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martedì 3 gennaio 2023

Corso di materie prime tipiche del food: Lezione 6 Crostacei e molluschi

ARAGOSTA

Tipo: Crostacei
Nome scientifico: Palinurus vulgaris
Famiglia: Palinuridae (Palinuridi)
Ordine: Decapoda (Decapodi)
Crostaceo dal corpo robusto provvisto di due lunghissime antenne tra le quali sono disposti numerosi denti appuntiti. La parte anteriore (cefalotorace) è ricoperta da carapace da cui si diramano 13 paia di appendici. La parte posteriore (addome) è costituita da 6 segmenti. E' priva di rostro. Presenza di più serie di rilievi a forma di scaglie. Tutte le zampe mancano di chele. Colorazione bruno-rossastro-violacea. Ha una taglia medio-grande con una lunghezza media di 20-40 cm e massima di 50 cm ed il peso fino a 8 kg. Il corpo è di forma sub-cilindrica, rivestito da una corazza che durante la crescita cambia diverse volte per ricrearne una nuova.
La coda ha la forma di un ventaglio. Possiede diverse gambe ma solo una parte vengono utilizzate per camminare. A differenza di altri crostacei (ad esempio granchio ed astice), non ha chele.
Durante tutta la sua vita non smette mai di crescere, ed è un animale piuttosto longevo, può infatti vivere anche fino a 70 anni.
Caratteristiche organolettiche
Ha carni pregiatissime di sapore squisito. Commercializzata viva o congelata. E' il prodotto ittico più pregiato ed il crostaceo nobile per eccellenza e delicatezza di carni. Tutti i crostacei, dopo bollitura, diventano rosa o rossi.
Come riconoscere se è fresco
E' un prodotto molto delicato per cui deve essere commercializzata ancora viva per garantirne la freschezza.
Pulizia e trattamento
Normalmente viene cucinata intera, risciacquandola prima in acqua corrente. Mettere a bollire dell'acqua e aggiungere l'aragosta ancora viva.
Preparazioni tipiche
E' ottima cucinata in vari modi. Come antipasto o secondo piatto bollita con l'aggiunta di salsa maionese. Come primo unita a riso o pasta; tagliata a pezzi, dopo bollitura, unita a pomodorini freschi.
Ricette suggerite
Bouillabaisse, aragosta all'americana, aragosta alla griglia, cappon magro, insalata di aragosta e avocado.
Dove si pesca
Vive di preferenza su fondo roccioso, più raramente su fondo sabbioso, a profondità variabili fino a 100 metri a seconda della stagione. E' diffusa sia nel Mediterraneo che nell'Atlantico.
Stagionalità
E' reperibile durante tutto l'anno.

ARSELLA
arsella
Donax trunculus, conosciuto comunemente col nome di arsella, arsellina o raramente tellina sebbene non appartenga al genere omonimo, è un mollusco bivalve della famiglia Donacidae.
In Italia la raccolta di questo mollusco viene praticata comunemente. La raccolta professionale viene fatta mediante un attrezzo chiamato "rastrello da natante", simile a quello usato per la pesca delle vongole, che viene trainato da imbarcazioni in possesso di licenza di pesca. Tale attività può essere svolta unicamente in tratti di mare con acque classificate dai competenti organi di vigilanza sanitari; se la classe delle acque è definita "A" il prodotto può andare direttamente al consumo umano altrimenti deve essere avviato ad un trattamento di depurazione presso centri opportunamente autorizzati.
La raccolta manuale avviene attraverso uno strumento composto principalmente da un setaccio che raccoglie le telline e le separa dalla sabbia. Tale strumento viene azionato mediante una fascia intorno alla vita che serve per spostarlo orizzontalmente e da un lungo manico che fuoriesce dall'acqua. Il manico permette al setaccio di essere inclinato con un angolo utile a rimanere 3-4 cm immerso nel fondale sabbioso, contrastando in tal modo le forze che lo tirerebbero a galla esercitate dal traino.

ASTICE
Tipo: Crostacei
Nome scientifico: Homarus gammarus
Famiglia: Nephropidae (Nefropidi)
Ordine: Decapoda (Decapodi)
Crostaceo di grande mole con corpo allungato ricoperto, nella parte anteriore, (cefalotorace) da un carapace, liscio, da cui si diramano 13 paia di appendici. Rostro robusto privo di denti; il primo paio di zampe sono trasformate in chele. Sul carapace è visibile un solco che raggiunge la parte codale. La parte posteriore del corpo (addome) è formata da 6 segmenti.
Colorazione azzurro intenso, può raggiungere i 65 cm di lunghezza e 5/6 Kg di peso.
Caratteristiche organolettiche
Carni ottime. Si commercializza vivo e congelato.
Detto "astice blu" per la colorazione azzurrata, è un prodotto da intenditori grazie alla squisitezza delle sue carni. E' più grande e ha corpo più affusolato rispetto all'astice americano, carni più pregiate, più morbide e delicate. Tutti i crostacei, dopo bollitura, diventano rosa o rossi.
Come riconoscere se è fresco
E' un prodotto molto delicato per cui deve essere commercializzato ancora vivo per garantirne la freschezza.
Pulizia e trattamento
Normalmente viene cucinato intero, risciacquandolo prima in acqua corrente. Mettere a bollire dell'acqua e aggiungere l'astice ancora vivo.
Preparazioni tipiche
E' ottimo cucinato in vari modi: come antipasto o secondo piatto bollito con salsa di maionese, come primo tagliato a pezzi e unito a riso o pasta, dopo bollitura, con pomodorini freschi.
Ricette suggerite
Linguine all'astice
Dove si pesca
Vive su fondali rocciosi; la pesca avviene principalmente di notte con le nasse. Specie comune nel Mediterraneo occidentale (meno frequente nell'area orientale) e nell'Atlantico orientale.
Stagionalità
E' reperibile durante tutto l'anno.
Non è un prodotto da allevamento, esistono tuttavia delle vasche di mantenimento per mantenerlo vivo e garantirne la freschezza.
Denominazioni dialettali
Elefante di mare, Lupicante, Lupo di mare (Italiano); Longobardo (Liguria); Astese, Astise (Veneto); Baticulo, Grillo de mar (Venezia G.); Lupicante, Lupo di mare, Elefante (Toscana); Alifante mare (Campania); Alifante di mare, Astrice, Karrile (Puglie); Liafanti (Calabria); Liafanti, Lempitu di fora (Sicilia); Lenfra, Lungufanti
(Sardegna)
Inglese: Lobster
Francese: Homard, Homara, Lorman, Legrest, Llangaou, Lingoumbau
Spagnolo: Gruman, Lubrigante, Lobricanto, Lliebrecanta, Llobagante, Bogavante, Estrabagante, Abacanto, Centolla, Locantantaro, Mishera, Langosta francesa

CALAMARO
Tipo: Molluschi 
Nome scientifico: Loligo vulgaris
Famiglia: Loliginidae (Loliginidi)
Ordine: Decapoda (Decapodi)
Corpo cilindrico, allungato. Provvisto di 2 pinne all'estremità dorsale, di 8 braccia e 2 tentacoli più lunghi muniti di ventose presenti attorno alla bocca. All'interno del corpo è presente una conchiglia (gladio o calamo) lunga, appiattita e trasparente.
Colorazione rossastra con puntinatura sul dorso. Lunghezza 30-50 cm.
Caratteristiche organolettiche
Carni buone, delicate e gustose; viene commercializzato fresco e congelato.
Particolarità
Il calamaro mediterraneo si differenzia dalle altre specie di calamari poiché le pinne laterali sono lunghe quasi quanto tutto il corpo del mollusco. La colorazione assume al buio una certa fluorescenza, questo serve, soprattutto in primavera, ad attrarre la specie di sesso opposto. Per riconoscerne la freschezza si deve osservare il colore del mollusco; più la colorazione è viva e intensa, nelle sue varie sfumature, più è garantita la freschezza. La carne deve essere bianca.
Pulizia e trattamento
Lavare i molluschi sotto l'acqua corrente strofinando i tentacoli, con le mani, per eliminare i residui di sabbia ed asciugare bene con un foglio di carta da cucina, staccare la testa dal corpo, eliminare da questa gli occhi e la bocca (la protuberanza a forma di becco di pappagallo), estrarre la conchiglia trasparente e le interiora, dai molluschi più grossi togliere la pelle che li riveste. Alcune preparazioni richiedono che la testa resti attaccata alla sacca, in questo caso, aprire la sacca con un taglio verticale, per estrarre le interiora.
Un trucco per spellare più facilmente i calamari, consiste nel metterli mezzo minuto in acqua bollente e passarli poi in acqua fredda.
Preparazioni tipiche
Il calamaro si presta a diverse preparazioni: quale antipasto come insalata di mare dopo bollitura; in questo caso deve essere bollito intero perché non perda le caratteristiche organolettiche e la pelle viene tolta dopo la bollitura. Il corpo cilindrico può essere tagliato ad anelli che, passati in una pastella, vengono fritti in olio bollente. Si può cucinare ripieno tritando testa e pinne unite a pangrattato, aglio, prezzemolo, formaggio grattugiato e, a piacere, unendo del tonno sott'olio; con questo composto si riempie il corpo cilindrico, si richiude con uno stuzzicadenti e si cuoce al forno o in umido.
Ricette suggerite
Calamari alla marchigiana, Calamari ripieni, Fritto misto, Il pasticcio di pesce, Paella, Spaghetti al sugo di mare
Dove si pesca
Vive preferibilmente nelle zone costiere su fonadali fangosi. Specie comune nel Mediterraneo e nell'Atlantico orientale.
Stagionalità
E' reperibile durante tutto l'anno.
Caratteristiche nutrizionali
I calamari sono ricchi di sali minerali, quali sodio, potassio, calcio, fosforo, magnesio e vitamina A, è un alimento ricco di proteine e di tessuto connettivo, per questo richiede un’accurata masticazione. Per via dei pochi grassi, il calamaro è inoltre un alimento altamente dietetico. Nella carne di questi molluschi vi è una grande quantità di sostanze superattive speciali che assumono il controllo della produzione dei succhi gastrici necessari al processo digestivo. Inoltre inserire regolarmente la carne di calamaro nella nostra rotazione alimentare avrà un’azione stabilizzante del numero di colinesterasi nel sangue e nel fegato, importante per prevenire eventuali malattie epatiche.
Cenni storici
Il Calamaro è specie apprezzata fin dall'antichità. Raffigurazioni di questa specie sono presenti su piatti di epoca Attica e della Magna Grecia. Il Calamaro Gigante (Architeuthis dux) è il più grande cefalopode vivente che si conosca, ed è stato al centro, fin dall'antichità, di numerose leggende di mare: già Plinio parla dell'esistenza di un cefalopode mostruoso con braccia lunghe non meno di 10 metri e testa grande quanto 15 anfore romane messe insieme.
Varietà
ll calamaro comune è diffuso in tutto il Mediterraneo e nell’Atlantico orientale, dalle isole britanniche fino alle coste della Namibia. In Italia è presente in tutti i mari sebbene risulti più comune in Adriatico e in Sicilia. Nei mari del mondo esistono 22 specie appartenenti al genere Loligo mentre in Mediterraneo esiste solo un’altra specie, Loligo forbesi, che si distingue da L. vulgaris per la diversa grandezza delle ventose centrali presenti all’estremità delle mazze tentacolari delle braccia più lunghe. Le diverse specie si distinguono in genere per la forma e la dimensione delle pinne laterali, per le dimensioni del mantello, per la forma della conchiglia cornea interna, per le ventose sulle mazze tentacolari.
Come scegliere
Un modo semplice per riuscire ad individuare i calamari freschi è quello di osservarne la colorazione, che si deve presentare brillante, nitida e intensa, mentre col passare del tempo sbiadisce e compare un lieve ingiallimento. Un’altra prova per verificarne la freschezza, valida anche per gli altri molluschi, è toccarne la superficie: il tocco provoca un mutamento dei colori dell’area dove è avvenuto il contatto. La carne deve essere bianca.
Come conservare
I calamari sono molluschi molto delicati, che devono essere consumati o congelati il prima possibile. Appena acquistati devono essere eviscerati e lavati accuratamente sotto acqua corrente. Quindi è possibile conservarli in frigorifero, ben coperti da pellicola alimentare o chiusi in un sacchetto freezer, per 1 o 2 giorni al massimo. Se sono molto freschi, è possibile anche congelarli, a -18°C, in appositi sacchetti ben chiusi, avendo l’accortezza di eliminare quanta più aria possibile. Si possono così conservare 3 mesi.
Denominazioni dialettali
Calamaro comune, Calamaretto (Italiano); Caamà, Totano gentile (Liguria); Calamàr, Calamaretto (Veneto); Calamarello, Totano del riso (Venezia G.); Tòtano, Totanino (Toscana); Trufèllo, Calamaretti (Marche); Calamare (Abruzzi); Calamaio (Lazio); Calamaro verace, Calamaio, Calamarielli (Campania); Calamàre, Calamaricchie (Puglie); Calamàru (Calabria); Cadamàru, Calamàru, Calamaricchiu (Sicilia); Tòtanu, Toutinus, Calamarèddus, Toutinèddus (Sardegna).
Denominazioni straniere
Inglese: Squid, Flying squid, Calamary.
Francese: Encornet, Calamar, Corniche, Taute, Tauteno, Lauteno.
Tedesco: Tout, Glaougeau, Seiche rouge, Tifelek.
Spagnolo: Calamar, Calamarcò, Calamares, Lura, Jibiones, Chipirones, Maganos, Puntillas
COZZA
La cozza o mitilo (Mytilus galloprovincialis Lamarck 1819), Regolamento (CE) N. 1638/2001 e Regolamento (CE) N. 216/2009), è un mollusco bivalve ed equivalve. I mitili vengono chiamati comunemente in Italiano regionale anche cozze, muscoli, peoci, pedoli, móscioli, a seconda della zona geografica. Quando è necessario distinguere questa specie dalle altre del genere Mytilus, essa viene indicata con l'espressione mitilo mediterraneo.
È un mollusco lamellibranco, dotato cioè di branchie a lamelle che assorbono l'ossigeno per la respirazione e che trattengono contemporaneamente il cibo per l'alimentazione, costituita soprattutto da plancton e particellato organico in sospensione.
La valva, composta principalmente da carbonato di calcio, si presenta esternamente di colore nero o nero-viola, con sottili cerchi d'accrescimento radiali e concentrici verso la parte appuntita; internamente si presenta invece di colore madreperla, ma con una superficie liscia. Le due valve sono tenute insieme da una cerniera con tre o quattro dentelli.
La forma è grossolanamente a goccia, con il margine valvare arrotondato da un lato e appuntito e leggermente incurvato dall'altro.
Una volta aperto, il mollusco mostra il mantello che contiene tutti gli organi interni, tra cui quelli riproduttivi.
La distinzione tra i due sessi è possibile grazie all'osservazione del colore del mantello stesso, il quale, una volta raggiunta la piena maturità sessuale, si presenta di colore giallo crema nei maschi e di colore rosso arancio nelle femmine.
L'animale si lega al supporto attraverso fibre composte da L-3,4-diidrossifenilalanina (DOPA), sostanza studiata per la sua straordinaria resistenza alla trazione.
Distribuzione[modifica | modifica wikitesto]
La distribuzione naturale del mitilo mediterraneo comprende tutte zone ove vi siano scogli, emersi o sommersi, in tutto il Mediterraneo, il Mar Nero e la fascia costiera dell'Atlantico orientale, dal Marocco alle Isole Britanniche.
Il mitilo si è naturalizzato in diverse regioni del mondo: in Giappone, California, Sudafrica, Australia meridionale e Nuova Zelanda. In queste località il mitilo mediterraneo compete con la fauna locale ed è perciò considerata specie invasiva, dannosa per gli ecosistemi. Per questo motivo esso compare nella lista delle cento specie invasive più dannose.
I mitili sono frutti di mare molto apprezzati. Per questo motivo essi sono allevati in vivai distribuiti in tutto il Mediterraneo e in alcune zone, particolarmente vocate, si pratica la pesca dei mitili selvatici.
Nella parte edibile del mitilo si ha una media di 58 calorie ogni 100 gr. I mitili sono caratterizzati dalla presenza di sostanze importanti dal punto di vista nutrizionale: il ferro ammonta a 5,8 mg ogni 100 gr di parte edibile e significativa è l'alta percentuale di acidi grassi polinsaturi, tra cui l'acido eicosapentaenoico e l'acido docosaesaenoico, come anche è rilevante la presenza di pochi acidi grassi saturi, rispetto ad altri cibi di orgine animale. Altrettanto importante è la presenza nei mitili di sostanze antiossidanti, come il selenio e la vitamina E.
Molte sono le ricette gastronomiche che vedono i mitili come protagonisti[14]; se ne segnalano alcune:
in pentola o padella (eventualmente con vino bianco, pepe o altri aromi) insieme ai loro gusci;
come componente di spiedini;
fritti in pastella;
come componente di sughi per condire la pasta, da soli o con altri frutti di mare;
gratinati al forno con pan grattato, prezzemolo, aglio ed olio di oliva;
in pentola con solo pepe e cotte con il coperchio (dopo opportuna pulizia dei gusci e del bisso - il filamento tipo spago che le tiene ancorate). Nel napoletano questa preparazione si chiama "impepata di cozze", mentre se vi si aggiunge l'aglio e l'olio si chiama "sauté di cozze".
Il mitilo mediterraneo è edule, ma il suo consumo richiede molte precauzioni poiché esso, se cresciuto in zone marine prossime a scarichi urbani od in zone ove le correnti marine trascinano elementi provenienti da acque reflue, può essere facilmente ricettacolo di batteri e/o virus molto pericolosi. Infatti i mitili, come d'altro canto tutti i lamellibranchi, filtrano attraverso le loro branchie una gran quantità di acqua trattenendone particelle e microorganismi in essa sospesi.
I mitili potrebbero essere utilizzati per la depurazione delle acque, in quanto possono filtrare fino a 1000 litri di acqua al giorno.
Per i motivi suddetti è sconsigliabile l'uso invalso di mangiarli crudi, conditi con succo di limone. In alcune zone del meridione d'Italia questo modo di cibarsene è considerato, erroneamente, apportatore di effetti afrodisiaci. La credenza poi, che succo di limone spruzzato sul mollusco uccida i batteri è assolutamente infondata, dato che per eliminare tutti i batteri il succo di limone impiegherebbe diverse ore, o addirittura giorni.
Le patologie più comuni che possono insorgere a seguito di ingestione di mitili crudi cresciuti in acque non perfettamente sane sono: tifo, paratifo, colera, Norovirus ed epatite virale. Le tossine algali DSP e PSP rispettivamente causa di sindromi gastroenteriche e neurologiche di cui i mitili sono accumulatori qualora presenti nell'acqua, sono termoresistenti.
In ogni caso nella cottura i mitili devono necessariamente aprirsi in modo tale da far fluire il calore al centro del mollusco uccidendo tutti i batteri, il che richiede idoneo tempo.
Cozze:
Nell'Italia meridionale il mitilo è conosciuto con il nome di "cozza", termine derivante dal latino cochleam, ossia "chiocciola" e quindi "guscio". Il termine meridionale "cozza" è compreso in tutta Italia e negli ultimi decenni viene spesso usato anche nel resto d'Italia, a livello però esclusivamente commerciale. In ambito non commerciale, continuano invece a prevalere i nomi locali.
In Campania, nel gergo dialettale corrente si pronuncia anche còzzeca; in particolare a Napoli, il termine "cozza" o còzzeca viene anche usato per connotare una donna molto brutta. Il corrispettivo maschile, però, non è cozzo, ma cuozzo e sta ad indicare un uomo di bassa cultura.
Nel Centro-Sud, il termine "cozza" ha assunto recentemente un'accezione gergale e metaforica, di probabile provenienza romanesca, connotante una donna o ragazza decisamente brutta.
In alcune zone della Sicilia le cozze vengono chiamate cozzole di Messina; anche se effettivamente questo nome specificherebbe semplicemente i mitili provenienti dagli allevamenti situati in prossimità dello stretto (orientativamente caratterizzati da un sapore più deciso rispetto a quelli delle altre zone) il senso di questa definizione si è poi allargato facendo sì che con la parola cozzola si possano intendere vari tipi di mitili e con cozzola di Messina le cozze vere e proprie.
Muscoli:
In Liguria e nella Toscana costiera (provincia di Massa-Carrara e provincia di Lucca tra Marina di Carrara e Viareggio) il termine locale per indicare i mitili è muscoli. A la Spezia la tradizione dei coltivatori di mitili (detti, muscolai) risale alla fine del 1800. Da notare che i muscoli di Spezia sono citati da Fabrizio De André nell'album album Creuza de ma all'inizio della canzone Jamin-a. Il termine "muscolo" deriva dal latino musculus, dal quale hanno avuto origine anche i corrispondenti termini di numerose lingue europee. Alcuni esempi sono: il tedesco Muscheln, l'inglese mussels, il francese moules, il catalano musclos, l'olandese mosselen, il danese muslinger, lo svedese musslor.
Móscioli
Ad Ancona, alle pendici del promontorio del Conero, i mitili non vengono allevati, ma si pratica la raccolta di quelli selvatici, molto abbondanti sugli scogli. Il nome locale dei mitili è móscioli. Il mósciolo selvatico di Portonovo è un Presidio Slow Food e cresce tra la spiaggia del Passetto di Ancona e la spiaggia dei Sassi Neri di Sirolo; tali zone sono considerate un presidio di bio-sociodiversità dal Comune e dalla Provincia di Ancona. Il guscio del mósciolo è caratterizzato da uno spesso strato di concrezioni ed è tradizione degli anconetani raccoglierlo sul fondale "facendo i fiati", ovvero in apnea. Il sapore del mósciolo è più intenso di quello dei mitili d'allevamento.
Gli usi culinari della zona prevedono ricette in cui i móscioli sono preparati in vario modo, ma specie impanati e poi grigliati; in altre ricette essi sono utilizzati per la preparazione di sughi per la pasta; se utilizzati da soli si hanno le tipiche paste con i móscioli, bianche o con il pomodoro, se invece i móscioli sono associati ad altri frutti di mare si ha la pasta "alla marinara" (in bianco) o "alla pescatora" (con il pomodoro).
Peoci e Pedoli
In Veneto il mitilo viene chiamato peocio o pedocio, generando omonimia con il termine dialettale per pidocchio e anche con l'aggettivo gergale, presente anche nella variante peocìn, per definire una persona spilorcia, equivalente dell'italiano "pidocchioso". In lingua friulana si usa un termine corrispondente a quello veneto: "pedoli" (pidocchi).
Altre denominazioni:
Nel dialetto di Comacchio i mitili vengono chiamati "denti di vecchia".
A Livorno si chiamano "datteri".
Mitilicoltura
La mitilicoltura è un tipo particolare di acquacoltura; quella italiana, nonostante l'incremento della produzione degli ultimi decenni, non riesce a coprire il fabbisogno nazionale di mitili: nel 2006 l’importazione di questi molluschi in Italia è stata di circa 25700 tonnellate, di cui più della metà proveniente dalla Spagna.
In Italia si utilizzano tre diversi sistemi di allevamento:
il sistema fisso è il più antico ed è tipico delle aree lagunari o comunque molto riparate, non potendo resistere a condizioni di mare agitato;
il sistema "a monoventia" è stato introdotto a partire dagli anni novanta del Novecento e in breve tempo è diventato quello prevalente. È utilizzato in mare aperto in quanto ha un'alta resistenza, anche nei confronti di burrasche violente.
il sistema a "pluriventie" si è diffuso nei primi anni ottanta del Novecento, e viene utilizzato soprattutto nel Golfo di Trieste; è adatto a zone parzialmente riparate dalle condizioni meteomarine avverse.
Gli addetti alla mitilicoltura in Italia sono circa 1400.
Le zone in cui la mitilicoltura è di più antica tradizione sono il golfo di Taranto (cozza tarantina), il golfo della Spezia, la Laguna Veneta, il litorale Flegreo. Furono i pescatori tarantini che emigrarono nel 1800 ad esportare a La Spezia il modo di allevare i mitili.
Zone di mitilicultura più recenti sono il litorale Triestino (Friuli-Venezia Giulia), il golfo di Olbia (Sardegna), l’Emilia-Romagna, l’Abruzzo e il litorale adriatico della Puglia, specie nel territorio di Cagnano Varano, nel Gargano.
Nelle Marche la mitilicoltura è recente e di sviluppo limitato, in quanto in questa regione prevale la pesca subacquea in banchi di mitili selvatici, praticata nella zona di Ancona, Portonovo e in genere in tutto il Promontorio del Conero.

GAMBERO
Il nome volgare gambero identifica varie specie di crostacei acquatici appartenenti prevalentemente all'ordine dei Decapodi (Astacidea, Penaeoidea, Caridea ecc.) e marginalmente agli ordini degli Euphausiacea (krill), degli Stomatopoda (cannocchie), dei Mysida e degli Amphipoda.
Il termine generico "gambero" viene utilizzato per indicare sia le specie marine sia quelle d'acqua dolce (p.es. famiglia Astacidae).
Comunemente vengono chiamati gamberi o "gamberetti" i rappresentanti dei generi Alpheus, Crangon, Heteropenaeus, Palaemon, Parapenaeus, Penaeus e Periclimenes. Sono detti comunemente "gamberi rossi" le due specie marine Aristeus antennatus e Aristaeomorpha foliacea, raramente Aristaeopsis edwardsiana.
La normativa legale specifica quali sono i casi in cui si può usare in commercio la dizione "gambero" senza aggettivi (Solenocera membranacea), in quali si può usare la dizione "gambero" seguita da un aggettivo (p.es. gambero grigio, Crangon crangon, gambero rosso, Aristaeomorpha foliacea), in quali "gamberetto" (p.es. Palaemon elegans) o "gamberone" (p.es. Metapenaeus intermedius) e infine in quali è obbligatorio usare altri termini (p.es. Penaeus kerathurus = "mazzancolla" e non "gambero", anche se in Sicilia viene chiamata popolarmente "gambero barbuto" o "gambero imperiale").
I gamberi si distinguono a prima vista dai granchi, che sono pure crostacei decapodi, per il corpo allungato. Il corpo dei gamberi è suddiviso in tre parti: capo, torace e addome.
Il capo presenta l'antenna, l'antennula, due mascelle e una mandibola.
Nel torace sono presenti cinque appendici ambulacrali più tre paia di appendici modificate a massillipedi. Tre paia di questi, muniti di chele, sono utilizzati per il nutrimento. Infine nell'addome sono presenti sei paia di appendici che non hanno funzione ambulacrale, ma rappresentano invece appendici atte al movimento dell'acqua in avanti. In questo modo l'acqua viene spinta in avanti e fatta filtrare nelle branchie che si trovano su una parte delle appendici biramose del torace.
Conducono un'esistenza prevalentemente notturna.
Cacciano con l'ausilio delle appendici frontali (le chele) e individuano la preda grazie alle antenne che percepiscono le vibrazioni e forniscono un'identificazione della preda.
La femmina non può accoppiarsi prima della muta del carapace e generalmente tre volte l'anno.
La quantità di uova prodotte varia a seconda dell'età della femmina. Una volta fecondate le uova si trovano sospese sull'addome fino alla schiusa, che varia da qualche settimana a qualche mese in relazione alla temperatura dell'acqua. Commestibili, vengono vendute sia fresche (più costose) ma più in generale surgelate e scongelate (più economiche). Si possono preparare in varie ricette culinarie o secondo i gusti ma generalmente previa cottura in quanto questa facilità l'eliminazione della corazza esterna.

GRANSEOLA

La granseola (Maja squinado Herbst, 1788), è un crostaceo decapode della famiglia dei Majidae.
Carapace colore bruno-arancio, talvolta rosso-arancio, ricco di spine ai bordi di colore bruno. Zampe sottili e lunghe, adatte al movimento sul fondale sabbioso. Chele anteriori piccole, punta più chiara, al termine di braccia snodate, dello stesso spessore delle zampe.
Questo crostaceo vive sui substrati rocciosi marini. La sua essenziale arma di difesa è l'eccezionale mimetismo, che le consente di nascondersi perfettamente tra le alghe e le rocce colorate del fondale marino. A periodi costanti la granseola cambia il proprio carapace, attraverso una muta. Durante questo periodo l'animale è indifeso e vulnerabile a qualsiasi attacco. Perciò quando il vecchio carapace si rompe l'animale è coperto da un involucro molto tenero e, quindi, in breve tempo deve trovarsi un luogo sicuro ove rifugiarsi. Si nutre principalmente di alghe, bivalvi, larve di insetti, vermi e di piccoli pesci intrappolati nelle reti e in concave. Nei mari italiani questo granchio del peso di circa 500 g vive alla profondità di circa 100 m ma può raggiungere profondità di migliaia di metri soprattutto nei mari della Sardegna, ma è possibile incontrarlo anche a basse profondità nell'alto Adriatico. In genere è ricoperto da lattuga di mare per meglio mimetizzarsi nei fondali. Viene pescato con delle nasse.

MOLECHE
moleche
Le moleche sono prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Col termine di moleche si indicano nella laguna veneta i granchi verdi in fase di muta, quando cioè, nello spazio di poche ore, nei mesi primaverili (aprile e maggio) e autunnali (ottobre a novembre), abbandonano il loro rivestimento (carapace) e si presentano tenere e molli, da cui il nome. Sono state presidio Slow Food. La produzione di moleche è unica in Italia e forse nel mondo. Le moleche vanno cotte vive. Esistono due ricette principali: la prima prevede un taglio sulla schiena in modo che l'acqua rimasta fuoriesca, quindi vengono impanate e fritte; l'altra le pone vive nell'uovo sbattuto e salato, fino a che queste deglutiscano in parte il composto, quindi sono passate nella farina bianca e fritte.