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lunedì 2 gennaio 2023

Corso di Tecniche dell'alimentazione: Lezione 11 Conoscere la frutta

CONOSCERE LA FRUTTA
Con il termine frutticoltura o frutticultura si intende in generale la coltivazione degli alberi da frutto. Nell'ambito delle scienze agrarie la frutticoltura è una branca dell'arboricoltura che si occupa degli aspetti e delle caratteristiche relative agli alberi da frutto.
Caratteristiche
Ciò che caratterizza le coltivazioni arboree, è la consistenza legnosa, ciò dovuto alla presenza di Lignina, e la loro longevità, cioè il tempo che queste piante rimangono sul terreno.
Ovviamente, queste coltivazioni presentano esigenze assai più complesse rispetto alle semplici Coltivazioni erbacee, lavorazioni più profonde; ad esempio per quanto riguarda l'aratura, è previsto talvolta lo "scasso", cioè una lavorazione che può giungere sino al metro di profondità.
Vi sono anche tutta una serie di accorgimenti da prendere a seconda di quale pianta si stia trattando: olivo, vite, melo, ecc. Insomma dipende da cosa si abbia di fronte, in base a ciò, si adatteranno le concimazioni, le irrigazioni, le potature; tutte le tecniche colturali.
Pure le coltivazioni arboree, possono essere divise in una parte generale, in cui si analizzano gli aspetti botanici e scientifici, che in una parte speciale in cui analizziamo le varie tecniche colturali.
Storia
Frutticoltura è una tipica parola moderna, che esprime un concetto praticamente sconosciuto al pensiero agronomico antico. Nelle civiltà mediterranee, infatti, non si parla mai di frutteto, ma di hortus, uno spazio cintato da un muro entro il quale si coltivano alberi fruttiferi, olivi e viti, ai cui piedi il terreno è lavorato a beneficio degli alberi, ma anche degli ortaggi, sistematicamente coltivati tra gli alberi. Il concetto vale per il mondo ebraico e per quello greco, alle cui origini l'Odissea propone l'immagine più precisa dell'hortus nel giardino del principe dei Feaci.
Nel mondo latino il vigneto e l'oliveto divengono impianti specializzati indipendenti, l'hortus continua a unire frutta e ortaggi, e l'hortus, si noti, è un giardino, non un orto, come provano “orti” famosi, come quelli di Sallustio e quelli di Nerone.
La tradizione dell'hortus della cultura mediterranea viene perfezionato nel mondo arabo. L'’andaluso Ibn al-Awwam, esponente della Spagna ancora islamizzata, dedica lunghissime pagine al tema della “simpatia” delle piante, stabilendo quali ortaggi vegetino più vigorosamente ai piedi di un cedro, quali ai piedi di una palma, quali ai piedi di un fico.
 Nel Cinquecento gli alberi fruttiferi sono ancora parte del giardino, come risulta dalla descrizione della proprietà di campagna dell'agronomo italiano, il bresciano Agostino Gallo [ Gli elementi diversi del giardino mediterraneo si separano, pure continuando a fare parte della medesima unità, nel giardino dello château francese, la villa del grande patrizio, attorno alla quale il complesso insieme del jardin si scinde in parti funzionali diverse, il jardin potager, che è un vero orto, il jardin fruitier, che è già un frutteto, il jardin médicinal, che è un orto per le piante medicinali, in tempi in cui tutta la farmacopea si fonda sulle erbe elemento indispensabile nella vita della famiglia patrizia. È quanto appare, nitidissimo, dal magistrale trattato del maggiore agronomo francese della fine del Cinquecento, Olivier de Serres, signore di Pradel.
Il jardin fruitier di Olivier de Serres diviene autentico frutteto quando il parco del signore di campagna si converte nel parco di un sovrano.  Creando i giardini di Versailles Luigi XIV affida a uno specialista il compito di presiedere al frutteto, che deve provvedere l'immensa quantità di frutta che onora le mense nei pranzi reali. L'incarico viene affidato a Jean de la Quintinye, un avvocato che si dedica alla botanica, che per il grande frutteto di cui è sovrintendente immagina le prime forme di allevamento razionale, predisponendo il primo degli strumenti della frutticoltura industriale.
La cultura inglese continua, intanto a considerare il termine horticulture come sinonimo di gardening, e ad usare entrambi per la coltura degli alberi fruttiferi. Quando si imporrà la necessità di un nuovo vocabolo sarà, senza termini intermedi la fruit industry.
Frutticoltura moderna
In effetti la frutticoltura moderna, quella in cui le piante da frutto non sono più incluse in un hortus ma sono una coltura specializzata, si sviluppa, sull'esempio di Versailles, nei villaggi intorno a Parigi per il rifornimento delle Halles, il grande mercato cittadino. Il successore di La Quintinye è, nell'Ottocento, il signor Lepère, coltivatore, a Montreuil, di un frutteto di peschi a spalliera per la vendita a Parigi.
La frutticoltura francese si sta sviluppando, lentamente, verso moduli industriali quando la sopravanza, quella californiana, che inizia la moderna frutticoltura “industriale”. per la quantità di frutta che un coltivatore è in grado, assumendo avventizi per la raccolta, di produrre in un anno, la frutticoltura californiana costituisce, all'alba del Novecento il fenomeno che induce il pomologo italiano, Girolamo Molon, a un'autentica esplorazione sul campo, matrice di una relazione.
Nella propria relazione Molon avverte economisti e agricoltori che la frutticoltura italiana è assolutamente arretrata, per la molteplicità di varietà prive di autentiche qualità, per le forme di allevamento irrazionali, per i circuiti commerciali primordiali. Sul finire degli anni cinquanta, lo sviluppo della frutticoltura diventa notevole soprattutto in Romagna (Ferrara, Ravenna e Forlì) Ferrara, si può rilevare, mostrerà una frutticoltura strutturata in grandi aziende, con decine di ettari ciascuna, e decine di operai, Ravenna e Forlì presenteranno una frutticoltura piuttosto basata sulla piccola azienda familiare, che troverà la propria efficienza riunendosi in grandi cooperative. In questa fase la frutticoltura italiana, sarà settore di punta dell'agricoltura europea per tre decenni.
Secondo alcuni studiosi, la sua crisi inizierà proprio dal tramonto della frutticoltura ferrarese, un tramonto dovuto all'accesa conflittualità sindacale, la crisi si estenderà, lentamente, a province e settori diversi, coinvolgendo, oggi, le pesche romagnole, gli agrumi siciliani, l'uva pugliese, in un quadro che se consente all'Italia di proporsi ancora come primo produttore di frutta europeo, mostra quel primato cedere, ogni anno, sui mercati interni o su quelli esteri, il numero delle aziende frutticole contrarsi, le cooperative confrontarsi con difficoltà sempre maggiori con le concorrenti spagnole, con i produttori del Sudamerica, dell'Asia e dell'Africa.

ALBICOCCA


L'albicocca è il frutto dell'albicocco (Prunus armeniaca), famiglia delle Rosacee, genere Prunus, specie Prunus armeniaca.
La pianta appartiene alla stessa famiglia e genere di frutti quali la ciliegia, la pesca e la prugna. Con alcuni di questi sono stati prodotti vari ibridi molto apprezzati dai mercati in cui sono stati introdotti.
Origine e diffusione successiva
L'albicocco è una pianta originaria della Cina nordorientale al confine con la Russia. La sua presenza data più di 5000 anni di storia. Da lì si estese lentamente verso ovest attraverso l'Asia centrale sino ad arrivare in Armenia (da cui prese il nome) dove, si dice, venne scoperta da Alessandro Magno[3]. I Romani la introdussero in Italia e in Grecia nel 70-60 a.C., ma la sua diffusione nel bacino del Mediterraneo fu consolidata successivamente dagli arabi, infatti Albicocco deriva dalla parola araba al-barqūq. L'albicocca crescerebbe in natura selvatica in Cina da ben 4 000 anni. Oggi è diffuso in oltre 60 paesi e viene coltivato in climi caldi o temperati e relativamente asciutti.
L'albero e il frutto
Si presenta come un alberello a foglia caduca che può raggiungere i 12-13 metri allo stato selvatico. Nelle coltivazioni, tuttavia, la pianta viene tenuta sotto i 3,5 metri per agevolare la raccolta dei frutti. Ha una chioma a ombrello, con tronco e rami sottili e leggermente contorti. Le foglie sono ellittiche, con punte acuminate e bordo seghettato e piccioli rosso violaceo. La larghezza media è di 7–8 cm, ma varia da una cultivar (varietà) all'altra, pur restando più larga di altre piante della medesima famiglia. I fiori sono molto simili ai loro cugini ciliegio, pruno e pesco. I fiori sono singoli, ma sbocciano a gruppetti che si situano all'attaccatura delle foglie. Hanno 5 sepali e petali, molti stami eretti e variano dal bianco puro ad un lieve colore rosato. La pianta viene impollinata usualmente dagli insetti (api) e non richiede impollinazione manuale. Non presenta di norma fenomeni di autosterilità, e quindi anche un albero singolo fruttifica regolarmente.
Il frutto ha contenuto di 28 calorie ogni 100 grammi di peso. Le stagionalità di raccolta sono giugno, luglio, agosto.
Varietà e portinnesti
Per la scelta delle cv si osservino le Liste di orientamento varietale - Progetto finalizzato MiPAF.
Si ricordano: Ninfa, buona ovunque, Bella d'Imola, Vitillo, anche questa valida ovunque, Giulia, San Castrese, la più importante, Glodrich, Portici, pure valida, Pisana, Boccuccia spinosa e B. liscia, Dulcinea. Nel panorama italiano sono da ricordare anche Cafona e Monaco.
Per i portinnesti vi sono albicocchi e susini, specie affine:
- Albicocco franco
- Mirabolano da seme (P. cerasifera)
- Manicot GF 1236
- Mirabolano 29C
- Mr. S. 2/5
- Montclar( P.persica) sensibile ai nematodi
- Ishtara (P. cerasifera x P. persica).
Propagazione: per seme si ottengono portinnesti franchi e nuove cv; l'innesto è diffuso ma spesso vi è disaffinità, eccetto col susino; a causa del tannino la talea non radica bene; infine alla micropropagazione si ricorre per i portinnesti.Tecniche colturali
Si adatta a molti ambienti grazie a combinazioni cv/portinnesto. Le forme di allevamento diffuse sono il vaso a tre branche (sesto 5 x 3-4 m), vaso semilibero a 4-5 branche (sesto 4,5 x 3 m), vaso ritardato, e fusetto (sesto 4,5 x 2 m) per impianti ad alta densità, comunque la specie preferisce il volume, non la forma appiattita.
L’irrigazione, spesso assente, è auspicabile nella quantità di 2000m3/ha in maggio-settembre. Per la concimazione è da ricordare che è una pianta che richiede molto N, il quale però non va dato in abbondanza poiché produrrebbe molto legno e debole, perciò si distribuisce in 4-5 volte in modo che la pianta lo distribuisca equilibratamente. Elementi principali: N (100 kg), K (170 kg ogni 10 t di albicocche prodotte), Ca, Bo, P (40 kg), in produzione.
Come per altre specie la potatura dell'albicocco si basa sull’habitus di fruttificazione (decidere se produrre su dardi, rami misti, rami anticipati) ed anche sull'habitus vegetativo accotono o mesotono. Si tratta di una drupacea quindi ha gemme a fiore sui rami dell'anno numero che va equilibrato dopo la differenziazione. Da non dimenticare che l'operazione di diradamento va eseguita alla fase dell'indurimento del nocciolo; dopo 20-30gg non si ottiene risultati.
Le varietà
Esistono numerose varietà, per lo più con limitata diffusione, a causa di una difficoltà di adattamento tipica di questa specie.
Pindos. Varietà precoce, la si può iniziare a raccogliere verso la fine di maggio. Ha un portamento poco vigoroso. Produce frutti di buona pezzatura purché si pratichi il diradamento.
Diavole. Varietà molto coltivata in Campania, caratterizzata da un portamento vigoroso e da una spiccata longevità. Produce frutti con pigmentazione rossastra e di discreta pezzatura previo diradamento.
Preole. Varietà coltivata soprattutto in Campania, con portamento poco vigoroso e frutti di piccola pezzatura.
Reale di Imola. Varietà un tempo coltivata in Emilia-Romagna, matura in questa regione nel mese di luglio. Il frutto è di pezzatura media, di color oro e con polpa gialla. Viene abbandonata perché i frutti della stessa pianta maturano scalarmente e quindi necessitano più passaggi per la raccolta. Ha un difficile adattamento ad altre condizioni climatiche.
Valleggina. Chiamata anche "Albicocca di Valleggia", viene coltivata nell'entroterra savonese. Il maggior centro produttivo si colloca nella piana di Valleggia (da cui prende il nome), situata alle spalle dei comuni di Savona e Vado Ligure e terminante nel comune di Quiliano. Il frutto è riconoscibile per il colore arancione brillante, pigmenti rosso acceso con una spiccata mascheratura rossa, di media pezzatura. Il periodo di raccolta si colloca tra la fine di giugno e l'inizio di luglio.
Amabile Vecchioni. Albero che produce frutti grandi che maturano solitamente negli ultimi dieci giorni di giugno. La fioritura avviene nel mese di marzo e precede quasi tutti gli altri alberi da frutto. Non teme i climi e le temperature più rigide ma prospera come ogni albicocco in climi caldi e asciutti.
Thyrintos. È una varietà molto precoce, che matura al Nord Italia nella prima settimana di giugno. I frutti sono di grande pezzatura, per questo continua ad essere offerta su tutti i mercati. Risulta abbastanza sensibile alla moniliosi, benché la malattia non abbia solitamente cause letali sulla pianta.
Clima necessario
La pianta in sé non patisce il freddo e sopporta temperature davvero rigide, tuttavia fiorisce molto presto rispetto a quasi tutti gli altri alberi da frutto e questo rende la produzione di albicocche vulnerabile alle gelate primaverili. Inoltre l'albicocco è soggetto a funghi se troppo bagnato e le albicocche stesse possono marcire sulla pianta: questi fattori hanno determinato la sua diffusione in climi caldi e asciutti, dove il rischio di gelate è minore e minori sono le precipitazioni.
Raccolto
Il frutto, detto drupa, ha una dimensione tra i 3,5 e i 6 cm, un colore giallo uovo-arancio con lievi sfumature rosse e una buccia leggermente vellutata. Presenta un seme singolo, che somiglia ad una mandorla. Gli albicocchi sono abbastanza precoci e cominciano a fruttificare già dal secondo anno, ma la piena produzione non inizia prima del terzo/quinto ed è più abbondante su alberi piccoli, e rami corti. Le albicocche necessitano di un periodo dai 3 ai 6 mesi per svilupparsi e maturare e sono prevalentemente raccolte a mano dai primi di maggio alla metà di luglio.
Produzioni
La raccolta, essendo frutti di modeste dimensioni e delicati, viene fatta a mano con rendimenti del lavoro non elevati (circa 20-25 kg/h utile di lavoro con forma di allevamento a palmetta e applicando la pallettizzazione; nel vaso i rendimenti sono inferiori). La resa è ovviamente superiore se meccanica: in questo caso, i frutti lesionati dovranno essere destinati alla preparazione di succhi e marmellate. Importante caratteristica è la polpa compatta per lo sciroppato, mentre per la trasformazione in liquido il succo dovrà essere limpido.
Le produzioni per ettaro sono in relazione alle densità di piantagione e alla forma di allevamento prescelta; normalmente si considera normale una produzione di 180-220 q.li/ha.

L'albicocca in cucina
Le albicocche vanno scelte ben mature e consumate entro pochi giorni dall'acquisto poiché sono frutti deperibili. Proprio per questa loro fragilità vengono conservate o trattate in numerosi modi: essiccate (specie negli USA), sciroppate e conservate in lattine o congelate. Altrettanto comuni sono i prodotti derivati: il succo, la marmellata e la gelatina di albicocca, molto usata in pasticceria per apricottare (da Apricot, il nome in inglese di tale frutto) torte e pasticcini. L'apricottatura consiste nello spennellare la superficie di una torta di gelatina di albicocche prima di glassarla. Un esempio classico di questa tecnica, molto diffusa, è la famosa torta Sacher.
Le albicocche vengono impiegate solitamente in preparazioni dolci di vario tipo come gelati, sorbetti, marmellate e gelatine, succhi e sciroppi, torte e pasticcini. Tuttavia il loro gusto lievemente acidulo le rende adatte anche ad accostamenti salati, come le salse di accompagnamento alle carni rosse. Esse vengono anche utilizzate in liquoreria: un'acquavite di albicocche viene distillata nel Canton Vallese in Svizzera e porta il nome d'Abricotine, la più rinomata proviene da un'antica varietà, la Luizet. Anche nei Balcani si ottiene un distillato d'albicocca chiamato Kajsija.
Il seme dell'albicocca quanto quello della pesca viene detto armellina. Le armelline hanno usualmente un retrogusto gradevolmente amarognolo e vengono usate in pasticceria come essenza, come ingrediente negli amaretti, in sciroppi o liquori e in generale in abbinamento alle mandorle dolci per renderne più interessante il gusto. Tuttavia il loro consumo viene limitato ad un uso aromatico poiché, come le foglie e i fiori dell'albicocco, contengono un derivato dell'acido cianidrico che, ad alte dosi, risulterebbe altamente tossico. Sebbene nel tessuto delle piante questa sostanza sia presente in percentuali molto basse e non pericolose, le armelline vanno mangiate con parsimonia ed è sconsigliabile farle mangiare ai bambini.
Valori nutrizionali
L’albicocca è uno dei frutti che presenta il maggior contenuto in carotenoidi, i quali ne determinano il caratteristico colore giallo. Le albicocche contengono in particolare il beta-carotene (o provitamina A) – che, oltre a svolgere azione antiossidante, protegge la cute dall’invecchiamento e dalle ustioni solari – e il licopene, potente antiossidante che protegge l’organismo dall’aterosclerosi e da alcuni tipi di tumore. L’albicocca possiede, inoltre, alcuni flavonoidi come la quercetina, l’acido caffeico e l’acido clorogenico che, unitamente ai carotenoidi, contribuiscono alla protezione contro le malattie cronico-degenerative. Non va, infine, dimenticata la presenza di alcuni minerali e delle vitamine del gruppo B. Il rendimento calorico, dovuto principalmente al suo contenuto in zuccheri (12,5%), si aggira sulle 47 calorie per 100 grammi di prodotto.
L'albicocca è ricca di vitamina B, C, PP, ma soprattutto di carotenoidi, precursori della vitamina A. Due etti di albicocche fresche forniscono il 100% del fabbisogno giornaliero di vitamina A di un adulto, e sono quindi indicate per favorire la protezione della cute e potenziare le capacità visiva.
L'albicocca è ricca di magnesio, fosforo, ferro, calcio e potassio, facendone un alimento irrinunciabile per chi è anemico, spossato, depresso e cronicamente stanco. Si raccomanda ai convalescenti, ai bambini nell'età della crescita e agli anziani, ma è sconsigliato a chi soffre di calcoli renali. Il sorbitolo invece conferisce all'albicocca leggere proprietà lassative. Valori nutrizionali medi: carboidrati: 6,5; proteine: 0,4; grassi: 0,1; acqua: 86,3; calorie: 28. Parte edibile: 94%; calorie al lordo: 26. Vitamina A (retinolo equivalente 360 μg/100 g p.e.[4]) Potassio: 320 mg/100 g p.e.
Come scegliere
Le albicocche maturano da maggio ad agosto. Come anche altri tipi d frutta, presentano la migliore qualità organolettica nel pieno della stagione produttiva. La provenienza può essere un parametro di scelta, e i frutti provenienti dalla Campania e dalla Romagna sono considerati pregiati. Sono da preferire i frutti più intensamente colorati, con faccetta rossa estesa, epidermide vellutata e di pezzatura medio grande.Vanno invece evitati frutti pallidi o con tracce di colore verde sulla buccia, in quanto immaturi. La consistenza leggermente cedevole indica un grado di maturazione ottimale.
Come conservare
Frutto abbastanza deperibile, l’albicocca può essere mantenuta a temperatura ambiente per due-tre giorni. In genere si preferiscono frutti molli, a maturazione più avanzata, per la loro maggior dolcezza e succosità e contemporanea diminuzione del contenuto di acidi organici. Conservate in frigorifero vanno disposte in un vassoio in un unico strato coperto da una pellicola trasparente che le protegge da una eccessiva disidratazione, e possono durare anche una decina di giorni con diminuzione, però, della loro aromaticità.

AMARENA



L'amareno (Prunus cerasus L., 1753), detto anche visciolo o amarasco, è una pianta della famiglia delle Rosacee. È un albero o arbusto alto dai 2 agli 8 metri con chioma piramidale e foglie dalla lamina di 5-8 cm e picciolo più piccolo rispetto al ciliegio. È una tipica latifoglia nobile dei nostri boschi, avendo legno pregiato, frutti commestibili, anche negli esemplari selvatici, e ottima messa a dimora del seme.
Il tronco è eretto e con corteccia liscia caratterizzata da striature orizzontali. Fiorisce poco prima del Pesco, solitamente in zone collinari o pianeggianti ciò si verifica intorno al mese di marzo, mentre in zone montane avviene più tardi, verso aprile. I fiori sono del diametro di 2-3 cm con petali bianchi, in piccole ombrelle di 2-4 elementi su peduncoli di 3-4 cm. I frutti sono retti da un peduncolo corto e sottile e hanno forma sferica di 10-15 mm. Sono di colore rosso vivo che scurisce con la maturazione. La buccia è sottile e racchiude una polpa molto succosa di sapore acido-amarognolo che si addolcisce a maturazione avanzata. Al centro del frutto vi è un nòcciolo di forma sferica e di colore chiaro che racchiude una mandorla dal sapore amarognolo.
L'origine è incerta. Per alcuni autori l'amareno proviene dall'Asia occidentale, dall'Europa dell'est o dal Medio Oriente, dalle regioni dell'Armenia e del Caucaso, altri lo considerano endemico dell'Europa centro-orientale, in quanto numerosi semi di ciliegio sono stati rinvenuti in siti preistorici centro-europei. Una leggenda narra che l'abbia portato in Italia un generale romano, Lucullo, conosciuto per la sfarzosità dei suoi banchetti. In alcuni antichi scritti si legge che Lucullo raccolse la pianta a Cerasonte, città dell'Asia Minore, e la trapiantò nei suoi giardini intorno al 65 a.C.. Oggi si rinviene spontanea nei boschi, sporadicamente fino a circa 1000 metri d'altezza.
Si adatta facilmente ad ogni clima e non ha bisogno di particolari attenzioni, crescendo spesso anche in forma selvatica. Ama il sole, ma resiste anche alle basse temperature così come sopporta anche la siccità. Non ha particolari richieste per il terreno, cresce adattandosi a qualunque tipo.
I frutti trovano largo uso in ambito culinario dove vengono usati per la produzione di sciroppi, marmellate, frutta candita e liquori come il vino di visciole. Sono molto ricchi di vitamina C e B. Anche le foglie trovano uso nella produzione di un liquore. Particolare è l'uso dei peduncoli dei frutti che vengono raccolti a piena maturazione e lasciati essiccare al sole. Hanno proprietà diuretiche e sono considerati un sedativo delle vie urinarie. Si utilizzano, quindi, come potente diuretico, come medicinale per cistite e per insufficienza renale. Il legno, pregiato come combustibile e per falegnameria, ha durame giallastro e alburno rosato venato di rosso, molto simile al ciliegio dolce.

ANANAS

L'Ananas, o ananasso, è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Bromeliaceae. È conosciuto soprattutto per la specie coltivata Ananas comosus. La parola Ananas deriva dal nome del frutto nella lingua degli indios Guaraní.
Il genere è originario del Sud America. Fu portato nelle isole caraibiche dagli indi Caribi, ed a Guadalupa venne visto per la prima volta nel 1493 da Cristoforo Colombo anche se in realtà frutti somiglianti ad ananas appaiono in alcuni mosaici romani e in una statuetta, il che fa supporre che fossero già conosciuti nell'antichità. Venne poi portato in Europa e da qui distribuito nelle isole del Pacifico dagli spagnoli e dagli inglesi. Piantagioni commerciali si trovano nelle Hawaii, nelle Filippine, nell'Asia sud-orientale, in America Latina, in Florida e a Cuba. Oggi è uno dei frutti più conosciuti.
Gli ananas sono frutti curiosi, perché tecnicamente sono infruttescenze. Le foglie coriacee sono lunghe, lanceolate e con un margine seghettato, e sono riunite in grandi rosette. L'infiorescenza fuoriesce dal centro della rosetta, i singoli fiori sono compatti su di uno stelo breve e robusto. Ogni fiore possiede un proprio sepalo; i sepali diventano carnosi e succosi e si sviluppano nel frutto, coronato da una rosetta di brattee. Una pianta di ananas produce un singolo frutto ogni 18 mesi.
La caratteristica di questo frutto è la polpa di colore giallo, rivestita da una scorza marrone, formata da placchette fuse tra loro. Il frutto contiene un enzima proteolitico: la bromelina, sostanza che accelera il metabolismo.
L'ananas contiene poche calorie (40 calorie ogni 100g). A quello in scatola viene aggiunto dello zucchero, per cui è più calorico.
Dalle foglie si ricava una fibra utilizzata per produrre corde e tessuti.
Si utilizza l'estratto secco poiché favorisce i processi digestivi e può migliorare la cosiddetta cellulite a "buccia di arancia".
Specie e varietà
Ananas ananassoides var. typicus
Ananas arvensis (Brasile)
Ananas bracteatus (Brasile)
Ananas bracteatus var. albus
Ananas bracteatus var. hondurensis
Ananas bracteatus var. paraguariensis
Ananas bracteatus var. rudis
Ananas bracteatus var. striatus (Sud America)
Ananas bracteatus var. tricolor
Ananas bracteatus var. typicus
Ananas comosus, ananas (Brasile)
Ananas erectifolius
Ananas genesio-linesii (Brasile)
Ananas guaraniticus (Argentina, Paraguay)
Ananas macrodontes (Brasile)
Ananas microcephalus (America tropicale)
Ananas microcephalus var. major (Sud America)
Ananas microcephalus var. minor (Sud America)
Ananas microcephalus var. missionensis (Argentina)
Ananas microcephalus var. mondayanus (Sud America)
Ananas microstachys var. typicus
Ananas mordilona
Ananas pancheanus (Colombia)
Ananas parguazensis (Sud America)
Ananas pyramidalis
Ananas sativus (America tropicale)
Ananas sativus var. hispanorum
Ananas sativus var. lucidus
Ananas sativus var. muricatus
Ananas sativus var. sagenarius
Ananas sativus f. typicus
Ananas sativus var. variegatus
Ananas strictus (Paraguay)
Ananas viridis
L’ananas possiede proprietà depurative e disintossicanti che facilitano la digestione soprattutto dopo pasti abbondanti e ricchi di proteine: esso contiene infatti bromelina, una sostanza che permette la scissione delle proteine (la bromelina viene distrutta dal calore, perciò non è presente nell'ananas in scatola e quando è sottoposto a cottura, ad esempio in marmellate, crostate, ecc.).
Le sue proprietà diuretiche ne fanno un ottimo rimedio utilizzato in medicina e destinato a facilitare il ricambio ed a risolvere problemi di ritenzione idrica: esso viene infatti consigliato in caso di cellulite poiché, oltre a svolgere un'efficace azione drenante, aiuta il riassorbimento del gonfiore.
L'ananas, inoltre, contiene principi attivi ad azione fibrinolitica i quali, andando ad agire a livello dei vasi sanguigni, riducono la vasodilatazione e l'eccessiva permeabilità dei capillari, situazioni che possono determinare infiammazioni o dolori localizzati.
CENNI STORICI
L’ananas è originario del Sud America. Fu portato nelle isole caraibiche dagli indi Caribi, ed a Guadalupe fu visto per la prima volta nel 1493 da Cristoforo Colombo. Fu portato in Europa e da qui fu distribuito nelle isole del Pacifico dagli spagnoli e dagli inglesi. Si trovano piantagioni commerciali nelle Hawaii, nelle Filippine, nell'Asia sud-orientale, in America Latina, in Florida e a Cuba. Oggi è uno dei frutti più conosciuti.
COLTIVAZIONE
Attualmente la specie è coltivata su larga scala in Africa (Costa d’Avorio), nelle due Americhe (U.S.A., Messico, Brasile), in Asia (Malesia, Tailandia, Filippine, Cina) e in Australia. La produzione mondiale si aggira sui 5 milioni di tonnellate.
Oltre al consumo locale e al commercio dei frutti freschi, una gran parte del raccolto è destinata all’inscatolamento (l’ananas è in assoluto il frutto in scatola più consumato in Europa) mentre il resto è usato per la preparazione di succhi, confetture e cubetti per macedonie.
VARIETA'
L'ananas è un falso frutto, costituito dall'insieme di un centinaio di frutti (le placchette di colore giallo o verde) saldati insieme. Ha numerose varietà, le più coltivate sono:
- Queen: piccoli (un chilo al massimo), gustosi, aromatici, zuccherini, dalla polpa giallo intenso. Data la bassa acidità, vengono utilizzati soprattutto per i dolci nelle ricette di pasticceria
- Cayenne: dimensioni medio grandi, polpa succosa, chiara, consistente, dolce, è l’ananas perfetto per le preparazioni sciroppate e per la conservazione. La tipologia principale, che raggiunge l’Europa e gli Stati Uniti è la Smooth Cayenne.
- Abacaxi: tra le oltre cento varietà di ananas, quelle riconducibili alla famiglia Abacaxi sono le meno conosciute. Polpa zuccherina e buccia sottile, sono coltivate quasi esclusivamente per l’autoconsumo e vendute nei mercati dell’America Latina
- Spanish: la spagnola più pregiata (Red Spanish) ha forma panciuta, ciuffo chiaro, buccia spessa di colore arancio. Grazie alla sua polpa turgida, acidula, leggermente fibrosa, si presta sia al consumo come semplice frutta, sia come ingrediente nella cucina agrodolce
COME SCEGLIERE
L’ananas si trova facilmente tutto l’anno, perchè importato. Deve avere buccia brillante, tesa, senza ammaccature. Le foglie devono essere di un verde brillante, il profumo dolce ed intenso. Preferire frutti sodi, pesanti e molto profumati. Se l’ananas è maturo, le foglie si staccano facilmente. Il colore della linea di demarcazione che separa le varie placche denota il grado di maturazione del frutto:
- verde: acerbo
- marrone: troppo maturo
- giallo-arancione: pronto da consumare.
COME CONSERVARE
Conservare l'ananas a temperatura ambiente, in luogo fresco e asciutto, fino al giusto grado di maturazione. Per tardare la maturazione conservare in frigorifero nello scomparto della frutta e verdura; ma è preferibile comperarlo poco prima di consumarlo, per evitargli lo choc del frigorifero (l’ananas è un frutto caraibico e come tale odia il freddo), dove può essere messo nell’ora che precede il momento di gustarlo.
L'ananas deve essere consumato sbucciato. Per rimuovere la buccia eliminare le estremità, toglierla con un coltello e rifinire la superficie esterna eliminando gli occhi pungenti, residui interni delle placche. Una volta aperto, si conserva in frigo per 3 o 4 giorni posto in un sacchetto.

AVOCADO


L'avocado (Persea americana Mill.) è una specie arborea da frutto che appartiene alla famiglia delle Lauracee. La parola avocado (invariabile in italiano) è un prestito dall'inglese avocado che a sua volta deriva dallo spagnolo aguacate e quindi dal nahuatl (o azteco) āhuacatl, parola che indica il frutto e che significa testicolo, per analogia alla forma di quest'organo. L'avocado è originario di una vasta zona geografica che si estende dalle montagne centrali ed occidentali del Messico, attraverso il Guatemala fino alle coste dell'Oceano Pacifico nell'America centrale.
L'albero è di taglia media e misura circa 10 metri d'altezza, anche se può raggiungere i 15-20 m.
La chioma è ampia e frondosa ed il tronco è ricoperto di una scorza grigiastra.
Le foglie persistenti, lunghe dai 12 ai 25 cm, sono semplici, ovali e di colore verde.
I fiori misurano 5-10 mm.
Il frutto è una drupa a forma di pera, lunga dai 7 ai 20 centimetri e con un peso che può variare dai 100 ai 1000 g. Presenta un grosso seme centrale di 3-5 cm di diametro. La polpa è di colore giallo verde o giallo pallido, l'epicarpo (o buccia) può essere di colore verde o melanzana, liscio o rugoso.
L'avocado si adatta a climi tropicali o sub-tropicali e soffre temperature inferiori ai 4 °C.
I maggiori paesi produttori sono, nell'ordine, Messico, Dominicana, Colombia, Perù, Indonesia, Kenya, Stati Uniti, Cile e Brasile.
A livello casalingo si può far crescere una bella pianta facendo radicare il seme (a punta in su) nell'acqua, per poi trapiantarlo in terra ben drenata.
Cultivares e varietà
La P. americana ha una grande distribuzione sul mercato mondiale e ne sono state create numerose varietà.
Ardith: Varietà coltivata sulla fascia costiera di Israele, considerato di ottima qualità, ha la polpa cremosa e la pelle rugosa, di colore verde.
Azul o negro: Pelle sottile e polpa abbondante. Si produce nelle regioni di Tancítaro, Uruapan e Peribán, ma su scala minore delle varietà Hass e Méndez a causa della sua delicatezza nel trasporto a grandi distanze.
Bacón: Originaria di California. Pelle fina e verde brillante.
Carmero: Originaria della regione di El Carmen de Bolívar, Colombia. Pelle verde scuro quando molto matura, liscia, si separa facilmente dalla polpa, la quale è cremosa e senza fibre.
Criollo: Originaria del Messico e Centroamerica. Varietà originale non selezionata. Pelle commestibile molto sottile e scura quando maturo
Edranol: Originaria del Guatemala. Pelle fina, rugosa e verde scuro quando matura.
Ettinger: Pelle sottile, fina e brillante. Uno dei produttori principali è Israele, dove rappresenta il 25 %-30 % delle piantagioni.
Fuerte: Originaria del Messico e Centroamerica. Pelle con asperità, si separa facilmente dalla polpa.
Hass: Originaria di California. Pelle spessa, rugosa, si pela con facilità e presenta un colore scuro quando matura. La polpa è cremosa e senza fibre.
Méndez: Originaria del Messico. Varietà originale. Pelle spessa e rugosa, colore verde scuro quando maturo. La polpa è cremosa e senza fibre. Il nome proviene al suo creatore Carlos Méndez Vega.
Negra de la Cruz: Nota anche come Prada o Vicencio. Originaria del villaggio di Olmué, nella regione di Valparaíso, in Cile, per ibridazione naturale nella quale può aver avuto un'influenza la varietà messicana leucaria. La pelle è color rosso scuro o nera.
Pahua o palto: Pelle spessa e polpa dall'aspetto grasso.
Sharwil (Kona Sharwil): Originario delle isole Hawaii, ne rappresenta la principale produzione di avocado, ma che non può venir esportata sul continente a causa di restrizioni dettata dal USDA. L'albero ha piccole dimensioni, mentre il frutto è dalla pelle verde scura e spessa.
Torres: Varietà originata per ibridazione e selezione a Famaillá, in Argentina.

BANANA

Il termine banana indica la bacca della pianta del banano, della famiglia delle Musaceae. Il frutto si sviluppa (nella specie e nelle varietà commestibili) in una serie di grappoli. Le banane pesano tipicamente 90-200 g (circa il 20% del peso è da attribuire alla buccia), benché questo peso vari considerevolmente fra le differenti cultivar. Tipicamente consumato crudo, in alcune tradizioni viene consumato anche cotto.
Quasi tutte le moderne banane partenocarpiche utilizzate a scopo alimentare provengono dalle specie Musa acuminata e Musa balbisiana. Il nome scientifico delle banane è Musa acuminata, Musa balbisiana o l'ibrido Musa acuminata × balbisiana, a seconda della costituzione del loro genoma. I vecchi nomi scientifici Musa sapientum e Musa paradisiaca non sono più in uso.
Nella cultura popolare e nel commercio "banana" di solito si riferisce alle morbide e dolci banane utilizzate come frutta. Invece le cultivar di Musa con frutti più duri e ricchi d'amido vengono talvolta chiamate "platani", un prestito dello spagnolo plátano. Questa distinzione tuttavia è puramente arbitraria; le parole platano e banana sono spesso intercambiabili quando il tipo di frutto è desumibile dal contesto. In Italia possono sopravvivere alcune cultivar di banana. In particolare la cultivar comune di Sicilia è abbastanza rustica in Sicilia dove riesce a portare a maturazione i frutti.
La parola banana potrebbe venire dall'arabo banan, che significa "dito", ma si ritiene più probabile che derivi da una lingua dell'Africa occidentale subsahariana, forse dalla parola della lingua wolof banaana.
Intorno al 1516 la pianta di banana fu introdotta dai portoghesi in America dall'Africa. In quell'occasione la parola entrò a far parte della lingua portoghese e della lingua spagnola.[4] La banana, che non era ancora stata importata in Europa, veniva descritta nel 1601 come "il frutto che profuma di rosa".
La pianta di banana è la più grande pianta erbacea dotata di fiore. Le piante sono generalmente alte e robuste e spesso sono scambiate per alberi ma il loro fusto principale è in effetti uno pseudofusto che cresce fino a 6-7 metri, e che cresce da un bulbo-tubero. Ogni pseudofusto può produrre un singolo casco di banane. Dopo la fruttificazione lo pseudofusto muore ma polloni laterali possono svilupparsi. Molte varietà di banane sono perenni.
Le foglie sono disposte a spirale e possono crescere fino a 2,7 metri di lunghezza e 60 centimetri di larghezza. Sono facilmente lacerate dal vento, col risultato di apparire spesso sfrangiate.
Ogni pseudofusto generalmente pruduce una singola infiorescenza, nota anche come cuore di banana (Qualche volta ne vengono prodotte di più; una pianta eccezionale nelle Filippine ne ha prodotte cinque.). L'infiorescenza contiene molte brattee (a volte chiamate scorrettamente petali) tra le proprie file di fiori. I fiori femminili (che possono svilupparsi in frutti) appaiono in file più in alto sul fusto, rispetto a dove spunteranno i fiori maschili. L'ovario è infero, significa quindi che i piccoli petali e le altre parti del fiore sono situate in cima all'ovario.
I frutti di banana si sviluppano dal cuore di banana, in una grande massa pendula, fatto di file di frutti (chiamate mani), con fino a 20 frutti per fila. La massa dei frutti è nota come casco, comprendendo 3–20 mani, e può pesare 30–50 kg. I singoli frutti maturano con il fiore rivolto verso l'alto, non verso il basso.
I frutti individuali di banana (comunemente noti come banane o dita) pesano in media 125 grammi, dei quali circa il 75% è acqua e il 25% materia secca. C'è uno strato protettivo esterno (una buccia o pelle) con numerosi lunghi e sottili fili (il floema), che corrono lungo tutta la lunghezza tra la buccia e la parte interna commestibile. La parte interna della comune varietà di banane da dessert si divide facilmente lungo la sua lunghezza in tre parti distinte che corrispondono alle parti interne dei tre carpelli.
Il frutto è stato rappresentato come una bacca cuoiosa. Nelle varietà coltivate i semi sono piccoli fino quasi al punto della non esistenza; i loro resti sono piccoli puntini neri all'interno del frutto.
Il sapore e la struttura di molti tipi di banane sono influenzati dalla temperatura a cui maturano, e dal grado di maturazione: i frutti fatti maturare per più tempo e a temperature maggiori avranno minore consistenza e saranno più dolci rispetto a quelli più acerbi e cresciuti in ambiente più rigido o ventilato, che saranno quindi più turgidi e meno saporiti. Il colore della polpa evolve dal verde verso il giallo e, in avanzato stato di maturazione, tende a manifestare chiazze marroni corrispondenti ad accumuli di zuccheri. Il livello di maturazione è visibile anche dal colore della buccia: tendente al verde nelle banane acerbe, al giallo scuro con piccole chiazze marroni in quelle molto mature, al giallo acceso nelle altre (quelle di maggior diffusione in ambito commerciale).
Le banane maturano generalmente nella stagione primaverile/estiva del luogo in cui si trovano (l'emisfero meridionale). È nota la tendenza di questo frutto a maturare anche dopo essere stato colto dalla pianta: questo processo è dovuto all'emissione di etilene da parte della banana stessa e caratterizza in generale tutti i cosiddetti frutti climaterici (anche se nel caso della banana il fenomeno è particolarmente marcato). Il fenomeno è accelerato dalle temperature elevate, che influiscono sulla maggiore produzione di etilene, dalla ridotta ventilazione e dalla presenza di altri frutti climaterici, quali mele, pomodori o altre banane, nelle vicinanze. In alcuni processi industriali, le banane vengono messe in ambiente non ventilato e a contatto con etilene prodotto artificialmente proprio per velocizzare la maturazione e ottenere così frutti più dolci in minor tempo.
Le banane sono naturalmente lievemente radioattive, più di quanto lo siano generalmente gli altri frutti, a causa del loro alto contenuto di potassio, e di conseguenza del relativamente abbondante contenuto di potassio-40, che si trova naturalmente mischiato col potassio. Qualche volta ci si riferisce alla dose equivalente ad una banana di radiazione per far comprendere i livelli di rischio della radioattività.
Mentre le banane originarie contenevano molti semi, varietà senza semi e triploidi sono state selezionate per il consumo umano. Queste si propagano asessualmente dai rami della pianta. Questi rami sono chiamati follower o sucker nel commercio, e uno o due di essi sono la fonte per il nuovo ceppo di frutta che la pianta produce, perché questa è normalmente abbattuta al momento della raccolta.
Nelle regioni tropicali questo tipo di frutto è disponibile per tutto l'anno, il che spiega il motivo per cui la quasi totalità delle banane proviene proprio da questi paesi. Nel commercio globale, la più importante varietà di banana coltivata è la Cavendish.
Le banane sono tra i frutti più consumati al mondo. Tuttavia, i coltivatori di banane ricavano esigui guadagni. Per questa ragione le banane sono disponibili come articoli del commercio equo in alcuni stati. La banana ha una storia commerciale che inizia con la fondazione della United Fruit Company alla fine del XIX secolo. Per gran parte del XX secolo, le banane e il caffè hanno dominato le esportazioni dell'America Centrale. Negli anni trenta, le banane e il caffè hanno contribuito per il 75% al volume delle esportazioni regionali. Più tardi, nel 1960, i due raccolti hanno realizzato il 67% delle esportazioni della regione. Sebbene i due prodotti crescano nelle stesse regioni, non hanno la tendenza a disturbare il mercato a vicenda. La United Fruit Company basava i suoi affari quasi interamente sul commercio di banane, visto che il commercio di caffè era troppo difficile da controllare. Il termine banana republic è stato largamente utilizzato per i paesi della regione centro americana, ma in senso strettamente economico è applicabile solo a Costa Rica, Honduras e Panama, che sono state effettivamente repubbliche delle banane, ossia paesi la cui economia è guidata dal commercio delle banane.
Le banane contengono circa il 74% di acqua, il 23% di carboidrati, l'1% di proteine, lo 0.5% di grassi, e il 2.6% di fibre alimentari (questi valori variano a seconda delle diverse coltivazioni di banane, del grado di maturazione e delle condizioni di crescita). In una banana acerba, i carboidrati sono prevalentemente amidi, che, nel processo di maturazione, vengono convertiti in zuccheri. Una banana ben matura ha solo l'1-2% di amido.
la banana e' ricca di vitamina A, B e C (che aiutano a prevenire le malattie cardiovascolari ed hanno notevoli virtu' antiossidanti), di sali minerali quali il calcio, il ferro, il fosforo e soprattutto il potassio (che aiuta a riequilibrare la presenza di liquidi nell’organismo ed e' un efficiente aiuto al sistema cardiovascolare), di zuccheri e carboidrati (che esplicano un’azione positiva sulla flora intestinale regolarizzandone le funzioni). E’ ricca di fibre ed ha un notevole potere saziante e nutriente, ma e' pur sempre la meno indicata nelle diete e, per la presenza degli zuccheri, a chi soffre di diabete. Fornisce 65 kcalorie per 100 g. di polpa, che rappresentano circa il 65% del frutto.
Poco adatto alle diete dimagranti, dato il suo scarso contenuto di acqua, in favore di un più alto contenuto di glucidi divisi tra zuccheri e amidi, che apportano un alto contenuto di calorico
CENNI STORICI
La domesticazione del banano avvenne nell'Asia sud-orientale in epoca preistorica. Ancora oggi si trovano molte specie di banane selvatiche in Nuova Guinea, Malesia, Indonesia e Filippine.
Recenti prove archeologiche e paleoambientali nelle paludi del Kuk, nella Western Highlands Province della Papua Nuova Guinea suggeriscono che la coltivazione della banana risalga almeno al 5000 a.C. e forse anche all'8000 a.C.. Ciò farebbe degli altopiani della Nuova Guinea il luogo in cui il banano fu domesticato. È probabile che altre specie di banani selvatici siano stati domesticati successivamente in altre zone dell'Asia sud-orientale.
La banana è menzionata per la prima volta nella storia scritta in testi buddistici del 600 a.C. Alessandro Magno scoprì il sapore della banana nelle valli dell'India nel 327 a.C.. L'esistenza di una coltivazione organizzata di banane è stata riscontrata in Cina almeno dal 200 d.C.. Nel 650, i conquistatori islamici portarono la banana fino alla Palestina. I mercanti arabi diffusero successivamente le banane in quasi tutta l'Africa.
Nel 1502, i coloni Portoghesi iniziarono le prime piantagioni di banane nei Caraibi e in America Centrale.
COLTIVAZIONE
Le banane sono tra i frutti più consumati al mondo. Tuttavia, i coltivatori di banane ricavano esigui guadagni. Per questa ragione le banane sono disponibile come articoli di commercio equo in alcuni stati. La banana ha una storia commerciale che inizia con la fondazione della United Fruit Company alla fine del diciannovesimo secolo. Per gran parte del XX secolo, le banane e il caffè hanno dominato le esportazioni dell'America Centrale. Negli anni '30, le banane e il caffè hanno prodotto il 75% delle esportazioni regionali. Più tardi, nel 1960, i due raccolti hanno realizzato il 67 % delle esportazioni della regione. Sebbene i due prodotti crescano nelle stesse regioni, non hanno la tendenza a disturbare il mercato a vicenda. La United Fruit Company basava i suoi affari quasi interamente sul commercio di banane, visto che il commercio di caffè era troppo difficile da controllare. Il termine "banana republic" è stato largamento utilizzato per i paesi della regione centro americana, ma in senso strettamente economico è applicabile solo a Costa Rica, Honduras, e Panama che sono state effettivamente repubbliche delle banane, ossia paesi la cui economia è guidata dal commercio delle banane.
VARIETA'
Le varieta' principali di banane sono la “Musa Sapientium”, la “Musa Cavendishii” e la “Musa Paradisiaca”: le prime due sono ricche di zuccheri e adatte ad essere mangiate crude; la terza, meno zuccherina e piu' ricca di amido, viene cucinata oppure fatta essiccare per ricavarne una farina.
E’ presente nei mercati tutto l’anno ed e' raccolta ancora acerba: viene trasportata con navi frigorifere dove la temperatura e' mantenuta sui 12°, e fatta maturare alzando gradatamente la temperatura e trattandola con etilene (aumenta cosi' la colorazione gialla, diminuiscono i tannini e l’amido si trasforma in zuccheri).
COME SCEGLIERE
Il frutto deve presentare le coste della buccia arrotondate, con la sola punta verde: entro 2-3 giorni, a temperatura ambiente, risulterà pronta da mangiare.
COME CONSERVARE
Le banane si conservano a temperatura ambiente e mai in frigorifero, dove la buccia diventerebbe subito nera (anche se la polpa rimane comunque soda e compatta).
A temperatura ambiente, in un luogo fresco e asciutto, le banane si mantengono 1 settimana circa. Non conservarle assieme alle verdure, poiché producono etilene, che è in grado di deteriorarle.
Se la buccia diventa parzialmente o totalmente nera, non significa che il frutto non sia buono, anche se la maturazione ideale è quella in cui la buccia della banana ha il tipico aspetto tigrato. In questo stadio gli amidi si sono trasformati in zucchero rendendo la banana più dolce e digeribile.
Se una banana matura viene a contatto con banane verdi ne accelera la maturazione, poiché ne attiva l'etilene.

CASTAGNA
La castagna è il frutto del castagno a differenza della castagna dell'ippocastano che invece è un seme. Le castagne derivano infatti dai fiori femminili (solitamente 2 o 3) racchiusi da una cupola che poi si trasforma in riccio. La castagna è un achenio, ha pericarpo liscio e coriaceo bruno scuro, all'apice è presente la cosiddetta torcia, cioè i resti degli stili, mentre alla base è presente una cicatrice più chiara denominata ilo.
La forma dei frutti dipende, oltre che dalla varietà delle castagne, anche dal numero e dalla posizione che essi occupano all'interno del riccio: emisferica per i frutti laterali e schiacciata per quello centrale; i frutti vuoti, abortiti, di forma appiattita sono detti guscioni.
Non si conoscono le esatte origini del castagno. Ritrovamenti di reperti fossili attestano che l'albero dovrebbe derivare da un ceppo originatosi nel Terziario, circa 10 milioni di anni fa e che in periodo a clima caldo si era diffuso in Asia, in Europa e nelle Americhe.
Sull'indigenato del castagno in Italia si è molto discusso. Le ricerche di E. Ferrarini e G. Covella attestano, sulla base di analisi di pollini fossili diversi reperiti nei fanghi di laguna della pianura costiera apuana, la presenza di una cenosi di castagno risalente a circa 10.000 anni fa, conservatasi nella parte più protetta delle Alpi Apuane. Questo dimostrerebbe che il castagno ha saputo resistere alle ondate di freddo glaciale che si sono susseguite nel tempo; pertanto, l'ipotesi che l'ultima ondata di freddo di circa 10.000 anni fa lo avrebbe fatto scomparire, per poi ritornare dall'Asia Minore portato dall'uomo, è stata abbandonata.
Molteplici sono gli scritti dai quali si evince che la castagna era conosciuta in Grecia sin dall'antichità. Tuttavia, il fatto che in essi vengano utilizzate diverse espressioni per indicarla, ha spesso causato dubbi e confusioni.
Già Ippocrate (IV sec. a.C.) parla di “noci piatte” di cui esalta, una volta giunte a maturazione, il valore nutritivo, lassativo e, nel caso vengano utilizzate le bucce, anche astringente.
Nello stesso periodo Senofonte chiama “noce piatta senza fessure”, un frutto che offre una buona nutrizione alle popolazioni anatoliche di Ordu e Giresun, testimoniando così la presenza della coltura in Asia Minore.
Teofrasto (IV sec. a.C.) nella Storia Delle Piante parla di “ghianda di Giove” riferendosi alla castagna e segnala la presenza di castagni nell'isola di Eubea,  nell'isola di Creta, in Magensia e sul monte Ida.
Nicandro (III sec. a.C.) elenca ben quattro varietà di castagne: Lopima (difficile da  sbucciare), Malaca (la tenera), Gimnolopa (senza peluria) e Sardinia (dal nome della città di Sardi, capitale della Lidia).
Le castagne erano conosciute anche nell'antica Roma.
Catone il Censore (II sec. a.C.) nel suo trattato De Agricoltura parla di “noci nude”.
Marco Terenzio Varrone (I sec. a.C.) nel suo manuale De re rustica menziona un frutto, castanea, venduto nei mercati frutticoli della Via Sacra a Roma e che, come l'uva, veniva offerto in dono dai giovani innamorati alle donne amate.
 Virgilio afferma nella I e nella VII Egloga delle Bucoliche che il castagno era presente intorno al 38 a.C. e descrive la pianta come albero da frutto comune e ben coltivato; con le foglie si facevano materassi e il frutto, castanea, era comune e pregiato.
 Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) attribuisce l'origine della coltura all'Asia Minore e conferma la diffusione del frutto in Italia; considera le castagne affini alle ghiande e si chiede perché la natura abbia nascosto con tanta premura in una «cupola irta di spine» un frutto di «scarso valore».
Plinio si sofferma sull'utilizzo del frutto in ambito culinario:
«…Sono più buone da mangiare se tostate; vengono anche macinate e costituiscono una sorta di surrogato del pane durante il digiuno delle donne» (Plinio fa riferimento ai culti femminili di Cibele, di Cerere e di Iside, in cui era proibito l'uso di cereali, sostituiti con pane di castagne).
Poi distingue sei varietà pregiate di diverse zone, indicandone le qualità: «Le tarantine sono facili da masticare e leggere da digerire e hanno forma piatta. Più tondeggiante è la cosiddetta balanitide facilissima da mondare, si stacca spontaneamente dalla buccia senza residui. Piatta è anche la salariana, mentre la tarantina è meno flessibile, la corelliana è più pregiata e così anche la tereiana, una varietà che da essa deriva con un procedimento di cui parleremo a proposito degli innesti, la cui scorsa rossastra la fa preferire alle varietà triangolari ed alle nere comuni, dette da cottura. Terra d'origine delle qualità più pregiate sono Taranto e in Campania, Napoli. Tutte le altre specie sono fatte crescere per servire da cibo ai maiali, poiché la buccia si riproduce con scrupolo anche all'interno dei frutti».
Plinio prende in considerazione anche la modalità di conservazione del frutto e il suggerimento era quello di sistemare i frutti in sabbia o vasi di terracotta, riposti in cassoni ripieni di paglia.
Con le grandi vittorie di Roma e la conquista di nuovi territori, la coltura si estese oltre il suolo italico e in poco tempo tutta l'Europa centro-meridionale venne interessata alla coltura e i castagneti da frutto si ritrovarono in Portogallo, Spagna, Francia, Svizzera e Inghilterra meridionale.
Col tempo per indicare la castagna del bacino del Mediterraneo è stato adottato il termine “sativa” (Castanea sativa Miller) per distinguerla dalle altre specie: americana e asiatica.
In Europa ai tempi dell'incremento demografico del XII sec., la domanda di nuovi spazi verdi da mettere a coltura aumentò vertiginosamente. Si accrebbe anche, dove era possibile praticare la coltivazione del castagno, la superficie delle selve castanili, dato testimoniato dall'infittirsi dei documenti riguardanti i castagneti. Molte Comunità, infatti, cominciarono a preoccuparsi di regolamentare, attraverso leggi e statuti, la gestione dei boschi e dei castagneti.
Ad esempio il governo lucchese nel 1483 aveva istituito dei “provisores castanearum” e nel 1489 una magistratura, l'Offizio sopra le Selve, al fine di salvaguardia delle stesse. Lo Statuto prevedeva pene per tutti coloro, proprietari e forestieri, che, trasgredendo le disposizioni previste, commettessero atti criminali provocando incendi, tagli e altri danni più o meno gravi.
Nel Medioevo le castagne diventano frutti conosciuti ed apprezzati come testimoniano i manoscritti di moltissimi uomini del tempo; nell'edizione di Parigi del 1486 il Cris de Paris attribuisce alle castagne provenienti dalla Lombardia il pregio di essere le migliori disponibili sui mercati della capitale francese, fatto che testimonia l'ormai affermata commercializzazione delle produzioni sovrabbondanti.
Sempre in Lombardia, nella seconda metà del Quattrocento, il medico sabaudo Pantaleone da Cofienza elogia la dieta montanara costituita prevalentemente da castagne, latte e latticini, affermando che essa è in grado di offrire una nutrizione completa.
Gli scritti di questo periodo testimoniano anche la scoperta di varie modalità di raccolta delle castagne e si opera una distinzione tra castagna virida, cioè non matura e ancora dentro al riccio (o cardo), munda se priva di riccio e passata al vaglio, sicca se essiccata e sbucciata, pista se dopo essiccazione e sbucciatura veniva macinata e frantumata per la preparazione di zuppe o farinacci.
Le castagne non solo si ritrovano come frutta di stagione o trasformate sui mercati delle città e anche sulle tavole dei ricchi, ma sono ormai diventate merce di scambio e di pagamento, come il grano, nonostante il frutto spunti prezzi sempre più bassi rispetto ad avena, segale e noci.
Alla fine del Quattrocento, periodo di guerre e momenti di crisi, l'uso della farina di castagne si diffonde ulteriormente, compensando la carenza di cereali. Da tenere presente che anche la macinazione delle castagne poteva avvenire in ambito domestico e non prevedeva quindi il pagamento delle tasse sul macinato.
Nell'Età moderna le castagne, ormai conosciute in tutta Europa, assumono un ruolo fondamentale nella storia agraria italiana diventando una voce costante nelle esportazioni verso altri Stati, soprattutto nei momenti minacciati da guerre e carestie, quando incombe la necessità di provvedere alle bocche da sfamare garantendosi scorte agricole disponibili.
Un'ulteriore conferma del forte incremento della coltura, nel periodo che va dal 1500 al 1800, sono i numerosi essiccatoi costruiti un po' ovunque.
Nel Novecento la castanicoltura italiana si evolve in maniera travagliata: nella prima metà del secolo, con le sue produzioni diversificate, la castanicoltura continua a mantenere un ruolo strategico per la sopravvivenza di una larga fascia di popolazione della montagna italiana. Le produzioni rimangono importanti soprattutto rispetto agli altri scomparti frutticoli (la castagna copre il 45% della produzione frutticola italiana); oltre a soddisfare un consistente consumo nazionale, la castagna diventa oggetto di una vivace commercializzazione sia sui mercati europei che di Oltreoceano. Negli anni 1951-52 si registrò una produzione record con una media di ql. 9,38 per ettaro ed una raccolta nazionale stimata intorno a ql. 1.692.000 di castagne raccolte, dati eccezionali che si registrarono soprattutto grazie ad una delle piovosità estive più alte della seconda metà del Novecento: 217,6 mm dei quali ben 121,6 ad agosto, mese in cui il frutto ha più bisogno di acqua per prendere consistenza.
Dopo questo prosperoso periodo, nella seconda metà del Novecento la castanicoltura ha manifestato una notevole crisi determinata da molteplici fattori; in modo particolare ha inciso l'ulteriore sviluppo dell'industria, che ha spinto la popolazione di montagna ad abbandonare le campagne e le colture più disagevoli, diminuendo, quindi, le cure e le attenzioni verso i castagneti.
L'importanza che il frutto ha da sempre rivestito nella coltivazione del castagno è testimoniata da tutta una serie di documenti che ne segnano il cammino via via nel tempo e fanno capire come essa influenzò la cultura e la politica dei luoghi. Del resto la vita delle persone è stata strettamente legata ad essa, in quanto la castagna ha rappresentato per lungo tempo una delle fonti principali per l'alimentazione e non a caso è stata soprannominata “il cereale che cresce sull'albero”, perché molto simile al riso ed al frumento dal punto di vista nutrizionale. Ciò ha fatto sì che si potessero trovare diversi modi di propagazione della pianta, cercando di affinarne le qualità, aumentarne le varietà e conseguentemente migliorarne il frutto che poteva essere utilizzato fresco, secco o macinato ai molini.
Molte sono le varietà dei castagni e di conseguenza anche delle castagne. Tali varietà dipendono innanzi tutto dall'altezza e dai luoghi in cui si coltivano, così che il paesaggio delle selve si configura con caratteristiche che variano da luogo a luogo.
L'Inchiesta Agraria di Jacini ricorda molte varietà di castagni domestici, diversi fra loro sia per la grossezza del frutto sia per la qualità della farina ottenuta, che può essere più o meno dolce e conservabile, a seconda della resistenza della pianta alle temperature.
Marchi di tutela attribuiti dall'Unione europea a castagne italiane
Castagna di Montella (IGP),  del Monte Amiata (IGP), Cuneo (IGP), di Vallerano (DOP), Marrone del Mugello (IGP), di Castel del Rio (IGP), di San Zeno (DOP), di Roccadaspide (IGP), del Monfenera (IGP), di Combai (IGP), di Caprese Michelangelo (DOP), della Valle di Susa (IGP), Farina di Neccio della Garfagnana (DOP), di castagne della Lunigiana.
Raccolta
La raccolta delle castagne avviene in tempi diversi a seconda delle aree geografiche. In Italia generalmente la castagnatura inizia verso la fine di settembre e in passato questa attività (che copriva un periodo di tempo di circa 10-15 giorni dal mattino alla sera) era considerata uno fra gli avvenimenti più importanti della vita agricola.
In Garfagnana (LU) i proprietari delle selve che avevano necessità di manodopera si recavano a Castelnuovo Garfagnana, in occasione del mercato settimanale, l'ultimo giovedì di settembre e il primo d'ottobre. Nella piazza principale avveniva il “mercato delle Lombarde” (Lombardi erano chiamati gli abitanti delle province di Modena e Reggio Emilia). Qui si sceglievano le donne e si prendevano con loro accordi circa il trattamento giornaliero, il salario, i giorni di inizio e fine lavoro.
Abbacchiatura: modalità in genere eseguita dagli uomini con la quale i cardi non ancora maturi, caduti a terra dopo essere percossi con pali, vengono raccolti con pinze di legno e posti in un locale (ricciaia o ericerio) per poi farvi uscire le castagne battendoli. Questa tecnica, oggi molto rara per i danni che arreca alla pianta, era normalmente praticata nel corso del Medioevo in funzione del sistema di conservazione, come attestano scritti del periodo. I cumuli di ricci ancora chiusi venivano ricoperti con uno strato di foglie e terra, ben pressato e bagnato a intervalli regolari, sì da favorire il processo di fermentazione dei semi, che in questo modo si mantenevano sani e  freschi fino a primavera. Più tardi anche Michelangelo Tanaglia nel suo De Agricoltura propone l'abbacchiatura e la costituzione della ricciaia, ma solo per favorire l'apertura dei ricci: i semi, infatti, dovrebbero essere liberati dopo circa due settimane e conservati sottosabbia per mantenersi fino a maggio.
Raccolta delle castagne da terra: modalità in genere affidata alle donne e ai ragazzi. Le castagne, a terra per l'apertura o la caduta spontanea dei ricci, venivano raccolte con l'utilizzo di un particolare tipo di rastrello, dentato da un lato e a punta dall'altro, per essere poi depositate nel seccatoio (o metato).
In questo periodo l'accesso nelle selve altrui era vietato da Statuti rurali, che riguardavano sia il transito degli individui sia il pascolo delle bestie.
Terminata l'opera di raccolta aveva inizio il “ruspo” (raccolta da parte dei poveri delle castagne rimaste sul terreno) e successivamente “il rumo” (possibilità di accesso degli animali nelle selve).
Essiccatoio
L'essiccazione è un procedimento attraverso il quale le castagne (in genere quelle più piccole) vengono essiccate al fine di ridurle a farina. Se si trattava di piccole quantità di prodotto si ricorreva all'essiccazione naturale, stendendo le castagne al sole sulle terrazze; per quantitativi più rilevanti, a seconda delle risorse finanziarie dei proprietari, si utilizzavano gli essiccatoi che si potevano trovare all'interno della stessa abitazione o isolati, in prossimità delle case, al margine dei castagneti, al centro oppure sparsi per le selve.
L'essiccatoio (secou o scáu in Piemonte, metato in Toscana) era per lo più costruito in pendio per poter accedere direttamente al piano superiore, generalmente di pianta quadrata o rettangolare e con struttura in muratura. Il tetto a doppio spiovente inizialmente era ricoperto di paglia o di foglie, poi di lastre di pietra o tegole.
Dal lato della facciata, che presenta un aspetto “cuspidale”, si apre la porta d'ingresso, su quello opposto proprio sotto il tetto c'è una piccola finestra, sui muri laterali sono realizzate delle aperture. Davanti alla porta d'ingresso può esserci una tettoia per eseguire le operazioni di battitura e conservare la legna da ardere; talvolta, l'essiccatoio presenta anche un locale annesso per gli attrezzi. All'interno è formato da due piani; a circa due metri da terra si trovano dei travicelli disposti trasversalmente i quali sostengono un canniccio in modo che tra l'una e l'altra canna sia lo spazio di un centimetro circa: qui si buttano le castagne man mano che vengono raccolte (strato minimo 20 cm, strato massimo 50 cm) attraverso la finestrina.
Le castagne devono essere rigirate spesso e questo comporta la presenza continua di qualcuno. Se l'essiccatoio è vicino si può tornare a casa ogni sera, ma se è lontano una volta alla settimana, in genere la domenica. Al piano terreno si accende il fuoco che deve essere tenuto vivo giorno e notte per circa un mese, a seconda del quantitativo delle castagne, in modo contenuto (se la temperatura è troppo alta la farina sarà scadente) ed alimentato tre volte al giorno con legna di castagno o prodotti forestali di scarto. Il calore costante è garantito dall'utilizzo della pula dell'anno precedente. Quando battendo una castagna contro un'altra esse si sbucciano l'essiccazione è completata; allora si toglie il fuoco, si pulisce il pavimento dell'essiccatoio e si fanno cadere le castagne dai cannicci per accantonarle in un angolo e procedere alla battitura, quando sono ancora calde.
“Si va a levar la volpe” è una vecchia espressione lucchese con la quale s'indicava l'azione di andare a togliere dall'essiccatoio un piccolo quantitativo di castagne essiccate per sovvenire alle necessità urgenti della famiglia, in quei casi in cui la farina dell'anno precedente era stata già tutta consumata.
Un'analisi riportata da Mario Buccianti dimostra che per produrre un quintale di farina, alla fine del 1900, erano necessarie, in media, 36 ore di manodopera, aventi un costo pari all'80%-90% del ricavato, ottenuto vendendo farina insacchettata in contenitori di dimensioni varia (kg. 0,500-1,5) al prezzo medio di £. 5.000.
Inoltre con l'essiccamento le castagne si riducono a circa un terzo del loro volume, cioè tre ettolitri di castagne fresche producono un ettolitro di castagne secche. Le bucce delle castagne rappresentano circa il 20% del peso totale.
Intorno al 1990 il Comune di Vagli Sotto (LU) ha finanziato la realizzazione di un essiccatoio ad energia solare nella località Roggio, ma il risultato è stato negativo, perché il mese di novembre, ed in particolare nel settore apuano, non è indicato per sfruttare l'energia solare.
Battitura
La battitura (o pestatura) è un procedimento con cui avviene la sgusciatura delle castagne e la tecnica varia di zona in zona con l'utilizzo anche di diversi strumenti (sacchi, pigione, mazzaranga). Normalmente veniva svolta dagli uomini; a donne e ragazzi era affidato il compito della ventilatura o vassoiatura che consisteva nell'eliminazione della pula. Dopo una ripassatura segue la cernita, cioè l'eliminazione delle castagne non idonee; infine, si passa alla separazione delle castagne per grossezza, destinandone la “prima scelta” alla vendita o per il consumo diretto del coltivatore.
Oggi tutte queste operazioni, che in passato duravano un'intera nottata, vengono effettuate dalle macchine sgusciatrici-spelatrici, mondacastagne, vagliatrici, turbina-battitrice.
Elementi costitutivi della castagna
Pericarpo (buccia) : si presenta liscio, consistente, di colore marrone con tonalità variabile, a volte con striature esterne e una peluria interna.
Ilo o cicatrice ilare: parte basale del frutto, di colore chiaro e di dimensione variabile; presenta una raggiatura stellare con pelosità residua o meno e granulazioni puntiformi, chiamate granuli migliari.
Torcia: apice della castagna costituito dai residui del perianzio e degli stili disseccati.
Episperma: pellicola di colore camoscio in cui è avvolto il seme e che può penetrare o meno nella massa cotiledonare (polpa).
Seme: può essere formato da uno (come nei Marroni) o due cotiledoni, ed è ricco di amido, sodo, biancastro all'interno e giallastro all'esterno.
Descrizione del riccio
In un primo momento è di colore verde; in seguito alla maturazione (quando si apre in 2-4 valve) diventa giallo–brunastro. Internamente è di colore crema, rivestito da fine peluria. La cupola è di forma sub-sferica con un diametro variabile da 6–7 cm nelle piante selvatiche a 10–15 cm in quelle coltivate.
Alla fine del Novecento i cardi vuoti e le foglie raccolte venivano usati come lettiera per il bestiame bovino, ma non per quello ovino perché i cardi si attaccavano al vello.
Maturazione e caduta frutti
Il castagno, come altre specie da frutto, dopo un periodo di riposo invernale, vive da marzo-aprile a novembre un'intensa attività vegetativa e riproduttiva durante la quale germogli, foglie, organi fiorali e frutti crescono e si sviluppano.
La maturazione dei frutti può avvenire più o meno tardivamente: per esempio il processo è assai precoce per gli ibridi euro-giapponesi che già fruttificano a fine agosto, mentre solitamente i Marroni fanno parte delle specie a maturazione tardiva. Quando le castagne sono mature, ricci e castagne possono seguire differenti processi di distacco dalla pianta: i ricci possono aprirsi a maturità, lungo linee di satura, in 2-4 valve, oppure possono rimanere attaccati al ramo e, aprendosi, liberare le castagne che cadono a terra mature; la maggior parte delle volte, però, i ricci cadono a terra integri, chiusi o semi-aperti, trattenendo i semi nell'involucro.
Ciascuna modalità di distacco ha conseguenze immediate sulla raccolta e sulla sanità del prodotto: i semi che cadono racchiusi nel riccio sono meglio protetti, non subiscono lesioni meccaniche e minori sono gli attacchi da parte di batteri patogeni rispetto a quelli in caduta libera; inoltre, è facilitata la raccolta meccanica per raccattatura e successiva separazione delle castagne dai ricci. Per contro, i semi che cadono liberi rendono agevole la raccolta manuale, a patto che essa avvenga frequentemente per evitare che i semi siano attaccati dai batteri patogeni.
Castagna e Marrone
I termini castagna (B) e marrone (A) vengono spesso confusi, ma rimandano a due specie ben differenti di achenii. La differenza base è che nella castagna la percentuale di frutti settati è maggiore del 12%, mentre nei marroni è minore del 12%. Spesso questa definizione non accontenta i castanicoltori e i commercianti che differenziano le due specie tramite differenze varietali. In Italia con marroni si intendono particolari cultivar di ottima qualità, con frutti adatti alla canditura, che presentano una superficie ilare di forma quasi rettangolare, una buccia chiara, brillante, con striature avvicinate spesso al rilievo e con una polpa senza cavità e facilmente separabile dall'episperma, che non si introduce all'interno del cotiledone (frutti non settati); inoltre, le piante di questi frutti sono più esigenti e meno produttive rispetto ai castagni ordinari, ed i ricci presentano solitamente 1 o 2 semi, mai settati e dal sapore dolce.
Lavorazioni per il mercato del fresco
All'inizio della filiera viene effettuata la precalibratura: i frutti con calibro inferiore ai 25 mm vengono inviati all'industria, quelli con calibro compreso tra i 26–27 mm alla curatura, mentre quelli con calibri superiori sono sottoposti subito a sterilizzazione.
Al termine dei trattamenti conservativi prescelti (sterilizzazione con o senza curatura), le castagne subiscono una calibratura: cilindri rotanti, con fori di diametro prestabilito, sono in grado di suddividere il prodotto in base alla pezzatura, con scarti di 0,5 mm. All'inizio della catena di selezione si trovano i crivelli in grado di trattenere le castagne più grosse e rilasciare le altre, in modo da minimizzare i tempi della loro permanenza nella calibratrice, e passarle subito alle operazioni di cernita, spazzolatura e confezionamento, mentre i frutti di pezzatura minore vengono trasportati, su nastro, al selettore successivo, per una nuova calibratura, con fori di diametro inferiore.
 Con la cernita si elimina tutto ciò che è bacato, alterato e difettoso: le castagne, disposte su nastri trasportatori, vengono selezionate accuratamente a mano.
La spazzolatura, effettuata con cilindri muniti di setole corte e fitte, oltre a ridare lucentezza ai frutti, elimina eventuali muffe superficiali sviluppatesi sull'epicarpo e allontana impurità e polveri.
Castagne e Marroni, infine, vengono confezionati, per pezzatura e trattamento, in sacchi di rete di plastica o di iuta, all'esterno dei quali sono apposte le informazioni di denominazione, sede e eventuali marchi commerciali, di processo o di origine geografica.
Trasformazione industriale
L'industria propone un'ampia gamma di trasformati conosciuti e apprezzati da secoli. Marroni e castagne sono offerti dal mercato durante tutto l'anno e si possono trovare in soluzione acquosa, a secco, sotto vuoto, surgelati, sciroppati, canditi, glassati, sott'alcol, sotto forma di purea e crema dolce, macinati in farina, trasformati in muesli, zuppe, prodotti per neonati, e infine sotto forma di bevande quali alcol di castagne, liquori, birra e bibite analcoliche.

COCCO

La palma da cocco (Cocos nucifera L., 1753) è una pianta della famiglia delle Arecacee (sottofamiglia Arecoideae, tribù Cocoseae), tipica dei litorali di paesi caldi. È l'unica specie riconosciuta del genere Cocos.
La zona di origine della specie è controversa. L'uomo ha sicuramente avuto una parte rilevante nella sua amplissima distribuzione. La pianta ha, tra le zone che vengono ritenute possibili per la sua origine, l'arcipelago indonesiano e il sud America.
Nell'antichità la pianta era stata già diffusa in tutta l'area del Pacifico, con numerose varietà che si differenziano per il colore, la grandezza e la forma del frutto. Gli europei (portoghesi e spagnoli) scoprirono il cocco esplorando le coste occidentali dell'America centro-meridionale, e dal 1525 cominciarono a coltivarlo diffondendolo anche sulle coste orientali.
Oggigiorno le principali zone di diffusione della palma da cocco sono situate tra il ventiduesimo parallelo nord e sud. La palma è coltivabile oltre questi limiti di latitudine, ma le coltivazioni perdono importanza commerciale[4]. Generalmente le palme vengono coltivate sulla costa, ma la loro crescita non è limitata agli ambienti costieri. È possibile trovare palme anche a centinaia di chilometri lontano dalla costa quando le condizioni climatiche lo permettano. In ogni caso l'influenza marina ha sicuramente un effetto positivo sul raccolto in frutti.
Generalmente la capacità delle noci di cocco di galleggiare sull'acqua marina è indicata come metodo di diffusione naturale della specie. Le noci di cocco sono in grado di mantenere la capacità di germogliare dopo 110 giorni di immersione nell'acqua di mare (periodo nel quale possono arrivare a percorrere fino a 5000 chilometri). Per quanto riguarda la diffusione attuale è evidente che questa è avvenuta ad opera dell'uomo, sia in epoca storica, come documentato, sia in epoca precedente dalle popolazioni indigene dei settori geografici interessati.
L'habitat ottimale è quello delle coste di regioni tropicali, con precipitazioni annue tra i 1.300 e i 2.000 mm, fino ad altitudini di 600 m s.l.m.
Frutti
I frutti sono drupe voluminose, dette comunemente noci di cocco, di circa 1 kg di peso, che si formano dopo 2 settimane dalla fioritura, e crescono rapidamente per circa 6 mesi. Hanno esocarpo (buccia) liscio e sottile generalmente di colore rosso-brunastro, mesocarpo fibroso e leggero a maturità che è strettamente unito all'endocarpo (guscio) legnoso e durissimo, e che presenta alla base 3 pori a minore spessore chiaramente visibili, detti anche "occhi". Il guscio è strettamente aderente al tegumento del seme che racchiude. Occorrono 12-13 mesi perché da una spata aperta si passi ad un frutto maturo, ma in alcune varietà serve anche più tempo.
Per la commercializzazione della noce la buccia ed il mesocarpo fibroso sono rimossi.
Il mesocarpo fibroso, dotato di fibre legnose leggere appressate, costituisce la parte che sostiene il galleggiamento della noce. Tale materiale è una importante fibra vegetale commerciale detta fibra di cocco o fibra coir, è estremamente resistente all'acqua, ed una delle poche resistente all'acqua salata.
Varietà
La specie presenta oltre 80 varietà descritte. Fondamentalmente le varietà si dividono in due grandi categorie, piuttosto omogenee per caratteristiche, le alte e la nane. In ogni caso tale divisione non è rigida e vi sono varietà che non ricadono in nessuna delle due categorie. Le varietà alte sono generalmente allogame, mentre le varietà nane sono generalmente autogame.
Varietà "alte"
Sono piante generalmente molto longeve, che raggiungono con facilità gli 80 anni di vita. Fruttificano relativamente tardi dall'impianto, fino a 10 anni dopo la semina, e ancora più tardi raggiungono il picco di produzione.
Varietà "nane"
L'altezza massima è minore delle varietà alte, ma le palme possono ancora risultare imponenti, con altezze fino a 12 metri. Questo genere di palme è anche estremamente rapido nel raggiungere la maturità riproduttiva, e si può sperare di vedere i primi frutti anche a soli 4 anni dall'impianto, con noci che toccano il suolo. La varietà più famosa tra le nane è la Malayan Dwarf, che ha tre sottotipi, la regia, l'eburnea e la pumila, le quali differiscono per il colore della noce. Le noci delle varietà nane sono più piccole in genere di quelle delle varietà alte.
Usi
Come pianta ornamentale in giardino nei climi adatti, in serra o in appartamento nelle regioni a clima sfavorevole, piante i cui fusti eretti crescono direttamente dalla noce appoggiata al terreno, nei climi temperati viene generalmente coltivata in vaso in ambienti confinati a temperatura ed umidità controllata. Nei paesi d'origine, per la produzione di noci di cocco utilizzate per il consumo fresco. Ne viene ricavata la copra per la produzione della margarina di cocco, un olio vegetale ad alto punto di fusione utilizzato in pasticceria come succedaneo del burro; o per la fabbricazione di saponi, colle e appretti. I sottoprodotti della lavorazione industriale della copra, come il panello di copra, vengono utilizzati come mangime per gli animali. Sempre dalla copra, ridotta in polvere, si ricava una farina utilizzata a fini alimentari. Dalle fibre del mesocarpo si ricava il coir una fibra utilizzata per lavori di intreccio, tappeti e cordami. Etichettatura tessile sigla CC. Con la linfa estratta incidendo le giovani infiorescenze si ricava il 'vino' di palma, l'aceto di palma, lo zucchero di palma e l'acquavite di palma. Le giovani gemme sono commestibili (cavoli di palma). Dagli stipiti si ricava il legno di cocco, utilizzato per la facilità di lavorazione per mobili, manici d'ombrello, o abitazioni rurali. Le fronde vengono utilizzate come fibre per intrecciare cappelli, stuoie e tetti per le capanne. Le donne tamil in Sri Lanka utilizzano l'olio ottenuto da una prolungata bollitura del latte di cocco, come idratante per alleviare le smagliature del parto e per rendere morbidi i capelli. Queste popolazioni bevono anche il latte di cocco mescolato a foglie finemente tritate di pepe come cura dei disturbi della vista. L'olio è utilizzato comunemente nei prodotti per rasatura (crema, sapone e schiuma da barba) e anche negli abbronzanti. Nelle Filippine dalla fermentazione dell'acqua di cocco viene prodotto il dolce noto come nata de coco.

CILIEGIA

La ciliegia è il frutto del ciliegio (Prunus avium). La pianta domesticata è stata ottenuta da ripetute ibridazioni della specie botanica.
Il nome cerasa presente in diversi dialetti italiani, così come quello portoghese, francese, spagnolo e inglese, deriva dal greco κέρασος (kérasos) e da qui al nome della città di Cerasunte (o meglio Giresun), nel Ponto (l'attuale Turchia) da cui, secondo Plinio il Vecchio, furono importati a Roma nel 72 a.C. da Lucio Licinio Lucullo i primi alberi di ciliegie. In effetti il frutto può nascere da due diverse specie botaniche. Da una parte il ciliegio dolce (cosiddetto Prunus avium), che produce le ciliegie che siamo abituati a consumare come frutta fresca. Dall'altra il ciliegio visciolo (Prunus cerasus) che produce le amarene e le marasche, genericamente definite come ciliegie acide. Si descrive comunque il ciliegio dolce. Il frutto, normalmente sferico, di 0,7-2 centimetri di diametro, può assumere anche la forma a cuore o di sfera leggermente allungata. Il colore, normalmente rosso, può spaziare, a seconda della varietà, dal giallo chiaro del graffione bianco piemontese al rosso quasi nero del durone nero di Vignola. Anche la polpa assume colorazione e consistenza diverse a seconda della varietà e passa dal bianco al rosso nerastro nel primo caso e dal tenero al croccante nel secondo caso. Il gusto è dolce, mai stucchevole, con punte di acidulo. Il frutto matura nel periodo primaverile-estivo e contiene un solo seme duro, color legno. La raccolta ha inizio dalla metà di maggio fino ai primi di luglio.
La raccolta delle ciliegie coincide nella maggior parte dei casi con il mese di giugno. Il 24 giugno, festa di San Giovanni, si completa la raccolta delle ciliegie precoci e di media maturazione, per questo le piccole larve bianche del Dittero Rhagoletis cerasi che si trovano nei frutti infestati in tale periodo, sono detti appunto "giovannini", o l'equivalente, nei vari dialetti o lingue locali.
Ci sono però anche varietà che maturano più tardi, come per esempio la ciliegia S.Giacomo che, come suggerisce il nome, matura il 25 luglio, appunto nel giorno di San Giacomo il Maggiore, pur trovandosi nel sud Italia nei territori compresi tra Marzano Appio e Caianello, a bassa altitudine. Per la vendita al pubblico le ciliegie vengono suddivise in due categorie: nella prima, i frutti devono essere provvisti di peduncolo e corrispondere per forma e colore alla varietà dichiarata; per la seconda categoria si accettano piccoli difetti di forma e colori diversi. Per sua costituzione naturale (dimensioni degli alberi e dimensione dei frutti, gli alberi sono grandi ed assurgenti, ed i frutti sono relativamente piccoli), buona parte del costo del frutto è dovuto agli oneri di raccolta; in alcuni casi i coltivatori organizzano la vendita "sull'albero"; il cliente ritira un canestro e provvede direttamente a raccogliere i frutti sull'albero ed a riempire il canestro. Provvedendo direttamente alla raccolta il cliente pagherà un prezzo molto limitato.
Valori nutrizionali
Le ciliegie contengono una discreta quantità di vitamina C, ne occorrono circa 500 g per soddisfare il fabbisogno giornaliero; e sono anche una discreta fonte di potassio. Sono un frutto particolarmente dissetante, soprattutto le varietà più aspre, e hanno un indice di sazietà mediamente elevato.
Queste caratteristiche, associate al fatto che non si possono mangiare molto in fretta a causa delle piccole dimensioni e del nocciolo, rende le ciliegie molto utili negli spuntini, quando si ha voglia di sgranocchiare qualcosa ma non si possono assumere troppe calorie.
Cenni storici
La storia del ciliegio è tanto antica da affondare le sue radici nella preistoria: in parecchi giacimenti neolitici sono stati trovati noccioli di ciliegie che testimoniano come anche allora questa pianta fosse conosciuta. Si ritiene che la zona d'origine del ciliegio sia tra il Caucaso, il Mar Nero e il Mar Caspio mentre il ciliegio acido (amarene) si pensa che provenga dalla Turchia. Il testo più antico che menziona le ciliegie è un libro di poesie cinesi del V secolo a.C., ma era diffuso anche presso i greci ed i romani. Teofrasto filosofo greco discepolo di Aristotele, vissuto tra il IV e III secolo a.C. menziona e fa conoscere il ciliegio nelle sue opere "Storia delle Piante" e "Ricerche sulle piante" . Terenzio Varrone e Plinio il Vecchio furono i primi eruditi romani che nel I secolo a.C. menzionarono il ciliegio nelle loro opere. Lo sviluppo delle coltura e la nascita delle tecniche colturali avvennero pero' solo nel 1700 in Europa specialmente in Germania. Sul finire del 700 erano state classificate ben 75 varietà, che aumentarono sino a 150 attorno al 1865.
Coltivazione
In Italia si trova un po' ovunque, ma principalmente in Campania, Puglia, Veneto, Emilia-Romagna.
Appartiene alle Rosaceae, sottofamiglia Prunoideae, pertanto l'albero presenta rami a legno e rami a frutto e il frutto è una drupa; la corteccia si presenta come costituita da una serie di anelli. Del ciliegio dolce si distinguono la varietà juliana che fornisce le tenerine e la varietà duracina che produce i duroni. Del ciliegio acido vi sono: la varietà caproniana, con amarene o morasconi, la austera, con le visciole, la marasca, con le marasche.
Il Ciliegio ha un elevato fabbisogno in freddo, la sensibilità a ristagni idrici si ha con Prunus avium e mahaleb; il grosso problema del ciliegio dolce, non l'acido, è la pioggia che porta a spaccature del frutto oltre ad essere vettore di Monilia. Oltre a ciò una siccità prolungata danneggia la formazione dei fiori.
Varietà
Le ciliegie sono il frutto di un albero della famiglia delle Rosacee, la stessa delle rose. Esitono due specie di alberi, il Prunus avium, o ciliegio dolce, e il Prunus cerasus, o ciliegio acido.
Dal primo derivano, per selezione, alcune centinaia di varietà differenti, che producono ciliegie che possiamo dividere in due grandi categorie: le tenerine e le duracine. Le ciliegie tenerine sono a polpa tenera, di colore rosso scuro con succo colorato o di colore chiaro con succo incolore. Le ciliegie duracine o duroni hanno dimensioni maggiori e polpa soda, sono di colore rosso scuro o nero con polpa rossa, oppure di colore rosso chiaro con polpa giallastra o rosacea. Cinque sono le varietà più coltivate in Italia.
Bigarreau: sono le prime ciliegie a comparire sul mercato già a metà maggio, e rimangono a disposizione fino a inizio giugno.
Nero: queste ciliegie duracine (duroni) sono disponibili tutto il mese di giugno. Rappresentano il fiore all'occhiello della produzione del comprensorio di Vignola (MO): dolcissime, grandi, di colore rosso molto scuro o nero.
Anella: questi duroni sono disponibili da fine maggio a tutto giugno. La buccia ha un colore che va dal rosso vermiglio al rosso scuro, la polpa è croccante e succosa, caratteristica peculiare e particolarmente apprezzata di questa varietà.
Ferrovia: queste ciliegie tenerine sono coltivate soprattutto in Puglia, e sono disponibili nel mese di giugno. Sono particolarmente apprezzate per la succosità della polpa.
Marca: questo durone è di colore giallo-rosso ed è particolarmente apprezzato dall'industria conserviera per produrre ciliegie sciroppate e sotto spirito.
Come scegliere
Le ciliegie sono reperibili durante tutta l’estate. A differenza di altri frutti, non proseguono la maturazione dopo il raccolto, è necessario allora, acquistarle solo se ben mature e sceglierle con i frutti sodi, privi di ammaccature e con il picciolo dal colore verde vivo e intenso.
Le ciliegie si mangiano al naturale, in insalata, oppure cotte in marmellate, composte o torte. Per mangiarle al naturale, scegliete quelle grandi, bianche, rosse o nere, come le famose vignola; da cucinare sono meglio quelle piccole e rosse. Se sono mature, mettetele in frigo e consumatele entro 3 giorni. Se invece sono poco mature, tenetele a temperatura ambiente. Per prepararle, togliete i piccioli e lavatele in un colapasta sotto l’acqua fredda corrente, e se volete snocciolarle usate uno snocciolatore o la punta di un coltellino.
Come conservare
Tenerle in luogo fresco e poco umido, sempre contenute in un sacchetto di carta e mai nella plastica. Essendo molto sensibili al freddo è preferibile non conservarle in frigorifero, ma a temperature non troppo basse, per un tempo di 2-3 giorni massimo.
Prodotti a marchio
Ciliegia di Marostica IGP: La Ciliegia di Marostica ha forma cuoriforme, è munita di peduncolo e ha un calibro minimo di 20mm. Presenta una buccia di colore rosso fuoco o rosso scuro a seconda delle varietà e una polpa mediamente soda, poco aderente al nocciolo, di colore variabile dal rosa al rosso scuro. E’ un frutto succoso, dal gusto pieno, dolce e molto gradevole. L’area di produzione si estende a numerosi comuni in provincia di Vicenza.

DATTERO
Il dattero è il frutto commestibile della palma da datteri (Phoenix dactylifera), una cultivar popolarmente presa per un albero. È un frutto carnoso, oblungo, lungo da 4 a 6 cm, contenente un "nucleo" allungato, segnato con un solco longitudinale. È un frutto molto energetico.
Il giuggiolo (Ziziphus jujuba), è detto anche dattero cinese.
La palma da dattero comincia a fruttificare a partire dal terzo anno d'età e può vivere oltre i trecento anni arrivando a produrre, nelle annate migliori, fino a cinquanta chili di datteri.
Il dattero fresco, quando raggiunge la maturità, è un frutto fragile e delicato da trasportare. In parte è per questo motivo che viene essiccato (dal 70% di acqua si arriva al 20%). Il suo valore energetico è di 287 kcal per 100 grammi. È molto ricco di zuccheri (glucosio, fruttosio e saccarosio). Contiene anche vitamine (B2, B3, B5 e B6), una piccola quantità di vitamina C e sali minerali (potassio e calcio). È anche ricco di cromo e fibra.
In media, ogni anno vengono raccolti oltre 5 milioni di tonnellate di datteri. L'Egitto è il più grande produttore, ma i datteri non vengono esportati: il 90% della produzione viene consumata nel paese di origine, specialmente come mangime per il bestiame: l'Europa è principalmente rifornita dal Nord Africa (soprattutto da Algeria e Tunisia).
Nonostante esistano più di trecento cultivar, la più diffusa nei mercati europei è la deglet nour, di cui l'Algeria è noto produttore, essendo originario delle regioni di Biskra.
Il Marocco ha prodotto a lungo un'altra varietà, carnosa e semi-morbida, Mejhoula (termine che significa "sconosciuto" o "anonimo" in arabo). Ma nel diciannovesimo secolo un'epidemia devastò più di dieci milioni di palme da datteri. Alcune piante furono salvate e trasferite nel sud della California. Per questo motivo il mercato europeo è anche rifornito di datteri americani.
Si consuma sia fresco sia essiccato. Dal dattero si ricava un particolare tipo di melassa ed esistono alcolici derivati dalla sua fermentazione, come ad esempio l'arrak.

FICO

Il fico comune (Ficus carica L., 1753) è un albero da frutto dei climi subtropicali temperati appartenente alla famiglia delle Moraceae e al genere Ficus, del quale rappresenta la specie più nordica; produce il frutto detto fico.
L'epiteto specifico carica fa riferimento alle sue origini che vengono fatte risalire alla Caria, regione dell'Asia Minore. Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole di Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mediterraneo. Se per definizione è detto "Fico Mediterraneo", si considera originario e comune delle regioni delle aree meridionali caucasiche, e del Bassopiano turanico meridionale.
Solo dopo la scoperta dell'America il fico si diffuse in quel continente, in seguito in Sud Africa, per i contatti con l'Oriente si diffuse in Cina ed in Giappone; infine giunse in Australia.
Il fico è una pianta xerofila ed eliofila, è longevo e può diventare secolare, anche se è di legno debole e può essere soggetto ad infezioni fatali; è caducifoglia e latifoglia. È un albero dal fusto corto e ramoso che può raggiungere altezze di 6-10 m; la corteccia è finemente rugosa e di colore grigio-cenerino; la linfa è di un bianco latte; i rami sono ricchi di midollo con gemme terminali acuminate coperte da due squame verdi, o brunastre. Le foglie sono grandi, scabre, oblunghe, grossolanamente lobate a 3-5 lobi, di colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare ed ugualmente scabre sulla parte inferiore.
Quello che comunemente viene ritenuto il frutto è in realtà una grossa infruttescenza carnosa, piriforme, ricca di zuccheri a maturità, detta siconio di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, cava, all'interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi; una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l'entrata degli imenotteri pronubi; i veri frutti, che si sviluppano all'interno dell'infiorescenza (che diventa perciò un'infruttescenza), sono numerosissimi piccoli acheni. La polpa che circonda i piccoli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte edibile.
La specie ha due forme botaniche che possono essere definite come piante maschio e piante femmina, dato che la prima o caprifico costituisce l'individuo che produce il polline con frutti non eduli, mentre la seconda o fico vero pianta femmina che produce frutti eduli con i semi contenuti all'interno.
Nel fico commestibile, abbiamo tre tipi di siconi, che danno, annualmente, distinte fruttificazioni:
fioroni, o fichi fioroni che si formano da gemme dell'autunno precedente e maturano alla fine della primavera o all'inizio dell'estate
fichi, o fòrniti, o pedagnuoli che si formano da gemme in primavera e maturano alla fine dell'estate dello stesso anno.
cimaruoli prodotti da gemme di sommità prodotte nell'estate e maturano nel tardo autunno. La produzione di cimaruoli è limitata a regioni dove l'estate è molto lunga ed il clima particolarmente caldo; spesso è incompleta o insoddisfacente.
Esistono varietà che producono solo fioroni, e spesso anche la varietà è per estensione nominata "fiorone"; altre producono solo fòrniti; altre producono entrambe, ma di norma con una delle due fruttificazioni di maggior rilievo come qualità o quantità e una seconda di rilievo minore. Le varietà con tripla fruttificazione sono pochissime, e la terza fruttificazione è di norma irrilevante. Per ovvi motivi di clima, di norma i "fòrniti" hanno con maggiore facilità le caratteristiche di eccellente succosità e dolcezza; i fioroni per contro hanno il pregio di essere di precoce maturazione.

FICO D'INDIA

Il fico d'India (o ficodindia) (Opuntia ficus-indica (L.) Mill., 1768) è una pianta succulenta della famiglia delle Cactaceae, originaria del Messico ma naturalizzata in tutto il bacino del Mediterraneo e nelle zone temperate di America, Africa, Asia e Oceania.
L'O. ficus-indica è nativa del Messico. Da qui, nell'antichità, si diffuse tra le popolazioni del Centro America che la coltivavano e commerciavano già ai tempi degli Aztechi, presso i quali era considerata pianta sacra con forti valori simbolici. Una testimonianza dell'importanza di questa pianta negli scambi commerciali è fornita dal Codice Mendoza. Questo codice include una rappresentazione di tralci di Opuntia insieme ad altri tributi quali pelli di ocelot e di giaguaro. Il carminio, pregiato colorante naturale per la cui produzione è richiesta la coltivazione dell'Opuntia, è anch'esso elencato tra i beni commerciati dagli Aztechi.
La pianta arrivò nel Vecchio Mondo verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della spedizione di Cristoforo Colombo. La prima descrizione dettagliata risale comunque al 1535, ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés nella sua Historia general y natural de las Indias. Linneo, nel suo Species Plantarum (1753), descrisse due differenti specie: Cactus opuntia e C. ficus-indica. Fu Miller, nel 1768, a definire la specie Opuntia ficus-indica, denominazione tuttora ufficialmente accettata.
È una pianta succulenta arborescente che può raggiungere i 3–5 m di altezza.
Il fusto è composto da cladodi, comunemente denominati pale: si tratta di fusti modificati, di forma appiattita e ovaliforme, lunghi da 30 a 40 cm, larghi da 15 a 25 cm e spessi 1,5-3,0 cm, che, unendosi gli uni agli altri formano delle ramificazioni. I cladodi assicurano la fotosintesi clorofilliana, vicariando la funzione delle foglie. Sono ricoperti da una cuticola cerosa che limita la traspirazione e rappresenta una barriera contro i predatori. I cladodi basali, intorno al quarto anno di crescita, vanno incontro a lignificazione dando vita ad un vero e proprio tronco.
Le vere foglie hanno una forma conica e sono lunghe appena qualche millimetro. Appaiono sui cladodi giovani e sono effimere. Alla base delle foglie si trovano le areole (circa 150 per cladode) che sono delle ascelle modificate, tipiche delle Cactaceae.
Il tessuto meristematico dell'areola si può differenziare, secondo i casi, in spine e glochidi, ovvero può dare vita a radici avventizie, a dei nuovi cladodi o a dei fiori. Da notare che anche il ricettacolo fiorale, e dunque il frutto, è coperto da areole da cui si possono differenziare sia nuovi fiori che radici.
Le spine propriamente dette sono biancastre, sclerificate, solidamente impiantate, lunghe da 1 a 2 cm. Esistono anche varietà di Opuntia inermi, senza spine.
I glochidi sono invece sottili spine lunghe alcuni millimetri, di colore brunastro, che si staccano facilmente dalla pianta al contatto, ma essendo muniti di minuscole scaglie a forma di uncino, si impiantano solidamente nella cute e sono molto difficili da estrarre, in quanto si rompono facilmente quando si cerca di toglierle. Sono sempre presenti, anche nelle varietà inermi.
L'apparato radicale è superficiale, non supera in genere i 30 cm di profondità nel suolo, ma di contro è molto esteso.
I fiori sono a ovario infero e uniloculare. Il pistillo è sormontato da uno stimma multiplo. Gli stami sono molto numerosi. I sepali sono poco vistosi mentre i petali sono ben visibili e di colore giallo-arancio.
I fiori si differenziano generalmente sui cladodi di oltre un anno di vita, più spesso sulle areole situate sulla sommità del cladode o sulla superficie più esposta al sole. All'inizio, per ogni areola, si sviluppa un unico fiore. I fiori giovani portano delle foglie effimere caratteristiche della specie. Un cladode fertile può portare sino a una trentina di fiori, ma questo numero varia considerevolmente in base alla posizione che il cladode occupa sulla pianta, alla sua esposizione e anche in base alle condizioni di nutrizione della pianta.
Il frutto è una bacca carnosa, uniloculare, con numerosi semi (polispermica), il cui peso può variare da 150 a 400 g. Deriva dall'ovario infero aderente al ricettacolo fiorale. Certi autori lo considerano un falso arillo. Il colore è differente a seconda delle varietà: giallo-arancione nella varietà sulfarina, rosso porpora nella varietà sanguigna e bianco nella muscaredda. La forma è anch'essa molto variabile, non solo secondo le varietà ma anche in rapporto all'epoca di formazione: i primi frutti sono tondeggianti, quelli più tardivi hanno una forma allungata e peduncolata. Ogni frutto contiene un gran numero di semi, nell'ordine di 300 per un frutto di 160 g. Molto dolci, i frutti sono commestibili e hanno un ottimo sapore. Una volta sbucciati e privati delle punte si possono tenere in frigorifero e mangiare freddi.
Recenti studi genetici indicano che O. ficus-indica è originaria del Messico centrale. Da qui si diffuse successivamente a tutto il Mesoamerica e quindi a Cuba, Hispaniola, e alle altre isole dei Caraibi, dove i primi esploratori europei della spedizione di Cristoforo Colombo la conobbero, introducendola in Europa. È verosimile che la pianta fosse stata introdotta in Sud America in epoca precolombiana, sebbene non vi siano prove certe in tal senso; quel che sembra accertato è che la produzione del carminio, strettamente correlata alla coltivazione della Opuntia, fosse già diffusa tra gli Incas.
In Europa la pianta oltre che per i suoi frutti, suscitò attenzione quale possibile strumento per l'allevamento della cocciniglia del carminio, ma si dovette aspettare sino al XIX secolo perché il tentativo avesse successo nelle isole Canarie. Agli inizi restò pertanto una curiosità da ospitare negli orti botanici.
Da qui si diffuse rapidamente in tutto il bacino del Mediterraneo dove si è naturalizzata al punto di divenire un elemento caratteristico del paesaggio. La sua diffusione si dovette sia agli uccelli, che mangiandone i frutti ne assicuravano la dispersione dei semi, sia all'uomo, che le trasportava sulle navi quale rimedio contro lo scorbuto. In nessuna altra parte del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia e Malta, dove oltre a rappresentare un elemento costante nel paesaggio naturale, è divenuto anche un elemento ricorrente nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell'isola, fino a diventarne in un certo qual modo il simbolo.
O. ficus-indica si espanse inoltre negli habitat aridi e semi-aridi dell'Asia (India e Ceylon) e dell'emisfero sud, in particolare in Sudafrica, Madagascar, Réunion e Mauritius, così come in Australia. In molti di questi paesi, i fichi d'India sono diventati infestanti tanto da invadere milioni di ettari e da richiedere gran quantità di diserbanti per contenerne l'invadenza; soltanto la lotta biologica poté venirne a capo intorno al 1920-1925, con l'introduzione di insetti fitofagi come la farfalla Cactoblastis cactorum e la cocciniglia Dactylopius opuntiae.
La pianta è al giorno d'oggi coltivata in numerosi paesi, tra cui: Messico, Stati uniti, Cile, Brasile, Nord Africa, Sudafrica, Medio Oriente, Turchia, Tunisia su ampie regioni del paese e Italia (prevalentemente in Basilicata, Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna).
Il carattere infestante della specie, che tende a sostituire la flora autoctona modificando il paesaggio naturale, ha messo in allerta anche alcune regioni italiane, tra le quali la Toscana, dove una legge regionale ne vieta espressamente l'uso per interventi d'ingegneria naturalistica, come il rinverdimento, la riforestazione ed il consolidamento dei terreni.
L'O. ficus-indica possiede una grande resistenza alla siccità e al tempo stesso una grande produttività in termini di biomassa.
La resistenza alla siccità è determinata dal fatto che i cladodi sono ricoperti da una spessa cuticola cerosa e che il parenchima è costituito da strati di cellule che fungono da riserva d'acqua. Anche la presenza di radici superficiali e disposte su ampia superficie è un adattamento che consente la sopravvivenza anche in zone con precipitazioni piovose di modesta entità. La pianta inoltre, analogamente alle altre Cactacee, è dotata di un particolare metabolismo fotosintetico, denominato fotosintesi CAM (Crassulacean Acid Metabolism), che consente l'assimilazione dell'anidride carbonica e la traspirazione durante la notte, quando la temperatura è più bassa e l'umidità più alta. Le perdite di acqua per traspirazione sono conseguentemente molto ridotte, mentre la quantità di anidride carbonica assorbita è, in rapporto all'acqua disponibile, elevata. Ciò determina una maggiore efficienza d'uso dell'acqua, cioè un costo in termini di acqua necessaria per fissare una molecola di carbonio, da tre a cinque volte più basso di quello che si registra nelle altre specie agricole.
È una tipica pianta aridoresistente che richiede temperature superiori a 0 °C, al di sopra di 6 °C per uno sviluppo ottimale. Temperature invernali prolungate al di sotto di 0 °C, pur non costituendo un fattore limitante per le piante selvatiche, deprimono l'attività vegetativa e la produttività delle piante in coltura e possono portarle al deperimento.
È una pianta molto adattabile alle diverse condizioni pedologiche. I suoli idonei alla coltura hanno una profondità di circa 20-40 cm, sono terreni leggeri o grossolani, senza ristagni idrici, e con valori di pH che oscillano tra 5.0 e 7.5 (reazione acida, neutra o leggermente subalcalina). Dal punto di vista altimetrico, le superfici destinate alla coltivazione possono andare dai 150 ai 750 metri sul livello del mare.
La propagazione si attua per talea, si preparano tagliando longitudinalmente in due parti cladodi di uno due anni, che vengono lasciati essiccare per alcuni giorni e poi immessi nel terreno, dove radicano facilmente. La potatura, da eseguirsi in primavera o a fine estate, serve ad impedire il contatto tra i cladodi, nonché ad eliminare quelli malformati o danneggiati. Per migliorare la resa è opportuna una concimazione fosfo-potassica, preferibilmente organica.
La tecnica della scozzolatura, il taglio cioè dei fiori della prima fioritura, da eseguirsi in maggio-giugno, consente di ottenerne una seconda fioritura, più abbondante, con una maturazione più ritardata, in autunno. In base a tale consuetudine si distinguono i frutti che maturano già in agosto, cosiddetti agostani, di dimensioni ridotte, e i tardivi o bastardoni, più grossi e succulenti, che arrivano sul mercato in autunno.
La produzione degli agostani non necessita di irrigazione, che invece è richiesta per la produzione dei bastardoni.
In coltura irrigua si può ottenere una resa di 250-300 quintali di frutto ad ettaro.
Il panorama varietale della coltura è limitato sostanzialmente a tre cultivar che differiscono per la colorazione del frutto: gialla (Sulfarina), bianca (Muscaredda) e rossa (Sanguigna). La cultivar Sulfarina è la più diffusa per la maggiore capacità produttiva e la buona adattabilità a metodi di coltivazione intensiva. In genere vi è comunque la tendenza ad integrare la coltivazione delle tre cultivar, in modo da fornire al mercato un prodotto caratterizzato da varietà cromatica.
In Italia vengono prodotti da 750 000 a 850 000 quintali all'anno (periodo 1999-2005)[5], prevalentemente nelle provincie di Catania, Caltanissetta e Agrigento. Infatti, il 90% della superficie coltivata a fico d'India è localizzata in Sicilia, il rimanente 10% in Basilicata, Calabria, Puglia e Sardegna. In Sicilia, oltre il 70% delle colture si concentrano in 3 aree: la zona collinare di San Cono, il versante sud-orientale delle pendici dell'Etna e la Valle del Belice.
Riconoscimenti
La diffusione capillare in Sicilia, lo storico e ampio uso che se ne fa nella cucina siciliana hanno portato il ficodindia generico (Opuntia ficus-indica) ad essere inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf) come prodotto tipico siciliano. Su proposta della Regione Siciliana sono stati riconosciuti anche i seguenti prodotti tradizionali come eccellenze specifiche del territorio:
·        Ficodindia della valle del Belice
·        Ficodindia della valle del Torto
·        Ficodindia di San Cono

Il ficodindia di San Cono e il ficodindia dell'Etna sono inoltre riconosciuti come prodotti a Denominazione di origine protetta (DOP).

KIWI

L'Actinidia (Kiwi) è una pianta originaria di una vallata dello Yang-tze cinese dove vive spontanea; appartiene alla Famiglia delle Actinidiaceae, genere Actinidia, suddiviso in due sezioni:
- Stellatae, che comprende l'Actinidia chinensis Pl. (= A. deliciosa A. Chev.);
- Leiocarpae, comprendente l'Actinidia arguta (Sieb. e Zucc.) Pl. ex Miq.
L' Actinidia chinensis è una specie più da mercato, mentre Actinidia arguta è ornamentale. Viene diffusa in Europa a partire da metà del XX secolo.
L'Italia è l'attuale maggiore produttrice alla quale seguono Nuova Zelanda, Cile, USA, Giappone e Francia. Le regioni italiane dove è maggiormente diffusa questa coltura sono Lazio, Piemonte, Veneto e, in misura minore, Campania e Calabria.
E' una pianta rampicante e può raggiungere i 10 m.
L'apparato radicale è superficiale, il fusto presenta tralci anche molto lunghi che portano gemme miste e a legno. Le foglie sono semplici , decidue, cuoriformi con picciolo molto lungo.
È una specie dioica con cv pistillifere e staminifere, un maschio ogni 6-8 femmine; fiori singolo o raggruppati in 2-3 (infiorescenze triple possono richiedere un diradamento dei fiori in fase di allegagione), presenti a partire da maggio; il frutto è una bacca ricoperta da peluria, la polpa è di un verde caratteristico, punteggiata di minuscoli semi, violacei o neri, disposti intorno a un cuore biancastro (columella).
L'impollinazione è entomofila anche se i fiori non sono molto attrattivi per le api e perciò si aumenta il numero delle arnie; in misura minore anche anemofila.
Limiti pedoclimatici: l'actinidia teme i danni da freddo ed i ristagni idrici per cui si rende indispensabile il drenaggio, inoltre può presentare problemi con terreni ad elevato calcare attivo, pH>7,6, ed in presenza di forte ventosità (impiego di frangiventi).
Varietà e portinnesti
Le cv impiegate sono: Hayward, Abbot, Allison, Bruno, Katuscia, Top star, Tumuri, Matua, Autari, M3.
La propagazione dell'actinidia avviene: per seme per ottenere portinnesti e per il miglioramento genetico; al Centro-Nord si utilizza la talea in modo da poter ricostruire la pianta dai ricacci quando avvengono danni da freddo, mentre al Centro-Sud si usano piante innestate in vivaio o a dimora.
La micropropagazione è poco impiegata dato che le piante mostrano ritardo nell'entrata in produzione. Dei portinnesti abbiamo Bruno, Hayward e D1 clonale, il primo è il più utilizzato in Italia.
Tecnica colturale
Le lavorazioni devono evitare la compattazione del terreno ed è preferibile un inerbimento nell’interfilare. È una specie che richiede elevato fabbisogno idrico, 10.000 m3/ha/anno, con distribuzione a goccia o con microspruzzatori sottochioma. La concimazione prevede un fabbisogno medio annuo di 150, 70 e 140 unità di N, P2O5, K2O rispettivamente, alle quali si aggiunge la sostanza organica ogni 2-3 anni in inverno.
Circa le forme di allevamento le più diffuse sono il tendone con sesti di 4,5x5 m, e la pergoletta con sesto di 4,5x4,5 m. nuove forme sono anche il Tatura trellis e il fusetto. Con la potatura di produzione si eliminano i tralci che hanno già fruttificato. Mentre la potatura verde è volta rendere una migliore illuminazione all’interno della chioma ed ad eliminare succhioni, rami mal posti e diradamento.
Produzioni
La raccolta avviene a fine ottobre ed inizi novembre e gli indici impiegati sono il tenore zuccherino, pari a 7,5° Brix, oppure il contenuto di solidi solubili, al 12,5%. Tendenzialmente è precoce per il pericolo delle grandinate. È il frutto a più elevato contenuto di vitamina C, è impiegato nel consumo fresco e nell'industria dolciaria. La produzione italiana complessiva è pari a 310.000 t delle quali il 31% proviene dal Lazio. Le produzioni medie si aggirano sui 30-50 kg/pianta, pari a 200-250 q/ha.

Il kiwi svolge un'azione dissetante, rinfrescante, diuretica e depurativa; grazie all'elevato contenuto di vitamina C, in ciò superiore anche agli agrumi, ma ancor più per la presenza di una notevole quantità di composti fenolici, potenti antiossidanti.Va segnalata poi la loro ricchezza in minerali e soprattutto in potassio (400 mg%) che, unitamente alla scarsezza in sodio, li rendono indicati nella dieta dell’iperteso.
Grazie alla presenza degli agenti antiossidanti, sono indicati nella prevenzione delle malattie cronico-degenerative come i tumori, l’aterosclerosi e le cardiovasculopatie. In particolare, da alcuni studi è stato dimostrato che l’assunzione di tre kiwi al giorno per 28 giorni conduce a una sensibile riduzione del rischio della trombosi, mentre, per quanto riguarda il rischio tumorale, si è potuto documentare che la sua azione è più efficace di una equivalente quantità di vitamina C.
CENNI STORICI
Originari dell’Estremo Oriente, sono comparsi solo da pochi decenni sulle nostre tavole, affermandosi però rapidamente per il loro gradito sapore. La storia del kiwi nasce in Cina più di settecento anni fa, dove già alla corte del Gran Khan ero apprezzato per il gusto delizioso e la polpa color smeraldo. Il resto del mondo cominciò a conoscerlo solo scientificamente nell’800, quando un collezionista della Società Britannica Reale d’Orticultura ne spedì in patria alcuni frutti e semi.
Ma è solamente nel 1906 in Nuova Zelanda, che si inizio la coltivazione del kiwi come vite ornamentale da giardino, quando alcuni missionari ritornando in patria dalla Cina, ne portarono delle piantine rampicanti soprannominate "Uva Spina Cinese". Più tardi, negli anni cinquanta, lo studioso di orticoltura Wright, dopo lunghi e ripetuti studi sperimentali, ne riuscì ad ottenere la prima varietà commerciale. I Neozelandesi, così orgogliosi del loro nuovo “frutto”, nel ‘59 lo battezzarono con il nome dell’uccello simbolo nazionale: il kiwi.
La pianta è arrivata nella nostra penisola intorno al ‘70 e, nelle diverse varietà, la sua coltivazione si è estesa dal nord al sud. L’albero esiste sia femminile che maschile: il primo produce fiori e frutti, mentre il secondo solo fiori che servono per impollinare.
COLTIVAZIONE
A livello mondiale, la coltivazione del kiwi si estende su una superficie di circa 60.000 ettari, da cui si ottiene una produzione superiore alle 800.000 tonnellate. Oltre che nel continente europeo (Italia, Francia, Grecia e Spagna) ed in Nuova Zelanda, questa specie è coltivata anche in Cile, Stati Uniti, Australia, Giappone e Corea.
Il principale paese produttore è l'Italia, dove ogni anno, su una superficie di circa 19.000 ettari, si ottengono mediamente 300.000 tonnellate di prodotto. Il kiwi è diffuso su tutto il territorio nazionale, ma circa l'80% della superficie coltivata è concentrata in sole quattro regioni: Lazio (6.000 ettari), Emilia-Romagna (4.500 ettari), Piemonte (3.000 ettari) e Puglia (1.500 ettari).
VARIETA'
Il panorama varietale è composto per il 95% dal kiwi Hayward. Di produzione nazionale è disponibile sul mercato da novembre a giugno; nei restanti mesi è reperibile sul mercato prodotto proveniente dall'altro emisfero.
Selezionata nel 1920 ad Auckland, in Nuova Zelanda, questa varietà è di gran lunga la più coltivata in Italia, per la buona pezzatura e l'ottimo sapore dei frutti. Gli unici fattori limitanti, almeno per quanto riguarda le nostre latitudini, sono la scarsa resistenza alle basse temperature e l'epoca di raccolta medio-tardiva.
Il restante 5% è rappresentato dalle varietà Bruno, Koryoku e Top Star.
COME SCEGLIERE
Il frutto deve essere turgido, di forma cilindrica, leggermente cedevole al tatto, di colore marrone chiaro, scuro nel lato più esposto al sole, la superficie ben spazzolata con lieve presenza di peluria. Evitare i frutti piatti o doppi, perché di qualità inferiore, o quelli che presentano colore marrone-verdastro, che possono presentare all’interno legnosità della columella (asse centrale bianco). La polpa deve apparire verde carico, ricca di semi in modo che il tenore in zuccheri superi il 14%. Recentemente sono state introdotti frutti a polpa gialla, caratterizzati da un più elevato contenuto in zuccheri.
COME CONSERVARE
Acquistati morbidi, pronti o quasi per essere consumati, si conservano a temperatura ambiente per alcuni giorni. Viceversa, se i frutti risultano consistenti, “duri”, si può prolungare la loro serbevolezza per diversi giorni riponendoli in un sacchetto di polietilene chiuso, nel reparto più freddo del frigorifero. Per accelerare il processo di maturazione e consumarli è sufficiente introdurre nel sacchetto, estratto dal frigorifero, alcuni frutti come mele e pere mature, o anche un pomodoro.
PRODOTTI A MARCHIO
Kiwi Latina IGP: il Kiwi Latina ha forma cilindrico-ellissoidale, buccia di colore bruno chiaro con fondo verde chiaro, polpa verde smeraldo chiaro, con colimella biancastra, morbida, circondata da una corona di piccoli e numerosi semi neri, buon sapore e profumo delicato. La zona di produzione comprende 24 comuni nelle province di Latina e Roma.

MELA

mela
La mela, dal latino malum, è il frutto del melo. Il melo ha origine in Asia centrale e l'evoluzione dei meli botanici risalirebbe al Neolitico. La specie è presente in Italia nominalmente con circa 2000 varietà, ma la definizione più precisa è difficile data la sovrapposizione storica delle denominazioni, e le specie estinte o irreperibili. Il termine "mela" deriva dal latino melum, o malum, e, a sua volta, dal greco antico mêlon; la radice del termine potrebbe ricongiungersi all'indoeuropeo Mal- dal significato di "essere molle", "dolce" e avere così un legame con "malva" e "miele".
La mela è il frutto più destagionalizzato (lo si trova tutto l'anno) e ciò richiede la presenza di impianti che provvedono alla conservazione e ne distribuiscano la disponibilità su di un ampio arco di tempo. La maturazione naturale varia da fine agosto a metà ottobre. La disponibilità alla conservazione naturale dei frutti è drasticamente diversa nelle differenti varietà; dati gli elevati contenuti in acidi organici, di norma la conservazione va da uno a quattro mesi. Nella conservazione industriale sono importanti le condizioni fisiche in cui questa avviene. Dopo il raccolto, i frutti sono conservati a temperature da 1,0 a 3,5 °C con umidità relativa del 59-68%. Per conservazioni prolungate si ricorre a conservazioni in celle con atmosfera controllata (più ricca di CO2).
La mela ha un potere antiossidante (ORAC) con un indice di valore 4275 poiché contiene vitamine importanti come provitamina A, vitamine B1, B2, B6, E e C, niacina e acido folico, insieme a flavonoidi e carotenoidi, dall'effetto antiossidante.
Le mele sono destinate prevalentemente al consumo casalingo, per quello immediato ma anche in cucina per la preparazione di primi, secondi e diversi dolci. Inoltre si presta anche ad essere utilizzata per preparare in casa maschere di bellezza. La mela è da sempre alleata della bellezza: ha un apporto calorico piuttosto basso e, grazie alla pectina, aiuta ad eliminare dal corpo le sostanze tossiche. Altre destinazioni per le mele in industria sono: produzione di succhi, sidro, olio di semi di mela (molto utilizzato nei paesi del nord Europa ed ottenuto come sottoprodotto dalla produzione del succo e del sidro), creme, fette di mela essiccate, produzione di alcol da distillazione da fermentati.
Gli obiettivi del miglioramento genetico riguardano l'ottenimento di piante resistenti agli insetti, in particolare ai rodilegno, difficilmente contrastabili, al colpo di fuoco batterico, alla ticchiolatura, oidio e afidi. Si punta anche all'ottenimento, per le varietà commerciali più note, di cloni autofertili.
In Italia permangono attualmente presenti, e non solo storicamente, ben oltre mille varietà di mela. Le varietà hanno rilevanza locale o anche regionale o sovraregionale, in una enorme gamma di caratteristiche organolettiche e colturali. La coltivazione di varietà tradizionali è diffusa a livello domestico, e la disponibilità dei frutti è legata a mercati di nicchia. L'adozione di sistemi di coltivazione largamente unificati, e di distribuzione del prodotto che lo sono altrettanto se non di più, ha ridotto in maniera drammatica la gamma disponibile nella grande distribuzione, a non oltre sei - otto varietà che coprono il 90 per cento del prodotto. Non più di tre o quattro varietà di queste sono di origine nazionale, anche se le altre quattro o cinque possono comunque essere coltivate in Italia. Il motivo di questo è solo un fattore di economia, la coltivazione in grande scala non può gestire in modo adeguato (ed economico) tutta questa varietà, ed inoltre la grande distribuzione la saprebbe gestire ancor meno.
Come è ovvio le varietà commerciali della grande distribuzione sono scelte soprattutto per la loro facilità ed uniformità di produzione, trasporto e conservazione, piuttosto che per le loro qualità organolettiche (sapore, consistenza, profumo), quindi le altre varietà, con caratteristiche che non soddisfano le scelte delle varietà commerciali, non sono trattate.
Esistono circa 7000 varietà di mele di diversa origine nei vari paesi, differenti per colore, consistenza, sapore e contenuti nutrizionali. Alcune di queste varietà, disponibili in Italia, sono varietà tradizionali, altre sono note per la loro denominazione commerciale, di seguito alcuni esempi:
·        Annurca: di piccole dimensioni rispetto alle altre mele, di forma rotondeggiante con epidermide rossa striata. La polpa è bianca, compatta, croccante, succosa, dolce, gradevolmente acidula;
·        Blanche Neve;
·        Braeburn: buccia colore rosso scuro o scarlatto, polpa compatta e croccante, sapore dolce-acidulo;
·        Costa's Trade;
·        Cox;
·        Elstar: frutto di colore rosso e giallo, saporita, succosa;
·        Fuji: forma tondeggiante, buccia colore rosso-rosato, polpa croccante e succosa, sapore dolce, ricca di fruttosio;
·        Golden Delicious: forma tondeggiante, buccia colore giallo, polpa croccante e compatta, sapore dolce leggermente acidulo, varietà di origine americana;
·        Granny Smith: buccia verde intenso, polpa croccante, particolarmente ricca di magnesio;
·        Imperatore;
·        Jonagold: sapore succoso, agrodolce, molto aromatico, incrocio fra Golden delicius e Jonathan, 1953;
·        Mela campanina;
·        Pink lady: questa varietà è nata dall'"incrocio" (più precisamente si parla di ibridazione) di due varietà già note quali la mela "Lady williams" e la mela "Golden delicious". La sua buccia ha delle sfumature di colore rosa;
·        Red Delicious;
·        Renetta: forma irregolare, buccia rossa e verde;
·        Renetta Grigia: prodotto tipico della zona di Barge, forma schiacciata, buccia ruvida e rugginosa, polpa grossolana dal colore bianco-crema, sapore dolce-acidulo;
·        Rome Beauty;
·        Royal Gala: buccia rosso intenso con venature giallo chiaro, polpa soda e croccante, sapore dolce leggermente aspro;
·        Seuka: autoctona della provincia di Udine e molto diffusa nelle Valli del Natisone;
·        Stark;
·        Stark Delicious: buccia rossa, polpa fine e croccante, sapore aromatico, particolarmente ricca di carotene e retinolo;
·        Stayman Winesap: buccia ruvida di colore giallo-verde punteggiata di rosso, polpa soda e croccante, sapore agrodolce.
Valori nutrizionali
Le mele non sono particolarmente ricche di vitamine e minerali, possono solo essere considerate una fonte discreta di vitamina C e di potassio. Sono invece una buona fonte di fibre, solubili e insolubili. Tra di essere troviamo la pectina, un potente gelatinizzante utilizzato per produrre le marmellate. Questo tipo di fibra è in grado di abbassare il colesterolo assunto con gli alimenti eliminandolo per via fecale.
L'indice di sazietà non molto elevato non la rende la scelta migliore per uno spuntino, è sempre meglio associarla ad altri alimenti proteici o grassi. Non bisogna mai dimenticare che una mela media pesa 2 etti e ha ben 100 kcal. Le mele contengono quercitina, un bioflavonoide con potere antiossidante.
Cenni storici
La mela e' un frutto originario probabilmente dell'Asia centrale e occidentale, diffuso in Europa fin dai tempi piu' remoti. Si suppone che fin dal Neolitico, l'uomo abbia conosciuto il melo e ne abbia apprezzato i frutti. Tra le varie testimonianze della vita preistorica si sono trovate mele carbonizzate in siti preistorici svizzeri, austriaci, italiani e svedesi; le mele erano addirittura tagliate a meta' e a quarti e questo particolare potrebbe essere forse la prova dell'abitudine di far seccare i frutti per l'inverno fin dai tempi preistorici.
Le prime notizie certe a proposito del melo risalgono al XIII secolo a.C., epoca in cui era certamente coltivato in Egitto e in Asia Minore. Sette secoli dopo, i testi greci ne parlano diffusamente e successivamente lo citano gli autori latini. Plinio, ad esempio, ne descrive trenta varieta' e racconta che gli Etruschi, prima dei Romani, erano abilissimi negli innesti. Oggi il melo e' indubbiamente l'albero piu' coltivato nel mondo e la sua fortuna è stata di sicuro favorita dai lunghi tempi di conservazione e dalla facilità di trasporto dei suoi frutti.
Coltivazione
Nel mondo si producono 564 milioni di quintali di mele. Il maggior produttore con 270 milioni di quintali è l’Asia,seguita, con 160 milioni di quintali, dall’Europa. La produzione nell’Unione Europea è di 80 milioni di quintali, con l’Italia al 1° posto, seguita da Francia,Germania,Spagna. Questi paesi insieme, concorrono al 70% della produzione totale dell’Unione Europea.
Varietà
Le mele catalogate sono centinaia e centinaia, anche per la facilità di un’importazione di varietà che crescono esclusivamente in America e in altri Stati. Esistono più di 2000 varietà di mele, tra le più coltivate troviamo la Delicious, la Granny Smith, la Stayman, l'Impero, la Annurca, la Renetta, la Stark Delicious.
Come scegliere
Le mele maturano nella tarda estate, ma sono disponibili tutto l'anno poiché vengono fatte maturare lentamente in atmosfera controllata. Questo metodo di conservazione assicura una durata sei volte superiore rispetto alla normale conservazione in celle frigorifere. Alcune varietà come la Delicious si prestano meglio delle altre a questo tipo di conservazione.
Le mele fresche sono disponibili fino a Gennaio, poi entrano sul mercato quelle conservate in atmosfera modificata. Al tatto devono risultare sode (non devono ammaccarsi con la semplice pressione di un dito), e non presentare incavi e ammaccature. Questo vale soprattutto per le mele più grandi, che è più facile che maturino troppo rispetto alle più piccole.
Come conservare
Se poste in frigorifero, le mele si conservano a lungo, anche 6 settimane. Controllatele spesso e rimuovete quelle marce, poiché faranno marcire anche le altre. Conservatele lontano alle verdure con foglie perché le mele, così come le banane, le pere e i meloni, producono etilene, un gas in grado di deteriorarle.

NOCCIOLA

frutta secca
La nocciola è il frutto del nocciolo, pianta coltivata dall'uomo già nell'antichità. Dopo le mandorle sono il frutto più ricco di vitamina E e sono una fonte di fitosteroli, una sostanza ritenuta importante per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Le nocciole contengono, inoltre, grassi monoinsaturi in grado di abbassare il livello del colesterolo LDL e dei trigliceridi.
Le nocciole italiane più pregiate sono: nocciola tonda gentile delle Langhe, tonda di Giffoni, tonda gentile romana, mortarella, tonda tardiva.
Grazie alle condizioni climatiche, questa pianta prospera nel Bacino del Mediterraneo. I maggiori produttori sono: Turchia, Italia, Stati Uniti e Spagna (in particolare in Italia per quantità Campania, Lazio, Piemonte e Sicilia).
La nocciola è comunemente annoverata fra la frutta secca, è di colore verdastro (inizialmente) e poi marroncino, con il proseguire del grado di maturazione. Il pericarpo è in parte ricoperto da un involucro fogliaceo a margine irregolare.
Il seme, posto all'interno, è commestibile ed è di consistenza croccante. Viene consumato sia allo stato fresco sia allo stato secco.
È molto ricco di lipidi (50-60% circa di grassi), di proteine (20%)e di acqua (11%). Questa composizione fa della nocciola un alimento molto calorico.
La nocciola è utilizzata principalmente nelle lavorazioni industriali, in quanto è il frutto che meglio si sposa con il cioccolato, sia al latte che fondente, in pasticceria, per la produzione di torroni, dolci e creme. Per la maggioranza degli impieghi viene sottoposta prima a tostatura. Nei paesi di lingua tedesca la nocciola è utilizzata sotto forma di farina per la preparazione di un dolce tipico (simile ad una crostata, la Torta Linzer).
Molto ricercato anche il suo olio che viene utilizzato dall'industria cosmetica.

NOCE

Una noce può essere sia un seme che un frutto. La parola "noce" viene intesa comunemente per indicare la parte commestibile del frutto dell'albero del noce (Juglans regia). Scientificamente, questa è il seme contenuto in una drupa, insieme al suo endocarpo legnoso.
Dal punto di vista della classificazione botanica dei frutti, una noce (o nucula) è un frutto secco con un seme (raramente due) contenuto in un pericarpo legnoso o coriaceo, senza chiara distinzione tra esocarpo, mesocarpo ed endocarpo; l'ovario diventa molto duro una volta raggiunta la maturazione e il seme rimane attaccato o fuso con la parete dell'ovario (se invece il seme è libero, si parla di achenio). Tutte le noci sono indeiscenti (cioè non si aprono spontaneamente a maturità).
Esempi di noci in questo senso "scientifico" sono le nocciole prodotte dal genere Corylus, le ghiande prodotte dal genere Quercus, le castagne prodotte dal genere Castanea e anche i frutti dei tigli. Non sono noci, invece, in questo specifico senso, quelle prodotte dal genere Juglans (benché chiamate volgarmente noci) né le noci di cocco (Cocos nucifera), che sono entrambe drupe; e tanto meno le noccioline (genere Arachis), che sono baccelli indeiscenti. (V. sotto per maggiori dettagli.)
Oltre alle Fagacee, altre famiglie (Betulacee, Ulmacee, Tiliacee, Ramnacee, Dipterocarpacee ecc.) includono piante che hanno frutti secchi della categoria "noci" (p.es. Zelkova, Tilia, Paliurus). Il loro impiego per l'alimentazione è ovviamente molto variabile secondo le specie.
Definizioni culinarie e denominazioni
Una noce in cucina è una categoria meno restrittiva rispetto a quella botanica, il termine infatti può essere attribuito a molti semi che in realtà noci non sono. Ogni grosso seme oleoso che abbia un guscio e venga usato per l'alimentazione (crudo, cotto, tostato, macinato, pressato per estrarne l'olio) assume volgarmente la qualifica di noce.
Alcuni frutti e semi che sono effettivamente noci nella tradizione culinaria (o farmaceutica), ma non dal punto di vista della definizione botanica:
Noce in senso comune: è un seme contenuto in una drupa (prodotta da Juglans regia).
Noce pecan: è un seme contenuto in una drupa (prodotta da Carya illinoensis).
Noce del Brasile: è un seme contenuto in una capsula (prodotta da Bertholletia excelsa).
Noce di cocco: è una drupa fibrosa (prodotta da Cocos nucifera e altre specie di palme).
Noce di areca o Noce di ara o Noce di betel: è una drupa (prodotta da Areca catechu)
Noce moscata: è un seme contenuto in una drupa (prodotta da Myristica fragrans).
Noce di cola: è un seme (prodotto da alberi del genere Cola).
Noce macadamia o Noce del Queensland: è un seme (prodotto dalla Macadamia integrifolia).
Noce d'acagiù o anacardio: è un achenio (prodotto da Anacardium occidentale).
Noce vomica: è una bacca (prodotta da Strychnos nux-vomica).
Nocciola cilena: è un seme usato in modo simile alla noce macadamia (prodotto da Gevuina avellana).
Nocciolina o Arachide: è un seme contenuto in un baccello indeiscente (che non si apre)
Per completezza, menzioniamo anche alcuni semi usati per l'alimentazione, che non sono chiamati noci neppure nell'uso culinario ma hanno molte somiglianze con quelli elencati sopra:
Mandorla: è un seme contenuto in una drupa.
Aleurites moluccana: è un seme (che viene utilizzato per produrne olio).
Pinolo: è un seme contenuto in uno strobilo (pigna) di alcune specie di pino.
Pistacchio: è seme contenuta in una drupa.
Noce comune
Il noce da frutto o noce bianco (Juglans regia L., 1753) è il rappresentante più conosciuto e più importante dal punto di vista economico del genere Juglans, appartenente alla famiglia Juglandaceae.
Reperti archeologici indicano che i frutti del noce venivano utilizzati come alimento già 9000 anni fa. Le prime testimonianze scritte risalgono a Plinio il Vecchio e Columella. Relazioni di Plinio, nella sua Naturalis historia, testimoniano l'importazione del noce in Europa dall'Asia minore, da parte dei coloni greci tra il VII e il V secolo a.C. .
Infatti, ci sono riscontri sulla presenza del noce già dall'era Terziaria in Europa. A seguito delle glaciazioni, alcuni esemplari sono riusciti ad arrivare nel bacino del Mediterraneo. Dunque, l'areale del noce nell'età quaternaria si estendeva dalla penisola balcanica fino all'Asia centrale. Sono ancora oggi presenti dei caratteristici boschi puri di noce in Kirghizistan, sulla catena montuosa Tien Shan.
Il noce è un albero vigoroso e caratterizzato da un tronco solido, alto, dritto e con un portamento maestoso e presenta radici robuste inizialmente fittonanti e a maturità espanse e molto superficiali. Può raggiungere i 30 metri di altezza.
Le foglie sono caduche, composte ed alterne. È una pianta monoica in cui i fiori maschili sono riuniti in amenti penduli, lunghi 10–15 cm, con numerosi stami, che appaiono sui rami dell'anno precedente prima della comparsa delle foglie. I fiori unisessuali femminili si schiudono da gemme miste dopo quelli maschili (proterandria), sono solitari o riuniti in gruppi di 2-3, raramente 4, appaiono sui nuovi germogli dell'anno, contemporaneamente alle foglie.
Il frutto è una drupa, composta dall'esocarpo (mallo) carnoso, fibroso, annerisce a maturità e libera l'endocarpo legnoso, cioè la noce vera e propria, costituita da due valve che racchiudono il gheriglio con elevato contenuto in lipidi.
Il noce è stato introdotto in Europa tra il VII e il V secolo a.C. e in America nel XVII secolo da coloni inglesi. Il noce è una pianta introdotta in quasi tutte le regioni temperate, ma la sua diffusione originaria allo stato selvaggio è relativamente più limitata, compresa tra la Penisola balcanica meridionale e l'Asia centrale. Boschi spontanei di noci misti ad aceri si trovano ad esempio sulle montagne dell'Uzbekistan. Le nazioni che vantano una buona presenza di Juglans regia in coltura sono la Francia, la Grecia, la Bulgaria, la Serbia e la Romania in Europa; la Cina in Asia; la California (maggior produttore mondiale di noci) in America settentrionale e il Cile in America latina. Ultimamente si è stato introdotto anche in Nuova Zelanda e nella parte sud-orientale dell'Australia. In Italia, è coltivato soprattutto in Campania, che produce oltre l'80% della produzione nazionale di frutto. Esistono in tutta Italia impianti specializzati da frutto e da legno, specialmente nella pianura padana, e in centro Italia. In Campania è molto utilizzata in impianti misti con noccioli e in agrumeti. Può dar luogo a modeste spontaneizzazioni in luoghi umidi e rocciosi. A volte si incontrano giovani piante in boschi di roverella, ma non hanno un seguito.
Il noce comune (Juglans regia) tollera bene suoli debolmente acidi e calcarei, mentre il noce nero (Juglans nigra) necessita di terreni freschi e leggermente acidi. Il noce è un albero di facile coltivazione, ma il terreno su cui è coltivato deve essere ricco di sostanza organica. Bisogna prestare particolare attenzione all'apporto idrico nel mese di giugno, perché, in caso di mancanza d'acqua, i frutti risulteranno piccoli. L'acqua in tarda primavera è fondamentale anche perché è il momento dell'induzione fiorale (i futuri fiori dell'anno successivo). Siccità o gelate tardive in questo momento comprometterebbero il raccolto dell'anno successivo. Gli alberi coltivati sono innestati e cominciano a produrre al quinto-sesto anno. Sono in piena produzione dal 25º anno ai 70 anni. Il noce nero è talvolta usato come portinnesto perché resiste alla muffa soprattutto nelle zone umide.
Colture
Sorrento (principale varietà in coltura specializzata in Italia)
Franquette (Francia)
Mayette
Serr (California)
Hartley
Payne
Le noci sono prevalentemente consumate come frutta secca. Possono tuttavia essere tritate per ottenere, per pressione, l'olio di noci, che conosce sia usi come olio alimentare, sia come olio siccativo nella pittura ad olio: il suo uso alimentare incontra un forte limite nella sua rapida tendenza a irrancidire.
Le noci vengono usate anche per la produzione di vino di noci. Per questo uso, per ora ancora di nicchia, si richiede la raccolta dei frutti molto giovani (verso la fine di giugno).
Il mallo delle noci non completamente mature è usato anche per la produzione di nocino, liquore diffuso in Europa.
Foglie e germogli vengono usati per la produzione del vino di noci, facendoli macerare nell'alcool come base del vino.

PERA

Col termine pera si intende il frutto (in realtà si tratta di un pomo, un falso frutto) delle piante del genere Pyrus a cui appartengono molte specie differenti. Alcune delle specie producono frutti eduli e vengono perciò coltivate, quella più diffusa è la specie Pyrus communis.
La pera è ricca di zuccheri semplici, specialmente fruttosio. La prevalenza di potassio la rende adatta ad una dieta iposodica (cioè una dieta priva di sodio).
La produzione avviene da fine luglio e si conserva anche 3-4 mesi in regime di freddo. La pera risulta pertanto disponibile per gran parte dell'anno e si consuma al naturale o cotta in sciroppo di zucchero. Nell'industria alimentare viene utilizzata prevalentemente per la produzione di succhi e sciroppati.
Esistono diverse varietà:
William, selezionata alla fine del Settecento in Inghilterra, dall'aspetto tondeggiante, di colore piuttosto uniforme e dalla buccia molto sottile, ha una polpa succosa ed è la più coltivata in Italia.
Max Red Bartlett (o William rossa) è di media grandezza, con peduncolo breve, buccia liscia, giallastra, soffusa di rosso all'insolazione. Le William sono largamente utilizzate dall'industria per la preparazione di sciroppi e succhi.
Decana, selezionata in Francia all'inizio dell'Ottocento, è tondeggiante con buccia giallo-verde e striature rossastre alla maturazione. La sua polpa è dolce, gustosa e compatta, ben si presta alla cottura, in particolare alla preparazione di marmellate e succhi di frutta.
Abate Fétel, di origini francesi, è grande, con collo allungato, carnoso alla base. La buccia è giallastra e ruvida, parzialmente rugginosa. La polpa è giallo pallido, si scioglie in bocca, molto succosa, zuccherina e aromatica. È gustosa e dissetante. Vicino alla base del torsolo ci sono dei semi marroni e lucidi.
Kaiser o Imperatore Alessandro originaria della Francia, in Italia condivide con la Abate Fetél il quarto posto in ordine di importanza. Il frutto è calebassiforme di un color tabacco completamente rugginoso. La polpa è bianco giallastra, consistente, appena granulosa, succosa, dolce-acidula, aromatica.
Conference, di origini inglesi, si è diffusa in Italia intorno al 1950. Il frutto è di dimensioni medie, piriforme, con peduncolo lungo, La buccia è giallo-verde e rugginosa. La polpa è bianco avorio, molto succosa, dolce e aromatica.
Spinella. Il frutto è di media grandezza, di forma piriforme tozza, con peduncolo lungo. La buccia a maturazione, si presenta gialla sfacciata di rosso carminio con abbondante punteggiatura. La polpa è compatta, ricca di noduli, dolce, poco succosa, tannica; vengono quindi utilizzate prevalentemente cotte o nella preparazione del vino cotto per arricchire il mosto di zuccheri e tannini. Il peduncolo è robusto e molto lungo. Le foglie sono lanceolate od ovate, coriacee, lembo leggermente ondulato, picciolo lungo. L'albero è alto con portamento assurgente, molto produttivo. I frutti si raccolgono in ottobre-novembre e si conservano fino marzo-aprile appesi in reste. La medicina popolare attribuisce a questi frutti proprietà astringenti e rinfrescanti.
Nashi. Questa varietà di pera è rotonda, verde e con sfumature color terra
Pera coscia
Pera ercolina
Pera cocomerina
Pera dell'Emilia-Romagna
Pera Mantovana
Pera nobile
Passa Crassana
Pera Picciola del Monte Amiata
Pera Madernassa: 
originaria del cuneese, da cuocere
Pera Martin Sec
Valori nutrizionali
La pera è un frutto ricco in zuccheri semplici (fruttosio), contiene inoltre potassio, vitamina C, pectine, tannino, sali minerali, acido malico e citrico, oltre che composti fenolici ad azione antiossidante. Una sola pera assicura il 16% delle fibre di cui il corpo necessita ogni giorno, ed il 10% della vitamina C. Di grande digeribilità, la pera svolge un'azione diuretica, rinfrescante e lassativa ed è particolarmente indicata nell'alimentazione di bambini ed anziani.
Anche se il suo contenuto zuccherino è alto, non è assolutamente da sconsigliare a chi soffre di diabete, poichè il fruttosio viene utilizzato dall'organismo indipendentemente dall'insulina, ed ha un effetto ipoglicemizzante assai più ridotto di quello del glucosio.
La grande prevalenza del potassio rispetto al sodio rende il consumo di pere raccomandabile in tutti i regimi dietetici iposodici prescritti nel trattamento dell'ipertensione e delle cardiopatie edematose. Inoltre, il contenuto in composti fenolici, a cui vengono riconosciute proprietà antiossidanti, aiuta a mantenere permeabili le pareti dei capillari sanguigni, prevenendo così i pericoli di infarto. I polifenoli agiscono sull'intestino normalizzandone le funzioni.
Le pere sono poco caloriche (30-35 kcal per 100 g), ed hanno un indice di sazietà piuttosto elevato; sono quindi indicate negli spuntini o per concludere un pasto poco saziante.
Non sono adatte a chi soffre di colite.
Cenni storici
La pera è un frutto antichissimo, conosciuto fin dalla Preistoria che veniva coltivata già da più di 4000 anni in Europa e in Asia, e veniva consumata dai greci (ne fa menzione Omero) e dai romani, che ne conoscevano moltissime specie diverse.
Pare che durante il Medio Evo questo frutto ebbe un forte calo di popolarità, che riconquistò a partire dal diciottesimo secolo.
Coltivazione
La coltivazione della pera è diffusa in tutti i continenti: Europa, Nord e Sud America, Asia, Africa e Oceania. Anche in Italia è diffuso in tutte le regioni, ma quelle in cui la sua coltura assume maggior importanza sono l'Emilia-Romagna, il Veneto, il Trentino-Alto Adige e il Piemonte.
Attualmente le varietà di pere coltivate nel mondo sono oltre cinquemila, soprattutto in Cina e in Europa (Francia, Germania, Italia, Spagna).
La raccolta va da giugno ad ottobre. Il momento opportuno è scelto mediante indici di raccolta quali il colore di buccia o polpa, la durezza della polpa, la resistenza al distacco.
Le pere sono disponibili tutto l'anno, con varietà diverse, da quelle estive a quelle autunnali, e a seconda della varietà, le pere assumono forma, grandezza, colore e sapore assai diversi.
Varietà
Le pere si trovano tutto l'anno poiché le diverse varietà maturano in periodi diversi. Di seguito descriviamo le varietà più diffuse.
William cultivar inglese (detta anche Bartlett). E' la più importante per l'esportazione e per le utilizzazioni industriali. L'Emilia Romagna è la regione più produttiva (70%) mentre il Veneto rappresenta il 10% della produzione nazionale.
Una cultivar di derivazione della William è la Max Red Bartlett (detta anche William rossa). La polpa è biancastra, molto succosa, dolce-acidula, con aroma moscato caratteristico, fine, compatta. Oltre che per il consumo diretto, le pere William sono largamente utilizzate dall'industria per la preparazione di sciroppi e succhi. I frutti si raccolgono nella seconda decade di agosto e si conservato soddisfacentemente in regime di freddo per 3/4 mesi.
Passa Crassana. Cultivar francese della metà del 1800, fino a qualche tempo fa deteneva il primato produttivo. Il frutto è grosso, la buccia è verde, gialla alla maturazione, spesso alquanto rugginosa nella zona del peduncolo. La varietà rossa è color ruggine sulla quasi totalità della buccia. La polpa è bianca, granulosa, di buon sapore. I frutti si raccolgono in ottobre e presentano un'ottima serbevolezza e resistenza.
Decana del Comizio. Cultivar francese, è diffusa soprattutto in Emilia Romagna (80%) e Veneto (12%). Il frutto è grosso, rugginoso, la buccia è giallo verde, liscia, cosparsa di numerose e piccole lenticelle. La polpa è bianca, fine, fondente, succosa, dolce-acidula e aromatica. I frutti sono delicati nella manipolazione ma ben serbevoli. Si raccolgono nella prima/seconda decade di settembre e possono essere conservati in frigorifero fino a dicembre/gennaio.
Conference. Cultivar inglese del secolo scorso. Ha cominciato a diffondersi in Italia intorno al 1950. Viene coltivata soprattutto in Emilia Romagna ed in Veneto, da cui provengono rispettivamente il 70% ed il 15% circa della produzione nazionale. Il frutto è di dimensioni medie, la buccia è verde-giallo bronzato (o rugginosa) con lenticelle marcate a maturità. La polpa è bianco giallastra, fondente, molto succosa, dolce e aromatica, poco acidula, di gusto molto gradevole. Le pere Conference, raccolte in uno stadio iniziale di maturazione (terza decade di agosto-primi di settembre) possono essere conservate in frigorifero fino a dicembre/gennaio.
Abate Fétel. Cultivar francese del secolo scorso. La sua produzione deriva prevalentemente dall'Emilia Romagna (80%) e dal Veneto (10%). Il frutto è grosso, la buccia è giallastra, soffusa di rosso all'insolazione. La polpa è bianca, fondente, molto succosa, zuccherina e aromatica. I frutti, molto resistenti e serbevoli, si raccolgono nella prima metà di settembre.
Imperatore Alessandro o Kaiser. Cultivar francese del secolo scorso. Le regioni in cui è maggiormente diffusa sono l'Emilia Romagna (60%) ed il Veneto (15%). Il frutto è grosso, la buccia è rugginosa su sottofondo giallo bronzeo e con numerose lenticelle evidenti. La polpa è bianco giallastra, consistente, appena granulosa, succosa, dolce-acidula, aromatica. I frutti si raccolgono nella seconda decade di settembre e presentano una certa serbevolezza fino a dicembre se conservati in frigorifero.
Come scegliere
Al momento dell’acquisto controllate che la pera sia intatta, privo di ammaccature e tracce di muffa, con la buccia asciutta e senza grinze; deve avere un buon profumo aromatico, la polpa deve risultare morbida al tatto e il picciolo deve essere verde e turgido, ben ancorato al frutto.
Quando i frutti risultano molto sodi sono adatti per essere cotti lessi o al forno.
Come conservare
Le pere, se acerbe, vanno conservate a temperatura ambiente per permettere loro una naturale maturazione, dopo di che messe in frigorifero nello scomparto della verdura possono essere conservate per una settimana.
Poiché le pere si ammaccano facilmente, è necessario maneggiarle con cura, ed è bene comprarle dure e portarle a maturazione a casa. Le pere infatti maturano meglio una volta raccolte.

PESCA



Il pesco (Prunus persica L. Batsch) è una specie del genere Prunus che produce un frutto commestibile chiamato pesca.
Il pesco è un albero originario della Cina, dove fu considerato simbolo d'immortalità, e i cui fiori sono stati celebrati da poeti, pittori e cantanti. Dall'oriente il pesco giunse in Persia da dove giunse in Europa; dalla Persia deriva quindi il nome della specie, (ripreso ancor oggi in molti dialetti italiani come ad esempio nel romanesco "persica", anche se caduto in disuso). In Egitto, la pesca era sacra ad Arpocrate, dio del silenzio e dell'infanzia, tanto che ancora oggi le guance dei bambini vengono paragonate alle pesche, per la loro morbidezza e carnosità. Il frutto arrivò a Roma nel I secolo d.C. e grazie ad Alessandro Magno si diffuse in tutto il bacino del Mar Mediterraneo. Pare infatti, secondo lo scrittore romano Rutilio Tauro Emiliano Palladio, che esso ne fosse rimasto affascinato quando lo vide per la prima volta nei giardini di re Dario III, durante la spedizione contro la Persia.
La coltivazione del pesco di solito viene avviata partendo da piante già innestate di un anno di età (astoni), acquistate presso i vivaisti. Tuttavia è possibile riprodurre questa pianta attraverso il seme anche se la qualità dei frutti sarà piuttosto imprevedibile. Si piantano in un composto da semina "standard" nella primavera successiva a quella in cui i semi stessi sono stati prodotti, dopo averli sottoposti a un adeguato processo di vernalizzazione, in natura o in frigorifero. Senza il giusto numero di ore di freddo, infatti, i semi non germinerebbero. Il pesco dovrebbe essere piantato in pieno sole in un'area moderatamente ventilata per attutire i rigori delle gelate invernali e delle arsure estive. La messa a dimora dovrebbe avvenire all'inizio dell'inverno per lasciare alle radici il tempo di prepararsi per il risveglio primaverile. I filari nelle coltivazioni dovrebbero essere ordinati sull'asse Nord - Sud.
Le pèsche sono carnose, succose e zuccherine, hanno la buccia di colore giallo-rossastra che può essere sottile e vellutata o liscia. La polpa è dolcissima e profumata e, secondo la varietà, può essere gialla o bianca con venature rosse più evidenti in prossimità del nocciolo che può essere aderente alla polpa (pesche duracine) o non aderente (pesche spiccagnole).
Varietà
La pelle liscia e il nocciolo libero (non aderente alla polpa), o meno (aderente alla polpa), distinguono la pesca propriamente detta dalle altre varietà prodotte dalla specie Prunus persica.
"Pesca gialla": polpa succosa e profumata, con nocciolo libero, o meno, e pelle vellutata (ad esempio Springcrest, Springbelle, Royal Gem, Royal Glory, Flavorcrest, Redhaven).
"Pesca bianca": polpa bianca e filamentosa, con nocciolo aderente, o meno, (ad esempio Iris rosso)
"Nettarina" o "pescanoce" o "nocepesca": sia a polpa gialla sia a polpa bianca, dalla pelle liscia e rossastra, con nocciolo libero, o meno, (ad esempio Sbergia, Big Top, Stark Redgold, Venus, Rita star, Maria Laura, Adriana, Indipendence, Caldesi).
"Percoco": pesca da industria idonea alla trasformazione (ad esempio Romea, Andross, Babygold). Alcune varietà di percoca della Campania hanno la denominazione di prodotto agroalimentare tradizionale.
"Merendella": pelle liscia e colore bianco-verde, con polpa aderente al nocciolo, diffusa in Calabria e in particolare nella fascia ionica catanzarese. Le varietà molto più diffuse sono le tre "Madonne" ovvero: M. di giugno, M. di luglio e M. di agosto. L'intensità del profumo è la caratteristica di questo frutto molto pregiato, apprezzato non solo dai residenti ma anche dai turisti. A maturazione riescono a raggiungere anche i 14°B, anche se questa condizione difficilmente si verifica poiché vengono raccolte precocemente data la delicatezza del frutto nonché la mancanza di una tecnica di conservazione adeguata. Negli ultimi anni dall'Università Mediterranea di Reggio Calabria è venuta fuori una tesi che dimostra l'elevata variabilità nell'abito di questo frutto; infatti, sono state segnalate 10 accessioni apparentemente differenti per le caratteristiche morfologiche e fenologiche anche se non è stata dimostrata la differenza a livello molecolare. Sono stati segnalati frutti completamente rossi, alcuni a polpa gialla oltre ai frutti tipici bianchi e bianchi/rossi. Sono presenti anche in Sicilia (Messinese) conosciuti con il nome di "Sbergie" e apparentemente sono molto simili alle merendelle.
"Pesca saturnina" o "Pesca tabacchiera" o "platicarpa": forma schiacciata, sapore intenso (alcune accessioni diffuse in Sicilia altre ottenute tramite incrocio come ad esempio Saturn e la serie Ufo).
Pesca di Bivona o “montagnola”
Produzione
In Italia, la maturazione dei frutti avviene tra la prima e la seconda decade di maggio nelle zone meridionali, fino alla fine di settembre per le cultivar più tardive. In linea di massima le condizioni climatiche italiane e degli altri paesi mediterranei sono ideali per la coltivazione del pesco, che può sopportare limiti assai ampi, da minime invernali di anche -15 -18 °C fino ad ambienti subtropicali dove il riposo invernale è alquanto limitato.
Valori nutrizionali
Hanno poche calorie (25 kcal per 100 g), sono ricche di fibra insolubile e non sono particolarmente interessanti per il contenuto vitaminico. Contengono invece una discreta quantità di potassio.
Hanno un indice di sazietà piuttosto elevato e quindi sono indicate negli spuntini o per concludere un pasto poco saziante.
Cenni storici
Il pesco è un albero originario della Cina, dove è considerato simbolo d'immortalità, ed i cui fiori meravigliosi sono stati celebrati da poeti, pittori e cantanti. Dall'oriente il pesco giunse al seguito delle carovane sino in Persia, da cui il cultivar prende il nome, e grazie ad Alessandro Magno si diffuse in tutto il bacino del Mar Mediterraneo. In Egitto, la pesca era sacra ad Arpocrate, dio del silenzio e dell'infanzia, tanto che ancora oggi le guance dei bambini vengono paragonate alle pesche, per la loro morbidezza e carnosità. Il frutto arrivò a Roma nel I secolo d.C.
Varietà
Le pesche si dividono in tre categorie principali: la pesche comuni, le pesche noci (dette anche nettarine) e le percoche.
Queste categorie possono essere divise ulteriormente a seconda del periodo di maturazione: avremo pesche a maturazione molto precoce (giugno), precoce (luglio - agosto) o tardiva (settembre).
Le pesche comuni e le percoche hanno la buccia vellutata, liscia le nettarine; tutti i tipi possono avere polpa bianca o gialla.
Le percoche vengono utilizzate soprattutto dall'industria conserviera.
Tra le pesche a pasta gialla, le più famose e coltivate sono le Collins, le Gialle di Padova, Haleaven, Elberta, June gold; tra quelle a pasta bianca le Fior di Maggio, Veronese, Fertile del Pitou, Michelini e K2; tra le pesche noci le Indipendence, Fantasia e Stark red gold.
Un altro criterio di classificazione suddivide le pesche in spiccagnole o spaccarelle, che hanno il nocciolo facilmente separabile dalla polpa; e duracine, nelle quali il nocciolo è difficilmente separabile dalla polpa.
Come scegliere
La pesca deve avere buccia liscia, vellutata, senza grinze e ammaccature. Il colore deve essere intenso, non verde, indice di scarsa maturazione. Al tatto deve risultare morbida, non eccessivamente dura. Deve avere un buon profumo dolce.
Come conservare
Conservare le pesche in frigorifero nello scomparto della frutta e verdura per 6-7 giorni massimo. Se sono un po’ acerbe, tenerle un paio di giorni a temperatura ambiente per favorire il processo di maturazione.

PISTACCHIO

Il pistacchio (Pistacia vera - L.) è un albero della famiglia delle Anacardiaceae. Può raggiungere un'altezza di circa 12 metri e un'età di 300 anni.
È originario del Medio Oriente, dove veniva coltivato già in età preistorica, particolarmente in Persia. Come riferisce nel suo celebre Deipnosophistai (I Deipnosofisti o I dotti a banchetto), Ateneo di Naucrati, scrittore e sofista greco vissuto nel II secolo, nell'Impero romano, diversi autori greci ed ellenistici parlano del pistacchio, collocandone la coltivazione in Siria, Persia e India, e chiamandolo bistachion o pistakia o pistakion. Destituita di fondamento è, quindi, la tesi, propugnata soprattutto per recenti ragioni ideologiche, secondo la quale "pistacchio" derivi dall'arabo (fustuaq).
Il frutto è una drupa con un endocarpo ovale a guscio sottile e duro, contenente il seme, chiamato comunemente "pistacchio" che ha colore verde vivo sotto una buccia viola.
È una specie dioica: i fiori, unisessuali, sono presenti su individui separati. I fiori sono a petali e raccolti in cime. Un albero maschile può produrre abbastanza polline per fecondare fino a 10 piante femminili.
Il pistacchio fruttifica in un ciclo biennale, il che, insieme alle variazioni climatiche, causa grandi variazioni nelle rese e nei prezzi.
Zone di coltivazione a rilevanza internazionale si trovano in Medio Oriente (soprattutto Iran, ma anche Turchia e Siria, anche se quest'ultima in forte calo), in California e, negli ultimi anni, anche in Cina. In Italia vi è storicamente una coltivazione di nicchia: rinomati sono i pistacchi di Bronte e Adrano alle pendici dell'Etna, tutelati dal marchio DOP "Pistacchio Verde di Bronte". L'Italia è passata da una produzione di 2.400 tonnellate nel 2005 a 2.850 tonnellate del 2012, diventando il settimo produttore al mondo. In Grecia, la cui produzione è in calo ma si attesta attorno alle 10.000 tonnellate, si coltiva un pistacchio dal guscio quasi bianco, con nucleo rosso-verde e con l'apertura del guscio simile alla varietà "Kerman", la varietà maggiormente utilizzata in California. La maggior parte della produzione in Grecia proviene dalla regione di Almyros.
I pistacchi vengono utilizzati sia sgusciati sia pelati, spesso tostati e salati, anche in pasticceria, per preparare gelati, creme, bevande e per la produzione di salumi (mortadella Bologna, ad esempio), o come condimenti per primi e secondi piatti.
Come tutta la frutta a guscio la presenza del pistacchio negli alimenti va indicata per legge in etichetta, ciò al fine di prevenire il possibile scatenamento di un'allergia alimentare.

SUSINA

Il susino europeo o prugno europeo (Prunus domestica L., 1753) è una pianta della famiglia delle Rosaceae che produce i frutti noti col nome di susina o prugna.
Il frutto contiene le vitamine A-B1-B2 e C e alcuni sali minerali: il potassio, il fosforo, il calcio e il magnesio.
L'albero del pruno ha la tipica forma ad ombrello o ad alberello. Talvolta nodoso, presenta fiori solitamente bianchi che sorgono già all'inizio della primavera. I frutti di forma ovale o sferica variano a seconda delle specie, possono giungere sino a 8 cm di grandezza e sono solitamente di sapore dolce, anche se alcune varietà si presentano aspre e necessitano di essere cotte con zucchero per essere commestibili. Tutte le varietà di frutti di Prunus contengono al loro interno un seme di notevoli dimensioni, che non è commestibile. Questo frutto si raccoglie da giugno a ottobre, con la possibilità di ottenere fino a cinque raccolte. Per stabilire il grado di maturazione si valuta il grado rifrattometrico, la resistenza della polpa (misurata col penetrometro), il rapporto solidi solubili/acidità totale e infine la variazione del colore di fondo della buccia. La prima raccolta è generalmente la migliore, fino ad arrivare poi alle ultime che presentano frutti di seconda qualità. Data la natura organolettica della polpa conservare in frigo questo frutto si rivela quasi inutile, in quanto la polpa tende ad imbrunire. Alcune cultivar sono originarie dell'Asia, altre dell'Europa o dell'America. È una pianta coltivata in tutto il mondo e in particolare in Europa. In Italia lo si ritrova principalmente in Emilia-Romagna e Campania; degna di nota anche la coltivazione in alcune zone del Trentino. Le varietà di susino sono raggruppate in 3 principali categorie, ognuna delle quali è suddivisa in vari gruppi di sottospecie. Le categorie sono:
Gruppo asiatico-europeo (P. domestica, P. insititia, P. cerasifera)
Gruppo sino-giapponese (P. salicina)
Gruppo americano (P. americana)
Susini europei
Agostana, varietà di origine italiana caratterizzata da frutti piccoli di colore rosso con polpa gialla e gusto gradevole. È utilizzata anche per realizzare liquori e confetture
Anna Spath, originaria dell'Ungheria ma commerciata in Germania per la prima volta dal vivaista Spath da cui il nome, è caratterizzata da frutti medio-grandi con una buccia che varia dal rosso porpora al blu violetto ed una polpa giallo-verdastra, soda e zuccherina, non particolarmente succosa.
Bella di Lovanio, prugna caratterizzata da frutti di grandi dimensioni che hanno forma ellissoidale e perlopiù simmetrica; la buccia è del tipico colore viola e la polpa si presenta giallo-ambrata, non particolarmente dolce.
Bianca di Milano, coltivata perlopiù nel milanese, produce frutti di forma rotonda con buccia verde chiaro e polpa gialla e zuccherina (non è da confondere con la Regina Claudia)
California Blu, originaria della California, è contraddistinta dai caratteristici frutti color blu-violaceo e dalla forma perlopiù tonda.
Empress, dà frutti di dimensioni maggiori, ma è di media qualità e debole verso i parassiti
Florentia, originaria di Firenze, produce frutti sferici e cuoriformi, di colore giallo venato di rosso; è caratterizzata da una buccia acidula al gusto e da una polpa molto dolce e succosa
Regina Claudia è un gruppo di varietà distinta in verde, dorata, ecc. a seconda delle colorazioni e produce frutti di forma sferica.
Rusticana, contraddistinta da frutti piccoli, di colore rosso o giallo variabile.
San Pietro, è caratterizzata da frutti di forma ovoidale e da una buccia inizialmente verde che tende a colorarsi di giallo a maturazione completa. È tra le prime specie di pruno a maturare.
Stanley, varietà più coltivata, è la pianta più produttiva e di qualità superiore[senza fonte][2]. Produce frutti anche di grandi dimensioni e sono eccezionali anche per l'essiccazione, data la maturazione tarda.
Sugar, simile alla Stanley, anch'essa presenta frutti ideali per l'essiccazione.
Verdacchia, varietà italiana di origini molto antiche, ha frutti dalla forma allungata con buccia e polpa di colore giallo-verdastro; i frutti sono succosi e dolci a maturazione avvenuta.
Susini sino-giapponesi
Angeleno
Black Diamond
Burbank, con frutti grandi caratterizzati da una buccia rossa scura ed una polpa gialla.
Goccia d'oro, detta anche Shiro, come suggerisce il nome è contraddistinta da frutti di colore giallo dorato.
Ozark Premiere, caratterizzata da frutti rossi, di notevoli dimensioni e di forma tondeggiante, caratterizzati da polpa gialla chiara e con maturazione completa alla fine di luglio
Sangue di drago, si distingue nei frutti per la buccia rosso-viola ed all'interno per la polpa gialla e molto dolce.
Sorriso di primavera
Santa Rosa, è caratterizzata da frutti piuttosto grandi e di forma sferica, la cui buccia è color rosso scuro, mentre la polpa è per contrasto gialla o sfumata di rosa.
Ruth Gastetter è una varietà di pruno che si riconosce per i frutti dalla buccia color viola scuro e per la polpa gialla e succosa.
Valori nutrizionali
La susina è ricca di potassio e vitamina a. ha spiccato effetto lassativo. 42 kcal per 100 g di prodotto.
Come scegliere
La susina deve avere buccia liscia, senza grinze o ammaccature. al tatto deve risultare morbida, non eccessivamente dura. non acquistare le susine troppo dure, poiché maturano difficilmente una volta recise.
Come conservare
conservare le susine in frigorifero nello scomparto della frutta e verdura per 6-7 giorni massimo. se sono un po’ acerbe, tenerle un paio di giorni a temperatura ambiente per favorire il processo di maturazione.

UVA

L'uva è il frutto della vite (Vitis vinifera).
Più propriamente l'uva è una infruttescenza, cioè un raggruppamento di frutti, detto grappolo. Il grappolo è composto da un graspo (o "raspo"), e da numerosi acini (detti anche chicchi, o più propriamente bacche), di piccola taglia e di colore chiaro (verde-giallastro, giallo, giallo dorato) nel caso dell'uva bianca, o di colore scuro (rosa, viola o violetto bluastro) nel caso dell'uva nera.
Il raspo, o rachide, è l'asse centrale del grappolo, ramificato in racimoli e quindi in pedicelli, che portano i fiori ed in seguito i frutti, gli acini.
L'uva viene utilizzata soprattutto per la produzione del vino, e si parla in questo caso di uva da vino, ma anche per il consumo alimentare come frutta, sia fresca (uva da tavola), sia secca (uva passa, utilizzata in cucina e nella preparazione dei dolci); infine dall'uva si estrae il succo d'uva (bevanda non alcolica), e dai semi si estrae l'olio di vinaccioli.
Le due specie di vite più importanti per la produzione di uva sono:
la Vitis vinifera, originaria dell'Europa e dell'Asia occidentale, dalla quale derivano tutti i vitigni destinati alla produzione di uva da vino e di uva da tavola
la Vitis labrusca, di importanza molto ridotta, originaria dell'America del nord, destinata marginalmente alla produzione di uva da tavola.
Le specie di vite americane ed i loro ibridi, essendo immuni dalla fillossera per quanto riguarda la parte radicale (infatti essa colpisce la parte aerea della vite "americana" e la parte radicale dalla Vitis vinifera), sono utilizzate sia come porta-innesto per la vite europea, sia come incrocio con alcune varietà della Vitis vinifera a produrre ibridi.
L'Italia è il primo produttore al mondo di uva da tavola. Tra le principali varietà di uva da tavola: Italia, Vittoria, Regina, per le uve bianche; Moscato d'Amburgo, Red Globe e Rosada per le uve rosse.
Valori nutrizionali
L'uva non contiene quantità apprezzabili di vitamine e minerali, solo alcune varietà sono una fonte discreta di vitamina C.
L'uva ha un potere saziante piuttosto basso, infatti non è difficile mangiare un chilo di uva (che corrisponde a un grosso grappolo), specie se ben matura e dolce, assumendo ben 600 kcal!
Per questi motivi, è sempre bene valutare se valga la pena inserire questo frutto in un piano alimentare ipocalorico. È sicuramente preferibile consumare l'uva insieme ad altri frutti, per esempio in una macedonia, per innalzare l'indice di sazietà.
Cenni storici
L'uva è il frutto della pianta Vitis vinifera che è originaria di una vasta zona compresa fra Europa, Africa del nord e Asia. Fu introdotta in Francia dai fenici nel 600 a. C.; i romani la introdussero in Germania nel secondo secolo dopo Cristo.
VarietàEsistono moltissime varietà di uva. Una distinzione importante è tra quelle da tavola e quelle da vino: le prime hanno buccia sottile, polpa compatta e pochi semi; le seconde, dalle quali si produce il vino, hanno polpa più succosa e tenera.
La specie più importante e versatile è la Vitis Vinifera, o uva "europea", coltivata per la prima volta 8000 anni fa in Asia, nelle terre comprese tra il Mar Nero, il Mar Caspio e l'Iran settentrionale.
Esistono anche due specie di orgine americana, la Vitis labrusca e la Vitis rutundita, la prima fu scoperta dai vichinghi e coltivata dai coloni britannici nel diciannovesimo secolo, ed è quella maggiormente coltivata tutt'ora oltreoceano.
Generalmente, le uve senza semi sono meno dolci di quelle con i semi.
Come scegliere
I grappoli sono raccolti maturi, poichè dopo la raccolta non maturano ulteriormente, quindi non si corre quasi mai il rischio di acquistare grappoli acerbi.
Si può usare il colore come indicatore dello stato di maturazione: gli acini di uva bianca devono tendere al giallo e quelli di uva nera devono avere un colore molto scuro, tendente al nero.
Gli acini devono essere saldamente attaccati al grappolo e il gambo deve essere flessibile (a parte in alcune varietà come la Impero, che ha il gambo legnoso).
Il tipico strato di polverina che avvolge ogni acino è un importante segnale della freschezza del frutto, poichè tende a scomparire con il tempo anche a causa dei "passaggi di mano".
Come conservare
Una volta acquistata, bisogna asportare gli acini marci e riporre i grappoli in frigorifero all'interno di una scatola di plastica perforata. In questo modo si conserverà anche per una settimana.
Bisogna lavare l'uva solamente prima di consumarla.

AMARENA

L'amarena (o visciola o marasca) è il ciliegio aspro (Prunus cerasus L., 1753), o ciliegio acido, è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rosacee e al genere Prunus.
Il frutto del ciliegio acido è simile alla ciliegia del ciliegio dolce (Prunus avium).
Tra le varietà di ciliegio acido, si distinguono le seguenti, con frutti di diverso colore e diversa acidità:
amareno (Prunus cerasus var. amarena), la varietà più diffusa, con frutti di colore rosso chiaro e sapore amarognolo, leggermente acido (le amarene);
visciolo (Prunus cerasus var. austera), chiamato nei paesi anglosassoni Morello cherry, con frutti di colore rosso intenso e sapore relativamente dolce, leggermente acido (le visciole);
marasco (Prunus cerasus var. marasca), con frutti piccoli di colore rosso-nerastro e sapore molto amaro e acido (le marasche);
ciliegio di Montmorency, con frutti di colore rosso chiaro.
Il ciliegio acido è un albero o arbusto con altezza dai 2 agli 8 metri con chioma piramidale e foglie dalla lamina di 5-8 cm e picciolo più piccolo rispetto al ciliegio. È una latifoglia e caducifoglia nobile dei nostri boschi, avendo legno più pregiato del ciliegio ed è longevo, diventando plurisecolare. I frutti eduli, anche negli esemplari selvatici, e ottima messa a dimora del seme.
Il tronco è eretto e con corteccia liscia caratterizzata da striature orizzontali. La fioritura, solitamente in zone collinari o pianeggianti, si verifica intorno al mese di marzo, mentre in zone montane avviene più tardi, verso aprile. I fiori sono del diametro di 2-3 cm con petali bianchi, in piccole ombrelle di 2-4 elementi su peduncoli di 3-4 cm. I frutti sono delle drupe, rette da un peduncolo corto e sottile e hanno forma sferica di 10-15 mm. Sono di colore rosso vivo che scurisce con la maturazione. La buccia è sottile e racchiude una polpa molto succosa di sapore acido-amarognolo che diventa dolce a maturazione completa. Al centro del frutto vi è un nòcciolo, il seme di forma sferica e di colore chiaro che racchiude una mandorla dal sapore amarognolo.
L'origine è incerta. Per alcuni autori il ciliegio aspro proviene dall'Asia occidentale, dall'Europa dell'est o dal Medio Oriente, dalle regioni dell'Armenia e del Caucaso, altri lo considerano endemico dell'Europa centro-orientale, in quanto numerosi semi di ciliegio sono stati rinvenuti in siti preistorici centro-europei. Una leggenda narra che l'abbia portato in Italia un generale romano, Lucullo, conosciuto per la sfarzosità dei suoi banchetti. In alcuni antichi scritti si legge che Lucullo raccolse la pianta a Cerasunte, città dell'Asia Minore, e la trapiantò nei suoi giardini intorno al 65 a.C. Oggi si rinviene spontanea nei boschi, sporadicamente fino a circa 1000 metri d'altezza.
Si adatta facilmente a ogni clima e non ha bisogno di particolari attenzioni, crescendo spesso anche in forma selvatica. Ama il sole, ma resiste anche alle basse temperature così come sopporta anche la siccità. Non ha particolari richieste per il terreno, cresce adattandosi a qualunque tipo.
I frutti trovano largo uso in ambito culinario dove vengono usati per la produzione di sciroppi, confetture, frutta candita o sotto spirito e liquori come il vino di visciole, il maraschino e la ginjinha. Sono molto ricchi di vitamina C e Vitamina B. Anche le foglie trovano uso nella produzione di un liquore. Piatto tipico della cucina romana è la Crostata con marmellata di visciole.
Particolare è l'uso dei peduncoli dei frutti che vengono raccolti a piena maturazione e lasciati essiccare al sole. Hanno proprietà diuretiche e sono considerati un sedativo delle vie urinarie. Si utilizzano, quindi, come potente diuretico, per cistite e per insufficienza renale. è un'erba medicinale.
Il legno, pregiato come combustibile e per falegnameria, ha durame giallastro e alburno rosato venato di rosso, molto simile al ciliegio dolce.