CONOSCERE GLI ORTAGGI A FIORE
L’ortica (Urtica dioica) è una pianta erbacea perenne dioica, nativa dell'Europa, dell'Asia, del Nord Africa e del Nord America, ed è la più conosciuta e diffusa del genere Urtica. Possiede peli che, quando si rompono, rilasciano un fluido che causa bruciore e prurito. La pianta è nota per le sue proprietà medicinali, per la preparazione di pietanze e, nel passato, per il suo esteso uso nel campo tessile.
Le ortiche sono usate in cucina dai tempi dei Greci e dei Romani in tutta Europa, e costituiscono ancor oggi un alimento diffuso nelle aree rurali. I germogli e le foglie ancora tenere si raccolgono in primavera, prima della fioritura. La cottura distrugge i peli urticanti.
L'ortica contiene una quantità significante di minerali, come calcio, ferro e potassio, vitamine (vitamina A, vitamina C), proteine e amminoacidi, che ne fanno un alimento ad alto valore nutritivo, adatto ad esempio a diete vegetariane. I valori nutrizionali variano a seconda del periodo di raccolta e diminuiscono con la preparazione e la cottura. Le foglie e i germogli si usano nei risotti, nelle tagliatelle verdi, nei tortelli (nella sfoglia e/o nel ripieno), nei minestroni, nelle zuppe, nelle frittate, nelle torte salate e nelle frittelle.



La malva (malva sylvestris) è una pianta appartenente alla famiglia delle Malvaceae. Il nome deriva dal latino malva ed ha il significato di molle, perché dai tempi più antichi se ne riconoscono le proprietà emollienti.
I principi attivi si trovano nei fiori e nelle foglie che sono ricchi di mucillagini; contiene anche potassio, ossalato di calcio, vitamine e pectina. In cucina si usano i germogli, i fiori freschi o le foglioline. Utilizzata come verdura può regolare le funzioni intestinali grazie alle mucillagini che si gonfiano e premono delicatamente sulle pareti dell'intestino, stimolandone la contrazione e quindi agevolandone lo svuotamento. In erboristeria se ne commerciano sia le foglie che i fiori e viene utilizzata prevalentemente per le proprietà antiinfiammatorie ed emollienti, sia per uso esterno che per uso interno. La pianta trova largo uso nelle infiammazioni delle mucose e nelle forme catarrali delle prime vie bronchiali, viene utilizzata anche come lassativa, antiflogistica, emolliente e oftalmica. Per tali usi le foglie di malva vengono preparate in decotto, affinché le mucillagini possano sciogliersi nell'acqua.
È pianta visitata dalle api per il polline ed il nettare.
La borragine (Borago officinalis, L.) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Boraginaceae.
La pianta è probabilmente originaria dell'Oriente, ed è diffusa in gran parte dell'Europa e nell'America centrale, dove cresce tuttora in forma spontanea fino ai 1000 m s.l.m.. Viene coltivata in tutte le regioni temperate del globo. Il nome deriva dal latino borra (tessuto di lana ruvida), per la peluria che ricopre le foglie. Altri lo fanno derivare dall'arabo abu araq (= padre del sudore), attraverso il latino medievale borrago, forse per le proprietà sudorifere della pianta.
Pianta erbacea, spesso coltivata come annuale, può raggiungere l'altezza di 80 cm. Ha foglie ovali ellittiche, picciolate, che presentano una ruvida peluria, verdi-scure raccolte a rosetta basale lunghe 10-15 cm e poi di minori dimensioni sullo stelo. I fiori presentano cinque petali, disposti a stella, di colore blu-viola, al centro sono visibili le antere derivanti dall'unione dei 5 stami. I fiori sono sommitali, raccolti in gruppo, penduli in piena fioritura e di breve durata. Hanno lunghi pedicelli. I frutti sono degli acheni che contengono al loro interno diversi semi di piccole dimensioni.
Le foglie giovani sono variamente impiegate in cucina.
L'uso tradizionale è allo stato cotto delle foglie, che vengono utilizzate in molti piatti regionali per minestroni, ripieni per ravioli e pansoti in Liguria, torte e frittate. Tipico è il consumo in frittelle dei fiori e delle foglie (passate in pastella e poi fritte). La cottura elimina la peluria che copre le foglie. In moderata quantità le foglie giovani sono state usate crude in insalata e sono usati episodicamente in egual modo anche i fiori.
I fiori azzurri sono usati per colorare e guarnire i piatti e per colorare l'aceto; congelati in cubetti possono costituire decorazione per le bevande estive.

Pianta erbacea, spesso coltivata come annuale, può raggiungere l'altezza di 80 cm. Ha foglie ovali ellittiche, picciolate, che presentano una ruvida peluria, verdi-scure raccolte a rosetta basale lunghe 10-15 cm e poi di minori dimensioni sullo stelo. I fiori presentano cinque petali, disposti a stella, di colore blu-viola, al centro sono visibili le antere derivanti dall'unione dei 5 stami. I fiori sono sommitali, raccolti in gruppo, penduli in piena fioritura e di breve durata. Hanno lunghi pedicelli. I frutti sono degli acheni che contengono al loro interno diversi semi di piccole dimensioni.
Le foglie giovani sono variamente impiegate in cucina.
L'uso tradizionale è allo stato cotto delle foglie, che vengono utilizzate in molti piatti regionali per minestroni, ripieni per ravioli e pansoti in Liguria, torte e frittate. Tipico è il consumo in frittelle dei fiori e delle foglie (passate in pastella e poi fritte). La cottura elimina la peluria che copre le foglie. In moderata quantità le foglie giovani sono state usate crude in insalata e sono usati episodicamente in egual modo anche i fiori.
I fiori azzurri sono usati per colorare e guarnire i piatti e per colorare l'aceto; congelati in cubetti possono costituire decorazione per le bevande estive.

La bardana maggiore (Arctium lappa) è una pianta erbacea, eretta e biennale, appartenente alla famiglia delle Asteraceae.
È molto comune lungo i fossati ma anche in montagna a quote basse. Fiorisce in estate, si raccoglie e si usa la radice, lo stelo fiorale, i piccioli e le foglie. Una volta raccolta la radice è buona norma spargere tutt’intorno alla zona i semi (staccandoli dalla pianta). La radice è grossa nelle piante di 2-3 anni mentre nelle piante più piccine è bene raccogliere solo le foglie e i piccioli in quanto la radice che troveremmo sarebbe davvero troppo piccina. La radice va cotta a lungo magari a vapore e quindi condita con del semplice olio evo. Lo stelo fiorale (prima della fioritura) va pulito dalle foglie e dalla parte fibrosa esterna e quindi va cotto anch’esso. Infine i piccioli possono essere cotti e fritti con della semplice pastella di farina di ceci e birra ghiacciata. Il suo sapore ricorda molto il carciofo.
Per utilizzi alimentari si usano (le parti eduli) foglie, le radici e i semi. L'Oriente (fino in Giappone dove è divenuto un ortaggio popolare col nome di gobo) ha una ricca tradizione di ricette alimentari con questa pianta. Possono essere mangiati anche i gambi crudi in insalata (ma prima vanno privati della corteccia esterna e comunque devono essere prelevati da una pianta giovane). la bardana è tra le erbe alimurgiche.


La camomilla (Matricaria chamomilla L.) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Asteraceae.
Il nome deriva dal greco χαμαίμηλον (chamàimēlon), parola formata da χαμαί (chamài), "del terreno" + μήλον (mēlon), "mela" per l'odore che somiglia a quello della mela Renetta; questa derivazione è conservata nel nome spagnolo "manzanilla", da manzana, che significa "mela". Il nome del genere, Matricaria, proviene dal latino matrix, matricis, che significa "utero", con riferimento al potere calmante nei disturbi mestruali.
La pianta ha radici a fittone e un portamento cespitoso, con più fusti che partono dalla base, più o meno ramificati nella porzione superiore. L'altezza non supera in genere i 50 cm nelle forme spontanee, mentre nelle varietà coltivate può arrivare agli 80 cm. La pianta è spiccatamente aromatica.
Le foglie sono alterne e sessili, oblunghe. La lamina è bipennatosetta o tripennatosetta, con lacinie lineari molto strette.
I fiori sono riuniti in piccoli capolini con ricettacolo conico e cavo. I fiori esterni hanno la ligula bianca, quelli interni sono tubulosi con corolla gialla. I capolini di diametro di 1–2 cm, sono riuniti in cime corimbose. Tali fiori hanno un odore aromatico gradevole e contengono un'essenza caratteristica costituita dal principio attivo azulene, e da una mescolanza di altre sostanze (acido salicilico, acido oleico, acido stearico, alfa-bisabololo).
Il frutto è una cipsela di circa 1 mm di lunghezza, di colore chiaro, privo di pappo.
La specie è diffusa in Europa ed in Asia ed è naturalizzata anche in altri continenti. Cresce spontaneamente nei prati ed in aperta campagna, non oltre gli 800 m, diventa spesso invadente comportandosi come pianta infestante delle colture agrarie.
È una specie rustica che si adatta anche a terreni poveri, moderatamente salini, acidi. Il ciclo di vegetazione è primaverile-estivo, con fioritura in tarda primavera e nel corso dell'estate.
Da questi fiori si producono infusi che notoriamente vengono utilizzati per i loro effetti blandamente sedativi. Oltre che alla somministrazione orale, è possibile ricorrere all'uso di preparati di camomilla anche per nebulizzazioni, linimenti anti-stress, impacchi, colliri e collutori (questi ultimi anche assieme alla malva).
La camomilla è dotata di buone proprietà anti-infiammatorie, locali ed interne, e costituisce un rimedio calmante tipico dei fenomeni nevralgici (sciatica, trigemino lombaggine e torcicollo). Questo grazie a certi componenti dell'olio essenziale (alfa-bisabololo, guaiazulene, camazulene e farnesene), ad una componente flavonoide (soprattutto apigenina, quercetina, apiina e luteolina) ed ai lattoni matricina e des-acetil-matricarina. Il suo potere antiflogistico a parità di principio attivo (in peso) è stato comparato a quello del cortisone. Altri flavonoidi presenti (eupatuletina, quercimetrina) e le cumarine sono responsabili delle proprietà digestive e spasmolitiche. Queste combinazioni di principi attivi ne fanno un buon risolvente nella dismenorrea, nei crampi intestinali dei soggetti nervosi, negli spasmi muscolari e nei reumatismi. Le tisane ottenute con questa pianta inoltre provocano l'espulsione di gas intestinali in eccesso.
Sono infine note le proprietà nutrizionali della camomilla rispetto ai capelli e rispetto al cuoio capelluto; si utilizza anche per schiarire i capelli biondi che con il tempo tendono al castano: per questi scopi si deve preparare un infuso di fiori di camomilla, lasciarlo raffreddare, filtrarlo e poi utilizzarlo regolarmente dopo lo shampoo, per almeno una o due volte a settimana.
La pianta ha radici a fittone e un portamento cespitoso, con più fusti che partono dalla base, più o meno ramificati nella porzione superiore. L'altezza non supera in genere i 50 cm nelle forme spontanee, mentre nelle varietà coltivate può arrivare agli 80 cm. La pianta è spiccatamente aromatica.
Le foglie sono alterne e sessili, oblunghe. La lamina è bipennatosetta o tripennatosetta, con lacinie lineari molto strette.
I fiori sono riuniti in piccoli capolini con ricettacolo conico e cavo. I fiori esterni hanno la ligula bianca, quelli interni sono tubulosi con corolla gialla. I capolini di diametro di 1–2 cm, sono riuniti in cime corimbose. Tali fiori hanno un odore aromatico gradevole e contengono un'essenza caratteristica costituita dal principio attivo azulene, e da una mescolanza di altre sostanze (acido salicilico, acido oleico, acido stearico, alfa-bisabololo).
Il frutto è una cipsela di circa 1 mm di lunghezza, di colore chiaro, privo di pappo.
La specie è diffusa in Europa ed in Asia ed è naturalizzata anche in altri continenti. Cresce spontaneamente nei prati ed in aperta campagna, non oltre gli 800 m, diventa spesso invadente comportandosi come pianta infestante delle colture agrarie.
È una specie rustica che si adatta anche a terreni poveri, moderatamente salini, acidi. Il ciclo di vegetazione è primaverile-estivo, con fioritura in tarda primavera e nel corso dell'estate.
Da questi fiori si producono infusi che notoriamente vengono utilizzati per i loro effetti blandamente sedativi. Oltre che alla somministrazione orale, è possibile ricorrere all'uso di preparati di camomilla anche per nebulizzazioni, linimenti anti-stress, impacchi, colliri e collutori (questi ultimi anche assieme alla malva).
La camomilla è dotata di buone proprietà anti-infiammatorie, locali ed interne, e costituisce un rimedio calmante tipico dei fenomeni nevralgici (sciatica, trigemino lombaggine e torcicollo). Questo grazie a certi componenti dell'olio essenziale (alfa-bisabololo, guaiazulene, camazulene e farnesene), ad una componente flavonoide (soprattutto apigenina, quercetina, apiina e luteolina) ed ai lattoni matricina e des-acetil-matricarina. Il suo potere antiflogistico a parità di principio attivo (in peso) è stato comparato a quello del cortisone. Altri flavonoidi presenti (eupatuletina, quercimetrina) e le cumarine sono responsabili delle proprietà digestive e spasmolitiche. Queste combinazioni di principi attivi ne fanno un buon risolvente nella dismenorrea, nei crampi intestinali dei soggetti nervosi, negli spasmi muscolari e nei reumatismi. Le tisane ottenute con questa pianta inoltre provocano l'espulsione di gas intestinali in eccesso.
Sono infine note le proprietà nutrizionali della camomilla rispetto ai capelli e rispetto al cuoio capelluto; si utilizza anche per schiarire i capelli biondi che con il tempo tendono al castano: per questi scopi si deve preparare un infuso di fiori di camomilla, lasciarlo raffreddare, filtrarlo e poi utilizzarlo regolarmente dopo lo shampoo, per almeno una o due volte a settimana.
I cavoli fanno parte della famiglia della Brassicacee o Crucifere. Si tratta di una famiglia composta da tante piante che condividono caratteristiche simili: una delle più evidenti è il fatto di avere i fiori composti da quattro petali e non da cinque, come accade solitamente; la disposizione “a croce” da appunto il nome di Crucifere alla famiglia.
Una volta che il fiore è stato impollinato si sviluppa il frutto, che è detto siliqua. Negli ortaggi a fiore non lo si vede praticamente mai perché, appunto, si consumano quando sono ancora allo stato di fiore, ma in altre piante sono ben evidenti. Una delle silique più famose è quella della senape, che fa parte di questa famiglia ed ha la forma di un grande baccello (anche se non lo è) che contiene i semi.
Tra l’altro, fanno parte di questa famiglia alcune piante come la rucola, di cui si consumano le foglie.
I cavoli appartengono tutti alla stessa specie, anche se tra loro ci sono differenze particolarmente evidenti. Il genere è Brassica oleracea, e comprende praticamente tutte le specie di cavolo più conosciute. Tra le varietà di cavolo si possono distinguere:• Il cavolfiore, var. Botrytis, il più importante, propriamente, tra gli ortaggi a fiore;
• Il cavolo broccolo, var. Italica, è l’altro tipo di cavolo di cui si consuma il fiore e non le foglie o il fusto, a differenza di altre specie trattate di seguito. Le piccole infiorescenze definite “broccoli” fanno in realtà parte di una grande palla simile a quelladel cavolfiore, ma vengono solitamente separate prima della vendita.
• Il cavolo cappuccio, var. Capitata, molto consumato in Italia. Si caratterizza per le sue foglie lisce, che rappresentano la parte edule della pianta a differenza del cavolfiore, e si consuma generalmente crudo. Se viene fatto fermentare è utilizzato per una delle preparazioni più famose a base di cavolo, i crauti.
• Il cavolo verza, var. Sabauda. Molto simile al cavolo cappuccio, la differenza principale è rappresentata dalle foglie, che sono increspate e riunite in una palla molto compatta; anche in questo caso si consumano proprio le foglie.
• Il cavolo di Bruxelles, var. Gemmifera. Poco coltivato in Italia per motivi climatici, in realtà non è un fiore né una foglia, ma un germoglio che cresce sotto le foglie principali del cavolo. Per questo, a differenza delle altre piante da cui si raccoglie un solo cavolo, da questa pianta se ne raccolgono 25-30.
• Il cavolo rapa, var. Gongylodes. È diverso da tutti gli altri cavoli in relazione alla parte che si mangia; in modo simile ad una cipolla, infatti, di questo cavolo si mangia il fusto, che ha una forte escrescenza alla base che viene mangiata cruda o cotta. Non vengono invece consumate le foglie o il fiore.
• Il cavolo nero, var. Acephala sabellica. Di color verde scuro e dalle foglie molto rugose. Si consumano così solo le foglie, utilizzate nella preparazione di piatti tipici toscani come la “ribollita”.
• Il cavolo di Pechino, var. Pekinensis, poco diffuso in Italia ma simile ai cavoli Cappuccio e Verza, solo di forma molto più allungata. La parte edule sono le foglie.
Il cavolfiore (Brassica oleracea L. var. botrytis) è una varietà di Brassica oleracea. Il cavolfiore è caratterizzato da un'infiorescenza, detta testa o palla, costituita da numerosi peduncoli fiorali, molto ingrossati e variamente costipati. L'infiorescenza, che può assumere una varia colorazione (bianca, paglierina, verde, violetta) costituisce la parte commestibile dell'ortaggio.
Il cavolfiore ha numerose varietà, che vengono distinte in base all'epoca di maturazione, per cui vi sono varietà precocissime (raccolte ad ottobre), precoci (raccolte a novembre-dicembre), invernali (raccolte a gennaio-febbraio) e tardive (raccolte da marzo a maggio).
Il cavolfiore preferisce terreni freschi, profondi, di medio impasto. La semina avviene in semenzaio tra maggio e luglio; per le produzioni primaverili avviene a gennaio. Il trapianto in campo delle piantine viene effettuato 40-50 giorni dopo la semina. Prima del trapianto, il terreno viene preparato con un'aratura, con cui si esegue anche la concimazione, preferibilmente organica. I lavori successivi al trapianto consistono in una o due sarchiature. L'irrigazione è praticata dopo il trapianto (a luglio-agosto) e durante la crescita dell'infiorescenza se si verifica siccità. La raccolta viene effettuata tagliando il torsolo alla base.
Le malattie da funghi che colpiscono più frequentemente il cavolfiore sono l'oidio (causato da Erysiphe cruciferarum), la peronospora (causata da Peronospora brassicae), l'alternariosi (causata da Alternaria brassicae), l'ernia delle crucifere (causata da Plasmodiophora brassicae), il marciume secco delle crucifere (causato da Phoma lingam). Tra gli insetti, i parassiti più importanti sono: l'afide ceroso del cavolo (Brevicoryne brassicae), la mosca del cavolo (Delia radicum) e due lepidotteri, la cavolaia (Pieris brassicae) e la nottua del cavolo (Mamestra brassicae).
In cucina il cavolfiore può essere consumato bollito, fritto, arrostito o cotto al vapore. Può essere usato come contorno o anche come piatto principale, nella preparazione di zuppe di verdura.

Il cavolfiore e i broccoli sono due ortaggi molto simili tra loro. Sono tra le crucifere più coltivate in Italia, e la loro coltivazione è iniziata in Toscana, anche se conosciuti fin dai tempi dell’antica Roma.
In cucina il cavolfiore può essere consumato bollito, fritto, arrostito o cotto al vapore. Può essere usato come contorno o anche come piatto principale, nella preparazione di zuppe di verdura.

Il cavolfiore e i broccoli sono due ortaggi molto simili tra loro. Sono tra le crucifere più coltivate in Italia, e la loro coltivazione è iniziata in Toscana, anche se conosciuti fin dai tempi dell’antica Roma.
La parte commestibile è data dall’inflorescenza, che può essere di vari colori secondo le varietà, ed è sempre molto compatta. Nel cavolfiore classico è di colore bianco, mentre in altre varietà locali, come quella romanesca, è di colore verde; in altre ancora è di colore viola acceso. Il broccolo, molto simile al cavolfiore, ha un’inflorescenza di colore verde scuro. Le infiorescenze sono circondate da una decina di foglie, che si sviluppano direttamente dal fusto della pianta.
Ogni piccola escrescenza del cavolo è il germoglio di un fiore, anche se quelli che si trovano più in basso sono sterili, mentre solo quelli più in alto sono fertili; se la “palla” del cavolo non viene raccolta quando i fiori non sono ancora sbocciati, quindi quando normalmente si consuma, questa si allungherà, i germogli che si trovano più in alto sbocceranno e si avranno dei fiori gialli, che danno poi origine, quando saranno stati impollinati (l’impollinazione avviene ad opera degli insetti) al frutto, la siliqua, con numerosi semi di diametro 1-2,5 mm . Questo processo è praticamente identico sia nel cavolo che nel broccolo.
La raccolta dipende essenzialmente dalle varietà, ma essendo una coltura invernale i cavoli, delle diverse tipologie, si trovano freschi da ottobre fino a maggio, che è il periodo che arriva alla fioritura e poi alla successiva semina. Anche in uno stesso campo, i cavoli non maturano tutti insieme ma lo fanno gradualmente, e questo fa sì che siano richieste da 3 a 6 raccolte diverse per raccogliere tutte le piante.
Alcune varietà di cavolo in passato potevano avere delle infiorescenze del peso di anche cinque chili, mentre quelle che vengono coltivate oggi, soprattutto per via della rapidità di crescita, non arrivano oltre il chilo e mezzo di peso. Le foglie che circondano l’infiorescenza si possono essere lasciare, al momento della raccolta, oppure tolte. A seconda di quante ne vengono rimosse il cavolo può essere:
• Affogliato, in cui rimangono praticamente tutte le foglie a copertura dell’infiorescenza;
• Coronato, in cui vengono eliminate solo le foglie più esterne lasciando scoperta la parte superiore della “palla”;
• Defogliato, quando sono rimosse quasi tutte le foglie esterne lasciando in gran parte scoperta la palla; è la forma più comune con cui si trova in commercio;
• Nudo, quando tutte le foglie sono eliminate e il cavolo viene avvolto nella plastica.
I broccoli, che sono singole parti di una grande inflorescenza, sono sempre presentati come nudi.
Da notare che l’infiorescenza del cavolfiore è molto deperibile, e l’appassimento è particolarmente rapido; in un frigorifero casalingo non si conserva per più di cinque giorni e, se non conservato, deve essere consumato poco dopo l’acquisto.
Impiego in cucina
Le diverse varietà di cavoli hanno numerosi impieghi in cucina. Sono molto usati nella cucina italiana, e anche in quella europea, sia crudi che cotti. Per ciascuna varietà esistono ricette e utilizzi particolari.
Il cavolo è pianta alimentare, ma ha modesto contenuto nutrizionale, con modeste quantità di glucidi ed ancor meno di proteine. Per i composti minerali, e microelementi presenti in ampia varietà, è però molto utile per ricostituire le riserve minerali dell'organismo. Per l'elevato contenuto in fibre e per la presenza di parte cellulare vegetale ha elevato potere saziante, (pur non essendo cibo equilibrato), se unito, come è tradizione, con legumi, o carboidrati (pane o pasta).
Per i suoi effetti di ricostruzione vitaminica, rimineralizzante, e soprattutto promotrice il movimento intestinale svolge azione preventiva di molti tumori (soprattutto intestinali), e costituendo massa diluente e tampone chimico, combatte le ulcere gastro duodenali. Per la netta azione osmotica delle foglie fresche, queste sono usate per disinfiammare le contusioni.
I più importanti composti minerali contenuti sono zolfo, calcio, fosforo, rame, iodio, selenio, magnesio. Tutti i cavoli (soprattutto se freschi) sono ricchi di vitamine, soprattutto vitamina B1, e vitamina C.
I più importanti composti minerali contenuti sono zolfo, calcio, fosforo, rame, iodio, selenio, magnesio. Tutti i cavoli (soprattutto se freschi) sono ricchi di vitamine, soprattutto vitamina B1, e vitamina C.
C'è un antico proverbio che dice “i cavoli sono sempre in mezzo”.
Quasi tutte le crucifere, (famiglia a cui appartiene anche il cavolo), hanno mostrato una straordinaria capacità di raccogliere, e fissare nei propri tessuti, i minerali contenuti nel suolo, spesso essenziali per l'alimentazione umana, ma anche metalli pesanti, che spesso sono tossici, quali cromo, piombo, arsenico, cadmio.
Per tale uso sono state usate coltivazioni di altre piante di tale famiglia su suoli inquinati da tali metalli, per depurarli; i metalli pesanti sono poi estratti e concentrati.
Per tale uso sono state usate coltivazioni di altre piante di tale famiglia su suoli inquinati da tali metalli, per depurarli; i metalli pesanti sono poi estratti e concentrati.
Coltivando piante di cavolo a scopo alimentare è bene assicurarsi che i suoli non siano inquinati da tali metalli.
Perché i cavoli puzzano
Quando vengono cotti, tutti i cavoli emanano un cattivo odore perché sono ricchi di composti di zolfo, che vengono liberati dalla cottura.
I solfuri, in gran parte isotiocianato di metile, svaniscono al 90% dopo 8 minuti di cottura, e l'estrazione è totale dopo 16 minuti.
Tuttavia tutti i cavoli contengono anche sostanze nutrizionalmente molto utili, che sembra abbiano addirittura una funzione di prevenzione del cancro e che si disperdono con la cottura. Per tale motivo, i ricercatori suggeriscono di cuocerli nella pentola a pressione, in modo da ridurre sia il tempo di cottura e la perdita di tali sostanze, sia la diffusione di cattivi odori.
E molto utile, nei casi in cui è possibile, ad esempio in insalata e nei crauti, usare come cibo anche i cavoli non cotti, dato che contengono in condizione non modificata sostanze utili (anche composti dello zolfo), e vitamine, infatti alcune vitamine (come la vitamina C), si degradano con la cottura.
Il cavolo e le colonizzazioni
Con la scoperta dell'America iniziò l'epoca dei viaggi navali su lunghe distanze, tale fatto pose una drammatica questione: come contrastare lo scorbuto. Con la navigazione costiera, la assenza da terra ricorreva solo per pochi giorni, ed il cibo fresco durava abbastanza bene per tale periodo, non si erano mai verificati casi di malattia particolari.
Invece navigando per lunghi periodi senza toccare terra, e senza cibi freschi, si mostrarono subito, nei marinai, gravissimi problemi di tipo organico, nervoso, gastrico, rivelatesi poi come "carenza di vitamina C", (le scorte di vitamina dell'organismo, se non ri-alimentate si esauriscono piuttosto rapidamente). Si notò che tali sintomi, che portavano alla morte certa, erano scongiurati se nella dieta erano presenti agrumi, ma soprattutto cavoli, (reperibili con facilità anche nei paesi nordici).
Ben presto tutte le navi oceaniche ebbero a bordo una grossa scorta di cavoli freschi, che permetteva, grazie a quella verdura fresca, ricca di vitamina C (la vitamina C si degrada con la cottura), di poter fare viaggi di molte settimane senza toccare terra. Nella soste a terra, in qualsiasi posto del mondo, erano poi ricercati i cavoli, (o piante analoghe della stessa famiglia), o agrumi, secondo la latitudine) per ricostruire le scorte. Grazie ai cavoli ed agli agrumi la colonizzazione giunse rapidamente in ogni angolo del mondo.

Il cavolo cappuccio (Brassica oleracea L. var. capitata) è una varietà di Brassica oleracea. Ha la caratteristica di avere le foglie esterne lisce, concave e serrate, che racchiudono le foglie più giovani in modo da formare una palla compatta detta "testa" o "cappuccio".
In base all'epoca di maturazione, si possono avere varietà primaverili, estivo-autunnali o invernali; le primaverili si possono definire precoci, le invernali tardive.
Tra le varietà primaverili si possono ricordare il Cuore di bue e l' Expert precocissimo, tra le estivo-autunnali il Mercato di Copenhagen e il Green boy, tra le invernali il Bianco olandese tardivo e il Brunswich.
La semina viene eseguita in semenzaio e il trapianto in pieno campo viene effettuato dopo un paio di mesi. Per le varietà destinate alla produzione di crauti, si può eseguire la semina diretta nel terreno. Le varietà primaverili vengono seminate a settembre, le varietà estive e autunnali sono seminate tra marzo e maggio e le varietà invernali vengono seminate a maggio-giugno.
Prima della semina, il terreno deve essere preparato con una lavorazione profonda. Dopo il trapianto, vengono praticati durante la coltivazione lavori di sarchiatura. L'irrigazione è indispensabile per le varietà estive e autunnali.
La raccolta avviene quando il cappuccio è compatto e ben chiuso. In genere, le varietà primaverili sono raccolte a maggio, le estivo-autunnali tra giugno e ottobre e le invernali durante tutto l'inverno.
Le malattie da funghi che colpiscono più frequentemente il cavolo cappuccio sono l'oidio (causato da Erysiphe cruciferarum), la peronospora (causata da Peronospora brassicae), l'alternariosi (causata da Alternaria brassicae), l'ernia delle crucifere (causata da Plasmodiophora brassicae), il marciume secco delle crucifere (causato da Phoma lingam). Tra gli insetti, i parassiti più importanti sono: l'afide ceroso del cavolo Brevicoryne brassicae, la mosca del cavolo (Delia radicum) e due lepidotteri, la cavolaia (Pieris brassicae) e la nottua del cavolo (Mamestra brassicae).
In cucina il cavolo cappuccio si può consumare crudo in insalata oppure cotto al vapore, bollito (per la preparazione di zuppe) o al forno. Si può anche fare fermentare per la preparazione dei crauti.

Il carciofo è una pianta erbacea perenne alta fino a
Le foglie presentano uno spiccato polimorfismo anche nell'ambito della stessa pianta (eterofillia). Sono grandi (fino a circa
I fiori sono riuniti in un capolino (detto anche calatide) di forma sferoidale, conica o cilindrica e di 5–15 cm di diametro, con un ricettacolo carnoso e concavo nella parte superiore. Sul ricettacolo sono inseriti i fiori (flosculi), tutti con corolla tubulosa e azzurro-violacea e calice trasformato in un pappo setoloso, utile alla dispersione degli acheni tramite il vento (disseminazione anemocora). Nel capolino immaturo l'infiorescenza vera e propria è protetta da una serie di brattee involucrali strettamente embricate, con apice inerme, mucronato o spinoso, a seconda della varietà. Fiori e setole sono ridotti ad una corta peluria che si sviluppa con il procedere della fioritura. In piena fioritura le brattee divergono e lasciano emergere i fiori. La parte edule del carciofo è rappresentata dalla base delle brattee e dal ricettacolo, quest'ultimo comunemente chiamato cuore. In Sardegna è molto richiesta anche la parte terminale dello scapo fiorale dalla terzultima o penultima foglia.
Il frutto è un achenio (spesso chiamato erroneamente "seme") allungato e di sezione quadrangolare, provvisto di pappo. Il colore varia dal marrone più o meno scuro al grigio con marmorizzazioni brune.
ll genoma di carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus L.) è stato recentemente decodificato. L'assemblaggio copre 725 delle 1.084 Mb che costituiscono il genoma della specie. La sequenza codifica per circa 27.000 geni ed ha un contenuto di elementi ripetuti pari al 58,4%, la cui espansione si stima sia avvenuta circa 2,5 milioni di anni fa. La comprensione della struttura del genoma del carciofo è fondamentale per identificare le basi genetiche di caratteri di interesse agronomico e la futura applicazione di programmi di selezione assistita.
In questa specie sono stati identificati, con l'ausilio di marcatori molecolari (AFLP, microsatelliti e transposon display), tre differenti taxa: C. cardunculus L. var. sylvestris Lam. (cardo o carciofo selvatico) abbondantemente diffusa allo stato spontaneo nel bacino del mediterraneo centro-occidentale; C. cardunculus L. var. altilis DC. (cardo coltivato o cardo domestico); C. cardunculus L. var. scolymus (L.) Fiori (carciofo).
Varietà
Le varietà di carciofo sono classificate secondo diversi criteri. I principali sono i seguenti:
In base alla presenza e allo sviluppo delle spine si distingue fra varietà spinose e inermi. Le prime hanno capolini con brattee terminati con una spina più o meno robusta, le inermi hanno invece brattee mutiche o mucronate.
In base al colore del capolino si distingue fra varietà violette e verdi.
In base al comportamento nel ciclo fenologico si distingue fra varietà autunnali o rifiorenti e varietà primaverili o unifere. Le prime si prestano alla forzatura in quanto possono produrre capolini nel periodo autunnale e una coda di produzione nel periodo primaverile. Le seconde sono adatte alla coltura non forzata in quanto producono capolini solo dopo la fine dell'inverno.
Fra le varietà più famose si annoverano il Brindisino, il "Paestum" (carciofo IGP proveniente dall'omonima città della magna Grecia di Capaccio-Paestum) Spinoso sardo (coltivato anche in Liguria con il nome di Carciofo spinoso d'Albenga), il Catanese, il Verde di Palermo, la Mammola verde, il Romanesco, il Mazzaferrata di Cupello, il Violetto di Toscana, il Precoce di Chioggia, il Violetto di Provenza, il Violetto di Niscemi. Le varietà di maggiore diffusione in passato erano il Catanese, lo Spinoso sardo e il Violetto di Provenza, fra i tipi autunnali forzati, e il Romanesco e il Violetto di Toscana fra quelli primaverili non forzati. Lo Spinoso sardo, una delle varietà più apprezzate nel mercato locale e in alcuni mercati dell'Italia settentrionale ha subito un drastico ridimensionamento dagli anni novanta a causa della ridotta pezzatura media dei capolini e della minore capacità produttiva rispetto ad altre cultivar (Tema, Terom, Macau, ecc.).
Cenni storici
Documentazioni storiche, linguistiche e molecolari sembrano indicare che la domesticazione del carciofo (Cynara scolymus) dal suo progenitore selvatico (Cynara cardunculus) possa essere avvenuta in Sicilia, a partire dal I secolo circa. Proprio in orti familiari della Sicilia centro-occidentale (nei dintorni di Mazzarino) ancora oggi si conserva un'antica cultivar che, sotto il profilo morfo-biologico e molecolare, sembrerebbe una forma di transizione tra il cardo selvatico ed alcune delle varietà di carciofo di più ampia diffusione.
La pianta chiamata Cynara era già conosciuta dai greci e dai romani, ma sicuramente si trattava di selvatico. A quanto sembra le si attribuivano poteri afrodisiaci, e prende il nome da una ragazza sedotta da Giove e quindi trasformata da questi in carciofo.
Nel secolo XV il carciofo era già consumato in Italia. Venuto dalla Sicilia, appare in Toscana verso il 1466.
La tradizione dice che fu introdotto in Francia da Caterina de' Medici, la quale gustava volentieri i cuori di carciofo. Sarebbe stata costei che lo portò dall'Italia alla Francia quando si sposò con il re Enrico II di Francia. Luigi XIV era pure un gran consumatore di carciofi.
Gli olandesi introdussero i carciofi in Inghilterra: abbiamo notizie che nel 1530 venivano coltivati nel Newhall nell'orto di Enrico VIII.
I colonizzatori spagnoli e francesi dell'America introdussero il carciofo in questo continente nel secolo XVIII, rispettivamente in California e in Louisiana. Oggi in California i cardi sono diventati un'autentica piaga, esempio tipico di specie aliena invasiva in un habitat in cui non si trovava precedentemente.
Produzione
La produzione mondiale del carciofo, secondo la FAO, nel 2011 è stata superiore a 1,5 milioni di tonnellate, di cui oltre il 60% nell'area mediterranea.
Di fatto i carciofi si coltivano soprattutto in Italia, Egitto e Spagna. Negli Stati Uniti d'America la maggior produzione di carciofi si ha nello Stato della California, e all'interno della California la contea di Monterey concentra più dell'80% del totale.
Da qualche anno, a causa di un'epidemia degli asparagi, nelle terre nuove del progetto Chavimochic del Perù si cominciò a coltivare il carciofo con il fine di esportarlo ai paesi europei, facendo del Perù il quarto produttore mondiale.
Una resa tipica della coltivazione è di 100 quintali per ettaro.
L'Italia detiene il primato mondiale nella produzione di questo ortaggio (pari a circa il 30%). Le zone di maggiore produzione sono la Sicilia (Piana di Gela e Piana di Catania), Sardegna e Puglia.
Il carciofo è una tipica pianta degli ambienti mediterranei. Il suo ciclo naturale è autunno-primaverile: alle prime piogge autunnali le gemme del rizoma si risvegliano ed emettono nuovi getti. I primi capolini sono emessi verso la fine dell'inverno, a partire dal mese di febbraio. In tarda primavera la pianta va in riposo con il disseccamento di tutta la parte aerea.
Nelle zone più calde delle regioni mediterranee il carciofo viene coltivato con una tecnica di forzatura che ha lo scopo di anticipare al periodo autunnale la produzione di capolini. La tecnica consiste nel forzare il risveglio nel corso dell'estate: dai rizomi di una coltura precedente si prelevano le gemme, dette ovuli, e dopo una fase di pregermogliamento sono messi a dimora dalla seconda metà di giugno in poi, facendo seguire un'irrigazione copiosa. In questo modo l'attività vegetativa ha inizio in piena estate, con differenziazione a fiore nel mese di settembre e produzione dei capolini di primo taglio nei mesi di ottobre e novembre.
Il carciofo si può propagare sia per via sessuata, con la riproduzione da seme, sia per via vegetativa sfruttando la sua naturale predisposizione ad emettere nuove piante dalle gemme del rizoma. La riproduzione da seme, pur essendo tecnicamente attuabile, non ha alcuna utilità pratica per le cultivar italiane: a causa del forte grado di eterozigosi delle nostre varietà, le piante nate da seme avrebbero caratteri completamente diversi ed eterogenei rispetto allo standard varietale. La propagazione vegetativa tradizionale segue metodi diversi secondo il tipo di ciclo colturale, ma si riconducono a due tipi: la propagazione per ovoli e quella per carducci.
Gli ovoli sono porzioni di rizoma ingrossate provviste di una o più gemme. La propagazione per ovoli si pratica con il prelievo, all'inizio dell'estate, dei rizomi dalle vecchie carciofaie. Da questi vengono separati gli ovoli, messi a pregermogliare per uno o due giorni e poi messi a dimora in un periodo che va dalla seconda metà di giugno fino agli inizi di agosto. L'epoca di "semina" è correlata all'epoca del raccolto del primo taglio.
I carducci sono i polloni basali emessi dal rizoma delle piante di oltre un anno d'età nelle prime fasi vegetative. Fra le operazioni colturali che si praticano durante la fase vegetativa è prevista la scarducciatura, ossia il diradamento della coltura con l'eliminazione dei polloni in quanto sottraggono risorse nutritive alla pianta a scapito delle rese qualitative della produzione. I polloni asportati possono essere messi a dimora in autunno per impiantare una carciofaia poliennale che darà la prima produzione al secondo anno d'impianto.
Le colture ottenute da ovoli iniziano il loro ciclo in piena estate e sono pertanto in grado di produrre capolini già nell'autunno successivo o nella primavera successiva. Questa tecnica di propagazione è pertanto utilizzata per le varietà autunnali o rifiorenti in coltura forzata. Le colture ottenute da carducci iniziano il loro ciclo in autunno inoltrato e poiché la pianta non riesce ad acquisire una sufficiente vigoria l'impianto è finalizzato a dare la prima produzione al secondo anno. Questa tecnica si adotta pertanto per le varietà primaverili in coltura non forzata.
La propagazione vegetativa ha il pregio di trasmettere il genotipo delle piante madri alle piante propagate, permettendo il mantenimento dello standard varietale. Ha però lo svantaggio di trasmettere le virosi accumulate, che sono una delle principali cause che riducono la longevità di una carciofaia. Per migliorare lo stato fitosanitario delle colture si può ricorrere a piante ottenute da micropropagazione. Questa tecnica consiste in una moltiplicazione in vitro con l'espianto dei meristemi apicali dagli apici vegetativi delle piante. I meristemi prelevati, detti espianti, essendo composti da cellule embrionali possono rigenerare un'intera pianta se opportunamente trattati (coltivazione in vitro su substrati nutritivi in cella climatica).
Il principio su cui si basa la micropropagazione risiede nel fatto che le cellule vegetali embrionali, essendo in fase di moltiplicazione, non sono infettate dai virus, pertanto le piante micropropagate sono risanate, ossia esenti da virus. In realtà la sicurezza del risanamento dipende dall'età delle cellule prelevate: le cellule effettivamente sane sono quelle del cono vegetativo, che rappresentano una porzione minima del meristema apicale, mentre all'aumentare della distanza dall'apice meristematico aumenta la probabilità che la cellula sia infettata dai virus. Con espianti di dimensioni ridotte aumenta la percentuale di risanamento delle piante micropropagate, per contro si riduce la percentuale di attecchimento. Un congruo compromesso si raggiunge prelevando espianti di dimensioni dell'ordine di mezzo millimetro.
Le colture ottenute da piante micropropagate presentano, almeno nei primi anni, un migliore stato fitosanitario che si manifesta con una maggiore vigoria e, di riflesso, una più elevata produttività. La micropropagazione presenta per contro degli svantaggi:
La micropropagazione è una tecnica costosa perché la prima fase richiede l'impiego di attrezzature di laboratorio e tecnici altamente specializzati. Il materiale micropropagato pertanto è molto più costoso di quello tradizionalmente usato, che in sostanza è materiale di scarto il cui costo è essenzialmente legato alla manodopera richiesta per il prelievo.
Le piante micropropagate danno produzioni qualitativamente differenti da quelle micropropagate quando allo standard varietale contribuisce la base genetica dei virus latenti integrati nel DNA dell'ospite. Questo fenomeno si è riscontrato ad esempio nello Spinoso sardo, che con la micropropagazione perde in modo significativo parte delle proprietà organolettiche.
Dopo l'acqua, il componente principale dei carciofi sono i carboidrati, tra i quali si distinguono l'inulina e le fibre.
I minerali principali sono il sodio, il potassio, il fosforo e il calcio.
Tra le vitamine prevale la presenza di B1, B3, e piccole quantità di vitamina C.
Più importante per spiegare le attività farmacologiche degli estratti di carciofo è la presenza di un complesso di metaboliti secondari caratteristici:
Derivati dell'acido caffeico: tra gli altri acido clorogenico, acido neoclorogenico, acido criptoclorogenico, cinarina.
Flavonoidi: in particolare rutina.
Lattoni sesquiterpenici: tra gli altri cinaropicrina, deidrocinaropicrina, grosseimina, cinaratriolo.
Usi terapeutici
La cinarina sembra avere effetti colagoghi. Gli estratti di carciofo hanno mostrato in studi clinici di migliorare la coleresi e la sintomatologia di pazienti sofferenti da dispepsia e disturbi funzionali del fegato. La cinarina ha mostrato di essere efficace come rimedio ipolipidemizzante in vari studi clinici.
La cinarina ha anche effetti coleretici, sembra cioè stimolare la secrezione di bile da parte delle cellule epatiche e aumentare l'escrezione di colesterolo e di materia solida nella bile.
I derivati dell'acido caffeico in genere mostrano effetti antiossidanti ed epatoprotettivi.
La medicina naturale e la fitoterapia usano il carciofo nel trattamento dei disturbi funzionali della cistifellea e del fegato, delle dislipidemie, della dispepsia non infiammatoria e della sindrome dell'intestino irritabile. Lo utilizza inoltre, per il suo sapore amaro, in caso di nausea e vomito, intossicazione, stitichezza e flatulenza. La sua attività depurativa (derivata dall'azione su fegato e sistema biliare e sul processo digestivo) fa sì che venga usata per dermatiti legate ad intossicazioni, artriti e reumatismi.
L'attività dei principi amari sull'equilibrio insulina/glucagone ne indica la possibile utilità come supporto in caso di iperglicemia reattiva o diabete incipiente, e l'effetto dei principi amari sulla secrezione di fattore intrinseco ne indica un possibile utilizzo in caso di anemia sideropenica.
Usi culinari
Il basso contenuto calorico del carciofo fa sì che sia specialmente indicato nelle diete dimagranti.
I fiori, come quelli del cardo, contengono il lab-fermento (chimosina), che si usa come caglio del latte.
La cucina della Liguria valorizza molto questo ingrediente, che, per il fatto di maturare in primavera, diventa in tale periodo il componente base della locale torta pasqualina.

Il fagiolino, detto anche tegolina o cornetto, è il baccello verde e acerbo di diverse cultivar della pianta del fagiolo comune (Phaseolus vulgaris), utilizzato come verdura. A differenza dei fagioli, i fagiolini vengono quindi raccolti e consumati con i loro baccelli, tipicamente prima che i semi interni siano arrivati a maturazione.


Prima della semina, il terreno deve essere preparato con una lavorazione profonda. Dopo il trapianto, vengono praticati durante la coltivazione lavori di sarchiatura. L'irrigazione è indispensabile per le varietà estive e autunnali.
La raccolta avviene quando il cappuccio è compatto e ben chiuso. In genere, le varietà primaverili sono raccolte a maggio, le estivo-autunnali tra giugno e ottobre e le invernali durante tutto l'inverno.
Le malattie da funghi che colpiscono più frequentemente il cavolo cappuccio sono l'oidio (causato da Erysiphe cruciferarum), la peronospora (causata da Peronospora brassicae), l'alternariosi (causata da Alternaria brassicae), l'ernia delle crucifere (causata da Plasmodiophora brassicae), il marciume secco delle crucifere (causato da Phoma lingam). Tra gli insetti, i parassiti più importanti sono: l'afide ceroso del cavolo Brevicoryne brassicae, la mosca del cavolo (Delia radicum) e due lepidotteri, la cavolaia (Pieris brassicae) e la nottua del cavolo (Mamestra brassicae).
In cucina il cavolo cappuccio si può consumare crudo in insalata oppure cotto al vapore, bollito (per la preparazione di zuppe) o al forno. Si può anche fare fermentare per la preparazione dei crauti.

Il carciofo è una pianta appartenente alla famiglia Asteracee, particolarmente coltivato in Italia per uso alimentare. Appartiene alla specie Cynara cardunculus e se ne possono trovare più varietà diverse che sono:
• La varietà scolymus, che è il carciofo coltivato comunemente consumato.
• La varietà altilis, che è il cardo domestico.
• La varietà silvestris, conosciuto anche come cardo selvatico e usato per la preparazione del caglio (il caglio vegetale, usato per evitare quello animale).
Di queste tre varietà, solo la prima rappresenta un ortaggio a fiore nel senso proprio del termine; infatti, del cardo non viene mangiato il fiore bensì la base delle foglie, e così anche per il cardo selvatico nonostante non venga mangiato comunemente. Si pensa, però, che sia il cardo che il carciofo derivino dal cardo selvatico, e siano stati selezionati dall’uomo per le due caratteristiche desiderate (il picciolo e il fiore, appunto).
Già conosciuto ai tempi degli antichi romani, è una coltura tipica dell’Italia e, anche se si trova in Francia e in Spagna, in altri paesi è un ortaggio pochissimo conosciuto. Il periodo di raccolta sono i mesi che vanno dall’autunno alla primavera, con l’autunno nelle zone meridionali del nostro paese per poi proseguire verso i mesi di marzo-maggio nelle zone più settentrionali.
Il carciofo (Cynara scolymus L.) è una pianta della famiglia Asteraceae coltivata in Italia e in altri Paesi per uso alimentare e, secondariamente, medicinale.
Il carciofo è una pianta erbacea perenne alta fino a 1,5 metri , provvista di un rizoma sotterraneo dalle cui gemme si sviluppano più fusti, che all'epoca della fioritura si sviluppano in altezza con una ramificazione dicotomica. Il fusto, come in tutte le piante "a rosetta", è molto raccorciato (2-4-cm), mentre lo stelo fiorale è robusto, cilindrico e carnoso, striato longitudinalmente.
Le foglie presentano uno spiccato polimorfismo anche nell'ambito della stessa pianta (eterofillia). Sono grandi (fino a circa 1,5 m in alcune cultivar da seme), oblungo-lanceolate, con lamina intera nelle piante giovani e in quelle prossime ai capolini, pennatosetta e più o meno incisa in quelle basali. La forma della lamina fogliare è influenzata anche dalla posizione della gemma da cui si sviluppa la pianta. La superficie della lamina è verde lucida o verde-grigiastra sulla pagina superiore, mentre nella pagina inferiore è verde-cinerea per la presenza di una fitta tomentosità. Le estremità delle lacinie fogliari possono esse spinose in alcune varietà (Spinoso di Palermo, Spinoso Sardo).
I fiori sono riuniti in un capolino (detto anche calatide) di forma sferoidale, conica o cilindrica e di 5–15 cm di diametro, con un ricettacolo carnoso e concavo nella parte superiore. Sul ricettacolo sono inseriti i fiori (flosculi), tutti con corolla tubulosa e azzurro-violacea e calice trasformato in un pappo setoloso, utile alla dispersione degli acheni tramite il vento (disseminazione anemocora). Nel capolino immaturo l'infiorescenza vera e propria è protetta da una serie di brattee involucrali strettamente embricate, con apice inerme, mucronato o spinoso, a seconda della varietà. Fiori e setole sono ridotti ad una corta peluria che si sviluppa con il procedere della fioritura. In piena fioritura le brattee divergono e lasciano emergere i fiori. La parte edule del carciofo è rappresentata dalla base delle brattee e dal ricettacolo, quest'ultimo comunemente chiamato cuore. In Sardegna è molto richiesta anche la parte terminale dello scapo fiorale dalla terzultima o penultima foglia.
Il frutto è un achenio (spesso chiamato erroneamente "seme") allungato e di sezione quadrangolare, provvisto di pappo. Il colore varia dal marrone più o meno scuro al grigio con marmorizzazioni brune.
ll genoma di carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus L.) è stato recentemente decodificato. L'assemblaggio copre 725 delle 1.084 Mb che costituiscono il genoma della specie. La sequenza codifica per circa 27.000 geni ed ha un contenuto di elementi ripetuti pari al 58,4%, la cui espansione si stima sia avvenuta circa 2,5 milioni di anni fa. La comprensione della struttura del genoma del carciofo è fondamentale per identificare le basi genetiche di caratteri di interesse agronomico e la futura applicazione di programmi di selezione assistita.
In questa specie sono stati identificati, con l'ausilio di marcatori molecolari (AFLP, microsatelliti e transposon display), tre differenti taxa: C. cardunculus L. var. sylvestris Lam. (cardo o carciofo selvatico) abbondantemente diffusa allo stato spontaneo nel bacino del mediterraneo centro-occidentale; C. cardunculus L. var. altilis DC. (cardo coltivato o cardo domestico); C. cardunculus L. var. scolymus (L.) Fiori (carciofo).


Varietà
Le varietà di carciofo sono classificate secondo diversi criteri. I principali sono i seguenti:
In base alla presenza e allo sviluppo delle spine si distingue fra varietà spinose e inermi. Le prime hanno capolini con brattee terminati con una spina più o meno robusta, le inermi hanno invece brattee mutiche o mucronate.
In base al colore del capolino si distingue fra varietà violette e verdi.
In base al comportamento nel ciclo fenologico si distingue fra varietà autunnali o rifiorenti e varietà primaverili o unifere. Le prime si prestano alla forzatura in quanto possono produrre capolini nel periodo autunnale e una coda di produzione nel periodo primaverile. Le seconde sono adatte alla coltura non forzata in quanto producono capolini solo dopo la fine dell'inverno.
Fra le varietà più famose si annoverano il Brindisino, il "Paestum" (carciofo IGP proveniente dall'omonima città della magna Grecia di Capaccio-Paestum) Spinoso sardo (coltivato anche in Liguria con il nome di Carciofo spinoso d'Albenga), il Catanese, il Verde di Palermo, la Mammola verde, il Romanesco, il Mazzaferrata di Cupello, il Violetto di Toscana, il Precoce di Chioggia, il Violetto di Provenza, il Violetto di Niscemi. Le varietà di maggiore diffusione in passato erano il Catanese, lo Spinoso sardo e il Violetto di Provenza, fra i tipi autunnali forzati, e il Romanesco e il Violetto di Toscana fra quelli primaverili non forzati. Lo Spinoso sardo, una delle varietà più apprezzate nel mercato locale e in alcuni mercati dell'Italia settentrionale ha subito un drastico ridimensionamento dagli anni novanta a causa della ridotta pezzatura media dei capolini e della minore capacità produttiva rispetto ad altre cultivar (Tema, Terom, Macau, ecc.).
Cenni storici
Documentazioni storiche, linguistiche e molecolari sembrano indicare che la domesticazione del carciofo (Cynara scolymus) dal suo progenitore selvatico (Cynara cardunculus) possa essere avvenuta in Sicilia, a partire dal I secolo circa. Proprio in orti familiari della Sicilia centro-occidentale (nei dintorni di Mazzarino) ancora oggi si conserva un'antica cultivar che, sotto il profilo morfo-biologico e molecolare, sembrerebbe una forma di transizione tra il cardo selvatico ed alcune delle varietà di carciofo di più ampia diffusione.
La pianta chiamata Cynara era già conosciuta dai greci e dai romani, ma sicuramente si trattava di selvatico. A quanto sembra le si attribuivano poteri afrodisiaci, e prende il nome da una ragazza sedotta da Giove e quindi trasformata da questi in carciofo.
Nel secolo XV il carciofo era già consumato in Italia. Venuto dalla Sicilia, appare in Toscana verso il 1466.
La tradizione dice che fu introdotto in Francia da Caterina de' Medici, la quale gustava volentieri i cuori di carciofo. Sarebbe stata costei che lo portò dall'Italia alla Francia quando si sposò con il re Enrico II di Francia. Luigi XIV era pure un gran consumatore di carciofi.
Gli olandesi introdussero i carciofi in Inghilterra: abbiamo notizie che nel 1530 venivano coltivati nel Newhall nell'orto di Enrico VIII.
I colonizzatori spagnoli e francesi dell'America introdussero il carciofo in questo continente nel secolo XVIII, rispettivamente in California e in Louisiana. Oggi in California i cardi sono diventati un'autentica piaga, esempio tipico di specie aliena invasiva in un habitat in cui non si trovava precedentemente.
Produzione
La produzione mondiale del carciofo, secondo la FAO, nel 2011 è stata superiore a 1,5 milioni di tonnellate, di cui oltre il 60% nell'area mediterranea.
Di fatto i carciofi si coltivano soprattutto in Italia, Egitto e Spagna. Negli Stati Uniti d'America la maggior produzione di carciofi si ha nello Stato della California, e all'interno della California la contea di Monterey concentra più dell'80% del totale.
Da qualche anno, a causa di un'epidemia degli asparagi, nelle terre nuove del progetto Chavimochic del Perù si cominciò a coltivare il carciofo con il fine di esportarlo ai paesi europei, facendo del Perù il quarto produttore mondiale.
Una resa tipica della coltivazione è di 100 quintali per ettaro.
L'Italia detiene il primato mondiale nella produzione di questo ortaggio (pari a circa il 30%). Le zone di maggiore produzione sono la Sicilia (Piana di Gela e Piana di Catania), Sardegna e Puglia.
Il carciofo è una tipica pianta degli ambienti mediterranei. Il suo ciclo naturale è autunno-primaverile: alle prime piogge autunnali le gemme del rizoma si risvegliano ed emettono nuovi getti. I primi capolini sono emessi verso la fine dell'inverno, a partire dal mese di febbraio. In tarda primavera la pianta va in riposo con il disseccamento di tutta la parte aerea.
Nelle zone più calde delle regioni mediterranee il carciofo viene coltivato con una tecnica di forzatura che ha lo scopo di anticipare al periodo autunnale la produzione di capolini. La tecnica consiste nel forzare il risveglio nel corso dell'estate: dai rizomi di una coltura precedente si prelevano le gemme, dette ovuli, e dopo una fase di pregermogliamento sono messi a dimora dalla seconda metà di giugno in poi, facendo seguire un'irrigazione copiosa. In questo modo l'attività vegetativa ha inizio in piena estate, con differenziazione a fiore nel mese di settembre e produzione dei capolini di primo taglio nei mesi di ottobre e novembre.
La forzatura del carciofo produce risultati solo nelle cultivar rifiorenti, e in ogni modo è causa di situazioni di stress biologico che deprimono la longevità della carciofaia. Per questo motivo le carciofaie forzate sono condotte in coltura annuale, biennale o triennale. Dopo il secondo o terzo anno la percentuale di diradamento è tale da rendere economicamente più vantaggioso il reimpianto della carciofaia.
Il carciofo si può propagare sia per via sessuata, con la riproduzione da seme, sia per via vegetativa sfruttando la sua naturale predisposizione ad emettere nuove piante dalle gemme del rizoma. La riproduzione da seme, pur essendo tecnicamente attuabile, non ha alcuna utilità pratica per le cultivar italiane: a causa del forte grado di eterozigosi delle nostre varietà, le piante nate da seme avrebbero caratteri completamente diversi ed eterogenei rispetto allo standard varietale. La propagazione vegetativa tradizionale segue metodi diversi secondo il tipo di ciclo colturale, ma si riconducono a due tipi: la propagazione per ovoli e quella per carducci.
Gli ovoli sono porzioni di rizoma ingrossate provviste di una o più gemme. La propagazione per ovoli si pratica con il prelievo, all'inizio dell'estate, dei rizomi dalle vecchie carciofaie. Da questi vengono separati gli ovoli, messi a pregermogliare per uno o due giorni e poi messi a dimora in un periodo che va dalla seconda metà di giugno fino agli inizi di agosto. L'epoca di "semina" è correlata all'epoca del raccolto del primo taglio.
I carducci sono i polloni basali emessi dal rizoma delle piante di oltre un anno d'età nelle prime fasi vegetative. Fra le operazioni colturali che si praticano durante la fase vegetativa è prevista la scarducciatura, ossia il diradamento della coltura con l'eliminazione dei polloni in quanto sottraggono risorse nutritive alla pianta a scapito delle rese qualitative della produzione. I polloni asportati possono essere messi a dimora in autunno per impiantare una carciofaia poliennale che darà la prima produzione al secondo anno d'impianto.
Le colture ottenute da ovoli iniziano il loro ciclo in piena estate e sono pertanto in grado di produrre capolini già nell'autunno successivo o nella primavera successiva. Questa tecnica di propagazione è pertanto utilizzata per le varietà autunnali o rifiorenti in coltura forzata. Le colture ottenute da carducci iniziano il loro ciclo in autunno inoltrato e poiché la pianta non riesce ad acquisire una sufficiente vigoria l'impianto è finalizzato a dare la prima produzione al secondo anno. Questa tecnica si adotta pertanto per le varietà primaverili in coltura non forzata.
La propagazione vegetativa ha il pregio di trasmettere il genotipo delle piante madri alle piante propagate, permettendo il mantenimento dello standard varietale. Ha però lo svantaggio di trasmettere le virosi accumulate, che sono una delle principali cause che riducono la longevità di una carciofaia. Per migliorare lo stato fitosanitario delle colture si può ricorrere a piante ottenute da micropropagazione. Questa tecnica consiste in una moltiplicazione in vitro con l'espianto dei meristemi apicali dagli apici vegetativi delle piante. I meristemi prelevati, detti espianti, essendo composti da cellule embrionali possono rigenerare un'intera pianta se opportunamente trattati (coltivazione in vitro su substrati nutritivi in cella climatica).
Il principio su cui si basa la micropropagazione risiede nel fatto che le cellule vegetali embrionali, essendo in fase di moltiplicazione, non sono infettate dai virus, pertanto le piante micropropagate sono risanate, ossia esenti da virus. In realtà la sicurezza del risanamento dipende dall'età delle cellule prelevate: le cellule effettivamente sane sono quelle del cono vegetativo, che rappresentano una porzione minima del meristema apicale, mentre all'aumentare della distanza dall'apice meristematico aumenta la probabilità che la cellula sia infettata dai virus. Con espianti di dimensioni ridotte aumenta la percentuale di risanamento delle piante micropropagate, per contro si riduce la percentuale di attecchimento. Un congruo compromesso si raggiunge prelevando espianti di dimensioni dell'ordine di mezzo millimetro.
Le colture ottenute da piante micropropagate presentano, almeno nei primi anni, un migliore stato fitosanitario che si manifesta con una maggiore vigoria e, di riflesso, una più elevata produttività. La micropropagazione presenta per contro degli svantaggi:
Le colture micropropagate sono più suscettibili alle avversità ambientali, pertanto il mantenimento dello stato fitosanitario richiede cure colturali più attente.
La micropropagazione è una tecnica costosa perché la prima fase richiede l'impiego di attrezzature di laboratorio e tecnici altamente specializzati. Il materiale micropropagato pertanto è molto più costoso di quello tradizionalmente usato, che in sostanza è materiale di scarto il cui costo è essenzialmente legato alla manodopera richiesta per il prelievo.
Le piante micropropagate danno produzioni qualitativamente differenti da quelle micropropagate quando allo standard varietale contribuisce la base genetica dei virus latenti integrati nel DNA dell'ospite. Questo fenomeno si è riscontrato ad esempio nello Spinoso sardo, che con la micropropagazione perde in modo significativo parte delle proprietà organolettiche.
Dopo l'acqua, il componente principale dei carciofi sono i carboidrati, tra i quali si distinguono l'inulina e le fibre.
I minerali principali sono il sodio, il potassio, il fosforo e il calcio.
Tra le vitamine prevale la presenza di B1, B3, e piccole quantità di vitamina C.
Più importante per spiegare le attività farmacologiche degli estratti di carciofo è la presenza di un complesso di metaboliti secondari caratteristici:
Derivati dell'acido caffeico: tra gli altri acido clorogenico, acido neoclorogenico, acido criptoclorogenico, cinarina.
Flavonoidi: in particolare rutina.
Lattoni sesquiterpenici: tra gli altri cinaropicrina, deidrocinaropicrina, grosseimina, cinaratriolo.
Usi terapeutici
La cinarina sembra avere effetti colagoghi. Gli estratti di carciofo hanno mostrato in studi clinici di migliorare la coleresi e la sintomatologia di pazienti sofferenti da dispepsia e disturbi funzionali del fegato. La cinarina ha mostrato di essere efficace come rimedio ipolipidemizzante in vari studi clinici.
La cinarina ha anche effetti coleretici, sembra cioè stimolare la secrezione di bile da parte delle cellule epatiche e aumentare l'escrezione di colesterolo e di materia solida nella bile.
I derivati dell'acido caffeico in genere mostrano effetti antiossidanti ed epatoprotettivi.
La medicina naturale e la fitoterapia usano il carciofo nel trattamento dei disturbi funzionali della cistifellea e del fegato, delle dislipidemie, della dispepsia non infiammatoria e della sindrome dell'intestino irritabile. Lo utilizza inoltre, per il suo sapore amaro, in caso di nausea e vomito, intossicazione, stitichezza e flatulenza. La sua attività depurativa (derivata dall'azione su fegato e sistema biliare e sul processo digestivo) fa sì che venga usata per dermatiti legate ad intossicazioni, artriti e reumatismi.
L'attività dei principi amari sull'equilibrio insulina/glucagone ne indica la possibile utilità come supporto in caso di iperglicemia reattiva o diabete incipiente, e l'effetto dei principi amari sulla secrezione di fattore intrinseco ne indica un possibile utilizzo in caso di anemia sideropenica.
Usi culinari
Il basso contenuto calorico del carciofo fa sì che sia specialmente indicato nelle diete dimagranti.
I fiori, come quelli del cardo, contengono il lab-fermento (chimosina), che si usa come caglio del latte.
La cucina della Liguria valorizza molto questo ingrediente, che, per il fatto di maturare in primavera, diventa in tale periodo il componente base della locale torta pasqualina.
Specialità della cucina romana sono invece il Carciofo alla Romana (stufato in olio d'oliva, brodo vegetale, prezzemolo, aglio e mentuccia), il Carciofo alla Giudia, (intero e fritto in olio di oliva) il Fritto di Carciofi in pastella e l'insalata di carciofi (crudi a lamelle).
Il cardo
Il cardo (Cinara cardunculus) è un ortaggio invernale di forma simile al sedano, ma appartenente alla stessa famiglia dei carciofi.
La parte commestibile del cardo è il gambo, che ha un gusto simile a quello del carciofo, con sfumature che ricordano vagamente il sedano.
Il cardo è un ortaggio difficile da coltivare. Infatti i suoi gambi sono piuttosto duri e di sapore amarognolo, per limitare l'amaro devono essere coltivati il più possibile in assenza di luce, il che li rende anche più candidi; e devono subire l'effetto delle gelate tardo-autunnali, che li rendono più teneri.
I gambi devono essere bianchi e compatti e non presentare tracce di colore verde, altrimenti saranno duri e amari.
I cardi che tendono ad aprirsi non sono più molto freschi, meglio scegliere piante dal colore chiaro, chiuse e pesanti, prive di macchie, con costole croccanti e larghe.
Qualità nutrizionali del cardo
Il cardo ha pochissime calorie e un indice di sazietà piuttosto alto, quindi può essere arricchito di sapore anche utilizzando una certa quantità di grassi pur mantenendo una elevata sazietà.
Preparazione del cardo
Solo i cardi di ottima qualità, come quelli gobbi, si possono mangiare crudi, gli altri vanno sottoposti a cottura anche piuttosto prolungata (30-60 minuti).
Per evitare che si scuriscano, vanno cotti immediatamente oppure conservati in acqua acidulata. Se si vuole mantenere il colore anche dopo la bollitura, è bene spremere il succo di mezzo limone anche nell'acqua di cottura.
Il cardo si sposa molto bene con le acciughe sotto sale, infatti è un accompagnamento obbligatorio per la bagna cauda, la salsa bollente piemontese a base di acciughe, burro e aglio.
Caratteristiche nutrizionali
Vengono presi qui in considerazione vari tipi di ortaggi di cui si consuma il fiore, e poi il cardo e uno dei tanti cavoli di cui si consumano le foglie, il cavolo cappuccio, per valutare le differenze nutrizionali.
Cavolfiore (crudo) | Broccolo (crudo) | Cima di Rapa (cruda) | Cavolo Cappuccio (crudo) | Carciofo (crudo) | Cardo (crudo) | |
Acqua | 90,5 | 89 | 91,4 | 92,2 | 91,3 | 94,3 |
Proteine | 3,2 | 3,4 | 2,9 | 2,1 | 2,7 | 0,6 |
Lipidi | 0,2 | 0,3 | 0,3 | 0,1 | 0,2 | 0,1 |
Carboidrati | 2,7 | 2 | 2 | 2,5 | 2,5 | 1,7 |
Fibra | 2,4 | 3 | 2,9 | 2,6 | 5,5 | 1,5 |
Energia (Kcal) | 25 | 24 | 22 | 19 | 22 | 10 |
Sodio (mg) | 8 | N/A | N/A | 23 | 133 | 23 |
Potassio (mg) | 350 | N/A | N/A | 260 | 376 | 293 |
Carboidrati | 2,7 | 2 | 2 | 2,5 | 2,5 | 1,7 |
Ferro (mg) | 0,8 | 1,2 | 1,5 | 1,1 | 1 | 0,2 |
Calcio (mg) | 44 | 72 | 97 | 60 | 86 | 96 |
Vitamina A (ug) | 50 | 123 | 225 | 19 | 18 | Tracce |
Vitamina C (mg) | 59 | 77 | 110 | 47 | 12 | 4 |
Ferro (mg) | 0,8 | 1,2 | 1,5 | 1,1 | 1 | 0,2 |
Acqua
L’acqua è sempre molto presente all’interno di questi ortaggi, se si considera che i fiori e le foglie sono fondamentali per la sopravvivenza della pianta e sono pertanto due organi molto vascolarizzati (la linfa delle piante è costituita soprattutto dall’acqua). Si può notare che all’incirca il 90% degli ortaggi sono sempre costituiti da acqua, anche se la percentuale aumenta leggermente negli ortaggi di cui si consumano parti diverse dal fiore (cardo e cavolo cappuccio) che sono quindi leggermente meno nutrienti.
Proteine
Se si ha bisogno di proteine, questi ortaggi non sono proprio la scelta più indicata. Non solo, infatti, le proteine sono qui presenti in bassa misura, ma sono anche poco nutrienti in quanto hanno tutte funzione di struttura per la pianta. Anche in questo caso, si può notare come i fiori veri e propri siano leggermente più ricchi in proteine rispetto agli ortaggi di cui si consumano le altre parti (in particolare del cardo, che ne è particolarmente povero) ma bisogna considerare che l’apporto proteico di questi vegetali è sempre e comunque minimo.
Lipidi
Anche dal punto di vista dei grassi, gli ortaggi a fiore sono molto poveri, ciò che ne fa degli ottimi alimenti per chi sta seguendo una dieta dimagrante. Tanto più che la scarsità di calorie fa sì che l’energia impiegata per masticarli sia persino superiore a quella ottenuta con il consumo.
Carboidrati
Anche per i carboidrati non ci sono particolari differenze tra un tipo di ortaggio e l’altro, gli zuccheri contenuti in questi alimenti sono sempre e comunque pochi. Viene praticamente assunto solamente lo zucchero che la pianta utilizza per sopravvivere (i fiori non hanno funzione di riserva a differenza dei semi, ad esempio) e questo fa sì che, anche da questo punto di vista, una dieta basata su questi ortaggi ha sicuramente delle caratteristiche benefiche. Tra tutti, il cardo è l’ortaggio meno ricco di zuccheri.
Fibre
Le fibre sono presenti negli ortaggi a frutto in una percentuale attorno al 3%, il che significa che hanno un ruolo importante nel transito intestinale degli altri alimenti, perché lo favoriscono. L’ortaggio più ricco di fibre è il carciofo per via delle brattee, ricche di fibra perché dure e dalla funzione protettiva verso il fiore che deve nascere.
Il cardo, invece, è l’alimento che contiene meno fibra perché è un organo di collegamento, che veicola l’acqua e le sostanze nutritive dalle radici alle parti superiori della pianta.
Per gli altri fiori, infine, il contenuto è medio (ma sempre tendente al basso) perché nel fiore le fibre hanno semplicemente la funzione di mantenere la struttura del fiore.
Da notare che alimenti ricchi di fibre migliorano la velocità del transito intestinale e impediscono alle altre sostanze di rimanere troppo nell’intestino, impedendo che vengano assorbite e aumentando l’effetto dimagrante di queste verdure che, oltre ad essere poco caloriche di per sé, impediscono all’organismo di assorbire bene le calorie contenute negli altri alimenti.
Vitamine e minerali
Gli ortaggi a fiore sono molto ricchi di vitamine e minerali, componenti che hanno un’azione importante nel fiore, che ospita il futuro seme da cui nascerà la nuova pianta.
In generale, tutti i fiori sono ricchi di potassio poiché esso serve alla pianta per attivare i processi interni alle cellule; il sodio, invece, si trova in quantità inferiore tranne che nel carciofo che ne è particolarmente ricco, anche se non troppo da poter dare problemi a chi non può assumerne (infatti i carciofi in cucina si salano).
I fiori sono poi ricchi di ferro, ciò che spiega come gli ortaggi a fiore siano la prima scelta dei medici (a parte la carne) per l’assunzione di questo importante minerale. Tanto i cavoli quanto i carciofi e i cardi sono consigliati per l’assunzione di ferro, e consumarli con il limone (che nel carciofo, tra l’altro, evita l’ossidazione) permette di assorbire meglio il ferro in essi contenuto.
Il calcio, infine, è stabile ed ha un valore simile in tutti gli ortaggi a fiore perché, come la fibra, ha funzione strutturale, anche se bisogna notare che altri ortaggi, come quelli a foglia, ne contengono molto di più.
Infine, per quanto riguarda le vitamine, gli ortaggi a fiore ne hanno un buon contenuto, in particolare di vitamina A e vitamina C che hanno effetti benefici sull’organismo; ad esserne più ricchi di tutti sono i fiori delle cime di rapa.
Proprietà degli ortaggi a fiore
Oltre alla composizione chimica “di base”, riportata nella tabella nutrizionale, in alcuni ortaggi si possono trovare delle molecole ulteriori, che hanno un’azione benefica sull’organismo. Alcune di queste molecole non sono (addirittura) ancora state scoperte, mentre in altri casi si conoscono ma la loro azione non è ancora ben compresa.
Il cavolfiore e i broccoli, ma in misura minore anche i cavoli di cui si consumano le foglie, contengono in particolare il sulforafano, un composto contenente anche zolfo che sembra abbia la capacità di distruggere le cellule tumorali. Interferisce inoltre con il ciclo vitale di alcuni batteri come l’Helicobacter pylori, scongiurando quindi l’emergenza di alcune patologie gastriche.
I cavoli, e in particolare le foglie, sono poi ricchissime di acido folico o folato, una sostanza che, assorbita nell’intestino, stimola la rigenerazione del tessuto nervoso, rallentando così la comparsa di patologie cerebrali o a carico del midollo spinale. Inoltre le donne in gravidanza sono in grado di passare la molecola dal proprio circolo ematico alla circolazione fetale, così da stimolare lo sviluppo del sistema nervoso del bambino ed evitare le anomalie.
Per quanto riguarda il carciofo, si segnala anche la presenza di cinarina, un polifenolo presente in in particolare nella fase di formazione del capolino dell’ortaggio. Andrebbe mangiato crudo, perché la cottura ne modifica la struttura, fino a distruggerla.
Si tratta di una molecola molto utile per la protezione del fegato, uno stimolante epatico che ha un ruolo di protezione, specialmente dalla troppa presenza di grassi all’interno dell’organo o nei casi di fibrosi, che può sfociare in cirrosi epatica.
Protegge infatti le cellule del fegato dall’azione dei radicali liberi, e poi stimola la produzione di bile (ovvero il metabolismo epatico, l’attività stessa del fegato). Favorendo poi lo svuotamento della cistifellea, oltre alla produzione di bile, è importante per la prevenzione dei calcoli biliari.
ORTAGGI DA SEME

I legumi sono vegetali molto apprezzati per le loro qualità nutrizionali e possono essere consumati sia singolarmente che in abbinamento con altri tipi di vegetali o come contorno delle pietanze.
Essi appartengono alla famiglia delle Fabaceae, comunemente detta anche delle Leguminose. Si tratta di un gruppo di piante che condividono una serie di caratteristiche comuni.
La dimensione della pianta può variare, così che esistono delle leguminose erbacee, delle leguminose arbustive e anche alcune piante arboree, strutturate come un albero, tra cui la mimosa. Anche le foglie sono particolari: nella maggior parte delle famiglie sono palmate, ossia hanno una nervatura centrale più tante piccole nervature che si diramano da essa nelle dimensioni; si distinguono da altre foglie, ad esempio quelle della maggior parte delle graminacee, che invece hanno nervature tutte parallele tra di loro.
La caratteristica che distingue tutte le piante appartenenti alla famiglia, senza eccezioni, è il frutto: viene chiamato baccello, anche se per alcuni legumi particolari, “strozzati” in mezzo (caso tipico, quello delle arachidi) si chiama lomento. Il baccello ha una fascia longitudinale detta sutura, che quando la pianta è giunta a maturazione si apre, facendo cadere i semi; in agricoltura, i legumi vengono raccolti prima che possano cadere e poi vengono estratti industrialmente o manualmente; in alcuni casi non vengono estratti e il frutto, che è il baccello, viene consumato intero.
Ciò che generalmente si mangia delle leguminose, quelli generalmente chiamati legumi, sono i semi della pianta, semi che in alcuni casi vengono consumati freschi o conservati come freschi (fave, piselli) mentre in altri casi vengono fatti essiccare e poi reidratati per il consumo oppure lavorati per la creazione di farina, o per l’estrazione di concentrati proteici od oli. I legumi possono anche essere inscatolati in contenitori a chiusura ermetica, coperti da un liquido, oppure surgelati.
La caratteristica botanica più importante che contraddistingue le leguminose sono però in assoluto le loro radici. L’apparato radicolare è particolare, ma soprattutto è diverso da quello di tutte le altre piante: nelle radici sono infatti presenti una serie di cavità (dette tubercoli radicali) create per accogliere dei microrganismi, in particolare dei batteri. Queste piante infatti hanno una simbiosi con alcuni batteri, detti Rizobi, tra cui quelli del genere Rhizobium leguminosarum, che crescono nella maggior parte delle radici delle leguminose ma non di tutte (leguminose come la Sulla o la Soia hanno dei batteri particolari) e la loro presenza è indispensabile alla crescita della pianta. Se il batterio “giusto” per quella pianta non vive in quel terreno, essa non riuscirà a crescere. I rizobi, infatti, hanno la capacità di fissare l’azoto atmosferico, ossia di prendere quel 78% di azoto presente nella nostra atmosfera (che noi respiriamo, ma che non prende parte ai processi respiratori) e lo trasformano in una forma che sia assimilabile dalla pianta.
La pianta senza rizobio non ha disponibilità di azoto, perché a differenza di altre piante ha perso nel corso dell’evoluzione la capacità di “cercarlo” nel terreno per conto proprio, quindi se il terreno non ha il giusto rizobio le piante non cresceranno; per permetterlo, magari perché le condizioni climatiche sono adatte, bisogna portare nel campo un po’ di terreno dove il rizobio per quella coltura è presente. In alternativa bisogna sfruttare terreni dove qualche anno prima sono già state coltivate piante della stessa specie, i cui rizobi siano ancora presenti nel terreno.
L’importanza di questi batteri ha come diretta conseguenza l’alta percentuale di proteine contenuta nei legumi: se si possono sostituire le proteine della carne con quelle della soia, o dei fagioli, o dei ceci, è proprio perché ci sono dei rizobi che, fissando l’azoto, lo rendono disponibile alla pianta per creare i composti azotati di base, gli amminoacidi; catene di amminoacidi formano le proteine, che vengono accumulate in tutte le parti della pianta, foglie comprese (importanti per la mangimistica animale) e in particolare nei semi.
I rizobi, però, non arricchiscono solo le piante, ma anche il terreno stesso: in agricoltura, i legumi sono definiti colture di arricchimento, generalmente da alternare ai cereali che, invece, sono definiti depauperanti. Non avendo rizobi che fissano l’azoto per loro, colture come il mais o il grano assorbono tutto l’azoto già presente nel terreno, che l’anno successivo deve essere reimmesso grazie alla semina delle leguminose.
È anche grazie a questo meccanismo che si può spiegare l’alta resa delle coltivazioni e il fatto che produrre un chilo di proteine vegetali è molto più economico ed ha un impatto minore sull’ambiente rispetto alla produzione di un chilo di proteine animali.
Le varietà di legumiNel mondo esistono tantissime varietà di leguminose, molte delle quali non sono commestibili perché i semi sono troppo piccoli, o hanno un cattivo sapore, o ancora non hanno un elevato valore nutrizionale. Esistono poi varietà coltivate solo in alcune parti del mondo, anche molto diffuse, e piante che sono coltivate e consumate solo in una specifica zona.
In Italia i legumi più importanti a livello sia economico che di consumo sono sei: i fagioli, i ceci, le lenticchie, i piselli, le fave e la soia.
I legumi: caratteristiche nutrizionaliI legumi sono molto apprezzati in alimentazione per le loro proprietà nutritive ma anche per la quota proteica che li contraddistingue. Come già descritto nel paragrafo dedicato alla botanica, la loro struttura permette di accumulare un grande quantitativo di azoto prendendolo direttamente dall’aria, grazie airizobi, azoto utilizzato per produrre amminoacidi che costituiranno le proteine.
Nella tabella nutrizionale delle cinque varietà di legumi prese in considerazione si è scelto, per equiparare i valori, di confrontare tutti i semi nella loro forma da secchi, tralasciando i semi freschi. Per sapere quante sostanze si assumono mangiando gli stessi legumi ma freschi o reidratati (operazione necessaria per la cottura) è sufficiente aggiungere alla misura il quantitativo di acqua che avrebbero perso con l’essiccamento o che hanno assunto durante la reidratazione.
Tutti i valori sono da considerarsi per 100 grammi di alimento.
Acqua (gr) | Proteine (gr) | Grassi (gr) | Carboidrati (gr) | Fibra (gr) | Energia (kcal) | Calcio (mg) | Fosforo (mg) | |
Fagioli | 10,3 | 20,2 | 2 | 47,5 | 17,3 | 291 | 102 | 464 |
Ceci | 10,3 | 20,9 | 6,3 | 46,9 | 13,6 | 316 | 142 | 415 |
Lenticchie | 11,2 | 22,7 | 1 | 51,1 | 13,8 | 1219 | 57 | 376 |
Piselli | 13 | 21,7 | 2 | 48,2 | 15,7 | 286 | 48 | 320 |
Fave | 10,2 | 21,3 | 3 | 29,7 | 21,1 | 224 | ND | ND |
Il quantitativo di acqua è ovviamente basso poiché sono stati presi in considerazione solo i legumi secchi; in un legume fresco (ad esempio i fagioli freschi) l’acqua non è particolarmente abbondante rispetto a quella presente in altri organismi vegetali, poiché costituisce solo il 60% del seme.
Parlando invece di proteine, si può notare che il contenuto proteico dei legumi è sempre particolarmente alto, soprattutto in relazione alla quota proteica contenuta in qualsiasi altro vegetale consumato. Questo ha portato alla credenza che i legumi possano sostituire, a parità di quantitativo consumato, la carne e i latticini. In realtà, nonostante in una dieta vegetariana i legumi siano fondamentali per assumere la quota proteica di cui l'organismo ha bisogno, non tutte le proteine hanno la stessa qualità, e quella dei legumi ammonta a circa la metà di quella della carne.
Relativamente ai grassi, il contenuto nei legumi è assolutamente trascurabile. Vi sono tuttavia sono alcuni legumi, dette oleaginose, come la soia e le arachidi, che contengono un alto quantitativo di lipidi. Se si osserva però il valore energetico si può vedere che è piuttosto alto rispetto a quello di altri vegetali, e ciò non è dovuto solamente all’alto contenuto in proteine, ma soprattutto a quello di carboidrati. I carboidrati sono infatti la componente che garantisce un maggior valore energetico a questo alimento, e che lo rende così un alimento “completo”, da consumare anche da solo. Il contenuto in fibre, inoltre, è piuttosto elevato e questo rende i legumi alimenti dall’indice di sazietà particolarmente alto. Il contenuto in fibre aiuta le persone che soffrono di stitichezza, di sovrappeso, o di alcune situazioni patologiche come le malattie coronariche, l’aterosclerosi o la calcolosi.
Per quanto riguarda i minerali, i legumi sono particolarmente ricchi in fosforo ma soprattutto in calcio, elemento ricercato sia in alimentazione umana che animale (è da queste piante che i bovini assumono il calcio che si ritrova nel latte e che finisce, per conseguenza, nel formaggio).
Cucinare i legumi
I legumi, come abbiamo visto, si possono trovare in varie forme e possono arrivare sul mercato in seguito a diverse tipologie di conservazione. I legumi che mantengono maggiormente il loro valore nutrizionale sono quelli freschi che tuttavia si trovano solamente nella loro stagione di raccolta; seguono i legumi surgelati, che non subiscono una perdita di sostanze nutritive. Ci sono poi i legumi secchi, che perdono più sostanza a causa del processo di essiccamento e di conservazione, mentre all’ultimo posto si hanno i legumi conservati in barattolo, generalmente legumi freschi che hanno subito il processo di bollitura, e che perdono alcune sostanze nutritive, che finiscono nel liquido di conservazione (liquido di governo) durante la permanenza sugli scaffali degli esercizi commerciali.
Per quanto riguarda i legumi surgelati, questi non devono essere fatti scongelare prima della cottura, pena la perdita di sostanze nutritive con l’acqua di scongelamento.
I legumi secchi
Per quanto riguarda la cottura dei legumi secchi, la prima cosa da fare è una cernita. Spesso, infatti, durante il confezionamento rimangono tra i legumi alcune parti diverse della pianta, o vi sono legumi che presentano dei difetti come l’atrofia; in entrambi i casi potrebbero non cuocere bene. Individuati eventuali semi, essi devono quindi essere rimossi. È opportuno, prima dell’ammollamento, anche lavare i legumi secchi per rimuovere la polvere e gli agenti antimicotici che vengono aggiunti in fase di confezionamento per evitare l’ammuffimento.
I legumi devono quindi essere ammollati, per un tempo che varia in base al singolo legume. E non alla specie, ma anche alla singola varietà: ad esempio, fagioli più piccoli vengono reidratati prima rispetto a quelli più grandi. Il processo è osmotico, per cui l’acqua entra dentro il legume fin quando questo non è saturo, e i legumi non possono crescere più di un certo quantitativo, indipendentemente da quanto restano in acqua. Nell’acqua, però, potrebbe innescarsi il processo di fermentazione batterica, motivo per il quale sarebbe bene cambiare più volte l’acqua di ammollo mentre si aspetta la fine del processo, specialmente se questo è molto lungo. L’acqua deve essere a temperatura ambiente e quantitativamente circa tre volte il peso dei legumi secchi.
L’ultimo passaggio per cucinare i legumi è quello della cottura. I legumi devono essere cotti per uccidere i batteri ma per evitare che possano rompersi durante il processo devono essere messi in acqua a temperatura ambiente, quindi questa deve essere innalzata ma non deve superare di molto la temperatura di ebollizione (e anche se non la raggiunge, se ci sono solo delle bollicine ai lati del contenitore, va bene lo stesso, significa aver raggiunto una temperatura di 80-90 gradi). Si parla di bollitura leggera sobbollitura, e permette di lasciare integri i legumi. Importante anche tappare il contenitore, per non perdere il liquido di evaporazione e quindi molte delle sostanze nutritive, in particolare gli elettroliti, che fuoriescono dai legumi durante il processo di cottura.

Dopo l'impollinazione, il frutto si sviluppa in un legume lungo da 2 a 5 centimetri , che si fa strada sottoterra per maturare, contenente da 1 a 4 semi. L'epiteto specifico (hypogaea) fa riferimento proprio a questa particolarità.I semi di arachide (dal greco αραχίδα), detti anche spagnolette, noccioline americane, bagigi, scachetti, cecini, galette, marchesini, caccaetti o scaccaglie, sono legumi utilizzati per il consumo alimentare umano ed animale. Dai semi si ricava inoltre l'olio di arachidi, oppure si consumano in pasta (burro di arachidi) o interi, dopo essere stati tostati.

L'arachide (Arachis hypogaea L., 1753) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Fabacee (o Leguminose), originaria del Sud America.
I frutti sono chiamati arachidi, spagnolette, noccioline americane, bagigi, scachetti, caccaetti (dal nahuatl tlālcacahuatl, che significa 'cacao di terra', divenuto in spagnolo o cacahuate, nei paesi delle Americhe dove viene usata questa parola, o cacahuete, in Spagna), giapponi o cecini.
È una pianta annuale erbacea con fusto eretto, pubescente, che raggiunge un'altezza fra i 30 e gli 80 cm .
Le foglie sono opposte, paripennate, composte da quattro foglioline lunghe da 1 a 6 centimetri e larghe 0,5–3,5 cm.
I fiori sono tipicamente papillionati, del diametro di 2–4 cm, di colore giallo con venature rossastre.
I principali costituenti di un seme di arachide sono carboidrati semplici (zuccheri) e complessi (amido), protidi (per un totale del 30%) e olio (40-50%).
I semi di arachide vengono solitamente consumati dopo tostatura. Le applicazioni più frequenti sono l'accompagnamento di aperitivi, dove si consumano tostati e salati,nella birra,tostati e zuccherati oppure caramellati. Vengono inoltre ridotti in pasta per ricavare il burro di arachidi, creme spalmabili dolci o salate, gelati, croccanti al caramello e aggiunti, in pasta o in farina, a svariati prodotti da forno quali biscotti, torte o merendine. Dai semi di arachide, inoltre, si ricava l'olio di arachide, che trova un ampio uso in cucina grazie ad un punto di fumo alto, secondo solo all'olio di oliva. Dai semi si isola anche l'arachina.
I semi di arachide vengono solitamente consumati dopo tostatura. Le applicazioni più frequenti sono l'accompagnamento di aperitivi, dove si consumano tostati e salati,nella birra,tostati e zuccherati oppure caramellati. Vengono inoltre ridotti in pasta per ricavare il burro di arachidi, creme spalmabili dolci o salate, gelati, croccanti al caramello e aggiunti, in pasta o in farina, a svariati prodotti da forno quali biscotti, torte o merendine. Dai semi di arachide, inoltre, si ricava l'olio di arachide, che trova un ampio uso in cucina grazie ad un punto di fumo alto, secondo solo all'olio di oliva. Dai semi si isola anche l'arachina.


La fava (Vicia faba L., 1753) è una pianta della famiglia delle Leguminose o Fabaceae.
Possiede un apparato radicale fittonante, con numerose ramificazioni laterali nei primi 20 cm che ospitano specifici batteri azotofissatori (Rhizobium leguminosarum).
Il fusto ha sezione quadrangolare, cavo, ramificato alla base, con accrescimento indeterminato, alto da 70 a 140 cm .
Le foglie, stipolate, glauche, pennato-composte, sono costituite da 2-6 foglioline ellittiche.
I fiori sono raccolti in brevi racemi che si sviluppano all'ascella delle foglie a partire dal 7º nodo. Ogni racemo porta 1-6 fiori pentameri, con vessillo ondulato, di colore bianco striato di nero e ali bianco o violacee con macchia nera. La fecondazione è autogama.
Il frutto è un legume allungato, cilindrico o appiattito, terminante a punta, eretto o pendulo, glabro o pubescente che contiene da 2 a 10 semi con ilo evidente, inizialmente verdi e di colore più scuro (dal nocciola al bruno) a maturità.
In relazione alla grandezza del seme, in Vicia faba L. vengono distinte quattro varietà botaniche:[
Vicia faba var. paugyuga con semi molto piccoli, di origine indiana, non è coltivata
Vicia faba var. minor Beck, detta comunemente favino, con peso dei 1000 semi inferiore a 700 grammi e baccello clavato e corto; è utilizzata come foraggio o sovescio;
Vicia faba var. equina Pers., detta comunemente favetta, con peso dei 1000 semi compreso tra 700 e 1000 grammi e baccello clavato e allungato.

Il pisello (Pisum sativum L., 1753) è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia Fabaceae, originaria dell'area mediterranea e orientale.
La pianta è largamente coltivata per i suoi semi, consumata come legume o utilizzata come alimento per il bestiame. Il termine designa anche il seme della pianta, ricco di amidi e proteine (dal 16 al 40%)
Il pisello è coltivato dall'era neolitica e ha accompagnato i cereali nelle origini dell'agricoltura nel Vicino Oriente. Nell'Antichità e nel Medio Evo è stato un alimento base in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Ai nostri giorni, la sua coltura è praticata nei cinque continenti, particolarmente nelle regioni a clima temperato dell'Eurasia e dell'America del Nord.
Il pisello secco è un alimento tradizionalmente importante in alcuni paesi, in particolare nel subcontinente indiano e in Etiopia, ma è relativamente in disuso come farinaceo e come fonte di proteine nella maggior parte dei paesi occidentali, dove è ormai principalmente coltivato per l'alimentazione animale o per l'esportazione. Dopo il XVII secolo, il pisello è divenuto un legume fresco popolare, la cui consumazione durante tutto l'anno è favorita dalle tecniche di conservazione e di surgelazione.
Il pisello è soggetto a diversi tipi di coltura, a secondo dei paesi e della destinazione dei prodotti. I piselli secchi sono coltivati tradizionalmente in un certo numero di paesi del Terzo Mondo dove costituiscono una coltura di sussistenza, praticata nella stagione fredda o in altitudine, in particolare in Africa orientale (Etiopia, Uganda, Kenya). Nei paesi industrializzati (Europa, Canada, Stati Uniti) è essenzialmente una coltura meccanizzata rivolta principalmente all'alimentazione animale, all'industria conserviera e alla surgelazione, ma anche in orticoltura professionale per il mercato del fresco. I piselli sono spesso presenti negli orti familiari.
Il pisello si riproduce unicamente per seme. In terreni poveri la inoculazione delle sementi con ceppi di Rhizobium può migliorare la resa della coltura, ma tale pratica non è generalmente necessaria nella maggior parte dei casi.
Nei paesi temperati, il pisello si semina sia a fine inverno o all'inizio della primavera, sia in autunno, nelle regioni dove le gelate non sono troppo temibili, o più a nord ricorrendo a delle varietà resistenti al freddo (varietà invernali). Il pisello è in effetti una pianta annuale senza dormienza, che può essere seminata senza necessità di vernalizzazione. Le varietà invernali permettono di guadagnare in precocità di raccolta e in rendimento. Per i piselli da conserva, seminati in primavera, le semine sono scaglionate in maniera da distribuire il carico di lavoro delle macchine. Nei paesi tropicali e subtropicali, i piselli si coltivano nella stagione fredda. In Cina e a Taiwan è praticata la coltura intensiva in serra di cime di piselli mangiatutto, che vengono raccolti freschi non appena la pianta raggiunge i 10 cm di altezza.
Il ciclo vegetativo dei piselli è di circa 140 giorni per le varietà primaverili, potendo scendere a 90 giorni per le varietà ultra-precoci e a 240 giorni per le varietà invernali.
Usi alimentari
Dalla pianta di pisello si ricavano vari tipi di alimento, sia per l'uomo che per il bestiame:
i piselli secchi, cioè i semi raccolti a maturità, costituiscono un legume secco, e sono utilizzati anche per gli animali domestici, sia come grani interi (volatili) che sotto forma di farina (suini e bovini); rappresentano inoltre una importante materia prima per l'industria di trasformazione (amidi, estratti proteici)
i piselli freschi, sia sotto forma di semi immaturi che di baccelli interi ugualmente immaturi, sono un legume fresco
i giovani germogli foliari sono anch'essi usati nell'alimentazione umana, particolarmente in Asia, così come i semi germogliati
la pianta nel suo insieme, sia fresca che essiccata, è utilizzata come foraggio per i ruminanti.
Nell'alimentazione umana i piselli orticoli si utilizzano sia freschi, che secchi.
I piselli freschi, noti come «piselli novelli» (o «petit pois» in francese) possono essere consumati subito dopo la raccolta ovvero essere conservati o surgelati; alcune varietà, le cosiddette «mangiatutto», si consumano con tutto il baccello.
Nell'Unione europea, sia i piselli da sgusciare che i "mangiatutto" devono rispettare delle norme di commercializzazione fissate da un regolamento comunitario del 1999, che prevede la loro classificazione in due categorie in base ad alcuni standard di qualità.
Nei piselli secchi il seme, che può essere verde o giallo, viene ripulito dei suoi tegumenti e i due cotiledoni sono separati. I piselli secchi vengono spesso preparati in forma di creme o purea.


Lens culinaris Medik. è una pianta dicotiledone della famiglia delle Fabaceae (o Leguminose) detta volgarmente lenticchia, coltivata sin dall'antichità.
È una pianta annuale, utilizzata per i semi commestibili, ricchi di proteine e di ferro noti come lenticchie.
Diverse sono le varietà di lenticchie. I frutti sono dei legumi che contengono due semi rotondi appiattiti. Le lenticchie fanno parte dei legumi secchi apprezzati in Europa anche se la produzione mondiale non è elevata: 3.841.883 t (2004).
Diverse sono le varietà di lenticchie. I frutti sono dei legumi che contengono due semi rotondi appiattiti. Le lenticchie fanno parte dei legumi secchi apprezzati in Europa anche se la produzione mondiale non è elevata: 3.841.883 t (2004).
La lenticchia rappresenta una delle prime specie domesticate: testimonianze archeologiche relative alla grotta di Franchthi in Grecia dimostrano che venisse mangiata tra il 13.000 e l'11.000 a .C..
È stata una delle prime colture domesticate e il suo consumo viene attestato nell'episodio biblico di Esaù, nella Genesi.
La lenticchia è una pianta annuale erbacea, alta da 20 cm a 70 cm . Gli steli sono dritti e ramificati.
Le foglie sono alterne e composte (imparipennate con 10-14 foglioline oblunghe) e terminano con un viticcio generalmente semplice o bifido. Sono munite alla base di stipole dentate.
I fiori, a corolla papilionacea tipica della sottofamiglia delle Faboideae, sono di color bianco o blu pallido e riuniti in grappoli da due a quattro. Il calice è regolare, a cinque denti sottili e relativamente lunghi. La fioritura avviene tra maggio e luglio.
I frutti sono dei baccelli appiattiti, corti, contenenti due semi dalla caratteristica forma a lente leggermente bombata. Il colore dei semi varia secondo le varietà da pallido (verde chiaro, biondo, rosa) a più scuro (verde scuro, bruno, violaceo).
Distribuzione e habitat
Questa specie è originaria delle regioni temperate calde del mondo antico:
Sud-Est dell'Europa: Cipro e Grecia
Asia Minore e Vicino Oriente: Turchia, Siria, Libano, Israele, Giordania, Iraq, Iran
Caucaso e Asia Centrale: Azerbaigian, Georgia, Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Afghanistan e Pakistan.
Principali varietà coltivate
Asia Minore e Vicino Oriente: Turchia, Siria, Libano, Israele, Giordania, Iraq, Iran
Caucaso e Asia Centrale: Azerbaigian, Georgia, Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Afghanistan e Pakistan.
Principali varietà coltivate
Svariate sono le cultivar di Lens culinaria in tutto il mondo. In Europa alcune cultivar sono state considerate prodotti tipici e dotate di denominazioni di origine (per es. la lenticchia verde di Puy AOC in Francia).
In alcuni casi vengono vendute decorticate come la lenticchia corallo o rosa o la Petite Golden.
Commercialmente le cultivar si possono dividere in base al colore - verde (Richlea, Laird), giallo, rosso, marrone (Masoor dalla buccia marrone e l'interno aranciato) - e alla taglia (piccole, medie, grandi).
In alcuni casi vengono vendute decorticate come la lenticchia corallo o rosa o la Petite Golden.
Commercialmente le cultivar si possono dividere in base al colore - verde (Richlea, Laird), giallo, rosso, marrone (Masoor dalla buccia marrone e l'interno aranciato) - e alla taglia (piccole, medie, grandi).
In Italia, le cultivar di lenticchie più diffuse sono:
Lenticchia di Castelluccio di Norcia a Indicazione geografica protetta (I.G.P.) e a Denominazione di origine protetta (D.O.P.)
Lenticchia di Colfiorito prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Ustica prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Onano prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Altamura prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Villalba prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Ventotene prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Rascino prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Valle Agricola prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia nera di Leonforte o dei Monti Erei PAT
Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Ustica prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Onano prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Altamura prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Villalba prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Ventotene prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Rascino prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Valle Agricola prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia nera di Leonforte o dei Monti Erei PAT
Produzione
La lenticchia è relativamente tollerante alla siccità e viene coltivata in tutto il mondo. Secondo i dati forniti dalla FAOSTAT (FAO) nel 2013 la produzione mondiale di lenticchie è stimata in 4,9 milioni di tonnellate.
Le principali zone di produzione sono il Canada (il più grande esportatore al Mondo), il Subcontinente indiano (il maggior produttore al mondo, la cui produzione viene per lo più esaurita in loco) e la Turchia.


Il cece (Cicer arietinum L.) è una pianta erbacea della famiglia delle Fabaceae. I semi di questa pianta sono i ceci, legumi ampiamente usati nell'alimentazione umana che rappresentano un'ottima fonte proteica.
Il nome deriva dal latino cicer. È noto che il cognome di Cicerone discendeva da un suo antenato che aveva una caratteristica verruca a forma di cece sul naso.
Il nome specifico arietinum si riferisce invece alla somiglianza che hanno i semi con il profilo della testa di un ariete.
È stata una delle prime colture domesticate; il cece coltivato deriva da forme selvatiche del genere Cicer, probabilmente da Cicer reticulatum. Le specie selvatiche si sono originate probabilmente in Turchia, mentre le prime testimonianze archeologiche della coltivazione del cece risalgono all'età del bronzo e sono state rinvenute in Iraq; i ceci si diffusero in tutto il mondo antico: antico Egitto, Grecia antica, Impero romano.
È stata una delle prime colture domesticate; il cece coltivato deriva da forme selvatiche del genere Cicer, probabilmente da Cicer reticulatum. Le specie selvatiche si sono originate probabilmente in Turchia, mentre le prime testimonianze archeologiche della coltivazione del cece risalgono all'età del bronzo e sono state rinvenute in Iraq; i ceci si diffusero in tutto il mondo antico: antico Egitto, Grecia antica, Impero romano.
La pianta, annuale, presenta una radice ramificata profonda (le più profonde possono arrivare anche a 1,20 m di profondità) le quali le donano una media resistenza alla siccità. Gli steli sono ramificati eretti pelosi eretti o semiprostrati con altezza variabile tra i 40 e gli 80 cm . Le foglie sono opposte, composte e imparipennate con 6-7 paia di foglioline ellittiche e denticolate; i fiori sono solitari ascellari, bianchi, rosei o rossi; i semi, rotondeggianti e lisci o rugosi, angolosi e rostrati a seconda della cultivar, sono contenuti in numero di 2-3 nei baccelli, sono commestibili.
I ceci, semi del Cicer arietinum, sono tra i legumi più coltivati al mondo.
I ceci, semi del Cicer arietinum, sono tra i legumi più coltivati al mondo.
Il cece è la terza leguminosa per produzione mondiale, dopo la soia e il fagiolo; la coltivazione avviene principalmente in India e Pakistan. In Italia la coltivazione non è molto diffusa a causa delle basse rese e della scarsa richiesta; viene consumato principalmente in Liguria, dove piatti tipici a base di ceci sono la farinata e la panissa, nelle regioni centrali come minestra e nelle regioni meridionali insieme con la pasta.
Questa pianta trova le sue condizioni ottimali in ambienti semiaridi, nei climi temperati viene seminato a fine inverno (data la sua scarsa resistenza al freddo) con seminatrici di precisione o seminatrici da frumento opportunamente regolate in modo da non spezzare il seme. Questo viene disposto ad una distanza tra le file di 35–40 cm ad una profondità di semina di 5–7 cm e con una densità di 20-30 piante al metroquadro. Per prevenire attacchi crittogamici alla pianta i semi vanno prima conciati. Raggiunta la maturazione il cece può essere raccolto sia con il metodo tradizionale (ormai quasi scomparso) estirpando la pianta, lasciandola essiccare in campo e sgranata a mano o con mietitrebbiatrice con pick-up al posto dell'organo falciante, sia con metodi meccanici con l'intervento di mietitrebbiatrici possibili solo in terreni livellati e su varietà a portamento eretto. Presenta una produzione media di 3.5 tonnellate ad ettaro con produzione di paglia dalle scarse qualità nutrizionali per l'utilizzo zootecnico.
Durante il suo ciclo necessita di una concimazione di 40–60 kg/ettaro di fosforo, per quanto riguarda il fabbisogno di azoto, è fornito dai batteri del genere Rizobium i quali, attraverso la simbiosi con questa pianta si occupa della fissazione dell'azoto atmosferico nel terreno.
Il cece non sopporta terreni troppo fertili i quali gli comportano una bassa allegagione, argillosi per asfissia radicale o ristagni idrici.


Il fagiolo (Phaseolus vulgaris L., 1758) è una pianta della famiglia delle leguminose originaria dell'America centrale. Fu importato, a seguito della scoperta dell'America, in Europa dove esistevano unicamente fagioli di specie appartenenti al genere Vigna, di origine subsahariana: i fagioli del genere Phaseolus si sono diffusi ovunque soppiantando il gruppo del mondo antico, in quanto si sono dimostrati più facili da coltivare e più redditizi (rispetto al Vigna la resa per ettaro è quasi doppia).
Il fagiolo viene coltivato per i semi, raccolti freschi (fagioli da sgranare) o secchi, oppure per l'intero legume da mangiare fresco (fagiolini o cornetti). Le varietà a ciclo vegetativo più lungo, nelle regioni temperate sono seminate in primavera, quelle a ciclo più breve in estate. Nel caso dei fagioli rampicanti è necessaria la collocazione di sostegni.
Principali varietà da seme:
Bingo
Blason de Biella
Blason de Biella
Blu della Valsassina
Borlotto Lingua di Fuoco e Borlotto Lingua di Fuoco Nano
Borlotto Suprema dwarf
Borlotto di Vigevano Nano
Cannellin Scaramanzin negrèè
Cannellino o Lingot
Fejuolo pacificus el drammoso cotenna
Cantare
Bianco di Spagna (fagiolana)
Giallorino della Garfagnana
Lamon (Lucian Fejuol)
Meraviglia di Venezia black
Romano Pole
Fesciela lamon negrucc fagiolos de Biella
Castagnaio fejuolo marron's
Sossai Extra Large (varietà protetta)
Stregonta e Stregonta Nano
Superbo Migliorato
Elegante fagiolo
Fagiolo maggiolino
Fagiolo patrone
Principali varietà "mangiatutto" (fagiolino, piattone, ecc.):
Anellino Giallo e Verde
Beurre de Rocquencourt
Bobis Bianco
Bobis a Grano Bianco e Bobis a Grano Nero
Cornetto Largo Giallo e Cornetto Largo Verde
Nano Burro mangiatutto
Nerina mangiatutto
Paguro fagiolato mangiatutto
Prelude dwarf mangiatutto
Slenderette mangiatutto
Superpresto mangiatutto
Trionfo Violetto mangiatutto
Wade mangiatutto
Varietà tipiche italiane
Borlotto di Vigevano Nano
Cannellin Scaramanzin negrèè
Cannellino o Lingot
Fejuolo pacificus el drammoso cotenna
Cantare
Bianco di Spagna (fagiolana)
Giallorino della Garfagnana
Lamon (Lucian Fejuol)
Meraviglia di Venezia black
Romano Pole
Fesciela lamon negrucc fagiolos de Biella
Castagnaio fejuolo marron's
Sossai Extra Large (varietà protetta)
Stregonta e Stregonta Nano
Superbo Migliorato
Elegante fagiolo
Fagiolo maggiolino
Fagiolo patrone
Principali varietà "mangiatutto" (fagiolino, piattone, ecc.):
Anellino Giallo e Verde
Beurre de Rocquencourt
Bobis Bianco
Bobis a Grano Bianco e Bobis a Grano Nero
Cornetto Largo Giallo e Cornetto Largo Verde
Nano Burro mangiatutto
Nerina mangiatutto
Paguro fagiolato mangiatutto
Prelude dwarf mangiatutto
Slenderette mangiatutto
Superpresto mangiatutto
Trionfo Violetto mangiatutto
Wade mangiatutto
Varietà tipiche italiane
Borlotto nano di Levada PAT
Fagiolino Meraviglia di Venezia PAT
Fagiolo bianco di Pigna
Fagiolo di Atina
Fagiolo di Carìa
Fagiolo di Controne PAT
Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP
Fagiolo di Negruccio di Biella
Fagiolo di Saluggia PAT
Fagiolo di Sarconi IGP
Fagiolo di Sorana IGP
Fagiolo Gialét PAT
Fagiolo Scalda PAT
Fagiolo Tondino di Villaricca (NA)
Fagiolo zolfino
Fasóla posenàta di Posina (var. fagiolo di Spagna) PAT Fasou de' Brebbie (Fagiolo di Brebbia)
Fagiolino Meraviglia di Venezia PAT
Fagiolo bianco di Pigna
Fagiolo di Atina
Fagiolo di Carìa
Fagiolo di Controne PAT
Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP
Fagiolo di Negruccio di Biella
Fagiolo di Saluggia PAT
Fagiolo di Sarconi IGP
Fagiolo di Sorana IGP
Fagiolo Gialét PAT
Fagiolo Scalda PAT
Fagiolo Tondino di Villaricca (NA)
Fagiolo zolfino
Fasóla posenàta di Posina (var. fagiolo di Spagna) PAT Fasou de' Brebbie (Fagiolo di Brebbia)
Fagiolino
Appartenenti alla famiglia delle Leguminose, come i fagioli, i fagiolini sono ricchi di sali minerali. Oltre a nutrire e rinfrescare l'apparato gastrointestinale, svolgono una spiccata azione diuretica. Per il buon contenuto di vitamina A, proteine e potassio sono raccomandati nelle malattie cardiache. Il fagiolino ha un basso potere calorico (17 Kcal. per 100 g . di sostanza) ed è molto ricco di fibra alimentare. Pur essendo una leguminosa la concentrazione di proteine è bassa: questo è dovuto al fatto che la raccolta del baccello viene effettuata quando ancora il fagiolo all'interno è in fase di maturazione e non ha ancora accumulato tutte le sostanze di riserva che gli saranno necessarie al momento della germinazione. Il fagiolino è dunque da considerare un ortaggio piuttosto che un legume.
Cenni storici
Il fagiolo, originario del Messico e dell'America centrale, fu introdotto dai conquistatori spagnoli in Europa all'inizio del XVI secolo, dove, per la verità, già esistevano alcune specie consimili (ad esempio la Fagiolina del Trasimeno). Il fagiolo viene coltivato per i semi, raccolti freschi (fagioli da sgranare) o secchi, oppure per l'intero legume da mangiare fresco (i fagiolini).
Coltivazione
Nel mondo si producono complessivamente oltre 16 milioni di tonnellate di fagioli l’anno. Il primo posto va all’India, seguita da Brasile, Cina, Birmania, Messico, Indonesia e Stati Uniti. Se invece si ordinano i maggiori produttori del mondo in base alla resa per ettaro, l’India diventa il fanalino di coda, mentre il primo posto va agli Stati Uniti, seguiti da Canada, Indonesia e Cina. Le 2 570 000 tonnellate di fagioli indiane, infatti, sono prodotte annualmente su una superficie di oltre 7 milioni di ettari, mentre gli Usa ricavano 886 360 tonnellate da 560 000 ettari . Molto più ridotta la produzione di fagioli del genere Vigna: poco più di 3 milioni di tonnellate, dei quali oltre 2 milioni concentrati in Nigeria.
Varietà
Quando si parla di fagiolino ci si riferisce alle varietà di fagiolo che mantengono tenero (e, quindi, adatto al consumo) l'intero frutto, cioè il legume o baccello che racchiude i fagioli. Numerose sono le varietà che vengono coltivate: fagiolini verdi fini (con baccelli lunghi), i fagiolini "mangiatutto", la varietà di colore giallo e i diversi ibridi.Secondo la maturità del fagiolino, si distinguono diversi calibri: molto fini, fini e medi
Come scegliere
Controllare che il fagiolino abbia un bel colore verde intenso. Evitate il fagiolino troppo grosso perchè dentro contiene il seme che non è gradevole al palato. Se comprati già spuntati vanno usati in brevissimo tempo perchè conservati in frigorifero potrebbero marcire alle estremità.
Come conservare
In frigorifero chiusi in un sacchetto di plastica per alimenti, possono essere conservati 3-4 giorni; se hanno ancora il picciolo (che è segno di freschezza), possono resistere fino ad un massimo di 7 giorni.
Spuntati e dopo l'eliminazione dell'eventuale filo, possono essere sbollentati per 2 minuti circa e successivamente surgelati e riposti in sacchetti di plastica: in questo modo possono essere conservati fino ad 1 anno.
Prodotti a marchio
Fagiolo di Sarconi IGP: prodotto prevalentemente nella varietà Borlotto nano e Cannellino, ha forma ovale o tondeggiante e colore dal giallo pallido al bianco, con s triature più scure. Il sapore è delicato e piacevole. Il fagiolo è coltivato da secoli nella zona di origine, che comprende i territori dei seguenti comuni in provincia di Potenza: Sarconi, Grumento Nova, Marsiconuovo, Marsico Vetere, Moliterno, Montemurro, Paterno, S. Martino d’Agri, Spinisio, Tramutola, Biggiano. E’ prodotto prevalentemente nelle varietà Borlotto nano e Cannellino. Ha forma ovale o tondeggiante e colore dal giallo pallido al bianco, con striature più scure.
Fagiolo di Sorana IGP: il fagiolo ha colore bianco latte con leggere venature perlacee, o rosso vinato con striature di colore più intenso. Presenta una forma schiacciata, quasi piatta per il tipo bianco, quasi cilindrica cojn tegumento più consistente per il tipo rosso. Il gusto è pieno e delicato e la buccia molto tenera. La zona di produzione comprende la parte del territorio del Comune di Pescia (Pistoia) che ricade nei versanti orientale e occidentale del torrente Pescia di Pontito. A renderlo un cibo particolarmente ricercato, oltre alle caratteristiche organolettiche sono le sue caratteristiche di facile digeribilità.