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martedì 3 gennaio 2023

Corso di materie prime tipiche del food: Lezione 8 PASTA

AGNOLOTTI PAVESI

Gli agnolotti pavesi (in dialetto pavese agnolot, agnulot o agnuloti) sono un tipo di pasta ripiena tipica della Lombardia meridionale. La ricetta di questa pasta ripiena ha subito l’influenza della cucina piemontese (per la tipologia, analoga agli agnolotti piemontesi) e di quella piacentina (per il ripieno, simile a quello degli anolini, che deriva da carne stracotta, lo stufato). Le cucine citate sono infatti caratteristiche di aree che sono confinanti con l'Oltrepò Pavese, cioè con la zona dove questa pasta ripiena è molto diffusa.
L'origine del nome è incerta: la tradizione popolare identifica in un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelot la formulazione della ricetta; in seguito la specialità di Angelot sarebbe diventata l'attuale agnolotto.
Possono essere serviti asciutti, con il condimento preparato con lo stufato, oppure in brodo d'oca.
È un piatto tipico della tradizione natalizia

AGNOLOTTI PIEMONTESI

Gli agnolotti piemontesi o più semplicemente agnolotti sono una specialità di pasta ripiena tradizionale del Piemonte, e in particolare, della zona del Monferrato, nelle province di Alessandria e Asti, ma diffusa in tutta la regione. Esistono varianti degli agnolotti, tra cui gli agnolotti pavesi, che si differenziano per il ripieno a base di stufato.
L'origine del nome è incerta: la tradizione popolare identifica in un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelot, la formulazione della ricetta; in seguito la specialità di Angelot sarebbe diventata l'attuale Agnolotto. Un'altra teoria più moderna fa derivare il nome dal dialetto piemontese 'anulòt' che nient'altro era che un ferro adoperato per tagliare questa pasta a forma di anello, che a detta di alcuni era appunto la forma primitiva che assunsero gli agnolotti.
La forma tradizionale è quadrata, con il ripieno racchiuso da due sfoglie di pasta all'uovo. La caratteristica principale dell'agnolotto piemontese rispetto alle altre specialità di pasta ripiena del resto d'Italia è l'utilizzo di carne arrosto per il ripieno.
Caratteristici della zona delle Langhe e del Monferrato sono gli agnolotti del plin o agnolotti al plin, di piccole dimensioni e forma perlopiù rettangolare (il termine deriva appunto dal 'plin', ovvero il pizzicotto che viene dato per chiuderlo).
Unici in tutto il Piemonte, e tipici del paese di Calliano in provincia di Asti, sono gli agnolotti d'asino, che si caratterizzano, a differenza di quelli standard, per avere il ripieno di carne d'asino.
Sia gli agnolotti piemontesi che gli agnolotti del plin sono inseriti nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani, stilato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e quindi tutelati secondo un disciplinare della Regione Piemonte. Pur potendo essere cucinati in diversi modi, sono quattro le ricette tradizionali:
  • con sugo di carne arrosto.
  • con burro, salvia e Grana Padano o Parmigiano Reggiano.
  • con ragù di carne alla piemontese.
  • in brodo di carne.
La ricetta classica non prevede la creazione di agnolotti piemontesi di magro: nel raro caso vengano prodotti, sono comunque denominati ravioli; allo stesso modo sono denominati ravioli gli agnolotti piemontesi contenenti un ripieno a base di fontina, comuni nel Canavese e nella Valle d'Aosta.
L'agnolotto è un piatto classico della cucina popolare piemontese: è infatti consuetudine utilizzare per il ripieno gli avanzi di arrosto dei giorni precedenti, triturati e mescolati fra loro, insieme a verdure, riso o altri ingredienti. Considerando questa origine risulta improprio parlare di una ricetta tradizionale per il ripieno, in quanto questo variava in relazione agli avanzi a disposizione; il fatto che questa sia da considerare l'origine più genuina dell'agnolotto è attestata dall'utilizzo del sugo di arrosto per il condimento: questa ricetta infatti prevede di riutilizzare non solo la carne avanzata, ma anche l'intingolo dell'arrosto, coerentemente con la tradizione contadina che prevede di evitare ogni spreco.

ANELLETTI SICILIANI
Notizie storiche riportano che nel 1154 il geografo arabo Al-Idrisi riferisce nel suo Libro di Ruggero, relativamente alla produzione di “tryia” ("antenati” degli spaghetti) a Trabia, centro poco distante da Palermo. Questa si considera la prima testimonianza scritta sulla produzione di pasta secca che dalla Sicilia si sarebbe poi diffusa in tutta l'Italia. Tra i tanti formati di pasta diffusi sull'isola, il più celebre sono sicuramente gli anelletti, piccoli anelli di pasta di semola di grano duro che, grazie alla sua caratteristica forma che ricorda quella degli orecchini delle antiche donne africane, raccoglie una grande quantità di condimento. E' ideale per la preparazione di timballi e pasticci da forno.

ANOLINI PIACENTINI
Gli anolini sono una tipologia di pasta all'uovo ripiena originaria della Provincia di Piacenza (in piacentino “anvëin“ o “anvén“) e comunemente diffusa anche in quella di Parma (in parmigiano anolén). Esiste una variante della provincia di Cremona nota come marubini (o "marubén" in cremonese, nome comunemente utilizzato anche nella pianura nord-orientale piacentina).
È un piatto con radici antiche, già conosciuto e menzionato dal famoso cuoco rinascimentale Bartolomeo Scappi nel 1500, tramandato di generazione in generazione nelle famiglie. La tradizione piacentina vuole che durante la Vigilia di Natale la famiglia si riunisca per la preparazione degli anolini di Natale (o "anvëin d' Nadäl" come sono definiti nel Piacentino).
Il piatto è ricco ed elaborato, come del resto molti piatti proposti nelle festività importanti, ma l'insieme degli ingredienti ne fa un piatto raffinato.
Generalmente nel Piacentino il ripieno è composto da una base di stracotto di manzo, che ha sostituito la carne di cavallo e maiale usata in passato. Terminata la cottura, la carne va tritata finemente assieme alle verdure del fondo di cottura, aggiungendovi Grana Padano e noce moscata. La ricetta prevede per la cottura dell'ottimo brodo, meglio se di cappone. In Val d'Arda è invece diffusa un'altra variante, il cui ripieno è composto esclusivamente da Grana Padano molto stagionato e pane grattugiato.
A quest'ultima preparazione è affine quella della zona di Fidenza (PR) e della Bassa parmense, dove il ripieno si prepara solo con pane grattugiato scottato con ottimo brodo, sale, noce moscata, uova e Parmigiano-Reggiano stravecchio. A Parma e dintorni è invece d'obbligo la presenza della carne che può essere di manzo, maiale, d'asino e/o cavallo, (o una combinazione delle precedenti a seconda della tradizione della famiglia), accompagnata da Parmigiano-Reggiano e aromi vari. Nel Parmense sono popolarmente e scherzosamente soprannominati "salvagenti" o "galleggianti".
Su proposta della Regione Emilia-Romagna il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha riconosciuto gli anolini come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani tipico della provincia di Piacenza. I marubini sono riconosciuti P.A.T. su proposta della Regione Lombardia.
La ricetta della Val d'Arda è tutelata con il marchio De.Co. dal comune di Fiorenzuola d'Arda.

BATTOLLI LIGURI

acqua,
farina di grano,
farina di castagne,
sale.
pesto,
navoni,
patate.
Si prepara l'impasto. Si uniscono le farine con un po' d'acqua ed un po' di sale. Poi si prepara la sfoglia e la si taglia in lunghe striscioline, tipo tagliatelle, della larghezza di circa 4 mm.
Una volta fatti, si lasciano asciugare sulla madia e poi si cuociono per 2 minuti, in acqua portata ad ebollizione e salata, od anche in latte.
Vengono conditi con il pesto, patate tagliate a pezzetti e i navoni.
Si possono accompagnare con un buon vino bianco come per esempio il Golfo del Tigullio Bianchetta Genovese.
Il comune di Uscio (GE) ha fatto richiesta per la De.Co.
I battolli caiegue sono un primo piatto, fatto con un tipo di pasta tipico della cucina ligure, prodotta nel levante ligure, in particolare nella Valle Fontanabuona e nel comune di Uscio.
Appartiene alla cucina povera della cucina ligure. I battolli nascono dall'utilizzo delle risorse presenti nella zona e nella campagna. In questo caso la castagna da cui viene ricavata la farina di castagne e le coltivazioni locali quali grano, patate, basilico, e navoni nauìn che sono rape bianche, utilizzate anche come alimento per il bestiame.

BAVETTE LIGURI
Chiamata anche trenetta o linguina, la bavetta è un tipo pasta utilizzato tradizionalmente a Genova, suo luogo di origine, e in Liguria, del tipo delle paste lunghe a sezione rettangolare, leggermente convessa, simile ad uno spaghetto schiacciato.
Sono preparate con il tradizionale condimento al pesto, o con condimenti a base di verdure e pesce.

BIGOLI VENETI
I Bigoli sono una pasta lunga, simile ad un grosso spaghetto, di origine veneta, diffusi in tutta la regione e anche nella Lombardia Orientale.
Nella ricetta originale sono preparati con grano tenero, acqua e sale.
La principale caratteristica di questa pasta è la sua ruvidità, che le consente di trattenere sughi e condimenti; questa sua peculiarità le viene donata dal tipo di preparazione a trafila che impiega torchi a forma tradizionale e originariamente azionato a mano.
Esistono alcune varianti di questa pasta che si ottengono variando il tipo di farina (usando la farina saracena si ottengono i bigoli scuri) o aggiungendo l'uovo nell'impasto.
I bigoli vengono conditi con sughi tradizionali, in particolare con ragù d'anatra, o serviti in salsa o con le sardine o sardelle (bigoli co le sardele).
Ogni anno l'ultima settimana di aprile si tiene a Limena (PD) la cosiddetta "festa dei bigoi al torcio". Tutti i sabati e le domeniche di Maggio si tiene la festa dei bigoli a Rovolon (PD) in località Carbonara. Il terzo fine settimana di Maggio si tiene la festa anche ad Abano Terme in località Monterosso.

BUCATINI LAZIALI
I bucatini sono un tipo di pasta lunga simili a dei grossi spaghetti forati, tipici della città di Roma che li abbina a condimenti forti e semplici (cacio e pepe, amatriciana, carbonara). È una pasta di semola di grano duro. I tempi di cottura sono più o meno gli stessi degli spaghetti perché, anche se sono più grossi, dal foro centrale passa l'acqua (durante la cottura) che ne permette una cottura abbastanza veloce.
Il condimento per eccellenza di questo formato di pasta è all'amatriciana: un sugo a base di guanciale (o pancetta) e pomodoro.

CACCAVELLE CAMPANE DI GRAGNANO
Le caccavelle (pentole in napoletano) sono un tipo di pasta particolare prodotto dagli artigiani pastai di Gragnano, in provincia di Napoli.
Con 50 grammi per pezzo, 9 cm di diametro e 6 di altezza, la caccavella è la pasta più grande del mondo. E grazie alla sua forma la caccavella è ideale per essere farcita in tantissimi modi diversi principalmente a base di salsa di pomodoro, mozzarella, carne trita e ricotta: e una delle ricette più tipiche della Campania sono le caccavelle alla sorrentina.
Solitamente, le caccavelle sono cotte e servite in terrine di terracotta invetriata o pentoline in rame.

CAPPELLACCIO FERRARASE
I cappellacci di zucca o cappellacci estensi sono una tipica ricetta culinaria ferrarese la cui caratteristica principale è avere un ripieno di zucca.
Nel 2016 viene riconosciuto come prodotto I.G.P. nella categoria pasta fresca a Ferrara il cappellaccio da zucca, con una dimensione che può variare tra i 4 e 7 cm e un peso fra 10 e 28gr riceve la certificazione di qualità inserendosi al 43° posto della classifica dei prodotti tipici della regione Emilia Romagna.
I cappellacci di zucca ferraresi si contraddistinguono da altri tipi di pasta fresca ripiena per la loro forma tondeggiata e ripiegata, questi ricordano infatti un antico cappello di paglia utilizzato dai contadini nelle campagne ferraresi. Per la preparazione della pasta sfoglia vengono utilizzati due semplici ingredienti: farina e uova. Il prodotto dopo essere stato amalgamato viene tirato con un mattarello o con una impastatrice elettrica ottenendo una sfoglia dello spessore ideale per poter inserire il ripieno ed essere richiuso nella famosa forma a cappello.
All’interno della sfoglia viene inserito quello che si può definire il cuore del cappellaccio. Dalla consistenza media tendete al morbido l’impasto crea un contrasto fra il gusto dolce della zucca e quello salato del formaggio uniti al pangrattato e all’aroma della noce moscata. La zucca una volta cotta al forno viene fatta raffreddare e successivamente la polpa passata al setaccio per eliminare eventuali filamenti.
A Ferrara il cappellaccio è uno dei piatti più famosi, da sempre uno degli argomenti che comporta maggiore discussione è il condimento: meglio con il tradizionale ragù di carne oppure la più semplice e leggera versione burro e salvia? A questa domanda non è possibile dare una risposta infatti entrambe le versioni sono molto gustose. Da una parte possiamo gustare i nostri cappellacci con il classico ragù di carne, condimento corposo, ricco di sapori che si sposa perfettamente con il gusto agro-dolce del nostro ripieno. Dall’altra parte i cappellacci burro e salvia sono una prelibata versione facile da realizzare il cui scopo a differenza della precedente versione è fare risaltare il gusto della zucca e delle spezie, il tutto servito con una bella spolverata di parmigiano reggiano.
I cappellacci essendo una pasta fresca con ripieno vanno fatti cuocere in abbondante acqua salata. Una volta raggiunto il punto di ebollizione cuocere per circa 5 minuti. Per evitare di rompere i cappellacci è consigliato usare un mestolo forato e servirli direttamente nei piatti insieme al condimento. 
Da settembre in poi è facile trovare nel territorio ferrarese sagre o fiere dedicate al cappellaccio di zucca I.G.P. tra le quali la sagra di Pontelangorino e quella si San Carlo. In queste giornate è possibile infatti assaggiare il tipico piatto ferrarese impastato e realizzato da abili sfogline e proposto nella tradizionale ricetta insieme ad altri tipi di varianti, fra le più famose e degne di nota troviamo i cappellacci con tartufo e quelli con noci e marsala.

CAVATI RAGUSANI
I cavati sono uno dei primi piatti più tipici del ragusano. Sono un tipo di pasta corta ottenuti con la stessa pasta dei ravioli. Ravioli e cavatelli sono spesso consumati insieme conditi con il sugo di maiale. Questo sugo (a sarsa o u sugu) si ottiene mediante una lenta cottura di carne di maiale, salsiccia ragusana, cotenna, cotti con strattu (passata di pomodoro essiccata al sole) e passata di pomodoro.

CANNELLONI MARCHIGIANI
I Cannelloni sono un formato di pasta di forma cilindrica.
Il prodotto viene solitamente consumato con un ripieno salato che può includere il formaggio, ricotta, spinaci e carni macinate. È poi coperto con un sugo di pomodoro classico e o con salsa besciamella e cotti al forno. Nelle Marche i cannelloni sono un formato di pasta fresca all'uovo. Il ripieno tipico è costituito da un impasto di carne macinata e la cottura è sempre al forno.
Questo tipo di pasta viene commercializzato sia nella versione precotta sia nella versione che necessita una lessatura prima di essere riempito. Le dimensioni sono approssimativamente di 8 - 10 cm di lunghezza e circa 2 di diametro.

CAPPELLETTI LAZIALI CON CARCIOFI E GRANA
1 limone
80 grammi noce gherigli
1.2 chilogrammo cappelletti
q.b. pepe
2 spicchi aglio
100 grammi burro
4 carciofi
80 grammi grana
q.b. maggiorana secca
q.b. sale
Inizia a preparare la ricetta dei cappelletti con carciofi pulendo questi ultimi. Privali dei gambi, delle foglie esterne più dure e delle punte. Dividili a metà, rimuovi il fieno interno e tagliali a fettine sottili. Immergili in acqua acidulata con del succo di limone per evitare che anneriscano e tienili da parte. Distribuisci il grana su una placca da forno foderata di carta oleata formando uno strato sottile e lascialo cuocere a 200° per 3-4 minuti. Sforna la cialda dorata di grana, lasciala raffreddare e spezzettala. Metti a rosolare l’aglio in un tegame largo con il burro, quindi eliminalo e unisci i carciofi sgocciolati. Cuocili per 5-7 minuti a fuoco vivo e regola di sale e pepe. Aggiungi un paio di rametti di maggiorana e i gherigli di noce tritati grossolanamente. Prosegui la cottura del condimento per i cappelletti per 3-4 minuti. Cuoci i cappelletti in abbondante acqua salata e scolali direttamente  nel tegame contenente il condimento. Spadella il tutto per qualche secondo, poi distribuisci la pasta nei piatti. Servi i cappelletti con carciofi con le cialdine di grana.

CAPUNSEI MANTOVANI
I capunsei, detti anche “gnocchi di pane”, dalla forma cilindrica affusolata, sono un tipico prodotto della tradizione contadina mantovana, molto sostanzioso, che può essere consumato in brodo o asciutto e condito con burro fuso o ragù.
Una ricetta antichissima portata nella zona di Volta Mantovana e delle colline moreniche da emigranti tirolesi.
Quale riscoperta della cucina povera, dopo la seconda guerra mondiale, il capunsel comincio' ad essere servito anche nelle osterie e quindi nei ristoranti. L’inserimento nel menu dei locali costituì la fortuna di questo particolare piatto, che è stato così valorizzato e riconosciuto dalla regione Lombardia.
La sua affermazione definitiva l'ha avuta proprio quando la Regione lo ha "nominato" prodotto protetto. La ricetta autentica del capunsel è venuta da una ricerca gastronomica che ha interessato tutti i paesi dell'Alto Mantovano.
A seconda delle varie località delle colline moreniche mantovane, il capunsel viene cucinato con alcune varianti. Per esempio a Solferino essi hanno una variante che si fa risalire ai tempi dei Gonzaga, cioè l’aggiunta di amaretti sbriciolati all’impasto. La confraternita del Capunsèl di Solferino ha inteso promuoverlo e tutelarlo. I capunsei sono a Guidizzolo serviti o in brodo o asciutti conditi con olio, burro, prezzemolo, cipolla, aglio, basilico, salvia e rosmarino leggermente soffritti. A Volta i capunsei sono serviti in burro fuso o con un trito di erbe aromatiche.

CAVATELLI MOLISANI
I cavatelli ("cavatiell" in dialetto molisano) sono una pasta tradizionale e prodotto agroalimentare tradizionale del Molise, successivamente acquisita da parti della Puglia, dove vengono chiamati anche capunti. Sono altrettanto prodotti in Abruzzo, Campania, Basilicata, Calabria e in Sicilia. A Caggiano, ad esempio, prendono il nome di crusìcchi (Cru-sìcchi); a Gesualdo invece sono chiamati cecaruccoli.
Sono ricavati da un impasto di semola di grano duro e acqua (a volte anche con patate) e hanno una forma allungata con una incavatura all'interno.
Vengono gustati e serviti col ragù oppure con verdure tipo broccoli o cardoncelli. I cavatelli sono una delle più importanti specialità della regione Molise e del suo capoluogo Campobasso,
La ricetta tradizionale vede i cavatelli serviti tipicamente con sugo di carne di maiale (in particolare il 17 gennaio, giorno di Sant'Antonio Abate) o con spigatelli e carne macinata.
A Campobasso i cavatelli vengono conditi con il sugo e serviti con le costolette di maiale (tracchiulelle in dialetto)
A Campobasso i cavatelli vengono conditi con i cicoli di maiale soffritti e serviti in bianco con gli spigatelli (spigatiell in dialetto)
A Montenero di Bisaccia il piatto tipico del paese sono i cavatelli (in dialetto "cuzzutilli") con la Ventricina di Montenero
Sagre
A Cercemaggiore si svolge a fine luglio la sagra dei cavatelli cercesi conditi con sugo di maiale o cinghiale.
A Vitorchiano si svolge per tre giorni ogni estate i primi giorni di agosto la sagra del cavatello, nella piazza centrale del centro storico. La pasta viene condita con il tipico sugo di pomodoro, aglio e finocchio.
A Caggiano ad agosto si svolge la sagra dei crusìcchi.
Anche a Ruvo del Monte, il 10 agosto, si svolge la sagra dei cavatelli cu' u cas' r'cott', cioè cavatelli al sugo, conditi con il cacioricotta.
A Petrella Tifernina, solitamente la prima domenica dopo il ferragosto si svolge la sagra dei "cavètièlle e savecicce", cavatelli conditi con sugo e salsiccia di maiale.
Abbinamenti enogastronomici
Si gustano con un buon vino rosso, la tradizione vede il piatto abbinato con la Tintilia del Molise, o d'estate rosato fresco.

CJARSONS FRIULANI
I cjarsons (detti anche cjalsons o cjalzons) sono un tipico piatto della cucina friulana; più precisamente della regione alpina della Carnia ma diffuso anche nella pianura friulana. Sono costituiti da una pasta di patate ripiena simile agli agnolotti o ai ravioli, caratterizzati da un contrasto tra il sapore dolce ed il salato. Il ripieno è realizzato in diverse varianti a seconda della ricetta locale e può contenere uva passa, cioccolato fondente o cacao, cannella, spinaci, erba cipollina, ricotta, marmellata, rhum, grappa, prezzemolo, biscotti secchi, uova, latte. Come i ravioli, vengono cucinati in acqua salata e, scolati, si condiscono con burro fuso e ricotta affumicata (scuete fumade). In alternativa al burro, può essere utilizzato l'ont (burro schiumato da cui è stata eliminata l'acqua e raddensato per facilitarne la conservazione nei mesi estivi), che in tempi passati veniva largamente utilizzato nella cucina carnica nell'impossibilità di conservare il burro per lunghi tempi. I cjarsons sono fra i piatti più poveri della cucina carnica tradizionale, riscoperti ed elevati a piatto della ristorazione negli anni 1970 dal cuoco carnico Gianni Cosetti.



CORZETTI AVVANTAGGIATI DEL PONENTE LIGURE
È noto un certo aspetto del carattere dei Liguri che i foresti chiamano avarizia mentre i locali preferiscono definire parsimonia, o meglio ancora oculatezza. Questa caratteristica si riscontra anche nell'arte culinaria, che propone piatti sostanziosi ma di scarso valore economico, almeno all'origine. Tra questi ricordiamo i corzetti avvantaggiati, che nascono dall'unione tra la preziosa farina bianca e quella integrale meno cara. Il vantaggio, e quindi il nome, deriva evidentemente dal minor costo delle materie prime. La stessa felice combinazione la troviamo anche in altri tipi di pasta: i più famosi sono le trenette, anch'esse sempre definite avvantaggiate. Pasta fresca ottenuta con farina non raffinata e parti di cruschello. Dopo aver preparato un impasto sodo con farina, poca acqua e uova; stendere una sfoglia sottile e ricavare tanti rettangolini che, pizzicati al centro, formano una specie di farfalla. Zona di produzione: Costa del ponente ligure, nel territorio del comune di Taggia.

CORZETTI DEL LEVANTE LIGURE
Corzetti
Si prepara l'impasto, poi la sfoglia, quindi la si taglia a cerchietti su cui si stampa il disegno dello stampino. Una volta fatti si lasciano asciugare un po' sulla madia e poi si cuociono.
Sono ottimi conditi con salsa di noci, salsa coi funghi (Tocco de funzi) ed anche con il pesto. Nel Levante Ligure è uso condirli anche con la salsa di pinoli
Sia i corsetti valpolceveraschi che quelli del Levante sono stati riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, su proposta della Regione Liguria, come Prodotti agroalimentari tradizionali liguri.
I corzetti o croxetti oppure anche corsetti (in dialetto genovese corzétti, che si pronuncia [kurzetti]) sono una pasta tipica della cucina ligure. Ne esistono due tipi: quelli della val Polcevera (corzetti valpolceveraschi), dalla caratteristica forma a piccolo 8 (otto) e quelli stampati (corzétti stanpæ o corzetti del Levante). Sono detti stampati perché la decorazione di questi piccoli cerchi di pasta a forma di medaglione è ottenuta mediante uno stampino in legno che decora la pasta in modo da "prepararla" ad accogliere meglio il condimento. In alcune botteghe artigianali del centro storico genovese si trova ancora chi fabbrica questi stampi così utili per preparare questa pasta tipica. Parallelemente alla produzione artigianale, esiste anche una produzione industriale dei corzetti che viene normalmente effettuata con macchine raviolatrici. I corzetti stampati (“cruxetti“) compaiano nel medioevo, nell'epoca rinascimentale. Le famiglie nobili del tempo pare ordinassero ai loro cuochi di realizzare un tipo di pasta che riportasse il proprio stemma, tutto ciò con lo scopo di rammentare ai commensali l’importanza della loro famiglia e per riaffermare il proprio dominio sul territorio. Le incisioni erano solitamente differenti sulle due parti. Il nome deriva dall'immagine stilizzata di una piccola croce, una crocetta (“cruxetta“) con la quale veniva originariamente decorato un lato di questi medaglioni, da qui il nome “cruxettu“. Nel levante ligure, con la parola “corzetto“ s’intende sia lo stampo di legno che la pasta così incisa. Tecnicamente i corzetti si presentano come stampi di legno, sono composti da due parti: una che ha la funzione di “timbro” e l’altra di forma cilindrica con una parte incisa e concava, che serve per tagliare la pasta. I tipi di legno generalmente usati sono: pero, melo, faggio o acero. 

GNOCCHI RICCI LAZIALI
Gli gnocchi ricci sono un piatto tipico della tradizione di Amatrice, considerati più antichi dell'amatriciana, altra specialità della zona. Sono gnocchi di colore giallo e forma ovale, preparati impastando farina, uova ed acqua calda. Si ottengono degli gnocchi che vengono poi schiacciati tra pollice ed indice, per dargli il caratteristico riccio.
In passato erano il pasto della domenica dei nobili residenti nella cittadina, poco conosciuti invece nelle limitrofe frazioni. La ricetta originale è stata tramandata oralmente nei secoli.
Il sugo ideale per gli gnocchi ricci è quello a base di spezzatino di castrato di pecora; spesso come alternative sono utilizzati il macinato di maiale e vitellone, lo spezzatino di vitellone. Consigliata alla fine una spolverata di parmigiano e pecorino.
Da pochi anni, esiste ad Amatrice la sagra degli Gnocchi ricci, che si tiene in primavera in occasione della festa Primaverissima, con una particolarità che la distingue da altre sagre: gli gnocchi sono rigorosamente preparati manualmente.

LAINA LAZIALE
La laina (dal greco antico làganon, λάγανον) è un tipo di pasta tipico della bassa Ciociaria. Per indicare questo particolare tipo di pasta lunga, si utilizza generalmente il singolare "làina", ma anche meno spesso il plurale "làine"; è indicata nelle varie località del basso Lazio anche come lacne, làccane o làcchene. La parola "laina" ha anche il significato generale di impasto ammassato steso con il matterello. La lacna stracciata di Norma è riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale laziale, dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, su proposta della Regione Lazio.
Si ottiene impastando la farina di grano duro con acqua ed un pizzico di sale. L'impasto va lavorato energicamente fino ad ottenere una massa uniforme e poi, per mezzo di un matterello (lainaturo), una sfoglia. La sfoglia viene ricoperta con un sottile strato di farina, fatta riposare per pochi minuti e poi arrotolata su se stessa quindi tagliata con un coltello in strisce non sottili. Queste vengono infine lasciate ad asciugare. Il risultato sono delle fettuccine larghe e spesse, con dimensioni un po' incostanti.
Le laine sono un tipico piatto povero e si accompagnano tradizionalmente quindi con condimenti poveri. L'accostamento tipico è con il sugo ai ceci, legumi tipici ciociari; in diversi comuni della Ciociaria si svolgono sagre come quella della "Laina e ceci" od anche quella della "Laina e cicerchie".
Numerose citazioni dalla letteratura greca e latina fanno dedurre che questo piatto è esistito con continuità dall'epoca classica: ricordiamo Aristofane e Orazio, che usano i termini làganon (greco) e laganum (latino) per indicare un impasto di acqua e farina, tirato e tagliato a strisce. Il laganum, considerato inizialmente cibo dei poveri, acquisisce tanta dignità da entrare nel quarto libro del De re coquinaria di Marco Gavio Apicio. Egli ne descrive minuziosamente i condimenti tralasciando le istruzioni per la loro preparazione, facendo supporre che fosse ampiamente conosciuta.

LORIGHITTAS SARDE
Le lorighittas sono una pasta tipica della cucina sarda ed originaria di Morgongiori, centro abitato ai piedi del monte Arci, in Sardegna.
Si condiscono tipicamente con sugo di pollo ruspante e pomodori o con semplice sugo di pomodoro.
Si preparano a mano attorcigliando tra le dita un doppio filo di pasta fino a creare una treccina chiusa a formare un anello (loriga, in sardo).
Si preparavano tradizionalmente per la festa di ognissanti con farina di semola e acqua. Per fare un chilo di pasta una persona da sola può metterci 3/4 ore.
Negli ultimi anni, le varie amministrazioni comunali che si son susseguite hanno adottato una politica atta a promuovere le lorighittas. Sono state presentate a varie mostre e fiere importanti tra le quali il Salone internazionale del gusto e al salone delle vacanze a Lugano. Inoltre da più di un decennio l'amministrazione comunale organizza la sagra delle lorighittas nella prima settimana di agosto, con la degustazione gratuita della rinomata pasta. Questa manifestazione riscuote sempre grande successo con migliaia di persone che popolano il piccolo paese ai piedi del monte Arci.

MACARONES DE BUSA SARDI
I macarones de busa sono tipici gnocchi sardi, ottenuti lavorando la sfoglia (ottenuta impastando acqua, farina e sale, con l'aggiunta di uovo e olio secondo alcune ricette) con il ferro per fare la maglia. Erano un piatto destinato ai giorni di festa. Possono essere conditi con sugo di carne, con sugo di funghi, alla ricotta, con aglio e pomodoro. Nel Montiferru sono serviti con formaggio e pepe nero. Nella zona di Triei sono considerati piatto tipico.

MACCARONARA AVELLINESE
La maccaronara è un tipo di pasta fatta a mano a forma di grosso spaghetto, preparato secondo una antica ricetta semplice, ma molto saporita. Preparata al sugo o con i fagioli, rappresenta un piatto tipico della cucina irpina, a Castelvetere sul Calore, come in tutta l'area limitrofa è conservata l'antica tradizione della preparazione rigorosamente a mano.
Ad agosto, da anni, nella piazza centrale di Castelvetere (AV) si tiene la ormai conosciutissima Sagra della Maccaronara, accompagnata da balli, musica e canti popolari.

MACCHERONCINI MARCHIGIANI DI CAMPOFILONE
I Maccheroncini di Campofilone sono una varietà di pasta all'uovo tipica della cucina italiana che ha ricevuto la denominazione IGP, esclusiva del territorio e della cittadina di Campofilone. La caratteristica sottigliezza della sfoglia (0,3-0,7 mm) e del taglio (da 0,8 a 1,2 mm) ne fa un prodotto unico per caratteristiche organolettiche. Il disciplinare prevede l'utilizzo delle sole uova fresche nell'impasto, senza alcuna aggiunta di altri liquidi. Ingredienti: Semola di grano duro o farina 00, uova fresche, allevate a terra,  sale.

MALLOREDDUS SARDI
I malloreddus, definiti anche gnocchetti sardi, sono senz'altro la più classica delle paste sarde. Hanno la forma di conchiglie rigate lunghe da circa 2 cm in su, e son fatti di farina di semola e acqua. Si mangiano con varie salse. Nel Sassarese sono chiamati cigiones o ciciones, nel Logudoro macarones caidos o macarones de punzu, nel Nuorese cravaos.
Breve storia dei malloreddus
Da sempre i malloreddus sono stati il piatto tradizionale più preparato in Sardegna in tutte le occasioni più importanti, sia nelle feste e nelle sagre paesane, sia durante i matrimoni.
Fin dall'antichità le massaie hanno preparato questo tipo di pasta. L'origine è da ricercarsi nello schema millenario della coltivazione-alimentazione contadina nell'area mediterranea, basata prevalentemente sulla coltura del grano.
Il termine malloreddu (plurale malloreddus) è un diminutivo di malloru, che in sardo campidanese (Sardegna meridionale e centro-meridionale) significa toro. Di conseguenza, malloreddus vuol dire vitellini.
L'origine della denominazione è da ricercarsi nel modo di esprimersi in ambito contadino. La lavorazione manuale dei malloreddus in ambito domestico avveniva impastando la semola di grano duro con l'acqua, e si creavano delle listarelle arrotolate di pasta della lunghezza di circa 15 cm, le quali venivano tagliate a cubetti. Dopodiché si otteneva la forma schiacciando i cubetti di pasta contro l'estremità di un cesto in paglia, detto su ciuliri (il setaccio) per ottenerli rigati, oppure per averli lisci bastava schiacciarli semplicemente contro una base in legno. Se ne ricavava un prodotto panciuto che nell'immaginario del mondo agropastorale assumeva la forma di piccoli vitelli (si pensi a espressioni quali bello grasso come un vitellino).
Piatti con malloreddus
Il piatto classico della cucina sarda sono i malloreddus alla campidanese. In questo piatto, si fa un ragù tagliando in pezzetti la salsiccia sarda; i pezzetti vengono soffritti in olio con cipolla tritata, poi lessati per circa un'ora con salsa di pomodoro; si aggiungono quindi alcuni fili di zafferano, dieci minuti prima della fine della cottura. Gli gnocchetti lessati vengono conditi con questo ragù e con pecorino sardo grattugiato.
Originariamente lo zafferano veniva usato direttamente nell'impasto dei malloreddus, ora invece viene aggiunto alla fine insieme alla salsa.

MIACCIA PIEMONTESE
La miaccia (termine usato comunemente al plurale miacce, in dialetto valsesiano Mijacci; in lingua walser Miljntscha) è un prodotto agroalimentare tipico della tradizione valsesiana.
La loro produzione ed il loro consumo è attestato in alta Valsesia sin dal XV secolo grazie agli inventari dei notai ("ferrum ad facenda miliacia").
Simile è il piatto canavesano chiamato miassa; si accompagna con il salignun, formaggio fresco mescolato con peperoncino e sapori vari. È fatta con farina bianca, latte, e uova.
Viene cotta con un apposito utensile, detto ferro delle miacce (formato da due piastre di ferro circolari con lunghi manici), che viene riscaldato sul fuoco e sul quale si versa poi la pastella.
Si può mangiare al naturale, più croccante, come da ricetta originale; nella maggior parte dei casi però viene farcita con toma, gorgonzola, salumi, ma la farcitura più tipica rimane il salignun. Nei giorni di festa viene preparata dolce con marmellata di mirtilli e panna, miele, burro, confetture o Nutella.
Si ricorda che nell'impasto per tradizione non occorre il sale. È una pietanza tipica Walser.
Localmente la ricetta e la preparazione subiscono piccole variazioni: per esempio, la miaccia valsesiana non è uguale alla miassa del Canavese. La variante canavese è fatta con farina di mais e acqua, per la cottura i ferri da miasse sono riscaldati direttamente sulla fiamma, vi si versa sopra la pastella, per poi venire posti di nuovo sul fuoco.

ORECCHIETTE PUGLIESI
Le orecchiette oggi sono un tipo di pasta tipico della regione Puglia, la cui forma è approssimativamente quella di piccole orecchie, da cui deriva appunto il nome. Vennero diffuse in Puglia tra il XII e il XIII secolo a partire dal Capoluogo Barese ove tutt'oggi resta uno dei primi piatti più prelibati della città. In termine dialettale barese sono "L strasc'nat", termine che nasce proprio dal metodo di creazione con cui la pasta prende forma quando viene strascinata sul tavolo di lavoro. A Bari le orecchiette vengono cotte principalmente con le cime di rapa (piatto tipico particolare), con i cavolfiori, broccoli e altre verdure, particolari sono anche le orecchiette al ragù rosso. Con i piatti baresi cambia la dimensione delle orecchiette, sono preferibili più grandi quelle cotte con le verdure e molto più piccole quelle cotte con il ragù a sua volta tipico piatto domenicale sulle tavole baresi . Nel tarantino e in Valle d'Itria è ancora in uso il sinonimo "chiancarelle" o "recchjetedd", "fiaffioli" o "Facilletti". A Latiano invece vi è la sagra degli stacchioddi (altro nome per indicare le orecchiette).
La loro dimensione è di circa 3/4 di un dito pollice, e si presentano come una piccola cupola di colore bianco, con il centro più sottile del bordo e con la superficie ruvida. Ne esiste anche una versione realizzata senza la forma di cupola, meglio conosciuta come "strascinati". In tutte le varianti, si realizzano utilizzando esclusivamente farina di grano duro, acqua e sale.
La ricetta tipica regionale è quella che le vede insieme alle cime di rapa. Ma nella Capitanata o nel Salento è tipica anche la variante che le vede insieme a sugo di pomodoro (con o senza spezzatino di carne o polpette o brasciole) e/o ricotta forte di pecora.
A Cisternino le orecchiette si realizzano con farina di grano tenero poco raffinato, sono più grandi e assumono una forma diversa, con nervature interne profonde, molto simile ad un padiglione auricolare e vengono definite "recch' d'privt" - ovvero "orecchie del prete". La ricetta classica contadina dei giorni di festa prevede il condimento con ragu' di coniglio.
Le origini non sono da ricercarsi in Puglia, ma molto probabilmente nella zona provenzale francese, dove fin dal lontano Medioevo si produceva una pasta simile utilizzando il grano duro del sud della Francia. Si trattava di una pasta molto spessa e a forma di dischi, incavata al centro mediante la pressione del dito pollice: questa forma particolare ne facilitava l'essiccazione, e quindi la conservazione per fronteggiare i periodi di carestia. Sembra anche che ne venissero imbarcate grandi quantità sulle navi che si accingevano ad affrontare lunghi viaggi. In seguito, sarebbero state diffuse in tutta la Basilicata e la Puglia con il loro nome attuale dagli Angioini, dinastia che nel Duecento dominava le terre delle regioni. Secondo insigni studiosi di enogastronomia pugliese - ricordiamo qui solo il più autorevole - le orecchiette avrebbero avuto origine nel territorio di Sannicandro di Bari, durante la dominazione normanno-sveva, tra il XII e il XIII secolo. È infatti possibile, in seguito all'atteggiamento di protezione nei confronti della comunità israelitica locale da parte dei normanno-svevi, la loro derivazione da alcune ricette della tradizione ebraica, come le orecchie di Haman - l'antagonista del libro di Esther - che ritroviamo, ad esempio, in alcuni dolci sefarditi oppure nelle croisettes, un tipo di pasta preparato nelle vallate occitane del Piemonte, lontana parente delle orecchiette di Sannicandro anche nella probabile influenza mediorientale.

PACCHERI CAMPANI
I paccheri sono un tipo di pasta tradizionale napoletana aventi la forma di maccheroni giganti, generalmente realizzati con semola di grano duro.
Il termine deriva del greco antico (da "πας" (tutto) e "χειρ" (mano)) dei primi fondatori di Parthenope e ancora usato nella lingua italiana come "pacca", ovvero uno schiaffo dato a mano aperta, senza intenzioni ostili. Da qui il nome del tipo di pasta, dalla taglia molto superiore alla norma, in genere accompagnato da sughi succulenti. I paccheri possono essere anche farciti, con ricotta o altri ingredienti, e serviti con il ragù.

PANSOTI LIGURI
I pansoti (dal ligure pansa, in italiano "pancia", il termine deriva dal fatto che la pasta ha un aspetto panciuto, da "pancia"), sono una pasta ripiena tipica della cucina ligure, simile ai ravioli, da cui differiscono essenzialmente per la grandezza e l'assenza di carne nel ripieno. I pansoti alla salsa di noci (co-a sarsa de noxe) sono uno dei piatti più economici e caratteristici della tradizione genovese. I pansoti dato che non contengono carne, sono un piatto a base di magro, un tempo considerato adatto al periodo penitenziale della quaresima.
La pasta fresca all'uovo si allunga come una sfoglia sottile.
Nelle ricette più rispettose della tradizione, le verdure utilizzate per il ripieno sono costituite da un miscuglio di erbe fresche, il cosiddetto "preboggion", formato da erbe che crescono spontanee nella coste liguri, di difficile reperibilità nei negozi ma raccoglibili senza spesa su per i monti ("bricchi"). Data la difficile reperibilità di queste erbe, in alternativa si può utilizzare solo la bietola o meglio la bietola da taglio chiamata "erbette", oppure gli spinaci o la borragine ("boraxe"), quando si trova. In alternativa, si può usare un misto di ortaggi simili a quelli del preboggion, come la cicoria, la catalogna, il cicorino, la rucola, la scarola, la lattuga e la verza. Come per il preboggion, è necessario equilibrare in giuste proporzioni le verdure, per neutralizzare il sapore amaro della cicoria e della catalogna, con il sapore dolce della lattuga, della scarola e della verza. Tra gli altri ingredienti troviamo un particolare tipo di formaggio fresco leggermente acidulo, detto "prescinseua", sostituibile da un misto di ricotta e yogurt o più economicamente da mollica di pane imbevuta nel latte e il formaggio grana o il parmigiano, uova e aromi come la maggiorana. 
Per la salsa di noci si usano i gherigli delle noci, i pinoli e aromi come aglio, prezzemolo, il finocchietto, o il finocchietto selvatico e la maggiorana. In una alternativa più economica, si possono condire con olio, nel quale si sia fatto soffriggere una foglia di salvia.

PAPPARDELLE TOSCANE
Le pappardelle sono un formato di pasta all'uovo, del tutto simili alle tagliatelle, ma di larghezza decisamente superiore.
Mentre le tagliatelle sono una forma di pasta di tradizione prettamente emiliano-romagnola, le pappardelle, sebbene risentano dell'influsso emiliano, sono di tipica tradizione toscana.
Le Pappardelle Toscane sono fettucce di pasta all’uovo ruvide e porose, larghe 13 mm, ideali per creare una sinfonia di sapori nel tuo piatto. Si presentano come il formato più maestoso della pasta all'uovo lunga. Una gioia per il palato in ogni veste: dai sughi corposi a quelli cremosi e leggeri. Le consigliamo con verdure colorate e ricotta. Per un sugo più delicato, provate ragù bianco di zucchine.
L'impasto è costituito da farina, uova e sale. Tipiche della tradizione casalinga, l'impasto è rustico e al tatto risultano ruvide. La tradizione toscana le associa a condimenti corposi e dal gusto deciso, come sughi a base di carne di lepre, cinghiale o con funghi.

PASSATELLI  EMILIANI
Con pane grattugiato, formaggio parmigiano, uova, un pizzico di aromi (noce moscata e/o scorza di limone) 
Si ottiene un composto dal quale, con l'apposito stampo, si ricavano dei grossi spaghetti che vengono poi cotti nel brodo di cappone o di pollo. Altre varianti includono l'uso del brodo di pesce.
I passatelli sono una delle più classiche minestre della provincia di Pesaro e Urbino, di parte della Provincia di Perugia, dell'Emilia-Romagna; sono diffusi anche nel resto delle Marche, nonché, grazie all'immigrazione interna, a Roma, dove vengono preparate specialmente nei giorni di festa.
Il piatto, che è citato nel ricettario dell'Artusi, discende probabilmente dalla "tardura" (conosciuta anche come "stracciatella"), minestra di uova, formaggio e pangrattato ricordata da Michele Placucci, tradizionalmente servita alle puerpere.
I passatelli originano nei paesi dell'alta Valle del Cesano (Frontone, Pergola, San Lorenzo in Campo, Fratte Rosa, Serra Sant'Abbondio e Castelleone di Suasa) ma la loro diffusione è estesa anche nelle regioni Montefeltro e della Romagna, così come nelle zone costiere della province di Pesaro e Urbino e di Rimini.
Vista la difficile reperibilità dello stampo, detto anche "ferro per passatelli", si utilizza normalmente allo stesso scopo uno schiacciapatate a fori larghi. Questo processo, però, ha come lato negativo quello di creare passatelli del medesimo spessore, perdendo una delle caratteristiche principali di questo piatto.
Questo piatto tradizionale ha stuzzicato la fantasia di diversi Chef e ristoratori, le cui moderne rivisitazioni propongono i passatelli non più solamente in brodo. I passatelli si mangiano anche asciutti secondo le ricette più disparate, ad esempio con il tartufo bianco di Acqualagna (PU), con i funghi porcini, con i frutti di mare, o semi-asciutti con una fonduta profumata.
Ultimamente un laboratorio di sfogline bolognesi ha dato vita al passatello sbagliato: ha gli stessi ingredienti di quello tradizionale ma una caratteristica forma a gnocchetto. È ideale per le preparazioni a base di sughi leggeri o in abbinamento con pesce o verdure.

PICI TOSCANI
I pici sono un tipo di pasta fatta a mano, simili agli spaghetti ma più larghi, tipici del sud della Toscana, della Val di Chiana, della Provincia di Siena, della Provincia di Grosseto e della confinante Provincia di Viterbo dove però sono chiamati Umbrichelli.
La loro ricetta è estremamente semplice: acqua, farina e pochissimo, se non nessuno, uovo. La preparazione consiste nell'"appiciare", cioè lavorare a mano la pasta fino a creare uno spaghetto lungo e corposo. I condimenti classici contemplano "l'aglione" (un sugo di pomodoro saporito e agliato), il sugo di "nana" (cioè di anatra o più precisamente, come vuole la ricetta originale, germano), il ragù di carne o la ricetta cosiddetta "alle briciole", con briciole di pane - appunto - soffritte o addirittura fritte. Esistono varianti di tutti i tipi: ai funghi, alla carbonara, con ragù a base di cacciagione (cinghiale e lepre, ad esempio) o in molti altri modi, le più ricche considerate esterne alla tradizione e ai gusti contadini della Toscana rurale, solitamente frugali.
La tradizione popolare di questo alimento si manifesta anche nelle moltissime sagre dedicate, come ad esempio quella di Celle sul Rigo (nel comune di San Casciano dei Bagni), che si tiene ormai da più di 40 anni.

PIZZOCCHERI VALTELLINESI
I pizzoccheri sono un formato di pasta riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale della Valtellina, originario di Teglio.
Si tratta di una sorta di tagliatelle spesse 2 o 3 mm, larghe 1 cm e lunghe 7 cm ricavate da un impasto preparato con due terzi di farina di grano saraceno, che denota la loro colorazione grigiastra, ed un terzo di farina di frumento.
Il nome "pizzoccheri" sembra derivare dalla radice "pit" o "piz" col significato di pezzetto o ancora dalla parola pinzare col significato di schiacciare, in riferimento alla forma schiacciata della pasta. Altre ipotesi farebbero risalire la parola pizzoccheri dal longobardo bizzo, ovvero boccone, ma questa ipotesi etimologica è piuttosto improbabile.
Produzione e commercializzazione
Nonostante un tempo venissero fatti esclusivamente a mano, al giorno d'oggi i pizzoccheri sono anche venduti sotto forma di pasta secca già imbustati e pronti alla cottura e sono realizzati con una percentuale di farina di grano saraceno attorno al 20-30%.

RAVIOLI LIGURI ALLE ERBETTE
È unica e inconfondibile, questa versione dei ravioli di magro. Il gusto leggermente amarognolo è dato dall'insieme di erbette selvatiche, il prebuggion. Si dice che il nome derivi da un episodio della vita di Goffredo di Buglione, che, ammalatosi durante la crociata, sarebbe stato miracolosamente guarito da una minestra improvvisata a base di erbe selvatiche. Può essere, ma in Ligure prebuggion sta a indicare la bollitura e quindi la cottura delle erbe. Il nome pansoti deriva invece da pansa, pancia, per la loro forma panciuta. Di recente nascita, questo piatto non è citato nei testi antichi, dove troviamo invece i ravioli di magro. Ravioli alle erbette, vegetariani, sono presenti su tutto il territorio regionale. Di bietole, ortiche, borraggini, asparagi selvatici, i più caratteristici sono i pansoti alla maniera di Recco (Genova). 219 Zona di produzione: Tutto il territorio regionale ma in prevalenza nel levante genovese La lavorazione del raviolo è eseguita artigianalmente, il mercato di sbocco è locale o regionale, ed è possibile degustarli in trattorie e agriturismi. 

RAVIOLI LIGURI ALLE PATATE ROSSE
La ricetta è tipica della località di Pitelli, frazione del Comune della Spezia. Tradizionalmente il piatto di ravioli, legato all'idea di ricchezza, veniva preparato soltanto in occasione della feste. Oggi la Cooperativa MA.RIS mantiene attiva la produzione delle patate di qualità rossa, favorendo il mantenimento della tradizionale ricetta ad esse legata. La patata, originaria dell'America Latina e introdotta in Europa nei primi decenni del 1500, cominciò ad essere selezionata intorno al 1800 e la varietà rossa apparve la più adatta al territorio locale nelle colline del Levante spezzino. Nei successivi decenni la selezione andò persa e dal dopoguerra, si cominciò a utilizzare una varietà di patata di origine olandese che, per le sue caratteristiche, si adattò perfettamente alla zona. Ravioli dalla caratteristica forma quadrata, noti per la particolarità del ripieno preparato con le patate rosse. Sono solitamente conditi con sugo di funghi. Zona di produzione: località Pitelli (La Spezia).

RAVIOLI LIGURI DI MAGRO

Quando la carne era poca, e in una terra come la nostra capitava spesso, si sostituivano alcuni ingredienti del ripieno con più leggeri elementi dell'orto che creavano un piatto vegetariano non per questo meno sostanzioso e succulento. Dalla necessità, dalla fantasia, o semplicemente dalla voglia di cambiare nascono i ravioli di magro. Pasta ripiena a forma di caramella con ripieno di patate, uova, formaggio, ricotta, spinaci, maggiorana, oppure bietole e/o borragine. Zona di produzione: Entroterra imperiese e savonese.

RAVIOLI LIGURI DI PESCE 
ravioli
platessa 100 gr
gamberoni 80 gr
olio extravergine d'oliva (evo) q.b.
sale q.b.
pepe nero q.b.
patate lesse 50 gr
basilico q.b.
pasta all'uovo 250 gr
Lessate le patate. Cuocete a vapore i filetti di platessa, aggiungete dopo poco anche i gamberoni sgusciati e dopo due minuti togliere il tutto dalla vaporiera. Frullate il pesce con le patate e i gamberi, qualche fogliolina di basilico, un pizzico di sale e un po' di pepe. Stendete la sfoglia all'uovo e prendendo bene le distanze, con la sac à poche distribuite tanti mucchietti di farcia, inumidite i bordi con un goccio di acqua poi coprite con un un'altra sfoglia. Schiacciate leggermente per far uscire l'aria.

TORTELLI AMARI LOMBARDI DI CASTEL GOFFREDO
Il Tortello amaro di Castel Goffredo è un tipo di pasta ripiena simile al raviolo ed è un prodotto agroalimentare tradizionale riconosciuto dalla Regione Lombardia, tipico del solo territorio di Castel Goffredo in provincia di Mantova.
Viene così chiamato per la presenza nel ripieno della balsamita, un'erba aromatica localmente chiamata erba amara, detta anche erba di San Pietro. Gli altri ingredienti per il ripieno sono erbette, formaggio grana, pane grattugiato, uova, noce moscata, salvia, cipolla, aglio e sale. Per la preparazione della pasta fresca si adotta una ricetta tradizionale, ovvero 10 uova per 1 kg di farina. La sfoglia ottenuta viene farcita col ripieno, ripiegata e rifinita manualmente, ottenendo così per ogni tortello una caratteristica forma triangolare schiacciata.
Una volta cotti in acqua salata, i tortelli vengono serviti con una spolverata di formaggio grana ed un cucchiaio di burro fuso aromatizzato con salvia.
Annualmente, nella terza settimana di giugno, a Castel Goffredo si svolge la tradizionale "Festa del tortello amaro di Castel Goffredo".

TORTELLI DI ZUCCA MANTOVANI
I tortelli di zucca sono un tipo di pasta ripiena, simile ai ravioli, originaria dell'Italia settentrionale.
L'origine dei tortelli di zucca, la cui variante più nota sono i tortelli mantovani, si inserisce nell'antica e popolare tradizione culinaria di paste ripiene dell'Italia settentrionale. Tale tradizione risale almeno al Basso Medioevo mentre la zucca - come componente - risale a dopo il 1500, all'affermarsi della coltivazione dei nuovi ortaggi provenienti dall'America Centrale. Lo scopo di tali preparazioni era di ottenere un piatto gustoso e nutriente, con quel poco che l'economia contadina forniva.
I tortelli di zucca consistono in involucri di sfoglia all'uovo, solitamente di forma rettangolare della dimensione chiusa di circa 60 x 35 mm, farciti con un impasto di zucca bollita, amaretti, mostarda, formaggio grana e noce moscata.
A buon titolo inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani, è il piatto simbolo della cucina mantovana, ma è diffuso, con poche varianti, anche nelle vicine province di Parma, Reggio nell'Emilia, Ferrara e Cremona. La caratteristica saliente di questo piatto è la combinazione del sapore dolce della zucca, con il salato del formaggio grana, con il dolce-amaro degli amaretti ed il piccante della mostarda. Assieme ai tortelli cremaschi, è l'unico altro piatto di pasta ripiena dolce della Lombardia. Nel Piacentino esiste invece una variante che presenta un ripieno senza i caratteristici amaretti e la mostarda, composto solo da zucca lessa e passata al passaverdura, grana e ricotta.
Al fine di mantenere il giusto equilibrio tra i diversi sapori, è necessario prestare una particolare attenzione ai dosaggi e, forse per questo motivo, poche e quasi trascurabili sono le varianti che, nel corso dei secoli, hanno modificato la composizione del ripieno. La ricetta ferrarese non prevede l'uso della mostarda o amaretti, mentre quella cremonese usa la mostarda dolce.

TORTELLI VERDI REGGIANI
I tortelli verdi sono un piatto italiano tipico dell'Emilia ed in particolare dell'area reggiana.
Si tratta di una minestra asciutta di involtini di sfoglia all'uovo ripieni di un impasto (detto pesto) composto da spinaci o bietole verdi anche in abbinamento con aromi, condimento, formaggio e ricotta.
Gli ingredienti di base del pesto possono variare nella proporzione della composizione secondo le tradizioni locali e familiari.
La ricetta reggiana dei tortelli d'erba si inserisce nell'antica e nobile tradizione culinaria delle paste ripiene, risalente almeno al Basso Medioevo.
Scopo di tali preparazioni era riunire in un unico piatto gustoso, nutriente e fantasioso quel poco che la cucina contadina forniva.
La relativamente facile disponibilità delle verdure, che costituiscono la parte principale del ripieno, ne hanno fatto un piatto facilmente realizzabile da tutti gli strati della popolazione anche se è rimasto, per lungo tempo, un piatto dedicato ai giorni di festa.
I tortelli d'erbetta della provincia di Parma sono stati riconosciuti prodotto tipico dalla Regione Emilia-Romagna ed inseriti nell'apposito elenco dal Ministero per le Politiche Agricole.
La caratteristica più saliente di questo piatto è la presenza delle verdure nel ripieno che ne fanno un alimento abbastanza leggero e digeribile sebbene sia ricco di sapore e di gusto.
La presenza di tanta parte dei prodotti caseari quali: ricotta e formaggio (nel ripieno), burro e formaggio per il condimento finale, ne fanno un alimento tipico delle zone, qual è l'Emilia, dove questi alimenti sono prodotti tipici e di uso quotidiano.
Nel ripieno, in luogo degli spinaci e/o delle bietole, si possono utilizzare altre verdure o erbe: verza, catalogna, radicchio, borragine e, perfino, ortiche.
Nell'area parmigiana i tortelli sono riempiti con un impasto dove prevale la ricotta mentre la quantità delle erbette è molto ridotta. Lo stesso avviene in Romagna (cfr. Pellegrino Artusi - La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene).
Il ripieno viene avvolto in una sottile sfoglia di uova e farina formando dei piccoli rettangoli di dimensione massima come una carta di credito e minima come la sua metà.

TORTELLINI LOMBARDI DI VALEGGIO SUL MINCIO

I Tortellini di Valeggio sul Mincio sono una pasta all'uovo ripiena, originaria del luogo, che la leggenda vuole sia nata nel Trecento. 
Per la sfoglia vengono utilizzati farina e uova. Si mescolano le uova con la farina sino ad ottenere un impasto morbido. La sfoglia ottenuta viene tirata molto sottile e tagliata a piccoli quadratini. Per il ripieno viene utilizzata carne di manzo, maiale, pollo, aromi naturali (cipolla, carote, sedano e rosmarino), vino Bardolino e un po' di pane grattugiato (a seconda delle ricette) cotti assieme. A fine cottura si macina il tutto amalgamando fino ad ottenere un impasto morbido. Il ripieno così costituito viene posizionato sui quadratini di sfoglia successivamente chiusi. I tortellini vanno quindi lasciati riposare fino a che la pasta non sarà asciutta.
Per essere consumati verranno cotti in brodo di carne e con questo serviti oppure gustati asciutti con burro e salvia. Non deve mancare una spoleverata di formaggio grana.
Annualmente, in onore a questo piatto tipico, sul Ponte visconteo di Valeggio sul Mincio viene celebrata la “Festa del Nodo d'Amore”, durante la quale si gusta questa specialità su due tavolate lunghe circa seicento metri alla presenza di quattromila commensali.

TROFIE LIGURI
500 g di farina di grano,
acqua,
sale.
Versare sulla madia la farina ed impastarla con acqua tiepida ed un pizzico di sale. Ottenuta una pasta elastica e morbida lasciarla riposare per circa mezz'ora.
Staccare una per volta, piccole porzioni di pasta e con il taglio della mano destra dare una forma allungata, circa 4 cm, procedendo dall'alto verso il basso.
Il bastoncino ottenuto rotolerà sino alla base della mano, a questo punto sfregando trasversalmente il palmo della mano sulla madia imprimere un avvitamento in un gesto veloce e deciso a forma di "V" capovolta. In questo modo si otterranno dei trucioli di pasta da condire con il pesto.
Con il termine trofie nel genovesato si intendono gli gnocchi, cioè un impasto di farina e patate; con il termine trofiette si intende la versione antica degli gnocchi, di sola farina, dalla caratteristica forma a truciolo, nate nella Riviera di Levante da abilissime ed esperte mani.
Sono vanto della cucina recchese, ma è, ahimè, assai raro trovare ancora chi ha la capacità e la pazienza di eseguire un piatto così complesso che, per la sua particolare forma racchiude ed esalta il condimento. Il nome è possibile che derivi da strufuggiâ, strofinare, termine cioè che descrive il movimento della mano sulla madia necessario per ottenere le trofiette.
Pasta a zig-zag, a forma di serpentello, della lunghezza di cm 1,5-2, cilindrico con gli estremi più sottili rispetto al centro.
Zona di produzione: Recco e Levante genovese.

VERMICEDDHRI PUGLIESI
I Vermiceddhri sono un tipo di pasta casereccia tipica del Salento, e propriamente dei paesi dell'entroterra otrantino. Viene preparata nel periodo di San Giuseppe per le tradizionali tavole di San Giuseppe. La pasta viene cucinata insieme con cavoli e ceci e ricoperta con una spolverata di pane grattugiato e zucchero.
Un altro piatto tipico salentino sono i vermiceddhri col baccalà.
Questa portata è tradizionale nelle giornate di vigilia come il 24 dicembre o 31 dicembre oltre che l'8 dicembre e 11 novembre. Si fa soffriggere il baccalà (tenuto a bagno per almeno 24 ore) con olio e cipolla e poi si aggiungono i pomodori freschi. Dopo la cottura si toglie il baccalà e nella pentola col sugo (allungato con un po' d'acqua) si fanno cuocere i vermicelli. Alla fine, scodellata la pasta nei piatti, si aggiunge il baccalà.

ZITI PUGLIESI
Gli ziti sono un tipo di pasta di grano duro, di forma allungata, tubulare e cava e con superficie liscia come i bucatini ma di diametro maggiore, un po' più stretti dei rigatoni ma più larghi dei mezzani. Nella varietà "ziti rigati", presentano sulla superficie righe e creste elicoidali o parallele alla sezione verticale.
Anche se confezionati come pasta lunga, la tradizione culinaria dell'Italia meridionale li vuole spezzati; una fase della preparazione di qualsiasi piatto di ziti consiste appunto nello spezzarli manualmente nel piatto: di solito si fa durante la preparazione del ragù e prima che l'acqua vada in ebollizione. La parola "ziti" in Puglia si riferisce alla parola "fidanzati" e storicamente fu dato questo nome a questi maccheroni, perché in passato si mangiavano solo in occasione di un matrimonio.
Gli ziti sono diventati molto popolari negli Stati Uniti con la serie televisiva I Soprano.