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domenica 1 gennaio 2023

Corso di materie prime tipiche del beverage: Lezione 4 Vini emiliano romagnoli umbro marchigiani

ALBANA


https://youtu.be/x2Va9EnEgu4

ASSISI
 
L'Assisi rosso è un vino DOC la cui produzione è consentita nella provincia di Perugia.
colore: rosso rubino
odore: vinoso, caratteristico, profumato
sapore: asciutto, corposo, armonico, intenso e persistente

CAGNINA DI ROMAGNA
Il Cagnina di Romagna è un vino DOC la cui produzione è consentita nelle province di Forlì-Cesena e Ravenna. Dal 2011 la denominazione è modificata in Romagna Cagnina.
Caratteristiche organolettiche
colore: rosso violaceo.
odore: vinoso, caratteristico.
sapore: dolce, di corpo, un po' tannico, leggermente acidulo.

LAMBRUSCO
Il termine Lambrusco indica una serie di vitigni differenti e il vino prodotto con questi.
Le uve del Lambrusco sono rosse, coltivate maggiormente in Emilia-Romagna nelle province di Modena e Reggio Emilia ed in Lombardia nella Provincia di Mantova. Vengono utilizzate per produrre uno dei pochi vini rossi o rosé frizzanti.
Esistono quattro tipi di Lambrusco DOC: il Lambrusco rosso Salamino di Santa Croce secco o amabile; il Lambrusco di Sorbara che può essere rosso o rosé, secco o amabile; il Lambrusco Reggiano, rosa e dolce o rosso e secco e il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro secco o amabile. Il Lambrusco Salamino, il cui nome trae origine dai grappoli che ricordano dei salami, possiede un colore scuro con una intensa schiuma viola e un corpo medio. Il Lambrusco di Sorbara rosso è forse il più pregiato e viene prodotto nelle zone della provincia di Modena. È tipicamente un vino leggero con aromi di fragole lamponi e ciliegie. Il Lambrusco Reggiano dalla schiuma vivace ed evanescente possiede un gradevole profumo che varia dal fruttato al floreale, con un gusto fresco e fragrante. Il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro fortemente aromatico si presenta con una schiuma color ciliegia con aromi più ampi rispetto agli altri tre tipi di Lambrusco.
Il Lambrusco viene anche prodotto anche nella Lombardia orientale dove si produce un altro DOC, il Lambrusco Mantovano, il quale però porta in etichetta il riferimento alla sottodenominazione di origine, non rientrando nei quattro vini DOC prima citati. Questo vino, tipicamente leggero e dall'aroma fruttato, può essere rosso o rosé ed è composto con differenti varietà di Lambrusco.
I vitigni minori sono il Lambrusco Marani, il Lambrusco Maestri, il Lambrusco Ancellotta, il Lambrusco Montericco e il Lambrusco Viadanese o Grappello Ruberti.
Il Lambrusco è o frizzante o spumante (e, in questo caso, può essere secco, amabile, dolce). Sia la versione frizzante che spumante può essere anche rosé. Molto raro è il lambrusco tranquillo. Esiste anche qualche lambrusco spumante metodo classico (la tecnologia tradizionale, anche per il frizzante, è lo charmat).
L'etimologia del nome è incerta, esistono principalmente due ipotesi al proposito.
La prima vuole che il nome derivi da labrum (margine dei campi) e ruscum (pianta spontanea): la vite "la-brusca" sarebbe quella che cresce incolta ai margini dei campi.
La seconda attribuisce l'origine alla fusione dei termini labo (prendo) e ruscus (che punge il palato), da qui anche l'origine della parola "brusco". Questa parola infatti, è identificativo di quella caratteristica tipica dei vini giovani, collegata ad una contenuta acidità e tannicità vivaci e gradevoli.
Le testimonianze relative all'esistenza del Lambrusco ruotano attorno all'origine stessa del nome. Il significato di pianta spontanea, selvatica, può essere ricondotto in seguito al rinvenimento di semi di vite silvestre (selvatica) proprio nelle zone di produzione attuale del Lambrusco. Testimonianze dirette ci giungono dai latini e precisamente da Virgilio, nativo del mantovano, altra preziosa zona di produzione attuale, il quale parla dell'esistenza della vitis labrusca duemila anni fa, nella sua quinta bucolica. Anche altri scritti di quell'epoca parlano di quel tipo di vite, come il "De agri cultura" di Catone, il "De re rustica" di Varrone e il "Naturalis Historia" in cui Plinio il Vecchio dice: "la vitis vinifera le cui foglie, come quelle della vite labrusca, diventano di colore sanguigno prima di cadere". Non sono certe le origini della coltivazione di questa vite, in un trattato di agricoltura del 1305 il bolognese Pietro de' Crescenzi, suggerisce di prendere in considerazione l'allevamento della vite labrusca.
Nel 1567 Andrea Bacci, medico del papa Sisto V e botanico afferma che "sulle colline di fronte alla città di Modena si coltivano lambrusche, uve rosse, che danno vini speziati, odorosi, spumeggianti per auree bollicine, qualora si versino nei bicchieri".
Nel 1700 circa, si ebbe un'importante innovazione tecnica per la conservazione di questo vino frizzante: l'introduzione di una particolare bottiglia denominata Borgognona, caratterizzata da un vetro resistente e spesso e il relativo tappo di sughero tenuto fermo con l'aiuto di uno spago che altrimenti tenderebbe a saltare a causa della rifermentazione degli zuccheri che crea anidride carbonica.
Nel 1867 Francesco Aggazzotti, prezioso descrittore anche dell'aceto balsamico, propone una prima suddivisione esauriente delle tre tipologie prevalenti dei vitigni coltivati: Il lambrusco della viola o di Sorbara, il lambrusco Salamino, il lambrusco dai Graspi Rossi dai quali si ricaveranno tutti i vari tipi di Lambrusco.
Nella prima metà del Novecento il Lambrusco era un vino decisamente secco e la sua schiuma, proprio come per lo Champagne, era prodotta mediante una seconda fermentazione in bottiglia. Con l'avvento di nuove tecnologie nel campo vinicolo la produzione del Lambrusco aumentò notevolmente dai primi anni '60, con l'introduzione del metodo Charmat. Così nel ventennio successivo il Lambrusco venne venduto notevolmente all'estero in particolar modo negli Stati Uniti dove ebbe molto successo tanto da rappresentare circa il 50% dei vini italiani importati in America. In quel luogo infatti, venne promosso come una specie di Coca Cola italiana. Ma negli anni '90 la produzione di Lambrusco ebbe una svolta dal punto di vista qualitativo ai danni di quello quantitativo. Si tentò così di ritornare alle origini del lambrusco, più secco e consistente e meno dolce. Oggigiorno la maggior parte dei Lambrusco migliori non vengono ancora esportati e quelli venduti sui mercati esteri non sono DOC e solitamente di qualità mediocre.
Abbinamenti
Il Lambrusco è un vino che si sposa con i prodotti della cucina emiliana, talvolta caratterizzata da prodotti ricchi di grassi e aromi. Si abbina bene anche con cibi robusti come la carne suina, le salsicce e l'agnello; è ottimo da gustare con i formaggi tipici della zona: il parmigiano-reggiano ed il grana padano.
Viene utilizzato in cucina anche nella preparazione di piatti, specialmente tipici emiliani, come lo zampone e il cotechino, o primi piatti come il risotto al Lambrusco e la pasta al Lambrusco. Questo tipo di vino viene inoltre utilizzato nella preparazione di cocktail, quindi miscelato ad altri alcolici e frutta e servito come aperitivo. È anche utilizzato nella vinoterapia per le sue proprietà di conservazione della pelle.
Ultimamente il Lambrusco viene utilizzato anche nella produzione di cocktail particolari come la "spuma di Lambaroni" vincitore del premio Barman Day del 2010 svoltosi al salone del lingotto a Torino nella rassegna della manifestazione dello "slow food".
Luoghi di produzione
I vini di lambrusco DOC si trovano nel Modenese, nel Reggiano, e nel Mantovano:
Colli di Scandiano e di Canossa Lambrusco Montericco rosato frizzante
Lambrusco di Sorbara
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Lambrusco Modena
Lambrusco Salamino di Santa Croce
Lambrusco Reggiano
Lambrusco Grasparossa Colli di Scandiano e Canossa
Lambrusco Mantovano
Poi, esistono i Lambruschi IGP (Indicazione Geografica Protetta):
IGP della Provincia di Mantova
IGP di Quistello
IGP Emilia che partono da Piacenza fino a Forlì e Cesena passando da Ravenna
Infine, molto vino lambrusco è prodotto fuori dalle denominazioni/indicazioni (vino generico).

PAGADEBIT DI ROMAGNA
Il Pagadebit di Romagna è un vino bianco prodotto nella provincia di Forlì-Cesena.
Il nome curioso, che in dialetto romagnolo significa "paga debiti", deriva dal nome locale dato al vitigno Bombino Bianco, concorrente almeno per l'85% nella formazione del suo uvaggio, che ha particolari caratteristiche di resistenza alle avversità climatiche. In questo modo il contadino, anche nelle annate peggiori, produceva comunque del vino utilizzabile per pagare i debiti contratti nell'annata precedente. Per questo motivo un altro nomignolo dato al vitigno è Straccia Cambiale.
Nel 1989 ha ottenuto la DOC Pagadebit di Romagna e comprende le tipologie:
Pagadebit di Romagna amabile
Pagadebit di Romagna secco
Pagadebit di Romagna Bertinoro amabile
Pagadebit di Romagna Bertinoro secco

PIGNOLETTO

Il Colli Bolognesi Classico Pignoletto è un vino a DOCG prodotto in Emilia-Romagna
Zona di produzione
Comprende l'intero territorio dei comuni di Monte San Pietro e Monteveglio della provincia di Bologna e parte del territorio dei comuni di Sasso Marconi, Casalecchio di Reno, Zola Predosa, Crespellano, Bazzano, Castello di Serravalle della provincia di Bologna e Savignano sul Panaro della provincia di Modena.
Vitigni con cui è consentito produrlo
Pignoletto minimo 95% altri vitigni idonei alla coltivazione nella regione Emilia-Romagna, da soli o congiuntamente, fino a un massimo del 5%
Tecniche produttive
Sono da considerarsi inadatti i vigneti situati in terreni molto umidi a fondo valle.
I nuovi impianti ed i reimpianti dovranno avere una densità non inferiore ai 3 000 ceppi/ettaro.
Sono consentite solo forme di allevamento a spalliera.
È vietata ogni pratica di forzatura, ma consentita l'irrigazione di soccorso.
Tutte le operazioni di vinificazione e imbottigliamento debbono essere effettuate nella zona DOCG.
Richiede un invecchiamento fino al 1º aprile dell'anno successivo alla vendemmia.
Caratteristiche organolettiche
colore: giallo paglierino più o meno intenso, con eventuali riflessi verdognoli;
odore: delicato, caratteristico;
sapore: fine, armonico, caratteristico;
zuccheri riduttori residui: massimo 6 g/l sino ad un titolo alcolometrico volumico totale di 13,00% vol.; sono consentiti ulteriori 0,2 g/l di zuccheri riduttori residui per ogni 0,10% vol. di alcol totale eccedenti il titolo alcolometrico volumico totale di 13,00% vol..
Informazioni sulla zona geografica
L'area geografica della DOCG include la zona pedecollinare e di media collina compresa tra la vallata del Samoggia e l'ampia vallata del fiume Reno e da quelle minori dei torrenti Lavino e Idice. Tutti questi corsi d'acqua hanno andamento perpendicolare all'asse appenninico e delimitano rilievi interfluviali dal profilo più o meno accentuato a seconda dei materiali geologici che attraversano.
L'area è interessata dai seguenti principali paesaggi geologici:
Contrafforti e Rupi
Comprende rocce di età diversa che danno luogo ad un paesaggio segnato da rilievi, frequentemente di forma tabulare o di rupe, bordati da ripidi versanti e da pareti rocciose (contrafforti). Queste forme derivano dalla scarsa erodibilità delle rocce che compongono l'unità. Si tratta di arenarie stratificate, con subordinate marne e conglomerati. Le rocce su cui si modellano questi paesaggi sono sia le arenarie plioceniche sia le arenarie epiliguri. Si tratta di corpi rocciosi stratificati. I versanti sono generalmente acclivi e boscati. Questo paesaggio è particolarmente esteso nella parte centrale (tra Lavino e Reno) e sud-orientale dell'area.
I Colli con Frane e Calanchi
Questo paesaggio è caratterizzato da notevole complessità geologica e morfologica, che gli conferisce un aspetto composito e segnato da forti contrasti. A morbidi versanti, scarsamente acclivi e spesso coltivati, si susseguono incisioni calanchive. Ma l'aspetto che maggiormente caratterizza questo paesaggio è la diffusa presenza di fenomeni di dissesto franoso. Nei versanti e sul fondovalle il substrato è prevalentemente formato dalle cosiddette "Argille Scagliose": un complesso a struttura caotica in cui la matrice argillosa ingloba masse più o meno grandi di rocce calcaree, arenacee, marnose o stratificate. Frequentemente in posizione sommitale su questi versanti irregolari e con pendenze non eccessive, si ritrovano complessi rocciosi che, per la loro maggiore resistenza all'erosione, hanno pendenze più elevate e sono prevalentemente boscati. Questo paesaggio è presente esclusivamente nella parte sud-occidentale dell'area (in sinistra Lavino).
I Primi Colli Lungo il margine pedeappenninico si estende questa unità dove il paesaggio collinare si raccorda alla pianura con estrema gradualità. Il paesaggio è caratterizzato da una morfologia dolce, articolata in lunghi ripiani declinanti verso valle dove sono conservati antichi paleosuoli. Locali erosioni del reticolo idrografico minore formano valli scarsamente approfondite separate da crinali dalle ampie sommità dove affiorano le "sabbie gialle". Le rocce che compongono questa unità sono le formazioni delle Argille Azzurre e delle Sabbie Gialle (Pliocene – Pleistocene). Questo paesaggio è presente prevalentemente nella parte nord-occidentale dell'area (in sinistra Reno).
Piana dei Fiumi Appenninici
Comprende i fondivalle e gli sbocchi di fiumi e torrenti al margine. Il paesaggio deve le sue caratteristiche alla dinamica dei corsi d'acqua appenninici, i quali nel loro corso intravallivo hanno formato ridotti depositi nastriformi, e depositato allo sbocco in il loro carico più grossolano, formando corpi sedimentari noti come conoidi alluvionali. I suoli sono prevalentemente poco evoluti, spesso costituiti da materiali grossolani, secondo un gradiente deposizionale trasversale all'asse del corso d'acqua. Talvolta lungo i fondivalle e lungo il margine appenninico si riconoscono, in forma di terrazzi più o meno ampi, lembi residuali di antichi livelli di piane alluvionali, su cui si rinvengono suoli molto sviluppati ed evoluti (paleosuoli), simili a quelli già descritti nel paesaggio precedente.
All'ampia variabilità geomorfologica, ovvero di substrati e di forme del paesaggio, corrisponde un'altrettanto elevata variabilità pedologica, sia in termini di caratteri funzionali (tessitura, scheletro, profondità) che di livello evolutivo.
La coltivazione della vite è diffusa in maniera preponderante a quote inferiori ai 300 m s.l.m.., in sinistra Reno su suoli a tessitura fine, con contenuto in calcare variabile e su suoli a tessitura moderatamente fine, con elevata componente limosa e molto calcarei. I suoli a tessitura fine si rinvengono sia nei versanti generalmente dissestati su Argille Scagliose, sia nei primi rilievi collinari su Argille Azzurre Plio-pleistoceniche, sia sulle paleosuperfici subpianeggianti che corrispondono agli antichi conoidi alluvionali. I suoli a tessitura moderatamente fine, con elevata componente limosa e molto calcarei, si ritrovano sulle facies siltose dei litotipi presenti nel paesaggio dei Colli con frane e calanchi e in quello dei Primi colli.
Dal punto di vista climatologico, con riferimento al trentennio 1961-1990 (riferimento climatico di base secondo le convenzioni dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale), l'area è caratterizzata da una piovosità media annua che va da 800 mm nell'alta pianura a 1 200 mm nelle zone collinari più elevate e da temperature medie comprese, con inverso gradiente rispetto alle precipitazioni tra 14 °C e 12 °C. Nella bassa collina il bilancio idrico climatologico (differenza tra precipitazioni ed evapotraspirazione potenziale annue) evidenzia la presenza di un moderato deficit idrico (fino a 350 mm di deficit annuo) che può essere considerato un fattore positivo per la qualità delle produzioni vitivinicole, in quanto un certo stress idrico estivo favorisce nelle uve in maturazione la concentrazione degli zuccheri e la sintesi di componenti aromatici. Sopra la quota di circa 400 m s.l.m. il bilancio idrico climatologico evidenzia invece la presenza di un surplus idrico anche elevato (fino a 800 mm annui).
Le sommatorie termiche, calcolate con soglia 0 °C, vanno dai 4 500 ai 4 900 gradi giorno nella bassa collina. Sono inferiori a 500 gradi giorno sopra la quota di circa 400 m s.l.m.m. L'Indice di Winkler assume nella zona valori massimi di circa 2 100 nelle zone a quote meno elevate. La disponibilità termica, almeno nella fascia sotto i 400 m s.l.m., è ottimale, per la crescita e la maturazione di un'ampia gamma di vitigni. In Emilia-Romagna per il periodo 2030-2050 si prevedono temperature più elevate, precipitazioni più concentrate ed un aumento dell'intensità e durata degli episodi estremi di caldo e siccità.
Cenni storici
Quando i romani, circa due secoli prima della nascita di Cristo, sottomisero ed unificarono sotto il segno della lupa i territori abitati dalle tribù dei Galli Boi, avevano probabilmente mille motivi per farlo, non esclusi quelli legati alle ricchezze agricole di tali zone. I filari di vite erano maritati ad alberi vivi, secondo l'uso introdotto dagli etruschi e sviluppato successivamente dai galli. Tale metodo infatti, lo si chiama "arbustum gallicum", particolarmente adatto non solo alle terre basse ed umide della pianura, ma soprattutto si era incrementato notevolmente sulla zona collinare. È accertato che da tali terreni, soprattutto quelli collinari posti a sud di Bononia, i nostri antenati latini producessero vini che li appassionarono moltissimo. Le terre dell'agro bononiense erano coltivate dai veterani di tante campagne militari in tutto il mondo allora conosciuto, per cui la bevanda bacchica era palesemente bevuta, gustata ed apprezzata.
Plinio il Vecchio - I secolo d.C. - nel capitolo "Ego sum pinus laeto" tratto dalla monumentale opera di agronomia "Naturalis historia", enuncia che in "apicis collibus bononiensis" vi si produceva un vino frizzante ed albano, cioè biondo, molto particolare ma non abbastanza dolce per essere piacevole e quindi non apprezzato, poiché è risaputo che durante l'epoca imperiale era gradito il vino dolcissimo, speziato ed aromatizzato con innumerevoli essenze, inoltre, sempre molto "maturo" in quanto i vini giovani non erano in grado di soddisfare i pretenziosi palati della nobiltà. Erano trascorsi poco meno di tre secoli dalla conquista romana - 179 a.C. - che il vino era radicalmente mutato, ma non le qualità e caratteristiche uniche di tale nettare. Riprendendo il cammino alla ricerca di tracce che ci possano condurre ai vini che oggi degustiamo, ci imbattiamo nelle biografie dell'operosità di tali monaci-agresti che sono giunte fino ai giorni nostri, in cui si menzionano i notevoli impulsi dati per lo sviluppo della vite. Si sparsero in tutte le regioni italiane e nel migrare verificarono che sulle colline bolognesi si produceva un buon vinello dorato e mordace, appunto frizzante. OMNIA ALLA VINA IN BONITATE EXCEDIR - decisamente ".. un vino superiore per bontà a tutti gli altri" e bevuto non solo durante le pratiche liturgiche, ma anche con gioia alla tavola del nobile e del volgo, ottenuto da uve conosciute ed apprezzate come "pignole". I secoli che da allora sono trascorsi per giungere fino ai giorni nostri, sono stati indiscussi testimoni di innumerevoli fatti e citazioni riguardanti i vini delle nostre splendide colline bolognesi.
Nel 1300, Pier de' Crescenzi, nel più importante trattato di agronomia medievale "Ruralium commordorum - libro XII" descriveva le caratteristiche organolettiche del "pignoletto" che si beveva allora, in quanto il vino, oltre che maggiormente prodotto, era quello più gradito per piacevolezza e per la vivace e dorata spuma. Agostino Gallo ne "Le venti giornate dell'agricoltura" del 1567, sollecitava di piantare le uve pignole in quanto per la notevole produzione, permetteva un florido commercio perché sempre ricercate. Medico e botanico di Papa Sisto V, il Bacci, nel personale trattato del 1596 "De naturalis vinarium istoria de vitis italiane", asseriva le ".rare et optime..." qualità intrinseche dell'uva pignola. Così pure Soderini, noto agronomo fiorentino, sempre in quegli anni, ne confermava le caratteristiche. Trinci - 1726 - pone in evidenzia le caratteristiche di tale vitigno: l'odierno pignoletto si riscontra nella sua quasi totalità di tali affermazioni, per non dire che sono le medesime. Ulteriori conferme sono riportate nel "Bullettino Ampelograficho" del 1881, in cui è nominata l'uva pignola prodotta nelle colline poste a sud dell'urbe di Bologna, la cui assomiglianza con l'attuale produzione è stupefacente, e non lascia più adito a dubbi di sorta. Lo statuto di Bologna del 1250 ordina la costruzione della "Strada dei vini" per trasportare con sicurezza verso Bologna i vini ottenuti nelle colline a sud della città. A partire dal 1250 risalgono i primi estimi del comprensorio vitivinicolo.
Precedentemente all'attuale disciplinare questa DOCG era stata: Approvata come tipologia della DOC "Colli Bolognesi"con DM 04.08.1997 Approvato DOCG con DM 08.11.2010 (G.U. 278 - 27.11.2010) Modificato con DM 30.11.2011 (Pubblicato sul sito ufficiale del Mipaaf Sezione Qualità e Sicurezza Vini DOP e IGP)[1]
Il disciplinare del 1975 (G.U. 02/05/1975 n. 318) prevedeva:
produzione massima di uva: 90 ql/ha
resa dell'uva in vino: massimo 65,0%
Titolo alcolometrico dell'uva: minimo 12,0%
Titolo alcolometrico totale del vino: minimo 12,0%
Estratto no riduttore: minimo 16,0‰
Vitigni:
Pignoletto: 95.0% - 100.0%
colore: paglierino chiaro, con riflessi verdognoli
odore: delicato, caratteristico
sapore: tranquillo, fine

SANGIOVESE
 


https://youtu.be/tHpWtPJikZw

Il Sangiovese è un vitigno italiano a bacca nera. È tra i più diffusi (le aree coltivate coprono l'11% della superficie viticola nazionale); viene coltivato dalla Romagna fino alla Campania ed è tradizionalmente il vitigno più diffuso in Toscana. Entra negli uvaggi di centinaia di vini, tra i quali alcuni dei più prestigiosi vini italiani: Carmignano, Rosso Piceno Superiore, Rosso Conero riserva, Chianti e Chianti Classico, Brunello di Montalcino, Vino Nobile di Montepulciano, Montefalco rosso, Sangiovese di Romagna, Morellino di Scansano e molti altri meno conosciuti ma altrettanto pregevoli.

TORGIANO ROSSO RISERVA DOCG
Zona di produzione del  Torgiano Rosso Riserva DOCG è tutto il territorio del comune di Torgiano in provincia di Perugia. Il nome Torgiano deriva dalla contrazione di Torre di Giano, la torre, resto di un castello medioevale, che ancora oggi sovrasta l'antico borgo omonimo. Giano, secondo una leggenda, non sarebbe altri che il biblico Noè, sceso in Italia e fermatosi dopo il diluvio universale, proprio sulla riva sinistra del Tevere. La coltivazione della vite, in questa zona, risale almeno all'età etrusca. Non a caso sullo stemma del Comune di Torgiano da sempre campeggiano grappoli di uva accanto alla torre. Il vitigno principale è il Sangiovese minimo 70% ma possono inoltre concorrere alla produzione di detto vino le uve a bacca rossa idonee alla coltivazione per la provincia di Perugia, fino ad un massimo del 30%. Titolo alcolometrico minimo: 12,50% vol. Acidità totale minima: 4,0 g/l. Il periodo di invecchiamento è di almeno tre anni, dei quali almeno sei mesi in bottiglia. Limpidezza brillante. Colore rosso rubino. Odore vinoso, delicato. Sapore asciutto, armonico, di giusto corpo. Il Torgiano Rosso Riserva è considerato vino da tutto pasto, comunque ideale con pastasciutte, pollame nobile, arrosti, selvaggina e cacciagione. Temperatura di degustazione: 18°-20°C.

VERDICCHIO DI MATELICA RISERVA DOCG


Il verdicchio è un pregiato vitigno autoctono delle Marche. La sua origine non è certa, ma la sua coltivazione, soprattutto nell’alta valle dell’ Esino, ha radici antichissime. La zona di produzione delle uve atte a produrre i vini a Denominazione di Origine Controllata e garantita “Verdicchio di Matelica Riserva” comprende parte del territorio dei comuni di Matelica, Esanatoglia, Gagliole, Castelraimondo, Camerino e Pioraco in provincia di Macerata e parte del territorio dei comuni di Cerreto d’Esi e Fabriano in provincia di Ancona. Deve essere ottenuto dalle uve del vitigno Verdicchio, presente in ambito aziendale, per un minimo dell’85%. Possono concorrere altri vitigni a bacca bianca, presenti in ambito aziendale, idonei alla coltivazione nella regione Marche, congiuntamente o disgiuntamente per un massimo del 15%. Il titolo alcolometrico minimo è 12,50%. L’acidità totale minima 5 g/l. In relazione all’eventuale conservazione in recipienti in legno il sapore del vino può rivelare lieve sentore di legno. Il colore è giallo paglierino. L’odore delicato, caratteristico; il sapore asciutto, armonico con retrogusto leggermente amarognolo. Può essere utilizzato come aperitivo o abbinato a piatti di pesce o a primi piatti con condimenti vegetali o di mare. Si accompagna spesso a zuppe di pesce e a pesci al cartoccio o al forno; è ottimo anche con le carni bianche.