanti e la bassa concentrazione d’acqua al suo interno, che rende i piatti ancora più sfiziosi.

GIUNCATELLA ABRUZZESE
La giuncatella abruzzese è un tipico formaggio abruzzese. È prodotta per il 60% utilizzando il latte pecorino, mentre per il restante 40% si usa il latte caprino, entrambi provenienti da razze miste. Bisogna prendere il latte ricavato dal miscuglio dei due, e portarlo a temperature congrue affinché possa coagularsi; a questo impasto verrà aggiunto del caglio ed alcuni fermenti lattici. Da queste sostanze si trae il formaggio originale, che senza essere salato o sottoposto ad altri trattamenti viene steso in alcuni appositi recipienti di giunco (il nome del prodotto caseario deriva proprio da questa procedura), dopodiché è pronto al consumo al naturale. In genere le porzioni di giuncatella sono comprese tra i 5 e gli 8 ettogrammi.

GRANDE VECCHIO DI MONTEFOLLONICO
Il grande vecchio di Montefollonico è un tipo di pecorino che viene prodotto nel territorio dell'omonima località, situata in provincia di Siena. Classica la forma cilindrica, il formaggio è prodotto in forme alte circa 10/15 centimetri, di peso variabile tra i 5 e gli 8,5 kg e con un diametro intorno ai 25/30 cm. La crosta è irregolare, di colore bruno, mentre all'interno si presenta omogeneo, di un giallo piuttosto acceso. Risulta lievemente piccante al palato.Dopo essere stato refrigerato e stoccato, il latte di pecora viene sottoposto al processo di pastorizzazione, al quale segue quello di coagulazione, per il quale va utilizzato il caglio di vitello. Successivamente, dopo essere stata rotta, la cagliata viene versata negli appositi stampi, per procedere poi al processo di acidificazione e spurgo in ambiente riscaldato, alla salatura, da effettuarsi a secco, e per finire al procedimento di stagionatura, il quale deve avvenire il ambienti condizionati, per circa 10 mesi, mediante il sostegno di grandi griglie di metallo. Il formaggio, poi, subirà anche un ulteriore trattamento della buccia con olio extravergine d'oliva.

HOCHPUSTERTALER
Il Hochpustertaler (tradotto in italiano, formaggio alta Pusteria) è un formaggio stagionato a pasta semicruda, che viene prodotto nella zona di Dobbiaco e Villabassa.
Questo formaggio viene prodotto usando latte vaccino intero oppure latte parzialmente scremato. La provincia di Bolzano lo ha fatto includere dal Ministero tra i prodotto agroalimentare tradizionale ed è prodotto a Dobbiaco in Val Pusteria. Rappresenta una produzione tipica della Latteria di Dobbiaco che è stata fondata nel 1883 ed è quindi una delle primissime di tutto l´Alto Adige. Il formaggio si presenta sotto forma cilindrica, con delle facce piane di 40 cm di diametro e 10 cm di altezza, arrivando a pesare attorno ai 15 kg. Il formaggio ha la pasta di color bianco, con un'occhiatura fitta, mentre al suo esterno la crosta è di tipo dura. La sua stagionatura dura fino ad otto mesi.

MACAGN DELL'ALPE DEL ROSA IN VALSESIA
Il Macagn è un formaggio che prende il suo nome dall’Alpe omonima, ai piedi del monte Rosa, a nord di Biella. Oggi si produce sulle montagne del Biellese e della Valsesia, in particolare nelle valli Cervo, Sessera e Sesia. Più piccolo della toma piemontese, è un tipico formaggio di montagna fatto con latte vaccino intero e crudo. Si produce 2 volte al giorno ad ogni mungitura, per sfruttare la naturale temperatura del latte. Ciò gli conferisce una particolare fragranza in cui si avverte nettamente il pascolo e piacevoli sensazioni floreali.
Le forme pesano da 1,7 a 2,3 chilogrammi, sono tonde, con un diametro dai 18 ai 25 centimetri e uno scalzo di 5, 8 centimetri. La crosta è sottile, liscia, con colore che varia dal paglierino al grigio e sfumature dal giallo all’arancione. La pasta è compatta, elastica, con una leggera occhiatura sparsa e un colore bianco paglierino, quando è giovane, tendente al dorato con la stagionatura. Il Macagn ha tutte le carte in regola per diventare un grande formaggio, grazie al latte intero di alta montagna, ma risente ancora delle differenze legate ai pascoli o a piccole varianti di lavorazione. Il quadro organolettico ideale si ottiene con tre, cinque mesi di affinamento. La scelta del vino da abbinare al Macagn deve badare a non coprirne il flavour delicato e persistente.

MANTECA LUCANA

La Manteca è un formaggio prodotto stagionalmente da materia grassa lattea e pasta filata che deriva dalla lavorazione del Caciocavallo podolico. Tipico prodotto caseario lucano, lavorato manualmente da latte vaccino intero. Di colore bianco, con la maggiore maturazione assume un colore tendente al giallo paglierino, ha la particolarità di essere composto da due parti; quella esterna fatta dalla stessa pasta filata della scamorza, quella interna è costituita da un cuore di burro. Esiste anche una variante con all'interno della crema di ricotta e panna.

MOLLANA DELLA VAL BORBERA
mollana della Val Borbera
La Mollana della Val Borbera è un formaggio prodotto soprattutto in val Borbera in Piemonte. è un formaggio a pasta molle di latte vaccino prodotto in forme di circa un chilo dal diametro di 20–25 cm e lo scalzo di 2–3 cm. Il latte vaccino viene messo a scaldare in una caldaia di rame e poi si aggiunge il caglio ad una temperatura non superiore ai 35 gradi. Dopo 3 ore la cagliata viene rotta e si lascia riposare, aspettando la sedimentazione sul fondo. Due ore dopo si estrae la cagliata e viene posta in formelle. Le formelle sono pressate ancora con le nocche e vengono girate ancora 3 o 4 volte ogni 3 ore, poi vengono messe una sopra l'altra oppure viene messo su ognuna un peso fino al mattino dopo. Poi le formelle vengono ricoperte di strisce di lino o cotone e messe su assi di legno dolce per 3 giorni per velocizzare l'asciugatura. Quando si forma la crosta inizia la salatura e finita l'asciugatura le formelle vengono sovrapposte un giorno, poi vengono lavate e messe su assi di legno a stagionare per 10 giorni.

MONTASIO
Il Montasio è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta. Il Montasio DOP è un formaggio tipico friulano, che deve subire delle procedure rigide, indicate e fatte rispettare dal Consorzio, che ha sede a Codroipo (UD). Prende il suo nome dal celebre altopiano del Montasio, nel quale viene prodotto il formaggio fin dal 1200, presso l'Abbazia di Moggio Udinese si sono affinate le prime tecniche di produzione, mentre i primi riscontri del nome risalgono al 1775 in alcuni documenti sui prezzi del formaggio presso San Daniele del Friuli. Gli ingredienti sono latte bovino che deve rispettare dei limiti per quanto riguarda la carica batterica, sale e caglio. La stagionatura invece richiede un minimo di 60 giorni. Viene attualmente prodotto e stagionato in tutto il territorio delle province di Udine (17 soci produttori), Pordenone (11), Gorizia (1), Belluno (1), Treviso (10) ed in parte del territorio delle province di Padova (1) e Venezia (2).
La zona di produzione del formaggio Montasio comprende tutto il Friuli Venezia Giulia e in Veneto la provincia di Treviso e quella di Belluno, la provincia di Venezia fino a Chioggia e la parte settentrionale della provincia di Padova. Il Montasio assume un sapore, un aspetto, un colore e una consistenza diversa a seconda dei mesi di stagionatura. Si distingue in fresco, mezzano e stravecchio. Quando è fresco (un mese, 45 giorni, due mesi) ha un sapore delicato, la pasta è bianca e caratteristicalmente occhiata, la crosta è bianca e morbida. A mano a mano che aumenta la stagionatura, il sapore diventa più aromatico, la crosta diventa più dura, il colore più giallo e la pasta da morbida diventa friabile e dura. Il Montasio, specialmente con varie stagionature, è l'ingrediente principale di uno dei piatti più caratterizzanti della cucina friulana, il frico, e viene generalmente utilizzato in Friuli nella pietanza chiamata polente e formadi.

MONTE VERONESE
formaggio
Monte Veronese è un formaggio a base di latte vaccino, a pasta semicotta, prodotto nei comuni della parte settentrionale della provincia di Verona, nella regione Veneto.
Esiste in due tipologie che si distinguono per la lunghezza del periodo di invecchiamento: a latte intero (crudo o pastorizzato) con stagionatura minima di 25 giorni e a latte detto d'allevo (parzialmente scremato) con stagionatura minima di 90 giorni.
Dal luglio 1996, a livello europeo, la denominazione Monte Veronese è stata riconosciuta denominazione di origine protetta (DOP). Un tempo il formaggio prodotto con il latte dei pascoli estivi dei Monti Lessini non era valorizzato, anzi il latte normalmente veniva mescolato con quello prodotto in pianura per produrre il Monte Veronese Dop: in questo modo si rischiava di perdere completamente le poche malghe rimaste, con gravi rischi per l’ecosistema della montagna. Il Presidio seguito dal Consorzio del Monte Veronese riguarda appunto le forme prodotte con latte d’alpeggio.

MOZZARELLA DI BRUGNATO
Il nome mozzarella pare derivare dalla pratica di mozzare la pasta filata per poterle dare le dimensioni volute. In origine la mozzarella veniva prodotta esclusivamente con latte di bufala, oggi le quantità maggiori sono prodotte con latte vaccino. Anche a Brugnato, ormai da circa una trentina d'anni, la mozzarella viene preparata con latte vaccino. Notissima e molto usata localmente, la mozzarella è ottima sia per essere consumata da sola che come arricchimento di altri piatti. La mozzarella è un formaggio fresco a pasta filata, di forma rotonda e di colore bianco latte. La sua conservazione avviene sempre nel proprio siero di lavorazione. Zona di produzione: Brugnato, Media val di Vara Lavorazione: Il latte vaccino viene pastorizzato a 72 C e successivamente messo in pentole di acciaio alla temperatura di 38 C con fermenti lattici. Raggiunta la maturazione, si lavora in acqua calda mediante un'impastatrice. Attraverso la lavorazione la cagliata viene trasformata in pasta filata. Il coagulo passa poi nella cosiddetta formatrice per assumere le sembianze finali. La mozzarella di Brugnato è buona in tutti i modi ad esempio in carrozza.

MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA
La mozzarella è un latticino a pasta filata originario della Campania storicamente prodotta anche nel Sud e del Centro Italia, ed oggi diffusa in vari paesi del mondo. Viene preparato con latte bufalino oppure con latte vaccino, assumendo per legge le seguenti denominazioni. "Mozzarella di bufala campana": indica la mozzarella di latte bufalino a denominazione di origine protetta - fino al 1996 era la sola a poter essere chiamata semplicemente "mozzarella". "Mozzarella [nome della marca] di latte di bufala": indica la mozzarella di latte bufalino che non ha la denominazione di origine protetta. "Fior di latte" o "mozzarella di latte vaccino" o semplicemente "mozzarella": indicano la mozzarella di latte vaccino. "Mozzarella di bufala" e "Mozzarella bufalina" sono denominazioni non consentite dalla legge. La mozzarella deve il suo nome all'operazione di mozzatura compiuta per separare dall'impasto i singoli pezzi durante la lavorazione artigianale, come testimonia anche la sua antica denominazione: mozza. Le origini della mozzarella si perdono nel tempo e gli autori non sono d'accordo sull'epoca in cui fu inventato questo latticino; certamente esso ha una storia ultramillenaria e, a causa della necessità di consumarla freschissima, la mozzarella, sino l'avvento delle ferrovie, era prodotta in piccole quantità ed era consumata esclusivamente nei pressi dei luoghi di produzione. Riportiamo di seguito le ipotesi e le tappe principali. Prime testimonianze scritte: Capua - XII secolo La prima testimonianza storica, sulla vocazione casearia di queste zone ci viene da Plinio il Vecchio il quale, nella Naturalis Historia, cita il "laudatissimum caseum del Campo Cedicidio", zona identificabile con l'attuale campagna compresa tra Mondragone ed il fiume Volturno. Tuttavia, in questo caso doveva trattarsi quasi certamente di formaggi ottenuti da latte vaccino. Questa stessa vocazione trova successivamente riscontro in un documento conservato presso l'Archivio Episcopale di Capua, e risalente al XII secolo, nel quale, come ci spiega monsignor Alicandri autore dello studio, compare per la prima volta il termine "mozza" in riferimento all'usanza dei monaci del monastero di S. Lorenzo in Capua, di rifocillare i pellegrini con pane mozza o provature.
Da Mozza a Mozzarella
La peculiare natura di latticino fresco, quindi facilmente deperibile, ne impedì la diffusione, almeno fino alle soglie del rinascimento, e ciò a favore di latticini maggiormente conservabili, e dunque commerciabili, come le provature, di cui si trovano ampie tracce nei ricettari di epoca medioevale. Bisognerà attendere l'Opera di Bartolomeo Scappi affinché la mozzarella faccia la sua prima comparsa in un ricettario; sarà in fine Gian Battista Crisci, nella Lucerna de Corteggiani ad illustrarne le peculiari qualità gastronomiche.
La mozzarella in Italia centrale: XV e XVI secolo
Nel XV secolo nelle Marche l'uso della mozza è molto comune, come si apprende da un documento del 1496 che la cita tra gli alimenti normalmente presenti sulle tavole dei nobili anconitani. Un importante documento scritto del XVI secolo (1570) testimonia l'uso della mozzarella anche a Roma, nella mensa del papa: un cuoco della corte, Bartolomeo Scappi, la cita (per la prima volta con il termine ancor oggi usato) nell'elenco dei formaggi comunemente serviti. Nei primi anni del Novecento oramai l'uso della mozzarella è così diffuso che, in Italia centrale, la si produce anche nelle piccole latterie cittadine e poi consegnata porta a porta insieme al latte fresco.
Tipi e forme
Oltre che da solo latte di bufala o solo latte vaccino, questo latticino si può ricavare anche da latte misto ossia miscelato: in questo caso, i produttori sono tenuti a specificare le varie percentuali di latte bufalino e vaccino contenute adeguandosi alla legge che impone di apporre sull'etichetta il solo nome generico mozzarella, seguito dalla lista degli ingredienti.
Altre qualità sono quelle di solo latte pecorino e solo latte caprino: la variante pecorina è tradizionalmente preparata in certe zone, mentre quella caprina è di origine recente.
Esiste anche la variante definita da pizza, che è riconosciuta da una norma legale; deve contenere meno acqua e grasso: 15-20% contro il 20-25% di quella da tavola.
La mozzarella è prodotta nelle tipiche forme tonde e sferoidali più o meno appiattite, in varie pezzature, ossia dal bocconcino di 80-100 grammi alle forme da mezzo chilo e più: certi pezzi da latte bufalino arrivano a 5 chili; altre forme sono quella a treccia e, recentemente, a rotolo; esiste anche in versione affumicata. Di produzione esclusivamente industriale, è la pezzatura a ciliegina. In Molise (in particolare a Bojano) e in Puglia viene prodotta anche nelle tipiche forme a fiaschetto.
Bufalina
La produzione di mozzarella bufalina è tutelata dal marchio DOP in Campania (nel casertano, specie nella Terra di Lavoro e nel salernitano, particolarmente nella Piana del Sele e nell'Agro Nocerino Sarnese), nella zona meridionale del Lazio (province di Latina, Frosinone e Roma), in Puglia (provincia di Foggia) e nel Molise (a Venafro). Per la produzione si usa esclusivamente latte bufalino di bestiame allevato in zona e un particolare procedimento di lavorazione.
Oltre che nelle zone citate, la mozzarella bufalina è lavorata in quasi tutto il territorio italiano, anche fuori dall'area di produzione DOP; gli allevamenti di bufale sono ovunque in costante aumento.
La mozzarella bufalina è preparata in molte nazioni, dove quasi sempre operano o hanno iniziato l'attività imprenditori o allevatori italiani:
Svizzera
Stati Uniti
Australia
Messico
Brasile
Canada
Venezuela
Argentina
Regno Unito
Irlanda
Spagna
Colombia
Thailandia
Israele
Egitto
India
Sudafrica
Tutti i produttori usano latte di bufale locali. Importanti scienziati ritengono che Italia e Bulgaria abbiano le migliori bufale da latte.
Vaccina
La mozzarella vaccina è detta anche fior di latte e, in Italia, è prodotta soprattutto in Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Marche, Lazio meridionale, Abruzzo e Molise.
Pecorina
La mozzarella pecorina, detta a volte "mozzarellapecorella", è tipica di Sardegna, Abruzzo e Lazio, dove è chiamata anche mozzapecora. È lavorata con aggiunta del caglio di agnello.
Caprina
La mozzarella caprina è di origine recente e i produttori sono ancora pochi; tra i motivi di questa nuova produzione c'è l'esigenza di offrire un tipo di mozzarella a chi non digerisce il latte vaccino, perché il latte di capra risulta più digeribile.
Preparazione
Come altri per formaggi a pasta filata, nella produzione della mozzarella si utilizza un notevole riscaldamento. Estratta la cagliata, si scalda una parte del siero a 50 °C e lo si versa sulla cagliata. Questa operazione si ripete dopo 15 minuti alla temperatura di 60 °C, quindi si lascia riposare per favorire l'acidificazione. La cagliata viene poi "filata", ovvero tagliata a fette lunghe e sottili, le quali sono immesse in acqua a 90 °C. Quindi si procede alla lavorazione a mano per ottenere le forme desiderate. Ci vogliono dieci litri di latte per produrre un chilo di mozzarella.
Cucina
La mozzarella viene consumata soprattutto al naturale; a volte è accompagnata da prosciutto crudo, altre volte condita con olio o utilizzata in insalate: tipica la caprese, con pomodori, origano, basilico e un filo di olio extravergine d'oliva. La mozzarella è inoltre molto usata per il condimento di pizze, calzoni e panzerotti, cresce e in moltissime ricette, tradizionali come le melanzane alla parmigiana o innovative. Notissima è la mozzarella in carrozza, più recenti sono le mozzarelline impanate e fritte.
La mozzarella, in tutte le sue varietà, si consuma non oltre cinque giorni dalla produzione.

MURAZZANO
Il murazzano, anche conosciuto come tuma o robiola, è un formaggio italiano di latte principalmente ovino prodotto nella provincia di Cuneo. Nel giugno 1996, a livello europeo, la denominazione Murazzano è stata riconosciuta come denominazione di origine protetta (DOP).
Classico formaggio grasso a paste fresca, è prodotto con latte ovino di razza delle Langhe, in purezza o con un impiego di latte vaccino fino al 40%. Si presenta privo di crosta esterna, con un colore che varia dal bianco latte, per le forme fresche, al paglierino chiaro e che tende ad imbrunire per le forme più stagionate; sua forma è cilindrica, con facce piane del diametro di 10 – 15 cm, e suo peso varia fra i 250 e i 400 gr.
Stagionatura
È di 4 giorni minimo, talvolta il prodotto viene conservato, anche per periodi molto prolungati, nelle tradizionali, in dialetto, burnie (vasi di vetro con chiusura ermetica).
Zona di produzione
Comprende gli interi territori amministrativi di una cinquantina di Comuni dell'Alta Langa cuneense: Albaretto della Torre, Arguello, Belvedere Langhe, Benevello, Bergolo, Bonvicino, Borgomale, Bosia, Bossolasco, Camerana, Castelletto Uzzone, Castellino Tanaro, Castino, Cerretto Langhe, Cigliè, Cissone, Cortemilia, Cravanzana, Feisoglio, Gorzegno, Gottasecca, Igliano, Lequio Berria, Levice, Marsaglia, Mombarcaro, Monesiglio, Murazzano, Niella Belbo, Paroldo, Perletto, Pezzolo Valle Uzzone, Prunetto, Roascio, Rocca Cigliè, Rocchetta Belbo, Sale delle Langhe, Saliceto, San Benedetto Belbo, Serravalle Langhe Somano, Torre Bormida, Torresina, Montezemolo, Sale San Giovanni, Clavesana, Bastia Mondovì, Ceva, Priero e Castelnuovo di Ceva.

NOSTRANO VALTROMPIA
Il Nostrano Valtrompia è un formaggio a Denominazione di origine protetta (DOP). È un formaggio a pasta extra dura, cotta e semigrasso, prodotto tutto l'anno, a partire da latte crudo e con l'aggiunta di zafferano.
Si tratta di un formaggio tradizionale della zona di provenienza, derivato dal latte delle vacche di razza bruna molto diffuse nelle zone montane del territorio valtrumplino. Prende il nome dal termine "nostrà" che, per il dialetto locale, equivale a "fatto dalle nostre parti". Condivide con il Bagoss molte analogie (tipologia di razza bovina, metodo di produzione, caratteristiche organolettiche, presenza dello zafferano), tenuto anche conto che il territorio di produzione di quest'ultimo confina con l'alta Valtrompia.
Il formaggio si produce nel fondo valle (versione fondo valle), nei caseifici, tutto l'anno nonché presso le numerose malghe in estate (versione alpeggio). In questo caso, il formaggio, essendo a latte crudo, conserva tutti gli aromi tipici dell'alpeggio grazie alla presenza della microflora batterica autoctona. Oltre a tutti i comuni della valle, il disciplinare permette che la produzione possa essere eseguita anche in un piccolo e confinante territorio montano del comune di Gussago.
Particolarmente pregiate sono le forme realizzate nelle malghe dislocate sui monti Guglielmo, Maniva e Colle di San Zeno. La conservazione ottimale avviene in ambienti non troppo caldi che possono variare da una temperatura tra i 9 e i 14 °C. La stagionatura minima è di 12 mesi.
Il processo produttivo è quello tipico dei formaggio di tipo "grana": parziale scrematura per affioramento naturale, eventuale insemenzamento con aggiunta di sieroinnesto, coagulazione con caglio di vitello in caldaia (rigorosamente in rame nelle malghe) a circa 38 °C, rottura della cagliata con spino fino a raggiungere la dimensione di un chicco di riso, cottura della pasta caseosa a circa 50 °C, estrazione con tela, messa in fascera, spurgo e rivoltamenti, salatura a secco e maturazione, stagionatura con oliatura. Al latte crudo in caldaia si aggiunge lo zafferano come colorante (conferisce alla pasta il classico color paglierino intenso che diventa oro con l'invecchiamento protratto: lo zafferano non ha alcun ruolo a livello aromatico, anche perché se ne aggiunge pochissimo). Il Nostrano Valtrompia ha uno dei disciplinari (per le DOP alpine) più severi per quanto concerne la % obbligatoria di foraggio del territorio nonché il periodo minimo per le vacche in alpeggio e/o al pascolo.
Il logo identificante il formaggio Nostrano Valtrompia è costituito da un semiellisse troncato al centro dalla dicitura della denominazione. All'interno del semiellisse compaiono le lettere NVT in forma maiuscola e con uno sbaffo destro della T leggermente traslato. Il Nostrano Valtrompia in cucina si presta a essere utilizzato come ripieno di casoncelli (ed è, infatti, uno dei piatti diffusi nella zona di origine) oppure come guarnizione di paste fresche o gratinate. In questi casi occorre un vino bianco dotato di buona struttura ma anche fresco (ad esempio un Curtefranca DOC oppure un Lugana DOC nella versione superiore o, meglio, riserva ). Se consumato tal quale allora si può abbinare un vino rosato a base groppello come un Valtenesi chiaretto DOC oppure anche un Franciacorta rosé DOCG. Quando il formaggio ha avuto una lunga stagionatura (oltre i canonici 12 mesi) allora è ottimo grattugiato sopra una semplice pasta condita con Olio Extravergine del Garda DOP o anche olio Sebino DOP. Da provare assolutamente una fetta con un Curtefranca rosso riserva o anche un Garda classico Rosso superiore DOC; se abbrustolito allora è d'obbligo un Sebino IGT passito o un Lugana DOC vendemmia tardiva.
Caratteristiche principali
Forma cilindrica con diametro 30–45 cm
Scalzo quasi dritto di 8–12 cm
Peso 8-18 Kg
contenuto in grasso 28-42% circa (s.s.)
umidità massima 36% (tal quale)
Crosta dura e liscia, di giallo bruno al rossastro. Untuosa per la presenza dell'olio di lino
Pasta di struttura compatta (anche con occhiatura medio-fine e ben distribuita), da dura a lievemente granulosa col passare dei mesi. Colore dal giallo paglierino scarico al dorato intenso, in funzione del grado di aggiunta dello zafferano, della stagionatura e del tenore di grasso
Note olfattive lattico - animali, floreali e di erbe di montagna (nella versione di alpeggio) e di frutta secca (tipico la castagna), speziate e penetranti su prodotti molto stagionati (spesso anche di cuoio)
Aromi intensi, caratteristici di formaggio valligiano e tipicamente di malga nella versione di alpeggio. Il gusto è dolce e lievemente sapido. Assume classiche note appena pungenti e, in alcuni casi, piacevolmente amarognole quando la stagionatura è prolungata (nel qual caso la struttura è compatta e lievemente granulosa). La versione di fondo valle presenta aromi più di burro fuso, fiori freschi e fruttati (pera, ananas) nonché struttura più fondente e tenera (soprattutto con stagionatura al minimo consentito).

OSSOLANO
L'Ossolano è un formaggio prodotto esclusivamente in Val d'Ossola. Si tratta di un formaggio semigrasso o grasso, a pasta dura, semicotto. Viene prodotto con latte intero di bovino. La stagionatura va da un minimo di 60 a oltre 360 giorni. L'area di produzione comprende le valli Ossola e Formazza nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola.

PADDRACCIO
Il Paddraccio è un formaggio di latte caprino, tipico della zona compresa nel Parco nazionale del Pollino. Una volta portato il latte crudo a circa 37-38 gradi, viene aggiunto il caglio ovino, liquido oppure in pasta. Il formaggio coagula in 20-30 minuti. Dopo la rottura della cagliata, il formaggio viene trasferito in un contenitore di vimini e viene lavorato con manipolazioni successive che gli conferiscono la caratteristica forma ovoidale o sferica, del diametro di circa 10 cm, quindi avvolto il foglie di felci, legate con stringhe di ginestra. Prodotto da aprile a luglio, non è aggiunto di sale e viene consumato fresco.

PALLONE DI GRAVINA
Il Pallone di Gravina è un formaggio semiduro a pasta cruda filata, prodotto con latte bovino crudo. Originario dell’area di Gravina da cui prende il nome, attualmente è prodotto nella zona di Gravina in Puglia, di Matera e della Murgia. Nell'agosto del 2010 è diventato un Prodotto Tradizionale Regionale attraverso la revisione da parte del Ministero dell'Agricoltura. Nell'ottobre 2012 è diventato Presidio Slow Food.
La filiera della lavorazione del latte a Gravina e sul territorio dell'Alta Murgia, rappresentano una tradizione antichissima. Infatti, Gravina è stata stazione importante sul tratto Bradanico-Tarantino. Tutta la capacità lattiera che veniva dai bestiami era usato per la lavorazione di formaggi pecorini e vaccini con la produzione, soprattutto, di pasta filata. Esempi importanti sono i latticini freschi: fior di latte, mozzarella, stracciatella, nodini, trecce, manteca (burrino) e burrate; ma anche e soprattutto gli stagionati come il Pallone di Gravina. Le origini del latte che hanno dato vita la pallone sono di provenienza podolica. La vacca podolica che stazionava in maniera permanente nel Bosco Difesa Grande a 5 km dalla città. Importante citare, a tal proposito i corredi funebri rinvenuti nelle tombe del parco archeologico di Botromagno; all’interno delle tombe sono state rinvenute grattugie per il cacio o gratta-cacio, risalenti al VII secolo a.C. periodo di dimora Peuceta. L’enciclopedia agraria del Regno di Napoli del 1859 cita il Pallone di Gravina facendo riferimento alla sua preparazione. Finanche come le Lectures on Agricultural, Chemistry and Geology (Edimburgo e Londra, 1847) citavano il Pallone di Gravina, come uno dei formaggi più popolari e di pregio dell'Italia meridionale, all'epoca Regno delle Due Sicilie.
Nell'anno 2012 è stato creato il Presidio Slow Food Pallone di Gravina, grazie all'impegno dei produttori, della locale condotta Slow Food e dell'Associazione Murgiamadre (food, culture, territory).
Negli ultimi anni la produzione è stata concentrata in provincia di Matera, tuttavia l'antica ricetta del pallone è ancora viva nell’area della Murgia. La tecnica di produzione è analoga a quella del caciocavallo: raggrumato il latte con caglio liquido di vitello o in pasta di agnello o di capretto e acquisita la cagliata, la si raccoglie e la si fa stazionare sul tompagno. Quando la pasta ha raggiunto l’acidità voluta, in genere dopo due o tre ore, si taglia a fettine e si fila con acqua calda. Nella fase di formatura, si dona alla pasta la caratteristica forma sferica.
Nel momento successivo alla salatura in salamoia i palloni sono posti ad asciugare per circa 15 giorni nello stesso luogo di produzione e poi asciugati in cantina. La scorza è dura, liscia, robusta, di colore paglierino che tende al castano o al grigio-bruno con la stagionatura; la pasta è filata, cruda, liscia, di colore paglierino che tende al dorato con la stagionatura, con eventuale leggera occhiatura. il peso varia da 1,5 a 10 kg.
Viene consumato a tavola come antipasto, come companatico: molto popolare è il panino provolone (pallone) e mortadella in Puglia e Basilicata. Può essere sciolto per guarnire o elargire maggiore sapore alle pietanze. Può essere consumato fresco, già dopo appena 20 giorni dalla sua produzione, ma è soprattutto apprezzato se stagionato almeno tre/quattro mesi. La stagionatura gli permette di acquisire maggiore piccantezza e pregio.

PAMPANELLA ABRUZZESE
La pampanella è un formaggio fresco, prodotto in Abruzzo in provincia di L'Aquila ed in Puglia nelle province di Taranto, Brindisi e Lecce. La pampanella abruzzese è simile al cacioricotta e viene prodotto con latte caprino. Di forma rotonda e privo di crosta, ha un sapore delicato. La pampanella pugliese è un formaggio prodotto sin dal 1700 nelle masserie delle Province di Taranto, Brindisi e Lecce. Può essere prodotta con latte vaccino o anche misto (vaccino, caprino, ovino). Deve il suo nome al pampino o pampano, la foglia del fico nel quale era tradizionalmente servita. L'attuale metodo di preparazione prevede la pastorizzazione del latte, la coagulazione con caglio naturale alla temperatura di 38 °C per 20 minuti e la deposizione del coagulo, con una spatola e senza romperlo, su una foglia di fico precedentemente messa a bagno in acqua fresca. Il lattice del fico ha il ruolo da un lato di conferire, al formaggio un caratteristico profumo dolce ed un sapore leggermente amarognolo e dall'altro di rassodarlo per mezzo di enzimi coagulanti.

PECORINO BAGNOLESE
Il pecorino bagnolese è un formaggio, ricavato dal latte di pecora, prodotto sull'altopiano di Laceno in Irpinia. È un presidio Slow food e prodotto agroalimentare tradizionale italiano. Sull'altopiano Laceno, nel Parco Regionale dei Monti Picentini, si alleva una razza ovina autoctona, la Bagnolese. Un tempo molto diffusa anche fuori dall'Irpinia, la Bagnolese è ridotta oggi a un migliaio di capi, tenuti allo stato brado o semibrado e condotti ai pascoli estivi secondo l'antica pratica della "monticazione". Di taglia piuttosto grossa, questa pecora ha manto bianco chiazzato di scuro lungo il dorso: dal suo latte si ricavano pregiati pecorini, prodotti secondo il sistema tradizionale. Al latte crudo si unisce il caglio di agnello prodotto localmente. Dopo la rottura della cagliata, si separa la massa dal siero, che verrà utilizzato per preparare la ricotta, fresca o salata. Posta nei cesti di vimini, la massa viene salata. La stagionatura è variabile: dopo circa 2 mesi, il pecorino bagnolese si presenta ricoperto da una compatta crosta di colore marrone più o meno carico; la pasta, paglierina è soda, consistente e grassa. Il sapore ricco e pieno, si fa più piccante con il progredire dell'affinamento: se molto maturo, il pecorino bagnolese diventa un ottimo formaggio da grattugia.

PECORINO CROTONESE
pecorino crotonese
Il pecorino crotonese è un formaggio tipico dell'intera provincia di Crotone ottenuto con latte misto ovi-caprino. Ha ottenuto il riconoscimento della denominazione di origine protetta (D.O.P.) ai sensi del regolamento CEE N°. 2081/92 del Consiglio.
Il pecorino crotonese è prodotto dai comuni della provincia di Crotone, dodici Comuni della provincia di Catanzaro: Andali, Belcastro, Botricello, Cerva, Cropani, Marcedusa, Petronà, Sellia, Sersale, Simeri Crichi, Soveria Simeri e Zagarise; da tredici Comuni della provincia di Cosenza: Bocchigliero, Calopezzati, Caloveto, Campana, Cariati, Cropalati, Crosia, Mandatoricco, Paludi, Pietrapaola, San Giovanni in Fiore, Scala Coeli, Terravecchia.
Viene prodotto con latte di pecora proveniente dalla razza Gentile di Puglia e un terzo di latte caprino, e la sua stagionatura dura fino a due anni. Può essere consumato come antipasto o altri prodotti tipici della cucina calabrese. Viene consumato anche come ingrediente da cucina e può essere grattugiato per accompagnare i primi piatti.

PECORINO DELLA LOCRIDE
Il Pecorino della Locride è un formaggio italiano. È un formaggio a media maturazione di forma cilindrica, pasta compatta con crosta rugosa e con impressi i solchi del canestro dove è contenuto. Se fresco è di colore è bianco, se stagionato è di colore ocra. Viene prodotto da ottobre a luglio con latte ovino intero, o miscelato a latte caprino (Capra dell'Aspromonte). La stagionatura varia da una settimana a qualche mese. Il sapore è gradevole e delicato.

PECORINO DELLE BALZE VOLTERRANE
formaggio
ZONA DI PRODUZIONE
Toscana
TERRITORIO DI PRODUZIONE
Toscana, provincia di Pisa, territorio delle Balze Volterrane.
ORIGINE
Latte di Pecora
FORMA E DIMENSIONE
Forma cilindrica a facce piane o leggermente concave del diametro di 18-22 cm, con scalzo leggermente convesso, alto 8-12 cm. Il peso è di 1,3-2,5 kg.
STORIA
Com’è noto, in Toscana si producono molti formaggi da latte di pecora. Ognuno ha la sua storia. Come questo, che risale al 1726, com’è verificabile nella documentazione archiviata nel museo Guarnacci. La tradizione vuole che venga stagionato utilizzando frumento, erba fresca o cenere.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO PER TIPO DI LAVORAZIONE
Pasta semidura
TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE
Il latte crudo viene riscaldato alla temperatura di 38° e addizionato con caglio o coagulante vegetale ricavato dal carciofo selvatico. La cagliata, presamica, subisce una rottura alle dimensioni di un chicco di mais o di riso. Dopo una sosta sotto siero e l’estrazione a mano, la pasta trova posto nelle fuscelle, dove viene leggermente pressata a mano. La salatura è a secco.
MATURAZIONE/STAGIONATURA
Almeno 60 giorni
CARATTERISTICHE DEL FORMAGGIO
La crosta è dura, cappata da cenere o erbe locali, di colore grigio o altre sfumature. La pasta è morbida, compatta, di colore bianco o avorio o paglierino chiaro, in funzione della stagionatura. L'occhiatura è rada, di dimensione fine, irregolarmente distribuita.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO AL CONSUMO
Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.
INTENSITÀ AROMATICA E SENSAZIONI
Bassa, medio bassa, media.
ABBINAMENTI
Si abbina a frutta fresca e miele.
NOTE
La stagionatura può avvenire in grotte o celle frigorifere, durante la quale la superficie del formaggio viene trattata con cenere di legno, di olivo, o di leccio. Prodotto idoneo per i vegetariani (versione con coagulante vegetale).

PECORINO DI ATRI
formaggio
Il pecorino di Atri è una varietà di formaggio pecorino tradizionale della zona di Atri, al confine fra le province di Teramo e Pescara. Oggi la sua produzione è quasi esclusivamente casalinga.
Si ottiene da latte intero crudo di pecora con caglio di agnello o di maiale ed è un formaggio a pasta semidura, semicruda, con occhiatura minuta e poco diffusa. Il colore varia a seconda della stagionatura. Le sue caratteristiche sono dettate dalla particolare cottura e dall'alimentazione degli ovini costituita dalla particolare vegetazione locale e dal clima.
Si consuma principalmente a breve stagionatura (10 giorni), la pasta bianca è così morbida da essere spalmabile, sapore vagamente acidulo e poco piccante, molto profumato. La media stagionatura (20-30 giorni) regala una pasta di color giallo paglierino, meno morbida, dal sapore intenso e leggermente più salato. Non rare sono le forme più stagionate, molto compatte, di sapore decisamente piccante e intenso di colore giallo più scuro e con vaghe sfumature rosa, ottimo da grattugiare.
Si è soliti conservarlo sott'olio extravergine d'oliva locale dopo averlo stagionato 40-60 giorni nella crusca o, molto più raramente, nella cenere. Sott'olio il Pecorino di Atri si ammorbidisce acquisendo dall'olio una particolare fragranza che lo rende inimitabile; le sfumature rosa si fanno più presenti a ridosso della zona esterna.
Ormai rarissima è la versione chiamata "Marcetto", che sarebbe assolutamente vietata dalle attuali leggi sanitarie. La si ottiene lasciando attaccare forme di Pecorino di Atri a medio-alta stagionatura da larve di insetti che vi si albergano e lo marciscono. Si ottiene un prodotto dal sapore intenso e delicato, morbidissimo. Molti ricordano gli anziani rincorrere con la forchetta le saporitissime larve.

PECORINO  DI CARMASCIANO
Il pecorino di Carmasciano, meglio conosciuto semplicemente come "Carmasciano", è un formaggio prodotto con il latte di pecora appartenenti ad alcune razze che meglio si sono adattare al clima dell'area, una delle razze è la laticauda, letteralmente "dalla coda larga", a rischio di estinzione e attualmente presente in poco più di 50000 capi soltanto sull'Appennino Campano, ma è facile incontrare anche pecore di razza bagnolese. Le caratteristiche del formaggio sono condizionate dalle qualità di erbe consumate nell'area di Carmasciano, per questo motivo il pecorino di Carmasciano viene prodotto in quantità molto limitate, da piccole aziende agricole a conduzione familiare, e commercializzato ad un prezzo alto. Da una indagine si evince che i produttori riconosciuti sono soltanto 5, per una produzione di circa 2000 forme l'anno.
Il Carmasciano prende il nome dall'omonima frazione nel territorio di 3 piccoli paesi dell'Alta Irpinia: Guardia Lombardi, Rocca San Felice e Frigento.

PECORINO DI FARINDOLA
Il pecorino di Farindola è un formaggio fatto con il latte di pecora e caglio suino. Prende il nome dal paese di Farindola, ma viene prodotto anche nei paesi limitrofi, posti sul versante orientale del massiccio del Gran Sasso, in quantità molto limitate. Probabilmente è l'unico formaggio al mondo ancora prodotto con l'aggiunta del caglio suino, secondo un metodo tradizionale che risale ai tempi dell'antica Roma.

PECORINO DI FILIANO
Il Pecorino di Filiano è un prodotto che ha ottenuto il riconoscimento della denominazione di origine protetta (D.O.P.) ai sensi del Regolamento CEE N. 2081/92 del consiglio; è riservata esclusivamente ai formaggi ottenuti con latte ovino.
Zona di produzione
Il Pecorino di Filiano è prodotto in provincia di Potenza, nei comuni di: Atella, Avigliano, Balvano, Baragiano, Barile, Bella, Cancellara, Castelgrande, Filiano, Forenza, Ginestra, Maschito, Melfi, Muro Lucano, Pescopagano, Picerno, Pietragalla, Pignola, Potenza, Rapolla, Rapone, Rionero in Vulture, Ripacandida, Ruoti, Ruvo del Monte, San Fele, Savoia di Lucania, Tito, Vaglio di Basilicata, Vietri di Potenza
Si tratta di un formaggio a pasta dura, è ottenuto con latte intero di pecore di razza Gentile di Lucania e di Puglia, Leccese, Comisana, Sarda. Il disciplinare prevede che il latte destinato alla trasformazione in Pecorino di Filiano, appartenente a due mungiture consecutive deve derivare da allevamenti la cui alimentazione è costituita principalmente dal pascolo, foraggi freschi e da fieni di ottima qualità prodotti nell'area descritta. Sempre secondo il disciplinare, anche il caglio deve essere artigianale preparato con tecniche precise. Il formaggio “Pecorino di Filiano” si produce tutto l'anno.
La forma è cilindrica a facce piane, il peso deve essere compreso da 2,5 a 5 kg in relazione alle dimensioni della forma. La crosta varia dal giallo dorato al bruno scuro nelle forme più stagionate e trattate superficialmente con olio extravergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino, il grasso sulla sostanza secca non deve essere inferiore al 30%.

PECORINO DI NORCIA DEL PASTORE
Il pecorino di Norcia del pastore, o tradizionalmente pecorino di Norcia, è un formaggio prodotto con latte di pecora. È una produzione tipica umbra, come tale è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf). Tradizionalmente conosciuto semplicemente come pecorino di Norcia ha assunto il nome attuale, protetto dalla P.A.T, per differenziarsi dal Pecorino di Norcia del caseificio che è un recente tentativo di modernizzarne la produzione. Ha una forma cilindrica con uno scalzo fra gli 8 e i 14 centimetri mentre il diametro varia dai 15 ai 24. Esternamente la crosta è gialla via via più scuro all'aumentare del periodo di stagionatura; internamente la pasta è di un colore tra il bianco ed il giallo paglierino. Ha un sapore piccante che tende ad attenuarsi con la stagionatura. Quest'ultima varia per un periodo dai 120 ai 180 giorni. Il pecorino di Norcia del pastore è prodotto da gennaio ad agosto nel territorio dell'alta Val Nerina.

PECORINO DI PICINISCO


Il Pecorino di Picinisco è un formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.
Formaggio che nasce dal latte di pecora Comisana e Massese e da quello delle capre di razza Grigia Ciociara e Bianca Monticellana. L'alimentazione delle lattifere è del tutto naturale, grazie alle erbe dei pascoli, anche alti, del Parco nazionale d'Abruzzo. Tipicamente è il formaggio dei pastori. Classica forma cilindrica, con crosta dura e una pasta che denota piccantezza dopo una media stagionatura. In provincia di Frosinone si consuma in purezza o con pane casereccio.
ZONA DI PRODUZIONE
Lazio
TERRITORIO DI PRODUZIONE
Lazio, provincia di Frosinone, Valle di Comino, nei seguenti comuni: Acquafondata, Alvito, Atina, Belmonte Castello, Campoli Appennino, Casalattico, Casalvieri, Fontechiari, Gallinaro, Pescosolido, Picinisco, Posta Fibreno, San Biagio Saracinisco, San Donato Val di Comino, Settefrati, Terelle, Vallerotonda, Villa Latina, Vicalvi, Viticuso.
ORIGINE
Latte di Capra e Latte di Pecora
FORMA E DIMENSIONE
Forma cilindrica a facce piane del diametro di 12-25 cm e scalzo diritto, alto 12-15 cm. Peso di 0,7-2,3 kg per lo Scamosciato, 0,6-2 kg per lo Stagionato.
STORIA
Esistono testimonianze scritte fin dal Seicento (Castrucci) e nella Statistica Murattiana del 1811. Altri testi descrittivi sono depositati negli archivi comunali attraverso bolle di accompagnamento, licenze per la vendita, bollette di imposte comunali.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO
Pasta dura
TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE
Il latte crudo di una o due munte viene riscaldato alla temperatura di 30-38°. In seguito viene addizionato con caglio in pasta di capretto, o di agnello se si intende consumarlo a breve stagionatura. La cagliata, presamica, subisce una rottura in un'unica fase alle dimensioni di un chicco di riso. La pasta viene lasciata in sosta per circa mezzora e successivamente raccolta e inserita nei contenitori per la formatura. La salatura è a secco.
MATURAZIONE/STAGIONATURA
La tipologia Scamosciato stagiona da 30 a 60 giorni; lo Stagionato minimo 3 mesi.
CARATTERISTICHE DEL FORMAGGIO
La crosta è dura, untuosa, di colore paglierino o marrone, in base alla stagionatura. La pasta è compatta, dura, di colore bianco o paglierino, con occhiatura fine, rada e regolarmente distribuita.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO AL CONSUMO
Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.
INTENSITÀ AROMATICA E SENSAZIONI
Media, medio elevata. Piccante nello Stagionato.
ABBINAMENTI
Si degusta in purezza o accompagnato con pane casereccio.
NOTE
Le pecore pascolano ad altitudini minime di 800 metri in inverno, mentre in estate si spingono fino a 2000 metri.

PECORINO DI PIENZA
Il pecorino di Pienza è un formaggio a pasta dura ottenuto da latte di pecora pastorizzato, caglio, sale e fermenti lattici. È un prodotto agroalimentare della zona di Pienza, nel senese, l'unico riconosciuto come tradizionale è il pecorino di Pienza stagionato in barrique di legno di rovere per almeno 90 giorni come indicato nell'elenco della Regione Toscana (Arsia). Al momento non esiste nessun disciplinare di produzione, nessuna denominazione DOP o IGP facente capo a questo prodotto.

PECORINO LIGURE DI MALGA

La Liguria è celebre per il suo pecorino. Era consuetudine che, attraverso le principali vie di comunicazione con l'area padana, arrivassero greggi di pecore (dalle valli bergamasche e dal Piemonte) che transumavano nel periodo invernale, da novembre a maggio, e fornivano ai vari mercati del litorale la ricotta fresca e i formaggi prodotti con latte ovino o con latte misto (ovino e bovino) eccedenti le loro necessità. Il pecorino è indispensabile, oltre che nella preparazione del pesto, condimento principe della Liguria, anche in altre salse della gastronomia ligure. Il pecorino è ottimo da abbinare con un'altra delle produzioni diffuse nell'entroterra: il miele (d'acacia o millefiori).
Pecorino ligure di malga
Formaggio dolce da tavola e stagionato di forma cilindrica a facce piane, con scalzo dritto alto cm 10-13 (6-10 centimetri nella versione dolce); diametro delle facce di 15-20 cm.
Il pecorino ligure dolce presenta crosta liscia, sottile, di colore bianco o paglierino tenue, pasta bianca, morbida, compatta o con rada occhiatura, dal sapore dolce o leggermente acidulo.
Il pecorino ligure stagionato presenta la crosta più consistente, di colore paglierino tendente al bruno con l'aumentare della stagionatura, pasta bianca o paglierina, compatta o con rada occhiatura, tenera ed elastica nelle forme più giovani e poi sempre più dura, a volte con qualche granulosità, dal sapore tendenzialmente piccante.
Zona di produzione: Alta valle Arroscia, con produzioni nelle altre valli dell'imperiese (dall'alta val Roja all'alta valle Impero)
Lavorazione: È un formaggio dolce da tavola fresco e stagionato, a pasta semicotta, prodotto con latte ovino intero, al quale viene addizionato caglio di vitello; la rottura del coagulo si protrae fino a che i grumi hanno raggiunto le dimensioni di una nocciola, per la tipologia dolce, e di un chicco di mais per la tipologia stagionato. Il procedimento di salatura (a secco o mediante immersione in salamoia) è uguale per le due tipologie, mentre varia il periodo di maturazione, che passa dai 20 ai 60 giorni per il pecorino dolce a diversi mesi (da 2 a 12) per quello stagionato.
La degustazione del formaggio si accompagna in modo pregevole con un vino bianco secco (Pigato Riviera di Ponente o azzardare con un rosso come il Granaccia Colline Savonesi.

PECORINO ROMANO
Il Pecorino Romano è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta, la cui zona di origine comprende la Sardegna, il Lazio e la provincia di Grosseto (Toscana). Tutti i processi di lavorazione, dall'allevamento del bestiame alla stagionatura del formaggio, devono avvenire entro questa zona. Anche i fermenti lattici e gli agnelli che forniscono il caglio devono essere autoctoni.
Le prime testimonianze del Pecorino Romano risalgono all'Impero Romano. Originario dell'Agro Romano è descritto dettagliatamente nelle opere di molti autori dell'Antica Roma come Plinio il Vecchio, Marco Terenzio Varrone, Lucio Giunio Moderato Columella e Publio Virgilio Marone; proprio nel trattato De re rustica dello scrittore di agricoltura Columella è riscontrabile una minuziosa descrizione delle tecniche di lavorazione del latte ovino:
« [...] il latte viene generalmente fatto rapprendere con caglio di agnello o di capretto (…) Il secchio della mungitura, quando sia stato riempito di latte, si deve mantenere a medio calore: non si deve tuttavia accostarlo al fuoco […] ma si deve porre lontano da esso, e appena il liquido si sarà rappreso dovrà essere trasferito in cesti, panieri o forme. Infatti è essenziale che il siero possa scolare immediatamente ed essere separato dalla materia solida […]. Poi quando la parte solida è tolta dalle forme o dai panieri dovrà essere collocata in ambiente fresco e oscuro, perché non possa guastarsi, su tavole più pulite possibile, e cosparse di sale tritato affinché trasudi il proprio umore. »
La capacità di lunga conservazione e l’alto valore nutritivo ne faceva un alimento base dell’approvvigionamento dell’esercito romano. Virgilio infatti ci tramanda che fu stabilita una razione giornaliera di un’oncia (27 grammi) da distribuire a ciascun legionario ad integrazione della zuppa di farro e del pane.
Ai giorni nostri, sebbene la storia e il nome lo leghino al territorio laziale, la produzione del Pecorino Romano avviene prevalentemente in Sardegna, terra di antichissima tradizione agro-pastorale: tale lavorazione venne introdotta dopo il 1884, anno in cui il sindaco di Roma introdusse il divieto di salagione del pecorino romano all'interno della città. Questo fatto costrinse molti produttori romani a spostare la produzione nell'isola, introducendo al tempo stesso nuove tecnologie produttive, accrescendo notevolmente la produzione e la conseguente esportazione di questa varietà di formaggio nel mercato nordamericano.
A seguito della Conferenza di Stresa del 1951 (indetta da alcuni stati europei per far fronte alla questione delle contraffazioni e delle imitazioni dei prodotti alimentari tradizionali) e con l’attribuzione nel 1955 delle le prime denominazioni di origine controllata (DOC) nel settore caseario, venne formalmente acconsentita la fabbricazione del pecorino in Sardegna. Per converso la produzione laziale, che sino agli anni '50 contava su una quarantina di piccole e medie imprese, subì un costante ridimensionamento dovuto in parte all’eccellente concorrenza dei produttori isolani ma soprattutto allo spopolamento dei centri rurali e alla drastica diminuzione del numero degli addetti in agricoltura a vantaggio di altri settori in crescita nell’Urbe come il pubblico impiego, l’edilizia e il commercio. Nel 1979, per volontà di un gruppo di operatori del Lazio e della Sardegna, venne istituito il Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano, il quale nel 1981 ottenne dal Ministero dell’Agricoltura l’affidamento dell’incarico di vigilanza sulla produzione e sul commercio, e nel 2002 quello per la tutela della DOP (denominazione assegnata al Pecorino Romano dal 1996).
Attualmente gli scopi del Consorzio comprendono la tutela e la vigilanza sulla produzione e sulla commercializzazione del Pecorino Romano, la tutela della denominazione in Italia e all’estero, l’incremento del consumo e il miglioramento qualitativo del prodotto. Il Disciplinare di Produzione è stato ampiamente modificato nel corso degli ultimi decenni, introducendo nel 1995 la salatura in salamoia alternativamente a quella a secco. Inoltre, il periodo della stagionatura è stato abbassato dai tradizionali 12-18 mesi fino ai 5-8 mesi, secondo attuale disciplinare. Anche la pezzatura è stata volutamente modificata. La tradizione romana vuole una grande forma da 33-35 kg, invece dei correnti 22-25 kg. Non dimentichiamo il colore nero della forma di Pecorino Romano, la "Cappatura Nera" in gergo caseario, simbolo della tradizione romana.
Dal 2010 il Lazio, la Sardegna e la Provincia di Grosseto hanno ottenuto un ulteriore logo di distinzione geografica. Il Pecorino romano è un formaggio a pasta dura e cotta, prodotto esclusivamente con latte fresco intero di pecora. Questo può essere lavorato direttamente crudo oppure sottoposto a termizzazione ad una temperatura massima di 68 °C per non più di 15’’, ed eventualmente inoculato con fermenti lattici naturali (scotta innesto) costituiti da un’associazione di batteri lattici termofili. La coagulazione del latte si ottiene ad una temperatura compresa fra i 38°/40 °C con l'impiego di caglio in pasta d'agnello. Avvenuto l'indurimento della cagliata, si procede alla sua rottura in coaguli della dimensione di un chicco di riso e alla cottura a temperatura non superiore ai 48 °C. La salatura può essere fatta a secco (tecnica più antica) o in salamoia, e la stagionatura si protrae per almeno 5 mesi per il formaggio da tavola e almeno 8 per quello da grattugia. Le forme sono cilindriche a facce piane, con un’altezza dello scalzo compresa fra i 25 e i 40 cm. e il diametro del piatto fra i 25 e i 35 cm. Il peso delle forme può variare tra i 20 e i 35 kg e riportano impresso su tutto lo scalzo il marchio all'origine (la testa stilizzata di una pecora) con la dicitura Pecorino Romano nonché, in apposito riquadro, la sigla della provincia di provenienza, il codice del caseificio in cui è stato prodotto ed il mese e l'anno di produzione. In tale riquadro può essere aggiunta l'indicazione "Lazio" o "Sardegna" o "Grosseto" a condizione che l’intero ciclo produttivo si compia nel territorio geografico indicato.
La commercializzazione del pecorino romano avviene per quasi il 70% nel Nord America, dove gli Stati Uniti rappresentano i primi acquirenti di questo particolare formaggio italiano.
ZONA DI PRODUZIONE
Toscana
Lazio
Sardegna
TERRITORIO DI PRODUZIONE
Lazio e Sardegna tutto il territorio. Toscana per la provincia di Grosseto.
ORIGINE
Latte di Pecora
FORMA E DIMENSIONE
Cilindrica con diametro di 25-35 cm, scalzo alto 25-40 cm. Il peso varia da 20 a 35 kg.
STORIA
E' un formaggio che ha oltre 2000 anni di storia. Arricchiva i banchetti degli imperatori e veniva considerato un nutrimento molto importante per i legionari romani, cibati e rinvigoriti proprio con questo formaggio che, per l'abbondante contenuto di sale, aveva la caratteristica di mantenersi a lungo.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO
Pasta dura
TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE
Al latte crudo o termizzato viene aggiunto lo scottainnesto proveniente dalla lavorazione precedente. La coagulazione, presamica, avviene con caglio di agnello proveniente dal territorio di produzione. La cagliata viene tagliata alle dimensioni di un chicco di riso e successivamente semicotta o cotta a 45-48°. Dopo l'estrazione e la pressatura in fascere marchianti, si salano le forme, a secco o in salamoia.
MATURAZIONE/STAGIONATURA
Dura 5 mesi, almeno 8 per il formaggio da grattugia. Può avvenire in celle a temperatura e umidità controllate o in grotte di tufo Etrusco-Romane, in modo particolare nelle province laziali.
CARATTERISTICHE DEL FORMAGGIO
Ha dimensione cilindrica con facce piane e scalzo diritto. La crosta è molto sottile o inesistente, untuosa, di colore avorio o paglierino scarico Può essere cappata da una sottile pellicola nera o trasparente. La pasta è dura, compatta, friabile con la stagionatura. Di colore bianco o avorio, può avere occhiatura molto fine, fitta ed è regolarmente distribuita.
TIPOLOGIA DI FORMAGGIO AL CONSUMO
Formaggio a pasta grassa, dura, di media e lunga stagionatura.
INTENSITÀ AROMATICA E SENSAZIONI
Media o medio elevata con la stagionatura. Nota tipica di questo Pecorino è l'abbondante presenza di sale.
ABBINAMENTI
Si può degustare da solo o con il pane senza sale, abbinato alle verdure, ai legumi o alle insalate. Utilizzato anche come formaggio da grattugia e per arricchire i piatti della cucina romana. Eccellente come condimento per il pesto. I vini rossi consigliati per il meno stagionato sono il Velletri rosso e il Cesanese del Piglio; per quello più stagionato il Velletri rosso, il Brunello di Montalcino e il Carignano del Sulcis Rosso.

PECORINO SARDO

Il Pecorino Sardo DOP è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta.
Il pecorino sardo è un formaggio di lunghissima tradizione storico culturale assieme all'allevamento della pecora che sull'isola ha tradizioni antichissime. Il Pecorino Sardo DOP è prodotto con latte di pecora sardo pastorizzato, caglio, sale, fermenti lattici e viene commercializzato in due versioni: una giovane (o fresco) ed una maturo (stagionato). Il pecorino Sardo DOP giovane ha circa 1-2 mesi, mentre quello maturo ha più di 6 mesi. Il Pecorino Sardo DOP si distingue da tutti gli altri tipi di formaggi prodotti in Sardegna, perché segue le direttive presenti all'interno di un disciplinare di produzione. Il disciplinare di produzione prevede alcuni obblighi, come quello di utilizzare solo latte di pecora sardo, oppure l'obbligo di utilizzare un determinato tipo di etichettatura che deve obbligatoriamente contenere il simbolo del consorzio di Tutela, che ha sede a Cagliari.
Il Pecorino Sardo DOP è l'unico formaggio prodotto in Sardegna a poter vantare questa denominazione. Tutte le altre varianti (pecorino prodotto in Sardegna, Formaggio Sardo, Formaggio di Pecora Sardo) hanno lo scopo di richiamare la denominazione DOP, senza però sottostare alle dure condizioni dettate dal disciplinare di produzione.

PECORINO SICILIANO
Il Pecorino Siciliano, in siciliano Picurinu Sicilianu, è un formaggio a Denominazione di origine protetta prodotto esclusivamente con latte di pecora nel territorio siciliano.
Il Pecorino siciliano è un formaggio che proviene dal mondo greco classico. Già nell'antichità è stato riconosciuto come uno dei migliori formaggi d'Italia e del mondo. Il 12 giugno 1996 la Commissione europea riconosce la DOP con decreto CE n. 1107/96.
È un formaggio a pasta semidura bianca, dal colore e sapore forte. Di forma cilindrica, con una faccia leggermente concava, la forma tipo ha un peso variabile di kg 12 più o meno il 15%.
Il pecorino siciliano viene prodotto unicamente con latte di pecora crudo intero a cui viene aggiunto il caglio in un tino di legno. Si passa poi all'incanestratura e successivamente alla salatura. Può essere consumato ad un livello più o meno alto di stagionatura. Le sue caratteristiche cambiano secondo il livello di stagionatura, anche se per poter essere marchiato necessita di un minimo di quattro mesi di stagionatura.
Viene prodotto in tutta la Sicilia, ma soprattutto nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Trapani e Palermo.
Il Consorzio Ricerca Filiera Lattiero-Casearia (Corfilac) è l’organismo di controllo autorizzato a certificare la conformità ai requisiti del Disciplinare per il Pecorino Siciliano DOP e quindi a poter rilasciare il marchio DOP. Il Consorzio di Ricerca ha elaborato un Piano di Controllo che illustra i requisiti necessari per caratterizzare il Pecorino Siciliano.
Stagionatura
Tuma (pochi giorni dalla produzione)
Primo sale (dopo 15 giorni)
Semistagionato (30-60 giorni)
Stagionato (90-120 giorni)

PECORINO TOSCANO
Il pecorino toscano (DOP) è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta. Plinio il Vecchio, nella sua monumentale Naturalis historia, accenna in alcuni passi alla produzione del Pecorino in Toscana. Un tempo chiamato cacio marzolino perché la sua produzione iniziava nel mese di marzo ed è con tale nome che lo troviamo menzionato in una memoria sul formaggio toscano scritta da Francesco Molinelli verso la fine del Settecento.
Caratteristiche
È un formaggio ottenuto da latte intero esclusivamente di pecora a pasta tenera o semidura. La forma è cilindrica a facce piane con scalzo alto da 7 a 11 centimetri leggermente convesso e dal diametro variabile fra i 15 e i 22 cm. Il peso di ogni forma può variare da 1 a 3,5 chili. La pasta ha struttura compatta e tenace al taglio per il tipo a formaggi a pasta semidura. Si presenta di colore bianco o paglierino più o meno intenso. La crosta esterna è di colore giallo con varie tonalità fino al giallo carico. Il sapore è fragrante, accentuato, caratteristico delle particolari procedure di produzione.
Utilizzo
A seconda della zona di produzione, cambiano i tempi di stagionatura e con questi cambia molto il gusto e l'uso che si può fare di questo formaggio. Si va infatti da un pecorino toscano fresco, dal gusto delicato e dolce, passando per un pecorino invece più stagionato, dal sapore più impegnativo ed accentuato per arrivare infine al pecorino lungamente invecchiato dalla pasta dura, dal sapore deciso che viene tradizionalmente abbinato ai sapori dolci del miele e delle marmellate di frutta.
Produzione
Il pecorino toscano è un formaggio DOP e le regole produttive sono stabilite nel disciplinare riconosciuto dall'Unione europea. Nel disciplinare di produzione si prevede che la cagliatura avvenga solo con caglio di vitello. Dopo circa 20/25 minuti si procede alla rottura fino a raggiungere le dimensioni di una nocciola per il prodotto a pasta tenera o quelle di un chicco di mais per il prodotto da stagionare. la successiva fase è quella della formatura, in stampi provvisti di fori per facilitare lo sgrondo del siero. Inizia quindi la maturazione del prodotto che viene conservato in ambienti caldi e umidi (camere calde armadi o cassoni riscaldati) dove si favorisce un rapido spurgo del siero e l'avvio della maturazione. La fase seguente è la salatura a secco (la più tradizionale) o in salamoia. Particolarità del pecorino toscano è la durata decisamente breve di questa fase che dura circa un solo giorno. Dopo la salatura il pecorino toscano viene posto a maturare negli idonei locali e qui periodicamente girato e controllato. Solo le forme che rispondono al 100% alle caratteristiche previste nel disciplinare vengono marchiate una ad una, ad inchiostro quelle a pasta tenera ed a caldo quelle stagionate. Sul marchio è presente il nome pecorino toscano DOP, l'immagine prevista sul marchio ed il numero identificativo del produttore. In etichetta deve essere presente il nome pecorino toscano DOP o pecorino toscano DOP stagionato accompagnato dal logo europeo della DOP, dal logo del pecorino toscano e dalle scritte obbligatorie.

PHILADELPHIA
Philadelphia è il nome commerciale di un formaggio spalmabile prodotto dalla Kraft Foods negli Stati Uniti d'America e venduto in molti stati. In Italia è commercializzato dal 1971.
Secondo la società americana Kraft Foods, il primo formaggio spalmabile americano è stato prodotto a New York nel 1872 dal casaro statunitense William Lawrence. Nel 1880, fu adottato il nome "Philadelphia", in quanto la città era considerata il luogo in cui venivano prodotti i cibi di qualità migliore. In Spagna il termine Philadelphia è stato utilizzato per indicare genericamente qualunque tipo di formaggio spalmabile, che in spagnolo prende appunto il nome di queso Filadelfia o queso crema.

PIACENTINU ENNESE
Il Piacentinu ennese (in siciliano piacentinu ennisi), è un formaggio siciliano prodotto con latte di pecora intero in forme da 6 a 14 kg e caratterizzato dall'aggiunta di zafferano (coltivato in provincia di Enna in via sperimentale) e di grani di pepe nero che, oltre a dare al piacentino una inconfondibile colorazione giallo-arancione, gli conferiscono un sapore spiccato e lievemente piccante. Il "Piacentinu ennese" ha ottenuto la Denominazione di Origine Protetta (DOP) a livello europeo il 15 febbraio 2011. Questo formaggio rappresenta la millesima denominazione d'origine registrata in Europa, motivo di orgoglio anche per il Commissario Europeo Dacian Ciolo.
Assieme ad altre peculiarità quali la Pesca tardiva di Leonforte, la Fava larga di Leonforte e il Pan del Dittaino (DOP) il piacentino ennese costituisce uno degli elementi portanti della gastronomia tipica locale della Provincia di Enna, nel cuore geografico e naturalistico della Sicilia.
Nome nel dialetto locale: Piacentinu. L'etimologia non è nota. Si fanno varie ipotesi:
Piacentino da piacente nel senso di "gustoso, piccante"; è ritenuta l'etimologia più probabile
Piacentino da "piangentino" ossia, formaggio che piange, che ha la lacrima
Piacentino da Piacenza.

PIAVE


Il Piave è un formaggio tipico veneto di latte vaccino a pasta cotta tutelato dalla Denominazione di origine protetta.
Il formaggio Piave viene prodotto nel territorio della Provincia di Belluno e prende il nome dall'omonimo fiume. Questo formaggio è stato inventato per Giuseppina Vecchio. Il formaggio Piave si distingue nelle seguenti cinque diverse tipologie:
Piave Fresco, con stagionatura di 20-60 giorni.
Piave Mezzano, con stagionatura di 61-180 giorni.
Piave Vecchio, con stagionatura maggiore di 6 mesi.
Piave Vecchio Selezione Oro, con stagionatura maggiore di 12 mesi.
Piave Vecchio Riserva, con stagionatura maggiore di 18 mesi.

PLAISENTIF
Il Plaisentif è un formaggio tipico dell'alta Val Chisone e dell'alta Valsusa. È una particolare toma che viene prodotta negli alpeggi dell'alta Val Chisone. Viene prodotto dal latte delle mucche del primo alpeggio (tra la salita all'alpeggio di giugno e non oltre il 30 luglio), che si alimentano esclusivamente della flora locale ricca di fiori ed aromi. Viene anche chiamato formaggio delle viole perché l'erba del primo alpeggio coincide con l'epoca della fioritura delle viole. Dopo una stagionatura d almeno 60 giorni è pronto per la commercializzazione, che avviene solo ed esclusivamente a partire dalla Rievocazione Storica Poggio Oddone - Terra di Confine e Fiera del Plaisentif che si tiene a Perosa argentina la 3ª domenica di settembre di ogni anno. Solo le tome marchiate possono denominarsi "Plaisentif", marchio registrato. Sulla sinistra orografica della val Chisone è stato tracciato un sentiero che collega le varie borgate dove più tipicamente si produce il formaggio.

PROVOLONE DEL MONACO CAMPANO
Il Provolone del Monaco è un formaggio ottenuto dalla lavorazione del latte della vacca Agerolese. Il nome deriva dalla mantella che i pastori indossavano per ripararsi dal freddo durante il tragitto dalle colline di Vico Equense a Napoli, principale mercato per i loro prodotti. Il Provolone del Monaco si produce dal 1700 circa, quando alcuni pastori che vivevano sul Vomero, area allora agricola nei dintorni di Napoli, dovettero trasferirsi a causa dell'espansione urbana. Alcune famiglie decisero di trasferirsi sui Monti Lattari e iniziarono a sfruttare gli ampi pascoli della zona, producendo formaggio, in particolare caciocavallo. Il principale mercato per la vendita del formaggio era Napoli e i pastori, coperti da pesanti e ingombranti mantelle, vennero soprannominati "monaci" e i loro caciocavalli, ricercati e apprezzati sulla piazza partenopea, divennero per tutti “i provoloni del monaco”. Dal 2010 il Provolone del Monaco ottiene la Denominazione di Origine Protetta (DOP) a livello europeo con Regolamento UE 121/2010.
Il "Provolone del Monaco" si ottiene riscaldando il latte per ottenere una cagliata maggiormente cotta rispetto alla produzione del caciocavallo tradizionale. La sua maturazione deve avvenire con lentezza, senza conservanti, né fermenti. Successivamente si passa alla modellatura, dando una forma particolare rispetto a quella solita, di melone leggermente allungato e senza testina. La stagionatura, dopo averlo salato e asciugato, può anche avvenire in grotta secondo il disciplinare di produzione, partendo da un minimo di 6 mesi.

PROVOLONE VALPADANA
Il Provolone Valpadana è un formaggio grasso DOP di latte vaccino a pasta filata e semidura. Il tipo più classico è quello cilindrico (a salame), solitamente piuttosto grosso; l’altra forma più diffusa è quella a melone allungato. Antica è la forma a pera con testina. I pesi delle forme vanno, per il formaggio a breve stagionatura, da pochi etti a 10 chili; per quello che viene stagionato più a lungo, da pochi chili ad oltre 100. In origine è una variante della provola originaria della Campania, che ha cominciato ad essere prodotta nella Pianura Padana a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo. Il Provolone Valpadana nasce da un intreccio tra la sensibilità e sapienza artigianale e la tecnologia moderna. Il punto di partenza è il latte di vacche Frisone, allevate nella Pianura Padana. La prima operazione del processo è la produzione della cagliata: al latte crudo, riscaldato, vengono aggiunti, prima il cosiddetto “sieroinnesto” (residuo, ricco di fermenti, della lavorazione del giorno prima) e poi il caglio (un coagulante naturale che può essere di vitello o di agnello o capretto). La cagliata viene rotta e sottoposta a cottura; ottenuta la pasta, che è stata fatta maturare per favorire l'acidificazione naturale, viene quindi filata a macchina con un costante controllo. Le forme vengono poi modellate, mantenendo ben liscia la superficie esterna ed evitando che all’interno restino bolle d’aria, le quali ne danneggerebbero la qualità. Appena pronte, le forme vengono immerse per alcune ore in acqua fredda, perché si rassodino. Seguono la salatura (immersione in salamoia) e la stagionatura in ambienti a umidità e temperatura controllate, nei quali i formaggi, opportunamente legati con corde speciali, vengono appesi in idonei telai. La stagionatura, a seconda del tipo di Provolone Valpadana che si vuol ottenere, può durare da un minimo di 10 giorni ad oltre un anno. Ne risultano delle forme dal colore paglierino e dalle linee arrotondate e morbide, benché di fogge diverse. Inoltre, il provolone è di due tipi: dolce e piccante ; se vogliamo il piccante (si utilizza il caglio di capretto), la stagionatura deve essere di almeno sedici mesi, invece un provolone dolce deve avere una stagionatura ridotta, però di almeno 3 mesi. Alcuni producono anche la versione affumicata come la "cugina" scamorza.

PUZZONE DI MOENA
Il puzzone di Moena (in ladino spretz tzaorì ossia formaggio saporito) è un formaggio DOP, a crosta lavata, grasso a pasta semicotta e semidura, a latte di vaccino crudo. Il puzzone di Moena è un prodotto caseario tipico di Moena e, più in generale, della Val di Fassa e della Val di Fiemme (TN), in Trentino-Alto Adige. Dal marzo 2013 è divenuto DOP.
Deve il suo nome al suo caratteristico odore, che molti definiscono "puzza".
Caratteristiche
Pasta semidura color paglierino chiaro con occhiatura medio-piccola sparsa.
sapore: robusto, lievemente piccante, con lieve retrogusto amarognolo.
Odore penetrante e caratteristico, con sentori animali e sottobosco, note di ammoniaca.
Formaggio a pasta semicotta a latte intero “crudo” (scaldato a 44°).
Forma cilindrica con scalzo di 9–11 cm, diametro di 35 cm circa. peso all’incirca sui 10 kg.
Stagionatura da 3 mesi a 6 mesi.
Crosta lavata, color rosso mattone e caratteristicamente unta.

RAVIGGIOLO
Il raviggiolo è un formaggio fresco molle di latte vaccino o ovicaprino. Viene chiamato anche raveggiolo e ravaggiolo. È tipico dell'Appennino tosco-romagnolo. Per prepararlo si aggiunge al latte il caglio e si lascia coagulare per poco tempo, poi, senza rompere la cagliata si fa scolare su stuoie o canestri di vimini o di plastica o tra foglie di felce, di fico o di cavolo.
Si consuma fresco, entro pochi giorni dalla preparazione; il periodo di produzione, data la sua freschezza, parte da ottobre fino a marzo.
Le sue caratteristiche sono: altezza di circa 2,5 cm; diametro 15–25 cm; peso da 800 g a 1,4 kg; la sua forma è vagamente rotonda. Pasta semidura e tenerissima, colore bianco latte con il sapore dolcemente delicato, un po' burroso. Il primo documento storico riguardante il raviggiolo risale al 1515 e riporta una donazione al papa Leone X. Pellegrino Artusi inserisce questo formaggio nel ripieno dei cappelletti. Si prepara nei paesi di Modigliana, Bagno di Romagna, Portico e San Benedetto, Premilcuore, Santa Sofia in Romagna e Bibbiena, Chiusi della Verna, Pieve Santo Stefano, Poppi, Pratovecchio, San Godenzo, Sansepolcro e Stia in Toscana, tutti comuni del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.

RICOTTA AFFUMICATA DI MAMMOLA
La Ricotta Affumicata di Mammola è uno dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani della provincia di Reggio Calabria a base di latte di capra, l'area di produzione è il territorio di Mammola. Le aziende zootecniche che producono le ricotte sono a conduzione familiare. Anticamente molti pastori che abitavano nelle zone montane distanti dai centri abitati, conservavano le ricotte fresche con la tecnica dell’affumicatura e una volta a settimana le portavano al mercato per la vendita. Una tradizione molto usata è quella di regalare la Ricotta. Molti emigrati al rientro delle ferie la offrono agli amici e ne fanno consumo personale, per lungo tempo infatti il prodotto si conserva bene sottovuoto in frigo. Viene commercializzato direttamente dalle aziende zootecniche nel comprensorio di Mammola. La Ricotta è molto richiesta altresì sui mercati regionali, nazionali ed esteri e non si riesce a soddisfare le tante richieste dei consumatori. Da ricordare a Mammola la “Festa della Ricotta affumicata” che si svolge la prima domenica di giugno e la “Festa dei Sapori” che si svolge ogni anno il 7 dicembre, nella liete circostanze si degustano, con la Ricotta affumicata fatta dai pastori, altre pietanze tipiche, dagli antichi sapori ormai dimenticati.
La “Ricotta affumicata di Mammola” viene utilizzata: a fettine negli antipasti tipici calabresi; grattugiata sulle paste caserecce, quando la ricotta è più dura; a fine pasto, da sola o con un misto di formaggi, accompagnata con vino rosso.
I capi caprini censiti nei territori del Comuni sono: Mammola 2850.
La Ricotta affumicata di Mammola si ottiene dal latte di capra, ed ha sapore particolarissimo di formaggio fresco leggermente salato. Ha consistenza morbida, e vellutata al tatto e di gradevole aroma affumicato, con la sua caratteristica forma, simbolo della fertilità.
Ingredienti utilizzati: Latte di capra.
Forma: Cilindrica con testa ingrossata a forma di fungo.
Dimensioni medie: Lunghezza 30 cm circa, diametro 6 cm.
Peso medio: 700/1000 gr. circa.
Sapore: Di formaggio fresco leggermente salato ed affumicato.
Odore: Di formaggio con l’aroma di affumicato.
Colore: Di colore del rosa scuro al dorato all’esterno e bianco all’interno.
Tecniche di lavorazione:
Il latte caprino viene versato in un pentolone e riscaldato girandolo col mestolo. Dopo averlo tolto dal fuoco si aggiunge il caglio, si rigira ancora e si lascia riposare per più di un'ora. Si rompe la cagliata e dopo ulteriore attesa, con le mani si estrae il formaggio. Si porta il pentolone sul fuoco e si ricomincia a mescolare con un bastoncino di essenza locale a punta ramificata (minaturi). Le abili mani del casaro strappano quello che dopo opportuno trattamento diventerà il saporito formaggio caprino locale. Quando il latte incomincia a bollire, si immerge un rametto di fico tagliuzzato e si gira con il bastoncino, sempre per un lato, ancora per pochi minuti. Dopodiché la Ricotta fresca è pronta, la si toglie dal fuoco e con un cucchiaio di legno appositamente prodotto per questa delicata fase della lavorazione, viene messa nelle forme (fasceji) e quindi avvolta e protetta da profumate felci di montagna. La Ricotta il giorno dopo e tolta dalle forme e salata. Poi viene messa in un'impalcatura alta circa un metro e mezzo (1,5 m), dal piano di fuoco del focolare, su un letto di cannicci di castagno coperti da felci di montagna. Si accende sotto, un fuoco a fiamma moderata, usando legna fresca di castagno oppure di erica, in modo da produrre un fumo denso e profumato che va ad investire direttamente, da sotto, le ricotte. L'operazione di affumicatura dovrà durare mediamente 24 ore, girando le ricotte dopo le prime 12, se si preferiscono di consistenza morbida. Se invece si preferiscono più dure e consistenti, il tempo di affumicatura si allungherà in maniera opportuna. La Ricotta Affumicata di Mammola è da considerarsi un prodotto ricavato con tecniche molto antiche ed artigianali.
Periodo di produzione: Tutto l'anno in particolare dal mese di dicembre a giugno.
Materiali utilizzati: I pentoloni sono in acciaio e i cucchiai sono in legno di erica.
La bollitura del latte viene effettuata con il gas, sono in pochi quelli che ancora usano il fuoco a legna.
I contenitori delle ricotte fresche si chiamano fasceji (fatte di junco) di forma cilindrica, la mastreja è la tavola per la scolatura della ricotta, il minaturi è un bastoncino a punta ramificata.
I locali sono ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte, nelle masserie.
I Locali dove avviene la produzione sono ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte.
La Ricotta affumicata di Mammola con la suddetta scheda è stata inclusa dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nell'Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, Suppl. Ord. Gazzetta Ufficiale N°167 del 18-7-02 pag. 11 N°58.
RICOTTA DI FUSCELLA

La ricotta di fuscella è una ricotta di vacca, molto fresca, prodotta in Campania. E' riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale. La denominazione deriva dalla parola napoletana fuscella, che indica il cestello forato di forma tronco conica, tradizionalmente fatto di vimini intrecciati, nel quale viene trasportata e venduta. Oggi la fuscella è un'attrezzatura casearia comune per ottenere la ricotta ed è in materiale plastico adatto all'uso alimentare. Ha una forma di contenitore tronco-conico forato con delle piccole fessure.

RICOTTA ROMANA
Le origini della ricotta romana sono antichissime e riferimenti storici risalgono a Marco Porzio Catone che raccolse le norme che regolavano la pastorizia nella Roma repubblicana dove il latte di pecora aveva tre destinazioni: religiosa, come bevanda e la trasformazione in formaggi con l'uso residuo del siero per ottenere appunto la ricotta.
Il disciplinare di produzione prevede che il siero debba essere ottenuto da latte intero di pecora proveniente dal territorio della regione Lazio e le operazioni di lavorazione, trasformazione e condizionamento dello stesso in ricotta romana devono avvenire nel solo territorio della regione Lazio.
La Ricotta Romana DOP è identificabile dal logo che contiene una testa di ovino e le scritte "ricotta" in giallo e "romana" in rosso.
La Denominazione di Origine Protetta è stata riconosciuta il 13 maggio 2005.
Viene prodotta principalmente nell'Agro Romano nel periodo compreso tra novembre e giugno. Le razze ovine da cui deriva il latte intero sono Sarda, Siciliana e Comisana alimentate per il 10% con foraggio e per il 90% in pascolo. Per la produzione della ricotta romana DOP è consentita, nel corso del processo di riscaldamento del siero, a temperatura tra i 50-60°C, l'aggiunta di latte intero di pecora proveniente dalle razze sopra citate e dall'areale previsto, fino al 15% del volume totale del siero.
La ricotta romana viene confezionata in cestelli tronco-conici di vimini, di plastica o di metallo con capacità massima di due chili, oppure avvolta in carta pergamena o sottovuoto.
La peculiarità della ricotta romana è il caratteristico sapore dolciastro che la distingue da ogni altro tipo di ricotta. Il disciplinare di produzione è stato modificato nel 2010. 

ROBIOLA DI OSIGLIA

In Val Bormida, sulle rive del lago artificiale di Osiglia si produce la robiola. Oggigiorno gli ovini e i caprini nell'entroterra vengono allevati principalmente per la carne, a differenza dei tempi antichi in cui ben più importanti erano gli altri prodotti cioè latte e lana. In particolare il latte non aveva smercio come prodotto fresco, vista la sua rapida deperibilità. Ma, se opportunamente cagliato, con esso si potevano elaborare formaggi che costituivano, assieme alle granaglie, alla carne salata e alle castagne, la riserva alimentare da consumare durante la stagione invernale. Tra i formaggi prodotti il più tipico era, ed è tuttora, la robiola, prodotta interamente con latte ovino, anche se a volte viene aggiunta una piccola percentuale di latte caprino. Pantaleone da Confienza, medico di casa Savoia, descrive in un suo trattato – la Summa lacticinorum - i principali formaggi piemontesi e per la robiola afferma che le migliori, assieme a quelle di La Morra e del Monferrato, sono quelle prodotte nei possedimenti montani dei Del Carretto, cioè le robiole della val Bormida.Gli ovini dovevano essere diffusi in tutto il territorio valbormidese, con particolare densità a Bardineto, Osiglia e Cairo. Andiamo a gustare la tipica robiola.
Robiola
Formaggio fresco di latte ovino, pezzatura 200 - 400 g, di forma rotonda o rettangolare. Consistenza pastosa.
Zona di produzione: Valle Bormida (Osiglia)
Lavorazione:Dopo aver rimescolato il latte e aggiunto il caglio liquido, si forma una massa solida che viene posta a sgrondare nei setacci per far fuoriuscire il siero. Raggiunta la giusta umidità viene messo nelle forme; la salatura è a secco e manuale.
La conservazione è brevissima, da uno a 8 giorni, e avviene in piccoli vani ben aerati.
Non esiste stagionatura, si può però parlare di maturazione (circa 4-6 giorni) se si intende il periodo che va dal momento in cui il prodotto è formato a quando viene commercializzato; le sue caratteristiche rimangono comunque inalterate per 10-14 giorni a seconda della stagione.
Il mercato di sbocco attualmente è solo locale o comprensoriale e avviene attraverso il canale del piccolo dettaglio tradizionale.

ROBIOLA DI ROCCAVERANO
La Robiola di Roccaverano (DOP) è un formaggio italiano a denominazione di origine protetta.
Il nome robiola deriverebbe dal termine tardo-latino "rubeolus" riferito alla colorazione rosata rossastra assunta dalla superficie dei formaggi con l'avanzare della stagionatura; il toponimo è legato a Roccaverano, un comune in provincia di Asti, ma l'area di produzione della robiola comprende il territorio a cavallo fra le province di Asti e di Alessandria nella parte orientale delle Langhe. È un formaggio fresco piuttosto grasso a pasta cruda e bianca senza crosta.

SALIGNÖN

Il Salignön è una ricotta dalla consistenza cremosa e grassa e dal sapore piccante e speziato, ottenuta dal siero residuo della lavorazione casearia arricchito con latte o panna. È riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano di due diverse regioni: il Piemonte (con il nome di salgnun o salignun) e la Valle d'Aosta (in questo caso la denominazione riconosciuta è salignoùn). Viene prodotto, con lievi varianti, in Valle d'Aosta e nel Piemonte settentrionale, in particolare in Valsesia.
La base della preparazione è la ricotta fresca, impastato con formaggio finemente sminuzzato (ad esempio toma), sale, pepe e peperoncino (da qui il suo colore rosato). L'impasto viene ulteriormente insaporito con erbe aromatiche di montagna e lasciato riposare per un tempo variabile a seconda di quanto lo si desidera piccante. Viene utilizzato per farcire le tipiche miasse (sottili e croccanti rettangoli di farina di granoturco che vengono cotte su apposite piastre). Si accompagna bene anche con la polenta.

SALVA CREMASCO
salva cremasco
Il Salva Cremasco è un formaggio DOP vaccino da tavola, a pasta cruda, a crosta lavata, ed a media o lunga stagionatura, tradizionalmente consumato nella pianura lombarda centrale, e prodotto in particolare nel cremasco, nella bassa bergamasca e nella pianura bresciana.
Si può produrre anche in provincia di Lecco, Lodi e Milano. Il Salva Cremasco ha molte somiglianze con il quartirolo, da cui si differenzia per la maggiore complessità aromatica e la più lunga stagionatura.
Il suo nome deriva dall'uso tradizionale di salvare il latte delle abbondanti produzioni primaverili, quando iniziava la raccolta dei foraggi, impiegandolo nella produzione di un formaggio da conservare anche oltre l'estate. Si denomina cremasco nonostante sia più spesso prodotto altrove, perché Crema è stata il principale luogo di commercio e di consumo delle forme, così come è accaduto per altri formaggi (es. Bra, Gorgonzola).
La sua origine risale al XVII e al XVIII secolo, quando è già possibile riconoscere su alcune formelle decorative il profilo del formaggio, che si presenta come un parallelepipedo, con una crosta sottile e una pasta con occhiature rarissime e un colore bianco paglierino. Il Salva ha uno stretto rapporto con la stagionale transumanza che i bergamini, casari e mandriani allo stesso tempo, intraprendevano con le loro vacche, scendendo dai paesi delle valli bergamasche e bresciane verso le cascine della pianura in autunno, e facendovi ritorno in primavera. Durante questi viaggi il latte in eccesso, particolarmente abbondante in primavera, veniva convertito in strachì da salva (stracchino di salva), in modo da poter essere conservato nella stagione calda. Pare che il condottiero Bartolomeo Colleoni ne fosse ghiotto, tanto da farsene consegnare alcune forme durante le sue ispezioni militari alle fortificazioni cremasche.
Il salva cremasco fa parte della famiglia degli stracchini.
Produzione
Per la sua produzione viene impiegato latte intero, pastorizzato. La sua coagulazione, a 36 °C, dura 30 minuti, indi la cagliata viene spezzettata in minuscoli frammenti due volte. Infine, la massa ottenuta viene posta a stufatura per 8-16 ore in ambiente umido. La stagionatura dura 3-5 mesi (in questo caso ha un gusto aromatico e fragrante) oppure 8-12 mesi, acquisendo così un profumo più intenso. Esistono rare forme stagionate fino a 36 mesi. A volte la crosta è aromatizzata con vinacce.
La forma è parallelepipeda con faccia piana quadrata da 11/13 o 17/19 cm di lato e scalzo diritto da 9 a 15 cm; il peso medio per forma varia da 1,3 a 5 kg. La crosta viene lavata con acqua e sale, e per i formaggi stagionati a lungo, oliata, un tempo con olio di lino. Si sviluppano così alcune caratteristiche muffe gialline, che penetrando nella crosta aumentano gli aromi del formaggio.
Il 21 novembre 2002 è stato costituito il Consorzio per la Tutela del Salva Cremasco, ed il formaggio ha ottenuto in seguito la DOP, per la sua tipicità e la documentata tradizione produttiva. Il formaggio si riconosce, oltre che per la sua forma cubica o parallelepipeda, per il marchio a lettere maiuscole S C inciso su una faccia.
Salva e tighe
Il più tipico uso di questo formaggio cremasco è il Salva con le tighe (peperoncini lombardi verdi sotto aceto). Si taglia il salva in piccoli cubi, accostandoli a listelle di tighe private dei semi e tagliate grossolanamente. Si condisce con pepe e un filo di olio d'oliva. Secondo i gusti lasciar riposare per far insaporire, non eccedere in quanto l'olio fa macerare il formaggio.

SARASSO DELLA VAL D'AVETO
Sarasso della Val d'Aveto
Nell’alta Val d’Aveto si produce il sarasso.
Ricotta salata e stagionata; forma cilindrica, altezza 15-20 cm; diametro 10-15 cm; colore bianco - giallognolo; sapore intenso.
Zona di produzione: Alta val d'Aveto
Lavorazione: La ricotta derivante dal siero del formaggio di Santo Stefano d'Aveto (vedi ricotta di Santo Stefano) viene salata e fatta stagionare. Il risultato è il sarasso. Può sembrare assurdo ma questo formaggio stagionato è il frutto della lavorazione di un prodotto che giuridicamente non è considerato un formaggio: la ricotta. Il suo nome deriva dal provenzale serác e dal latino serum, siero, diffuso nell'entroterra della Riviera di Levante e non solo. Il sarasso viene utilizzato come veloce condimento di una pasta in bianco o in aggiunta al sugo di carne (tocco). Può essere anche usato nella preparazione del pesto. Il sarasso può inoltre essere aggiunto nella baciocca, tradizionale torta di patate, insieme alla ricotta.

SOLA LIGURE
Nell’albenganese troviamo la sola. Il nome non è granché e ricorda la fregatura, ma se l’assaggi, allora il discorso cambia. Le origini di questa tumma sono nella tradizione delle valli cuneesi confinanti con il territorio ligure e con una connotazione storico-culturale e enogastronomica molto simile. La sua forma, che ricorda la suola delle scarpe, da cui il nome sola, deriva dall'aspetto assunto durante la stagionatura. Evidentemente in tempi remoti la tecnica della preparazione di questo formaggio è giunto nel nostro entroterra dal vicino Piemonte, però da noi ha la caratteristica e differenza di essere esclusivamente a base di latte di pecora, manca il latte vaccino. La metodica di lavorazione è fatta con materiali semplici e pratici perché il formaggio veniva tradizionalmente prodotto in alpeggio e la sua forma denota la facilità con cui doveva essere trasportato con gli animali durante la fase della transumanza tra la costa e le alpi marittime. Il tipo di mercato è regionale.
Ottimo formaggio da tavola, si presta a essere gustato a fine pasto accompagnato da buon pane, oppure tagliato a dadini e condito con un goccio di buon olio.
Sola, formaggio semistagionato prodotto con latte ovino crudo. Di forma rettangolare e dello spessore di circa 3 cm. Pasta morbida, bianca con leggera occhiatura, frutto della lavorazione a crudo. Gusto delicatamente saporito.
Zona di produzione: entroterra Albenghese e Imperiese, Alpi Marittime
Lavorazione: Si porta il latte crudo alla temperatura di 36°C, aggiungendovi il caglio liquido. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata, la massa viene raccolta in un telo a forma di sacco e si sottopone a pressatura. La salatura si effettua a secco, direttamente sulle forme. La lavorazione è tutt'oggi manuale e prevede utensili a norma di legge.

SPRESSA DELLE GIUDICARIE
La Spressa delle Giudicarie DOP è un formaggio semimagro da tavola, a pasta semidura e fermentazione naturale. La zona di produzione si trova nel Trentino Occidentale (Valli Giudicarie, soprattutto Val Rendena, e Val di Ledro), in parte all'interno del Parco Naturale Adamello - Brenta. E' uno dei più antichi formaggi della montagna alpina e dal 26 gennaio 2004 può fregiarsi dell'iscrizione nel Registro delle Denominazioni di Origine protetta, che ne tutela la qualità all'interno dei confini nazionali e dell'Europa.
Un tempo veniva prodotto in modo artigianale nei masi ('munt', o 'munc' al plurale, nel dialetto locale), prima di trasferire le vacche all'alpeggio. Oggi la produzione, per la maggior parte, viene ottenuta nel caseificio di Pinzolo (circa 50 quintali di latte al giorno dai quali vengono estratte in media 54 forme). In passato la Spressa era sostanzialmente un prodotto 'residuale', i contadini e i casari cercavano di ricavare dal latte la maggiore quantità possibile di burro, ben pagato dal mercato locale. Ciò che rimaneva era utilizzato per la produzione di un formaggio povero, il cui consumo era riservato quasi esclusivamente alla famiglia del contadino. La denominazione "Spressa" deriva dalla voce dialettale "spress", ossia la massa rappresa spremuta. Oggi la Spressa delle Giudicarie DOP non è più magrissima come un tempo, perché non sarebbe più gradita dal consumatore, ma è pur sempre un formaggio a basso contenuto di grassi.
I primi riferimenti storici risalgono a tempi molto remoti, come dimostra la "Regola di Spinale e Manez" del 1249. Più recentemente i richiami a questo formaggio si rintracciano nell' "Urbario" di Marini, nel quale, per gli anni 1915 e 1916, viene riportata la "Spressa da polenta" come formaggio tipico.
Oggi la situazione è in parte cambiata perché sono state introdotte attrezzature moderne che garantiscono il rispetto delle attuali norme igienico-sanitarie, ma è rimasta invariata l'attenzione e la cura che si mette nella produzione di questo formaggio. Anche le procedure e le metodiche di produzione, pur con i necessari adeguamenti tecnologici, sono rimaste rigorosamente quelle di un tempo. L'utilizzo di solo latte crudo consente la produzione di un formaggio genuino, con aromi, profumi e sapori che sono caratteristici e derivano principalmente dal fieno locale utilizzato.
Il controllo sul rispetto del disciplinare di produzione è affidato all'Agenzia per la Qualità in Agricoltura A.Q.A di S. Michele a/Adige, la quale opera sulla base di uno specifico Piano dei controlli approvato dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali. Tale Piano dei controlli riguarda sia gli allevamenti il cui latte può essere utilizzato per la produzione della Spressa delle Giudicarie DOP, sia i caseifici trasformatori, sia gli stagionatori del formaggio. La Spressa delle Giudicarie è un formaggio prodotto con latte vaccino crudo ottenuto da vacche di razza Rendena (autoctona), Bruna, Grigio Alpina, Frisona e Pezzata Rossa.
Caratteristiche e fasi di produzione
La Spressa delle Giudicarie oggi è un formaggio semimagro da tavola, che può essere consumato già dopo tre mesi dalla produzione nella versione giovane e dopo sei nella versione stagionato. La maturazione avviene in locali freschi ed aerati. Il periodo di produzione va dal 10 settembre al 30 giugno. La maggior parte del latte impiegato viene prodotto da vacche di razza Rendena alimentate prevalentemente con fieno. Il latte, crudo e parzialmente scremato, proviene da due mungiture, quella del mattino e quella della sera. Il profumo, dopo la stagionatura di tre-quattro mesi, è intenso e deciso ma delicato che soprattutto sa di frutta secca. L'aroma è sia di latte cotto e che di verdura lessa.
Il sapore è netto, intenso e dolce, più deciso nella versione stagionata. Le forme sono cilindriche (diametro 35 cm) e hanno un peso medio variabile dagli 8 ai 10 chili. La crosta è liscia e sottile, la pasta, di colore leggermente paglierino, presenta una sparsa occhiatura di media grandezza. Lo scalzo è quasi diritto e di ridotte dimensioni (circa 9 cm circa), e riporta il marchio Spressa.
Il 3 ottobre 2009 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea la richiesta di modifica riguardante la percentuale di grasso sulla sostanza secca (“da un minimo del 29% ad un massimo del 39%” si modifica in “da un minimo del 33% ad un massimo del 43%). La modifica verrà approvata definitivamente dopo sei mesi dalla pubblicazione.
Gastronomia e vini consigliati
La Spressa delle Giudicarie è un formaggio da tavola, con giusto grado di sapidità e di facile digeribilità. Ottimo fuso con la polenta. I vini consigliati per l'abbinamento sono i rossi gagliardi; si sposa magnificamente con il Marzemino d'Isera.

SQUACQUERONE DI ROMAGNA
Lo squacquerone è un formaggio fresco e cremoso originario dell'Emilia-Romagna. Lo squacquerone più famoso, e rinomato, è lo Squacquerone di Romagna che è un formaggio DOP dal 2012. L'etimologia, di origine romagnola, si riferisce alla consistenza che si "squaglia" per l'elevata presenza di acqua. Si tratta di un formaggio vaccino, a latte intero, a brevissima maturazione e perciò simile alla crescenza, sebbene la pasta (di colore bianco) sia meno consistente per l'elevato tenore di acqua. Non ha né crosta né pelle, ed è spalmabile. Lo squacquerone è un formaggio di latte pastorizzato, a pasta cruda, estremamente molle. Il colore è bianco avorio e le note gustative sono tipicamente lattiche, con sapore dolce-acido.
È uno dei prodotti "per eccellenza" con cui viene farcita la piadina, altro prodotto tipico delle terre romagnole.
Lo squacquerone, senza altre specificazioni, è un formaggio generico che quindi può essere prodotto ovunque, a differenza del blasonato squacquerone di Romagna che, essendo un formaggio DOP, può essere ottenuto solo nella zona designata nel rispetto del relativo disciplinare.
Lo squacquerone si produce come la crescenza ovvero:
aggiunta caglio (previa addizione di fermenti per l'acidificazione) al latte a temperatura di 38-40 °C;
ottenimento della cagliata e maturazione sotto siero per circa 90 minuti;
nessuna cottura della pasta (come tutti i formaggi freschi e a rapida maturazione);
rottura grossolana della cagliata;
ulteriore espulsione del siero dalla cagliata tagliata e riposo;
messa in stampo, breve stafutura e salatura, in tempi stretti (meno di 8 ore in tutto);
maturazione per 4 giorni in ambiente refrigerato e con alta umidità, e consumo pressoché immediato.

STELVIO
formaggio
Il nome “Stelvio” indica il comprensorio montuoso del Parco Nazionale dello Stelvio, famoso per essere meta turistica internazionale.
La qualità e le particolari caratteristiche di questo formaggio sono da ricondurre principalmente alla tipica vegetazione d'alta montagna, che rappresenta la base della dieta degli animali. Il formaggio “Stelvio” o “Stilfser” ha mantenuto nel tempo le caratteristiche peculiari dovute all'ambiente alpino di origine, costituito dal comprensorio montuoso dello “Stelvio-Stilfser” che rappresenta il centro di maggiore produzione (tra 500 e 2 000 metri di altitudine). Le condizioni climatiche e pedologiche omogenee dell'area alpina altoatesina influenzano la qualità dei foraggi usati nell'alimentazione delle bovine e del formaggio ottenuto. La gestione dei prati nel rispetto dell'ambiente ha reso possibile questa ricchezza floristica.
La Denominazione di Origine Protetta è stata riconosciuta nel 2007 (Reg. CE n. 148 del 15.02.07; GUCE L. 46 del 16.02.07). All'atto dell'immissione al consumo il formaggio “Stelvio” o “Stilfser”, la cui stagionatura non può essere inferiore ai 60 giorni, ha la forma cilindrica con facce piane o quasi piane e scalzo diritto o leggermente concavo e presenta le seguenti caratteristiche dimensionali: il peso varia da 8 a 10 kg, il diametro da 36 a 38 cm e l'altezza da 8 a 10 cm.
La percentuale di grasso sulla sostanza secca è uguale o maggiore al 50 per cento e il tasso di umidità non supera il 44%. La crosta deve presentare la tipica colorazione variante dal giallo arancio all'arancio marrone. La pasta, a struttura compatta e di consistenza cedevole ed elastica, presenta colorazione tra giallo chiaro e paglierino, con occhiatura irregolare di piccola e media grandezza.
Si presta molto bene ad essere fuso e consumato con la polenta. Ottimo l'abbinamento con lo speck e le zuppe di cereali.  I vini più adatti sono quelli di media struttura, specialmente rossi (es. Pinot nero dell'Alto Adice e Schiava). Per le forme più stagionate si consiglia l'abbinamento con vini più importanti (es. Lagrein di Terlano, sempre per rimanere in Alto Adige).

STRACHITUNT
Lo strachitunt è un formaggio a latte crudo, a pasta cruda, eventualmente erborinato, prodotto con latte vaccino intero con la tecnica delle due cagliate. Formaggio storico che ben incarna, insieme al Taleggio, la tradizione casearia della Val Taleggio. In marzo 2014 la comunità Europea ha riconosciuto a questo prodotto la Denominazione di Origine protetta, formaggio DOP (reg. 244/2014 entrato in vigore il 04/04/2014). Lo Strachitunt rappresenta quindi il secondo formaggio Dop della Valle. Secondo il disciplinare redatto dal Consorzio di Tutela deve essere prodotto unicamente nei comuni della Val Taleggio e nei limitrofi di Gerosa, Blello e Vedeseta. Fa parte della ampia famiglia degli stracchini.
Ritenuto l'antenato del gorgonzola e il discendente del taleggio, viene prodotto ancora con le tecniche tramandate nei secoli. Partendo dal latte, che è lavorato crudo, quindi senza nessuna pastorizzazione così come avveniva un tempo. Il disciplinare prescrive altresì che il latte venga munto da vacche di sola razza Bruna Alpina, che pascolino e vivano stabilmente durante tutto l'anno nel territorio della Val Taleggio (e limitrofi) e che vengano alimentate con razioni che siano composte per almeno il 70% da erbe o fieno e non abbiano all'interno insilati di mais.
Tra la versione invernale e quella estiva, come tutti i formaggi a latte crudo, vi sono delle differenze organolettiche le quali diventano sostanziali tra la versione di alpeggio (baite in montagna) e quella di caseificio, sempre collocato in montagna, nel comune di Vedeseta.
Le peculiarità dello Strachitunt DOP che lo fanno unico nel suo genere sono:
stracchino a doppia cagliata;
erborinatura naturale;
crosta lavata e, spesso, anche fiorita.
Produzione
Innanzi tutto l'ingrediente principale è il latte, rigorosamente crudo, e proveniente da vacche di razza bruna alimentate prevalentemente con erbe del luogo e senza insilati. IL latte deve essere munto nei pascoli e nelle stalle dei comuni di Taleggio, Vedeseta, Blello e Gerosa, ovvero nel comprensorio della Val Taleggio. Il latte viene lavorato senza l'aggiunta di fermenti. La tecnica di produzione unica e ammessa dal Consorzio per la produzione dello strachitunt è molto antica e consiste nell'unione di 2 cagliate: una della sera, fredda, e una della mattina, calda. Tale tecnica è anche detta delle 2 paste. Le due cagliate, poste a strati in uno stampo vengono lasciate riposare per 12 ore, tempo nel quale si compattano. Le due paste o cagliate, benché in questo lasso di tempo riescano a unirsi non saranno mai completamente amalgamate ma, all'interno della forma rimarranno degli spazi di aria. Nella fase successiva, dopo alcuni giorni di vita del prodotto, con un ago di rame le forme verranno forate manualmente permettendo all'aria di entrare in questi spazi vuoti che diverranno quindi la sede per le muffe tipiche dei formaggi erborinati. È bene però specificare che per lo Strachitunt le muffe sono completamente naturali mentre per erborinati come il Gorgonzola Dop l'erborinatura è indotta con l'aggiunta di pennicillum. Questa l'ennesima caratteristica unica del prodotto. La produzione termina con una stagionatura minima di 75 giorni, periodo nel quale il prodotto viene continuamente girato e la sua crosta lavata con acqua e sale. Spesso sulla crosta si formano anche delle "fioriture" di p. camemberti naturale che vengono dilavate con le periodiche spugnature (per questo è uno stracchino anche a crosta lavata come il "padre" taleggio).
Caratteristiche
Forma cilindrica (diametro 25 centimetri)
Scalzo 15-18 centimetri (ogni forma pesa circa 5–6 kg)
Crosta grigio-giallognola e rugosa, a volte fiorita (presenza naturale di muffa bianca sulla crosta se successivamente non spazzolata)
Pasta marmorizzata, di colore giallo paglierino, non uniforme per la presenza di macchie color nocciola, compatta e fondente nel sottocrosta
Venature di colore verde-bluastro, tendenti al grigio alla fine della stagionatura
Sapore deciso, erborinato (per la presenza delle muffe spontanee), dolce-piccante, strutturato e con aromi molto persistenti ed erbacei, con decisi accenni ammoniacali se molto stagionato
Metodo di conservazione
Stagionatura di almeno 75 giorni fino ai 3 mesi. La stagionatura avviene ancora in Val Taleggio. Forature sulle facce e sullo scalzo per favorire la produzione della muffa.

TOBLACHER STANGENKÄSE
Il Toblacher Stangenkäse è un formaggio semiduro di latte di mucca pastorizzato con crosta con una tipica forma rettangolare. La provincia autonoma di Bolzano lo ha fatto includere dal Ministero tra i prodotto agroalimentare tradizionale ed è prodotto a Dobbiaco in Val Pusteria. La pasta si presenta con piccole sfoglie. Il formaggio da taglio è di sapore dolce, ma gradevole. Rappresenta una produzione tipica della Latteria di Dobbiaco che è stata fondata nel 1883 ed è quindi una delle primissime di tutto l´Alto Adige. Il toblacher Stangenkaese nacque dalla necessità di produzione nei momenti di eccesso di latte, per la necessità di trovare un tipo di formaggio che si adattasse ad una stagionatura.

TOMA BRIGASCA DELLA VAL ROYA
Brigasca deriva da La Brigue, un paese francese della Val Roya noto per essere stato nei secoli passati il più importante centro di pastorizia di tutta l’area di confine tra Liguria, Piemonte e Provenza. La Brigue nel tempo è stata alternativamente francese, italiana e poi ancora francese ma, da sempre, qui si parla il brigasco, un dialetto compreso di qua e di là dalla frontiera, che discende dall’antica lingua d’Oc. La pecora Brigasca, ha avuto origine dallo stesso ceppo della Frabosana: il profilo montonino e, nei maschi, le corna a spirale rivolte all’indietro sono simili, solo la taglia è un po’ meno robusta. È un animale rustico, dotato di arti muscolosi e unghielli forti, scuri, adatti al pascolo in zone impervie. L’allevamento tradizionale prevede, infatti, un periodo di sette-otto mesi in alpeggio e di circa quattro mesi in bandia, la zona costiera dove il clima mite permette di mantenere il pascolo all’aperto anche nei mesi invernali. Con il suo latte si producono tre formaggi - la Sora, la Toma e il Brus -, ancora con tecniche e attrezzi legati alla tradizione millenaria della transumanza. La Sora viene prodotta esclusivamente con latte ovino proveniente dalla mungitura serale aggiunto a quello del mattino. Il latte è portato a 34° e addizionato di caglio liquido; dopo la coagulazione si rompe la cagliata con il rubatà, il classico spino in legno. La cagliata è lasciata depositare e poi raccolta con una tela grezza (raireura). Con questa tela si forma una sorta di fagotto, sul quale è depositata una grossa pietra. Dopo circa 12 ore, la massa è tolta dalla tela e tagliata in parti simmetriche. Trascorsi 15 giorni di maturazione, i formaggi vengono lavati con acqua corrente, asciugati e posti a stagionare in luogo fresco per un minimo di 60 giorni, su tavole di legno. Negli altri formaggi vi è un’aggiunta di latte caprino.

TOMA DEL MOTTARONE
La Toma del Mottarone è un formaggio prodotto nell'Alto Piemonte, nella zona del Mottarone.
La toma viene fatta stagionare negli alpeggi per un periodo compreso tra 2 e 3 mesi. Il colore finale è giallo paglierino e le forme hanno un peso di circa 4 chili.
La Toma del Mottarone viene ancora fatta stagionare in alcuni alpeggi sottostanti la vetta del Mottarone (alta 1491 m s.l.m.), come l'Alpe della Volpe con le antiche tecniche tradizionali.
Oltre che nell'Alpe della Volpe la Toma viene prodotta anche sul Monte Cornaggia, sul Monte del Falò e negli alpeggi circostanti e nella Valle dell'Agogna.
Vi sono poi una serie di caseifici ad Armeno, Ameno, nel Vergante e nella bassa Val d'Ossola che producono la Toma del Mottarone in maggiori quantità, destinandola agli esercizi commerciali di Piemonte e Lombardia.

TOMA DI BALME
toma di Balme
La Toma di Balme (in dialetto francoprovenzale toùma) è un formaggio italiano a base di latte vaccino che su grandi quantità può essere integrato con bassa percentuale di latte ovino o caprino. Viene prodotto in tutti gli alpeggi esistenti nel Comune di Balme (TO) tra i quali i più rilevanti sono posti nella zona della Coumba, del vallone Paschiét, del Pian della Mussa, di Pian Ciamarella.
La toma di Balme compare tra i 201 formaggi italiani ancora in produzione riconosciuti da Slow Food. Le sue forme hanno crosta liscia, sottile, di colore giallo paglierino o giallo oro se fresche; crosta ruvida, spessa, di colore fino al marrone scuro se stagionate. Hanno pasta compatta, elastica, con occhiatura diffusa e di colore fino al giallo intenso, a seconda della stagionatura. Le forme hanno facce piane, con un diametro di 20 – 40 cm. e uno spessore / peso: 8 – 20 cm / 3 – 12 kg.
La quantità maggiore della produzione riguarda la lavorazione con latte scremato, ma può avvenire anche con latte intero o parzialmente scremato. La tecnica di produzione è quella tipica della produzione in alpeggio. Rimane la stessa quando viene prodotta nel rimanente periodo dell’anno, quando gli animali sono trasferiti nel capoluogo e alimentati con fieno o con la prima erba della primavera.
Dopo la mungitura, il latte viene filtrato direttamente versandolo all’interno di grossi paioli di rame stagnati (li péiroeul) o di bacinelle (li bassìn) anch’esse in rame. A seconda della lavorazione che si vorrà fare, lo si lascerà riposare per qualche tempo, di solito 24 ore, oppure lo si utilizzerà immediatamente per fare il formaggio. In questo primo caso, la procedura sarà identica come per la normale produzione, ma invece di avere come materia prima il latte scremato, si avrà il latte intero. Questo sistema, quando non è frutto di una scelta precisa di caseificazione, in quanto non si ritiene di produrre burro o altri derivati, viene applicato generalmente con l’ultima mungitura prima di un trasferimento verso un altro alpeggio. Questo permette di sfruttare immediatamente tutto il latte a disposizione, non lasciandone altro da lavorare per i giorni successivi. Il formaggio così prodotto (touma dou lait mouss) risulterà più grasso e difficile da conservare, ma sarà anche migliore sotto il profilo organolettico. Non per niente le poche forme prodotte durante la stagione, non vengono di norma messe in vendita ma conservate dal margaro per il consumo proprio e della sua famiglia. La toma più diffusa e che troviamo in commercio è realizzata con latte scremato (lait sfiourà), il giorno successivo alla mungitura, mediante una spannarola in legno (lou cassul da fiù). La panna (la fiù) raccolta con cura e attenzione (cuì la fiù) verrà depositata all’interno di un secchio apposito in rame (la ramina da fiù), dotato di una scanalatura per facilitare il trasferimento nella zangola. Al momento opportuno, di solito al mattino presto o nel primo pomeriggio, il latte verrà trasferito con dei secchielli (sidjilìn) dai paioli all’interno del véilìn fino al locale dove verrà riscaldato, all’interno di un recipiente in rame più grande (la tchaoudèri) appeso ad un trespolo in legno (lou touòrn) mediante una catena (la tchéina). Quando l’operazione sarà terminata, il latte verrà riscaldato sul fuoco del camino, ricoperto con carta o con un apposito coperchio in legno, che impedisca di farvi cadere delle impurità (li rùngiou) fino ad una temperatura di 37° circa, verificata con un apposito termometro ad immersione, o più di frequente con il tatto, quindi vi verrà aggiunto del caglio (lou préiss), in proporzione alla quantità di latte. Dopo una rimescolata, si lascerà riposare il tutto, fino a quando in superficie non si sarà formato uno spesso strato di cagliata (la caià), fino a manifestarsi sufficientemente consistente alla pressione. Si procederà quindi a frantumarla con uno spino di legno (lou tarìss ) spezzettandola minuziosamente (la touma tchalà). Dopo un ulteriore attesa, durante la quale la cagliata si depositerà sul fondo del paiolo, il casaro immergerà nel latticello una tela di canapa quadrata (la réirola) e fattala passare al di sotto della cagliata, la estrarrà avendo cura di trattenere i quattro estremi. Con le mani frantumerà ancora i pezzi di cagliata più grandi, impastando poi il tutto con sale grosso. Riavvolgerà quindi la réirola intorno all’impasto conferendovi una forma cilindrica, quindi la metterà a scolare su un ripiano, di pietra o legno fornito di apposite scanalature di scolo ai lati (la piloira). In qualche caso il fardello viene deposto all’interno di un contenitore bucherellato (la fàsséla) che favorisce la scolatura e conferisce una forma regolare al formaggio. In questo caso si può caricare sulla sommità della forma un peso (pietre) che facilita l’espulsione del latticello rimasto. Il siero residuo (la léità), se non utilizzato per fabbricare la ricotta, sarà dato agli animali. Per la fabbricazione della toma, per ogni 10 litri di latte scremato, si otterrà circa un chilo di formaggio alla media stagionatura. A grosse quantità di latte vaccino, si potrà aggiungere anche una modica quantità di latte di capra o pecora. Per andare incontro alle esigenze dei consumatori, si aggiunge talvolta su precisa richiesta, nella fase di lavorazione, del pepe in grani, oppure dei frammenti di peperoncino o dei rametti di timo serpillo (pouérioeul).
La forma di toma, una volta lasciata a scolare sulla pilòira, dopo uno - due giorni, verrà liberata dalla tela di canapa che la avvolge e portata nel locale di conservazione, appoggiata su una tavola di legno scanalata (la sàloira). Se il sale non sarà stato messo nell’impasto durante la lavorazione, si metterà del sale grosso da cucina sulla superficie superiore della forma, avendo cura a giorni alterni di girarla e ripetere l’operazione, dopo aver lavato il formaggio con acqua e sale, in modo da favorire la formazione della crosta e la riduzione delle muffe. Le tome saranno così conservate in una cantina semi interrata (la cròta da touma) dove il giusto grado di umidità e di temperatura ne favorirà la corretta maturazione, per un periodo che potrà variare a seconda dei gusti e delle esigenze di mercato. Molto apprezzata è anche la toma (touma dou lait brusc) che, accidentalmente (a causa di temperature ambientali elevate) o per scelta precisa, viene realizzata con latte leggermente inacidito. Questo formaggio, dopo una lunga maturazione, presenterà una pasta molto compatta e delle venature verdognole, dovute alle muffe formatesi all’interno. Le forme potranno avere un peso variabile tra i 3 e i 12 chili, una pasta compatta ed elastica di colore giallo più o meno intenso, a seconda della stagionatura, con occhiature diffuse. La crosta sarà liscia, sottile e giallognola nel breve periodo, per divenire ruvida, spessa e di color marrone col prolungarsi della conservazione.
La zona di produzione comprende esclusivamente il territorio del Comune di Balme Piemonte.
La Toma di Balme costituisce l'ingrediente essenziale per la preparazione di due piatti tipici del territorio: la polenta counsa (concia) e il risotto alla balmese. Per fare risaltare il gusto del formaggio è consigliato accompagnarlo con un vino rosso.

TOMA DI GRESSONEY
La Toma di Gressoney (in francese Tomme de Gressoney, in lingua walser Kesch) è un formaggio da alpeggio (anche sopra i 2200 metri), quindi prodotto soltanto nei mesi estivi. È riconosciuta come P.A.T. della Valle d'Aosta.
Area
Esclusivamente Gressoney-Saint-Jean e Gressoney-La-Trinité, nella Regione Valle d'Aosta
Descrizione del prodotto
È una classica toma delle Alpi a pasta cruda modellata in forme leggermente più piccole e più alte di scalzo. La tecnica è quella tipica di un formaggio semigrasso: il latte crudo della sera è lasciato riposare per 24 ore e poi scremato per affioramento. Quello del mattino subisce una lieve scrematura dopo 12 ore di sosta e viene miscelato al precedente. Poi si riscalda a 35 °C, si aggiunge caglio liquido di vitello e si lascia coagulare. Si procede quindi alla rottura fine della cagliata che, una volta estratta, si colloca in fascere di legno e si sala, generalmente a secco.
La Toma di Gressoney ha forma tonda: l'altezza dello scalzo varia dai 5 ai 12 centimetri, il diametro delle facce va dai 20 ai 30 centimetri e il peso dai 3 ai 5 chilogrammi. La crosta lavata è liscia, leggermente untuosa e ha un colore che, a seconda della stagionatura, va dal rossiccio al grigio-marrone. La pasta è leggermente occhiata e di colore giallo paglierino.
Tenera è buona, ma diventa eccellente dopo un anno e, d'altra parte, la sua tecnica di lavorazione è quella tipica dei formaggi a lunga stagionatura. Tuttavia, per ragioni logistiche e di comodità, oggi si tende a venderla fresca. Vi è il tentativo di ritornare ad un affinamento prolungato, che era tradizionale nella valle.
Qualità organolettiche
La Toma di Gressoney di almeno tre mesi ha buoni profumi di muschio e di fungo, in bocca sentori di pepe e vaniglia e un finale che ricorda il Parmigiano. La sua stagionatura ideale è molto lunga: anche un anno e mezzo.

TOMA DI MENDATICA
In un paese splendido, Mendatica troviamo un formaggio eccellente: la toma. Siamo nell’Alta valle Arroscia, ma questo formaggio lo troviamo anche altre valli dell'imperiese (dall'alta val Roja all'alta valle Impero)
Il nome toma è comune a molti formaggi diffusi nell'Italia nord-occidentale e nelle zone limitrofe della vicina Francia. Nulla sappiamo di certo sull'origine del nome la cui presunta etimologia si fa derivare dal provenzale toumo, formella e troverebbe un riscontro negli appositi stampi in cui si pone la cagliata. Oppure, ipotesi meno accreditata, deriverebbe da un latino tardo, toma, traduzione dal greco tsmhó, taglio, presumibilmente per l'operazione di rottura del coagulo per favorire lo spurgo e la divisione del siero.
Toma di Mendatica, formaggio di latte vaccino o misto (vaccino e ovino); forma cilindrica o anche rettangolare; diametro compreso tra cm 15 e cm 45; altezza dello scalzo cm 6-10; pasta di colore bianco, tendente al giallo pallido se più stagionato; consistenza morbida; occhiatura minuta od assente. Crosta poco spessa (2-3 mm), liscia ed elastica di colore paglierino o bruno rossiccio secondo la stagionatura. Peso della toma variabile da kg 0,8 a Kg 7. Sapore dolce, più saporito se stagionato.
Lavorazione: Prodotto con latte misto vaccino e ovino.
La percentuale d'utilizzo delle due diverse tipologie di latte varia secondo la stagione: in inverno può essere prodotto solo a base di latte vaccino, in primavera misto o prevalentemente di pecora.
Il latte di una o due mungiture viene lavorato, portandolo ad una temperatura compresa tra i 34-37°C e aggiungendo il caglio (generalmente quello di vitello, liquido). Dopo aver lasciato riposare il tutto per circa 40 minuti, si esegue la rottura della cagliata, fino ad una dimensione detta a chicco di riso. La massa così ottenuta viene posta in fascere o semplicemente deposta su canovacci di tela e dopo una prima pressatura che dura dalle 3 alle 24 ore per allontanare quanto più possibile il siero, il formaggio subisce più rivoltate. Si procede quindi alla salatura tradizionale a secco con sale grosso o in salamoia. Viene consumato fresco o semi stagionato. Il tempo di maturazione varia dai 5 ai 40 giorni e avviene in locali freschi, areati, con temperatura tra i 12° e i 15° C.
La toma è perfetta per accompagnare la frandura, una sorta di polpettone di patate.

TOMA PIEMONTESE
La toma piemontese (DOP) è un formaggio italiano a denominazione di origine protetta.
Prodotto in Piemonte, in luoghi alti, tra vallate e monti, per poi estendersi alla pianura. Fatto con latte di vacca, la stagionatura varia dai 20 ai 45 giorni, a seconda del formato.
Il formaggio si presenta in forme circolari con facce piane con diametro compreso tra 15- 35 cm e uno scalzo variabile tra i 6 - 12 cm; anche il peso di ciascuna forma, di conseguenza, risulta essere molto variabile e compreso tra i 1,8 kg e 8 kg.
La stagionatura avviene in ambienti idonei con una umidità di circa l'85% e temperatura oscillante tra i 6° e i 10°, durante questa fase i formaggi sono rivoltati più volte. La durata minima di questo periodo è di sessanta giorni per le forme di peso superiore a 6 kg e di quindici giorni per le forme di peso inferiore.
La zona di provenienza del latte, di trasformazione di elaborazione del formaggio "Toma Piemontese" comprende il territorio amministrativo delle province di Novara, Vercelli, Biella, Torino e Cuneo (il cuore della produzione nel saluzzese, in particolare nel comune di Barge), nonché dei comuni di Acqui Terme, Terzo, Bistagno, Ponti e Denice in provincia di Alessandria e di Monastero Bormida, Roccaverano, Mombaldone, Olmo Gentile e Serole, in provincia di Asti.

TUMAZZU DI VACCA
Il Tumazzu di vacca o Fiore sicano, spesso in siciliano semplicemente tumazzu o tuma, è un formaggio e prodotto tipico Siciliano. Rientra nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) stilato dal ministero delle politiche agricole e forestali (Mipaaf).
Il Tumazzu è prodotto sia con latte vaccino che con un misto di latte vaccino e ovino. In questo caso viene detto anche (in siciliano) tipo piecora. Il latte viene portato a 35 gradi prima di aggiungervi il quagghiu (caglio in pasta di capretto o agnello). Dopo la rottura della cagliata si procede alla spurgatura e messa in forma. Infine le forme sono immerse nel siero a 85 gradi per circa due ore. Quest'ultima operazione è tipica della produzione del Tumazzu. La stagionatura, che varia da 3 a 18 mesi avviene in ambiente fresco e buio. Le forme vanno girate ogni cinque giorni circa e strofinate con uno straccio umido di acqua e sale. Periodicamente le forme sono unte con olio, talvolta mescolato ad aceto. La forma ha un diametro di cm. 30 ed è alta cm. 20. Il suo peso varia fra i kg. 5 e kg. 20. La sua crosta è ruvida mentre all'interno la pasta è di una colore giallo che si scurisce con l'allungarsi della stagionatura. Viene spesso preparato aggiungendo il peperoncino o il pepe, in questo caso viene chiamato in siciliano Tumazzu di vacca ccu pipi (Tumazzu di vacca col pepe). Il Tumazzu viene prodotto nei comuni di Bivona, Cammarata, Santo Stefano Quisquina in provincia di Agrigento e Castronovo di Sicilia, Palazzo Adriano e Prizzi in provincia di Palermo.

VALLE D'AOSTA FROMADZO
Il Vallée d'Aoste Fromadzo o Valle d'Aosta Fromadzo è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta (DOP).
È prodotto con latte di vacca proveniente da almeno due mungiture, eventualmente addizionato con percentuali minime di latte caprino, derivato da allevamenti ubicati nella Valle d'Aosta e ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative all'allevamento e al processo di ottenimento, in quanto rispondenti allo standard produttivo seguente che individua due distinte tipologie:
a) l'alimentazione delle bovine da cui deriva il latte deve essere costituita prevalentemente da foraggi locali freschi o affienati;
b) per il formaggio di tipologia semi-grassa il latte viene rilasciato riposare in relazione alle condizioni ambientali per un periodo variabile da 12 a 24 ore. Per il formaggio di tipologia a basso contenuto di grasso il latte viene lasciato riposare, sempre in relazione alle condizioni ambientali, per un periodo variabile da 24 a 36 ore. Il latte deve essere quindi coagulato ad una temperatura di 34-36 °C sfruttando lo sviluppo spontaneo della microflora casearia con l'eventuale inoculo di fermenti lattici naturali ed autoctoni della zona di produzione;
c) la coagulazione è ottenuta con l'uso di caglio naturale. Segue la rottura della cagliata con innalzamento della temperatura fino a un massimo di 45 °C. La massa caseosa collocata in fuscelle, localmente chiamate "féitchie", può essere sottoposta ad una leggera pressatura cui segue il rivoltamento effettuato 3-4 volte nelle 24 ore. La salatura si attua a secco o in salamoia; la salatura a secco avviene inizialmente a giorni alterni per diradarsi progressivamente nel tempo in un periodo complessivo di 20-30 giorni. La pulitura della forma si effettua per mezzo di un panno imbevuto in una soluzione di acqua e sale. La maturazione avviene in locali appositi ad una temperatura di 8-14 °C e con umidità relativa non inferiore al 60%. Il periodo di stagionatura varia da un minimo di 60 giorni fino ad un massimo di 8-10 mesi; il prodotto a breve stagionatura è utilizzato da tavola mentre quello a prolungata stagionatura viene talora consumato previo grattugiamento. Il formaggio può essere aromatizzato mediante l'aggiunta nella lavorazione di semi o parti di piante aromatiche;
La zona di produzione comprende l'intera Regione autonoma della Valle d'Aosta.
Il Fromadzo è prodotto con latte di vacca delle razze Valdostana Pezzata Rossa e Valdostana Pezzata Nera e a volte è aggiunto una piccola percentuale di latte di capra. Ha un sapore caratteristico fragrante e semi dolce se fresco e leggermente sapido e quasi piccante se stagionato. Inoltre può essere aromatizzato con bacche di ginepro, semi di cumino o di finocchio selvatico. Il peso può variare da 1 a 7 chili e la stagionatura da 2 a 14 mesi. La materia grassa presente può essere da un minimo del meno del 20% a un massimo del 35%.

VALTELLINA CASERA
Il Valtellina Casera è un formaggio a Denominazione di Origine Protetta (DOP) che ha ottenuto il riconoscimento in sede europea con il regolamento (CE) n. 1263/1996. È un formaggio semigrasso, a pasta semicotta e semidura, prodotto lavorando il latte vaccino proveniente esclusivamente dagli allevamenti della provincia di Sondrio che viene parzialmente scremato prima di essere lavorato nei caseifici locali. Il sapore del Valtellina Casera giovane si sposa con il grano saraceno per dar vita ai piatti della tradizione valtellinese, i pizzoccheri e gli sciatt. Con il prolungarsi della stagionatura, il sapore si fa più ricco con note di frutta secca e profumi di foraggi affienati
Le sue origini risalgono al 1500 quando nelle latterie turnarie e sociali di paese diffuse nel territorio della provincia di Sondrio più allevatori univano il loro latte per effettuare una lavorazione collettiva costituendo una forma di risparmio e dando inizio alla produzione di un formaggio semigrasso che sarebbe poi diventato il Valtellina Casera DOP. Questo formaggio, un tempo prodotto solo d’inverno e in primavera è attualmente prodotto nell’intero arco dell’anno. Il sistema stagionale di allevamento adottato sin dall'antichità nelle regioni alpine, prevedeva in base all'andamento stagionale, il progressivo spostamento del bestiame dai prati di fondovalle, che venivano sfruttati nella stagione fredda con l'utilizzo delle scorte di fieno, verso i pascoli d’alta quota. Queste modalità hanno dato origine alla produzione alternata di diversi tipi di formaggio: un formaggio grasso d’alpe dell’estate e in inverno un formaggio semigrasso di latteria. Nel dialetto valtellinese il termine casèra indica la latteria dove si lavorano i formaggi e il burro, oltre che la cantina dove i formaggi vengono lasciati a stagionare. Tradizionalmente il latte della sera era messo a riposare in locali freschi e scremato il mattino successivo. Il latte della mungitura mattutina veniva poi aggiunto, intero, a quello più magro della sera e insieme venivano trasformati in Valtellina Casera. In questo modo era possibile produrre al contempo un formaggio relativamente ricco e un alimento estremamente pregiato come il burro, per lo più destinato alla vendita come il formaggio grasso, per ricavare il denaro necessario all’acquisto di prodotti altrimenti non disponibili.
Zona di produzione
Il Valtellina Casera è prodotto con latte vaccino proveniente dagli allevamenti della provincia di Sondrio che viene lavorato nei caseifici dislocati sul territorio.
Processo di produzione
L’alimentazione delle bovine da cui deriva il latte deve essere costituita prevalentemente da foraggio proveniente dall’area di produzione. Il latte di due o più mungiture viene parzialmente scremato (per affioramento o con centrifuga) prima di essere sottoposto a coagulazione, ottenuta con l’uso di caglio di vitello. La rottura del coagulo avviene fino a quando i grumi hanno la grandezza di chicchi di mais e la successiva cottura ad una temperatura compresa tra i 40 e i 45 °C. Una volta estratta, la pasta viene posta nelle apposite fascere marchianti che riportano, ripetuta più volte, la scritta Valtellina Casera preceduta da una forma di formaggio stilizzata. Seguono la salatura (a secco o in salamoia) e la stagionatura che avviene nelle tradizionali “casere” o in adeguate strutture (ad una temperatura di 6-13 °C e umidità relativa non inferiore all’80%) e che si protrae per almeno 70 giorni.
Caratteristiche principali
forma cilindrica, regolare, con facce piane di diametro tra 30-45 centimetri
scalzo diritto di 8-10 centimetri di altezza
peso 7-12 chili
pasta di media consistenza, elastica, con occhiatura sparsa e tendenzialmente fine, di colore variabile dal bianco al giallo paglierino secondo il periodo di produzione e della stagionatura,crosta sottile ma consistente, sapore dolce, delicato con una nota di frutta secca, diventa più intenso con il procedere della stagionatura
grasso sulla sostanza secca non inferiore al 34%
umidità media a 70 giorni pari al 41%
Identificazione
Esiste un duplice sistema di marchiatura a garanzia del consumatore:
la marchiatura all’origine: apposta in bassorilievo dal produttore mediante fascera marchiante che riporta, oltre alla scritta “Valtellina Casera”, il numero identificativo del produttore, il bollo CE del caseificio e la data di produzione (giorno e mese o settimana e anno)
la marchiatura di qualità: viene apposta a fuoco dal Consorzio di Tutela solo sulle forme che risultano conformi al Disciplinare e che hanno almeno 70 giorni; tale marchio rappresenta figurativamente una forma di formaggio stilizzata da cui una “V” aperta separa uno spicchio che rappresenta la caratteristica fetta di formaggio.
Entrambi i marchi sono sullo scalzo della forma. Sulle forme intere può essere apposto, su una delle due facce, un disco cartaceo. Le forme sono successivamente inserite nel circuito commerciale. Il prodotto è commercializzato in forme intere o a porzioni, fresco o stagionato.
Denominazione di Origine Protetta
Il Valtellina Casera è stato riconosciuto denominazione d’origine con il Decreto Ministeriale del 19 aprile 1995 e DOP in sede europea con il regolamento (CE) n. 1263/1996. Alla tutela del Valtellina Casera DOP provvede un Consorzio che rappresenta anche il Bitto DOP. Il Consorzio di Tutela dei Formaggi Valtellina Casera e Bitto (C.T.C.B.) è stato fondato nell’ottobre 1995 per difendere l’unicità dei formaggi DOP tutelandoli da qualsiasi imitazione e per promuoverli sul mercato nazionale e internazionale Il Consorzio, inoltre, assicura ai produttori assistenza tecnica ed esercita un'attenta vigilanza sulla produzione e il commercio dei formaggi a marchio DOP della Valtellina, garantendo ai consumatori la qualità e la provenienza.

VASTEDDA DELLA VALLE DEL BELICE
La Vastedda della Valle del Belice è un formaggio di latte di pecora a pasta filata, ottenuto con latte ovino intero, crudo, ad acidità naturale di fermentazione, di pecore di razza Valle del Belice e suoi incroci. Va consumato fresco (dopo almeno tre giorni dalla produzione). Viene prodotto tipicamente nella stagione estiva. È l'unico formaggio italiano di pecora a pasta filata.
Le prime notizie di questo particolare formaggio si hanno dalla metà del XV secolo. In un documento d'archivio del 1497 il viceré di Sicilia cita tra gli altri formaggi del Belice la "vastedda". Si ottiene dal latte ovino intero, ad acidità naturale di fermentazione, di una particolare razza, la pecora belicina, un incrocio tra la comisana e la sarda, allevata in quella zona. Formaggio estivo, si produce da maggio a ottobre. Il nome deriva dal dialetto “vastata” cioè guasta, andata a male. L’idea fu infatti quella di rilavorare i pecorini mal riusciti facendoli filare ad alta temperatura e producendo questo formaggio a forma ovoidale da consumare fresco, entro due o tre giorni.
L'aspetto tipico è la sua forma, simile a quella di una focaccina, comunque ovoidale schiacciata. Tale forma in Sicilia è detta vastedda o vastella e dà il nome anche a un tipo di pane siciliano e ad un altro formaggio: la vastedda palermitana (PAT).
Le dimensioni del diametro del piatto sono comprese tra i 15 e i 17 cm e l’altezza dello scalzo tra i 3 e i 4 cm. Date queste dimensioni il suo peso è compreso tra 500 e 700 gr. La superficie si presenta priva di crosta liscia e di colore bianco avorio. La pasta di colore bianco, liscia e non granulosa talvolta presenta accenni di striature dovute alla filatura artigianale. Vi sono a volte scarse tracce di occhiature, non vi è alcuna trasudazione. Il sapore è quello caratteristico del latte fresco di pecora: fresco gradevole e lievemente acidulo. La percentuale di grasso non deve essere inferiore al 35% sulla sostanza secca ed al 18% sul prodotto fresco, la percentuale di cloruro di sodio (sale) non deve superare il 5 % sulla sostanza secca ed al 2,7 % sul fresco. La produzione è ammessa dal disciplinare solo in 17 comuni della Valle del Belice.