martedì 21 gennaio 2025

Corso di cucina: 21 Focacce tipiche

BARTOLACCIO
200 g di farina
300 g di patate
50 g di pancetta
50 g di parmigiano grattugiato
20 g di lievito di birra
1 cucchiaio di strutto
sale
pepe
Lessare le patate, intanto che queste cuociono preparare l’impasto con la farina, lo strutto, il lievito di birra e acqua quanto basta. Lavorare il tutto per cinque/sei minuti. Lasciare lievitare l'impasto coperto e al caldo per circa un'ora. Nel frattempo rosolare la pancetta tagliata a cubetti, condire con sale e pepe. Quando le patate saranno cotte schiacciarle in una ciotola, aggiungere la pancetta, il pecorino e la noce moscata, mescolare fin quando gli ingredienti saranno ben amalgamati e aggiustare di sale e pepe. Ora tirate la sfoglia non troppo grossa altrimenti non cuoce bene, non troppo sottile perchè potrebbe rompersi col peso del ripieno. A questo punto potete scegliere se tagliare la sfoglia a dischi o a rettangoli. Riempite ogni metà di rettangolo/disco lasciando vuoto un po’ di bordo poi ripiegate la sfoglia vuota, sigillate bene e rifilate con la forchetta. Quando saranno pronti tutti li cuocete su di una piastra molto calda girandoli per non farli bruciare. Se avete una stufa a legna potete utilizzare la teglia in terra cotta che è l’ideale e, se ne avanza qualcuno, sono ottimi anche freddi il giorno dopo.
Il Bartolaccio, o bartlàz in dialetto forlivese, è un prodotto alimentare tipico dell'Appennino forlivese. Noto ad esempio è quello di Tredozio. Si compone di una sfoglia sottile, i cui ingredienti sono soltanto acqua e farina, farcita di un particolare ripieno: purea di patate, pancetta, formaggio grana stagionato, sale e pepe. La sfoglia, poi, è richiusa su se stessa in modo da formare una mezzaluna (a somiglianza di un crescione). Il tutto è quindi cotto sulla piastra. Si tratta di un prodotto della tradizione contadina povera.

CALZONE AL FORNO BARESE
calzone al forno barese
Il calzone al forno è una specialità gastronomica originaria della  cucina barese derivando dalla focaccia alla barese: le varianti sono praticamente centinaia poiché diffondendosi in Italia e all'estero le ricette locali hanno adottato ingredienti caratteristici delle più disparate località. Questo tipo di calzone si cuoce sempre nel forno: a legna o alimentato dai vari tipi d'energia.
Il calzone più diffuso in Puglia, delle dimensioni di una normale focaccia, è a forma circolare fatto con sfoglia all'olio che avvolge un ripieno di spaghettini o capellini, inseriti nel calzone pochi minuti dopo averli cotti e scolati, con cipolla, acciughe, capperi e olive. Le varianti di farciture comprendono filetti di pesce, carne tritata, fior di latte, ricotta e altro; le varianti di forma comprendono quelle tubolare e rettangolare.

CANASCIONE
canascione
Il canascione o 'a pizza chiena (la pizza ripiena) è una torta rustica salata composta da una pasta simile a quella della pizza e farcita con un ripieno di uova, salumi (prosciutto crudo) e formaggi (pecorino).
È un prodotto della tradizione gastronomica contadina, diffuso soprattutto nel nord della Campania (Napoli e Caserta) e in Ciociaria. È una ricetta tipica del periodo pasquale, soggetta a numerose varianti regionali per quanto riguarda la farcitura, mentre gli ingredienti per la pasta sono identici in ogni luogo.

FAZZINO DELLA VAL BORMIDA
Il Fazzino, (lisone o lisotto) è prodotto indistintamente un po' in tutta la val Bormida, terra di castagne, funghi e patate dove la tradizione culinaria offre piatti di origine contadina dal gusto semplice ed antico. Ma è a Murialdo che trova la sua terra d'elezione. In località Riofreddo, il 16 agosto, è possibile degustarlo in occasione della festa di San Rocco.
Ogni paese della valle apporta leggere variazioni alla ricetta base, creando così un prodotto che muta nel gusto.
Ancora un esempio di come l'unione di elementi semplici e poveri possa creare un piatto gustoso e sostanzioso che ha saputo superare inalterato le mode: è il fazzino, lisone o lisotto, morbida focaccina di patate con una leggera cavità all'interno per raccogliere i condimenti tipici, ottime se cotte sulla stufa a legna, come vuole la tradizione.
Ingredienti: farina, lievito di birra, patate, sale.
Preparazione: fate bollire le patate con la pelle e passatele quando sono ancora calde, unitele poi alla farina e al lievito (o bicarbonato), aggiungendo un pizzico di sale. Impastate il tutto sino ad ottenere un impasto molle. Formate quindi delle palline grosse quanto una patata media e ponetele in frigo a lievitare per mezz'ora.
Nel frattempo tagliate a spicchi la cipolla e fatela ammorbidire in acqua e sale. Mettetene un pò su ogni pallina insieme all'olio e lasciate lievitare in frigo per un'altra mezz'ora.
Dopo la lievitazione spruzzate con acqua e mettete a cuocere. C'è chi, invece di far lievitare l'impasto, lo stende direttamente (sostituendo il bicarbonato al lievito), e lo taglia a rombi. Una volta cotti possono essere conditi oppure no, a seconda dei gusti e delle tradizioni, e si servono ancora caldi.
A Pallare si prevede l'impiego di una cipolla, o del porro unito all'uovo e all'olio; a Osiglia si usa l'aglio o il pesto; a Calizzano non è previsto nessun tipo di condimento.

farina,
lievito di birra,
patate,
sale.
Fate bollire le patate con la pelle e passatele quando sono ancora calde, unitele poi alla farina e al lievito (o bicarbonato), aggiungendo un pizzico di sale. Impastate il tutto sino ad ottenere un impasto molle. Formate quindi delle palline grosse quanto una patata media e ponetele in frigo a lievitare per mezz'ora.
Nel frattempo tagliate a spicchi la cipolla e fatela ammorbidire in acqua e sale. Mettetene un pò su ogni pallina insieme all'olio e lasciate lievitare in frigo per un'altra mezz'ora.
Dopo la lievitazione spruzzate con acqua e mettete a cuocere. C'è chi, invece di far lievitare l'impasto, lo stende direttamente (sostituendo il bicarbonato al lievito), e lo taglia a rombi. Una volta cotti possono essere conditi oppure no, a seconda dei gusti e delle tradizioni, e si servono ancora caldi.
A Pallare si prevede l'impiego di una cipolla, o del porro unito all'uovo e all'olio; a Osiglia si usa l'aglio o il pesto; a Calizzano non è previsto nessun tipo di condimento.

FOCACCETTE AL FORMAGGIO
Le focaccette al formaggio (in dialetto genovese 'e fugasette) sono una pasta ripiena di formaggio e fritta; sono una specialità tipica della cucina della riviera ligure di levante, Sori, Recco, Uscio, Camogli, tutti comuni della provincia di Genova, che si affacciano nel Golfo Paradiso e che è diventata nota in tutto il mondo.
Da oltre 40 anni si svolge ogni anno a Recco la Sagra delle Focaccette, in concomitanza con la Festività della Santa Spina, nel giorno di Pasquetta e la domenica successiva. Ottanta persone della comunità parrocchiale di N.S. delle Grazie di Megli, preparano le famose focaccette col formaggio, gustose frittelle salate, con una sfoglia croccante e sottile, ripiene di formaggio stracchino, fritte nell’olio bollente. Vengono preparate circa 3.500 focaccette, per la preparazione delle quali occorrono circa 400 kg di farina, 400 litri di olio, in un padellone di circa 2,00 m. di diametro, visibile al pubblico. Il padellone contiene circa 150 litri d’olio per ogni turno di frittura.
La focaccetta col formaggio può essere considerata una variazione della famosa focaccia col formaggio originaria di Recco: in effetti gli ingredienti adoperati sono molto simili, alla tradizionale focaccia senza lievito, fatta con farina, acqua e olio, viene in questo caso aggiunto del formaggio di tipo crescenza, varianti casalinghe con altri formaggi come la prescinsêua, il grana grattugiato o il gorgonzola; mentre diversi sono ovviamente il modo di preparazione e la procedura di cottura, che nel caso delle focaccette prevede un taglio rotondo o quadrato e la frittura. Variante casalinga è di cuocerle al forno, con un velo d'olio nella teglia.
Alle focaccette col formaggio si abbina un vino bianco, fresco e leggero come il Vermentino.
Le focaccette al formaggio molto spesso vengono inserite in un assortimento di antipasti, come i grissini al timo, le frittelle salate di cipolla e le frittelle di lattuga, i biscotti salati, le olive marinate.

FOCACCIA BARESE
focaccia alla barese
La focaccia tipica barese è un prodotto lievitato da forno tipico della Puglia e diffuso specialmente nelle province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Taranto, dove la si può trovare abitualmente nei panifici. Nasce, probabilmente ad Altamura o Laterza, come variante del tradizionale pane di grano duro, probabilmente dall'esigenza di sfruttare il calore iniziale forte del forno a legna, prima che questo si stabilizzi sulla temperatura ideale per cuocere il pane. Prima di procedere all'infornamento delle pagnotte, si stendeva un pezzo di pasta di pane cruda su una teglia, lo si lasciava riposare un po', dunque lo si condiva e infine lo si cuoceva.
Trattandosi di un prodotto della tradizione, la ricetta, tramandata di generazione in generazione, presenta numerose varianti, per lo più su base geografica.
Nella sua versione più tipica, la base della focaccia si ottiene amalgamando semola rimacinata, patate lesse, sale, lievito e acqua così da ottenere un impasto piuttosto elastico, molle ma non appiccicoso, che viene lasciato lievitare, steso in una teglia tonda unta con molto olio extravergine d'oliva, quindi lasciato lievitare di nuovo, condito e cotto, preferibilmente in forno a legna.
L'olio viene anche versato sulla superficie della focaccia insieme al condimento. Circa quest'ultimo, che va posto sull'impasto inderogabilmente prima della cottura, è possibile distinguere almeno tre varianti tradizionali:
la focaccia per eccellenza, che prevede pomodori freschi e/o olive baresane;
la focaccia alle patate, che prevede il ricoprimento dell'intera superficie superiore con fette di patata spesse circa 5 mm;
la focaccia bianca, condita con sale grosso e rosmarino.
A tali varianti se ne affiancano altre, che di volta in volta prevedono l'aggiunta di peperoni, melanzane, cipolle o altre verdure.
Al termine della cottura, si sarà ottenuta una spianata più soffice della pizza con un'altezza di 1-3 cm. Va gustata calda per assaporarne appieno la fragranza.

FOCACCIA CON LE CIPOLLE
La focaccia con le cipolle alla genovese (a fugàssa co-e çiòule in lingua genovese) è una variante della comune focaccia genovese. Alimento di antiche tradizioni nei quartieri più popolari di Genova e colazione usuale degli scaricatori del porto perché capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame. La focaccia con la cipolla è un alimento molto economico ed è possibile prepararla anche in casa. A Genova molte persone mangiano la focaccia con le cipolle per colazione, intinta nel caffelatte o al bar con un buon bicchiere di vino bianco (u gianchettu).
L'impasto è come quello per la focaccia genovese: farina, acqua, lievito di birra, olio e sale.
Si usa l'olio d'oliva in quantità che può variare rispetto al peso della farina: più olio si aggiunge e più la focaccia viene unta. Per farla indorare molto bisogna aggiungere del malto. La pasta va lavorata col mattarello e tirata una sfoglia il più sottile possibile, al massimo mezzo centimetro, delle dimensioni della teglia da forno che si usa e una volta posizionata nella teglia unta d'olio, bisogna schiacciarla il più possibile, con la punta delle dita. Le cipolle, abbondanti, tagliate sottile, crude, irrorate con un poco d'olio e sale, si aggiungono a lievitazione avvenuta, prima di mettere nel forno. La temperatura del forno e i tempi di cottura variano dal tipo di forno che si usa: in media, forno ad alta temperatura per il tempo minimo per rendere cotta la farina. La morbidezza dipende dal tempo di cottura, meno si cuoce e più rimane molle.

FOCACCIA DI PATATE
500 g di farina, 
300 g di patate quarantine, 
olio, 
sale, 
pepe, 
lievito di birra q.b.
Bollire le patate e farle raffreddare. Impastare insieme le patate, la farina, l'acqua l'olio ed il lievito. Far lievitare il tempo necessario. Stendere l'impasto in una teglia unta e cuocere in forno a 200° per circa 30 minuti. Dopo la cottura gettare qualche chicco di sale grosso sulla focaccia ancora calda.

FOCACCIA DI RECCO
300 grammi di farina di grano duro,
500 grammi di formaggetta ligure o crescenza,
acqua,
olio extravergine di oliva,
sale.
Preparate la sfoglia unendo due parti di farina e una d'acqua e volendo un po' d'olio. Formate un panetto e fatelo riposare sotto uno strofinaccio in un luogo tiepido al riparo dalle correnti. Dividete la pasta in due tirando due sfoglie molto sottili, quasi trasparenti. Stendetene una sul fondo di una teglia ben unta e distribuitevi sopra il formaggio a pezzetti. Coprite con l'altra sfoglia, chiudete bene i bordi e praticate dei piccoli fori sullo strato superiore. Cospargete di sale, spalmate con olio e infornate per 10-15 minuti a temperatura elevata.

FOCACCIA LIGURE
La focaccia classica di Genova, meglio conosciuta come focaccia alla genovese (in lingua ligure a fugàssa), è una specialità tipica della cucina ligure: sorta di pane piatto (al massimo 2 cm) si distingue perché, prima dell'ultima lievitazione viene spennellata con un'emulsione composta da olio extravergine d'oliva, acqua e sale grosso, la si può consumare già a colazione, come "rompi digiuno" nella mattinata o come aperitivo-antipasto.
È particolarmente gradevole se accompagnata con un buon bicchiere di vino bianco (o gianchetto - pron. [u gianchettu] in lingua ligure) che ne favorisce la digestione. I genovesi usano anche inzuppare la focaccia nel caffelatte come colazione.
La focaccia viene preparata nei forni di ormai diverse città italiane, ma risulta spesso differente da quella tradizionale genovese. A parere di molti, infatti, la vera focaccia alla genovese la si può apprezzare solo nelle città liguri e nei borghi dislocati lungo la riviera ligure. I buongustai sono soliti aspettare di acquistarla calda, appena uscita da una delle varie infornate che si succedono nella mattinata, come si usa per la farinata. La focaccia è tipica del mattino, la farinata della sera, anche se ormai con i tempi moderni questo ritmo si è perso.
Il segreto della sua fragranza è costituito dalla qualità della farina e soprattutto dall'uso di olio extravergine d'oliva.
La elaborata lievitazione e l'accurata lavorazione della pasta richiedono una ventina di ore (ecco perché il prodotto risente decisamente delle condizioni climatiche, riuscendo meno buono nelle giornate particolarmente piovose); l'optimum di cottura lo garantisce soltanto un forno da panettiere (meglio se a legna), tuttavia una discreta focaccia può essere preparata anche nella cucina di casa. La sua variante più classica consiste nella sua ricopertura con cipolle tagliate assai finemente (fugàssa co-a çiòula).
Nella sua versione classica gli ingredienti occorrenti sono:
Farina bianca di grano tenero tipo 00 o 0 di media forza (W 200-300, 500 g)
lievito di birra (quantità variabile a seconda delle condizioni climatiche. Per una lievitazione di 20 ore con temperatura ambiente di 20 °C 0.1%)
acqua pura (400 g) oppure una miscela di acqua e vino bianco (300 g acqua e 100 g di vino bianco)
sale fino per l'impasto (10-15 g) e sale grosso per il condimento (10 g)
olio d'oliva extravergine (100 g, includendo sia quello dell'impasto sia quello usato per ungerla)
Spesso viene aggiunto sopra l'impasto base o cipolle o rosmarino o olive
La possibilità di elaborare varianti è limitata solo dalla fantasia del panettiere.
Molto diffusa è anche la focaccia con le cipolle, alimento di antiche tradizioni nei quartieri più popolari di Genova e pasto usuale degli scaricatori del porto perché capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame.
Tradizionali sono la focaccia con le olive (sopra, come per quella con le cipolle) o con la salvia (nell'impasto) o con il rosmarino (nell'impasto) o con le patate (nell'impasto) o con l'uvetta passa (in forma più dolciastra, nell'impasto); ultimamente si fanno focacce con patate e/o pomodori (sopra) o noci (nell'impasto) o con il formaggio (non tipo Recco).
In Liguria è anche possibile trovare versioni decisamente moderne, ma non meno valide. È possibile assaporare, per esempio, focaccia cosparsa di salse varie, affettati o anche versioni dolci, farcite di panna, frutta secca o crema gianduia.
Da alcuni anni a questa parte è invalsa a Genova la locuzione linguistica errata ancorché deplorevole, di indicare la focaccia genovese classica come "focaccia normale", per distinguerla dalle varianti.
La fugàssa co-o formàggio, focaccia con il formaggio, propria di Recco, non è considerabile una variante della focaccia genovese in quanto prodotta con pasta non lievitata.
Oltre alla vendita a peso, la focaccia è venduta secondo altre unità di misura. Tra queste ricordiamo:
Mille lire (usata in particolare per focaccia da consumarsi subito, uscendo dal panificio. Ovviamente oggi non più usata)
Sleppa (o slerfa) (corrispondente a 1/8 di leccarda, che equivale a 150~200 g.)
Strisce (misura equivalente circa a 40~60 g.) Le strisce di focaccia vengono disposte su un cabaret di cartone (o polistirolo) in occasione di piccoli rinfreschi mattutini sul luogo di lavoro.
Quadretti (bocconi quadrati con lato di 6~8 cm. utilizzati in alternativa alle strisce).

500 grammi di farina di grano tenero,
1 decilitro d'olio extravergine d'oliva,
30 grammi di sale,
30 grammi di lievito di birra,
acqua.
Formate con parte della farina una fontana sulla spianatoia. Sciogliete il lievito di birra con acqua tiepida e unitelo alla farina che deve essere lavorata come la pasta del pane. Lasciate riposare la pasta sotto un canovaccio, meglio se di lana, in un luogo tiepido per almeno 2 ore. A questo punto prendete la pasta lievitata ed unite la restante farina, l'olio e, facoltativo, mezzo bicchiere di vino bianco; lavorate per ottenere una pasta morbida e fate nuovamente lievitare sempre sotto uno strofinaccio per altre 2 ore. Dopo la lievitazione, stendere la pasta in una teglia con le mani e lasciare le impronte delle dita che raccoglieranno l'olio versatovi. Spolverizzate con il sale grosso che deve essere frantumato da una bottiglia usata come mattarello. Lasciate riposare ancora, prima di cuocere in forno a 200-230° per circa 30 minuti. La focaccia può essere aromatizzata alla salvia che deve essere tritata ed aggiunta direttamente nell'impasto, con le olive tritate, anch'esse unite alla farina, oppure arricchita con le cipolle che tagliate a fette si cospargono sulla pasta già stesa prima di infornare.

FOCACCIA LIGURE CON LE PELLETTE DI OLIVE
Focaccine fritte o al forno, nel cui impasto viene inserita la pelle (epicarpo) dell'oliva, conservato sott'olio.
La proverbiale parsimonia ligure ha partorito un’altra squisitezza: la focaccia con le pellette di olive, nata dall'esigenza di non sprecare nulla, la focaccia co-e porpe, come si chiama nel Levante, co-a murcia come si chiama nel Ponente, per non buttare le olive già spremute;
Dalla frangitura delle olive (nei frantoi con macine in pietra) per la produzione di olio extravergine di oliva le pellette vengono separate dalla sansa mediante lavaggio in acqua calda e per affioramento: vengono quindi raccolte, asciugate e messe sott'olio. Tutti gli olivicoltori della zona conoscevano questi prodotti in quanto quando portavano a frangere le oliva si facevano donare le pellette. Poi una volta a casa le lavavano bene, togliendo alcuni residui di nocciolo macinato. Asciugate, venivano messe in barattoli di vetro coperte d'olio e durante l'anno venivano usate quando si impastava per preparare le focaccette che erano un piatto di lusso che ogni contadino offriva ai proprietari o agli ospiti di casa.
Zona di produzione: Da Varazze a Quiliano
Ingredienti: per un etto di farina di grano, un bicchiere di olio extravergine di oliva, mezzo bicchiere d'acqua, sale q.b., due cucchiai di pelli di oliva, lievito di birra.
Preparazione: Si impasta il tutto e si lascia lievitare, si stende a sfoglia e si inforna. In alternativa lo taglia a losanghe, quindi si frigge in abbondante olio extravergine d'oliva.
per un etto di farina di grano,
un bicchiere di olio extravergine di oliva,
mezzo bicchiere d'acqua,
sale q.b.,
due cucchiai di pelli di oliva,
lievito di birra.
Si impasta il tutto e si lascia lievitare, si stende a sfoglia e si inforna. In alternativa lo taglia a losanghe, quindi si frigge in abbondante olio extravergine d'oliva.

FOCACCIA MESSINESE
La focaccia messinese (o focaccia alla messinese, così chiamata nei comuni limitrofi ove non è natìa e quindi solo rassomigliante) è una specialità tipica della gastronomia messinese. La sua preparazione è molto comune nella città e meno nella provincia di Messina: essa si caratterizza per un impasto alto, soffice, che si cucina in forno a legna in grandi teglie. Tradizionalmente è ricoperta di scarola, pomodoro a pezzi, acciughe e formaggio (in genere tuma, anche se negli ultimi anni è usata anche la mozzarella). Condivide gran parte degli ingredienti con il pitone messinese, noto prodotto della rosticceria locale. Sia la pasta, sia lo spessore, differiscono significativamente rispetto a quelli di una normale pizza. Si ritiene che la ricetta abbia iniziato ad acquistare una sua fisionomia all'inizio del Novecento, per poi essere stabilizzata dai panificatori messinesi all'inizio del secondo dopoguerra, nella forma in cui la conosciamo oggi. Il prodotto è comunemente presente in tutti i panifici e le rosticcerie di Messina e molto meno in quelli della sua provincia, oltre a conoscere una discreta diffusione anche nel resto della Sicilia orientale dove però la ricetta si discosta dal prodotto tipico messinese. Nella zona dei Nebrodi, in luogo della tuma o della mozzarella, è spesso utilizzata la provola locale, che costituisce un presidio slow food.

FOCACCIA NOVESE
La focaccia novese è una specialità da forno tipica della cucina piemontese, prodotta artigianalmente dalle panetterie della zona di Novi Ligure (Novese) ed Ovada. È una sorta di pane piatto (presenta al massimo un centimetro d'altezza) condito con olio extravergine d'oliva e sale grosso. Durante il processo produttivo la focaccia viene stirata e poi successivamente manipolata per produrre piccoli alvei sulla superficie. È consigliato l'abbinamento al vino di produzione locale Cortese di Gavi DOCG.
La composizione degli ingredienti, e dunque dell'impasto, rendono tale prodotto molto simile alla focaccia genovese, dalla quale si distingue per un minor contenuto di olio d'oliva e l'aggiunta di strutto.
Con la deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte del 15 aprile 2002 n. 46-5823 la focaccia novese è stata riconosciuta prodotto agroalimentare tradizionale del Piemonte in attuazione del D.lgs. n. 173/98, art. 8 e D.M. n. 350 dell'8 settembre 1999.

FOCACCIA VERDE
farina,
olio,
sale,
lievito,
bietole,
1 cipolla,
uova,
formaggio in grana.
Impastare la farina con olio di oliva, sale e lievito. Porre l'impasto in una teglia unta d'olio. Tritare le bietole a crudo e aggiungere olio, sale, uova, cipolla e formaggio. Il composto preparato con gli ingredienti sopra elencati si pone sulla pasta e si inforna. A cottura ultimata, aggiungere le olive.

PIZZOLO

150 g di farina per pizza
50 g di farina integrale
110 ml di acqua tiepida
2 cucchiaini di zucchero
1/3 di bustina di lievito disidratato
grana grattugiato
timo
olio extravergine d’oliva
Disponete le farine in una ciotola, e sulla spianatoia versate le farine al centro e aggiungete il lievito disidratato e lo zucchero. Versate l’acqua tiepida a poco a poco e impastate con le mani. Rimettete l’impasto ben lavorato nella ciotola dopo aver unto i bordi con un po’ d’olio. Lasciate a lievitare per almeno 3-4 ore, in un luogo caldo. Prendete una teglia da pizza e ungetela leggermente con olio. Stendete il vostro impasto omogeneamente, in modo che sia alto più o meno un centimetro. Infornatelo a 200° per almeno 15-20 minuti. Quando il pizzolo sarà cresciuto un po’ e si sarà un po’ colorato, uscitelo dal forno e fatelo raffreddare per 5-10 minuti. Con un coltello tagliate il pizzolo in due facendo molta attenzione a non romperlo. Farcitelo secondo il vostro gusto con salumi, carne, formaggi o verdure. Chiudete il pizzolo e bagnate la parte superiore con poco olio, mettendo anche il grana grattugiato e il timo. Rimettete in forno per circa 10 minuti, a 220°. Sfornate e gustate.
Se vi trovate dalle parti di Siracusa, in particolare a Sortino, non potete non assaggiare il pizzolo (pizzòlu). Si tratta di un prodotto tipico della cucina dell’isola: è una sorta di pizza tonda, farcita all’interno e condita con olio, origano, pepe, formaggio e sale. I ripieni sono i più disparati: spinaci, melanzane, peperoni, carne di ogni tipo, prosciutto crudo e scamorza. In alcuni casi, ai può anche optare per la doppia farcitura: il pizzolo, in questo caso viene condito in due modi diversi.Il nome deriva da una grossa pietra di forma ovoidale, che richiamerebbe la concezione greca della ciclicità della vita. Il pizzolo sarebbe legato alle focacce rituali diffuse in epoca greco-romana. Nel corso dei secoli si è affermato come tipico pane contadino, un piatto povero che veniva farcito con ciò che si aveva. La notorietà del pizzolo, però, arriva molto più avanti. Alcuni sortinesi emigrarono nel nord Europa in cerca di fortuna, aprendo delle pizzerie specializzandosi nella preparazione di pizze farcite. Al ritorno in Sicilia, negli anni Ottanta, continuano a preparare i pizzoli, che riscuotono un enorme successo. Il boom arriva negli anni Novanta.

SCACCIATA
Nella provincia di Catania, da una tradizione che risale alla fine del XVII secolo, deriva la scacciata, molto simile ad un calzone o ad una pizza a due strati, che prevedeva due differenti versioni originali: in città a base di caciocavallo e acciughe, nelle zone intorno a Catania con broccoli, cavolfiori, patate lesse e addirittura carne speziata (salsiccia o brasato).

SFINCIONE
La pizza siciliana più conosciuta è lo sfincione originario di Palermo e diffuso in molte zone dell'isola, ma accanto ad esso esistono diverse altre varietà di pizze. Le differenze nella preparazione della pizza in Sicilia sono legate alla cultura e alla tradizione locale che, in un'isola vasta come la Sicilia, hanno portato a ricette dalle caratteristiche a volte assai diverse tra loro. Con i fenomeni di emigrazione che hanno toccato la popolazione siciliana all'inizio del XX secolo, alcune ricette sono sbarcate anche in altre nazioni mantenendo in parte le loro caratteristiche originarie, così ad esempio nel New Jersey si indica col termine inglese sicilian pizza la versione italoamericana dello sfincione.
A Palermo è molto diffuso lo sfincione (in siciliano sfinciuni), una pizza al taglio venduta sia nelle rosticcerie che dagli ambulanti a base di pomodoro, cipolla, acciughe, pangrattato e caciocavallo.
Lo sfincione (sfinciuni o spinciuni in siciliano) è un prodotto tipico della gastronomia palermitana. È un prodotto tipico siciliano, come tale è stata ufficilamente inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).
Al pari della sfincia di San Giuseppe, il nome si fa derivare dal latino spongia, "spugna" oppure dall'arabo isfan col quale si indica una frittella di pasta addolcita con il miele. Si tratta di una antica ricetta che vede come ingrediente cardine il pane pizza (morbido e lievitato, simile appunto ad una spugna) con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, e pezzetti di formaggio tipico siciliano (chiamato caciocavallo ragusano). Lo sfincione si può gustare solo a Palermo e dintorni presso alcune pizzerie, gastronomie e panifici.
Il prodotto più originale viene però prodotto artigianalmente nei pressi di Porta Sant'Agata, e commercializzato da ambulanti che spaziano per le vie della città a bordo di motoveicoli a tre ruote (conosciuti meglio come "lapini") ed invitano ad assaporare il loro prodotto gridando a voce alta o attraverso un amplificatore.

STIRPADA 
Stirpada, scherpada o scarpazza, rotonda o quadrata, mignon o di normali dimensioni, ma sempre di torta di verdure si tratta.
Zona di produzione: comune di Calice al Cornoviglio, località Pegui (per la stirpada), comune di Ponzano, La Spezia (per la scherpada) comune Sarzana (per la scarpazza)
Stirpada
Preparazione: lavare le foglie di bietola e borragine e tritarle non troppo fini. Bollire la zucca gialla, tagliare il porro e farlo soffriggere insieme alla zucca e alle erbette. Mescolare il tutto con pecorino e parmigiano. Preparare quindi la classica sfoglia ligure con farina, acqua, olio e sale e tirarla molto sottile. Tagliare la sfoglia in piccoli quadrati, versarvi sopra l'impasto di erbe e ripiegare i bordi. Cuocere in forno caldo per 30 minuti circa.
Scherpada
Preparazione: si fanno bollire le erbe (1500 g) e zucca gialla (500 g) tagliata a pezzi; nel frattempo si soffriggono a parte con olio di oliva i porri (3) tagliati finemente e si ammorbidisce con acqua la mollica di pane (200 g). Una volta cotte, le verdure vengono macinate e quindi mescolate con i porri, la mollica del pane strizzata, il formaggio grattugiato (100 g formaggio pecorino e 100 g formaggio vaccino stagionato), l'olio di oliva (un bicchiere) e il sale quanto basta. Il tutto viene impastato sino ad ottenere un ripieno compatto che è disposto tra due dischi di sfoglia preparata con farina di grano, acqua e sale, e quindi cotta nei testi caldi dieci minuti per lato.
Scarpazza
Preparazione: per la sfoglia, predisporre 200 grammi di farina, due cucchiai d'olio, un bicchiere d'acqua e un pizzico di sale. Procedimento per il ripieno: tagliare i porri a rondelle e farli rosolare per cinque minuti; aggiungere le erbette (sia coltivate che spontanee) e salarle. Sbattere a parte le uova, unire i porri, le erbette, il parmigiano, il pecorino grattugiato e amalgamare il tutto. Versare l'impasto di verdure nella teglia foderata con la sfoglia, spianarlo e guarnire con striscioline di pasta come una crostata. Cuocere in forno per 40 minuti.
Lavare le foglie di bietola e borragine e tritarle non troppo fini. Bollire la zucca gialla, tagliare il porro e farlo soffriggere insieme alla zucca e alle erbette. Mescolare il tutto con pecorino e parmigiano. Preparare quindi la classica sfoglia ligure con farina, acqua, olio e sale e tirarla molto sottile. Tagliare la sfoglia in piccoli quadrati, versarvi sopra l'impasto di erbe e ripiegare i bordi. Cuocere in forno caldo per 30 minuti circa.
Si fanno bollire le erbe (1500 g) e zucca gialla (500 g) tagliata a pezzi; nel frattempo si soffriggono a parte con olio di oliva i porri (3) tagliati finemente e si ammorbidisce con acqua la mollica di pane (200 g). Una volta cotte, le verdure vengono macinate e quindi mescolate con i porri, la mollica del pane strizzata, il formaggio grattugiato (100 g formaggio pecorino e 100 g formaggio vaccino stagionato), l'olio di oliva (un bicchiere) e il sale quanto basta. Il tutto viene impastato sino ad ottenere un ripieno compatto che è disposto tra due dischi di sfoglia preparata con farina di grano, acqua e sale, e quindi cotta nei testi caldi dieci minuti per lato.
per la sfoglia, predisporre 200 grammi di farina, due cucchiai d'olio, un bicchiere d'acqua e un pizzico di sale. Procedimento per il ripieno: tagliare i porri a rondelle e farli rosolare per cinque minuti; aggiungere le erbette (sia coltivate che spontanee) e salarle. Sbattere a parte le uova, unire i porri, le erbette, il parmigiano, il pecorino grattugiato e amalgamare il tutto. Versare l'impasto di verdure nella teglia foderata con la sfoglia, spianarlo e guarnire con striscioline di pasta come una crostata. Cuocere in forno per 40 minuti.
Nel piccolo borgo di Pegui, frazione di Calice al Cornoviglio, era consuetudine preparare le stirpade in occasione del Natale. La rotonda scherpada è protagonista della sagra che dal 1975 si svolge ogni anno, l'ultima settimana di agosto, a Ponzano superiore, piccolo paese collinare del comune di Santo Stefano Magra. La scarpazza è invece di Sarzana, territorio in cui anche a livello culinario si incontrano ben tre regioni: Liguria, Emilia Romagna e Toscana. Queste torte di erbetti, hanno comunque un denominatore comune: il ripieno è costituito da una miscellanea di verzure, coltivate e spontanee, un riferimento preciso al preboggion genovese espressione della cucina povera dell'entroterra ligure.

STRAZZATA
La Strazzata è un tipo di focaccia caratteristico della Basilicata, originario della zona di Avigliano. Il nome è una forma italianizzata di strazzat, che in dialetto locale significa "stracciata" o "strappata", il che rimanda all'uso di staccarne i pezzi "strappando" la focaccia con le mani, anziché con l'uso del coltello. Gli ingredienti base sono acqua, lievito, farina, pepe nero macinato e origano (un'altra varietà prevede anche l'aggiunta di strutto e piccoli pezzi di lardo). Come da tradizione, questo alimento era utilizzato nei matrimoni e nelle feste in genere, per accompagnare il vino.
Preparazione
La strazzata, tramite lavorazione a mano, si ottiene sciogliendo il lievito nell’acqua tiepida e mescolandolo con la farina si crea un impasto morbido e compatto. La farina deve provenire da una molitura non troppo fine, cioè deve contenere una parte di crusca che dà una colorazione alla strazzata leggermente più scura del pane. All’interno dell'impasto viene aggiunto il pepe nero, dopo essere stato rigorosamente macinato, e il lardo (secondo un'altra variante della ricetta). L’impasto finale viene fatto riposare fino ad una completa lievitazione naturale e dopo aver effettuato un buco al centro viene cotto nel forno a legna. La strazzata viene farcita, generalmente, con provolone e prosciutto crudo, ma anche con frittata e peperoni.
Manifestazioni
L'alimento è il protagonista dell'omonima Sagra della Strazzata, organizzata dall'associazione culturale "Il Cigno" e che si tiene annualmente nel periodo di agosto a Stagliuozzo, frazione aviglianese di circa 250 abitanti, a un paio di km dal castello federiciano di Lagopesole. Altri prodotti offerti dalla manifestazione sono il vino Aglianico del Vulture DOC e i formaggi di Filiano.

lunedì 20 gennaio 2025

Corso di cucina: 20 Pani tipici

CAZZOTTO LAZIALE
cazzotto
Il cazzotto è un tipo di pane diffuso nel centro-sud Italia, con varianti regionali.
Si tratta di un tipo di panino piccolo, tondeggiante, di circa un etto, poco lavorato e dall'aspetto rustico, ricoperto di abbondante farina. La sua forma somiglia a quella di un pugno chiuso, perciò si chiama cazzotto. Contiene farina di grano duro oppure farina di grano tenero "00", acqua, lievito di birra, olio e sale, anche se in alcune varianti tipicamente toscane può essere sciapo. In Puglia invece il cazzotto è sinonimo di panzerotto o calzone, che non è un panino bensì un impasto a mezza luna farcito e cotto al forno.
CIRIOLA ROMANA
ciriola
La ciriola romana è un tipo di pane riconosciuto per la regione Lazio tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Pane di piccolo taglio che varia dai 70 ai 100 grammi, di forma vagamente simile ad un pallone da rugby e pieno di mollica, era un tempo il tipico supporto per i panini dei lavoratori, oggi più difficilmente reperibile. Come tutti i piccoli pani perde rapidamente fragranza. È usato per crostini il giorno seguente la sua cottura.

CIVRAXIU SARDO
Semola 
Semolato
Sale (30 gr per Kg di farina)
Acqua imbottigliata (600 cl per Kg di farina)
Lievito Madre
È importante utilizzare prodotti sani e genuini per ottenere un prodotto di altissima qualità.
La sera prima si lavora la semola, circa un 40% dell'intero impasto, insieme al semolato, circa un 10% dell'intero impasto, per circa 15/20 minuti con un'impastatrice altrimenti circa 40 minuti se lavorato a mano, ottenendo così una pasta elastica e liscia. Per impastare semola e semolato utilizzate solo una piccola parte dell'intera quantità d'acqua che servirà per il totale impasto. Avvolgere l'impasto con della pellicola trasparente affinché su quest'ultimo non si formi quel leggero strato di crosta dovuto al contatto con l'aria. Se l'impasto risulta essere troppo morbido si rischia che la pellicola trasparente si amalgami all'intero impasto risultando difficile o quasi impossibile separare i due, dunque assicurarsi di utilizzare una quantità di acqua inferiore e di recuperarla in seguito con l'intero impasto di semola e semolato. Tenete conto che, il giorno dopo, l'impasto di semola avrà una consistenza molto inferiore di quando l'avete lasciato riposare. La mattina successiva si lavora il restante 50% di semolato che va aggiunto al precedente impasto di semola e semolato ed al lievito madre. Il lievito madre è dato dalla fermentazione di un pezzo di pasta (su frammentu), ricavato da un precedente impasto (il lievito, affinché continui a fermentare, viene lasciato riposare coperto interamente dalla farina dentro un contenitore se riutilizzato entro la settimana oppure può essere conservato in freezer, dopo averlo fatto riposare almeno un giorno intero nel contenitore coperto dalla farina, per garantirne la durata nel tempo) che lavoreremo con del semolato. La quantità di semolato che ci servirà per lavorare su frammentu sarà uguale al 10% dell'intero impasto. Ad esempio: se intendiamo fare 10 kg di pane impasteremo 4 kg di semola insieme ad 1 kg di semolato, lo aggiungeremo ai 5 kg di semolato del giorno dopo ed infine lo uniremo ad 1 kg di lievito preparato il giorno prima), e lasciato riposare ben coperto per diverse ore che variano a seconda della temperatura esterna. Lavorare il tutto nei contenitori in terracotta xifedda (pronunciato in "scivedda"). Una volta impastato il tutto è bene lasciarlo lievitare minimo due ore all'interno dello stesso contenitore di terracotta che manterrà così l'impasto caldo, coprendolo con dei teli lavati a mano con del sapone di Marsiglia. Il pane è un alimento delicato che, durante la lavorazione, assorbe qualsiasi tipo di odore o profumo, anche dei detersivi. Dopodiché si fanno le forme, lasciando lievitare anch'esse minimo un'ora all'interno di canestri, recipienti di giunco o materiali simili (parinedda) sempre coperte con i teli. Il nostro pane è pronto per essere infornato.
Il civraxiu è un tipico pane sardo originario del Medio Campidano.
Civraxiu dal latino “cibarius”, conosciuto anche col nome di civràxu, civàrxu o semplicemente pane di Sanluri. Esiste anche una leggenda, che vuole che nell’anno 235 a.C. un soldato, il legionario romano di nome Ciro e un ragazzo di nome Vargio con la semola di grano duro inventarono un buon pane. Gli abitanti della zona talvolta lo chiamava Ciro, talvolta Vargiu, altre volte Ciro-Vargiu o in modo abbreviato Ci-Vargiu, col tempo il nome divenne civraxiu
Caratteristiche
Pane di semola di grano duro, caratteristico profumo, peso non inferiore a 2 kg, base circolare, presenta una crosta croccante e la mollica morbida. Grazie alla sua preparazione e agli ingredienti rimane buono e morbido per lungo tempo. In passato veniva preparato una volta alla settimana.

COCCOI A PITZUS

Il Coccoi a pitzus è un tipico pane decorato, di semola di grano duro prodotto in Sardegna conosciuto anche col nome di su scetti o pasta dura. È un tipo di pane pregiato che in passato si preparava per le grandi ricorrenze, matrimoni (coccoi de is sposus) e la Pasqua (coccoi cun s'ou). Pane di pasta dura, di forma complessivamente tonda o a semicerchio, crosta dorata croccante, mollica compatta e di colore bianco con tipiche sporgenze (pitzus).
Gli ingredienti sono semola di grano duro, acqua, sale su fromentu "pasta acida".

COPPIA FERRARESE
Coppia Ferrarese, "ciopa" o, confidenzialmente, "ciupeta" o pane ferrarese è il nome di un prodotto di panetteria a indicazione geografica protetta. Il 27 febbraio 2004 si è costituito il Consorzio di tutela per la coppia Ferrarese IGP.
Prima del XII secolo era confezionato a mo' di pagnotta, senza orli, bordi o ricami. Successivamente i legislatori della signoria Estense dettarono severe norme per la confezione del pane, per la sua conservazione e per l'identificazione del produttore.
Uno statuto del 1287 ordinava ai panettieri di fare pane:
con orletti
che non si abbassasse quando si cuoceva
di un peso specifico
ben cotto
quando ultimato di coprirlo con un drappo bianco
apporre un sigillo che identificasse il produttore
i forni non dovevano essere situati nelle vie più trafficate perché il pane non si impolverasse
La versione più rassomigliante nella forma all'attuale coppia ferrarese si può far risalire al Carnevale del 1536. Quando in una cena imbandita in onore del duca di Ferrara, secondo la leggenda, messer Giglio presentò in tavola un pane ritorto, con i caratteristici "crostini" aventi una forma simile a cornetto.
Metodo di produzione
Ingredienti: 1 kg di farina di grano tenero di tipo “0”, 350 gr d’acqua, 60 gr di strutto di puro suino, 30/40 gr di olio extravergine di oliva, 100 gr di lievito naturale “madre”, sale, malto.
Lavorazione: gli ingredienti vengono lavorati nell’impastatrice per 15/20 minuti. La pasta viene “stirata” nel cilindro con 15/20 passaggi. Viene tagliata a strisce e immessa nella macchina per la formazione delle coppie. Il pane viene posto su assi di legno coperto da un telo e immesso nella cella di lievitazione per 70/90 minuti. La cottura avviene in forni a platea fissa (calore dal basso verso l’alto). Pesa tra gli 80 e 250 gr. Umidità massima da 12 al 15%. Venduto entro 24 ore, non potrà essere surgelato o congelato. Anche nella proposta di modifica del disciplinare del 2007 viene confermata la stessa procedura.
Conservazione domestica della coppia
Benché il massimo della fragranza della coppia si abbia nello stesso giorno in cui viene prodotta, caratteristica che probabilmente sta alla base dell'obbligo imposto dal disciplinare di vendere il pane entro le 24 ore dalla produzione, rimane possibile la conservazione domestica in sacchetto di carta chiuso dentro un normale portapane, anche per diversi giorni (dipendentemente dal clima e dalla temperatura esterna). Questa proprietà fa apprezzare la coppia anche da persone che consumano abitualmente pane di pezzatura grossa (pagnotte tipo pane pugliese, ecc.). Inoltre la coppia ferrarese comincia a diffondersi anche in regioni diverse, e si trova in vendita, ad esempio, anche in esercizi commerciali del Trentino. Qui arriva come impasto semilavorato e viene ultimata la cottura.
La conservabilità della coppia ferrarese è infatti nella sua origine storica. Le tradizioni rurali del territorio di Ferrara infatti prevedevano che in famiglia si panificasse una o al massimo due volte a settimana. Questo comportava la necessità della conservazione del pane per diversi giorni. Per questo motivo non è escluso che la ricetta della coppia ferrarese si sia progressivamente adattata a questa necessità di avere pane buono anche dopo giorni. Il pane infatti rimane friabile e sempre adattissimo per molte pietanze.
Come per gli altri tipi di pane è bene che nei contenitori dove si conserva la coppia non vi siano cibi aromatici, perché il pane in breve tempo acquisisce il loro sapore. Negli ultimi anni si è imposto anche il metodo di conservazione mediante surgelazione domestica. Il pane quindi può essere consumato anche molto tempo dopo la sua produzione
La coppia ferrarese nella cultura
Molte sono le citazioni del pane ferrarese ad opera di protagonisti del mondo culturale. In un articolo del 2008, Folco Quilici racconta come nella sua famiglia la coppia ferrarese, finisse presto al centro dell'attenzione nei discorsi con ospiti "forestieri". Nonostante il lavoro di documentarista abbia portato Quilici in giro per il mondo, ed abbia quindi avuto occasione di assaggiare numerosi tipi di pane, egli chiude l'articolo in questione dicendo: "È stato per me «il cibo preferito» e qualunque sforzo io faccia, è sempre il pane ferrarese che mi manca, che desidero, che non perdo occasione di magnificare e di gustare”.
Riccardo Bacchelli parlava del pane ferrarese come de “Il Pane migliore del mondo.” Nella sua opera "Il mulino del Po" narra appunto del luogo dove si produceva la farina per il pane ferrarese.
Il rito della panificazione domestica nelle famigle ferraresi è cantato anche da Corrado Govoni in "Casa Paterna" nell'opera poetica "Inaugurazione della primavera" del 1915. Ed in un altro luogo ebbe occasione di dire: "Il nostro Pane: orgoglio di noi ferraresi. Dono dell'aria, dell'acqua, dell'uomo. Offerta generosa di Ferrara al mondo.”
1 kg di farina di grano tenero di tipo “0”,
350 gr d’acqua,
60 gr di strutto di puro suino,
30/40 gr di olio extravergine di oliva,
100 gr di lievito naturale “madre”,
sale,
malto.
gli ingredienti vengono lavorati nell’impastatrice per 15/20 minuti. La pasta viene “stirata” nel cilindro con 15/20 passaggi. Viene tagliata a strisce e immessa nella macchina per la formazione delle coppie. Il pane viene posto su assi di legno coperto da un telo e immesso nella cella di lievitazione per 70/90 minuti. La cottura avviene in forni a platea fissa (calore dal basso verso l’alto). Pesa tra gli 80 e 250 gr. Umidità massima da 12 al 15%.

CRESCENTINA MODENESE
La crescenta o crescentina è un tipo di pane caratteristico dell'appennino modenese, altresì conosciuta, ma erroneamente, con il nome di tigella. È un prodotto agroalimentare tradizionale elencato con i nomi di tigella modenese, tigèla modenese, crescentina modenese, cherscènta modenese ed è molto consumato durante le feste e sagre; è preparato in pressoché tutte le trattorie del modenese, del bolognese e del reggiano. Essendo stata per buona parte del XIX secolo sotto la dominazione estense, anche nei borghi della Lunigiana è conosciuta e preparata.
Il nome originario (nell'appennino modenese) di questo alimento è la "crescente" ma oramai sono diffuse numerosissime varianti, che variano notevolmente di significato da zona a zona (tigella o tigèla modenese o montanara, crescentina o chersèinta modenese o montanara). I termini "crescente" e "crescentina" vengono usati anche nel bolognese e nel reggiano: crescentina indica una variante del gnocco fritto, mentre crescente indica una sorta di tigella modenese piuttosto larga.
I dischi di terracotta o di pietra refrattaria in cui originariamente erano cotte le crescenti sono chiamati tigelle e per questo motivo oggi, nelle zone di pianura e nel resto d'Italia, ci si riferisce alle crescentine con il sempre più diffuso appellativo metonimico di tigelle, nonostante - secondo i puristi - l'unico nome corretto rimane crescentina perché quello originario ed etimologicamente esatto.
Le crescentine modenesi si preparano a partire da un impasto di acqua, farina di grano tenero e lievito di birra, da cui si formano palline o dischi del diametro di 6-10 cm. In alcune varianti viene aggiunto anche un pizzico bicarbonato di sodio, e una piccola quantità di grassi come ad esempio strutto, olio (di oliva o di girasole), panna oppure latte. Il bicarbonato di sodio, in alcune ricette, sostituisce completamente il lievito, trasformando quindi la crescentina in un pane azzimo.
La cottura tradizionale avveniva impilando la pasta in alternanza con dischi di terracotta (chiamati tigelle) precedentemente arroventati nel camino e foglie di castagno o di noce. Questi erano rotelle di circa 15 cm di diametro ed un centimetro e mezzo di spessore, formate tradizionalmente con terra di castagneto finemente triturata e modellata in uno stampo di legno con incisioni in bassorilievo (decorazioni geometriche o floreali che poi rimanevano stampate sulla pasta durante la cottura) e poi essiccati e cotti.
Con opportuna maestria la cuoca spostava periodicamente gli elementi della pila per rendere uniforme e verificare l'avanzamento della cottura. Attualmente la cottura è solitamente effettuata in maniera più veloce ponendo i dischi di pasta tra due piastre di materiale refrattario o metallico (dette cottole), in macchine appositamente realizzate per lo scopo, alimentate a gas o elettricità. L'attrezzo più diffuso per l'uso familiare è uno stampo in alluminio che può contenere dalle 4 alle 7 crescentine.
Le crescentine cotte vengono tradizionalmente consumate tagliandole a metà ed imbottendole con un pesto formato da un trito di lardo di maiale, aglio e rosmarino (noto localmente come cunza di Modena, lo stesso usato per i borlenghi) e con Parmigiano Reggiano. Oggi, oltre ad esso vengono anche imbottite di affettati e formaggi.
Si è diffusa anche l'abitudine di utilizzare come farcitura marmellate e creme di cioccolato, cosa però vista malvolentieri dai cultori della tradizione dell'Appennino.

GRISSA DELLA VAL BORMIDA
In val Bormida la gastronomia locale, come la lingua, risente dell'influenza del vicino Basso Piemonte e della Provenza. La cucina è rimasta semplice e gustosa, ricca di sapori autentici prettamente montani. Degno di nota è il classico pane casereccio.
Pane casereccio di farina di grano, acqua e sale, senza aggiunta di grassi. Cotto nel forno a legna, assume la fragranza e il sapore dei prodotti fatti in casa. Molto simile, per impasto e per tipo di lavorazione, è la grissa, ma diversa per il taglio che risulta trasversale rispetto al pane casereccio, e per le dimensioni che sono maggiori e per tale motivo quest'ultima risulta ancora più morbida.
In passato il pane era elemento centrale per l'alimentazione dei poveri. Il pane casereccio viene prodotto senza aggiunta di grassi. La lavorazione richiede alcune ore tra lievitazione, formatura e pezzatura, prima di passare alla fase di cottura che avviene nel forno a legna. Si caratterizza per la sua fragranza e digeribilità. Veniva prodotto con ogni tipo di cereale: dal frumento, all'orzo, all'avena, al sorgo. Ancora oggi molto diffuso e particolarmente saporito è il pane di porri e di patate.

PANE CARASAU
pane carasau
I due tipi principali di impasto sono uno a base di fior di farina di grano duro (più pregiato) e consumato dalle famiglie più agiate, l'altro a base di farina d'orzo o cruschello, di colore scuro, consumato dai meno abbienti.
Sa Cotta è il nome in lingua sarda con il quale viene indicato l'intero ciclo di preparazione e cottura del pane. Sino a qualche decade fa era un vero e proprio rito familiare e di vicinato che coinvolgeva almeno tre donne, amiche o parenti che ricevevano in cambio olio e ricotta o che semplicemente si ricambiavano l'aiuto. Ecco le varie fasi:
S'inthurta è la prima fase della lavorazione e avviene prima del sorgere del sole. Il lievito già precedentemente sciolto in acqua tiepida viene mescolato alla farina passata al setaccio (sedattu) e impastata dentro una madia di legno chiamata nelle diverse varianti del sardo iscivu, lacu, lachedda, oppure dentro una conca di terracotta (tianu, impastera). Esistono molte varianti sulla preparazione dell'impasto, sulla sua lavorazione e sulla cottura del pane, varianti che determinano sfumature di sapore, di leggerezza della sfoglia, di dimensione della stessa, e che seguono antiche tradizioni familiari o paesane.
Cariare o hariare. Durante questa seconda fase l'impasto viene lavorato energicamente sul tavolo (sa mesa pro su pane, sa mesitta), nel passato non ancora lontano anche in ginocchio sulla madia stessa. La pasta fresca viene schiacciata, allargata con la pressione dei pugni e riavvolta su stessa, con l'aggiunta di acqua viene manipolata con forza (ammoddihare) fino ad ottenere un impasto liscio. Da questa fase dipende molto la riuscita del pane e la sua durata è diversa per le tante varietà. Per il carasau o altri pani di grano duro è necessario continuare più a lungo: più la pasta è ben lavorata, più il risultato sarà apprezzabile. Questa fase è molto faticosa e spesso le donne sono aiutate dagli uomini.
Pesare. La fase della lievitazione viene chiamata pesare (alzare). La pasta ben lavorata viene posta in speciali contenitori come conche di terracotta o come in Barbagia dentro il malune di sughero, ben ricoperta con teli di lana. Si lascia riposare l'impasto mentre si preparano gli strumenti per passare alle fasi successive.
Orire, sestare. Una volta constatato l'avvio della lievitazione si divide l'insieme dell'impasto in tocchi regolari (sestare, orire) che vengono arrotondati, infarinati e riposti in particolari canestri (sas horves, canistreddas) avvolti tra le pieghe di teli di lana o di lino per farli riposare (pasare) ancora in modo da continuare la lievitazione.
Illadare. Durante questa fase la pasta lievitata si lavora con dei piccoli mattarelli in legno (canneddos, cannones) e mediante i polpastrelli delle mani, infarinandola in continuazione, appiattendola e allargandola a formare dei dischi (sas tundas) dal diametro variabile a secondo le località. Ottenuto il diametro e lo spessore desiderato, si depositano sulle pieghe di speciali panni di lana chiamati pannos de ispica o tiazas. Questi sono dei panni particolari, lunghi anche dieci metri e larghi 50 cm. Vengono tenuti solitamente arrotolati, ma nel momento del loro utilizzo si srotolano progressivamente prima verso destra per un tratto di 50 cm, e - una volta depositata la sfoglia sferica (sa tunda) - verso sinistra, a coprirla completamente, permettendo in questo modo di depositarne un'altra sulla parte superiore della piega, e così via in un susseguirsi di piegature fino al completo srotolamento. Vengono poi messi da parte e coperti con delle coperte. Ogni pannu de ispica o tiaza, a secondo della sua lunghezza, può contenere fino a venti tundas che sono in questo modo facilmente trasportabili.
Kokere. Per il forno si utilizza legno di quercia o di olivastro. Una volta introdotto viene sistemato nel centro del forno. Dopo l'accensione del fuoco (inchendya de su forru), che avviene solitamente mentre si preparano le sottili e sferiche sfoglie di pasta, il forno inizia a scaldarsi e a raggiungere una temperatura (temperare su furru) stabile di 450-500°. La fase della cottura dei pani avviene dopo che le braci sono state spinte da una parte tramite una particolare paletta in ferro (palitta 'e furru) e la pavimentazione del forno spazzata con una scopa speciale (iscovulos, ishopiles). Quando la persona addetta ritiene il forno abbastanza caldo, inizia la fase della prima cottura. Da una tiazza viene prelevata una tunda e tramite una pala in legno dalla forma arrotondata per meglio contenerla chiamata pala 'e linna o pala lada, introdotta nel forno per la prima cottura. Il forte calore rigonfia la foglia in poco tempo formando una palla. L'aria al suo interno inizia ad espandersi, determinando la separazione dei due strati. A seconda delle tradizioni locali la si rivolta o meno, e vi si appoggia delicatamente la pala in legno per favorire l'omogeneità del rigonfiamento spingendo il vapore verso quelle parti non ancora staccate. Non sempre il rigonfiamento è uniforme.
Fresare o calpire. Una volta sfornato il disco di pasta, le due facce ormai distaccate vengono separate (carpire, calpire o fresare) con il coltello, velocemente, possibilmente prima che l'aria defluisca da qualche fessura o che si riduca troppo di volume e la sfoglia si afflosci per il raffreddamento. Questa operazione richiede maestria e chi se ne occupa (sa fresadora) deve fare attenzione perché la sfoglia è molto calda e sprigiona vapore; afflosciandosi inoltre può capitare che le due parti (sos pizos) si riattacchino impedendo una corretta separazione (fresare su pane, aberrer a pizos). Non sempre l'operazione riesce specialmente se il forno non ha raggiunto la giusta temperatura (o non riesce a tenerla), o se la lievitazione non è abbastanza. I dischi (sos duos pizos) che rappresentano il prodotto finale hanno una faccia liscia (quella che era all'esterno della focaccia) ed una ruvida (il lato interno della focaccia originale). Il pane ottenuto dalla prima cottura e separato in due sottili strati viene chiamato pane lentu, pane modde o pane cruhu, ed ha la caratteristica di essere abbastanza elastico da non spezzarsi facilmente, inoltre può essere piegato o arrotolato a piacimento, caratteristica che riacquisterà dopo la carasatura solo con immersione in acqua. Può essere consumato anche subito ed il sapore è altrettanto apprezzabile, ma a differenza del carasau non si presta ad una lunga conservazione. Se il pane deve essere trasportato, in questa fase, grazie alla sua elasticità, la sfoglia può essere piegata in due a formare una mezzaluna, o ripiegata ulteriormente di un quarto per adattarla ai contenitori, e rimessa in forno con questa nuova forma per la tostatura. Dopo la separazione, sos pizos vengono impilati dentro dei cesti e solamente quando tutte le tundas saranno cotte si passa alla fase successiva.
Carasare. Con l'ultimazione della prima cottura, di solito nel primo pomeriggio dopo la sosta del pranzo, si procede alla seconda infornata necessaria a completare l'intero processo. Sos pizos uno per uno vengono rimessi dentro il forno per la cottura finale (sa carasadura). A secondo dei gusti dei nuclei familiari, le sfoglie vengono lasciate nel forno per un tempo più o meno lungo; di solito quelle che assumono un colore più scuro sono le più tostate ed hanno una sfumatura di sapore diverso dalle altre più chiare e meno tostate. Man mano che le sfoglie escono dal forno, vengono impilate (piras de pane) in grossi cesti di asfodelo (isportas). Queste caratteristiche piras sono spesso alte fino ad un metro, vengono avvolte in speciali panni e viene sistemato sulla sommità un peso, di solito un'asse in legno di forma rotonda o dei panni in modo da pressare un po' le sfoglie.
Consumo
Il pane carasau è consumato in molti modi. Secco, cioè al naturale (a trocheddu) accompagna gusti salati e gusti dolci in grande varietà.
Uno dei modi più diffusi di consumo ha luogo con l'aspersione o una rapida immersione in acqua (pane infustu), passaggio che restituisce alla sottile sfoglia l'umidità e conseguentemente la morbidezza necessaria perché possa essere avvolta intorno a salumi affettati e formaggi o essere associata ad altro companatico. Anche bagnato, il pane carasau continua ad avere la caratteristica di assorbire i liquidi con cui entra in contatto. Questa caratteristica è sfruttata per usarlo sotto le pietanze succose, ad esempio carni rosse cotte al sangue, o comunque quei cibi che rilasciano oli o grassi (dalla carne di maiale, alla verdura). Per bagnarlo si deve far scorrere dell'acqua unicamente dalla parte interna e ruvida della sfoglia per poi far subito sgocciolare la stessa tenendola qualche istante in posizione verticale; se il pane risulta troppo bagnato viene considerato da un vero barbaricino alla stregua della pasta scotta per un napoletano. Le grosse briciole che residuano invariabilmente alla spezzatura delle sfoglie sono dette nell'insieme "farrutta", pistizzu o frikinadura, ed uno dei loro utilizzi tipici, che peraltro consente di non perdere gli avanzi, è nel caffelatte.
Il pane guttiau
Il pane guttiàu (in sardo logudorese gocciolato, asperso) è una preparazione del pane carasau. Una sfoglia viene bagnata con poche gocce d'olio e salate, abbrustolite lievemente in forno o sulla griglia; il pane guttiau è prodotto anche industrialmente.

PANE CASARECCIO DI GENZANO
Pane di Genzano
Pane casareccio di Genzano (IGP) è il nome di un prodotto di panetteria a Indicazione Geografica Protetta.
L'Indicazione Geografica Protetta Pane Casareccio di Genzano si riferisce al prodotto di panetteria ottenuto da farina di ottima qualità di tipo 0 o 00, lievito naturale, sale, acqua e cruschello di grano. Il prodotto finito, estremamente leggero, si presenta nella classica forma a pagnotta tonda o in filone, con crosta scura e fine, mollica soffice e fortemente occhiata, dal profumo di cereale.
La zona di produzione del Pane Casareccio di Genzano IGP è limitata al territorio del comune di Genzano di Roma, in Provincia di Roma, nella regione Lazio.
L’Indicazione Geografica Protetta Pane Casareccio di Genzano è riservata al prodotto che ha le seguenti caratteristiche:
• peso da 0,5 a 2,5 kg;
• crosta di colore scuro, dallo spessore di circa 3 mm;
• mollica di colore bianco-avorio;
• profumo che ricorda quello dei cereali genuini e dei granai;
• sapore sapido;
• tasso di umidità non superiore al 33,7%;
• peso specifico pari a 0,23 kg/dm3.
A seconda della forma si possono distinguere le seguenti tipologie, così come immesse in commercio:
Filone: rotondo e lungo.
Pagnotta: con “baciature” evidenti ai lati.
Ogni pagnotta o filone di pane casareccio di Genzano IGP deve riportare sempre il bollino identificativo sul quale si trovano le seguenti indicazioni:
• PANE CASARECCIO DI GENZANO - INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA
• Garantito dal Mi.P.A.A.F. ai sensi dell’Art. 10 del Reg. CE 510/2006
• Il codice del produttore autorizzato
• Il numero progressivo di produzione.
• Il logo comunitario dei prodotti IGP
L’Indicazione Geografica Protetta pane casareccio di Genzano ha ottenuto la registrazione europea con Regolamento CE n. 2325/97 (pubblicato sulla GUCE L 322/97 del 25/11/1997).
Storia
Le origini del pane casareccio di Genzano IGP discendono dalla tradizione rurale da sempre legata al territorio di produzione; proprio nel comune della provincia di Roma il prodotto veniva lavorato e      cotto in speciali forni a legna chiamati “soccie”. Fin dall’antichità era compito delle donne che abitavano nei borghi, preparare e portare il pane a cuocere nelle strutture pubbliche. Una volta inserite in forno le pagnotte, le lavoratrici lasciavano impressi sulla superficie del prodotto segni particolari e ben riconoscibili, per distinguere i propri pani da quelli delle altre donne. Fonti storiche riportano inoltre che tutti i giorni, sin dalle prime ore del mattino, le vie del paese erano invase da un particolare profumo di frumento misto a quello di legno di castagno, con cui erano alimentati i forni. Nel comune di Genzano l’attività della produzione del pane era così radicata e diffusa che scandiva il passare delle ore e della giornata. Testimonianze storiche riportano inoltre che già attorno 1600 era diffusa la cultura del pane, tanto che il principe Cesarini Sforza, accanto al cui palazzo sorgeva il borgo, lo offrì in dono al Papa. Si narra a tal proposito che il Pontefice fosse rimasto estremamente colpito dal gusto e dal profumo di questo particolare prodotto. Apprezzato già agli inizi del XX secolo, è solo dagli anni Quaranta che il prodotto ha visto ampliare le proprie prospettive, grazie all’introduzione delle impastatrici e dei forni elettrici che hanno alleviato, nel tempo, le fatiche dei fornai. Il pane di Genzano ha così iniziato a registrare consensi prima presso gli abitanti di Roma, dove veniva trasportato di notte e venduto il giorno successivo nei panifici locali, e poi anche al di là dei confini regionali. I motivi della particolarità e inimitabilità del prodotto si devono però in larga parte all’impiego di strumenti che fanno parte della tradizione locale ed alle procedure di lavorazione tramandate di generazione in generazione.
 
Il pane di Genzano IGP è ottenuto attraverso le seguenti fasi di produzione:
Preparazione del lievito madre - è l’unico metodo che permette di ottenere un lievito naturale contenente batteri lattici ed acetici garantendo così caratteristiche uniche di conservabilità ed elasticità. Si prepara a partire da un impasto di acqua e farina, rinnovato quotidianamente. Le dosi devono essere proporzionali alla quantità di impasto.
Impasto - viene preparata la biga, un preimpasto ottenuto tramite la miscela di acqua, farina e lievito. L’operazione dura circa 20 minuti, anche se il tempo necessario per tale fase può variare a seconda del quantitativo di preparato da lavorare. Per l’impasto di una dose pari ad 1 quintale di farina di tipo 0 o 00, vanno aggiunti: 2 kg di sale, 1,5 kg di lievito naturale e 70 l di acqua circa. Lievitazione - dura circa 1 ora, tempo durante il quale l’impasto raggiunge il punto ottimale di lievitazione, anche se spesso è il fornaio stesso a decidere se il preparato è pronto o meno per essere spianato.
Modellatura - l’impasto viene spianato e modellato per formare le caratteristiche pagnotte o i filoni, che vengono collocati all’interno di apposite casse di legno. Qui gli impasti vengono sistemati in teli di canapa e spolverati con cruschello o tritello, che conferiscono al prodotto il caratteristico colore scuro della crosta.
Seconda lievitazione - A questo punto il Pane Casareccio di Genzano IGP deve essere sottoposto ad una seconda fase di lievitazione che dura circa 40 minuti. Le casse contenenti il prodotto non ancora pronto devono, in questa fase, essere sistemate in un ambiente caldo con una temperatura idonea alla lievitazione.
Cottura - il Pane Casareccio di Genzano IGP può venire cotto sia in forni a legna sia in forni ad alimentazione diversa. La temperatura del forno deve essere compresa tra i 280 ed i 320°C al fine di permettere al prodotto di raggiungere al suo interno una temperatura di cottura compresa tra i 94 ed i 96°C ottenendo così una cottura uniforme e completa e di consentire il formarsi di una crosta di circa 3 mm di spessore. Proprio la conformazione di questa parte più superficiale del pane, consente alla mollica del prodotto di rimanere spugnosa e soffice, con fori o alveoli irregolari e non eccessivamente grandi. A seconda delle dimensioni delle pagnotte e dei filoni, la fase di cottura può durare dai 35 minuti fino ad 1 ora.

PANE DELLA VAL BORMIDA
In val Bormida la gastronomia locale, come la lingua, risente dell'influenza del vicino Basso Piemonte e della Provenza. La cucina è rimasta semplice e gustosa, ricca di sapori autentici prettamente montani. Degno di nota è il classico pane casereccio. Pane casereccio di farina di grano, acqua e sale, senza aggiunta di grassi. Cotto nel forno a legna, assume la fragranza e il sapore dei prodotti fatti in casa. Molto simile, per impasto e per tipo di lavorazione, è la grissa, ma diversa per il taglio che risulta trasversale rispetto al pane casereccio, e per le dimensioni che sono maggiori e per tale motivo quest'ultima risulta ancora più morbida. In passato il pane era elemento centrale per l'alimentazione dei poveri. Il pane casereccio viene prodotto senza aggiunta di grassi. La lavorazione richiede alcune ore tra lievitazione, formatura e pezzatura, prima di passare alla fase di cottura che avviene nel forno a legna. Si caratterizza per la sua fragranza e digeribilità. Veniva prodotto con ogni tipo di cereale: dal frumento, all'orzo, all'avena, al sorgo. Ancora oggi molto diffuso e particolarmente saporito è il pane di porri e di patate.  

PANE DI ALTAMURA
PANE DI ALTAMURA
Il Pane di Altamura è un prodotto di panetteria a Denominazione di Origine Protetta (DOP) proveniente dall'omonima città Altamura in provincia di Bari. Questo è un pane tipico pugliese ottenuto da un impasto di semola di grano duro rimacinata molto ricca di glutine (arriva fino al 14%), a lievitazione naturale e cotto nel forno a legna.

PANE DI CALITRI
Il pane di Calitri è un prodotto di panetteria tradizionale di Calitri, in provincia di Avellino.Il pane di Calitri è molto antico, tanto che la sua produzione è documentata da utensili e altro materiale esposto presso il museo della civiltà contadina di Aquilonia, nonché da foto e documentazione varia conservate presso i comuni dell'area. Ottenuto con semola di grano duro e farina di grano tenero, è caratterizzato dalla forma circolare e da un taglio longitudinale. Le forme possono pesare dai 2 ai 6 kg, caso in cui vengono chiamate “ruote di carro” per le loro grandi dimensioni. La crosta, molto croccante, è di colore bruno scuro e di sapore molto caratteristico e la mollica ha piccole occhiature diffuse ed uniformi.L'impasto è ottenuto con "crescente", farina, semola, acqua e sale e la lavorazione richiede un prolungato procedimento di impasto, seguita da una successiva fase di fermentazione a caldo, al buio e a temperature di 18-20 °C. La cottura avviene in forni a legna o elettrici e, per ottenere una cottura omogenea, le forme vengono spostate in diversi punti del forno.

PANE DI CHIASERNA
pane di Chiaserna
Il pane di Chiaserna è diffuso nei territori del Montefeltro, in tutta la provincia di Pesaro e Urbino e nelle vicine province di Perugia ed Ancona, è riconosciuto dalla Regione Marche ed è inserito nell'elenco dei prodotti tipici nazionali pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. "Pane di Chiaserna" è un marchio collettivo registrato che prende il nome da Chiaserna, frazione di Cantiano.
La bontà di questo pane è dovuta all'utilizzo di acqua di sorgente che conferisce al prodotto caratteristiche peculiari di leggerezza e freschezza nel tempo. Filone di forma allungata leggermente schiacciata, di colore dorato e privo di sale. Il segreto, oltre all'eccezionale qualità dell'acqua del Monte Catria, risiede interamente nel rispetto della semplicità e della tradizione nella panificazione. Il "Pane di Chiaserna" infatti nasce come impasto acido (detto anche lievito "madre") e viene fatto fermentare in tutta calma. La totale assenza di additivi, conservanti e agenti miglioratori fanno il resto.

PANE DI CUTRO

Il pane di Cutro è un prodotto tipico della cittadina omonima in provincia di Crotone ottenuto dall'impasto di semola di grano duro in gran quantità, e in seguito unito all'impasto a base di farina di grano tenero, lievito naturale, acqua e sale.
Di forma tonda o allungata e pesante circa 1/2 kg, si contraddistingue per la crosta spessa, omogenea e croccante, la mollica ben aderente e porosa, il sapore e l’aroma caratteristico e la sua freschezza a lunga durata; il colore è variabile tra il giallo dorato e il granario. Viene segnato con un taglio lungo la superficie superiore perché non si creino spaccature irregolari.
Oggi il pane di Cutro è anche produzione export, in quanto richiesto e consumato soprattutto in Emilia-Romagna. È considerato dagli esperti tra i migliori pani d'Italia, ed è stato candidato a ricevere il marchio D.O.P.

PANE DI GAVENOLA
Il pane rustico di Gavenola è un prodotto da forno dalla forma ovale, dal colore miele dorato e con i caratteristici disegni determinati dai tagli impressi sulla massa prima della sua cottura. La produzione di questo tipo di pane, sia bianco sia integrale, è documentata fin dai primi anni del XIX secolo. Cent'anni di storia per un prodotto semplice e genuino, vanto del piccolo centro di Gavenola, che si trova in valle Arroscia, lungo l'itinerario denominato della cucina bianca. La versione bianca del pane rustico prevede i seguenti ingredienti: farina di grano tenero, sale, acqua e lievito di birra. La lavorazione richiede alcune ore. Si impastano tutti gli ingredienti, formando un ammasso che si lascia lievitare per alcune ore, possibilmente nelle madie in legno. Quindi, manualmente, si realizzano i pani che dovranno riposare ancora un po' prima di passare alla cottura e diventare quel prodotto friabile e dal profumo di cose antiche quale è il pane di Gavenola. Per il pane rustico integrale gli ingredienti sono: farina integrale, sale, acqua, lievito di birra. La lavorazione è simile a quella per il pane rustico bianco.

PANE DI LARIANO
È un tipo di pane casareccio prodotto a Lariano. Gli ingredienti principali sono la farina integrale, la farina "00", l'acqua e il lievito naturale. La cottura avviene nel forno a legna con le fascine di castagno. Noto da sempre in tutta la zona dei Castelli Romani e a Roma, questo pane si caratterizza per l'uso del lievito naturale, la farina di grano tenero semintegrale e la cottura nel forno a legna. La lievitazione è ottenuta con lievito madre e con un poco di lievito di birra. Si impastano gli ingredienti per circa 40 minuti dopo di che si lascia lievitare per un'ora. Il pane viene poi spianato, modellato in forma di pagnotte grandi o filoni dal peso di circa 1 o 2 chili, riposto in casse di legno, spolverato con cruschello o tritello e coperto con teli di canapa, dopo un certo periodo di tempo in cui avviene la seconda lievitazione si procede alla cottura rigorosamente ottenuta mediante il forno a legna di castagno per circa un'ora e venti.

PANE DI LATERZA
Il pane di Laterza è un prodotto di panetteria tradizionale di Laterza, in provincia di Taranto.
È ottenuto dall'impiego di farina di semola di grano duro rimacinata, delle varietà coltivate nei territori del comune di Laterza o in quelli dei comuni limitrofi (ad esempio Simeto, Appulo, Arcangelo, ecc.), mescolata con acqua, sale e lievito madre.
Nel 1998, grazie ad un'intesa tra Comune di Laterza e i più antichi panificatori locali, è nato il consorzio Pane di Laterza, per tutelare, valorizzare e promuovere il prodotto laertino.
La città di Laterza fa parte dell'Associazione nazionale città del pane, che ha tra i suoi scopi quello di promuovere il riconoscimento e la valorizzazione dei pani e di tipologie specifiche di pane legate a      determinati territori.
L'agricoltura, e in particolare la coltivazione di cereali, è sempre stata alla base dell'economia laertina. L'utilizzo dei cereali per la produzione del pane, e di altri prodotti da forno, ha radici molto antiche nel territorio di Laterza, risalenti al V secolo a.C.. Farro e orzo erano gli ingredienti utilizzati, per quello che allora veniva chiamato focaccia. Al contrario di oggi, il lievito non era sempre utilizzato, e la cottura avveniva sotto la cenere o sopra la brace. Il pane prodotto era per lo più necessario a coprire le esigenze famigliari.
La panificazione, come servizio pubblico, fu introdotta dai romani che a loro volta avevano imparato quest'arte dagli schiavi greci che lavoravano per i nobili. Per diversi secoli, la produzione del pane era riservata solo ai nobili, gli unici che potevano permettersi di mantenere gli alti costi di gestione di un mulino o di un forno. In contrada Fornaci a Laterza è stato rinvenuto un forno attivo fino al 1700 di proprietà di un signore feudale, composto da una singola camera di combustione.
Fino al XVII secolo la produzione del pane per la vendita a terzi fu regolata dai calmieri, ovvero un insieme di norme volte al controllo dei prezzi per proteggere i consumatori. Queste norme, però, portarono inevitabilmente alla produzione di pane di bassa qualità, tant'è che furono ben presto abolite. Il problema del pane, però, diventava sempre più grave e durante la prima guerra mondiale veniva venduto ad un prezzo inferiore al costo di produzione. Questa politica provocò una grave crisi e fu, anch'essa, ben presto sostituita. Infatti a partire dalla seconda guerra mondiale i produttori di grano erano costretti a consegnare la propria produzione al Consorzio agrario di riferimento, il quale consentiva loro di trattenere solo una piccola parte necessaria al fabbisogno famigliare. Per le famiglie che, invece, non possedeva grano, il consorzio donava una razione giornaliera di 200 grammi di pane per ogni componente. Queste restrizioni furono abolite con il boom economico che investì l'Italia nella metà del Novecento.
Per quanto riguarda più in particolare Laterza, fino agli anni cinquanta, a differenza di altri centri, la gestione dei forni era affidata esclusivamente a quattro donne: la fornaia e tre operaie. Compito delle operaie era quello della preparazione della legna nel forno, del ritiro dell'impasto crudo fatto in casa dalle clienti, e della consegna del pane caldo al termine della cottura, con conseguente riscossione del compenso per la cottura. Compito della fornaia, invece, era quello della cottura del pane e, in generale, della gestione del forno, che la stessa aveva preso in fitto.
Caratteristiche
Cotto nei tradizionali forni a legna, riscaldati con legna aromatica di bosco o di ulivo, o altri prodotti come nocciolino di albicocca o buccia di mandorle, secondo la disponibilità stagionale, il pane di Laterza si distingue per il suo profumo di cereale e per il suo sapore ben definito, tendente all'acidulo. La pezzatura tradizionale prevede forme di pane (dette panelle o panédd in dialetto laertino) da uno, due e quattro kg di peso, con un diametro rispettivamente di circa 25, 35 e 45 cm. Il colore della crosta, spessa circa 3 mm, è tendente al marrone, mentre la mollica è di colore bianco avorio.
Fasi di produzione
Affinché un pane prodotto nel comune di Laterza possa essere riconosciuto col marchio Pane di Laterza, deve sottostare alle seguenti caratteristiche e fasi obbligatorie:
Ingredienti utilizzati per l’impasto: farina di semola di grano duro rimacinata, acqua, sale, lievito madre.
Lievitazione: 6 ore.
Pezzature autorizzate: uno, due e quattro kg del diametro rispettivamente di 25, 35 e 45 cm circa.
Preriscaldamento del forno: utilizzo di fascine di legna di bosco o di ulivo; in alternativa può essere utilizzato nocciolino di albicocca o buccia di mandorle a seconda della disponibilità stagionale.
Cottura: lenta di 2 ore a 400 gradi in forno a riscaldamento diretto su pietra (dette chianche)
farina di semola di grano duro rimacinata,
acqua,
sale,
lievito madre.
Lievitazione: 6 ore.
Cottura: lenta di 2 ore a 200 gradi.

PANE DI LENTINI
Il Pane di Lentini viene prodotto nei comuni di Lentini e Carlentini, in provincia di Siracusa.
Un tempo era preparato dalle donne, che portavano l’impasto da cuocere nei forni pubblici in pietra alimentati con fuoco di legna. L’aggiunta alla semola di grano duro di una parte di farina di timilia, un grano tardivo coltivato ormai solo in esigue zone della Sicilia, conferiva al pane una più lunga conservabilità.
L’impasto odierno è costituito da farina di semola di grano duro, sale e acqua (sette litri ogni dieci chili di farina). Comunemente viene utilizzato il lievito madre assieme a una piccola percentuale di lievito di birra, anche se non pochi fornai stanno tornando al lievito madre in purezza, il cosiddetto crescente. L’impasto riposa per una-due ore, secondo la stagione e la quantità di lievito impiegata. I pani, del peso di mezzo chilo, sono modellati a forma di esse e cosparsi di semi di sesamo in superficie. La cottura, della durata di circa 45 minuti, avviene in forni di pietra con fuoco diretto di legna (gusci di mandorle e, in misura minore, rametti di olivo e arancio). Il prodotto che si ottiene presenta mollica compatta con alveoli di piccola dimensione, crosta elastica e sottile.
La laboriosità del processo produttivo limita la produzione a una decina di laboratori artigianali; da qualche anno si sta assistendo a un rinnovato interesse da parte dei consumatori, favorito da una ristrutturazione dei vecchi forni e da una maggiore attenzione agli aspetti igienici della lavorazione. Notevole è anche il progetto di salvaguardia e tutela di questo prodotto da parte di Slow Food, che nel mese di ottobre 2008 ha inserito il Pane di Lentini fra i propri "Presidi". Il disciplinare del Presidio prevede l'utilizzo di semola di grano duro di varietà siciliane, acqua, sale marino e lievito madre (crescente) eliminando del tutto la piccola quantità di lievito di birra ancora impiegata nel pane comune. Grazie alla lunga e lenta lievitazione, il prodotto che si ottiene è caratterizzato da note olfattive e gustative più ricche e complesse e da una maggiore digeribilità.

PANE DI MATERA
Il Pane di Matera è tipico della Regione Basilicata, con zona di produzione Provincia di Matera. Riconoscimento I.G.P. Reg. CE n.2081/92.
Il pane di Matera è il pane ottenuto mediante un antico sistema di lavorazione, che prevede l'utilizzo esclusivo di semola di grano duro. Ha una lunghissima tradizione risalente al Regno di Napoli ed anche oltre, come confermato da numerose ed autorevoli fonti storiche. È da sempre alimento tipico del territorio materano, tradizionale zona di coltivazione di cereali, come risulta anche da diverse testimonianze artistiche e letterarie che attestano l'importanza ed il culto del pane nella vita e nell'economia di tutto il territorio.
La zona di produzione del pane di Matera è costituita da tutto il territorio della provincia di Matera; tuttavia il tipico pane a forma di cornetto è prodotto principalmente nel comune di Matera stessa e nei paesi dell'alta provincia materana (Montescaglioso, Irsina, Tricarico, Grassano, Grottole). Nei paesi della bassa provincia materana come Montalbano Jonico, Tursi, Pisticci si produce il pane di forma rotonda, leggermente diverso in termini di sapore e consistenza rispetto al tipico pane materano.
Il pane di Matera deve avere le seguenti caratteristiche:
Forma a cornetto oppure a pane alto;
Pezzatura da 1 o 2 kg.;
Spessore della crosta di almeno 3 mm;
Mollica di colore giallo paglierino con caratteristica alveolazione;
Umidità non superiore al 33%.
La scelta di vecchie varietà di grano, che conservano, nel loro patrimonio genetico, caratteristiche non presenti in altre, dà luogo a farine che trasferiscono al pane il gusto ed il sapore unico che lo contraddistinguono. Si aggiungano il processo di lavorazione e, nello specifico, la realizzazione del lievito madre, che, prodotto con frutta fresca, aggiunge ulteriori e particolari sensazioni di gusto.
Il prodotto si ottiene mediante l'antico processo di produzione che prevede l'utilizzo di lievito madre, semola di grano duro, sale e acqua. Parte delle semole da utilizzare per la produzione deve provenire da vecchie varietà coltivate nel territorio della provincia di Matera quali Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, Appulo. Può essere cotto sia nel forno a legna che nel forno a gas. Il prodotto ottenuto, grazie agli ingredienti utilizzati ed alla specificità del processo di lavorazione, si caratterizza per un colore giallo, una porosità tipica e molto difforme (con pori, all'interno del pane, del diametro variabile da 2–3 mm. fino anche a 60 mm.), un sapore ed un odore estremamente caratteristici. La conservabilità del pane, così ottenuto, può raggiungere i 7 giorni di tempo per le pezzatura da 1 kg. ed i 9 giorni per la pezzatura da 2 kg.

PANE DI MONTE SANT'ANGELO
Il pane di Monte Sant'Angelo è un prodotto di panetteria tradizionale di Monte Sant'Angelo, in provincia di Foggia.
Il pane di Monte Sant’Angelo è un pane molto particolare, con la crosta morbida e croccante e l’interno soffice e compatto. Anticamente le pagnotte venivano agganciate e appese fuori dalle botteghe: si parla di forme molto grandi, del peso di 5 o 6 chili, e dal diametro di 70-80 centimetri.
Nel 2006 il pane della città dell'Arcangelo Michele viene inserito nell'Atlante regionale (pugliese) dei prodotti tipici.
Gli ingredienti per la sua preparazione sono la farina di grano tenero Tipo"0", l'acqua, il sale e il lievito naturale (in dialetto locale lu crescente). La farina viene mescolata al lievito naturale e poi stemperata in acqua con l'aggiunta di sale. L'impasto così ottenuto viene lasciato lievitare e dopo ciò viene modellato per ottenere la pagnotta di pane. Fatto questo le forma di pane la si lascia a riposo in cassoni di legno prima di metterla in forno, alla temperatura di 200° per almeno 2 ore (il metodo di cottura tradizionale vuole che il pane sia cotto in forni a legna).
Un'altra variante di pane prevede l'inserimento nell'impasto di patate lesse per rendere più morbido il pane. Il suddetto pane viene oggi esportato in tutto il mondo. Esso è stato al centro di numerosi convegni.

PANE DI PAVULLO
Il pane di Pavullo è il tipico pane delle montagne modenesi. Le caratteristiche principali di questo prodotto dipendono principalmente dagli ingredienti, tra i quali spicca l'assenza di sale e l'utilizzo di farina di grano tenero coltivato esclusivamente nelle colline modenesi. La pezzatura prevede pani da circa 1 kg e nell'impasto è presente anche una piccola quantità di strutto.
Questo pane è stato il sostentamento di generazioni di braccianti montanari, e ciò che lo rende più apprezzabile sono alcune caratteristiche fisiche del prodotto finito. Infatti il pane pavullese rimane della stessa consistenza e digeribilità anche a distanza di una settimana dalla cottura, mentre la mollica, molto compatta e senza la presenza delle bolle di lievitazione, preserva questa caratteristica anche dopo il taglio. Questa lunga conservazione nel tempo, suggerisce che "l'invenzione" di questo pane sia da attribuire ai pastori (molto numerosi, in passato, in quelle terre) e ai braccianti, questi ultimi molto poveri e impossibilitati a procurarsi farina e strutto tutti i giorni.

PANE DI PELLEGRINA
Pellegrina è una frazione di circa 2000 abitanti del Comune di Bagnara Calabra in provincia di Reggio Calabria. Il paese è rinomato in tutta la Calabria per la tradizione del pane, del biscotto e della pitta di farina di grano con lievito madre naturale, cotti nel forno a legna.
Nel mese di agosto da sedici anni si tiene la "Sagra del Pane di Grano". I prodotti tipici da forno vengono serviti su vassoio in ceramica di artigianato locale.

PANE DI PIGNONE
Il pan dè patate è legato strettamente alla ricca produzione delle patate di Pignone, che rappresenta tuttora il maggiore prodotto orticolo del territorio. Questo tipo di pane è sinonimo di povertà: era infatti consumato soprattutto dalle famiglie meno abbienti che utilizzavano le patate in sostituzione di parte della farina di grano, economiche e sostanziose, la cui produzione risulta tutt'oggi notevole nelle valli del Casale e del Pignone in Comune di Pignone. Rappresenta un modo di mangiare povero legato strettamente alle condizioni socio-economiche di queste valli. I panini sono ottimi se serviti unitamente a saporiti insaccati. Pane ottenuto dall'impasto di farina e patate, di forma tonda o allungata e di piccole dimensioni: il suo peso massimo è infatti di mezzo chilo. Il colore è dorato, la crosta è molto saporita e racchiude un interno morbido.

PANE DI TRIORA
Il pane di Triora è un prodotto di panetteria tradizionale riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano.  Viene prodotto in Liguria, nel comune di Triora - Valle Argentina.
Triora, in passato era nota come il granaio della Repubblica di Genova e aveva un unico forno comunale in Vico del Forno; il pane veniva cotto per ogni famiglia, una volta alla settimana, nel forno comune. Oggi (2007) il pane di Triora viene prodotto da un unico panificio, che lo produce in modo artigianale, per tutta la Liguria del Ponente e del basso Piemonte.
Preparazione
Il pane è preparato con farina 1, farina di grano saraceno e crusca, lievitata per una notte con acqua tiepida e sale; all'impasto viene aggiunto il giorno successivo altro lievito e farina. Dopo aver riposato ancora qualche ora su uno strato di crusca i pani, in forme basse e larghe che dopo la cottura raggiungono un peso di circa 850 grammi, vengono cotti in forno caldo utilizzando foglie di castagno per evitare che si attacchino alla base del forno. A cottura ultimata le pagnotte presentano sulla crosta una incisione di forma quadrata.
Consumo
Può servire ad accompagnare una vasta gamma di secondi, ed è particolarmente indicato - tagliato a fette - per essere spalmato di bruss. E conservabile a lungo e può essere consumato fresco per circa una settimana dopo la produzione.
Il pane è preparato con farina 1, farina di grano saraceno e crusca, lievitata per una notte con acqua tiepida e sale; all'impasto viene aggiunto il giorno successivo altro lievito e farina. Dopo aver riposato ancora qualche ora su uno strato di crusca i pani, in forme basse e larghe che dopo la cottura raggiungono un peso di circa 850 grammi, vengono cotti in forno caldo utilizzando foglie di castagno per evitare che si attacchino alla base del forno. A cottura ultimata le pagnotte presentano sulla crosta una incisione di forma quadrata.

PANE NERO DI CASTELVETRANO
pane nero di Castelvetrano
Il pane nero di Castelvetrano è un pane di antica tradizione prodotto a Castelvetrano, in provincia di Trapani.
Viene realizzato mischiando due semole: quella di grano biondo siciliano e quella ricavata da una varietà di grano duro locale raro, la tumminìa, entrambe integrali e macinate in mulini a pietra naturale.
La tumminìa è un grano particolarmente duro e a ciclo breve (trimestrale), seminato a marzo, caratterizzato da cariossidi scure e cristalline. Il nome viene fatto risalire al greco trimenaios (grano a ciclo trimestrale seminato a marzo), anche definito grano marzuolo o marzuddu. Il colore scuro della tumminìa è responsabile della colorazione del pane nero e caratterizza il profumo di tostato con note di mandorla e malto.
Dal 2008 è in corso il processo per ottenere il riconoscimento di presidio DOP (Denominazione di origine protetta).
La farina viene impastata con acqua, sale di Trapani e lievito naturale (detto lu criscenti). Dopo una lunga lievitazione dell'impasto, i pani vengono cotti a 300 °C in forni di pietra alimentati con le fronde di ulivo tagliate nella potatura. Quando il fuoco ha portato il forno a temperatura, si toglie la brace e si ripulisce accuratamente il forno con una scopa di palma nana prima di infornare il pane, che cuoce lentamente, senza fuoco diretto.
Il prodotto è compatto, atto ad una lunga conservazione. Si presenta a forma di pagnotta (vastedda) o a "zampa di bue" (cuddura), del peso tradizionalmente di 1 kg e con un diametro di 20–30 cm e uno spessore di 8–10 cm. La crosta, coperta di semi di sesamo, è dura e di colore scuro (caffè). L'interno è di colore giallo grano, con mollica morbida dal sapore dolce.
È tutelato come presidio di Slow Food. Questa unica e particolarissima produzione ha rischiato in passato l'estinzione, finché i panificatori locali si sono riuniti in consorzio rivitalizzando anche la produzione della farina dei mulini locali che usano ancora le macine di pietra.

PANE RUSTICO DI GAVENOLA
Il pane rustico di Gavenola è un prodotto da forno dalla forma ovale, dal colore miele dorato e con i caratteristici disegni determinati dai tagli impressi sulla massa prima della sua cottura. La produzione di questo tipo di pane, sia bianco sia integrale, è documentata fin dai primi anni del XIX secolo. Cent'anni di storia per un prodotto semplice e genuino, vanto del piccolo centro di Gavenola, che si trova in valle Arroscia, lungo l'itinerario denominato della cucina bianca. Lavorazione: La versione bianca del pane rustico prevede i seguenti ingredienti: farina di grano tenero, sale, acqua e lievito di birra. La lavorazione richiede alcune ore. Si impastano tutti gli ingredienti, formando un ammasso che si lascia lievitare per alcune ore, possibilmente nelle madie in legno. Quindi, manualmente, si realizzano i pani che dovranno riposare ancora un po' prima di passare alla cottura e diventare quel prodotto friabile e dal profumo di cose antiche quale è il pane di Gavenola.
Per il pane rustico integrale gli ingredienti sono: farina integrale, sale, acqua, lievito di birra. La lavorazione è simile a quella per il pane rustico bianco.

PANE TOSCANO
Il pane toscano o pane umbro (a Roma anche chiamato pane di Terni) è un pane caratteristico della Toscana e dell'Umbria, è però prodotto e commercializzato anche in altre regioni italiane. Ciò che lo contraddistingue maggiormente è il fatto di essere completamente privo di sale. Le cucine toscana e umbra sono, d'altra parte, caratterizzate da cibi molto saporiti (insaccati, cacciagione, zuppe di pesce etc.); ecco dunque che l'accostamento di un pane "neutro" (non salato) aiuta ad esaltare e valorizzare i sapori di tali companatici.
Il pane toscano è spesso utilizzato anche sotto forma di crostini, ovvero piccole fette o dadi di pane scaldato al forno, arrostito o fritto. I crostini vengono serviti prevalentemente come antipasto, insieme a salumi o pesce, o come accompagnamento a zuppe e a primi piatti.
Sebbene la tradizione vuole che la mancanza di sale sia dovuta a scontri storici tra i pisani e i fiorentini (nel caso della Toscana) oppure fra il papa e i perugini (nel caso dell'Umbria), una ricerca sul pane senza sale a Perugia sembra smentire queste leggende.
Nelle province di Lucca e di Massa e Carrara, all'estremo nord ovest della Toscana attuale, il pane è tradizionalmente salato. Fanno eccezione a questa regola i comuni di Montecarlo ed Altopascio, a suo tempo compresi nel Granducato di Toscana, dove, come nel resto della regione il pane è privo di sale.

PARRUOZZO ABRUZZESE
Il pane di mais o pane parruozzo (termine derivante da "pane rozzo") è un tipo di pane tipico di Teramo. Viene confezionato in piccole pagnottine da mezzo chilo. Ottimo da accompagnare a verdure cotte.

PUCCIA PUGLIESE
Le pucce sono forme di pane aventi diametro di circa 20-30 centimetri facenti parte della tradizione culinaria della Puglia centromeridionale. In particolare tale tradizione è molto diffusa nel Salento.
La "Puccia caddhipulina" è una variante della puccia e viene preparata nella cittadina di Gallipoli il 7 dicembre, la vigilia della festa per l'Immacolata concezione. Si tratta di una forma di pane con molta mollica che in passato veniva condita con capperi e acciughe successivamente il benessere ha portato ad aggiungere tonno, pomodori e tanto olio extravergine d'oliva. Tradizione Gallipolina, viene prodotta in vari formati che partono dai 250 gr sino ad un chilogrammo. La tradizione è tutt'ora molto viva tra gli abitanti della città.
Le uliate sono più piccole ed hanno nell'impasto olive in salamoia. Vengono consumate in occasione della vigilia del giorno dell'Immacolata, tradizione vuole che in questo giorno si faccia digiuno mangiando solo una puccia, in questo modo le donne hanno il tempo di seguire i riti religiosi legati alla festività.
In provincia di Taranto, soprattutto nella zona orientale, viene chiamata "Puccia alla vampa" (alla fiamma) e l'impasto della puccia è di farina di semola. Viene preparato un disco di pasta e infornato, il disco man mano che cuoce aumenta di volume. Il risultato è un disco di pane morbido con pochissima mollica. La tradizione tarantina e salentina la vuole farcita con sementa di pomodoro, olio extravergine d'oliva, sale e ricotta forte, oppure con le rape stufate.
A Pulsano e Lizzano è tipica inoltre la preparazione di una focaccia chiamata "Puccia alla tajedda" (puccia in teglia) che ha un ripieno di cipolle, olive, capperi, acciughe, pomodori e peperoncino. Pur portando lo stesso nome del disco di pasta, in questo caso la puccia è una focaccia ripiena.

SCACCIA RAGUSANA
Nella provincia di Ragusa, in particolare nella zona dei monti Iblei, si trova la scaccia, una versione di pizza ripiena molto simile alla scacciata catanese.

SCEBLASTI SALENTINO
La scéblasti è il caratteristico pane condito di Zollino e, sotto nomi diversi, di tutto il Salento. Nella lingua tipica della zona, il griko, significa "senza forma". È cotta sulla pietra nei caratteristici forni a legna e, secondo la tradizione, era il primo pane ad essere sfornato, di solito all’alba. Rappresentava un momento collettivo di gioia e di buon augurio per i contadini.
La scéblasti nasce da un impasto di farina, acqua, zucchine, olive, cipolla, zucca, olio, peperoncino, sale e capperi.
Il 2 e 3 agosto di ogni anno la pro loco di Zollino organizza La Sagra della Scéblasti, che si svolge lungo un suggestivo percorso che attraversa antiche strade e piazze del centro storico del paese tra antiche case a corte, all’interno delle quali si possono gustare le tradizionali specialità della cucina salentina.

SCHIACCIATINA MANTOVANA
La schiacciatina (o chisolina) mantovana è una sorta di pane croccante secco e basso, molto fragrante, di forma quadrata o rettangolare, da gustare come spuntino, merenda o da accompagnare con un bicchiere di vino bianco secco. Da non confondere con la focaccia, condita solo con olio.
Conosciuta sin dai tempi dei Gonzaga col nome di “schizzadas”, veniva consumata dai contadini come intermezzo nei lavori dei campi. E' prodotta anche industrialmente e venduta confezionata in sacchetti.

STESA CIOCIARA
La stesa, è un alimento molto antico, risale all'epoca del 1800, quando la popolazione non potendo permettersi di comperare il pane, se lo faceva da sé. Veniva considerata il pane dei poveri, infatti per realizzarla basta poco tempo e pochi ma buoni ingredienti.
È impastata con farina, sale, strutto e con l'acqua necessaria a ottenere un impasto omogeneo e piuttosto consistente. Si manipola la massa per circa 10 minuti, si suddivide in tanti pezzi grossi come 2 uova per poi stenderli col mattarello in modo che formino delle sfoglie di spessore di circa 4-5 mm. Si fa scaldare una teglia di ferro o di terracotta in modo da arroventarla e si cuoce la focaccia da entrambi i lati, punzecchiandola con una forchetta. La stesa viene ripiegata su se stessa a formare una mezzaluna e viene servita farcita con prosciutto crudo, con formaggio, con mortadella, con coppa, con tonno o con broccoletti. Ma può anche essere gustata da sola, come semplice focaccia.
È un prodotto tipico della Ciociaria. Infatti nel paese di Strangolagalli in provincia di Frosinone, ogni anno, il secondo sabato di ottobre si svolge la Sagra della stesa.

SU ZICHI SARDO
Su zichi è un tipico pane sardo originario di Bonorva, centro abitato del Logudoro, nella Sardegna settentrionale. Pane circolare in spianate sottili, morbido o croccante.
Gli ingredienti sono farina di grano duro, acqua, sale e lievito naturale.
La sera si prepara la biga utilizzando pasta conservata da una panificazione precedente che viene sciolta in acqua tiepida con aggiunta di farina e lasciato lievitare tutta la notte. La mattina si impasta farina con acqua salata e si aggiunge la biga fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Si formano dei cerchi di mezzo centimetro di spessore e 35-40 centimetri di diametro, si lascia lievitare 6 - 12 ore a seconda del periodo. In passato veniva cotto esclusivamente in forni a legna.
Su zichi morbido fatto indurire e tagliato a pezzi viene cucinato in brodo di pecora bollente o in un brodo ottenuto con lardo e prezzemolo. Ultimamente ne vengono presentate altre varianti alla sagra dedicata nel comune originario Bonorva. Queste varianti si presentano sotto forma di condimento che può andare dai frutti di mare al pesto genovese al nero di seppia. 

VASTEDDA SICILIANA
La vastedda è una pagnotta di grosse dimensioni, con un peso che va da 500 g a 1500 g, di dimensione rotonda e piena, diffusa sia a Palermo dove è usata per la preparazione del pani ca meusa che nella Sicilia sud orientale (province di Catania e Provincia di Siracusa).