lunedì 13 marzo 2023

CONOSCERE I FRUTTI DI BOSCO ED I PICCOLI FRUTTI

I frutti di bosco sono una categoria di frutta che si sviluppa nel particolare clima umido del sottobosco.
Gelso nero (Morus nigra)
Gelso rosso (Morus rubra)
Gelso bianco (Morus alba)
Corniolo (cornus mas)
Uva spina (Ribes uva-crispa)
Crespino (berberis vulgaris)
Sambuco nero (Sambucus nigra)
Pero corvino (Amelanchier ovalis)
Amelanchier canadensis
Marasca (Prunus cerasus var. marasca)
Amarena (Prunus cerasus var. amarena)
Visciola (Prunus cerasus var. austera)
Fragola di bosco (Fragaria vesca)
Lampone (Rubus idaeus)
Mirtillo nero (Vaccinium myrtillus)
Mora (Rubus ulmifolius)
Mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea)
Ossicocco o Mortella (Vaccinium oxycoccos)
Ossicocco americano (Vaccinium macrocarpon)
Ribes nero (Ribes nigrum)
Ribes rosso (Ribes rubrum)
Ribes bianco (Ribes sativum)
Corbezzolo (Arbutus unedo)

Per fragola si intendono i frutti (in realtà si tratta di un frutto aggregato) delle piante del genere Fragaria a cui appartengono molte specie differenti.
Comunemente con questo termine si intende la parte edule della pianta: anche se le fragole sono considerate dei frutti dal punto di vista nutrizionale, non lo sono dal punto di vista botanico: i frutti veri e propri sono i cosiddetti acheni ossia i semini gialli che si vedono sulla superficie della fragola. La fragola viene considerata come un frutto aggregato perché non è altro che il ricettacolo ingrossato di un'infiorescenza, posizionata di norma su un apposito stelo.
La pianta, al di fuori del sistema riproduttivo, ha sistemi di moltiplicazione non sessuale, come lo stolone, ramificazione laterale radicante per mezzo della quale può produrre nuovi cespi che sono di fatto cloni dello stesso individuo vegetale. Le fragole oggi comunemente coltivate sono ibridi derivanti dall'incrocio tra varietà europee e varietà americane.
Dotate di un buon contenuto calorico a causa dell'elevato tenore zuccherino, le fragole rappresentano una eccellente fonte di vitamina C e di flavonoidi. Della famiglia dei flavonoidi fanno parte gli antociani, i quali sembrerebbero essere responsabili delle potenziali caratteristiche anti-infiammatorie delle fragole.
Varietà
Oltre alle fragole selvatiche esistono numerosissime varietà di fragole coltivate , a cui ogni anno se ne aggiungono di nuove , alcuni esempi :
"Belrubi", di forma allungata
"Pocahontas", di forma rotonda
"Gorella", a forma di cuore
"Carezza", a forma conica regolare, di grandi dimensioni
"Alba", forma conica allungata, lucida, ottima produzione, maturazione precoce
"Roxana", colore rosso intenso, ottima produzione, maturazione medio tardiva
"Arosa", fragola rustica, forma rotondeggiante, resistente al tatto, media produzione
"Darselect", colore rosso intenso, di grandi dimensioni, dal sapore molto dolce e un aroma da vera fragola.
Sabrosa", varietà nata in Spagna da incroci naturali. È adatta al clima Mediterraneo. Il frutto ha forma conica allungata e di colore rosso brillante. Il calibro è di dimensioni medio-gradi. Ciascuna fragola pesa in media 22-23 g. La polpa è rossa e croccante (durezza media ≥ 350 g/cm2). È una fragola aromatica e molto zuccherina (°Bx ≥ 7,5). Il sapore e l'aroma sono intensi. Dolcezza e acidità sono ben bilanciate. Il periodo della raccolta è da gennaio a giugno.

Ribes (Ribes sativum L.) è l'unico genere della famiglia delle Grossulariaceae. Il genere Ribes è diffuso in quasi tutta l'Europa e in gran parte del Nordamerica. È presente anche in tutta l'Asia a nord di una linea che collega il Caucaso al Giappone meridionale, in aree ristrette del Nordafrica e lungo le Ande fino alla Terra del Fuoco.
Il Ribes nigrum (comunemente detto ribes nero, talvolta cassis) è una pianta della famiglia delle Grossulariaceae. Oltre al ribes nero, esiste anche il ribes rosso. È un arbusto originario delle zone montuose dell'Eurasia, alto fino a 2 metri con fogliame deciduo e fusti ramosi. La corteccia è liscia, da chiara a rossastra nei fusti giovani, mentre diviene scura nei fusti vecchi. Le foglie sono grandi, piane, picciolate, con tre - cinque lobi, apice acuto e margine dentato. La pagina inferiore, coperta da un leggero tomento, è ricca di ghiandole giallastre dalle quali emana un caratteristico odore. I fiori appaiono in primavera, raccolti in racemi pendenti, sono pentameri, di colore verde-biancastro, poco appariscenti. I frutti, delle bacche nere globose ricche di semi con all'apice le vestigia del fiore, compaiono in agosto-settembre. Si differenzia molto dal ribes rosso per il colore, l'aroma e sapore e destinazione dei frutti. Le foglie, le gemme ed i frutti sono intensamente profumati per la presenza di ghiandole contenenti oli essenziali. Il ribes nero viene coltivato prevalentemente a scopo alimentare, ma negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede la finalità terapeutica. Il terreno deve presentare del calcare attivo e si deve apportare un ottimo quantitativo di potassio, essendo una specie potassiofila. La distanza consigliata tra le file è di 3 metri mentre sulla fila è sufficiente lasciare 1,5 m tra un individuo e l'altro. La moltiplicazione della specie avviene principalmente per talea di ramo. Salvo particolari condizioni non necessita di interventi irrigui. Tenendo presente che il ribes fruttifica prevalentemente sui rami di un anno e poco su quelli corti e inseriti su legno vecchio, l'operazione di potatura deve essere rivolta ad assicurare il rinnovo delle vegetazione.
Usi Alimentari
È alla base della Crème de cassis (cassis è il nome francese del ribes nero), un liquore a 20 % vol con cui si prepara il kir, con l'aggiunta di vino bianco.
Il ribes bianco (Ribes sativum (Rchb.) Syme) è una pianta apparente alla famiglia delle Grossulariaceae.
La pianta viene coltivata prevalentemente a scopo alimentare, ma negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede la finalità terapeutica. Il ribes bianco può essere coltivato a controspallina con palatura e filo di ferro, ponendo le piante a 2 m di distanza una dall'altra. La moltiplicazione della specie avviene principalmente per talea di ramo. Salvo particolari condizioni non necessita di interventi irrigui.
Il ribes bianco, rispetto al ribes rosso e al ribes nero ha un sapore più dolce e ha pochi nutrienti, ma è comunque una fonte eccellente di vitamina C e di Vitamina B6.

Vaccinium è un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Ericacee, i cui frutti sono comunemente noti come mirtilli. I mirtilli sono piccoli arbusti. Il gigante tra i mirtilli, il Vaccinium arboreum del Nordamerica, è un piccolo albero, che può arrivare a 9 m. Altri mirtilli sono arbusti che superano il metro, mentre molti (tutti quelli presenti in Italia) sono di piccole dimensioni o addirittura striscianti. Il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) fiorisce in maggio e fruttifica in luglio-agosto, ha foglie ovali e frutti bluastri, che si consumano freschi o trasformati in marmellata. Il mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea) ha foglie coriacee sempreverdi, con fiori bianchi o rosa, riuniti in grappoli terminali; produce bacche rosse commestibili ma amarognole, anch'esse adatte ad essere trasformate in marmellata.
I fiori hanno una forma tipica a orcio rovesciato, con petali saldati tra loro. Questa forma è comune a tutte le Ericaceae. I frutti hanno l'aspetto di bacche, ma in realtà sono false bacche, come le banane e i cocomeri, perché si originano - oltre che dall'ovario - da sepali, petali e stami.
La maggior parte delle specie vive nell'emisfero settentrionale e soprattutto in climi temperati e freddi, ma non mancano mirtilli propri di aree tropicali come le Hawaii, il Madagascar, Giava. In Italia il genere Vaccinium cresce allo stato spontaneo sui monti del Centro e del Nord.
Produzione
Uso alimentare
Molte specie di mirtilli producono bacche commestibili, più o meno aspre secondo la specie e il grado di maturazione. Tra le altre, citiamo il mirtillo nero (il più usato) e il mirtillo rosso.
Il mirtillo, in generale, contiene discrete quantità di acidi organici (citrico, malico, etc.), zuccheri, pectine, tannini, mirtillina (glucoside colorante), antocianine, vitamine A e C e, in quantità minore, vitamina B. Si sottolinea l'influenza favorevole delle antocianine sui capillari della retina e su tutti gli altri capillari in generale. Il succo di mirtillo è consumato sempre di più per via delle sue proprietà benefiche.

Il mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea L.) è un piccolo arbusto sempreverde della famiglia delle Ericaceae. I frutti, di colore rosso come indicato dal nome comune, sono commestibili. Da notare che non si tratta del Vaccinium macrocarpon (ossicocco o cranberry in inglese) né della mortella di palude con cui viene spesso confuso. L'habitat originario della specie è quello delle foreste circumboreali dell'Eurasia settentrionale e del Nord America, e si estende dall'area temperata fino ai climi subartici. La pianta si presenta in forma di cespugli polloniferi semilignei, con fusto perenne e steli striscianti a sviluppo orizzontale (stoloni), lunghi fino a 2 metri. Nelle aree paludose danno origine a fitti intrecci di tralci e radici. Le foglie sono piccole e ovali, di colore verde brillante nella pagina superiore, più pallido nella pagina inferiore. I getti verticali (5-8 cm) che si sviluppano dalle gemme sugli stoloni, possono essere vegetativi o dare origine al frutto.
I fiori sono bianco-rosati, a forma di campanula, rivolti verso il suolo. Sono formati da 4 petali ricurvati all'indietro e possono trovarsi singoli o a piccoli grappoli. Fioriscono nella seconda metà dell'estate. I frutti sono bacche tonde, di 0,5-1 cm di diametro, la buccia è lucida e dura, di colore rosso brillante che con la maturazione volge al rosso scuro. La polpa è densa, ricca di semi, di gusto acidulo e astringente per l'elevato contenuto di tannini, che conferiscono al mirtillo proprietà antiossidanti. Oltre che nell'industria alimentare, la bacca viene utilizzata nell'industria cosmetica sotto forma di saponi, profumi, creme, e nell'industria farmaceutica che sfrutta le proprietà antiossidanti e antibatteriche dei suoi componenti.

L'uva spina (Ribes uva-crispa L.) è una pianta della famiglia Grossulariaceae. L'uva spina è un arbusto spinoso a rami intricati, alto 50-150 cm. La sua forma biologica è NP - nano-fanerofita, cioè pianta legnosa con gemme perennanti poste tra 20 cm e 2 m dal suolo. Ha foglie lobate, senza stipole, di pelosità variabile. I fiori, solitari o a racemo di 2-3 fiori, hanno un breve peduncolo. Il calice è formato da cinque sepali giallo-verdi, gialli o porporini, di 5-7 mm. La corolla è formata da cinque petali minori dei sepali, alternati ad essi. Il fiore ha 5 stami epipetali (disposti in corrispondenza dei petali). L'ovario è infero, con uno stilo bifido. Il frutto è una bacca con numerosi semi, di dimensione e pelosità variabile. L'uva spina è una pianta eurasiatica, diffusa dall'Europa al Giappone. In Italia è comune sulle Alpi e sull'Appennino centro-settentrionale, fino al Molise. Cresce nei boschi e nelle radure di montagna, dai 100 ai 1600 m di quota.
Il frutto è commestibile e aromatico, la pianta viene coltivata soprattutto nell'Europa centrale e, in parte, anche in Italia.
lampone
Il lampone (Rubus idaeus, L. 1753) è un arbusto della famiglia delle Rosaceae, il cui omonimo frutto, di colore rosso e sapore dolce-acidulo è molto apprezzato nelle preparazioni alimentari.
La fioritura avviene normalmente tra maggio e giugno mentre il frutto, composito, matura in tarda estate o inizio autunno. Cresce tipicamente negli spazi aperti all'interno di un bosco o colonizza opportunisticamente parti di bosco che sono stati oggetto di incendi o taglio del legno. È facilmente coltivabile nelle regioni temperate e ha una tendenza a diffondersi rapidamente. Il lampone è un aggregato di drupe. Il lampone è normalmente utilizzato nella preparazione di confetture, sciroppi e gelatine.

Il sambuco comune (Sambucus nigra L.) è una pianta angiosperma dicotiledone legnosa a foglie decidue. È una specie molto diffusa in Italia soprattutto negli ambienti ruderali (lungo le linee ferroviarie, parchi, ecc.), boschi umidi e rive di corsi d'acqua. Il sambuco è un arbusto alto 4–6 m. I rami portano delle foglie composte, di colore verde scuro, lunghe 10–30 cm. Le foglie sono imparipennate con margine dentato-seghettato; la forma delle foglioline è lanceolata con apice acuminato, la fillotassi è opposta. I fiori sono ermafroditi e portati in infiorescenze (corimbi) molto vistose, larghe 10–23 cm. I singoli fiori sono formati da 5 petali fusi alla base (fiori gamopetali), calice anch'esso gamesepalo, ovario infero, 4 stami sporgenti. Fiorisce tra aprile e giugno. I frutti sono delle bacche nerastre, lucide.


Morus L. è un genere di piante della famiglia delle Moracee, originario dell'Asia, ma anche diffuso, allo stato naturale, in Africa e in Nord America. Comprende alberi o arbusti da frutto di taglia media, comunemente chiamati gelsi. Le foglie sono alterne, di forma ovale o a base cordata con margine dentato. Le principali specie conosciute e rinvenibili in Italia e in Europa sono il gelso bianco (Morus alba) e il gelso nero (Morus nigra), mentre le altre sono di varie parti del mondo. Il "frutto" del gelso è in realtà una infruttescenza detta sorosio costituita da tanti piccoli frutti accostati, generati da altrettanti fiori, e quindi altrettanti ovari. Il tutto è disposto su uno stelo. Il nome generico Morus viene dal latino mōrus, parola mediterranea attestata anche nel greco μόρον móron "nero" per via del colore dei frutti di alcune varietà. La parola latina si è poi diffusa in area germanica (antico alto tedesco mūrboum, tedesco Maulbeere) e celtica insulare (gallese mwyar).
Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]
Il genere comprende le seguenti specie:
Morus alba L. (gelso bianco), coltivato, originario dell'Estremo Oriente
Morus australis Poir., proprio dell'Asia orientale e meridionale
Morus cathayana Hemsl., diffuso in Cina, Corea e Giappone
Morus celtidifolia Kunth (gelso texano), diffuso dagli Stati Uniti fino all'Argentina
Morus indica L. (gelso indiano), coltivato, originario della regione himalaiana
Morus insignis Bureau, diffuso nell'America centrale e meridionale
Morus japonica Audib. (gelso giapponese), endemico del Giappone
Morus liboensis S.S.Chang, esclusivo del Guizhou (Cina)
Morus macroura Miq., diffuso dal Tibet all'Indocina
Morus mesozygia Stapf (gelso africano), proprio dell'Africa a sud del Sahara
Morus mongolica (Bureau) C.K. Schneid., dell'Asia orientale
Morus nigra L. (gelso nero), coltivato, originario del Medio Oriente
Morus notabilis C.K. Schneid., endemico in Yunnan e Sichuan (Cina)
Morus rubra L. (gelso rosso), coltivato, originario del Nordamerica
Morus serrata Roxb. (gelso himalaiano), proprio della regione himalaiana e terre adiacenti
Morus trilobata (S.S. Chang) Z.Y. Cao, endemico in Guizhou (Cina)
Morus wittiorum Hand.-Mazz., presente solo in Cina
Linneo aveva inserito nel genere Morus anche altre specie, che già a partire dalla fine del '700 furono spostate nel genere affine Broussonetia. Anche queste specie sono indicate con il nome volgare di "gelso", in particolare Broussonetia papyrifera, il gelso da carta.
Le specie del genere Morus vengono coltivate per diversi scopi:
I frutti (more di gelso nere, di gelso bianche, di gelso rosso) sono edibili (famosa la granita siciliana ai gelsi). Inoltre da essi vengono estratti oli essenziali usati come aromatizzanti per cosmetici naturali e sigarette elettroniche.
Le foglie (soprattutto del gelso bianco) sono utilizzate in bachicoltura come alimento base per l'allevamento dei bachi da seta, e questo giustifica la presenza residua nelle campagne.
Come piante ornamentali.
Per ricavarne legname facilmente lavorabile, buona legna da ardere e per ricavarne pertiche flessibili e vimini per la fabbricazione di cesti; per l'ultimo uso spesso gli alberi sono drasticamente capitozzati.
Il corbezzolo (Arbutus unedo L., 1753), che viene chiamato anche albatro o, poeticamente, arbuto, è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Ericaceae e al genere Arbutus. È diffuso nei paesi del Mediterraneo occidentale e sulle coste meridionali dell'Irlanda. I frutti vengono chiamati corbezzole o talvolta albatre.
Uno stesso arbusto ospita contemporaneamente fiori e frutti maturi, per il particolare ciclo di maturazione. Questo, insieme al fatto di essere sempreverde, lo rende particolarmente ornamentale, per la presenza sull'albero di tre vivaci colori: il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il verde delle foglie. Dato che questi sono i colori della bandiera d'Italia, il corbezzolo è un simbolo patrio italiano.
Il nome corbezzolo deriva dal latino volgare corbitjus, incrocio del lemma mediterraneo (preindoeuropeo) corba, sopravvissuto nell'Italia settentrionale, e del nome del genere dal latino arbutus, derivato da arbuteus, anch'esso lemma di origine mediterranea (preindoeuropeo).
Il nome scientifico della specie, unedo, deriva da Plinio il Vecchio che, in contrasto con l'apprezzamento che in genere riscuote il sapore del frutto, sosteneva che esso fosse insipido e che quindi dopo averne mangiato uno (unum = uno e edo = mangio) non veniva voglia di mangiarne più.
Dal nome greco del corbezzolo (κόμαρος - pron. kòmaros) derivano alcuni nomi dialettali dei frutti (Marche (cocomeri), Calabria (cacumbari)), e anche il nome del Monte Cònero, il promontorio sulle cui pendici sorge Ancona, e la cui vegetazione è appunto ricca di arbusti di corbezzolo.
Il corbezzolo è longevo e può diventare plurisecolare, con crescita rapida. È una delle specie mediterranee che meglio si adatta agli incendi, in quanto reagisce vigorosamente al passaggio del fuoco emettendo nuovi polloni, soprattutto su terreni acidi e sub-acidi.
Si presenta come un cespuglio o un piccolo albero, che può raggiungere un'altezza di 10 m. È una pianta latifoglia e sempreverde; inoltre è molto ramificato, con rami giovani di colore rossastro.
Le foglie hanno le caratteristiche tipiche delle piante sclerofille. Hanno forma ovale lanceolata, sono larghe 2-4 centimetri e lunghe 10-12 centimetri, hanno margine dentellato. Si trovano addensate all'apice dei rami e dotate di un picciolo corto. La lamina è coriacea e si presenta lucida e di colore verde-scuro superiormente, mentre inferiormente è più chiara.
I fiori sono riuniti in pannocchie pendule che ne contengono tra 15 e 20. La corolla è di colore bianco-giallastro o rosea, urceolata e con 5 piccoli denti ripiegati verso l'esterno larghi 5-8 millimetri e lunghi 6-10 millimetri. Le antere sono di colore rosso scuro intenso con due cornetti gialli. I fiori sono ricchi di nettare e per questo motivo intensamente visitati dalle api, se il clima non è già diventato troppo freddo. Dai fiori di corbezzolo si ricava dunque l'ultimo miele della stagione, pregiato per il suo sapore particolare, amarognolo e aromatico. Questo miele è prezioso anche perché non sempre le api sono ancora attive al momento della fioritura e non tutti gli anni è possibile produrlo, essendo la fioritura in ottobre-novembre.
Il frutto è una bacca sferica di circa 2 centimetri, carnosa e rossa a maturità, ricoperta di tubercoli abbastanza rigidi spessi qualche millimetro; i frutti maturi hanno un buon sapore, che non tutti, però, apprezzano. È possibile utilizzare i frutti per marmellate casalinghe (confetture) e altre preparazioni.
I frutti maturano in ottobre-dicembre, nell'anno successivo rispetto alla fioritura che dà loro origine, hanno una maturazione scalare e possono essere presenti sullo stesso arbusto bacche rosse mature e più chiare ancora acerbe.
Il legno di corbezzolo è un ottimo combustibile per il riscaldamento casalingo utilizzato su camini e stufe, ma il suo utilizzo maggiore è per gli arrosti grazie alle sue caratteristiche aromatiche. Il corbezzolo è un legno molto robusto e pesante; dopo circa 60 gg dal taglio può perdere fino al 40% del suo peso.
È una tipica essenza della macchia mediterranea, presente sia in Europa meridionale che nel Nordafrica; è ugualmente molto diffusa sulle coste atlantiche del Portogallo e della Spagna e nel sud dell'Irlanda. Il corbezzolo è una pianta xerofila, cresce in ambienti semiaridi, vegetando tra altri cespugli e nei boschi di leccio. Predilige terreni silicei e cresce ad altitudini comprese tra 0 e 800 metri. In Italia il suo areale è continuo su tutte le coste liguri, sarde, siciliane, tirreniche e in quelle adriatiche da sud fino ad Ancona.
I frutti sono eduli, dolci e molto apprezzati. Hanno una maturazione che si conclude a ottobre-dicembre dell'anno successivo, quando si hanno i nuovi fiori. Si possono consumare direttamente, conservarli sotto spirito, utilizzarli per preparare confetture e mostarde, cuocerli nello zucchero per caramellarli. Nelle Marche, e specificamente nella zona del promontorio di Monte Conero, una secolare tradizione voleva che gli abitanti della zona accorressero nel giorno dei santi Simone e Giuda (28 ottobre) nelle selve per cibarsi abbondantemente dei frutti del corbezzolo incoronandosi dei rami della pianta, perpetuando così un rito bacchico rivisitato in chiave cristiana. Oggigiorno la festa del corbezzolo non è più celebrata ufficialmente, ma gli abitanti della zona del Conero amano ancora recarsi nei boschi del promontorio per raccogliere i corbezzoli durante le belle giornate autunnali.
Vino di corbezzolo
Con la fermentazione dei frutti si ottiene il "vino di corbezzolo", a bassa gradazione alcolica e leggermente frizzante in uso in Corsica, Algeria e nella zona del promontorio del Conero, dove è detto vinetto.
Acquavite
Con la distillazione dei frutti schiacciati si ottiene invece un'acquavite, in uso specialmente in Sardegna.
Liquore
Facendo macerare i frutti per 10-30 giorni in soluzione alcolica se ne ottiene un delicato liquore. Questo liquore, di produzione prevalentemente artigianale è detto in Portogallo Aguardente de Medronhos, mentre nella zona del promontorio del Conero è chiamato arbuto del Monte.
Miele
Pregiato miele di corbezzolo, perché è una buona pianta mellifera. Il corbezzolo è un arbusto resistente alla siccità, e tollera leggermente il freddo, fino a circa -10/-15 °C, è un arbusto rustico e resistente a molti parassiti. Vegeta in terreni sub-acidi, anche rocciosi. Il corbezzolo, fiorendo in inverno, fruttifica solo in zone a clima mite dove le api possono impollinare, ad esempio nell'Italia meridionale, sebbene la pianta tolleri anche inverni più freddi (come il nespolo del Giappone).

Il rovo (Rubus ulmifolius Schott, 1818) è una pianta spinosa appartenente alla famiglia delle Rosaceae. Si presenta come pianta arbustiva perenne, sarmentosa con fusti aerei a sezione pentagonale lunghi fino a 6 metri ed anche più, provvisti di spine arcuate. È una semicaducifoglia, infatti molte foglie permangono durante l'inverno. Le foglie sono imparipennate, variabilmente costituite da 3-5 foglioline a margine seghettato di colore verde scuro, ellittiche o obovate e bruscamente acuminate, pagina superiore glabra e pagina inferiore tomentosa con peli bianchi. I fiori bianchi o rosa, sono composti da cinque petali e cinque sepali. Sono raggruppati in racemi a formare infiorescenze di forma oblunga o piramidale. Il colore dei petali varia da esemplare a esemplare con dimensioni comprese tra i 10 e 15 mm. La fioritura compare al principio dell'estate. Il frutto commestibile è composto da numerose piccole drupe, verdi al principio, poi rosse e infine nerastre a maturità (mora), derivanti ognuna da carpelli separati ma facenti parte di uno stesso gineceo. In Italia il frutto è maturo in agosto e settembre; il gusto è variabile da dolce ad acidulo. La moltiplicazione della pianta avviene per propaggine apicale o talea.
Il suo areale comprende quasi tutta l'Europa, il Nordafrica ed il sud dell'Asia. È stata introdotta anche in America e Oceania. La pianta è indicativa di terreni profondi e leggermente umidi. La riproduzione è sessuale attraverso i semi contenuti nelle drupe, ma anche vegetativa attraverso l'interramento di rami che danno origine ad una pianta nuova. È considerata una infestante in quanto tende a diffondere rapidamente e si eradica con difficoltà. Né il taglio né l'incendio risultano efficaci. Anche gli erbicidi danno scarsi risultati. Poiché è una pianta eliofila, tollera poco l'ombra degli altri alberi, pertanto si riscontra ai margini dei boschi e lungo i sentieri, nelle siepi e nelle macchie. Spesso nei boschi i rovi formano delle vere barriere intransitabili. Specialmente in associazione con la vitalba, essi possono creare dei grovigli inestricabili spesso a danno della vegetazione arborea che viene in pratica aggredita e soffocata. Tali situazioni sono quasi sempre l'espressione di un degrado boschivo.
Il nome scientifico di questa specie è composto dal nome di genere Rubus e da quello di specie ulmifolius. Rubus (dal latino ruber, rosso) potrebbe far riferimento al colore dei frutti maturi di altre specie dello stesso genere, come il lampone, o direttamente alla forma immatura del frutto di questa specie stessa. Ulmifolius (dal latino ulmus, olmo e folia, foglia) deriva dalla similitudine con le foglie dell'albero Ulmus minor.
Usi
La pianta è utilizzata per delimitare proprietà e poderi con funzione principale difensiva. Altre funzioni delle siepi a rovo sono nella fornitura di nettare per la produzione del miele (in Spagna), nella associazione di specie antagoniste di parassiti delle colture (ad esempio le viticole), nella formazione di corridoi ecologici per specie animali. Il frutto, annoverato tra i cosiddetti frutti di bosco, ha discrete proprietà nutrizionali con marcata presenza di vitamine C e A. Cento grammi di more fresche contengono infatti 52 kcal, 0,7 gr di proteine, 0,4 gr di lipidi, 12,8 gr di glucidi, 32 mg di calcio, 0,6 mg di ferro, 6.5 er (equivalente in retinolo) di vitamina A, 21 mg di vitamina C. Presenta indicazioni in erboristeria per le sue proprietà astringenti e lassative. Si tratta di un frutto delicato che mal si presta a lunghe conservazioni. È commercializzato per scopi alimentari al naturale e come guarnizione di dolci, yogurt e gelati, oppure nella confezione di marmellate, gelatine, sciroppi, vino e acquavite (ratafià). Nell'uso popolare, i giovani germogli, raccolti in primavera, sono ottimi lessati brevemente e consumati con olio, sale e limone al pari di molte altre erbe selvatiche primaverili. I germogli primaverili, colti quando il sole è alto, lavati e lasciati a macerare in una brocca di acqua fredda tutta la notte, danno una deliziosa e aromatica acqua depurativa, tradizionalmente usata per favorire le funzioni intestinali e depurare l'organismo dalle tossine accumulate durante l'inverno.

L'ossicocco (Vaccinium subg. Oxycoccus), detto anche mirtillo palustre o mortella di palude, è un sottogenere di piante appartenenti al genere Vaccinium. Secondo alcuni autori dovrebbe essere considerato come un genere a sé stante.La specie più comune in Europa è il Vaccinium oxycoccus, ma il Vaccinium macrocarpon, d'origine americana, è quello più commercializzato.
Secondo l'Economic Research Service del Ministero dell'Agricoltura degli Stati Uniti, i maggiori produttori di ossicocco sono il Wisconsin (circa metà della produzione totale) ed il Massachusetts (un terzo). Altri paesi produttori sono il Canada, il Cile ed alcuni paesi dell'Europa orientale.
È utilizzato nella prevenzione e cura dell'infezione delle vie urinarie, soprattutto nelle donne (se si tratta di cistiti ricorrenti o trattate prima con antibiotici: nel lungo termine, con dosi che negli studi variano da 50 a 500 mg/die protratte da 4 a 12 mesi). La sua efficacia è stata attribuita al rilascio di acido ippurico, che acidificava le urine con una presunta funzione batteriostatica: tuttavia, altri alimenti davano alle urine acidità superiore senza effetti sulle infezioni.
Nuovi studi hanno dimostrato che la mortella di palude ha un'attività antiadesione verso i batteri uropatogeni: "occupa" nell'epitelio delle cellule i recettori (altrimenti) leganti i cloni di Escherichia Coli e di altri batteri gram-negativi, infettivi per le vie urinarie. Gli ossicocchi sono ricchi di calcio e ossalati, che sono una frequente causa di calcoli renali. Oltre ai frutti freschi, i succhi, o i frutti secchi a scopo alimentare, in vari Paesi vengono venduti molti prodotti a base di ossicocco per i suoi effetti sulla salute. Nei paesi dell'Europa centro-orientale (ad esempio in Polonia, dove prende il nome di żurawina) si possono comprare nelle comuni farmacie sciroppi o succhi concentrati (dal sapore molto acido), integratori alimentari a base di questo frutto o di altre parti della pianta, tisane; gli infusi talvolta possono essere trovati anche nei normali negozi (spesso mescolati con altre piante), più facilmente che in Italia.

Il corniolo (Cornus mas L., 1753) è un albero da frutto, spontaneo, appartenente alla famiglia delle Cornaceae e al genere Cornus.
I cornioli sono arbusti o piccoli alberi, caducifoglie e latifoglie, alti fino a 5-6 metri e altrettanto estesi in larghezza. I rami sono di colore rosso-bruno e brevi, la corteccia è screpolata. Sono piante longeve, possono diventare plurisecolari e hanno una crescita molto lenta. Le foglie sono semplici, opposte, con un picciolo breve (5-10 mm) e peloso, la forma è ovata o arrotondata, integra e un po' ondulata ai margini, acuminata all'apice; sono ricoperte parzialmente da peluria su entrambe le pagine, e presentano un colore verde (più chiaro nella parte inferiore) e una nervatura al centro e 3-4 paia di nervature secondarie.
I fiori sono ermafroditi (cioè hanno organi per la riproduzione sia maschili sia femminili), si presentano in forma di ombrelle semplici e brevi, circondate alla base da un involucro di 4 brattee (foglia modificata che protegge il fiore) di colore verdognolo sfumato di rosso, che si sviluppano prima della fogliazione. La corolla è a 4 petali acuti, glabri (privi di pelo), di colore giallo-dorato, odorosi. Fiorisce da dicembre ad aprile[senza fonte]
Il frutto del corniolo è una drupa (frutto carnoso) commestibile (perché edule), con la forma di una piccola oliva o ciliegia oblunga; ha un colore rosso-scarlatto, rosso corallo o anche giallo, dal sapore acidulo, contenente un unico seme osseo. Il periodo di fioritura in Italia va da febbraio a marzo, mentre i frutti maturano ad agosto. Il legno è duro e compatto, con alta resistenza, molto usato nei secoli passati.
Il corniolo è specie propria dell'Europa centro-orientale sino al Caucaso e all'Asia minore; in Italia si trova in tutta la penisola, ma è più frequente nelle regioni settentrionali. È una specie che predilige i terreni calcarei, e vive in piccoli gruppi nelle radure dei boschi di latifoglie, tra gli arbusti e nelle siepi del piano sino a 1300 (anche 1530) metri.
Il corniolo è coltivato come pianta ornamentale in orti e giardini, e per i suoi frutti commestibili. Ama terreni freschi e ombreggiati, calcarei, per cui è facile trovarlo nei boschi d'alta collina o di montagna. Esistono diverse varietà con frutti rossi o gialli, più o meno grandi. È un arbusto che non teme le gelate tardive, rustico e resistente agli attacchi di molte malattie.
I piccoli frutti rossi vengono lavorati, oltre che per la produzione di succhi di frutta e marmellate (ottime come accompagnamento al bollito di carne), anche per aromatizzare alcuni tipi di alcolici, come, ad esempio, la grappa. I prezzi di questi prodotti sono relativamente alti a causa della bassa fertilità e del piccolo contenuto di alcool.
Si possono mangiare i frutti anche freschi, ma è preferibile gustare quelli appena caduti o quelli che si staccano dallo stelo con un leggero tocco di mano, cioè quando sono a piena maturazione.
Il legno del corniolo è di colore bruno-chiaro nelle parti interne (alburno), mentre nella corteccia è rossastro, con anelli poco distinti. È il più duro presente in Europa, molto resistente, e viene utilizzato, tra l'altro, per la produzione di pipe. Nel passato era usato per la fabbricazione di pezzi di macchine soggetti a forte usura (per es. raggi e denti da ruota) e per lavori di tornio. La sarissa, picca usata dalla falange macedone, era in legno di corniolo.
Tutta la pianta ha proprietà tintorie (in giallo). Il corniolo è un'erba officinale.

Il crespino comune (nome scientifico Berberis vulgaris L., 1753) è una pianta spontanea, appartenente alla famiglia delle Berberidaceae e al genere dei Berberis.
Il nome del genere deriva dal greco Berberi, che significa Conchiglia, per via dei petali fatti a conca.
Il crespino comune è un piccolo albero o un arbusto alto da uno a tre metri, latifoglie. Ha grosse radici scure all'esterno e gialle all'interno; l'arbusto presenta rami spinosi.
Le foglie sono semi-persistenti. Le foglie sono ellittiche, si restringono alla base in un corto picciolo e arrotondate all'apice; la superficie è larga e lucida, il margine è dentellato. Le foglie sono alterne sui rami lunghi oppure sono riunite in fascetti su dei rametti molto corti, alla base di ognuno dei quali è presente una spina composta da tre a sette aculei pungenti.
I fiori sono gialli con sei petali, sono piccoli e riuniti in mazzetti.
Il frutto è una bacca lunga 1 cm e sono (eduli) commestiibili, rossa e persistente sulla pianta, che contiene da due a tre semi dal guscio corneo. La fioritura si ha ad aprile-maggio e la maturazione avviene ad luglio.
Cresce nelle zone aride montane, ai margini dei boschi, nelle siepi, nei pascoli fra i 100 e i 2000 m. Se presente in zone limitrofe a coltivazioni soggette a ruggini, può essere un ospite secondario del patogeno, ma in Italia ciò non accade a causa dell'ambiente non adatto, al contrario ad esempio della Francia.
Il crespino comune con le sue spine può essere impiegato per fare una siepe difensiva e impenetrabile nei confini degli appezzamenti. La pianta è resistente e rustica, tollera abbastanza le potature, non teme il freddo e resiste a brevi periodi di siccità. inoltre è un'erba officinale ed un'erba medicinale.
Possiede proprietà amaricanti, toniche, astringenti, febbrifughe, depurative, diuretiche. Viene usata la corteccia delle radici come anche foglie e frutti.
A maturazione, in estate a luglio, i frutti hanno un sapore Aspro-acido e non sono molto buoni. Dopo le prime gelate, in autunno, i frutti si addolciscono e possono venire usati per preparare marmellate, confetture e sciroppi dal sapore forte e gradevole. In ogni caso solitamente i frutti non si consumano allo stato fresco. Sono molto ricchi di acido malico (e a questo si deve il loro sapore acido) e di vitamina C. Per chi si accingesse a raccogliere le bacche, è consigliata cautela per via delle terribili spine. In altre tradizioni culinarie, come ad esempio quella russa e soprattutto l'iraniana, i frutti vengono utilizzati spesso per bevande gassate e succhi ma anche per piatti di carne. In Iran vengono consumati solitamente secchi e in occasione di ricorrenze speciali quali ad esempio il matrimonio.
Ci sono alcune varietà di crespino con foglie rosse o con bacche gialle, usate come ornamentali, alcune sono sempreverdi.
Amelanchier ovalis detto comunemente Pero corvino è un arbusto appartenente alla famiglia delle Rosaceae.
Il nome del genere deriva da un termine di origine gallica che significa "piccola mela", mentre il nome della specie deriva dal latino ovum che significa uovo, dato per via della forma delle foglie, appunto ovali. In greco Amelanchier meles (mela) e anchein (strozzare), cioè mela aspra; la presenza della lettera a iniziale indica negazione; infatti il sapore del frutto è dolciastro.
Arbusto cespuglioso alto massimo fino a 3 m, ma usualmente con un'altezza che va da 1-1,5 m. , fusto e rami a corteccia rossastra cosparsi di peli corti e patenti o di tomento ad anelli. Foglie caduche, ovato-ellittiche con la pagina inferiore bianca tomentosa. Fiori bianchi al termine di brevi rami ascellari, in corte infiorescenze a racemo. Sepali corti, acuti e divergenti arrossati di sotto. Di forma molto tipica e inconfondibile, con 5 petali molto lunghi e stretti, molto distanziati tra loro, vellutati, con numerosi stami. Compaiono prima o contemporaneamente alle foglie. la fioritura avviene ad aprile. Frutti a pomo, sferici, di 1 cm di diametro, nero-blu opaco, contenenti una decina di semi e la maturazione si completa a luglio.
Pianta poco comune. Cresce spontaneo nei boschi radi, sui pendii e anche su luoghi rocciosi. Predilige terreni calcarei, mentre per quanto riguarda luce e acqua non ha particolari necessità, ma comunque come quasi tutte le piante montane non resiste ad una accentuata siccità estiva. Sopporta molto bene il freddo e in italia cresce fino a oltre 2000 metri di quota.
I frutti, che sono eduli (commestibili) e hanno un sapore simile alla pera, ma non sono molto appetibili per la scarsità di polpa e la quantità di semi, possono essere consumati freschi o usati per fare confetture, conserve e per aromatizzare la grappa. Una volta se ne ricavava anche una bevanda alcolica. L'amelanchier è un'ottima pianta mellifera, ma non si riesce a produrre miele per la sua scarsa diffusione. È considerata sia una pianta medicinale che una pianta officinale: infusi di foglie o corteccia hanno proprietà antipiretiche, antinfiammatorie, antireumatiche, astringenti e diuretiche. Il legno dell'amelanchier è duro ed elastico e può venire utilizzato per ricavarne manici per attrezzi, è pure adatto ad essere tornito ed intarsiato per produrre oggetti di pregio.

9 FRUTTA (2^ Edizione)
 

Frutta. In queste 230 pagine ho raccolto oltre 120 schede di prodotti, lavorazione e tecniche di cucina pubblicate sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. In ogni stagione la frutta sta sulla nostra tavola. Quante virtù ci stanno nella frutta? Tantissime, facciamone allora tesoro. Ma una conoscenza più approfondita rende il nostro tesoro ancora più ricco ed appetibile. Ogni tipo di frutto ha molte varianti, occorre conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro fruttivendolo di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.




CONOSCERE LE SOLANACEE

Le Solanaceae sono una famiglia di angiosperme dicotiledoni che comprende molte specie commestibili ed altre velenose. Molte specie di questa famiglia hanno infatti componenti alcaloidi psicoattivi, tra cui anche l'alcaloide tossico solanina, presente in alcune specie nella pianta e nei frutti ancora acerbi, che scompare o si trasforma in altre sostanze, innocue o salutari, quando il frutto è maturo.
Delle solanacee si consuma solitamente il frutto, anche se con alcune eccezioni come le patate (di cui invece si consuma il tubero, un organo con funzione di riserva). Appartengono a questa famiglia piante come il pomodoro, la melanzana e il peperone, le patate e altre piante come quelle da cui si ricavano gli alcaloidi in industria farmaceutica (tabacco per la nicotina e belladonna per l’atropina).
Altre piante, come la Datura, sono invece velenose e non hanno utilizzi pratici.

Fra le piante più conosciute appartenenti alla famiglia troviamo piante importanti per l'alimentazione umana (le patate, le melanzane, i pomodori, i peperoncini, i peperoni, le bacche di Goji), piante da cui si ricavano droghe farmaceutiche (la belladonna per l'atropina, il tabacco) e piante velenose (le datura).

Le Solanaceae sono rappresentate allo stato spontaneo in tutti i continenti, con un maggior numero di specie nel continente americano, e ben si adattano a quasi tutti gli ecosistemi, nonostante la maggior parte di esse prediliga il caldo piuttosto che il freddo intenso.

Le Solanaceae presentano fiori attinomorfi, gamosepali e gamopetali. I pezzi fiorali del calice e della corolla sono in numero di 5. L'androceo è formato da 5 stami non sempre saldati per le antere; l'ovario è supero, formato da due carpelli. Le foglie sono alterne, a lamina intera o profondamente incisa. I frutti possono essere bacche come nel caso del pomodoro o capsule come nel caso della Datura. I semi sono di solito piatti e tondeggianti con un diametro medio di circa 2–4 mm.

Questa famiglia viene riconosciuta sia dalle classificazioni tradizionali che dalla classificazione APG e in entrambi i casi viene collocata nell'ordine delle Solanales.

La suddivisione in sottofamiglie è invece controversa e ancora (2007) oggetto di dibattito anche all'interno della stessa classificazione APG.

Vengono riconosciuti un centinaio di generi e oltre 2000 specie.

La patata (Solanum tuberosum L.) è un tubero commestibile parte di una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Solanaceae (Dicotiledoni), molto utilizzato a scopo alimentare, originaria del Perù, della Bolivia, del Messico e del Cile e portata in Europa dagli spagnoli nel XVI secolo intorno al 1570. Non si conoscono varietà spontanee né si sa da quale specie originaria di Solanum si sia originata la patata edule diffusa dal Centro e Sud America e ora consumata in diverse parti del mondo.
Arrivata tardi in Europa ed affermatasi solo alla fine del secolo XVIII, in breve la patata divenne l'alimento fondamentale nell'alimentazione delle classi umili. In Irlanda la dieta delle classi più povere era basata esclusivamente su latte e patate, mentre il grano era utilizzato per pagare i canoni spettanti ai proprietari inglesi. La grande carestia fu dovuta alla diffusione di un fungo (Phytophthora infestans) che determinò la perdita di buona parte dei raccolti nel giro di pochi anni; la popolazione irlandese diminuì drasticamente. Anche nelle campagne dell'appennino modenese le patate costituivano un importante genere di autoconsumo, mentre il prodotto dell'allevamento veniva venduto ai mercati di città.
Cenni Storici
La patata, il nome deriva dal caraibico "batata", che designava la patata dolce, è un tubero commestibile della famiglia delle Solanacee: il Solanum Tuberosum.
La pianta, contenente al livello dei germogli e della bacca a maturazione, la solanina, un alcaloide velenoso, è originaria dell’ America meridionale, nel territorio compreso fra il Perù e il Cile, da dove i conquistatori spagnoli alla fine del 1500 la portarono alla loro corte di Madrid, presentandola come una curiosità botanica detta “il tartufo americano“. Ed in tale ruolo essa fu considerata per parecchi lustri, fin quando non si pensò bene di destinarne il tubero alla alimentazione animale; con questa funzione essa iniziò a diffondersi prima nei Paesi a stretto contatto politico con gli Spagnoli, Italia e Germania, solo successivamente nel resto dell’ Europa e con varie difficoltà nella Francia immediatamente prerivoluzionaria.

Contrariamente a quanto accaduto ad altre colture di larga diffusione provenienti dal Nuovo Mondo e in seguito diffuse, con tempi e modi diversi, per tutto il globo, (quali ad esempio il pomodoro o il mais), la patata raggiunse un certo successo solo in America del Nord e in Europa, per contro non fu accolta in Cina, Giappone, e in tutta l'area islamica.

Anche in Europa la diffusione della coltivazione fu lenta, influenzata da una diffidenza nei confronti di ciò che "cresce sottoterra" fino ad arrivare ad affermare che il consumo diffondesse la lebbra e ad asserire, nell'Encyclopédie del 1765, che si tratta di "cibo flatulento". Ci furono poi casi di intossicazione causati dall'esposizione prolungata dei tuberi alla luce (come è noto l'esposizione alla luce dei tuberi fa sviluppare la solanina, tossica), tali fatti enfatizzati nei racconti popolari ebbero un effetto dissuasivo al consumo: la decisione poi di costringere i galeotti o i soldati ad alimentarsi di patate, perché a disposizione a buon prezzo, non fu un buon viatico a considerare le patate un cibo di qualità.

Gli spagnoli la conobbero fin dai primi decenni (1539) del XVI secolo in Perù ma la pianta non risvegliò particolari interessi nella penisola iberica, maggiore interesse incontrò in Italia dove le patate vennero chiamate "tartuffoli".

Nel 1600 l'agronomo francese Olivier de Serres, nella sua opera Théâtre d'agriculture et Ménage des champs, ne descrive in maniera dettagliata la coltivazione e nell'opera Rariorum plantarum historia di Charles de l'Écluse del 1601 ne viene data una dettagliata descrizione botanica: a quest'ultimo, che fu per lungo tempo botanico di corte dell'imperatore Massimiliano II, si deve l'introduzione della patata (e di altre piante esotiche) in Austria.

La tradizione vuole che l'introduzione della patata in Inghilterra (1588) sia merito di Walter Raleigh, la coltivazione si diffuse però soprattutto nella vicina Irlanda.

 Per contro l'Inghilterra ne diffuse soprattutto le pratiche di coltivazione all'estero: nel suo libro, La ricchezza delle nazioni, Adam Smith deplorava che i suoi compatrioti non apprezzassero un prodotto che aveva, apparentemente, dimostrato il suo valore nutrizionale nella vicina Irlanda.

La diffusione del tubero fu quindi poco uniforme: in Francia, ad esempio, coinvolse inizialmente poche aree del Delfinato e dell'Alsazia (1666) e in seguito della Lorena (1680) dove nel 1787 viene descritta come cibo principale degli abitanti della campagna.

Più incisiva fu la diffusione in aree come la Svezia, la Svizzera e soprattutto la Germania.

 L'agronomo francese Antoine Parmentier, rientrato in Francia nel 1771 in seguito a un periodo di prigionia trascorso in Prussia dopo la Guerra dei sette anni, prese parte a un concorso indetto dall'Accademia di Besançon sulla ricerca di possibili sostituti del pane, e redasse un articolo sul valore nutrizionale della patata. Sempre nel '700 anche l'economista Antonio Zanon condusse una battaglia per l'introduzione della patata nell'agricoltura della pianura friulana, mentre alla fine dello stesso secolo l'avvocato e agronomo cuneese  Giovanni Vincenzo Virginio si adoperò per cercare di diffondere la patata in Piemonte pubblicando nel 1799 in Torino, presso la Stamperia Reale, il Trattato della coltivazione delle patate o sia pomi di terra volgarmente detti tartiffle, dato in luce dall'avvocato Vincenzo Virginio, Socio ordinario della Reale Società agraria di Torino e di altre Accademie, dedicato agli accurati Agricoltori del Piemonte e arrivando a distribuire gratuitamente patate al popolo a scopo promozionale.

In Irlanda, grazie al clima umido e fresco, particolarmente congeniale alla crescita del tubero, in breve progressione la patata diventò l'alimento principale di gran parte della popolazione (1700-1750). Il diffuso ricorso alla monocoltura, per di più limitata a una o due varietà, espose però la popolazione irlandese al grave rischio degli effetti catastrofici legati al fatto che eventuali malattie potessero colpire le piante. Ciò infatti si verificò con l'arrivo di una terribile malattia della patata, fino ad allora sconosciuta in Irlanda, la Peronospora, che colpì dapprima sporadicamente i raccolti fino poi a colpirli tutti contemporaneamente e con eguale virulenza: data l'uniformità della specie, nelle varietà che erano coltivate, i raccolti andarono completamente persi.

Le conseguenze furono spaventose, provocando una serie di carestie culminate nella devastante Grande carestia del 1845, che fu la concausa che scatenò l'emigrazione massiccia degli Irlandesi negli Stati Uniti nella seconda metà dell'800.

Coltivazione
In primavera, dopo il periodo delle gelate, gli agricoltori interrano le plantule, ossia piccole patate germogliate: è la fase della piantatura.
Verificano quindi che le plantule siano sufficientemente distanziate l’una dall’altra per permettere alle patate di crescere regolarmente. Dalle plantule spunteranno il gambo e le foglie. Al loro apparire, tutt’attorno, le macchine accumuleranno della terra a formare un piccolo monticciolo. Al riparo dalla luce, nuovi tuberi nasceranno sottoterra. Durante l’estate gli agricoltori sorveglieranno la crescita delle patate, annaffiando il terreno se necessario.
Oggi nel mondo si producono 310 milioni di tonnellate di patate. I primi cinque paesi produttori sono la Cina (64 milioni di tonnellate), la Russia (35 milioni di tonnellate), l’India (25 milioni di tonnellate), gli Stati Uniti (25 milioni di tonnellate) e la Polonia (15 milioni di tonnellate).
Le patate prodotte in Europa rappresentano il 60% della produzione mondiale. I primi quattro paesi produttori sono la Polonia, la Germania, la Francia e la Gran Bretagna. Le patate sono un alimento di base nel nostro continente dove costituiscono una produzione di tutto rilievo, dalla cosiddetta vecchia Europa (Germania, Gran Bretagna, Francia…) all’Europa del Nord (Danimarca, Svezia…) passando per la nuova Europa (nazioni dell’Est, paesi baltici).
Varietà
Qualitativamente parlando, seppur provenienti da molteplici varietà, esistono in commercio solo pochi tipi fondamentali di patate:
Patate a pasta bianca, caratterizzate dalla polpa farinosa, adatte ad essere schiacciate, speciali per la preparazione di gnocchi, puré, sufflè, crocchette;
Patate a pasta gialla, caratteristiche per la polpa compatta, devono il loro colore alla presenza di caroteni; sono eccellenti per essere lessate, cotte a vapore, arrostite, fritte a livello industriale o casalingo e si rivelano altresì adatte per insalate e cotture a forno;
Nell’ambito delle Patate a pasta gialla hanno una connotazione a sé le patate a buccia rossa, particolarmente indicate per cotture intense, quali cartoccio, forno e frittura;
Una connotazione a parte rivendicano le Patate Novelle: raccolte prima della maturazione completa, presentano la buccia sottile,con la quale andrebbero bollite, polpa più tenera e dolce; generalmente sono più piccole di quelle mature, si conservano per poco tempo.
Valore nutrizionale
Dal punto di vista nutrizionale le patate sono conosciute principalmente per l'alto contenuto in carboidrati (circa 26 grammi in una patata di 150 g, cioè medie dimensioni), presenti principalmente sotto forma di amidi. Una piccola ma significativa parte di tali amidi delle patate è resistente agli enzimi presenti nello stomaco e nell'intestino tenue, sì da raggiungere l'intestino crasso quasi intatto. Si ritiene che questi amidi abbiano effetti fisiologici pari a quelli delle fibre alimentari.
Le patate sono fonte di importanti vitamine e minerali. Una patata di medie dimensioni (150 g), consumata con la buccia, fornisce 27 mg di vitamina C (45% della dose giornaliera raccomandata), 620 mg di potassio (18% della dose giornaliera raccomandata), 0,2 mg di vitamina B5 (10% della dose giornaliera raccomandata), oltre a tracce di tiamina, riboflavina, folati, niacina, magnesio, fosforo, ferro e zinco; le patate sono assieme alle cipolle e a seconda della natura del terreno in cui sono cresciute l'alimento con le quantità più significative di selenio e litio. Inoltre il contenuto di fibre di una patata con buccia (2 g) è pari al contenuto di fibre del pane integrale, della pasta e dei cereali. Oltre alle vitamine, ai minerali ed alle fibre, le patate contengono svariati composti fitochimici, quali i carotenoidi ed i polifenoli.
Non tutte le sostanze nutritive delle patate si trovano nella buccia; questa contiene circa la metà delle fibre, ma più della metà delle sostanze nutritive sono contenute nella polpa. La cottura può alterarle notevolmente.
Le patate novelle e le varietà a forma allungata contengono una quantità minore di sostanze tossiche, e rappresentano una fonte eccellente di nutrienti. Le patate sbucciate e conservate a lungo perdono parte delle proprie proprietà nutrizionali, benché mantengano il proprio contenuto di potassio e vitamina B.
Le patate sono spesso escluse dalle diete a basso indice glicemico, in quanto si ritiene che possiedano un'alta quantità di glucidi. In realtà l'indice glicemico delle patate varia in maniera considerevole a seconda della loro varietà (patata a buccia rossa, a pasta bianca, eccetera), della loro origine (zona di coltivazione), della preparazione (metodo di cottura, se consumata fredda o calda, in purè, a tocchetti o intera ecc.), e degli altri cibi con cui si accompagna (salse ricche di grassi o ad alto contenuto proteico).
Tossicità
Come molte Solanacee, per esempio il pomodoro, la patata contiene diverse tossine, soprattutto nelle parti verdi, nei fiori e nei germogli: il fusto e le foglie comunque non sono mai stati usati per l'alimentazione (le foglie invece servirono come surrogato del tabacco in periodi particolarmente difficili). Inoltre il frutto è molto tossico, come nella maggioranza delle specie del genere Solanum, come la morella (Solanum nigrum) o la dulcamara.
Vanno conservate al buio, per evitare la germogliazione, e non ingerite se compaiono fiori o germogli sulla buccia.
La principale di queste tossine è un alcaloide, la solanina, che è presente anche nel tubero a basse dosi (meno di 10 mg per 100 g) e concentrata soprattutto nella buccia, che è quindi meglio togliere. Quando la concentrazione è più elevata, come in alcune varietà, ne deriva un gusto amaro del tubero. I tuberi verdi (colorazione dovuta alla produzione di clorofilla come conseguenza dell'esposizione solare) contengono una cospicua quantità di solanina, con valori che possono anche arrivare a 100 mg/100 g. Occorre quindi evitare di consumare i tuberi quando questi presentino parti verdi, perché in tal caso si rischia un'intossicazione. Le patate devono quindi essere conservate al buio per evitare la produzione di solanina.
La solanina non è eliminata dalla cottura, perché viene degradata solo a temperature superiori ai 260 °C (valori che non vengono raggiunti nemmeno durante la frittura). L'ingestione di solanina provoca raramente la morte, ma può causare delle emorragie, specie alla retina.
La patata contiene anche lectine, ma queste sono distrutte dalla cottura. Le lectine sono delle proteine capaci di legarsi in modo reversibile a mono o oligosaccaridi. Questa proprietà permette alle lectine d'agglutinare i globuli rossi umani e di perturbare probabilmente il buon funzionamento dell'apparato digerente degli insetti che si nutrono della pianta, costituendo così un ruolo difensivo della pianta stessa nei confronti degli insetti.
Preparazione
I modi per preparare le patate sono vari. Le patate possono essere cotte con la buccia o senza, intere o a pezzi, con condimenti o senza. La cottura è sempre necessaria per scomporre gli amidi. La maggior parte delle preparazioni a base di patate sono servite calde. In alternativa - come nel caso dell'insalata di patate e delle patatine fritte - le patate possono essere servite anche fredde.
Le ricette più comuni sono quelle del purè di patate, preparato con patate bollite, pelate e schiacciate, cui in seguito si aggiungono latte e burro. Vi sono poi le patate cotte intere al forno; le patate bollite o cotte al vapore; tagliate in cilindri o in dischi e poi fritte; tagliate a cubetti e cotte al forno; cotte in casseruola e condite con salse dense; tagliate a cubetti o in fette e fritte; tagliate alla julienne e fritte; possono essere altresì usate per fare gnocchi, rösti o focacce. Tagliate in pezzi, le patate sono un ingrediente comunemente usato nello spezzatino.
A differenza di altri alimenti le patate si prestano facilmente alla cottura a microonde senza perdere i propri valori nutrizionali, a patto che siano avvolte in un foglio di plastica bucherellato che consenta la ventilazione ed allo stesso tempo trattenga l'umidità. Questo metodo di cottura dà risultati simili a quello della cottura in forno.
Secondo stime della FAO solo poco più dei due terzi del totale (323 milioni di tonnellate) delle patate prodotte nell'anno 2005 è stato destinato ad utilizzi alimentari.
Il consumo alimentare di patate si sta progressivamente spostando da metodi di consumo diretto del prodotto acquistato fresco al consumo di prodotti industriali a base di patate.
Piatti tipici
Le patate sono molto popolari in Europa. In Italia sono utilizzate per preparare gnocchi e purè, oppure accompagnano i pasti bollite, arrostite o saltate; di solito vengono consumate senza buccia. Tra i piatti regionali, citiamo l'mbriulata siciliana e la pitta pugliese, il gâteau di patate tipico soprattutto in Lazio, Campania e Calabria. In Svizzera accompagnano la raclette, oppure, nel rösti, ormai quasi un piatto nazionale, sono grattugiate e poi cotte. Le patate sono anche l'ingrediente principale di molte minestre o zuppe.
In Irlanda il "side plate" (piattino laterale sempre presente nelle tavole apparecchiate) ha precisamente la funzione di accogliere una, due o più patate sempre in accompagnamento a qualsiasi secondo piatto. Se con il primo (solitamente una zuppa) in tavola era presente del pane, viene portato via perché carni e pesce si accompagnano con verdure miste ma soprattutto e sempre con patate bollite.
Le patate schiacciate sono un ingrediente importante di molti piatti inglesi, come la shepherd's pie. Le patate novelle sono considerate prelibate in Europa Settentrionale (Danimarca, Svezia, Finlandia): servite lesse e insaporite con aneto, fanno da contorno alle aringhe del Baltico. Il piatto nazionale della cucina lituana, gli cepelinai, è una sorta di gnocco, ottenuto da patate grattugiate e ripieno di carne e/o formaggio.
Si dice scherzosamente che gli inglesi parlino soprattutto del tempo atmosferico; ebbene invece gli irlandesi, immancabilmente, ad ogni pasto disquisiscono sulla bontà e la qualità delle patate, tanto più apprezzate quanto più farinose e capaci quindi di trattenere il burro salato che si usa per condirle. "Ball of flour" (palla di farina) è il miglior "complimento" per una patata in Irlanda. Molti (ma non tutti) la mangiano con la buccia. Persino nei ristoranti cinesi in Irlanda, qualsiasi piatto prevede, oltre ai classici tipi di riso, l'accompagnamento di patate fritte.
Prodotti industriali
Uno dei principali prodotti industriali derivati da patate sono le patate congelate, che costituiscono la grande maggioranza delle patate fritte servite nei ristoranti e nei fast food. Si calcola che questo tipo di consumo riguardi oltre 11 milioni di tonnellate all'anno.
Un altro prodotto industriale sono gli snack a base di patata (le cosiddette "patatine"), diffusi in moltissimi paesi. Le patatine sono preparate tagliando e friggendo delle fettine sottili di patate. Il prodotto viene poi confezionato con sapori diversi, dal solo sale ad altre tipologie di aromi più elaborate. Alcuni tipi di snack sono preparati utilizzando un impasto di fiocchi di patate disidratati.
I fiocchi di patate vengono prodotti facendo essiccare un impasto di patate bollite e sono utilizzati in diversi prodotti alimentari, dai preparati per purè agli snack.
Un altro prodotto disidratato è la fecola di patate ricavata dall'essiccamento di patate bollite; la fecola è di colore bianco (viene infatti anche chiamata farina di patate), priva di glutine, ricca di amido ed è utilizzata nell'industria alimentare come addensante per salse; essa si trova normalmente in commercio ed è utilizzata per rendere più soffici i prodotti di pasticceria.
Come scegliere
Bisogna scegliere le patate, di qualunque varietà esse siano, senza macchie alla buccia, non raggrinzite, non soffici, anche la polpa deve essere esente da macchie e da odori sgradevoli; soprattutto non devono essere germogliate: la germogliazione infatti eleva di parecchio il livello di solanina normalmente presente nel tubero in quantitativi insignificanti, esponendo il consumatore a reale rischio di disturbi come vomito, dispnea, polso frequente e in qualche caso di enterite. La presenza eccessiva di solanina, velenosa in concentrazioni superiori a 400 mg. per chilo di patate, è attestata dalla colorazione verde che qualche volta si nota sotto la buccia o i germogli.
Come conservare
Occorre conservare bene le patate affinché non germoglino troppo rapidamente o non diventino verdi o nere.
Durante la conservazione bisogna evitare sia le temperature troppo elevate, che favoriscono la comparsa dei germogli, sia le temperature troppo basse che invece addolciscono la patata. È meglio quindi scegliere un luogo fresco (6 - 8°C), come la verduriera del frigo, per esempio. Le patate devono essere conservate al riparo dalla luce per evitare che diventino verdi e assumano un sapore amaro

Capsicum L. è un genere di piante della famiglia delle Solanaceae, originario delle Americhe ma attualmente coltivato in tutto il mondo. Oltre al noto peperone, il genere comprende varie specie di peperoncini piccanti, ornamentali e dolci.
Secondo alcuni, il nome latino "Capsicum" deriva da "capsa", che significa scatola, e deve il nome alla particolare forma del frutto (una bacca) che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto che significa mordere, con evidente riferimento al piccante che "morde" la lingua quando si mangia.
Il peperoncino piccante era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5500 a.C. era conosciuto in Messico, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la sola spezia usata dagli indiani del Perù e del Messico. In Europa il peperoncino giunse grazie a Cristoforo Colombo che lo portò dalle Americhe col suo secondo viaggio, nel 1493. Poiché Colombo sbarcò in un'isola caraibica, molto probabilmente la specie da lui incontrata fu il Capsicum chinense, delle varietà Scotch Bonnet o Habanero, le più diffuse nelle isole.
Introdotto quindi in Europa dagli spagnoli, ebbe un immediato successo, ma i guadagni che la Spagna si aspettava dal commercio di tale frutto (come accadeva con altre spezie orientali) furono deludenti, poiché il peperoncino si acclimatò benissimo nel vecchio continente, diffondendosi in tutte le regioni meridionali, in Africa ed in Asia, e venne così adottato come spezia anche da quella parte della popolazione che non poteva permettersi l'acquisto di cannella, noce moscata, ecc.
Il frutto venne chiamato peperone a causa della somiglianza nel gusto (sebbene non nell'aspetto), con il pepe, Piper in latino. Il nome con il quale era chiamato nel nuovo mondo in lingua nahuatl era chilli o xilli (leggi cìlli o scìlli), e tale è rimasto sostanzialmente nello spagnolo del Messico e dell'America Centrale (chile) e nella lingua inglese (chili) e pure in alcuni nomi di varietà, come il chiltepin (C. annuum var. aviculare), derivato dalla Lingua nahuatl chilitecpintl o peperoncino pulce, per le dimensioni e il gusto ferocemente piccante. Il chiltepin è ritenuto l'antenato di tutte le altre specie. Nei paesi del Sudamerica di lingua spagnola e portoghese, invece, viene comunemente chiamato ají, modernizzazione dell'antillano asci. La parola in lingua quechua per i peperoncini è uchu, come nel nome usato per il rocoto dagli Inca: rócot uchu, peperoncino spesso, polposo.
Il Capsicum annuum è un arbusto perenne a vita breve che, in condizioni di clima sfavorevole, viene coltivato come annuale. Le piante si presentano sotto forma di cespuglio alti da 40 a 80 cm (a seconda della specie) con foglie di colore verde chiaro. I fiori hanno la corolla bianca avente da 5 a 7 petali con stami giallo tenue. Le altre specie hanno portamenti diversi: C. frutescens significa "a forma di arbusto", mentre molte varietà di C. chinense arrivano a 2 metri nei paesi d'origine. Anche la resistenza al clima freddo e caldo varia: il tabasco (C. frutescens) e il rocoto (C. pubescens), ad esempio, resistono anche a -5 C° per brevi periodi, mentre l'habanero (C. chinense) è molto sensibile all'insolazione: se eccessiva causa scottature sui frutti. Il Capsicum pubescens ha fiori viola e semi neri, il Capsicum baccatum presenta delle macule sulla corolla, il Capsicum chinense ha corolla bianca o verdognola e stami viola, con 2 o più fiori per nodo. Il Capsicum frutescens ha anch'esso corolla verdognola e stami viola, ma i fiori sono singoli.
Tutte le specie possono essere coltivate in Italia, anche in balcone, seminando verso febbraio al Centro e al Sud e marzo al Nord, mentre i frutti si possono raccogliere in estate e in autunno. Questi andrebbero usati subito dopo la raccolta affinché non perdano le loro proprietà, ma si possono conservare anche sott'olio o in polvere (dopo averli fatti seccare al sole), oppure congelandoli. La semina avviene in febbraio-marzo, a seconda del clima, possibilmente in ambiente riscaldato a temperatura di circa 25-30 °C, con composta da semi, ½ torba e ½ sabbia. Alcune varietà, soprattutto i C. chinense e il chiltepin, hanno lunghi tempi di germinazione. Questi possono essere ridotti con una corretta concimazione, e una temperatura della composta di 30-35 °C di giorno, e circa 20 °C di notte. Allo spuntare della seconda coppia di vere foglie, si ripicchettano le piantine in contenitori singoli, per poi mettere a dimora dopo le ultime gelate, e comunque quando la temperatura notturna non scende sotto i 15 °C (aprile - maggio). Il terreno dev'essere sciolto, acido, ben drenato con una buona componente sabbiosa, non troppo fertilizzato: un uso eccessivo di nitrati porterebbe a bellissime piante fogliose, con pochissimi o nessun fiore, e quindi frutti. Va bene una composta John Innes numero 2: successive concimazioni dovrebbero limitarsi a potassio, fosforo e microelementi. Va somministrato nuovamente dell'azoto solo se la pianta viene fatta svernare, alla ripresa vegetativa.
Al contrario di quanto si pensa, il peperoncino ha bisogno di molta acqua durante la coltivazione, senza però creare ristagni. Per aumentare il gusto piccante dei frutti, basta diminuire le innaffiature, anche azzerandole, nelle 48-72 ore precedenti la raccolta, stando attenti a non far morire la pianta. Un'altra tecnica è quella di annaffiare solamente quando le foglie si sono abbassate, un chiaro indice di scarsità d'acqua.
Per favorire la maturazione dei frutti, si può aumentare il tenore di potassio del terreno, ad esempio con del solfato di potassio.
C. chinense richiede molto calcio, che può essere aggiunto tramite farina d'ossa o equivalente. Quando la pianta ferma la crescita e le nuove foglie avvizziscono, è un indizio della carenza di calcio.
Essendo perenni a vita breve, possono essere fatte svernare in casa, in una posizione calda e assolata. Devono essere portate all'interno o in serra quando la temperatura di notte scende sotto i 10 °C (le tropicali, sotto i 15 °C), mentre di giorno possono essere portate fuori se la temperatura si mantiene sopra i 15-20 °C. D'inverno le piante possono perdere le foglie, e necessitano una potatura per lo meno dei rami secchi in marzo.
Il metodo solitamente utilizzato è la riproduzione per seme, anche se è possibile fare delle talee di rami semi-maturi, lunghe 10 - 15 cm, trattando le estremità con ormone radicante e mettendole in cassone freddo con composta da radicazione, trapiantando poi a dimora in vaso o in terra nello stesso periodo delle piantine ottenute da semi. Tale metodo è indicato per ringiovanire una pianta fatta svernare all'interno o in serra. È possibile l'innesto su solanacee più resistenti, tipo il solanum capsicastrum o il solanum jasminoides, tuttavia non è una pratica molto diffusa, sia per la scarsa percentuale di successo, sia per la difficoltà dell'innesto con piante semilegnose.
Il peperone è attaccato da diversi insetti e funghi. Tra gli insetti rivestono maggiore importanza la mosca bianca (Trialeurodes vaporariorum), la nottua (Agrotis ipsilon), la minatrice americana (Liriomyza trifolii) e un afide, Macrosiphum euphorbiae. Tra i funghi, i più importanti sono la muffa grigia, il mal bianco, la cancrena pedale e le tracheomicosi causate da Fusarium oxysporum, Verticillium albo-atrum e Verticillium dahliae

Il pomodoro è una delle piante appartenenti alla famiglia delle Solanacee più diffusa; precisamente appartiene ad un’unica specie, che è Solanum lycopersicum, e tutte le varietà che si trovano in vendita, ovvero le cultivar, sono tutte della stessa specie.
Il pomodoro è una coltura tipica del centroamerica; importata con la scoperta dell’America, venne considerata una pianta ornamentale a causa del colore dorato dei suoi frutti.
In principio era considerata velenosa, e per questo non veniva mangiata; successivamente i botanici hanno provveduto, con una serie di incroci, a diminuire le sostanze tossiche al suo interno quando il frutto giunge a maturazione, donando al contempo il tipico colore rosso al frutto maturo; nelle diverse varietà esistono però oggi anche pomodori maturi gialli, verdi, rosa, viola oppure neri.
Il pomodoro è il frutto della pianta, che contiene al suo interno moltissimi semi (polisperma) e di cui si consuma la polpa. Il fatto che inizialmente fosse considerata velenosa dipende dal contenuto dall’interno della pianta di un alcaloide tossico, la solanina (classe di molecole che nel pomodoro comprende la deidrotomatina e l’alfa-tomatina), che si trova anche in altre piante della stessa famiglia. La solanina non viene distrutta con la cottura del pomodoro, ed è molto abbondante in tutte le parti della pianta, motivo per cui fusto e foglie non vengono utilizzate per scopo alimentare nemmeno per gli animali.
Il frutto immaturo contiene un’alta concentrazione di solanina, ma questa via via scompare, rendendolo così commestibile; i pomodori “da insalata”, nonostante il colore verde, sono però in fase di maturazione e questo li rende abbastanza poveri di solanina da poter essere consumati senza problemi.
Un altro composto che il pomodoro contiene è il licopene, che a differenza della solanina ha una funzione antiossidante, ovvero è in grado di legare i radicali liberi cellulari impedendo che facciano danni. Alcuni studi ritengono che questa sostanza abbia un certo effetto sulla prevenzione dei tumori, in particolare del tumore prostatico, per cui è consigliato il consumo di grandi quantitativi di pomodoro.
Cenni storici
Il pomodoro è nativo della zona dell'America centrale, del Sudamerica e della parte meridionale dell'America Settentrionale, zona compresa oggi tra i paesi del Messico e Perù. Gli Aztechi lo chiamarono "xitomatl", il termine "tomatl" indicava vari frutti simili fra loro, in genere sugosi. La salsa di pomodoro divenne parte integrante della cucina azteca. Alcuni affermarono che il pomodoro aveva proprietà afrodisiache, sarebbe questo il motivo per cui i francesi anticamente lo definivano "pomme d'amour", pomo d'amore. Si dice che dopo la sua introduzione in Europa sir Walter Raleigh avrebbe donato questa piantina carica dei suoi frutti alla regina Elisabetta, battezzandola con il nome di "apples of love" (pomo d'amore).
La data del suo arrivo in Europa è il 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in patria e ne portò gli esemplari; ma la sua coltivazione e diffusione attese fino alla seconda metà del XVII secolo. Arriva in Italia nel 1596 ma solo più tardi, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud Campania-Napoli, si ha il viraggio del suo colore dall'originario e caratteristico colore oro, che diede appunto il nome alla pianta, all'attuale rosso, grazie a selezioni e innesti successivi.
Inizialmente si pensò che fosse una pianta velenosa in quanto somigliava all'erba morella Solanum nigrum. Difatti, di fronte al dubbio, venne adottata assieme alla patata e a quella americana, come pianta decorativa. I più ricchi situavano questi alimenti stranieri in bei vasi che ornavano le finestre e i cortili. I primi pomodori che arrivarono in Spagna furono piantati nell'orto del medico e botanico Nicolàs Monardes Alfaro, autore del libro Delle cose che vengono portate dall'Indie Occidentali pertinenti all'uso della medicina (1565 - 1574): per la prima volta il pomodoro viene inteso come coltura con proprietà curative. Gradualmente si comprese che poteva avere un utilizzo farmacologico e gastronomico. Non è ben chiaro come e dove, nell'Europa barocca, il frutto esotico di una pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie di credenze e dicerie popolari, comparisse sulla tavola di qualche coraggioso (oppure affamato) contadino. Infatti, gli stessi indigeni del Perù, i primi coltivatori del pomodoro, non mangiavano i frutti della pianta, usata invece a solo scopo ornamentale e come tale fu conosciuta dagli Europei: nel 1640 la nobiltà di Tolone regalò al cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro, e sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di pomodoro alle dame, come atto d'amor gentile. Così la coltivazione del pomodoro, come pianta ornamentale, dalla Spagna, forse attraverso il Marocco, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando il clima adatto per il suo sviluppo, soprattutto in Italia, nella regione dell'Agro nocerino-sarnese, tra Napoli e Salerno.
Scarsissima è, inoltre, la documentazione relativa all'uso alimentare: le prime sporadiche segnalazioni di impiego del suo frutto come alimento commestibile, fresco o spremuto e bollito per farne un sugo, si registrano in varie regioni dell'Europa meridionale del XVII secolo. Soltanto alla fine del Settecento la coltivazione a scopo alimentare del pomodoro conobbe un forte impulso in Europa, principalmente in Francia veniva consumato soltanto alla corte dei re nell'Italia meridionale nella zona di Napoli si diffuse rapidamente tra la popolazione, storicamente oppressa dai morsi della fame, facendolo diventare un ortaggio tipico e fondamentale della cucina Campana, dove sono diffuse parecchie industrie e coltivazioni di pomodoro.
Nel 1762 ne furono definite le  tecniche di conservazione in seguito agli studi di Lazzaro Spallanzani che, per primo, notò come gli estratti fatti bollire e posti in contenitori chiusi non si alterassero. In seguito, nel 1809, un cuoco parigino, Nicolas Appert, pubblicò l'opera L'art de conserver les substances alimentaires d'origine animale et végétale pour pleusieurs années, dove fra gli altri alimenti era citato anche il pomodoro.
La prima classificazione botanica fu a cura di Carlo Linneo nel 1753, in genere Solanum, come Solanum lycopersicum (lycopersicum deriva dal greco, letteralmente pesca dei lupi).
Nel 1768 tuttavia Philip Miller cambiò il nome, sostenendo che le differenze dalle altre piante del genere Solanum, quali patata e melanzana, erano sostanziali, tali da giustificare la creazione di un nuovo genere: da qui il nuovo nome scientifico di Lycopersicon esculentum. Questo nome ebbe notevole successo, sebbene fosse contrario alle regole di nomenclatura vegetale, secondo cui, se si sposta la specie in un nuovo genere, l'epiteto specifico (lycopersicum) non deve essere cambiato, ma solo il nome del genere: Hermann Karsten corresse l'errore nel 1881 e pubblicò il nome formalmente corretto Lycopersicon lycopersicum.
La controversia sul nome scientifico del pomodoro non è tuttavia finita. Innanzitutto il nome di Miller era fino a poco fa il più usato, nonostante l'errore indicato prima. Poi, le moderne tecniche di biologia molecolare hanno permesso di creare precisi alberi filogenetici, che hanno indicato come il pomodoro in realtà faccia parte veramente del genere Solanum, dando sostanzialmente ragione a Linneo. Il nome ufficiale è oggi quindi Solanum lycopersicum, sebbene il nome di Miller rimanga ancora in uso in molte pubblicazioni.
Generalità
Tutte le parti verdi della pianta sono tossiche, in quanto contengono solanina, un glicoalcaloide steroidale che non viene eliminato nemmeno per mezzo dei normali processi di cottura; per tale motivo, il fusto e le foglie non vengono utilizzati a scopo alimentare.
Anche il frutto contiene solanine (α-tomatina e deidrotomatina) ma in quantità molto basse: il frutto maturo rosso ne contiene da 0,03 a 2,3 mg/100 gr di peso fresco, il pomodoro giallo-rossastro per insalata ne contiene mediamente 6 mg/100 gr di peso fresco, mentre il pomodoro verde per insalata ne contiene mediamente 9 mg/100 gr di peso fresco. Va precisato che il pomodoro verde per insalata si trova in realtà all'inizio della maturazione e contiene una quantità di solanine assai inferiore al frutto verde completamente immaturo, dove il contenuto di solanine può superare i 50 mg/100 gr di peso fresco.
Il frutto maturo è ricco di principi nutritivi seppure a basso contenuto calorico, ed è comunemente utilizzato a scopi alimentari, in insalata o come ingrediente nella preparazione di salse e piatti cotti, come la pizza. Il succo o il centrifugato di pomodoro, assunti come bevanda rendono disponibile all'organismo una quantità significativa di licopene, un antiossidante che si ritiene possa svolgere una certa funzione protettiva rispetto al rischio di tumori alla prostata.  Il succo di pomodoro costituisce anche, con l'aggiunta di vodka, tabasco, limone, sale e pepe, la base di un cocktail Bloody Mary solitamente servito come aperitivo (viene talora chiamata Virgin Mary la versione analcolica dello stesso cocktail, che si riduce a succo di pomodoro condito come sopra).
Nelle zone temperate, la pianta del pomodoro non sopravvive al clima invernale, e quindi è coltivata come annuale.
Per i pomodori da tavola si preferisce la semina in semenzaio, con successivo trapianto sul terreno.
In generale la pianta ha andamento strisciante. Nei climi mediterranei, come molte colture orticole di origine esotica, il pomodoro può soffrire gli effetti dell'accumulo di umidità, dei parassiti, e di diverse fitopatologie. Per questo la coltivazione a terra può causare deterioramento delle bacche e della pianta in generale, ed è necessaria normalmente l'installazione di sostegni. Alcune varietà, più basse e robuste, non hanno tuttavia bisogno di essere sostenute, ed i frutti più robusti non sono danneggiati dal contatto con il suolo; naturalmente tali frutti (a buccia dura), non sono adatti per il consumo fresco, ma sono ottimi per la produzione di derivati. I frutti maturi possono piegare i rami portandosi a contatto con il terreno, fattore che ne velocizza il deterioramento. È quindi consigliabile posizionare uno strato di paglia o di materiale isolante alla base delle piante.
 I pomodori gradiscono esposizione piuttosto assolata, anche se nelle ore più calde questo può causare sofferenza sia alla pianta che ai frutti; per alcune varietà con clima molto soleggiato è consigliabile un leggero ombreggiamento. Il terreno deve essere ben fertilizzato; moderata ma regolare irrigazione.
Come è ovvio, per un frutto composto in gran parte da acqua, la natura del suolo e dell'acqua di irrigazione influisce in modo sensibile circa la qualità del frutto stesso; la temperatura dell'acqua di irrigazione non deve mai essere molto diversa dalla temperatura ambiente da causare shock termici. Per questo motivo si consiglia l'irrigazione alla mattina, o al tramonto.
Per aumentare la produttività ed evitare che l'eccessivo sviluppo della parte verde sottragga risorse alla pianta, le varietà indeterminate vanno sottoposte alla sfemminellatura o scacchiatura, che consiste nell'eliminazione dei germogli cosiddetti ascellari. Questi sono riconoscibili perché nascono alla base di una ramificazione già esistente e danno luogo allo sdoppiamento del fusto della pianta. Nella coltivazione vengono usualmente eliminati con le dita non appena si presentano. Se lasciati crescere tuttavia anche questi producono fiori e frutti, al pari del corpo principale della pianta.
La raccolta è fatta prevalentemente a mano. Molte qualità di pomodoro, quando giungono a maturazione, modificano la base del picciolo, che diventa fragile, il distacco della bacca risulta quindi molto agevole. Alcune varietà industriali sono selezionate per la raccolta meccanizzata, con accentuata caratteristica di distacco della bacca e buccia particolarmente robusta; alla estirpazione della pianta ed al suo scuotimento i frutti cadono al suolo senza danneggiarsi, dove sono raccolti.
Spesso le varietà adatte alla raccolta meccanizzata sono a sviluppo determinato, ossia, una volta raggiunto un certo iniziale grado di produzione dei frutti esse smettono di svilupparsi, in tal modo la cessata produzione di altri fiori ed altri frutti in varie fase di maturazione, permette la quasi completa raccolta in una unica soluzione dei frutti presenti.
In condizioni normali invece la pianta è a sviluppo "indeterminato", ciò deriva dal fatto che naturalmente la pianta tende ad avere uno sviluppo pluriennale, e quindi continua, in clima sufficientemente caldo, a produrre fiori e frutti in diversa fase di sviluppo
Varietà
Nonostante le cultivar rosse siano più diffuse in commercio, le bacche del pomodoro possono assumere colorazioni differenti.
Si va dalle cultivar di colore bianco (white queen, white tomesol) a quelle di giallo (douce de Picardie, wendy, lemon), rosa (thai pink), arancioni (moonglow), verdi anche a maturazione (green zebra), e persino nere violacee (nero di Crimea, purple perfect). Alcune varietà scure sono state appositamente selezionate, con tecniche tradizionali (ma anche OGM), per ottenere una pigmentazione del frutto da antocianine (pomodoro nero, blu, o viola per usufruire delle proprietà antiossidanti associate di tali pigmenti (nomi commerciali: "Indigo Rose", "Sunblack", ecc.).
In alcune cultivar la buccia è leggermente pelosa, simile alla pelle di una pesca.
Esistono pomodori lunghi (San Marzano), rotondi e molto grossi (beefteak), a forma di ciliegia, riuniti in grappoli (reisetomaten), e persino cavi all'interno (tomate à farcir).
Fra le varietà più semplici da coltivare vi sono:
The Amateur: a cespuglio, dai frutti di media grandezza, molto gustosi, ottima per iniziare.
Moneymaker: fra le varietà più note e affidabili, produce numerosi frutti di grandezza medio-piccola.
Gartenperle: varietà precoce, a cespuglio, è ideale per la crescita in vaso. Produce numerosi piccoli frutti, del tipo ciliegino.
Marmande: cultivar tardiva, molto nota dai frutti, grossi e saporiti, simili a quelli del pomodoro di Belmonte.
A seconda delle cultivar, la raccolta può avvenire da 40-50 giorni a oltre 120 giorni dal trapianto.
Trasformazione industriale
L'industria del pomodoro è creatura tipicamente italiana. La sua culla sarebbe stata Parma, nelle cui campagne dopo la metà dell'Ottocento i contadini producevano pani di polpa essiccata, al sole, e non per nulla chiamati "pani neri". Avrebbe imposto la svolta l’agronomo Carlo Rognoni, docente all'Istituto tecnico di Parma, che avrebbe sperimentato la coltura, nei propri poderi, dal 1865, e sarebbe stato protagonista della diffusione, prima del 1895, dei primi processi razionali, presto adottati da numerosi laboratori artigianali. A Parma, dove il pomodoro è destinato a diventare la tra le specie orticole più coltivate, fino al 1880 non rientra tra le abitudini alimentari del mondo contadino. Ma di lì a poco, in queste terre, si sarebbe assistito all’avvento dell’industria della trasformazione del pomodoro, che ancora oggi rappresenta una delle più importanti realtà dell’economia italiana.
In seguito al successo della propria industria conserviera piemontese, nel 1875 l'astigiano Francesco Cirio creò a Napoli la prima industria conserviera meridionale.
I laboratori che dichiarano la propria attività, a Parma, alla Camera di Commercio, sono 4 nel 1893, 5 nel 1894, 11 nel 1896. L'industria parmense acquisisce un autentico primato europeo dopo l'importazione dalla Francia, nel 1905, delle apparecchiature per la condensazione del concentrato di pomodoro sottovuoto.
Le imprese parmensi sono, l'anno medesimo, 16, tutte dotate di apparecchiature moderne, quando da Parma l'industria inizia a dilatarsi alla finitima Piacenza. Insieme le due province conseguiranno l'indiscusso primato mondiale del "concentrato", mentre la grande industria di Cirio nel Mezzogiorno si specializzerà piuttosto nei "pelati", ottenuti dal tipico pomodoro campano, il San Marzano. Attualmente, il pomodoro è coltivato su una superficie di 135.000 ha con una produzione media di 33 t/ha di cui il 30% destinata al consumo fresco ed il 70% all’industria conserviera. L’industria ne impiega il 50% per i concentrati, il 30% per i pelati e il resto per triturati, passati, ecc.
Uso del pomodoro in cucina
L’utilizzazione del pomodoro, o di suoi derivati, nella cucina mediterranea ed extra-mediterranea, è talmente diffusa che sembra impossibile immaginare che la pizza, la pasta e tanti altri piatti, sono nati e vissuti a lungo (la pizza per millenni) senza la sua presenza, così come sembra strano che il pomodoro non sia nato nel bacino del Mediterraneo, ma ha origini ben più esotiche e solo in tempi relativamente recenti è divenuto un alimento principe della cucina italiana.
Il termine italiano “pomodoro”, invece, è riconducibile al colore giallo dei primi frutti apparsi in Europa, alla fine del ’500, soppianti poco dopo da varietà a frutto rosso, anch’essi presenti nell’America Meridionale; dal Messico, dove era coltivato in mezzo al mais, il pomodoro giunse in Spagna. Attraverso il possedimento spagnolo di Napoli, nel sec. XVI, il pomodoro, inizialmente considerato una pianta medicinale entrò nella cucina italiana, attribuendogli il nome di “mela d’oro” o “pomo d’oro” e attraverso Genova e Nizza lo trasmisero ai provenzali, utilizzato prevalentemente per abbellire i balconi.
Dalla Spagna, al seguito degli Arabi, il pomodoro giunse in Sicilia, dove si ritrovano le più antiche ricette italiane a base di pomodoro, soprattutto sughi per condire la pasta, in alternativa ai condimenti a base di burro, formaggio e spezie.

Come scegliere

I pomodori devono avere la buccia soda e ben tesa, lucida, senza ammaccature e discretamente pesanti rispetto al loro volume. Il picciolo deve essere turgido e di un bel colore verde brillante. Devono avere un odore gradevole ed intenso.
Come conservare
Conservare i pomodori in frigorifero nello scomparto della frutta e verdura, oppure in un luogo fresco e asciutto. Non sono particolarmente delicati e si possono mantenere tranquillamente per 6-7 giorni.


La melanzana (Solanum melongena L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae, coltivata per il frutto commestibile.
La melanzana, originaria dell'India, viene introdotta dagli Arabi all'inizio del IV secolo e quindi non ha un nome latino o greco. Gli Arabi chiamano la melanzana badingian e in Italia venne inizialmente chiamata petonciana o petonciano o anche petronciano. Per evitare fraintendimenti sulle sue proprietà, la prima parte del nome venne mutata in mela (ovvero frutto per antonomasia) dando così origine al termine melangiana e poi melanzana. Il nome melanzana, in particolare, veniva popolarmente interpretato anche come mela non sana, proprio perché non è commestibile da cruda. Dalla forma araba con l'articolo (al-badingian) derivano invece la forma catalana (albergínia) e francese (aubergine).
La melanzana (Solanum melongena L.) è una pianta erbacea, eretta, alta da 30 cm a poco più di un metro. I fiori grandi, solitari, sono violacei o anche bianchi. I frutti sono bacche grandi, allungate o rotonde, normalmente nere, commestibili dopo la cottura.
La melanzana rossa è una pianta d'aspetto simile alla melanzana per portamento ma il suo frutto arrotondato si colora di rosso intenso come un pomodoro, tanto da essere scambiata per quest'ultimo. Coltivata essenzialmente in Africa e in Asia.
Proprietà
La melanzana cruda ha un gusto amaro che si stempera con la cottura, che rende inoltre l'ortaggio più digeribile e ne esalta il sapore. D'altra parte, la melanzana ha la proprietà di assorbire molto bene i grassi alimentari, tra cui l'olio, consentendo la preparazione di piatti molto ricchi e saporiti. Per questi motivi la melanzana viene consumata preferibilmente cotta. La normale cottura non è in grado di eliminare del tutto la solanina, che si degrada completamente a temperature molto più alte (circa 243 °C); ciò però non è un problema, perché nella melanzana il contenuto di solanine (α-solanina, solasonina e solamargina) è pari a 9–13 mg/100 gr di peso fresco, ben al di sotto della quantità ritenuta accettabile per gli ortaggi (20–25 mg/100 gr di peso fresco).
Esigenze colturali
La melanzana, originaria di climi subtropicali, richiede climi non eccessivamente freddi. La crescita comunque s'arresta quando la temperatura scende sotto i 12 °C. La resa media è di circa 25 t/ha. La melanzana andrebbe coltivata in terreni fertili e ben drenati, in posizione soleggiata ma riparata. Ha bisogno di un clima che non sia né troppo freddo, né troppo umido né ventoso. È possibile coltivarla in vasi di 23 cm con del terriccio.
Cucina
Si consuma fritta, cotta al forno o grigliata, alcune preparazioni tipiche sono: la parmigiana di melanzane, la moussaka, la ratatouille e la caponata.
Valori Nutrizionali
Anche se giunte in Europa in epoca relativamente recente (XIII sec.) la loro coltivazione si diffuse rapidamente, con produzione in Italia di varietà di pregio come la Violetta, di notevole valore gastronomico,ma anche salutistico. Le melanzane possiedono, infatti, un discreto contenuto vitaminico e minerale e soprattutto di alcuni polifenoli che svolgono attività antiossidante proteggendo l’organismo dai radicali liberi. Da un punto di vista terapeutico, la melanzana è consigliata nella cura dell’insufficienza epatica per la sua azione stimolante le vie biliari; ma è soprattutto indicata nelle diete dimagranti perché, oltre al contenuto vitaminico e minerale, possiede un modesto rendimento calorico (18 calorie per 100 g) in quanto ha un elevato contenuto di acqua, pari ad oltre il 90%, ed è praticamente priva di grassi. Non va inoltre sottovalutata la presenza di fibre che proteggono l’intestino e limitano l’assunzione del colesterolo e dei trigliceridi, svolgendo attività protettiva nei confronti delle malattie vascolari.
Cenni Storici
La melanzana è originaria dell'India ma già durante la preistoria era coltivata in Cina e in altri paesi dell'Asia centrale. In Europa però sembra che non fosse conosciuta fino a circa 1500 anni fa: la diffusione in Europa di nomi derivati dall'arabo e la mancanza di nomi antichi latini e greci indicano che fu portata nell'area mediterranea dagli arabi agli inizi del Medioevo. In Europa, la prima regione che ha conosciuto la melanzana pare sia stata l'Andalusia, nel sud della Spagna. In Italia la melanzana viene cucinata a partire dal Quattrocento.
Coltivazione
La melanzana (Solanum melongena L.) viene coltivata nelle regioni a clima temperato e caldo. La pianta è originaria dell'India ma ha un secondo centro di diversificazione in Cina; il 90 per cento della superficie mondiale è coltivata in Asia. L'interesse verso la coltura è cresciuto negli ultimi quindici anni durante i quali, nei principali Paesi produttori, si è assistito ad un aumento della superficie e delle produzioni areiche.
In Italia la melanzana è coltivata soprattutto nelle zone meridionali dove si concentra il 75 per cento della produzione; le regioni dove la coltura è maggiormente diffusa in pien'aria sono la Campania, il Lazio, la Puglia, la Sicilia e la Calabria.
Varietà
La Melanzana di Murcia con foglie e fusto spinosi, frutto violetto, rotondo;
La Melanzana rossa DOP di Rotonda, con una forma simile ad un pomodoro, colore rosso-arancione, polpa fruttata e un sapore leggermente piccante, appartiene ad altra specie.
La Black Beauty, di forma ovale e di colore viola scuro;
La Gigante bianca di New York, dal frutto enorme, bianco sfumato di violetto con caratteristica forma a borsetta;
La Larga Morada, di colore rosato striata di viola e dal gusto delicato;
La Precoce di Barbentane, di forma allungata;
La Violetta di Napoli, dalla forma allungata e dal sapore più forte e piccante;
La Bianca ovale, pianta vigorosa e rustica adatta a vari ambienti climatici, che produce frutti di colore bianco avorio, di forma ovale, con pochi semi; è poco coltivata in Italia;
La Tonda comune di Firenze (o “Melanzana violetta pallida”), si è imposta sul mercato di Firenze per i suoi frutti rotondeggianti a polpa tenera, compatta e poco acida e con pochissimi semi, dalla buccia viola chiaro caratteristica;
La Violetta lunga migliorata delle cascine, pianta vigorosa molto produttiva, dal frutto allungato, violetto un po’ claviforme;
La Violetta lunga palermitana con frutto di grande dimensioni, allungato, claviforme, di colore violetto scuro;
La Violetta nana precoce con frutto più piccolo delle precedenti ma molto precoce.
Come scegliere
La buccia deve essere liscia e lucida, la polpa deve risultare compatta al tatto e i frutti devono dare una sensazione di peso. La mancanza di questi caratteri è indice di prodotto scadente spesso con polpa vuota e, probabilmente, amara. Indice di freschezza è lo stato della guaina del peduncolo che deve presentare un taglio fresco nella parte più alta dell’attaccatura alla pianta. La protuberanza alla fine del frutto (umbone) è tipica delle produzioni in serra delle melanzane durante le stagioni fredde; questi frutti non hanno semi e sono più acquose delle melanzane prodotte in pieno campo d’estate, le quali, però, possono presentare molti semi e risultare amare.
Come conservare
La temperatura ideale è di 10-13°C; al di sotto di 10°C possono subire dei danni (tacche sulla buccia); pertanto, vanno tenute a temperatura ambiente durante l’inverno e in frigorifero nel comparto frutta e ortaggi d’estate, dove si possono tenere sfuse o in sacchetti in polietilene per mantenere meglio la turgidità della bacca e la brillantezza della buccia; ma durano solo pochi giorni (3 o 4). Per periodi più lunghi, le melanzane possono essere surgelate grigliate su piastra su entrambi i lati. La grigliatura induce una discreta disidratazione e una parziale cottura dell’ortaggio, che lo rendono molto più stabile durante la successiva conservazione.

10 ORTAGGI (2^ Edizione)

 

Ortaggi. In queste 360 pagine ho raccolto oltre 250 schede di prodotti, metodi di lavorazione e tecniche di cucina pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO
(https://dallapartedelgusto.blogspot.com/).
Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Ortaggi, che spettacolo vedere i banchi dei prodotti dell'orto traboccare di colori in ogni stagione. Ed i sapori? In cucina lo spettacolo visivo si muta in spettacolo aromatico. Senza giungere agli eccessi di una dieta vegetariana sbilanciata, gli ortaggi sono salute... e risparmio. In ogni stagione la verdura sta sulla nostra tavola. Ma una conoscenza più approfondita ci fa scoprire che ogni tipo di ortaggio ha molte varianti. Si deve conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro ortolano di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.

BRANCALEONE FOX TERRIER

“Brancaleone Fox Terrier” è il primo di un ciclo di volumi che Jean Jacques Bizarre, nom de plume di un bon vivant di origini parigine, ha dedicato alla Liguria, terra che conosce molto bene poiché vi ha risieduto a lungo in compagnia del suo adorato cane, costantemente attorniato dalle sue amicizie senza confini. Il libro è scritto sotto forma di diario che è anche guida turistica e gastronomica romanzata. Il volume si compone di 682 pagine. Leggendolo conoscerete luoghi, miti, leggende, eventi, itinerari, ristoranti e quanto di buono si può trovare in questa affascinante terra. Ma Jean Jacques ha anche aperto a voi le porte del suo cuore e delle sue grandi passioni: le belle donne e la buona cucina (non necessariamente nell’ordine).