martedì 20 settembre 2022

Cucina Ligure

 



Sčiattamàiu, Scarbassa e Pin de verdûa Colla Primavera che batte alle finestre e ci chiede di aprirle, qui in Liguria amiamo tanto cucinare ricette rustiche e genuine che sanno di campo e di orto. Per esempio il polpettone, una pietanza semplice ma sostanziosa da servire come piatto unico, caldo o tiepido. Si tratta di uno
sformato di patate arricchito con fagiolini, formaggio Parmigiano Reggiano, uova, pangrattato, con una crosta dorata e un interno morbido. Semplicità, per fare gusto, vuol dire abilità in cucina nel dosare gli ingredienti e nell’aromatizzare, nel nostro caso con abbondante maggiorana, che è una delle erbe principi della cucina ligure, che recita “dovunque ci siano uova, deve esserci maggiorana”.

Dati questi punti fermi si riscontrano numerose varianti della ricetta: aggiungere altri tipi di ortaggi ad esempio le zucchine; insaporire il ripieno saltandolo in padella prima di infornare; utilizzare la prescinsêua, un tipico formaggio genovese dalla consistenza cremosa; arricchire con mortadella, pancetta o altri salumi e insaccati per renderlo ancora più sfizioso; speziare con un po' di noce moscata. Ma fondamentale è la cottura in forno statico preriscaldato a 180° per 50 minuti, poi in modalità grill per circa 2 minuti, così da dorarlo in superficie.
Due delle più celebri definizioni del polpettone ligure sono: lo Sčiattamàiu ossia schiatta marito, la tradizione vuole infatti che sia talmente buono che gli uomini ne mangiassero così tanto da arrivare a stare male, e lo Scarbassa, di origini addirittura medievali, che prende il nome dalla cesta che, posizionata sulla groppa degli asini, veniva usata per trasportare le erbe e le verdure colte nei campi.

Quando poi le finestre restano sempre aperte per la prossimità dell’Estate, fa molto ligustico affiancare al polpettone le verdure ripiene “di magro”, röba pinn-a” o pin de verdûa, altro must della cucina ligure, leggere ma anche saporite. Le verdure ripiene alla ligure sono adatte in tutte stagioni, ma d’estate sono davvero ideali, sono semplici da realizzare, sono un piatto economico e sono squisite sia calde che fredde, con una bella insalata fresca sono un secondo da re, da sole sono un ricco antipasto.
Si tramanda che questo piatto fosse nato nelle cucine dell’allora fertile Val Bisagno, l’orto del Genovesato, per poi diffondersi in tutta la regione. Gio Batta Ratto, nella sua “La cuciniera genovese, ossia la vera maniera di cucinare alla genovese” pubblicata per la prima volta nel 1863, li definì ripieni di magro sfatando ogni dubbio sulla presenza di carni tra gli ingredienti tradizionali della loro farcia. Infatti la verdura ripiena in Liguria non ne contempla l’impiego, a differenza di quanto accade in altre regioni italiane quali il Piemonte, l’Emilia, la Campania, la Puglia e la Sicilia. La particolarità di utilizzare la polpa delle stesse verdure per il ripieno la rende delicatissima e unica. Il sapore dei ripieni di verdura dovrà però essere rafforzato con la persa, come a Genova si chiama la maggiorana, che va usata sbriciolata dopo averla fatta seccare, per esaltarne il profumo. Ingredienti tradizionali sono zucchine, patate e cipolle, ma la stessa farcitura può valere anche per peperoni e melanzane. Servono inoltre aglio fresco, prescinsêua ossia la quagliata o cagliata, (prodotto caseario tipicamente ligure, che con il suo gusto acidulo e la consistenza simile alla ricotta, conferisce ai ripieni di verdura un sapore inimitabile), uova sbattute, parmigiano, pane raffermo ammollato nel latte, olio di oliva. Qualche trucco? Il sapore acre della prescinsêua va stemperato con la mollica di pane cotta nel latte, ma soprattutto per poter ottenere le verdure adeguatamente croccanti e fragranti occorre cogliere il loro esatto punto di prebollitura. C’è chi preferisce un ripieno più grossolano, altri lo passato al mixer. Cuocere in forno ventilato, a 200° per circa 20 minuti.
Mamma mia quanto son buone, non dimagrirò mai!





TORTA PASQUALINA

Storia

La torta pasqualina (in ligure torta pasqualiña o torta de giæe) è una torta salata, tipica della Liguria (più precisamente del Genovesato e di Borgotaro). Si prepara nel periodo di Pasqua per celebrare la primavera e il risveglio della natura, infatti è l’ideale per le merende all’aria aperta nelle consuete gite fuori porta del Lunedì dell’Angelo insieme alla sua cugina meno nota, la torta de gee. In passato era l'apoteosi dell'abilità delle casalinghe, che leggendariamente si narra riuscissero a sovrapporre sino a trentatré sfoglie in omaggio agli anni di Cristo.
Le sue origini sono molto antiche, era conosciuta già nel 1400 e per la prima volta fu citata dal letterato Ortensio Lando nel suo “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevono” dandole però un nome diverso da quello che conosciamo noi; non Pasqualina ma Gattafura, “perché le gatte volentieri le furano et vaghe ne sono”, ma anche lo stesso scrittore ne era ghiotto tanto da scrivere: "A me piacquero più che all'orso il miele".

Preparazione

Il ripieno si prepara facendo bollire le bietole e strizzandole bene. Si tritano e si strizzano ancora. Versate in un tegame mezzo bicchiere di olio extravergine d'oliva ed unitevi la cipolla tritata. Fatela imbiondire, quindi unitevi l'aglio tritato, la maggiorana ed il prezzemolo tritato. Togliete il tegame dal fuoco ed unitevi le bietole, il sale, il pepe ed un uovo. La crema densa si prepara amalgamando in una ciotola pezzetti di quagliata (prescinsêua in lingua ligure), asciuttissima (in precedenza strizzata del suo siero in un tovagliolo, legato con uno spago da cucina e con sopra un peso), sale, pepe, 2 uova, un pugno di formaggio grattugiato, il latte e la farina. La sfoglia si prepara con farina, acqua e olio di oliva (senza lievito). Si dispone la farina a fontana e si crea un buco nel centro dove viene versato un pizzico di sale e mezzo cucchiaio d'olio extravergine d'oliva. Si inizia ad impastare aggiungendo via via dell'acqua fino ad ottenere un composto morbido ed elastico. Lo si ripone in una ciotola, lo si copre con un canovaccio e si lascia riposare per almeno un quarto d'ora. Lo si divide in 33 parti. Le sfoglie circolari si tirano sottilissime (quasi trasparenti) con un mattarello lungo e sottile, di dimensione più grande del tegame perché devono pendere fuori dal recipiente. Si unge il fondo della teglia e si stendono 17 sfoglie spennellandole tra l’una e l’altra con un po' d'olio. Indi si versa il ripieno e lo si spiana con una spatola, si versa quindi la crema densa. Su di esso si praticano, con l'aiuto di un cucchiaio, alcuni incavi nei quali vengono fatte cadere alcune uova intere che diventeranno sode con la cottura della torta. Su ogni uovo si mette sale, pepe e un ricciolo di burro. Si completa con la copertura delle restanti 16 sfoglie sempre spennellate d’olio. Si taglia col coltello l'eccesso di pasta sull'orlo e aiutandosi con la punta di uno spiedino, si arrotola il bordo su sé stesso formando un festone. Si spennella sopra l'ultimo strato un po' d'olio. Si infila nella parete esterna una cannuccia e si soffia, in maniera da creare all'interno una camera d'aria. Per controllare la cottura delle sfoglie si lascia un pezzo della pasta fuori dalla festonatura, chiamato oêgin (orecchietta). Si inforna per un'ora. Gli strati di pasta soprastanti il ripieno con la cottura si gonfiano e formano una cupola che cuoce al meglio.

Varianti

Della Pasqualina esistono molte varianti. La torta Cappuccina" (o capussinn-a in genovese) prevede che tutti gli ingredienti vengano mescolati tra loro senza fare gli strati tra verdure, cagliata e uova. Per altri periodi dell’anno si prevede l'uso dei carciofi, spinaci, cipolle, cardi, funghi, zucca, piselli, borragine.

A Ventimiglia si usano nel ripieno erbe selvatiche (caccialepre, ortica, allattalepre, songino), al posto delle bietole

Oggi viene sovente usata la pasta brisé o la pasta sfoglia pronta stesa su carta forno che, poiché non viene più soffiata, va bucherellata in superficie con i rebbi della forchetta, pennellata con albume, riposta in frigo per 30 minuti, quindi cotta a 200° in forno statico ben caldo per circa 25 minuti nella parte medio bassa del forno, poi a 180° per ancora 15 – 20 minuti fino a doratura del rustico. Sfornata la si lascia raffreddare 15 minuti in teglia. Poi si sforma e lascia a temperatura ambiente per almeno 5 – 6 h.

Meglio se viene gustata il giorno dopo abbinata con vino bianco giovane, profumato, secco ma morbido e sapido, come il Vermentino, servito a 10 °C.


A FUGASSA DE SANNA

La buona sera sta alla farinata come il buon giorno sta alla focaccia (a fugàssa). Si comincia prestissimo con la focaccia consumata a colazione, inzuppata nel caffellatte, si prosegue a metà mattina, come rompi digiuno, accompagnata da un buon bicchiere di vino bianco (u gianchettu) con la scusa che ne favorisce la digestione, o come aperitivo-antipasto nella versione per signorine snob.
Le nonne la compravano per viziare i nipoti, all’insaputa delle madri, che poi lamentavano inspiegabili disappetenze prandiali nei pargoli. La compravano a occhio, senza pesature: il Quadretto (bocconcino quadrato per togliersi lo sfizio uscendo dalla bottega), la Striscia (da condividere con l’amica del cuore in barba alla linea), il Mille lire (per fare una sorpresa a tavola al marito accanto al pane), la Sleppa (o slerfa) per gli appetiti robusti (nella versione con le cipolle, fugàssa co-a çiòula, capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame; era la consueta mancia del datore di lavoro ai suoi camalli, per incentivarli al lavoro), oppure la Leccarda (corrispondente a una lama, una teglia) in occasione di piccoli rinfreschi.
C’è chi la preferisce calda, appena uscita da una infornata mattutina, buonissima, ma chi bada al borsellino sa che paga un 30% di vapore acqueo.
C’è chi ne teorizza le virtù per i nottambuli discotecari alticci: esistono forni assaliti in ore antelucane come prosciuga budella dagli eccessi alcolici. Insomma la focaccia piace a tutti.
Ingredienti minimali e poveri: farina bianca di grano tenero, tipo 00 o 0, di media forza (W 200-300), lievito di birra, acqua pura o meglio una miscela di acqua e vino bianco, sale fino per l'impasto, sale grosso per il condimento, olio d'oliva extravergine (per l'impasto e per ungerla).
Serve comunque una grande arte nel realizzarla, Giove pluvio permettendo, poiché la focaccia, che non ama l’umidità, risente decisamente delle condizioni climatiche. Una lunga lievitazione e un'accurata lavorazione della pasta richiedono una ventina di ore. L'optimum di cottura lo garantisce soltanto un forno da panettiere (meglio se a legna, ma chi se lo può ancora permettere?).
La nostra società opulenta ha pensato di elaborare varianti per soddisfare tutti i gusti (ma soprattutto per alzare notevolmente il prezzo del venduto con poca fatica e minimo investimento). Ci sono ingredienti messi sopra, come le olive, le cipolle e i pomodori, e quelli messi nell’impasto come la salvia, il rosmarino, le patate, le noci o l'uvetta passa (nella sua forma più dolciastra). E si stanno sempre sperimentando nuovi abbinamenti. Insomma la focaccia, alimento vecchissimo, è un evergreen gastronomico.
Ma a Savona dove si può mangiare una buona focaccia? In molte panetterie il prodotto è molto buono, ma segnaliamo quelle savonesi in cui, secondo noi è veramente ottimo.
Rigorosamente in ordine alfabetico:
Il Panificio Emj in Via Don Bosco. 10 Tel: 019814885
Il Panificio Pedesini in Via Montenotte. 42 Tel: 019850869
Il Panificio Peisino in Via Boselli 5/R Tel: 019 829786
Il Panificio F.lli Ventura in Via De Amicis. 29 Tel: 019813718
Buona focaccia a tutti (anche gluten free per celiaci)





IN CERCA DI SCIAMADDE

A dispetto di molte credenze la farinata non è un prodotto tipicamente ligure, bensì pisano, tuttalpiù livornese, con radici assai antiche: latine e greche. In Liguria ci è arrivato per fatalità nel 1284. Le galee di Genova, vincitrice su Pisa, alla Meloria, furono coinvolte in una terribile tempesta. Nel putiferio, barilotti d'olio e sacchi di farina di ceci si rovesciarono e mescolarono con acqua di mare. La fame fece il resto. Non essendoci altro a bordo si allestì un pasto fatto di purea salata di farina di ceci e olio, asciugato al sole. Non doveva certo essere granché. Ma tornati a casa, carichi di gloria e di fame, il racconto epico infervorò la mente di qualche ingegnosa massaia che replicò con successo l’improbabile ricetta, cuocendola però al forno, in un "testo", una teglia bassa in rame stagnato, e chiamandola, per scherno agli sconfitti, l'oro di Pisa.
Era nata la farinata. Cibo povero, usato come piatto unico, certamente ingegnoso, dà un buon sostentamento grazie alle vitamine, B e C e al fosforo contenuti nella farina di ceci. Sazia certamente la pancia, ma non c’è prova comunque che faccia diventare anche più intelligenti.
Come spesso succede per ogni cibo povero che si rispetti, la sua riscoperta ha portato in tempi più recenti e ricchi, molte varianti. Ed eccola abbinata al rosmarino, ai cipollotti, ai carciofi, con stracchino, con gorgonzola, con pomodorini e rucola, con salsiccia o bianchetti.
Una variante di quella di ceci, tipica di Savona, è prodotta con farina di grano spolverata di pepe nero, ha colore bianco, uno spessore minore ed una maggiore croccantezza rispetto a quella di ceci.
La diffusione nel Mediterraneo ne ha cambiato il nome. Così la fainâ de çeixi del genovese è diventata il turtellassu nel savonese, la socca nel nizzardo, la cade a Tolone, la calda calda nel carrarese, la cecìna in Versilia, la bela cauda nell'oltregiogo, la fainè nel sassarese, il fainò nel carlofortino, la calentita a Gibilterra, la caliente in Marocco. Il bello è che oggi tutti ne rivendicano l’invenzione e l’esclusiva tipicità. Paradossi dell’era della DOP e della IGP.
Il successo dell’alimento è stato comunque tale da creare locali specifici in cui la si può acquistare per l’asporto o la si può mangiare accompagnandola con un bicchiere di buon vino. Sono le sciamadde (letteralmente "fiammate") caratterizzate dal grande forno a legna e da un odore tipico di fritto e di legna arsa.
In cerca di sciamadde a Savona ne ho trovate tre che voglio raccomandarvi.
La prima, storica e centralissima, è Vino e Farinata in via Pia 15r cell.3473784276, la seconda risponde al nome incredibile di Esco Pazzo in via Montenotte 75r tel.0198489309 ed infine in periferia fornacina si trova L’Arcata dell’Homo in via Saredo 100r tel. 019801670.

PRANZO QUOTIDIANO DI LAVORO: CROCE E DELIZIA

Oggi parliamo della pausa pranzo. Dove può andare chi lavora in città a godersi un momento di relax gastronomico? Le esigenze sono parecchie. C’è la donna in carriera che deve badare alla linea ma non può mangiare sempre insalatine e verdure scotte. C’è il manager che ha fretta ma ha imparato a staccare un quarto d’ora e se lo vuole godere. C’è il crocierista che approfitta per gustare qualcosa di tipico ma senza appesantirsi troppo, per proseguire dopo la passeggiata. C’è l’allievo pendolare che ha il rientro pomeridiano e non ce la fa a mangiare panini tutto l’anno. Tutti hanno comunque fretta, la cucina deve essere express, ma il fast food non è per tutti e per tutti i giorni.
Insomma le esigenze sono molte e difficili da conciliare, non ultima quella del portafoglio.
Chi ci riesce è bravo. Io credo di averlo trovato e ve lo segnalo.
Non è propriamente un ristorante, ma la cucina è pari a quella di uno chef. Non è un lounge bar, ma gli aperitivi ed i cocktail sono o.k., per non parlare degli apetizer dell’apericena. Non è propriamente una cremeria, ma la caffetteria è chic ed i dolci sono di tutto rispetto, sempre freschi di giornata. Non è certamente un wine bar, ma la cantina è fornitissima e di gran classe.
L’arredo è raffinato senza ostentazione, tra la modernità del vetro e l’antichità del legno, la toilette sempre aperta (in quanti locali bisogna chiedere la chiave e spesso ti rispondono che i servizi sono rotti?), pulita e profumata, la cortesia e la simpatia dello staff fatto di giovanissimi baristi camerieri fa il resto. Ti viene perfino da lasciar loro la mancia (che per certi savonesi è quasi un gesto contro natura, pare che negli ingauni manchi quel cromosoma nella spiraletta del DNA).
Eccovi il nome: Caffé del Duomo, si trova alla fine di Via Manzoni in prossimità dei portici. Sempre pieno. Si fa la coda leggendo il giornale al bancone e spiluccando stuzzichini, quando si libera un tavolo, via.

Il menù cambia tutti i giorni, tre primi ed una decina di secondi, sempre diversi. Ci vado spesso. Adoro alcuni suoi primi chiccosissimi: i cuoricini tricolore in salsa di taleggio, gli gnocchetti di castagne al ragù battuto al coltello, il risotto alla Mazzini (buonissimo anche se il mio idolo risorgimentale era Cavour e come lui adoro il “bicerin”), ecc. I vini proposti al calice sono di solito due, un bianco ed un rosso: non tradiscono mai. Dolci ammirevoli: io adoro la torta di mele calduccina in crostina friabile con cannella, ma la vecchia cara sacripantina ha il suo perché. Insomma si mangia sempre bene e la rapidità di servizio è ammirevole. Ma la virtù si vede nei dettagli, posateria di marca, cestino del pane con striscioline di focaccia a volontà, formaggiera del parmigiano sul tavolo con grattugiata sempre fresca e non lanugine di crosta, calice per degustare il vino di forma professionale, set di oliaceto con prodotti di qualità. Prezzi quasi popolari (non si paga il coperto).

 


CERCANDO LOW COST E TRADIZIONE

E’ possibile pranzare a meno di 10 euro a Savona? La crisi si combatte scegliendo bene dove mangiare
Prosegue la nostra indagine presso i ristoranti low cost del comune di Savona, per rispondere alla fatidica domanda: è possibile mangiare dignitosamente sotto la soglia di 10 euro con un rapporto qualità prezzo adeguato? La risposta è semplice: è possibile farlo a pranzo, non a cena.
Evidentemente il primo è considerato una necessità ed il secondo un lusso.
Segnaliamo comunque due locali che praticano due diverse filosofie.
Il primo centralissimo di trova in via Caboto 25r dirimpetto alle scuole elementari, e si chiama ovviamente Bar Ristorante Caboto. Se la fantasia del nome un poco difetta, certamente non si può dire così della cucina. Mangerete delle ottime orecchiette ed un coniglio alla ligure decisamente gustoso, completerete con frutta, dolce, bevande (un quarto di vino sfuso passabilissimo) e caffè.
Porzioni abbondanti. Il tutto per 10 euro tutto compreso. Prendere o lasciare. Se volete saltare il primo il secondo raddoppierà la porzione ma la cifra non cambierà.
Chi è di pasto buono ha trovato la sua sponda. Chi pensa alla dieta… guardi l’ambiente attorno ben curato, vivace e ben frequentato; spesso con i crocieristi stranieri (un must del locale) si possono intavolare interessanti conversazioni per rinverdire il proprio inglese scolastico semidimenticato.
Il secondo è decisamente decentrato, bisogna sapere la sua esistenza per rintracciarlo, ma il tam tam virale del  gastrospetteguless non tarda a fartelo trovare.
Si chiama Ristorante Trattoria La Cantina, ma non è assolutamente un’osteria. Anche qui la coerenza verbale difetta. Si trova in via Frascheri 14 rosso tel. 0194500107, un traversa di Via XX Settembre, nelle prossimità della ex Fabbrica del Ghiaccio.
Qui si trova un animatissimo ambiente multietnico di artigiani, in tute e canotte da lavoro, con i quali puoi fraternizzare facilmente, specialmente se cerchi un idraulico, un elettricista, un imbianchino, un piastrellista, un serramentista, tutte figure non più facilissime da trovare se non sei un amministratore di condominio. La specialità riconosciuta della casa è il minestrone: sublime. Evidentemente la cottura si prolunga, come è giusto, per le ore adeguate a fuoco basso. Qui si possono gustare anche piatti singoli, a prezzi supercompetitivi, ad esempio un primo sotto i 5 euro. Porzioni da appetiti robusti, per gente a cui non bastano le 5000 Kcal quotidiane per il lavoro che fa. Se il piatto non trabocca ti chiedono se era l’ultima porzione scarsa rimasta.
Tra un momento folkloristico e l’altro si mischiano le discussioni tra i tavoli in un intreccio verbale che farebbe la gioia di un glottologo o di un autore di cabaret in crisi di ispirazione.
Entrambi i locali comunque sono sempre stracolmi. Si racconta di pensionati “ricchi” che si siedono a tavola alle 12 per avere l’offerta completa del menu, altrimenti va in rapido esaurimento per i piatti speciali del giorno. Anche questa è Savona, una parte di città che mi piace molto.

6 ALLA RICERCA DEL BUONGUSTO

Alla ricerca del buon gusto raccoglie in maniera sistematica le recensioni pubblicate sul mensile savonese Il Letimbro nella rubrica Dalla parte del gusto e poi apparse nel blog  HOMO LUDENS https://nonmirompereitabu.blogspot.com/


lunedì 19 settembre 2022

MARY PICKFORD

DRINK - Alcolico | Predinner / Unforgettable
Rum bianco 6 cl
Maraschino 1 cl
Succo di ananas 6 cl
Sciroppo di granatina 1 cl
Si prepara nello shaker e si serve in una doppia coppetta da cocktail. Non prevede guarnizione. E’ nato nell’America degli anni 30 e rappresenta uno dei precursori dei cocktail a base di rum seguito poi dal Bacardi e dal Daiquiri. Può essere servito anche come long drink aumentando la dose di succo di ananas e servendolo in un tumbler.

16 COCKTAIL (2^ Edizione)
 

Cocktail.In queste 340 pagine ho raccolto oltre 250 schede di prodotti, attrezzature e ricettepubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Mixology. Con questa parola si indica l'arte di mescolare con sapienza distillati, liquori, soft drink ed altro. Una preventiva conoscenza degli elementi che compongono un cocktail è la base del successo. Imparate a preparare quelli canonici riconosciuti dall'IBA e poi lanciatevi a prepararne dei nuovi. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro Barman di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.

BRANCALEONE FOX TERRIER
 

“Brancaleone Fox Terrier” è il primo di un ciclo di volumi che Jean Jacques Bizarre, nom de plume di un bon vivant di origini parigine, ha dedicato alla Liguria, terra che conosce molto bene poiché vi ha risieduto a lungo in compagnia del suo adorato cane, costantemente attorniato dalle sue amicizie senza confini. Il libro è scritto sotto forma di diario che è anche guida turistica e gastronomica romanzata. Il volume si compone di 682 pagine. Leggendolo conoscerete luoghi, miti, leggende, eventi, itinerari, ristoranti e quanto di buono si può trovare in questa affascinante terra. Ma Jean Jacques ha anche aperto a voi le porte del suo cuore e delle sue grandi passioni: le belle donne e la buona cucina (non necessariamente nell’ordine).


BIRRE 48: BERLINER PILSNER


La Berliner Pilsner è un birrificio tedesco. È stato fondato nel 1902 a Berlino da Gabriel e Richter. È nato come una piccola fabbrica di birra con un ristorante con giardino adiacente. Oggi è una marca di birra di proprietà del Gruppo Radeberger (la divisione birra e bevande analcoliche appartenente alla holding tedesca Oetker)
Radeberger Gruppe Italia S.p.A. è la filiale italiana del Gruppo Radeberger, oggi il più importante produttore tedesco di birra. La sua missione è quella di far conoscere e diffondere in Italia le migliori birre tedesche, con una gamma di marchi rispettosi della cultura, della territorialità e della tradizione birraria made in Germany.
Le birre distribuite da Radeberger Gruppe Italia
- rappresentano la cultura tedesca della birra
- rinnovano e valorizzano i diversi stili e le diverse tradizioni regionali della produzione birraria tedesca
- rispettano l'editto della Purezza del 1516: sono fatte solo di acqua, malto e luppolo
- soddisfano ed emozionano i consumatori più curiosi ed esigenti per varietà e qualità
Radeberger Gruppe Italia svolge funzioni commerciali e di marketing avanzato nel territorio. In particolare, l'azienda è impegnata a rilevare, comprendere e assecondare le continue evoluzioni del mercato.
Con la crescita e la trasformazione del mercato globale, Radeberger Gruppe Italia è sempre di più il punto di contatto tra trade e produzione, in modo da semplificare l'operatività, soddisfare i bisogni del mercato italiano, nel rispetto della qualità e delle esigenze del consumatore finale.

20 BIRRA
(2^ Edizione)

Birra. In queste 200 pagine ho raccolto oltre 150 schede di preparazioni, stili e prodotti, pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Dopo l'acqua ed il the, fin dalla notte dei tempi, la birra è la bevanda più diffusa nel mondo. Pane liquido, così era chiamata poiché accanto al pane solido costituiva il principale alimento e gli ingredienti (acqua, cereali e lievito), anche se in proporzioni diverse, erano identici. Ampliamo la nostra conoscenza sulle birre e scopriremo sapori deliziosi ed inattesi. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro birraio di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.



FARRO DELLA GARFAGNANA

Questo Farro viene coltivato in Garfagnana, nel nord-ovest della Toscana (prov. di Lucca).
Viene prodotto dalla popolazione locale della specie Triticum dicoccum Schrank (grano vestito). E' il cereale più antico fra tutti quelli pervenuti fino ai nostri giorni, coltivato già nel settimo millennio a.C. in Mesopotamia, Siria, Egitto e Palestina. In Garfagnana la coltivazione del farro non ha mai subito interruzioni.
Il Farro costituiva la base della dieta delle popolazioni latine, che utilizzavano la farina per farne polenta o focacce. Con l’avvento delle nuove varietà di frumento il farro quasi sparì dalle coltivazioni italiane. Attualmente in Garfagnana ci sono quasi 100 aziende agricole che producono farro, su di una superficie di circa 100-110 ettari e con una produzione complessiva media di 200 tonnellate annue di farro "vestito". Il farro della Garfagnana deve essere coltivato su terreni idonei, poveri di elementi nutritivi, in una fascia altimetrica fra i 300 e i 1.000 m s.l.m. La semina avviene in autunno, su terreno precedentemente preparato , utilizzando seme vestito derivante dalla popolazione locale di Triticum dicoccum. La produzione di farro della Garfagnana deve avvenire, secondo la normale consuetudine della zona, senza l'impiego di concimi chimici, fitofarmaci e diserbanti: data l'elevata rusticità della pianta, il farro coltivato con la tecnica tradizionale risulta di fatto un prodotto biologico. La raccolta del farro avviene in estate, con le normali mietitrebbiatrici da grano, le spighette alla trebbiatura si distaccano interamente dal rachide, senza far uscire le cariossidi dalle glume e glumelle (per questo viene denominato "grano vestito" ). La produzione massima consentita per ettaro è di 25 quintali di farro vestito. Prima dell'utilizzazione la granella di farro deve essere brillata, cioè privata dei rivestimenti glumeali e di una parte del pericarpo; questa operazione (brillatura) veniva tradizionalmente effettuata con particolari molini a macine, attualmente vengono utilizzate anche semplici macchine di cui può dotarsi ogni azienda produttrice. La resa in brillato risulta pari a circa il 60-70% del prodotto iniziale, a seconda del metodo impiegato. La granella di farro brillata viene tradizionalmente impiegata intera per preparare zuppe, minestre con legumi, torte salate; può anche essere macinata per altri impieghi (paste, pane, biscotti, ecc.). Il legame geografico del farro con la Garfagnana deriva principalmente dal fatto che la popolazione locale di Triticum dicoccum, essendo stata riprodotta nella zona, ininterottamente, da tempo immemorabile, oltre ad essere geneticamente adattata all'ambiente locale (terreni, clima, tecniche di coltivazione, ecc), forma con esso un binomio inscindibile e presenta requisiti peculiari tali da renderlo perfettamente distinguibile rispetto al farro prodotto in altre zone.
Il Farro e' ricco di vitamine del gruppo A-B-C-E e sali minerali, contiene fosforo, sodio, calcio, potassio e magnesio. Il farro è povero di aminoacidi essenziali per questo si tende ad accostarlo alle leguminose che ne compensano la mancanza. Il farro contiene proteine, acidi grassi polinsaturi ed essenziali, ferro, manganese, rame,cobalto e un alto contenuto di selenio ed acido fitico che lo rendono un potente antiossidante.
Il Farro della Garfagnana è stato riscoperto oggi per le sue eccellenti proprietà dietetiche e perché le sue fibre svolgono un'azione benefica per l'apparato digerente. Questo cereale è ricco di amido, quindi particolarmente adatto per preparare torte salate, ma in cucina è utilizzato soprattutto come ingrediente di zuppe e minestre: unito a fagioli e verdure si presenta come piatto semplice ma con gusti e profumi del tutto particolari. Ottimo per insalate fredde, farrotti (risotti) con funghi porcini. Si abbina in maniera eccellente ai vini rossi. La granella di farro brillata può anche essere macinata per altri impieghi (paste, pane, biscotti ecc.).

 12 CONSERVE (2^ Edizione)


Conserve. In queste 230 pagine ho raccolto circa 300 schede di ricette, prodotti e consigli di degustazione pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO
(https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. La dispensa delle conserve deve essere sempre ben fornita. Molto meglio se sarete voi a produrre una parte di queste delizie. Confetture, marmellate, gelatine, sottolio, sottaceto, frutta essiccata, frutta candita, ecc. Nelle stagioni in cui certi prodotti non sono disponibili, la nostra dispensa dei sapori mostra il suo tesoro.

TROPEANA


basilico
aglio
peperoncino
tonno
origano
capperi
pomodori secchi
olio
Mettere tutto, tranne il basilico che va aggiunto all'ultimo momento, nel mixer, frullare. Alla fine aggiungere il basilico e l'olio.Quando si prepara la pasta, mettere il pesto in una terrina, allungare con l'acqua di cottura ed altro olio, quindi insaporire la pasta nell'intingolo e servire con abbondante pecorino a scaglie.
11 SALSE (2^ Edizione)

 
Salse. In queste 120 pagine ho raccolto oltre 100 ricette di salse, criteri di classificazione e di abbinamento pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Esiste una teoria generale della derivazione delle salse. Da sole 5 salse madri derivano tutte le altre per piccole variazioni, aggiunte o sottrazioni. Le salse completano primi, secondi, contorni, pesce, carne, verdure, pasta, tutto. Impariamo insieme a fare le salse. Senza giungere agli eccessi di una cucina troppo salsamentaria come era d’uso nell’800, le salse completano e danno quel tocco in più di sapore che non guasta.


OLIO TERRA D'OTRANTO

L'olio extravergine di oliva Terra d'Otranto è un olio d'oliva ottenuto dalle varietà di olivo Cellina di Nardò e Ogliarola presenti da sole o insieme, in percentuali variabili fra loro e in misura non inferiore all’60%. Il rimanente 40% è costituito da altre varietà minori presenti negli oliveti della zona di produzione.
Si caratterizza per il colore verde o giallo con leggero riflesso verde, una fluidità media, un odore con leggera sensazione di foglia, una sapore fruttato con media sensazione di amaro ed una leggera sensazione di piccante. Può essere un ottimo condimento su primi piatti a base di pasta di grano duro, verdure bollite e legumi, ma anche su secondi piatti di carne e di pesce.
Le operazioni di raccolta devono essere effettuate entro il 30 gennaio di ogni anno, distaccando le drupe direttamente dalla pianta a mano o con mezzi meccanici, mentre il trasporto al frantoio e le operazioni di olificazione devono avvenire entro due giorni dalla raccolta.
L'estrazione dell'olio ammette il solo ricorso a processi tradizionali sia meccanici che fisici, che non alterino le caratteristiche del prodotto. La lavorazione deve avvenire in frantoi dotati di impianti a ciclo continuo o a ciclo tradizionale con presse. L'olio può essere conservato in ambienti freschi e asciutti ad una temperatura compresa tra i 14 °C e i 20 °C, lontano da fonti di calore.
L'olio extravergine di oliva Terra d'Otranto, è prodotto con le olive coltivate e trasformate nei comuni della Provincia di Lecce, della parte orientale della Provincia di Taranto e nei comuni di Brindisi, Cellino San Marco, Erchie, Francavilla Fontana, Latiano, Mesagne, Oria, San Donaci, San Pancrazio Salentino, San Pietro Vernotico, Torchiarolo e Torre Santa Susanna. Sono idonei gli olivi posti in terreni di origine calcarea situati entro il limite altimetrico di 517 metri sul livello del mare, con una densità massima di 400 piante per ettaro. La coltivazione dell'olivo nella zona fu introdotta con le colonizzazioni greche e fenice, ma furono i monaci Basilani ad avviare il primo fiorente mercato dell'olio.

 13 CONDIMENTI (2^ Edizione)


Condimenti. In queste 120 pagine ho raccolto oltre 90 schede di prodotti, procedure e consigli di cucina pubblicate nel corso  degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Utilizzati a caldo per cucinare o a freddo per completare, i condimenti sono essenziali in cucina. Incominciamo insieme a conoscerli meglio, ampliando il nostro ancora troppo ristretto orizzonte ed imparando con essi sapori preziosi fino ad ieri sconosciuti.




AGLIO DI MONTICELLI

L’Aglio Bianco Piacentino di Monticelli, genuino, originale e amato da tutti, si distingue per il suo aroma e sapore ineguagliabili. Queste proprietà, insieme alle sue caratteristiche di conservabilità di gran lunga superiori a tutte le altre varietà, gli conferiscono il titolo di “Re dell'Aglio”
Il suo potere antisettico era noto fin dall’antichità: nel Medioevo i medici usavano delle mascherine imbevute di succo d’aglio per proteggersi dalle infezioni e a tutt’oggi è ampiamente usato nella medicina popolare. Il costituente principale dell’aglio fresco intero è l’allicina.
L’Aglio Bianco Piacentino, conosciuto in passato come L’Aglio di Monticelli (L’Ai ad Muntzei) è unico nel suo genere.
Per la sua storia:
- Presente sul territorio fin dal tempo dei romani
- Coltivato in orti già agli inizi del 1900
- Esportato in America dopo la guerra (nel 1947) dal S.E.P.A. (Sezione Economica Produttori Aglio)
- Quotato in borsa a Wall Street nel 1952
- Primo aglio italiano ad essere iscritto nel 1982 al registro nazionale del Ministero dell’Agricoltura con la varietà Ottolini
- Nel 1994 viene iscritta al registro nazionale la varietà Serena
Per la sua produzione:
- L'Aglio Bianco Piacentino è coltivato e lavorato completamente a mano dal "seme" alla "tavola"
- Ogni anno il seme è rigorosamente controllato dall'ENSE (Ente Nazionionale Sementi Elette)
- La produzione è controllata e regolata dai disciplinari di produzione della Regione Emilia-Romagna
Per le eccellenti caratteristiche qualitative:
- Sapore marcato ed avvolgente, che ne consente l'utilizzo di minori quantità per ottimi risultati
- Ottima conservabilità: si mantiene un anno dalla sua raccolta
- Contiene elevate quantità di allicina e di oli essenziali
L'aglio ha inoltre diverse importanti qualità:
- Contro l'ipercolesteromia in quanto dotato di azione antiaggregante piastrinica
- Contro bronchiti, raffreddori e molti germi capaci di infettare le prime vie respiratorie, per le proprietà antibatteriche
- Contro alcuni parassiti quali gli elminiti (classe di vermi che possono parassitare l'intestino)
- Contro alcuni funghi che sono in grado di infettare gli strati superficiali della cute
- Contro l'innalzamento della pressione arteriosa
- Contro la formazione di radicali liberi in quanto funge da antiossidante grazie ai solfuri, al selenio e alla vitamina B e C
- Contro l'artrosi e la cervicale

10 ORTAGGI (2^ Edizione)

 

Ortaggi. In queste 360 pagine ho raccolto oltre 250 schede di prodotti, metodi di lavorazione e tecniche di cucina pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO
(https://dallapartedelgusto.blogspot.com/).
Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Ortaggi, che spettacolo vedere i banchi dei prodotti dell'orto traboccare di colori in ogni stagione. Ed i sapori? In cucina lo spettacolo visivo si muta in spettacolo aromatico. Senza giungere agli eccessi di una dieta vegetariana sbilanciata, gli ortaggi sono salute... e risparmio. In ogni stagione la verdura sta sulla nostra tavola. Ma una conoscenza più approfondita ci fa scoprire che ogni tipo di ortaggio ha molte varianti. Si deve conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro ortolano di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.

CONFETTURA DI COTOGNE E RADICI DI CICORIA MARCHIGIANA

Territorio interessato alla produzione
Comune di Ussita, in provincia di Macerata. Prodotto quasi scomparso, sono in corso iniziative volte al recupero di questa marmellata nel comune di Montecosaro (MC).
Descrizione del prodotto
Marmellata dal colore scuro con riflessi dorati, dal gusto amarognolo. Le persone anziane ricordano che questa marmellata veniva prodotta per essere consumata a fine pasto per favorire la digestione.
Descrizione metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Le mele cotogne e le radici di cicoria vengono pulite, lavate e tagliate a pezzi e mescolate insieme. Dopo aver aggiunto succo di limone e una parte di zucchero, si lascia riposare il tutto per qualche ora e si fa bollire a fuoco lento. Prima di giungere a completa cottura la purea si passa in un setaccio e poi si procede a completare la cottura. Ancora bollente, si mette nei vasi di vetro, aggiungendo un po' di mistrà o grappa che si fa ardere. Una volta evaporato l'alcool, si chiede ermeticamente il vaso, che viene conservato in luogo fresco e asciutto al riparo dalla luce.
Materiali e attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione e condizionamento
I materiali e le attrezzature devono essere conformi al Decreto Legislativo 26 maggio 1997, n. 155. In particolare si deve fare riferimento al Capitolo V ed al Capitolo VIII dell'allegato al suddetto D.Lgs pubblicato sul Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 13.06.1997 Serie Generale - n.136. Tipici utensili da cucina. Descrizione dei locali di lavorazione conservazione e stagionatura I locali per la lavorazione devono essere conformi al Decreto Legislativo 26 maggio 1997, n. 155. In particolare si deve fare riferimento al Capitolo I ed al Capitolo II dell'allegato al suddetto D.Lgs pubblicato sul Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 13.06.1997 Serie Generale - n.136.
 


12 CONSERVE (2^ Edizione)

Conserve. In queste 230 pagine ho raccolto circa 300 schede di ricette, prodotti e consigli di degustazione pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. La dispensa delle conserve deve essere sempre ben fornita. Molto meglio se sarete voi a produrre una parte di queste delizie. Confetture, marmellate, gelatine, sottolio, sottaceto, frutta essiccata, frutta candita, ecc. Nelle stagioni in cui certi prodotti non sono disponibili, la nostra dispensa dei sapori mostra il suo tesoro.

UVA DI MAZZARONE

Uva da tavola di Mazzarrone è un prodotto ortofrutticolo italiano a Indicazione geografica protetta. Si indica l'uva prodotta nell'area compresa tra i territori comunali di Mazzarrone, Caltagirone, Licodia Eubea (in provincia di Catania) e Acate, Chiaramonte Gulfi e Comiso (in provincia di Ragusa). L'uva è prodotta nelle tipologie bianca, rossa e nera, e per ciascuna, il Disciplinare di produzione ne fissa le caratteristiche qualitative che deve possedere: grappolo, acino, colore, maturazione, quantità per ettaro. Il Consorzio di tutela ha sede a Mazzarrone.

9 FRUTTA (2^ Edizione)
 

Frutta. In queste 230 pagine ho raccolto oltre 120 schede di prodotti, metodi di lavorazione e tecniche di cucina pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO
(https://dallapartedelgusto.blogspot.com/).
Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. In ogni stagione la frutta sta sulla nostra tavola. Quante virtù ci stanno nella frutta? Tantissime, facciamone allora tesoro. Ma una conoscenza più approfondita rende il nostro tesoro ancora più ricco ed appetibile. Ogni tipo di frutto ha molte varianti, occorre conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro fruttivendolo di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.




IL ROBOT ENTRA NELLE CUCINE DEI RISTORANTI?


Si chiamano Sandy, Botlr, Flippy, Panda, non sono umani ma robot che fanno il loro lavoro in cucina ed ai tavoli dei ristoranti. Per ora in Cina, Giappone e Stati Uniti. Agli esseri umani è riservato solitamente il compito di accogliere gli avventori, mentre i robot apparecchiano, preparano pasti, servono ai tavoli, battono cassa, sparecchiano, lavano le stoviglie e gestiscono il magazzino e la dispensa.

Qualche esempio ci aiuterà ad orientarci meglio ma soprattutto a capire come ormai la frontiera tra umano, troppo umano e robotico sia sempre più sottile e valicabile.

Cominciamo dal ristorante dell’hotel Henn-Na a Nagasaki, in Giappone. Qui lo staff è composto interamente da robot umanoidi specializzati oltre che nella preparazione dei cibi (la specialità della casa è la cucina tipica locale) anche nell’accoglienza dei clienti.

A Redwood City in California negli Stati Uniti esiste un ristorante dove il cliente ordina la sua insalata tramite un touch screen. La robottina Sally la prepara ed il collega Botlr la serve ai tavoli.

Il Cali Group, la catena di fast food californiana, usa invece Flippy, un braccio meccanico robotizzato ottimizzato per la preparazione degli hamburger. Ne preparare più di 200 al giorno, non si può certo dire che sia troppo lento.

Tavole calde, direte voi, ma la qualità?

C’è, eccome. Allora vi parlo di Spyce, l’americanissimo raffinato ristorante di Boston. Qui le pietanze sono preparate dai robot, ma la divisione di compiti con gli umani è importante. Il Culinary Director è Daniel Boulud, chef stellato francese che ha curato tutte le ricette del menù e assaggiato tutte le proposte, prima che venissero messe in vendita. Uno dei suoi compiti è stato di formare lo staff specie il garde manger, ovvero colui che dà il tocco finale ai piatti prima che vengano serviti, garantendo che ogni portata esca dalla cucina al meglio. La filosofia di Spyce si riassume così: “I nostri sforzi sono tutti sul primo boccone. Vogliamo che i clienti diano la caccia ai sapori. Il primo morso è la nostra chance di farci ricordare e la vogliamo cogliere”.

Il sistema tecnologico che regola la cucina è stato sviluppato da quattro studenti dell’MIT. Il cliente effettua un ordine tramite un menù digitale su tablet, gli ingredienti vengono selezionati dai contenitori e riposti in uno dei sette wok automatizzati posti accanto ad alcune piastre a induzione. Quando la pietanza scelta è pronta – generalmente in meno di 3 minuti – si versa in un piatto che viene rifinito da uno dei garde manger e servito. Lo Spyce di Boston su TripAdvisor totalizza 4,5 punti su 5, come dire che complessivamente, le persone sono soddisfatte sia del format, che della qualità del cibo proposto.

E a casa? Qualcosa si muove, ma lentamente.

Al Seed & Chips di Milano, sono stati presentati Bot Chef di Samsung, e Panda di Franka EmiKa. Non sono ancora veri e propri cuochi, ma robot collaborativi: tritano, sbattono, versano, puliscono, sollevano, spostano tutti gli oggetti della cucina, compresi quelli dalle forme più complesse, e li ripongono in maniera efficiente.

Per ora il vecchio e caro angelo del focolare resiste ancora.


Dobbiamo cominciare a renderci conto, che tra qualche anno, quando una serie di vaccini avranno reso la popolazione planetaria resistente ai tre ceppi del Covid 19, le consuetudini di vita a cui siamo abituati non saranno più le stesse ma entreremo in una fase di transizione verso il nuovo, possibile e praticabile, con una rapidità ancora maggiore dell’attuale.

Anche la cucina cambierà a partire dai suoi artefici: i cuochi.

Samsung recentemente è passata dalla fase di proto - tipizzazione a quella di piccola serie per il suo Bot Chef.

Si tratta in sostanza di due braccia robotiche impiantate in alto, grossomodo nella cappa, capaci di effettuare tutte le operazioni necessarie a realizzare un pranzo.

Un tempo ormai remoto il Bimby aveva fatto diventare chef legioni di imbranati.

Successivamente il set per la cottura sottovuoto (oggi già disponibile nella versione consumer) aveva rivoluzionato il sistema di lavoro dei ristoranti.

Poi il frigo e la dispensa domotiche aiutarono a gestire al meglio la scorta ed a programmare gli acquisti, con connesse indicazioni dietetiche e consigli per menù salutistici.

Oggi è la volta del robot.

La successione ottimale di centinaia di operazioni e migliaia di gesti passa attraverso la precisione dei dati di trasmissione, con certezza della qualità dei risultati e dei tempi di preparazione.

Il fatto che la forma sia human friendly come il suo operato, ha qualcosa che a qualcuno ricorda un poco le favole, un paio di braccia magiche da apprendista stregone. Ma non illudetevi, non è così. Introduco allora il concetto di machine learning, mi perdonino gli specialisti per la banalità semplificatoria della spiegazione. Come insegna a cucinare la mamma al suo bambino? Glielo mostra, lui lo vede, lo ripete, prima malamente poi sempre meglio. L’ “ultima” generazione di robot si comporta nello stesso modo. Impara vedendotelo fare. Apprendimento per imitazione. Da umano a robot. Poi da robot a robot. Poi è l’hardware che scrive, operando, il suo software di funzionamento, che diventa programmazione ottimizzata e consolidata. La trasmissione planetaria dei dati poi è ormai un gioco da ragazzini. Il robot chef che ha imparato il sashimi a Tokyo trasmette il suo sapere al robot chef che ha imparato a Barcellona la paella, e viceversa.

Il bot chef, oltre ad una gestualità micrometrica e macrometrica nella rapidità e nella forza, ha un tatto sensibilissimo, ha occhi per vedere, ha orecchie per sentire, ha naso per odorare, ha gusto per assaggiare.

In attesa del suo arrivo, mi torna in mente la visita che feci in un bar “avveniristico” di Milano dove a preparare gli aperitivi c’era un robot barman: una serie di bottiglie appese al soffitto a testa in giù chiuse con un tappo dosatore che si apriva per il tempo necessario a versare nello shaker la giusta quantità di ingrediente e poi agitava o mescolava. Sembra passato un secolo, era l’anno scorso.


6 ALLA RICERCA DEL BUON GUSTO

Alla ricerca del buon gusto raccoglie in maniera sistematica le recensioni pubblicate sul mensile savonese Il Letimbro nella rubrica Dalla parte del gusto e poi apparse nel blog  HOMO LUDENS https://nonmirompereitabu.blogspot.com/