domenica 6 febbraio 2022

ORTAGGI DA BULBO


Tra gli ortaggi più utilizzati in cucina, e anche più benefici per la salute per la presenza di numerosi e importanti principi attivi, ci sono i cosiddetti ortaggi da bulbo. Si tratta di coltivazioni erbacee che si distinguono dalle altre per la formazione di una struttura detta bulbo, in alcuni casi commestibile, che svolge un’importante funzione di riserva per la pianta: raccogliendo infatti sostanze nutritive dal terreno, permette di avere nutrimento anche se il clima è secco o particolarmente freddo. Per questo motivo, gli ortaggi di questo gruppo sono particolarmente economici, in quanto si possono coltivare in molte condizioni diverse. Il fatto che siano anche facili da conservare, nella maggior parte dei casi, li rende ancora più adatti all'alimentazione umana.
Dal punto di vista botanico, gli ortaggi che vengono consumati appartengono alla famiglia delle Alliacee, piante dalla struttura che comprendono un bulbo, alla base del fusto, e sono caratterizzate da un’infiorescenza a forma di ombrello. Nell'infiorescenza di alcuni ortaggi si formano anche delle strutture dette bulbilli, che sono quasi uguali ai bulbi del terreno e crescono in parallelo ai frutti capsulati che contengono i semi della pianta. Così quando si coltiva un ortaggio da bulbo si potrà coltivare il seme, che darà origine ad una nuova pianta, oppure un bulbillo che, piantato nel terreno, creerà le radici e una nuova pianta per conto proprio. La differenza è che il seme è frutto di una riproduzione sessuata, quindi proviene da una pianta-madre impollinata da una pianta-padre, mentre il bulbillo è in pratica un clone della pianta originale, ed è un ulteriore modo con il quale la pianta resiste alle condizioni avverse.

Origine e coltivazione degli ortaggi da bulbo

Gli ortaggi da bulbo oggi sono ubiquitari, conosciuti e coltivati in tutto il mondo. Sembra che la loro origine sia il territorio asiatico ma tutti (a parte lo scalogno, introdotto successivamente) sono stati introdotti in ere molto remote, tanto che nell'antico Egitto e nell'antica Roma si conoscevano già.
I più diffusi ad oggi sono l’aglio, la cipolla, il cipollotto, lo scalogno, il porro e l’erba cipollina, di cui però non si consuma il bulbo ma le foglie. Tuttavia questa è una classificazione molto generale: di aglio, ad esempio, ne esistono tantissime specie (che sono proprio specie diverse, non varietà di una sola ed unica specie), molte delle quali si coltivano anche in Italia e in particolare sulle isole dove, a causa dell’isolamento geografico, sono nate tantissime specie differenti dall'aglio comune.
Per le altre piante, esistono numerose varietà, dette cultivar, che danno origine ad ortaggi anche molto diversi tra loro. Per la facilità di coltivazione, queste piante vengono prodotte in tutto il mondo, e sono una delle colture più tipiche degli orti urbani.

Ortaggi da bulbo: come sono fatti

Gli ortaggi da bulbo, partendo dal basso, sono costituiti dalle radici, che hanno lo scopo di assorbire acqua e sali minerali dal terreno, mentre le sostanze energetiche (lo zucchero, essenzialmente) lo prendono sia dal bulbo, se già presente, perché ha funzione di riserva, sia dalle foglie per mezzo della fotosintesi clorofilliana. Le radici entrano direttamente nel bulbo della pianta.
Il fusto è la parte della pianta che da il nome all’ortaggio perché contiene, appunto, il bulbo. Quest’organo, che di solito nelle piante è lineare, negli ortaggi a bulbo si divide in due parti, che sono:
La parte ipogea, quella che sta sotto terra, detta bulbo, che può essere unica o formata da tanti piccoli bulbi detti aggregati; in cucina questi ultimi si chiamano spicchi, come quelli dell’aglio. Il bulbo è un organo di riserva, formato da tante guaine concentriche delle quali le esterne muoiono formando così una membrana (bulbo tunicato) che protegge la pianta dalle avversità provenienti dal terreno.
La parte epigea, quella che sporge, origina da una gemma che si trova direttamente nel bulbo ed è avvolta da numerose guaine dalle quali partono le foglie. A differenza delle foglie, la parte che esce dalla terra del fusto è di forma cilindrica, spesso cava all’interno. In cima al fusto si forma l’infiorescenza, nel momento in cui la pianta raggiunge la sua maturazione.
Le foglie iniziano direttamente dal bulbo, e sono in diretta comunicazione con le radici. Sono di forma allungata, mentre la lunghezza non è mai particolarmente ampia, anche se ci sono differenze tra le singole specie. All’interno è presente una cavità e sono molto fibrose, tanto che quelle di alcuni ortaggi comuni (aglio, cipolla) sono difficili da mangiare proprio per questo motivo. Spesso le foglie sono più lunghe della parte emersa del fusto, e quindi si ripiegano verso il basso, fornendo così il tipico aspetto alle piante a bulbo.
Al termine del fusto si trova l’infiorescenza. Questa parte delle piante non è commestibile ed è formata da tanti piccoli rametti in cima ai quali si formano i fiori che verranno impollinati. I fiori sono particolarmente odorosi, attirano molti insetti, e possono essere variopinti: ci sono fiori azzurri, viola, gialli, bianchi in base alle specie cui appartengono. 
Quando i fiori sono stati impollinati, dagli insetti, al loro interno si forma il frutto, che è essenzialmente un seme ricoperto da una capsula. Seminandolo avrà origine una nuova pianta.
L’infiorescenza però non contiene solamente i fiori, ma anche i bulbilli, in alcune piante: queste strutture sono diverse dai semi e simili invece in tutto e per tutto al bulbo della pianta che sta alla base del fusto. Questi bulbilli si possono coltivare e sono più resistenti rispetto al seme, per cui ci sono più possibilità che possano dare origine a una nuova pianta, mettendo le radici da una parte, le foglie e il fusto dall’altra. È un metodo più economico per la coltivazione degli ortaggi da bulbo.

Caratteristiche nutrizionali degli ortaggi da bulbo

Gli ortaggi da bulbo sono alcuni tra i vegetali in assoluto più dietetici, e questo è uno dei motivi per cui sono maggiormente ricercati per la salute e per il benessere. In questa sezione, e in particolare nella tabella seguente si possono vederne i valori nutrizionali (per 100 grammi di prodotto).

Cipolla
Aglio
Scalogno
Porro
Erba Cipollina
Acqua
92,1
80
79,8
87,8
90
Proteine
1
0,9
2,5
2,1
3,3
Lipidi
0,1
0,6
0,1
0,1
0,7
Carboidrati
5,7
8,4
16,8
5,2
4,3
Fibra
1
3,1
1
2,9
2,5
Energia (Kcal)
26
41
72
29
30
Sodio (mg)
10
3
12
-
3
Potassio (mg)
140
600
334
-
296
Ferro (mg)
0,4
1,5
1,2
0,8
1,6
Calcio (mg)
25
14
37
54
92
Fosforo (mg)
35
63
60
57
58
Vitamina A (um)
3
5
tracce
tracce
tracce
Vitamina C (um)
5
5
8
9
58
Ajoene: contenuto solamente nelle varie specie di aglio, ha anch’esso azione antimicrobica ed ha anche una funzione che limita l’aggregazione piastrinica, impedendo così la formazione dei trombi.
Acqua
Come la maggior parte dei vegetali, gli ortaggi a bulbo sono ricchissimi di acqua. E ne sono ricchi anche se vengono essiccati, come nel caso delle cipolle o dell’aglio, perché ne trattengono tantissima in quanto i bulbi sono, appunto, organi di riserva della pianta e servono a sopravvivere in condizioni avverse (è per questo che possono germogliare). L’acqua, tra l’altro, difficilmente esce dall’ortaggio anche se cucinato. 
Proteine
Gli ortaggi, a parte alcune eccezioni come i legumi, non sono mai alimenti particolarmente proteici, anche se gli ortaggi a bulbo rappresentano in qualche modo un’eccezione: alcuni, specialmente i porri e lo scalogno, sono abbastanza ricchi di proteine, tanto che si possono considerare dei buoni supplementi dietetici. E in passato questo è stato fatto concretamente: molte popolazioni sono riuscite a sopravvivere anche solo grazie al consumo delle cipolle.
Carboidrati, lipidi ed energia
Dal punto di vista energetico, gli ortaggi da bulbo come gli altri ortaggi sono piuttosto poveri. I lipidi sicuramente sono pochissimi, perché piuttosto rari nelle piante, mentre icarboidrati sono molto presenti, proprio per la struttura del bulbo (è il motivo per cui questi ortaggi possono caramellare, proprio per la presenza di zucchero). Tuttavia, i carboidrati che contengono non sono come quelli del grano, che sono ramificati e hanno bisogno di tempo per essere assorbiti, ma sono zuccheri liberi e si possono paragonare a quelli della frutta; non sono tantissimi, ma danno energia immediatamente disponibile che tende a non accumularsi perché assimilata tutta in una volta. Dal punto di vista dell’apporto calorico si raggiunge un picco più elevato solamente con lo scalogno, più ricco di zuccheri rispetto agli altri; al di là di questo, però, tutti gli ortaggi da bulbo si possono considerare ottimi dal punto di vista della dieta.
La fibra
La fibra non è moltissima ma è comunque presente; in particolare, se la si cerca per la regolarità intestinale, ad esempio, bisogna scegliere ortaggi dal bulbo piccolo, perché al diminuire delle dimensioni del bulbo aumenta la quantità di fibra.
Vitamine e Minerali
Dal punto di vista minerale, il sodio è sempre poco così come gli altri minerali, tranne il potassio di cui gli ortaggi da bulbo sono ricchi perché costituiti soprattutto da liquido di riserva, che è intracellulare. Il ferro è ben rappresentato, specialmente in alcuni ortaggi, mentre il calcio non è molto ma aumenta nell’erba cipollina, dove fa parte della struttura stessa delle foglie e per questo ne contiene di più.
Gli ortaggi da bulbo contengono poche vitamine, e anche se la vitamina C aumenta un po’ nell’erba cipollina, di cui si mangiano le foglie, di solito la quantità che si mangia di questo ortaggio è così poca che diventa difficile assumerne un buon quantitativo.
Altre molecole degli ortaggi da bulbo
Le piante appartenenti al genere Allium sono famose per la loro resistenza che non dipende solamente dalla loro struttura ma anche, e soprattutto, dalle molecole che contengono e che sono meccanismi di difesa per la pianta, ma hanno effetti attivi anche sull’organismo.
•Allicina: è forse il più famoso tra i componenti degli ortaggi da bulbo, ed ha azione antipertensiva, riduce la pressione sanguigna. Ha anche efficacia come antimicrobico, e agisce sui vermi intestinali funzionando così come antielmintico. 
Inulina: ha un’azione prebiotica, ed è in grado di regolare l’assorbimento intestinale del glucosio e del colesterolo.
Glucochinina: viene definita anche “insulina vegetale” per la sua capacità di ridurre il glucosio nel sangue, avendo così azione ipoglicemizzante; è quindi utile sia per prevenire il diabete, perché aiuta l’azione dell’insulina pancreatica, sia per curarlo per chi già ne soffre.

Quercetina: è un antiossidante, ha azione chelante verso i radicali liberi e le rende innocui ed eliminabili con l’urina. È attiva anche sulla funzionalità renale ed ha quindi un’azione diuretica.

LIMONE INTERDONATO

La zona di produzione dell’IGP «Limone Interdonato Messina» comprende interamente i seguenti territori comunali della Provincia jonica Messinese: Messina, Scaletta Zanclea, Itala, Alì, Alì’ Terme, Nizza di Sicilia, Roccalumera, Fiumedinisi, Pagliara, Mandanici, Furci Siculo, S.Teresa di Riva, Letojanni, S. Alessio Siculo, Forza D’Agrò, Taormina e Casalvecchio Siculo; Giardini Naxos e Savoca.
Tale denominazione è riservata alla cultivar «Interdonato», ibrido naturale tra un clone di cedro e un clone di limone.

LIMONE FEMMINIELLO


Il limone femminello del Gargano è un particolare tipo di limone prodotto (e confezionato) nella provincia di Foggia, nei territori dei comuni di Vico del Gargano, Ischitella e Rodi Garganico, ovvero il tratto costiero e sub-costiero settentrionale del promontorio del Gargano.
I limoneti sono maggiormente legati alla fascia più prossima al mare. Infatti il clima mite e la posizione assolata creano le condizioni ideali per la produzione di limoni e arance.
Il Limone del Gargano rappresenta oggi il limone più antico di tutta l'Italia, infatti già dall'anno 1000 venivano coltivati agrumi di questo genere, che col passare dei secoli si sono diffusi grazie alla tradizione agrumaria della regione.
Addirittura già verso la fine dell’800 da questa zona d’Italia venivano esportati limoni e arance verso paesi quali Canada e Stati Uniti d’America.
Il nome "Femminello" è dovuto principalmente all'alta produttività di questa pianta (l’albero può raggiungere le 5 fioriture l’anno), che è anche la più diffusa sul territorio italiano.

Sulle confezioni ad autenticarne la provenienza devono esserci le indicazioni: Limone Femminello del Gargano, il logo, la dicitura di IGP anche per esteso, il nome del produttore/commerciante, la ragione sociale, l’indirizzo del confezionatore ed il peso netto all’origine. Se venduto sfuso il limone deve riportare il logotipo distintivo di questa Igp.

LIMONE SIRACUSA


Il limone di Siracusa IGP è il frutto appartenente alla cultivar femminello siracusano e ai suoi cloni, riferibili alla specie botanica Citrus x limon L. Burm. Il femminello siracusano è la cultivar più rappresentativa d'Italia e produce tre fioriture: il primofiore (da ottobre a marzo), il bianchetto (da aprile a giugno) e il verdello (da luglio a settembre).
Limone di Siracusa Italia 5.300
Citricos Valencianos Spagna 3.300
Limone Interdonato di Messina Italia 950
Limone di Sorrento Italia 400
Limone di Amalfi Italia 400
Limone Femminello del Gargano Italia 400
Citrinos do Algarve Portogallo 320

Limone di Rocca Imperiale Italia 200
individua le zone di produzione e le varietà da sottoporre a tutela;
svolge attività di vigilanza nella zona di origine e sui mercati per il corretto uso della denominazione “Limone di Siracusa IGP”;
realizza iniziative e campagne promozionali in Italia e all’estero, finalizzate alla diffusione della conoscenza e dell’immagine del prodotto e del marchio IGP.


La pianta del limone ha origini in Birmania, dove si trova allo stato selvatico: da qui ha attraversato il Medio Oriente, la Mesopotamia, la Palestina, fino al Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni ottimali per il suo sviluppo. L'habitat naturale del limone risiede nella fascia compresa tra il 40º parallelo a nord e il 40º parallelo a sud: questa fascia include la California, l'Uruguay, l'Argentina, il Sud Africa e il bacino del Mediterraneo, in particolare l'Italia, la Spagna, la Grecia e la Turchia. Nel Cinquecento e nel Seicento, durante il regime monopolistico baronale delle coltivazioni di agrumi, l'utilizzo dei limoni continuò a rimanere confinato nella preparazione di cibi di lusso.
Iniziò a essere coltivato in maniera intensiva nel siracusano a partire dal XVII secolo, grazie all'opera dei Padri Gesuiti, esperti coltivatori. Il limone divenne allora una delle principali fonti di sostentamento del territorio, raggiungendo nel 1891 una produzione di circa 11.600 tonnellate. Il successo di questa coltivazione provocò la nascita, in Sicilia, di diverse aziende agrumarie, che estraevano l'agro-cotto, il citrato di calcio e l'acido citrico dal succo. Negli stessi anni il limone di Siracusa conobbe una notevole fortuna sui mercati esteri, soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra, come confermano i dati della Camera di Commercio e Arti di Siracusadelle seconda metà dell'Ottocento. I dati riguardanti i movimenti del Porto di Siracusa dei primi del Novecento indicano, quali principali destinazioni estere di limoni, arance amare e dolci, agro di limone concentrato e citrato di calce, i porti di Trieste, Londra, Fiume, Liverpool, Glasgow, Manchester, Malta e Odessa.
A dispetto dei fenomeni di urbanizzazione e industrializzazione verificatisi a partire dal secondo dopoguerra, la coltura del limone è stata tutt'altro che abbandonata dal territorio siracusano, e rappresenta ancora oggi una importantissima realtà economica: Siracusa è considerata, in termini qualitativi e quantitativi, un punto di riferimento per il prodotto fresco sia sul mercato italiano sia sui mercati europei. Il 3 febbraio 2011 la denominazione “limone di Siracusa” è stata iscritta nel registro delle Indicazioni Geografiche Protette (IGP) – Regolamento (CE) n. 96/2011.
Caratteristiche del frutto
Il limone di Siracusa IGP è caratterizzato da un elevato contenuto in succo e dalla ricchezza di ghiandole oleifere nella buccia, oltre che per l'alta qualità degli oli essenziali. La varietà siracusana di limone è denominata femminello per via della notevole fertilità della pianta, rifiorente tutto l'anno: il primofiore matura da ottobre a marzo, ha forma ellittica, buccia e polpa di colore variabile dal verde chiaro al giallo-citrino, e succo giallo citrino; il bianchetto matura da aprile a giugno, si presenta ellittico-ovoidale, con buccia giallo chiaro, polpa gialla e succo giallo-citrino; il verdello matura fra luglio e settembre, ha forma ellittico-sferoidale e colore della buccia verde chiaro, mentre succo e polpa sono giallo-citrino.
Il sesto d'impianto deve avere una densità massima di 400-500 piante per ettaro o di 850 unità nel caso di sesti dinamici. Gli impianti possono essere condotti con metodo convenzionale, integrato oppure biologico. Tutte le operazioni colturali vanno eseguite in modo tale che si mantenga il giusto equilibrio e sviluppo della pianta, che deve sempre essere soggetta a una corretta aerazione ed esposizione al sole. La raccolta dei frutti è manuale ed è effettuata, direttamente dalla pianta, con l'ausilio di forbicine per il taglio del peduncolo.
Grazie alle sue caratteristiche qualitative, il limone di Siracusa è utilizzato anche in ambiti diversi dalla commercializzazione del frutto fresco; essi riguardano, in particolare, i settori alimentare, medico-scientifico, cosmetico e profumiero, che si approvvigionano di succhi e oli essenziali attraverso le aziende di trasformazione.
Capacità di produzione
L'attuale bacino di consumo del limone di Siracusa è prevalentemente rappresentato dal mercato italiano della Grande distribuzione organizzata, in particolare del nord Italia; l'export intra-UE è diretto ai mercati di Germania, Austria, Francia, Regno Unito, Danimarca; il principale mercato extra-UE è la Norvegia. Nel corso della campagna 2010/2011 sono entrati nei centri di confezionamento 13.157,26 quintali di limone di Siracusa e sono stati certificati come IGP 6.284,20 quintali. Il prodotto è immesso in commercio come "Limone di Siracusa IGP": può essere commercializzato sfuso oppure confezionato in idonei contenitori di cartone, legno, plastica oppure in reti e borse con banda plastica attaccata alla rete. Le categorie commerciali sono esclusivamente la Extra e la Prima.
Impieghi del prodotto
Il succo e la buccia del limone di Siracusa sono riconosciuti come pregiati e richiesti da aziende leader nel settore alimentare, come Polenghi e le gelaterie Grom. Gli oli essenziali sono molto richiesti nel mondo della cosmesi e dalle più importanti case profumiere del mondo, da Chanel a Dior, da Hermes a Dolce&Gabbana.
In campo medico, il limone di Siracusa è protagonista di uno studio clinico che intende dimostrare l'efficacia del succo di limone nella prevenzione della calcolosi renale nei soggetti predisposti alle forme recidivanti. Tradizionalmente, il citrato di potassio risulta essere l’unico farmaco in grado di ridurre la formazione dei calcoli renali, impedendo la precipitazione dei cristalli di ossalato di calcio, responsabili della formazione dei calcoli. Tuttavia, questo farmaco crea vari disturbi al paziente, e lo portano progressivamente ad abbandonare la cura. Il succo di tre o quattro limoni può fornire una quantità giornaliera di citrato paragonabile a quella che si ottiene con la somministrazione del farmaco, con il vantaggio di evitare gli effetti indesiderati di quest'ultimo. Lo studio, attualmente in corso presso l’unità di nefrologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo, è frutto di una collaborazione tra l’Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" e il Consorzio di tutela del limone di Siracusa.
Curiosità e folclore
La città di Siracusa celebra ogni anno, il 13 dicembre, la festività patronale di Santa Lucia con una lunga processione da Piazza del Duomo in Ortigia alla Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro. Otto giorni dopo, il 20 dicembre, la processione compie il percorso inverso. Il 13 dicembre, per tradizione, i grossi ceri agli angoli della statua vengono ricoperti da trionfi di fiori, mentre il 20 dicembre il simulacro di argento viene affiancato da ceri adornati da limoni e arance. Il dono delle primizie alla Santa siracusana, oltre al valore estetico, aveva un suo significato: rappresentava il percorso della processione dalla campagna verso la città, quando l'area di Piazza Santa Lucia alla Borgata rappresentava il confine a nord dell'urbanizzazione, e all'isola di Ortigia era riservata la definizione di "città".
Limoni (IGP) nell'Unione Europea
L’Italia ha una superficie investita a limone di 12.464 ettari. Il limone di Siracusa rappresenta il 42% della intera produzione nazionale con una superficie di 5.300 ettari, 150 mila tonnellate di prodotto, e circa 398.000 giornate lavorative annue. La zona di produzione comprende la fascia costiera di 10 comuni in provincia di Siracusa, in Sicilia: Augusta, Avola, Melilli, Noto e Siracusa, a cui si aggiunge parte del territorio interno, appartenente ai comuni di Floridia, Solarino, Priolo Gargallo, Rosolini e Sortino.
Queste le superfici dei limoni a Indicazione Geografica Protetta nell'Unione europea:
Varietà IGP Provenienza Superficie in ettari (Ha)
L'Unione europea vanta otto denominazioni (IGP) per il limone: sei di esse sono state ottenute dall'Italia, una dalla Spagna, una dal Portogallo. Oltre al limone di Siracus, le denominazioni italiane comprendono il limone di Sorrento, il limone Costa d’Amalfi, il limone Interdonato di Messina, il Femminello del Gargano, e il limone di Rocca Imperiale. Ka denominazione spagnola è il Citricos Valencianos, mentre in Portogallo è protetta la varietà Citrinos do Algarve.
Il Consorzio di Tutela

Il Consorzio di Tutela del Limone di Siracusa IGP è stato costituito il 13 luglio del 2000, non ha scopi di lucro e non esercita attività commerciali. Tra i suoi compiti principali, il Consorzio:

LIMONE ROCCA IMPERIALE


Nella zona di produzione del ‘Limone di Rocca Imperiale’ in quasi tutte le feste patronali, nelle fiere e in qualunque manifestazione folcloristica è usanza locale allestire i mercatini con i ‘Limoni di Rocca Imperiale’ in cesti o in composizioni particolari. 
A testimonianza della vitalità di una tradizione molto radicata nel territorio, nella prima quindicina di agosto si svolge la ‘Sagra dei Limoni di Rocca Imperiale’, che si tiene nella omonima località e che rappresenta da qualche anno la più rinomata occasione per la degustazione del prodotto. La presenza consolidata del prodotto nel territorio si riscontra anche dal suo impiego nella cucina tradizionale.
L'Indicazione Geografica Protetta ‘Limone di Rocca Imperiale’ è riservata ai frutti provenienti dalle cultivar del gruppo Femminello, appartenente alla specie botanica Citrus Limun Burm. Possono ottenere la denominazione IGP solo i limoni appartenenti alla categoria commerciale ‘Extra’ , ‘I’ e ‘II’. Le caratteristiche peculiari di questo frutto sono: resa in succo superiore al 30% e contenuto in limonene superiore al 70%, che insieme ad altri componenti aromatici conferisce ai frutti un profumo, forte ed intenso.

LIMONE SORRENTO


Limone di Sorrento è un prodotto ortofrutticolo italiano a Indicazione geografica protetta.
Questo frutto è un limone femminello, e si differenzia dai limoni della vicina costiera amalfitana per le diverse modalità di coltivazione e per proprietà organolettiche differenti (il limone di Amalfi appartiene inoltre ad una categoria diversa, lo sfusato). Viene coltivato sulla penisola sorrentina, in particolare nei comuni Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Sant'Agnello, Sorrento, Vico Equense, oltre che nell'isola di Capri, con i due comuni Capri ed Anacapri.
Il femminiello sorrentino, anche detto limone "Ovale di Sorrento" (in riferimento alla forma ovale del frutto) e "limone di Massa" (in riferimento ad un altro comune della penisola in cui viene coltivato), presenta dimensioni medio-grosse (ciascun limone non pesa meno di 85 grammi), una polpa di color giallo paglierino con un succo altamente acido (che lo differenzia dal moderatamente acido succo del limone amalfitano) ed è ricco di vitamina C. La buccia è di medio spessore ed è molto profumata per la ricca presenza in oli essenziali, ed è di colore giallo citrino.

Il Limone di Sorrento IGP presenta particolari tecniche di produzione, basate sulla coltivazione delle piante sotto le "pagliarelle", ossia stuoie di paglia appoggiate a pali di sostegno di legno per coprire le chiome degli alberi, allo scopo di proteggere gli alberi dal freddo e dal vento e per ritardarne la maturazione (anche questo aspetto è tipico della produzione riconosciuta come IGP).
Nella limonicoltura di tutta la Campania, quella sorrentina (che comprende anche l'isola di Capri) è la maggiore, anche rispetto a quella amalfitana: rappresenta infatti il 35% della superficie investita e il 40% del prodotto, ovvero circa 600 ettari e 130.000 quintali (sui 327.000 dell'intera regione).
Come nell'area amalfitana, i limoneti sorrentini sono spesso definiti "giardini di limoni".
Il femminiello sorrentino viene molto adoperato in cucina, per condire piatti tipici della penisola sorrentina: antipasti, primi piatti, contorni e secondi piatti, dolci (come il babà al limone), e persino il caffè di limone, più o meno come avviene nella costiera amalfitana con il suo tipico sfusato. E proprio come il limone amalfitano, quello sorrentino è molto adoperato anche per preparare il limoncello, liquore a base di limoni che nasce proprio tra le zone di Capri, Amalfi e Sorrento.
La presenza dei limoni nell'area sorrentina è certificata da documenti storici del 1500 d.C. ma antenati dell'attuale ovale sorrentino risalgono all'epoca dei romani: infatti negli scavi di Ercolano e Pompei sono stati rinvenuti numerosi dipinti che raffigurano limoni molto simili a quelli odierni di Sorrento sulle tavole degli antichi romani.

Bisogna però attendere il 1600 per avere la certezza della coltivazione di questi frutti in forma specializzata, come risulta dagli atti dei padri gesuiti della zona. Esiste ancora uno dei primi fondi coltivati, chiamato “Il Gesù” dai padri gesuiti locali, che è posto nella Conca di Guarazzanno cioè tra i comuni di Sorrento e Massa Lubrense: secondo molti storici è per questo motivo che il limone viene talvolta definito sorrentino e altre volte massese.

ORTAGGI A FRUTTO

Gli ortaggi a frutto fanno parte della categoria degli ortaggi, quindi prodotti vegetali che vengono coltivati in un appezzamento di terreno detto orto. Hanno la particolarità, rispetto a tutti gli altri ortaggi, di avere il frutto (pericarpo), dal punto di vista botanico, come unica parte della pianta commestibile; degli altri ortaggi, infatti, si possono consumare i semi, i fiori, le foglie, il fusto oppure le radici.
Nel mondo esistono moltissime varietà di ortaggi da frutto, ma quelli a noi più conosciuti e consumati appartengono principalmente a due categorie: le cucurbitacee, altra famiglia a cui appartengono alcuni ortaggi come il cetriolo, la zucca e la zucchina, e alcune piante considerate “frutta” come il melone e il cocomero e le solanacee, una famiglia di piante che comprende i pomodori, le melanzane, i peperoni di vario tipo e le patate (sebbene di quest’ultima pianta non si consumino i frutti, ma il tubero).
La differenza tra “frutta” e “frutto” è essenziale per capire la classificazione e la differenza tra frutta e verdura: il frutto è un organo della pianta, per la precisione l’ovaio che, una volta fecondato, è maturo ed ha scopo di protezione, nutrimento e diffusione per il seme. La maggior parte delle piante hanno un frutto, e questo può essere velenoso oppure commestibile. Tra i frutti commestibili si trovano quelli che appartengono alla categoria considerata “frutta”: questa classificazione è puramente di tipo culinario, e dipende dall’utilizzo che si fa di quel particolare frutto. In generale, se il consumo tradizionale di un frutto è legato al mangiarlo da solo, magari a fine pasto, oppure conservato in marmellate questo fa parte della categoria della frutta; se, invece, viene mangiato come accompagnamento ad altri piatti (contorno) viene considerato un ortaggio, nello specifico un ortaggio da frutto.
Tuttavia non esiste una linea di demarcazione netta tra la frutta e gli ortaggi a frutto; in Italia si fanno generalmente rientrare tra gli ortaggi a frutto i prodotti sopra citati, per distinguerli dalla frutta.
Il frutto
Botanicamente, il frutto è il prodotto della modificazione dell’ovaio a seguito della fecondazione dell’ovulo, custodito al suo interno. Le piante hanno, infatti, degli organi genitali maschili e degli organi genitali femminili, che si differenziano tra loro anche se le piante possono essere ermafrodite (cioè, una pianta può avere gli organi di entrambi i sessi).
Quando l’ovulo, il gamete femminile che si trova di solito dentro ad una particolare struttura chiamata fiore, che serve a raccogliere il gamete maschile detto polline, è stato fecondato, iniziano una serie di modificazioni della pianta che porteranno essenzialmente a due eventi: la crescita del seme, l’embrione della pianta, e la crescita del frutto intorno ad esso.
Il frutto ha essenzialmente tre funzioni molto importanti per il seme:
Nutrimento: non vale per tutti i frutti, ma per alcuni sì. Il frutto è una parte viva della pianta, e riceve costantemente nutrimento dalle parti che sono deputate a immagazzinarlo, come le radici che lo raccolgono dal terreno o le foglie, che lo producono per mezzo del processo di fotosintesi clorofilliana. Molti frutti nutrono direttamente i loro semi, perché sono molto più grandi dei semi stessi (pomodoro, melanzana) mentre per altri questo non succede (noce).
Protezione: il frutto si sviluppa intorno al seme, tranne casi molto particolari come quello della fragola (in cui i semi sono superficiali). Negli ortaggi da frutto, tuttavia, i semi sono sempre all’interno del frutto, e sono destinati a rimanere lì fin quando il frutto non sarà secco, perché i frutti sono indeiscenti, cioè non si aprono automaticamente alla fine del loro ciclo vitale (mentre altri frutti, come le cariossidi del grano, lo fanno). Questo significa che il frutto fornisce protezione al seme fin quando questo non sarà sviluppato e pronto per poter dare vita ad una nuova pianta. Alla fine del ciclo vitale, la polpa del frutto generalmente si svuota e, cadendo, la parte superficiale viene consumata dai microrganismi del terreno e così i semi, a contatto con la terra, danno origine alla nuova pianta.
Diffusione: l’ultima funzione del frutto è quella di favorire il più possibile il movimento dei semi, per evitare l’estinzione delle piante. Visto che le piante sono immobili, alcune di esse hanno sviluppato una particolare strategia evolutiva. I loro frutti non solo non sono velenosi, ma sono anche gradevoli al palato degli animali e dell’uomo. In natura, gli animali mangiano il frutto intero, senza rimuovere i semi (cosa che peraltro in alcuni frutti come il pomodoro è impossibile) e questi hanno la capacità di resistere all’acidità gastrica, riuscendo così a rimanere inalterati nell’apparato digerente. Finiranno così espulsi con le feci, che sono materiale organico utile per la crescita della nuova pianta, ma a quel punto saranno lontani dal luogo della pianta madre. In questo modo la pianta riesce a diffondersi.
Ogni pianta ha sviluppato delle particolarità relativamente ai propri frutti. Questi, infatti, non sono tutti uguali, ma tra uno e l’altro si possono trovare delle differenze.
Le tipologie di frutto più diffuse sono quattro:
Le drupe: sono frutti carnosi che hanno all’interno un solo seme molto duro. Alcuni esempi sono la pesca, l’albicocca, la susina, l’oliva, il caffè.
L’esperidio, una categoria particolare che riguarda solamente gli agrumi (arancia, limone) e la loro suddivisione a spicchi.
• I pomi, o falsi frutti: sono quelli della mela e della pera, il cui frutto è quello che comunemente si chiama “torsolo”, mentre la parte che si mangia è un ulteriore strato esterno rispetto al frutto.
Le bacche, composte da un solo ovaio, quindi un solo frutto, con numerosi ovociti fecondati, quindi semi, all’interno. Tutti gli ortaggi a frutto appartengono a questa categoria, e alcuni hanno un tipo di bacca particolare; la bacca delle zucchine, zucche e cetrioli prende il nome di peponide.
Infine, ogni frutto è composto da tre strati differenti, che sono i seguenti:
L’esocarpo, lo strato protettivo esterno del frutto, e che di solito si può staccare. Nel linguaggio comune si chiama “buccia”.
Il mesocarpo, che è la parete dell’ovaio maturato, e generalmente è la parte commestibile. Nel linguaggio comune viene chiamato “polpa”. 

L’endocarpo, che è un rivestimento molto duro in alcuni frutti che racchiude il seme vero e proprio, è invisibile (ad occhio nudo) in altri. Nei frutti come la pesca l’endocarpo è chiamato “nocciolo”, e racchiude il seme (che nel caso della pesca si definisce “mandorla amara”); in altri frutti, come il pomodoro, è una piccola e impercettibile membrana che avvolge il seme, e si mangia con il mesocarpo.

martedì 1 febbraio 2022

BAGNET VERD

Un mazzetto di prezzemolo
2 acciughe salate e pulite
2 spicchi di aglio
1 tuorlo d'uovo sodo
1 hg di mollica di pane raffermo
1 bicchiere di aceto di vino
1dl di olio evo
sale
In un frullatore, o in un mortaio, triturate gli spicchi di aglio, quindi aggiungete il prezzemolo lavato e privato dei gambi e frullate tutto insieme alle acciughe e al tuorlo d'uovo sodo. Ammorbidite il pane nell’aceto di vino. Quando sarà ben ammorbidito, lasciatelo sgocciolare un po’ senza strizzarlo troppo e aggiungetelo al prezzemolo tritato.Alla fine aggiungete l’olio a filo e il sale fino ad ottenere la consistenza desiderata. Se dovete conservare la salsa verde a lungo mettetela in un barattolo e fate in modo che l’olio copra tutta la salsa.
Il Bagnet Verd è una tipica salsa piemontese a base di prezzemolo e acciughe. E' anche nella cucina di altre regioni italiane con delle piccole differenze. Spesso servita con il bollito o sui tomini oppure su altre pietanze. Per prepararla ci vogliono: prezzemolo, acciughe, mollica di pane, aglio, olio di oliva, aceto di vino, tuorlo d'uovo (non necessario), sale e pepe.Il nome deriva dall'ingrediente principale, cioè il prezzemolo.