mercoledì 5 febbraio 2025

Corso di cucina: 37 Pani tipici

Alla scoperta dei pani italiani: 
un viaggio fragrante e colorato

Chi pensa che il pane sia solo un alimento di base, semplice e senza storia, non ha ancora conosciuto l’Italia! Qui, il pane è molto più di un accompagnamento: è cultura, tradizione, rituale quotidiano e, spesso, motivo di orgoglio locale. Ogni regione, città o borgo custodisce ricette tramandate da generazioni, ognuna con un profumo, una forma e un sapore che raccontano la storia del territorio, il clima, le materie prime e persino le influenze straniere.

Immaginate una tavola italiana: appena sfornato, il pane sprigiona profumi di forno e farina, di crosta croccante e mollica morbida. Ogni morso è un piccolo viaggio attraverso secoli di tradizioni gastronomiche, un mix di semplicità e ingegno contadino. Ma quali sono i pani che hanno reso l’Italia famosa nel mondo? Scopriamoli insieme, con curiosità e un pizzico di gusto letterario.


1. Pane Toscano – Il simbolo della sapidità negata

Forse uno dei pani più noti e caratteristici è il pane toscano, famoso per la sua totale assenza di sale. Non lasciatevi ingannare: niente sale non significa niente sapore! Il segreto sta nella farina di qualità, nella lunga lievitazione e nella crosta dorata e croccante. Si sposa perfettamente con zuppe saporite come la ribollita o con i salumi stagionati. Curiosità storica: la mancanza di sale risale a tempi di tasse altissime sul sale, un esempio di come la cucina si adatti anche alle restrizioni fiscali!


2. Ciabatta – La friabilità veneta che conquistò il mondo

Nata negli anni ‘80 del Novecento in Veneto, la ciabatta è un pane dall’aspetto rustico, lungo e schiacciato, con alveolatura irregolare e mollica morbida. Perfetta per panini gourmet, tramezzini e bruschette, la ciabatta ha conquistato anche l’Europa e gli Stati Uniti grazie alla sua versatilità e fragranza unica.


3. Focaccia ligure – Oro aromatizzato

Chiudete gli occhi e immaginate un rettangolo dorato cosparso di olio extravergine d’oliva, sale grosso e rosmarino: questa è la focaccia ligure, patrimonio del Mediterraneo. Nata come pane povero da condividere con famiglia e amici, oggi esistono varianti con olive, cipolle o pomodorini, ma il segreto resta sempre l’impasto morbido e leggermente profumato d’olio.


4. Pane di Altamura – Il re del grano duro

Dal cuore della Puglia arriva il pane di Altamura, fatto con grano duro locale e lievito madre naturale. La sua crosta spessa e croccante racchiude una mollica consistente e fragrante, perfetta per accompagnare formaggi stagionati, sughi ricchi o semplicemente un filo d’olio. Questo pane è così speciale da avere un riconoscimento DOP, a conferma della sua unicità.


5. Pane carasau – La sottile magia della Sardegna

Leggero come una nuvola, croccante come un biscotto gigante, il pane carasau sardo è un vero capolavoro della tradizione pastorale. Anticamente chiamato “carta da musica” per la sua sottigliezza, era un pane da conservare a lungo per i pastori. Oggi si gusta anche con olio, pomodoro e pecorino, oppure trasformato in piatti moderni come lasagne di carasau.


6. Pane casereccio e pane pugliese

Il pane casereccio si trova in tutte le regioni italiane, ma ogni zona lo personalizza con farina diversa, lunghezza della lievitazione e tipo di cottura. Il pane pugliese, ad esempio, ha una crosta robusta e alveoli grandi, ideale per panini rustici e per la merenda con pomodoro fresco e olio d’oliva.


7. Pane di segale e integrale – La salute nel gusto

In molte zone del Nord Italia si trovano pani con farina di segale, talvolta mescolata a quella di frumento, per un gusto più intenso e una consistenza più compatta. Perfetti per accompagnare salumi, formaggi erborinati e zuppe robuste, questi pani raccontano l’adattamento dei contadini al clima più rigido e ai cereali disponibili.


8. Altro mondo di pani speciali

  • Grissini torinesi: sottili e croccanti, ideali da sgranocchiare come snack o aperitivo.

  • Pane cafone napoletano: dalla crosta spessa e mollica alveolata, perfetto per la pizza rustica e le tavole campane.

  • Pane carasato sardo e pani aromatizzati con semi di finocchio, olive, noci o uvetta: ogni ingrediente racconta una storia locale.


Curiosità divertenti

  • In Toscana, se si mette il pane toscano nel latte, si ottiene la base perfetta per la panzanella o la ribollita.

  • I grissini sono nati come rimedio per problemi digestivi del re di Sardegna, Carlo Alberto, che li trovava più digeribili del pane comune.

  • Il pane di Altamura può durare giorni senza perdere fragranza grazie alla qualità del grano duro e al lievito madre.


Conclusione motivante

Studiare i pani italiani significa più che imparare nomi e forme: significa comprendere la storia dei territori, la creatività dei fornai e la capacità di trasformare ingredienti semplici in simboli culturali. La prossima volta che assaggerete una fetta di pane caldo, chiudete gli occhi e immaginate il viaggio che ha compiuto: dal campo di grano, al forno, fino alla vostra tavola. Ogni morso è un piccolo tuffo nella storia, nella geografia e nella tradizione italiana!


CAZZOTTO LAZIALE
cazzotto
Il cazzotto è un tipo di pane diffuso nel centro-sud Italia, con varianti regionali.
Si tratta di un tipo di panino piccolo, tondeggiante, di circa un etto, poco lavorato e dall'aspetto rustico, ricoperto di abbondante farina. La sua forma somiglia a quella di un pugno chiuso, perciò si chiama cazzotto. Contiene farina di grano duro oppure farina di grano tenero "00", acqua, lievito di birra, olio e sale, anche se in alcune varianti tipicamente toscane può essere sciapo. In Puglia invece il cazzotto è sinonimo di panzerotto o calzone, che non è un panino bensì un impasto a mezza luna farcito e cotto al forno.
CIRIOLA ROMANA
ciriola
La ciriola romana è un tipo di pane riconosciuto per la regione Lazio tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Pane di piccolo taglio che varia dai 70 ai 100 grammi, di forma vagamente simile ad un pallone da rugby e pieno di mollica, era un tempo il tipico supporto per i panini dei lavoratori, oggi più difficilmente reperibile. Come tutti i piccoli pani perde rapidamente fragranza. È usato per crostini il giorno seguente la sua cottura.

CIVRAXIU SARDO
Semola 
Semolato
Sale (30 gr per Kg di farina)
Acqua imbottigliata (600 cl per Kg di farina)
Lievito Madre
È importante utilizzare prodotti sani e genuini per ottenere un prodotto di altissima qualità.
La sera prima si lavora la semola, circa un 40% dell'intero impasto, insieme al semolato, circa un 10% dell'intero impasto, per circa 15/20 minuti con un'impastatrice altrimenti circa 40 minuti se lavorato a mano, ottenendo così una pasta elastica e liscia. Per impastare semola e semolato utilizzate solo una piccola parte dell'intera quantità d'acqua che servirà per il totale impasto. Avvolgere l'impasto con della pellicola trasparente affinché su quest'ultimo non si formi quel leggero strato di crosta dovuto al contatto con l'aria. Se l'impasto risulta essere troppo morbido si rischia che la pellicola trasparente si amalgami all'intero impasto risultando difficile o quasi impossibile separare i due, dunque assicurarsi di utilizzare una quantità di acqua inferiore e di recuperarla in seguito con l'intero impasto di semola e semolato. Tenete conto che, il giorno dopo, l'impasto di semola avrà una consistenza molto inferiore di quando l'avete lasciato riposare. La mattina successiva si lavora il restante 50% di semolato che va aggiunto al precedente impasto di semola e semolato ed al lievito madre. Il lievito madre è dato dalla fermentazione di un pezzo di pasta (su frammentu), ricavato da un precedente impasto (il lievito, affinché continui a fermentare, viene lasciato riposare coperto interamente dalla farina dentro un contenitore se riutilizzato entro la settimana oppure può essere conservato in freezer, dopo averlo fatto riposare almeno un giorno intero nel contenitore coperto dalla farina, per garantirne la durata nel tempo) che lavoreremo con del semolato. La quantità di semolato che ci servirà per lavorare su frammentu sarà uguale al 10% dell'intero impasto. Ad esempio: se intendiamo fare 10 kg di pane impasteremo 4 kg di semola insieme ad 1 kg di semolato, lo aggiungeremo ai 5 kg di semolato del giorno dopo ed infine lo uniremo ad 1 kg di lievito preparato il giorno prima), e lasciato riposare ben coperto per diverse ore che variano a seconda della temperatura esterna. Lavorare il tutto nei contenitori in terracotta xifedda (pronunciato in "scivedda"). Una volta impastato il tutto è bene lasciarlo lievitare minimo due ore all'interno dello stesso contenitore di terracotta che manterrà così l'impasto caldo, coprendolo con dei teli lavati a mano con del sapone di Marsiglia. Il pane è un alimento delicato che, durante la lavorazione, assorbe qualsiasi tipo di odore o profumo, anche dei detersivi. Dopodiché si fanno le forme, lasciando lievitare anch'esse minimo un'ora all'interno di canestri, recipienti di giunco o materiali simili (parinedda) sempre coperte con i teli. Il nostro pane è pronto per essere infornato.
Il civraxiu è un tipico pane sardo originario del Medio Campidano.
Civraxiu dal latino “cibarius”, conosciuto anche col nome di civràxu, civàrxu o semplicemente pane di Sanluri. Esiste anche una leggenda, che vuole che nell’anno 235 a.C. un soldato, il legionario romano di nome Ciro e un ragazzo di nome Vargio con la semola di grano duro inventarono un buon pane. Gli abitanti della zona talvolta lo chiamava Ciro, talvolta Vargiu, altre volte Ciro-Vargiu o in modo abbreviato Ci-Vargiu, col tempo il nome divenne civraxiu
Caratteristiche
Pane di semola di grano duro, caratteristico profumo, peso non inferiore a 2 kg, base circolare, presenta una crosta croccante e la mollica morbida. Grazie alla sua preparazione e agli ingredienti rimane buono e morbido per lungo tempo. In passato veniva preparato una volta alla settimana.

COCCOI A PITZUS

Il Coccoi a pitzus è un tipico pane decorato, di semola di grano duro prodotto in Sardegna conosciuto anche col nome di su scetti o pasta dura. È un tipo di pane pregiato che in passato si preparava per le grandi ricorrenze, matrimoni (coccoi de is sposus) e la Pasqua (coccoi cun s'ou). Pane di pasta dura, di forma complessivamente tonda o a semicerchio, crosta dorata croccante, mollica compatta e di colore bianco con tipiche sporgenze (pitzus).
Gli ingredienti sono semola di grano duro, acqua, sale su fromentu "pasta acida".

COPPIA FERRARESE
Coppia Ferrarese, "ciopa" o, confidenzialmente, "ciupeta" o pane ferrarese è il nome di un prodotto di panetteria a indicazione geografica protetta. Il 27 febbraio 2004 si è costituito il Consorzio di tutela per la coppia Ferrarese IGP.
Prima del XII secolo era confezionato a mo' di pagnotta, senza orli, bordi o ricami. Successivamente i legislatori della signoria Estense dettarono severe norme per la confezione del pane, per la sua conservazione e per l'identificazione del produttore.
Uno statuto del 1287 ordinava ai panettieri di fare pane:
con orletti
che non si abbassasse quando si cuoceva
di un peso specifico
ben cotto
quando ultimato di coprirlo con un drappo bianco
apporre un sigillo che identificasse il produttore
i forni non dovevano essere situati nelle vie più trafficate perché il pane non si impolverasse
La versione più rassomigliante nella forma all'attuale coppia ferrarese si può far risalire al Carnevale del 1536. Quando in una cena imbandita in onore del duca di Ferrara, secondo la leggenda, messer Giglio presentò in tavola un pane ritorto, con i caratteristici "crostini" aventi una forma simile a cornetto.
Metodo di produzione
Ingredienti: 1 kg di farina di grano tenero di tipo “0”, 350 gr d’acqua, 60 gr di strutto di puro suino, 30/40 gr di olio extravergine di oliva, 100 gr di lievito naturale “madre”, sale, malto.
Lavorazione: gli ingredienti vengono lavorati nell’impastatrice per 15/20 minuti. La pasta viene “stirata” nel cilindro con 15/20 passaggi. Viene tagliata a strisce e immessa nella macchina per la formazione delle coppie. Il pane viene posto su assi di legno coperto da un telo e immesso nella cella di lievitazione per 70/90 minuti. La cottura avviene in forni a platea fissa (calore dal basso verso l’alto). Pesa tra gli 80 e 250 gr. Umidità massima da 12 al 15%. Venduto entro 24 ore, non potrà essere surgelato o congelato. Anche nella proposta di modifica del disciplinare del 2007 viene confermata la stessa procedura.
Conservazione domestica della coppia
Benché il massimo della fragranza della coppia si abbia nello stesso giorno in cui viene prodotta, caratteristica che probabilmente sta alla base dell'obbligo imposto dal disciplinare di vendere il pane entro le 24 ore dalla produzione, rimane possibile la conservazione domestica in sacchetto di carta chiuso dentro un normale portapane, anche per diversi giorni (dipendentemente dal clima e dalla temperatura esterna). Questa proprietà fa apprezzare la coppia anche da persone che consumano abitualmente pane di pezzatura grossa (pagnotte tipo pane pugliese, ecc.). Inoltre la coppia ferrarese comincia a diffondersi anche in regioni diverse, e si trova in vendita, ad esempio, anche in esercizi commerciali del Trentino. Qui arriva come impasto semilavorato e viene ultimata la cottura.
La conservabilità della coppia ferrarese è infatti nella sua origine storica. Le tradizioni rurali del territorio di Ferrara infatti prevedevano che in famiglia si panificasse una o al massimo due volte a settimana. Questo comportava la necessità della conservazione del pane per diversi giorni. Per questo motivo non è escluso che la ricetta della coppia ferrarese si sia progressivamente adattata a questa necessità di avere pane buono anche dopo giorni. Il pane infatti rimane friabile e sempre adattissimo per molte pietanze.
Come per gli altri tipi di pane è bene che nei contenitori dove si conserva la coppia non vi siano cibi aromatici, perché il pane in breve tempo acquisisce il loro sapore. Negli ultimi anni si è imposto anche il metodo di conservazione mediante surgelazione domestica. Il pane quindi può essere consumato anche molto tempo dopo la sua produzione
La coppia ferrarese nella cultura
Molte sono le citazioni del pane ferrarese ad opera di protagonisti del mondo culturale. In un articolo del 2008, Folco Quilici racconta come nella sua famiglia la coppia ferrarese, finisse presto al centro dell'attenzione nei discorsi con ospiti "forestieri". Nonostante il lavoro di documentarista abbia portato Quilici in giro per il mondo, ed abbia quindi avuto occasione di assaggiare numerosi tipi di pane, egli chiude l'articolo in questione dicendo: "È stato per me «il cibo preferito» e qualunque sforzo io faccia, è sempre il pane ferrarese che mi manca, che desidero, che non perdo occasione di magnificare e di gustare”.
Riccardo Bacchelli parlava del pane ferrarese come de “Il Pane migliore del mondo.” Nella sua opera "Il mulino del Po" narra appunto del luogo dove si produceva la farina per il pane ferrarese.
Il rito della panificazione domestica nelle famigle ferraresi è cantato anche da Corrado Govoni in "Casa Paterna" nell'opera poetica "Inaugurazione della primavera" del 1915. Ed in un altro luogo ebbe occasione di dire: "Il nostro Pane: orgoglio di noi ferraresi. Dono dell'aria, dell'acqua, dell'uomo. Offerta generosa di Ferrara al mondo.”
1 kg di farina di grano tenero di tipo “0”,
350 gr d’acqua,
60 gr di strutto di puro suino,
30/40 gr di olio extravergine di oliva,
100 gr di lievito naturale “madre”,
sale,
malto.
gli ingredienti vengono lavorati nell’impastatrice per 15/20 minuti. La pasta viene “stirata” nel cilindro con 15/20 passaggi. Viene tagliata a strisce e immessa nella macchina per la formazione delle coppie. Il pane viene posto su assi di legno coperto da un telo e immesso nella cella di lievitazione per 70/90 minuti. La cottura avviene in forni a platea fissa (calore dal basso verso l’alto). Pesa tra gli 80 e 250 gr. Umidità massima da 12 al 15%.

CRESCENTINA MODENESE
La crescenta o crescentina è un tipo di pane caratteristico dell'appennino modenese, altresì conosciuta, ma erroneamente, con il nome di tigella. È un prodotto agroalimentare tradizionale elencato con i nomi di tigella modenese, tigèla modenese, crescentina modenese, cherscènta modenese ed è molto consumato durante le feste e sagre; è preparato in pressoché tutte le trattorie del modenese, del bolognese e del reggiano. Essendo stata per buona parte del XIX secolo sotto la dominazione estense, anche nei borghi della Lunigiana è conosciuta e preparata.
Il nome originario (nell'appennino modenese) di questo alimento è la "crescente" ma oramai sono diffuse numerosissime varianti, che variano notevolmente di significato da zona a zona (tigella o tigèla modenese o montanara, crescentina o chersèinta modenese o montanara). I termini "crescente" e "crescentina" vengono usati anche nel bolognese e nel reggiano: crescentina indica una variante del gnocco fritto, mentre crescente indica una sorta di tigella modenese piuttosto larga.
I dischi di terracotta o di pietra refrattaria in cui originariamente erano cotte le crescenti sono chiamati tigelle e per questo motivo oggi, nelle zone di pianura e nel resto d'Italia, ci si riferisce alle crescentine con il sempre più diffuso appellativo metonimico di tigelle, nonostante - secondo i puristi - l'unico nome corretto rimane crescentina perché quello originario ed etimologicamente esatto.
Le crescentine modenesi si preparano a partire da un impasto di acqua, farina di grano tenero e lievito di birra, da cui si formano palline o dischi del diametro di 6-10 cm. In alcune varianti viene aggiunto anche un pizzico bicarbonato di sodio, e una piccola quantità di grassi come ad esempio strutto, olio (di oliva o di girasole), panna oppure latte. Il bicarbonato di sodio, in alcune ricette, sostituisce completamente il lievito, trasformando quindi la crescentina in un pane azzimo.
La cottura tradizionale avveniva impilando la pasta in alternanza con dischi di terracotta (chiamati tigelle) precedentemente arroventati nel camino e foglie di castagno o di noce. Questi erano rotelle di circa 15 cm di diametro ed un centimetro e mezzo di spessore, formate tradizionalmente con terra di castagneto finemente triturata e modellata in uno stampo di legno con incisioni in bassorilievo (decorazioni geometriche o floreali che poi rimanevano stampate sulla pasta durante la cottura) e poi essiccati e cotti.
Con opportuna maestria la cuoca spostava periodicamente gli elementi della pila per rendere uniforme e verificare l'avanzamento della cottura. Attualmente la cottura è solitamente effettuata in maniera più veloce ponendo i dischi di pasta tra due piastre di materiale refrattario o metallico (dette cottole), in macchine appositamente realizzate per lo scopo, alimentate a gas o elettricità. L'attrezzo più diffuso per l'uso familiare è uno stampo in alluminio che può contenere dalle 4 alle 7 crescentine.
Le crescentine cotte vengono tradizionalmente consumate tagliandole a metà ed imbottendole con un pesto formato da un trito di lardo di maiale, aglio e rosmarino (noto localmente come cunza di Modena, lo stesso usato per i borlenghi) e con Parmigiano Reggiano. Oggi, oltre ad esso vengono anche imbottite di affettati e formaggi.
Si è diffusa anche l'abitudine di utilizzare come farcitura marmellate e creme di cioccolato, cosa però vista malvolentieri dai cultori della tradizione dell'Appennino.

GRISSA DELLA VAL BORMIDA
In val Bormida la gastronomia locale, come la lingua, risente dell'influenza del vicino Basso Piemonte e della Provenza. La cucina è rimasta semplice e gustosa, ricca di sapori autentici prettamente montani. Degno di nota è il classico pane casereccio.
Pane casereccio di farina di grano, acqua e sale, senza aggiunta di grassi. Cotto nel forno a legna, assume la fragranza e il sapore dei prodotti fatti in casa. Molto simile, per impasto e per tipo di lavorazione, è la grissa, ma diversa per il taglio che risulta trasversale rispetto al pane casereccio, e per le dimensioni che sono maggiori e per tale motivo quest'ultima risulta ancora più morbida.
In passato il pane era elemento centrale per l'alimentazione dei poveri. Il pane casereccio viene prodotto senza aggiunta di grassi. La lavorazione richiede alcune ore tra lievitazione, formatura e pezzatura, prima di passare alla fase di cottura che avviene nel forno a legna. Si caratterizza per la sua fragranza e digeribilità. Veniva prodotto con ogni tipo di cereale: dal frumento, all'orzo, all'avena, al sorgo. Ancora oggi molto diffuso e particolarmente saporito è il pane di porri e di patate.

PANE CARASAU
pane carasau
I due tipi principali di impasto sono uno a base di fior di farina di grano duro (più pregiato) e consumato dalle famiglie più agiate, l'altro a base di farina d'orzo o cruschello, di colore scuro, consumato dai meno abbienti.
Sa Cotta è il nome in lingua sarda con il quale viene indicato l'intero ciclo di preparazione e cottura del pane. Sino a qualche decade fa era un vero e proprio rito familiare e di vicinato che coinvolgeva almeno tre donne, amiche o parenti che ricevevano in cambio olio e ricotta o che semplicemente si ricambiavano l'aiuto. Ecco le varie fasi:
S'inthurta è la prima fase della lavorazione e avviene prima del sorgere del sole. Il lievito già precedentemente sciolto in acqua tiepida viene mescolato alla farina passata al setaccio (sedattu) e impastata dentro una madia di legno chiamata nelle diverse varianti del sardo iscivu, lacu, lachedda, oppure dentro una conca di terracotta (tianu, impastera). Esistono molte varianti sulla preparazione dell'impasto, sulla sua lavorazione e sulla cottura del pane, varianti che determinano sfumature di sapore, di leggerezza della sfoglia, di dimensione della stessa, e che seguono antiche tradizioni familiari o paesane.
Cariare o hariare. Durante questa seconda fase l'impasto viene lavorato energicamente sul tavolo (sa mesa pro su pane, sa mesitta), nel passato non ancora lontano anche in ginocchio sulla madia stessa. La pasta fresca viene schiacciata, allargata con la pressione dei pugni e riavvolta su stessa, con l'aggiunta di acqua viene manipolata con forza (ammoddihare) fino ad ottenere un impasto liscio. Da questa fase dipende molto la riuscita del pane e la sua durata è diversa per le tante varietà. Per il carasau o altri pani di grano duro è necessario continuare più a lungo: più la pasta è ben lavorata, più il risultato sarà apprezzabile. Questa fase è molto faticosa e spesso le donne sono aiutate dagli uomini.
Pesare. La fase della lievitazione viene chiamata pesare (alzare). La pasta ben lavorata viene posta in speciali contenitori come conche di terracotta o come in Barbagia dentro il malune di sughero, ben ricoperta con teli di lana. Si lascia riposare l'impasto mentre si preparano gli strumenti per passare alle fasi successive.
Orire, sestare. Una volta constatato l'avvio della lievitazione si divide l'insieme dell'impasto in tocchi regolari (sestare, orire) che vengono arrotondati, infarinati e riposti in particolari canestri (sas horves, canistreddas) avvolti tra le pieghe di teli di lana o di lino per farli riposare (pasare) ancora in modo da continuare la lievitazione.
Illadare. Durante questa fase la pasta lievitata si lavora con dei piccoli mattarelli in legno (canneddos, cannones) e mediante i polpastrelli delle mani, infarinandola in continuazione, appiattendola e allargandola a formare dei dischi (sas tundas) dal diametro variabile a secondo le località. Ottenuto il diametro e lo spessore desiderato, si depositano sulle pieghe di speciali panni di lana chiamati pannos de ispica o tiazas. Questi sono dei panni particolari, lunghi anche dieci metri e larghi 50 cm. Vengono tenuti solitamente arrotolati, ma nel momento del loro utilizzo si srotolano progressivamente prima verso destra per un tratto di 50 cm, e - una volta depositata la sfoglia sferica (sa tunda) - verso sinistra, a coprirla completamente, permettendo in questo modo di depositarne un'altra sulla parte superiore della piega, e così via in un susseguirsi di piegature fino al completo srotolamento. Vengono poi messi da parte e coperti con delle coperte. Ogni pannu de ispica o tiaza, a secondo della sua lunghezza, può contenere fino a venti tundas che sono in questo modo facilmente trasportabili.
Kokere. Per il forno si utilizza legno di quercia o di olivastro. Una volta introdotto viene sistemato nel centro del forno. Dopo l'accensione del fuoco (inchendya de su forru), che avviene solitamente mentre si preparano le sottili e sferiche sfoglie di pasta, il forno inizia a scaldarsi e a raggiungere una temperatura (temperare su furru) stabile di 450-500°. La fase della cottura dei pani avviene dopo che le braci sono state spinte da una parte tramite una particolare paletta in ferro (palitta 'e furru) e la pavimentazione del forno spazzata con una scopa speciale (iscovulos, ishopiles). Quando la persona addetta ritiene il forno abbastanza caldo, inizia la fase della prima cottura. Da una tiazza viene prelevata una tunda e tramite una pala in legno dalla forma arrotondata per meglio contenerla chiamata pala 'e linna o pala lada, introdotta nel forno per la prima cottura. Il forte calore rigonfia la foglia in poco tempo formando una palla. L'aria al suo interno inizia ad espandersi, determinando la separazione dei due strati. A seconda delle tradizioni locali la si rivolta o meno, e vi si appoggia delicatamente la pala in legno per favorire l'omogeneità del rigonfiamento spingendo il vapore verso quelle parti non ancora staccate. Non sempre il rigonfiamento è uniforme.
Fresare o calpire. Una volta sfornato il disco di pasta, le due facce ormai distaccate vengono separate (carpire, calpire o fresare) con il coltello, velocemente, possibilmente prima che l'aria defluisca da qualche fessura o che si riduca troppo di volume e la sfoglia si afflosci per il raffreddamento. Questa operazione richiede maestria e chi se ne occupa (sa fresadora) deve fare attenzione perché la sfoglia è molto calda e sprigiona vapore; afflosciandosi inoltre può capitare che le due parti (sos pizos) si riattacchino impedendo una corretta separazione (fresare su pane, aberrer a pizos). Non sempre l'operazione riesce specialmente se il forno non ha raggiunto la giusta temperatura (o non riesce a tenerla), o se la lievitazione non è abbastanza. I dischi (sos duos pizos) che rappresentano il prodotto finale hanno una faccia liscia (quella che era all'esterno della focaccia) ed una ruvida (il lato interno della focaccia originale). Il pane ottenuto dalla prima cottura e separato in due sottili strati viene chiamato pane lentu, pane modde o pane cruhu, ed ha la caratteristica di essere abbastanza elastico da non spezzarsi facilmente, inoltre può essere piegato o arrotolato a piacimento, caratteristica che riacquisterà dopo la carasatura solo con immersione in acqua. Può essere consumato anche subito ed il sapore è altrettanto apprezzabile, ma a differenza del carasau non si presta ad una lunga conservazione. Se il pane deve essere trasportato, in questa fase, grazie alla sua elasticità, la sfoglia può essere piegata in due a formare una mezzaluna, o ripiegata ulteriormente di un quarto per adattarla ai contenitori, e rimessa in forno con questa nuova forma per la tostatura. Dopo la separazione, sos pizos vengono impilati dentro dei cesti e solamente quando tutte le tundas saranno cotte si passa alla fase successiva.
Carasare. Con l'ultimazione della prima cottura, di solito nel primo pomeriggio dopo la sosta del pranzo, si procede alla seconda infornata necessaria a completare l'intero processo. Sos pizos uno per uno vengono rimessi dentro il forno per la cottura finale (sa carasadura). A secondo dei gusti dei nuclei familiari, le sfoglie vengono lasciate nel forno per un tempo più o meno lungo; di solito quelle che assumono un colore più scuro sono le più tostate ed hanno una sfumatura di sapore diverso dalle altre più chiare e meno tostate. Man mano che le sfoglie escono dal forno, vengono impilate (piras de pane) in grossi cesti di asfodelo (isportas). Queste caratteristiche piras sono spesso alte fino ad un metro, vengono avvolte in speciali panni e viene sistemato sulla sommità un peso, di solito un'asse in legno di forma rotonda o dei panni in modo da pressare un po' le sfoglie.
Consumo
Il pane carasau è consumato in molti modi. Secco, cioè al naturale (a trocheddu) accompagna gusti salati e gusti dolci in grande varietà.
Uno dei modi più diffusi di consumo ha luogo con l'aspersione o una rapida immersione in acqua (pane infustu), passaggio che restituisce alla sottile sfoglia l'umidità e conseguentemente la morbidezza necessaria perché possa essere avvolta intorno a salumi affettati e formaggi o essere associata ad altro companatico. Anche bagnato, il pane carasau continua ad avere la caratteristica di assorbire i liquidi con cui entra in contatto. Questa caratteristica è sfruttata per usarlo sotto le pietanze succose, ad esempio carni rosse cotte al sangue, o comunque quei cibi che rilasciano oli o grassi (dalla carne di maiale, alla verdura). Per bagnarlo si deve far scorrere dell'acqua unicamente dalla parte interna e ruvida della sfoglia per poi far subito sgocciolare la stessa tenendola qualche istante in posizione verticale; se il pane risulta troppo bagnato viene considerato da un vero barbaricino alla stregua della pasta scotta per un napoletano. Le grosse briciole che residuano invariabilmente alla spezzatura delle sfoglie sono dette nell'insieme "farrutta", pistizzu o frikinadura, ed uno dei loro utilizzi tipici, che peraltro consente di non perdere gli avanzi, è nel caffelatte.
Il pane guttiau
Il pane guttiàu (in sardo logudorese gocciolato, asperso) è una preparazione del pane carasau. Una sfoglia viene bagnata con poche gocce d'olio e salate, abbrustolite lievemente in forno o sulla griglia; il pane guttiau è prodotto anche industrialmente.

PANE CASARECCIO DI GENZANO
Pane di Genzano
Pane casareccio di Genzano (IGP) è il nome di un prodotto di panetteria a Indicazione Geografica Protetta.
L'Indicazione Geografica Protetta Pane Casareccio di Genzano si riferisce al prodotto di panetteria ottenuto da farina di ottima qualità di tipo 0 o 00, lievito naturale, sale, acqua e cruschello di grano. Il prodotto finito, estremamente leggero, si presenta nella classica forma a pagnotta tonda o in filone, con crosta scura e fine, mollica soffice e fortemente occhiata, dal profumo di cereale.
La zona di produzione del Pane Casareccio di Genzano IGP è limitata al territorio del comune di Genzano di Roma, in Provincia di Roma, nella regione Lazio.
L’Indicazione Geografica Protetta Pane Casareccio di Genzano è riservata al prodotto che ha le seguenti caratteristiche:
• peso da 0,5 a 2,5 kg;
• crosta di colore scuro, dallo spessore di circa 3 mm;
• mollica di colore bianco-avorio;
• profumo che ricorda quello dei cereali genuini e dei granai;
• sapore sapido;
• tasso di umidità non superiore al 33,7%;
• peso specifico pari a 0,23 kg/dm3.
A seconda della forma si possono distinguere le seguenti tipologie, così come immesse in commercio:
Filone: rotondo e lungo.
Pagnotta: con “baciature” evidenti ai lati.
Ogni pagnotta o filone di pane casareccio di Genzano IGP deve riportare sempre il bollino identificativo sul quale si trovano le seguenti indicazioni:
• PANE CASARECCIO DI GENZANO - INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA
• Garantito dal Mi.P.A.A.F. ai sensi dell’Art. 10 del Reg. CE 510/2006
• Il codice del produttore autorizzato
• Il numero progressivo di produzione.
• Il logo comunitario dei prodotti IGP
L’Indicazione Geografica Protetta pane casareccio di Genzano ha ottenuto la registrazione europea con Regolamento CE n. 2325/97 (pubblicato sulla GUCE L 322/97 del 25/11/1997).
Storia
Le origini del pane casareccio di Genzano IGP discendono dalla tradizione rurale da sempre legata al territorio di produzione; proprio nel comune della provincia di Roma il prodotto veniva lavorato e      cotto in speciali forni a legna chiamati “soccie”. Fin dall’antichità era compito delle donne che abitavano nei borghi, preparare e portare il pane a cuocere nelle strutture pubbliche. Una volta inserite in forno le pagnotte, le lavoratrici lasciavano impressi sulla superficie del prodotto segni particolari e ben riconoscibili, per distinguere i propri pani da quelli delle altre donne. Fonti storiche riportano inoltre che tutti i giorni, sin dalle prime ore del mattino, le vie del paese erano invase da un particolare profumo di frumento misto a quello di legno di castagno, con cui erano alimentati i forni. Nel comune di Genzano l’attività della produzione del pane era così radicata e diffusa che scandiva il passare delle ore e della giornata. Testimonianze storiche riportano inoltre che già attorno 1600 era diffusa la cultura del pane, tanto che il principe Cesarini Sforza, accanto al cui palazzo sorgeva il borgo, lo offrì in dono al Papa. Si narra a tal proposito che il Pontefice fosse rimasto estremamente colpito dal gusto e dal profumo di questo particolare prodotto. Apprezzato già agli inizi del XX secolo, è solo dagli anni Quaranta che il prodotto ha visto ampliare le proprie prospettive, grazie all’introduzione delle impastatrici e dei forni elettrici che hanno alleviato, nel tempo, le fatiche dei fornai. Il pane di Genzano ha così iniziato a registrare consensi prima presso gli abitanti di Roma, dove veniva trasportato di notte e venduto il giorno successivo nei panifici locali, e poi anche al di là dei confini regionali. I motivi della particolarità e inimitabilità del prodotto si devono però in larga parte all’impiego di strumenti che fanno parte della tradizione locale ed alle procedure di lavorazione tramandate di generazione in generazione.
 
Il pane di Genzano IGP è ottenuto attraverso le seguenti fasi di produzione:
Preparazione del lievito madre - è l’unico metodo che permette di ottenere un lievito naturale contenente batteri lattici ed acetici garantendo così caratteristiche uniche di conservabilità ed elasticità. Si prepara a partire da un impasto di acqua e farina, rinnovato quotidianamente. Le dosi devono essere proporzionali alla quantità di impasto.
Impasto - viene preparata la biga, un preimpasto ottenuto tramite la miscela di acqua, farina e lievito. L’operazione dura circa 20 minuti, anche se il tempo necessario per tale fase può variare a seconda del quantitativo di preparato da lavorare. Per l’impasto di una dose pari ad 1 quintale di farina di tipo 0 o 00, vanno aggiunti: 2 kg di sale, 1,5 kg di lievito naturale e 70 l di acqua circa. Lievitazione - dura circa 1 ora, tempo durante il quale l’impasto raggiunge il punto ottimale di lievitazione, anche se spesso è il fornaio stesso a decidere se il preparato è pronto o meno per essere spianato.
Modellatura - l’impasto viene spianato e modellato per formare le caratteristiche pagnotte o i filoni, che vengono collocati all’interno di apposite casse di legno. Qui gli impasti vengono sistemati in teli di canapa e spolverati con cruschello o tritello, che conferiscono al prodotto il caratteristico colore scuro della crosta.
Seconda lievitazione - A questo punto il Pane Casareccio di Genzano IGP deve essere sottoposto ad una seconda fase di lievitazione che dura circa 40 minuti. Le casse contenenti il prodotto non ancora pronto devono, in questa fase, essere sistemate in un ambiente caldo con una temperatura idonea alla lievitazione.
Cottura - il Pane Casareccio di Genzano IGP può venire cotto sia in forni a legna sia in forni ad alimentazione diversa. La temperatura del forno deve essere compresa tra i 280 ed i 320°C al fine di permettere al prodotto di raggiungere al suo interno una temperatura di cottura compresa tra i 94 ed i 96°C ottenendo così una cottura uniforme e completa e di consentire il formarsi di una crosta di circa 3 mm di spessore. Proprio la conformazione di questa parte più superficiale del pane, consente alla mollica del prodotto di rimanere spugnosa e soffice, con fori o alveoli irregolari e non eccessivamente grandi. A seconda delle dimensioni delle pagnotte e dei filoni, la fase di cottura può durare dai 35 minuti fino ad 1 ora.

PANE DELLA VAL BORMIDA
In val Bormida la gastronomia locale, come la lingua, risente dell'influenza del vicino Basso Piemonte e della Provenza. La cucina è rimasta semplice e gustosa, ricca di sapori autentici prettamente montani. Degno di nota è il classico pane casereccio. Pane casereccio di farina di grano, acqua e sale, senza aggiunta di grassi. Cotto nel forno a legna, assume la fragranza e il sapore dei prodotti fatti in casa. Molto simile, per impasto e per tipo di lavorazione, è la grissa, ma diversa per il taglio che risulta trasversale rispetto al pane casereccio, e per le dimensioni che sono maggiori e per tale motivo quest'ultima risulta ancora più morbida. In passato il pane era elemento centrale per l'alimentazione dei poveri. Il pane casereccio viene prodotto senza aggiunta di grassi. La lavorazione richiede alcune ore tra lievitazione, formatura e pezzatura, prima di passare alla fase di cottura che avviene nel forno a legna. Si caratterizza per la sua fragranza e digeribilità. Veniva prodotto con ogni tipo di cereale: dal frumento, all'orzo, all'avena, al sorgo. Ancora oggi molto diffuso e particolarmente saporito è il pane di porri e di patate.  

PANE DI ALTAMURA
PANE DI ALTAMURA
Il Pane di Altamura è un prodotto di panetteria a Denominazione di Origine Protetta (DOP) proveniente dall'omonima città Altamura in provincia di Bari. Questo è un pane tipico pugliese ottenuto da un impasto di semola di grano duro rimacinata molto ricca di glutine (arriva fino al 14%), a lievitazione naturale e cotto nel forno a legna.

PANE DI CALITRI
Il pane di Calitri è un prodotto di panetteria tradizionale di Calitri, in provincia di Avellino.Il pane di Calitri è molto antico, tanto che la sua produzione è documentata da utensili e altro materiale esposto presso il museo della civiltà contadina di Aquilonia, nonché da foto e documentazione varia conservate presso i comuni dell'area. Ottenuto con semola di grano duro e farina di grano tenero, è caratterizzato dalla forma circolare e da un taglio longitudinale. Le forme possono pesare dai 2 ai 6 kg, caso in cui vengono chiamate “ruote di carro” per le loro grandi dimensioni. La crosta, molto croccante, è di colore bruno scuro e di sapore molto caratteristico e la mollica ha piccole occhiature diffuse ed uniformi.L'impasto è ottenuto con "crescente", farina, semola, acqua e sale e la lavorazione richiede un prolungato procedimento di impasto, seguita da una successiva fase di fermentazione a caldo, al buio e a temperature di 18-20 °C. La cottura avviene in forni a legna o elettrici e, per ottenere una cottura omogenea, le forme vengono spostate in diversi punti del forno.

PANE DI CHIASERNA
pane di Chiaserna
Il pane di Chiaserna è diffuso nei territori del Montefeltro, in tutta la provincia di Pesaro e Urbino e nelle vicine province di Perugia ed Ancona, è riconosciuto dalla Regione Marche ed è inserito nell'elenco dei prodotti tipici nazionali pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. "Pane di Chiaserna" è un marchio collettivo registrato che prende il nome da Chiaserna, frazione di Cantiano.
La bontà di questo pane è dovuta all'utilizzo di acqua di sorgente che conferisce al prodotto caratteristiche peculiari di leggerezza e freschezza nel tempo. Filone di forma allungata leggermente schiacciata, di colore dorato e privo di sale. Il segreto, oltre all'eccezionale qualità dell'acqua del Monte Catria, risiede interamente nel rispetto della semplicità e della tradizione nella panificazione. Il "Pane di Chiaserna" infatti nasce come impasto acido (detto anche lievito "madre") e viene fatto fermentare in tutta calma. La totale assenza di additivi, conservanti e agenti miglioratori fanno il resto.

PANE DI CUTRO

Il pane di Cutro è un prodotto tipico della cittadina omonima in provincia di Crotone ottenuto dall'impasto di semola di grano duro in gran quantità, e in seguito unito all'impasto a base di farina di grano tenero, lievito naturale, acqua e sale.
Di forma tonda o allungata e pesante circa 1/2 kg, si contraddistingue per la crosta spessa, omogenea e croccante, la mollica ben aderente e porosa, il sapore e l’aroma caratteristico e la sua freschezza a lunga durata; il colore è variabile tra il giallo dorato e il granario. Viene segnato con un taglio lungo la superficie superiore perché non si creino spaccature irregolari.
Oggi il pane di Cutro è anche produzione export, in quanto richiesto e consumato soprattutto in Emilia-Romagna. È considerato dagli esperti tra i migliori pani d'Italia, ed è stato candidato a ricevere il marchio D.O.P.

PANE DI GAVENOLA
Il pane rustico di Gavenola è un prodotto da forno dalla forma ovale, dal colore miele dorato e con i caratteristici disegni determinati dai tagli impressi sulla massa prima della sua cottura. La produzione di questo tipo di pane, sia bianco sia integrale, è documentata fin dai primi anni del XIX secolo. Cent'anni di storia per un prodotto semplice e genuino, vanto del piccolo centro di Gavenola, che si trova in valle Arroscia, lungo l'itinerario denominato della cucina bianca. La versione bianca del pane rustico prevede i seguenti ingredienti: farina di grano tenero, sale, acqua e lievito di birra. La lavorazione richiede alcune ore. Si impastano tutti gli ingredienti, formando un ammasso che si lascia lievitare per alcune ore, possibilmente nelle madie in legno. Quindi, manualmente, si realizzano i pani che dovranno riposare ancora un po' prima di passare alla cottura e diventare quel prodotto friabile e dal profumo di cose antiche quale è il pane di Gavenola. Per il pane rustico integrale gli ingredienti sono: farina integrale, sale, acqua, lievito di birra. La lavorazione è simile a quella per il pane rustico bianco.

PANE DI LARIANO
È un tipo di pane casareccio prodotto a Lariano. Gli ingredienti principali sono la farina integrale, la farina "00", l'acqua e il lievito naturale. La cottura avviene nel forno a legna con le fascine di castagno. Noto da sempre in tutta la zona dei Castelli Romani e a Roma, questo pane si caratterizza per l'uso del lievito naturale, la farina di grano tenero semintegrale e la cottura nel forno a legna. La lievitazione è ottenuta con lievito madre e con un poco di lievito di birra. Si impastano gli ingredienti per circa 40 minuti dopo di che si lascia lievitare per un'ora. Il pane viene poi spianato, modellato in forma di pagnotte grandi o filoni dal peso di circa 1 o 2 chili, riposto in casse di legno, spolverato con cruschello o tritello e coperto con teli di canapa, dopo un certo periodo di tempo in cui avviene la seconda lievitazione si procede alla cottura rigorosamente ottenuta mediante il forno a legna di castagno per circa un'ora e venti.

PANE DI LATERZA
Il pane di Laterza è un prodotto di panetteria tradizionale di Laterza, in provincia di Taranto.
È ottenuto dall'impiego di farina di semola di grano duro rimacinata, delle varietà coltivate nei territori del comune di Laterza o in quelli dei comuni limitrofi (ad esempio Simeto, Appulo, Arcangelo, ecc.), mescolata con acqua, sale e lievito madre.
Nel 1998, grazie ad un'intesa tra Comune di Laterza e i più antichi panificatori locali, è nato il consorzio Pane di Laterza, per tutelare, valorizzare e promuovere il prodotto laertino.
La città di Laterza fa parte dell'Associazione nazionale città del pane, che ha tra i suoi scopi quello di promuovere il riconoscimento e la valorizzazione dei pani e di tipologie specifiche di pane legate a      determinati territori.
L'agricoltura, e in particolare la coltivazione di cereali, è sempre stata alla base dell'economia laertina. L'utilizzo dei cereali per la produzione del pane, e di altri prodotti da forno, ha radici molto antiche nel territorio di Laterza, risalenti al V secolo a.C.. Farro e orzo erano gli ingredienti utilizzati, per quello che allora veniva chiamato focaccia. Al contrario di oggi, il lievito non era sempre utilizzato, e la cottura avveniva sotto la cenere o sopra la brace. Il pane prodotto era per lo più necessario a coprire le esigenze famigliari.
La panificazione, come servizio pubblico, fu introdotta dai romani che a loro volta avevano imparato quest'arte dagli schiavi greci che lavoravano per i nobili. Per diversi secoli, la produzione del pane era riservata solo ai nobili, gli unici che potevano permettersi di mantenere gli alti costi di gestione di un mulino o di un forno. In contrada Fornaci a Laterza è stato rinvenuto un forno attivo fino al 1700 di proprietà di un signore feudale, composto da una singola camera di combustione.
Fino al XVII secolo la produzione del pane per la vendita a terzi fu regolata dai calmieri, ovvero un insieme di norme volte al controllo dei prezzi per proteggere i consumatori. Queste norme, però, portarono inevitabilmente alla produzione di pane di bassa qualità, tant'è che furono ben presto abolite. Il problema del pane, però, diventava sempre più grave e durante la prima guerra mondiale veniva venduto ad un prezzo inferiore al costo di produzione. Questa politica provocò una grave crisi e fu, anch'essa, ben presto sostituita. Infatti a partire dalla seconda guerra mondiale i produttori di grano erano costretti a consegnare la propria produzione al Consorzio agrario di riferimento, il quale consentiva loro di trattenere solo una piccola parte necessaria al fabbisogno famigliare. Per le famiglie che, invece, non possedeva grano, il consorzio donava una razione giornaliera di 200 grammi di pane per ogni componente. Queste restrizioni furono abolite con il boom economico che investì l'Italia nella metà del Novecento.
Per quanto riguarda più in particolare Laterza, fino agli anni cinquanta, a differenza di altri centri, la gestione dei forni era affidata esclusivamente a quattro donne: la fornaia e tre operaie. Compito delle operaie era quello della preparazione della legna nel forno, del ritiro dell'impasto crudo fatto in casa dalle clienti, e della consegna del pane caldo al termine della cottura, con conseguente riscossione del compenso per la cottura. Compito della fornaia, invece, era quello della cottura del pane e, in generale, della gestione del forno, che la stessa aveva preso in fitto.
Caratteristiche
Cotto nei tradizionali forni a legna, riscaldati con legna aromatica di bosco o di ulivo, o altri prodotti come nocciolino di albicocca o buccia di mandorle, secondo la disponibilità stagionale, il pane di Laterza si distingue per il suo profumo di cereale e per il suo sapore ben definito, tendente all'acidulo. La pezzatura tradizionale prevede forme di pane (dette panelle o panédd in dialetto laertino) da uno, due e quattro kg di peso, con un diametro rispettivamente di circa 25, 35 e 45 cm. Il colore della crosta, spessa circa 3 mm, è tendente al marrone, mentre la mollica è di colore bianco avorio.
Fasi di produzione
Affinché un pane prodotto nel comune di Laterza possa essere riconosciuto col marchio Pane di Laterza, deve sottostare alle seguenti caratteristiche e fasi obbligatorie:
Ingredienti utilizzati per l’impasto: farina di semola di grano duro rimacinata, acqua, sale, lievito madre.
Lievitazione: 6 ore.
Pezzature autorizzate: uno, due e quattro kg del diametro rispettivamente di 25, 35 e 45 cm circa.
Preriscaldamento del forno: utilizzo di fascine di legna di bosco o di ulivo; in alternativa può essere utilizzato nocciolino di albicocca o buccia di mandorle a seconda della disponibilità stagionale.
Cottura: lenta di 2 ore a 400 gradi in forno a riscaldamento diretto su pietra (dette chianche)
farina di semola di grano duro rimacinata,
acqua,
sale,
lievito madre.
Lievitazione: 6 ore.
Cottura: lenta di 2 ore a 200 gradi.

PANE DI LENTINI
Il Pane di Lentini viene prodotto nei comuni di Lentini e Carlentini, in provincia di Siracusa.
Un tempo era preparato dalle donne, che portavano l’impasto da cuocere nei forni pubblici in pietra alimentati con fuoco di legna. L’aggiunta alla semola di grano duro di una parte di farina di timilia, un grano tardivo coltivato ormai solo in esigue zone della Sicilia, conferiva al pane una più lunga conservabilità.
L’impasto odierno è costituito da farina di semola di grano duro, sale e acqua (sette litri ogni dieci chili di farina). Comunemente viene utilizzato il lievito madre assieme a una piccola percentuale di lievito di birra, anche se non pochi fornai stanno tornando al lievito madre in purezza, il cosiddetto crescente. L’impasto riposa per una-due ore, secondo la stagione e la quantità di lievito impiegata. I pani, del peso di mezzo chilo, sono modellati a forma di esse e cosparsi di semi di sesamo in superficie. La cottura, della durata di circa 45 minuti, avviene in forni di pietra con fuoco diretto di legna (gusci di mandorle e, in misura minore, rametti di olivo e arancio). Il prodotto che si ottiene presenta mollica compatta con alveoli di piccola dimensione, crosta elastica e sottile.
La laboriosità del processo produttivo limita la produzione a una decina di laboratori artigianali; da qualche anno si sta assistendo a un rinnovato interesse da parte dei consumatori, favorito da una ristrutturazione dei vecchi forni e da una maggiore attenzione agli aspetti igienici della lavorazione. Notevole è anche il progetto di salvaguardia e tutela di questo prodotto da parte di Slow Food, che nel mese di ottobre 2008 ha inserito il Pane di Lentini fra i propri "Presidi". Il disciplinare del Presidio prevede l'utilizzo di semola di grano duro di varietà siciliane, acqua, sale marino e lievito madre (crescente) eliminando del tutto la piccola quantità di lievito di birra ancora impiegata nel pane comune. Grazie alla lunga e lenta lievitazione, il prodotto che si ottiene è caratterizzato da note olfattive e gustative più ricche e complesse e da una maggiore digeribilità.

PANE DI MATERA
Il Pane di Matera è tipico della Regione Basilicata, con zona di produzione Provincia di Matera. Riconoscimento I.G.P. Reg. CE n.2081/92.
Il pane di Matera è il pane ottenuto mediante un antico sistema di lavorazione, che prevede l'utilizzo esclusivo di semola di grano duro. Ha una lunghissima tradizione risalente al Regno di Napoli ed anche oltre, come confermato da numerose ed autorevoli fonti storiche. È da sempre alimento tipico del territorio materano, tradizionale zona di coltivazione di cereali, come risulta anche da diverse testimonianze artistiche e letterarie che attestano l'importanza ed il culto del pane nella vita e nell'economia di tutto il territorio.
La zona di produzione del pane di Matera è costituita da tutto il territorio della provincia di Matera; tuttavia il tipico pane a forma di cornetto è prodotto principalmente nel comune di Matera stessa e nei paesi dell'alta provincia materana (Montescaglioso, Irsina, Tricarico, Grassano, Grottole). Nei paesi della bassa provincia materana come Montalbano Jonico, Tursi, Pisticci si produce il pane di forma rotonda, leggermente diverso in termini di sapore e consistenza rispetto al tipico pane materano.
Il pane di Matera deve avere le seguenti caratteristiche:
Forma a cornetto oppure a pane alto;
Pezzatura da 1 o 2 kg.;
Spessore della crosta di almeno 3 mm;
Mollica di colore giallo paglierino con caratteristica alveolazione;
Umidità non superiore al 33%.
La scelta di vecchie varietà di grano, che conservano, nel loro patrimonio genetico, caratteristiche non presenti in altre, dà luogo a farine che trasferiscono al pane il gusto ed il sapore unico che lo contraddistinguono. Si aggiungano il processo di lavorazione e, nello specifico, la realizzazione del lievito madre, che, prodotto con frutta fresca, aggiunge ulteriori e particolari sensazioni di gusto.
Il prodotto si ottiene mediante l'antico processo di produzione che prevede l'utilizzo di lievito madre, semola di grano duro, sale e acqua. Parte delle semole da utilizzare per la produzione deve provenire da vecchie varietà coltivate nel territorio della provincia di Matera quali Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, Appulo. Può essere cotto sia nel forno a legna che nel forno a gas. Il prodotto ottenuto, grazie agli ingredienti utilizzati ed alla specificità del processo di lavorazione, si caratterizza per un colore giallo, una porosità tipica e molto difforme (con pori, all'interno del pane, del diametro variabile da 2–3 mm. fino anche a 60 mm.), un sapore ed un odore estremamente caratteristici. La conservabilità del pane, così ottenuto, può raggiungere i 7 giorni di tempo per le pezzatura da 1 kg. ed i 9 giorni per la pezzatura da 2 kg.

PANE DI MONTE SANT'ANGELO
Il pane di Monte Sant'Angelo è un prodotto di panetteria tradizionale di Monte Sant'Angelo, in provincia di Foggia.
Il pane di Monte Sant’Angelo è un pane molto particolare, con la crosta morbida e croccante e l’interno soffice e compatto. Anticamente le pagnotte venivano agganciate e appese fuori dalle botteghe: si parla di forme molto grandi, del peso di 5 o 6 chili, e dal diametro di 70-80 centimetri.
Nel 2006 il pane della città dell'Arcangelo Michele viene inserito nell'Atlante regionale (pugliese) dei prodotti tipici.
Gli ingredienti per la sua preparazione sono la farina di grano tenero Tipo"0", l'acqua, il sale e il lievito naturale (in dialetto locale lu crescente). La farina viene mescolata al lievito naturale e poi stemperata in acqua con l'aggiunta di sale. L'impasto così ottenuto viene lasciato lievitare e dopo ciò viene modellato per ottenere la pagnotta di pane. Fatto questo le forma di pane la si lascia a riposo in cassoni di legno prima di metterla in forno, alla temperatura di 200° per almeno 2 ore (il metodo di cottura tradizionale vuole che il pane sia cotto in forni a legna).
Un'altra variante di pane prevede l'inserimento nell'impasto di patate lesse per rendere più morbido il pane. Il suddetto pane viene oggi esportato in tutto il mondo. Esso è stato al centro di numerosi convegni.

PANE DI PAVULLO
Il pane di Pavullo è il tipico pane delle montagne modenesi. Le caratteristiche principali di questo prodotto dipendono principalmente dagli ingredienti, tra i quali spicca l'assenza di sale e l'utilizzo di farina di grano tenero coltivato esclusivamente nelle colline modenesi. La pezzatura prevede pani da circa 1 kg e nell'impasto è presente anche una piccola quantità di strutto.
Questo pane è stato il sostentamento di generazioni di braccianti montanari, e ciò che lo rende più apprezzabile sono alcune caratteristiche fisiche del prodotto finito. Infatti il pane pavullese rimane della stessa consistenza e digeribilità anche a distanza di una settimana dalla cottura, mentre la mollica, molto compatta e senza la presenza delle bolle di lievitazione, preserva questa caratteristica anche dopo il taglio. Questa lunga conservazione nel tempo, suggerisce che "l'invenzione" di questo pane sia da attribuire ai pastori (molto numerosi, in passato, in quelle terre) e ai braccianti, questi ultimi molto poveri e impossibilitati a procurarsi farina e strutto tutti i giorni.

PANE DI PELLEGRINA
Pellegrina è una frazione di circa 2000 abitanti del Comune di Bagnara Calabra in provincia di Reggio Calabria. Il paese è rinomato in tutta la Calabria per la tradizione del pane, del biscotto e della pitta di farina di grano con lievito madre naturale, cotti nel forno a legna.
Nel mese di agosto da sedici anni si tiene la "Sagra del Pane di Grano". I prodotti tipici da forno vengono serviti su vassoio in ceramica di artigianato locale.

PANE DI PIGNONE
Il pan dè patate è legato strettamente alla ricca produzione delle patate di Pignone, che rappresenta tuttora il maggiore prodotto orticolo del territorio. Questo tipo di pane è sinonimo di povertà: era infatti consumato soprattutto dalle famiglie meno abbienti che utilizzavano le patate in sostituzione di parte della farina di grano, economiche e sostanziose, la cui produzione risulta tutt'oggi notevole nelle valli del Casale e del Pignone in Comune di Pignone. Rappresenta un modo di mangiare povero legato strettamente alle condizioni socio-economiche di queste valli. I panini sono ottimi se serviti unitamente a saporiti insaccati. Pane ottenuto dall'impasto di farina e patate, di forma tonda o allungata e di piccole dimensioni: il suo peso massimo è infatti di mezzo chilo. Il colore è dorato, la crosta è molto saporita e racchiude un interno morbido.

PANE DI TRIORA
Il pane di Triora è un prodotto di panetteria tradizionale riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano.  Viene prodotto in Liguria, nel comune di Triora - Valle Argentina.
Triora, in passato era nota come il granaio della Repubblica di Genova e aveva un unico forno comunale in Vico del Forno; il pane veniva cotto per ogni famiglia, una volta alla settimana, nel forno comune. Oggi (2007) il pane di Triora viene prodotto da un unico panificio, che lo produce in modo artigianale, per tutta la Liguria del Ponente e del basso Piemonte.
Preparazione
Il pane è preparato con farina 1, farina di grano saraceno e crusca, lievitata per una notte con acqua tiepida e sale; all'impasto viene aggiunto il giorno successivo altro lievito e farina. Dopo aver riposato ancora qualche ora su uno strato di crusca i pani, in forme basse e larghe che dopo la cottura raggiungono un peso di circa 850 grammi, vengono cotti in forno caldo utilizzando foglie di castagno per evitare che si attacchino alla base del forno. A cottura ultimata le pagnotte presentano sulla crosta una incisione di forma quadrata.
Consumo
Può servire ad accompagnare una vasta gamma di secondi, ed è particolarmente indicato - tagliato a fette - per essere spalmato di bruss. E conservabile a lungo e può essere consumato fresco per circa una settimana dopo la produzione.
Il pane è preparato con farina 1, farina di grano saraceno e crusca, lievitata per una notte con acqua tiepida e sale; all'impasto viene aggiunto il giorno successivo altro lievito e farina. Dopo aver riposato ancora qualche ora su uno strato di crusca i pani, in forme basse e larghe che dopo la cottura raggiungono un peso di circa 850 grammi, vengono cotti in forno caldo utilizzando foglie di castagno per evitare che si attacchino alla base del forno. A cottura ultimata le pagnotte presentano sulla crosta una incisione di forma quadrata.

PANE NERO DI CASTELVETRANO
pane nero di Castelvetrano
Il pane nero di Castelvetrano è un pane di antica tradizione prodotto a Castelvetrano, in provincia di Trapani.
Viene realizzato mischiando due semole: quella di grano biondo siciliano e quella ricavata da una varietà di grano duro locale raro, la tumminìa, entrambe integrali e macinate in mulini a pietra naturale.
La tumminìa è un grano particolarmente duro e a ciclo breve (trimestrale), seminato a marzo, caratterizzato da cariossidi scure e cristalline. Il nome viene fatto risalire al greco trimenaios (grano a ciclo trimestrale seminato a marzo), anche definito grano marzuolo o marzuddu. Il colore scuro della tumminìa è responsabile della colorazione del pane nero e caratterizza il profumo di tostato con note di mandorla e malto.
Dal 2008 è in corso il processo per ottenere il riconoscimento di presidio DOP (Denominazione di origine protetta).
La farina viene impastata con acqua, sale di Trapani e lievito naturale (detto lu criscenti). Dopo una lunga lievitazione dell'impasto, i pani vengono cotti a 300 °C in forni di pietra alimentati con le fronde di ulivo tagliate nella potatura. Quando il fuoco ha portato il forno a temperatura, si toglie la brace e si ripulisce accuratamente il forno con una scopa di palma nana prima di infornare il pane, che cuoce lentamente, senza fuoco diretto.
Il prodotto è compatto, atto ad una lunga conservazione. Si presenta a forma di pagnotta (vastedda) o a "zampa di bue" (cuddura), del peso tradizionalmente di 1 kg e con un diametro di 20–30 cm e uno spessore di 8–10 cm. La crosta, coperta di semi di sesamo, è dura e di colore scuro (caffè). L'interno è di colore giallo grano, con mollica morbida dal sapore dolce.
È tutelato come presidio di Slow Food. Questa unica e particolarissima produzione ha rischiato in passato l'estinzione, finché i panificatori locali si sono riuniti in consorzio rivitalizzando anche la produzione della farina dei mulini locali che usano ancora le macine di pietra.

PANE RUSTICO DI GAVENOLA
Il pane rustico di Gavenola è un prodotto da forno dalla forma ovale, dal colore miele dorato e con i caratteristici disegni determinati dai tagli impressi sulla massa prima della sua cottura. La produzione di questo tipo di pane, sia bianco sia integrale, è documentata fin dai primi anni del XIX secolo. Cent'anni di storia per un prodotto semplice e genuino, vanto del piccolo centro di Gavenola, che si trova in valle Arroscia, lungo l'itinerario denominato della cucina bianca. Lavorazione: La versione bianca del pane rustico prevede i seguenti ingredienti: farina di grano tenero, sale, acqua e lievito di birra. La lavorazione richiede alcune ore. Si impastano tutti gli ingredienti, formando un ammasso che si lascia lievitare per alcune ore, possibilmente nelle madie in legno. Quindi, manualmente, si realizzano i pani che dovranno riposare ancora un po' prima di passare alla cottura e diventare quel prodotto friabile e dal profumo di cose antiche quale è il pane di Gavenola.
Per il pane rustico integrale gli ingredienti sono: farina integrale, sale, acqua, lievito di birra. La lavorazione è simile a quella per il pane rustico bianco.

PANE TOSCANO
Il pane toscano o pane umbro (a Roma anche chiamato pane di Terni) è un pane caratteristico della Toscana e dell'Umbria, è però prodotto e commercializzato anche in altre regioni italiane. Ciò che lo contraddistingue maggiormente è il fatto di essere completamente privo di sale. Le cucine toscana e umbra sono, d'altra parte, caratterizzate da cibi molto saporiti (insaccati, cacciagione, zuppe di pesce etc.); ecco dunque che l'accostamento di un pane "neutro" (non salato) aiuta ad esaltare e valorizzare i sapori di tali companatici.
Il pane toscano è spesso utilizzato anche sotto forma di crostini, ovvero piccole fette o dadi di pane scaldato al forno, arrostito o fritto. I crostini vengono serviti prevalentemente come antipasto, insieme a salumi o pesce, o come accompagnamento a zuppe e a primi piatti.
Sebbene la tradizione vuole che la mancanza di sale sia dovuta a scontri storici tra i pisani e i fiorentini (nel caso della Toscana) oppure fra il papa e i perugini (nel caso dell'Umbria), una ricerca sul pane senza sale a Perugia sembra smentire queste leggende.
Nelle province di Lucca e di Massa e Carrara, all'estremo nord ovest della Toscana attuale, il pane è tradizionalmente salato. Fanno eccezione a questa regola i comuni di Montecarlo ed Altopascio, a suo tempo compresi nel Granducato di Toscana, dove, come nel resto della regione il pane è privo di sale.

PARRUOZZO ABRUZZESE
Il pane di mais o pane parruozzo (termine derivante da "pane rozzo") è un tipo di pane tipico di Teramo. Viene confezionato in piccole pagnottine da mezzo chilo. Ottimo da accompagnare a verdure cotte.

PUCCIA PUGLIESE
Le pucce sono forme di pane aventi diametro di circa 20-30 centimetri facenti parte della tradizione culinaria della Puglia centromeridionale. In particolare tale tradizione è molto diffusa nel Salento.
La "Puccia caddhipulina" è una variante della puccia e viene preparata nella cittadina di Gallipoli il 7 dicembre, la vigilia della festa per l'Immacolata concezione. Si tratta di una forma di pane con molta mollica che in passato veniva condita con capperi e acciughe successivamente il benessere ha portato ad aggiungere tonno, pomodori e tanto olio extravergine d'oliva. Tradizione Gallipolina, viene prodotta in vari formati che partono dai 250 gr sino ad un chilogrammo. La tradizione è tutt'ora molto viva tra gli abitanti della città.
Le uliate sono più piccole ed hanno nell'impasto olive in salamoia. Vengono consumate in occasione della vigilia del giorno dell'Immacolata, tradizione vuole che in questo giorno si faccia digiuno mangiando solo una puccia, in questo modo le donne hanno il tempo di seguire i riti religiosi legati alla festività.
In provincia di Taranto, soprattutto nella zona orientale, viene chiamata "Puccia alla vampa" (alla fiamma) e l'impasto della puccia è di farina di semola. Viene preparato un disco di pasta e infornato, il disco man mano che cuoce aumenta di volume. Il risultato è un disco di pane morbido con pochissima mollica. La tradizione tarantina e salentina la vuole farcita con sementa di pomodoro, olio extravergine d'oliva, sale e ricotta forte, oppure con le rape stufate.
A Pulsano e Lizzano è tipica inoltre la preparazione di una focaccia chiamata "Puccia alla tajedda" (puccia in teglia) che ha un ripieno di cipolle, olive, capperi, acciughe, pomodori e peperoncino. Pur portando lo stesso nome del disco di pasta, in questo caso la puccia è una focaccia ripiena.

SCACCIA RAGUSANA
Nella provincia di Ragusa, in particolare nella zona dei monti Iblei, si trova la scaccia, una versione di pizza ripiena molto simile alla scacciata catanese.

SCEBLASTI SALENTINO
La scéblasti è il caratteristico pane condito di Zollino e, sotto nomi diversi, di tutto il Salento. Nella lingua tipica della zona, il griko, significa "senza forma". È cotta sulla pietra nei caratteristici forni a legna e, secondo la tradizione, era il primo pane ad essere sfornato, di solito all’alba. Rappresentava un momento collettivo di gioia e di buon augurio per i contadini.
La scéblasti nasce da un impasto di farina, acqua, zucchine, olive, cipolla, zucca, olio, peperoncino, sale e capperi.
Il 2 e 3 agosto di ogni anno la pro loco di Zollino organizza La Sagra della Scéblasti, che si svolge lungo un suggestivo percorso che attraversa antiche strade e piazze del centro storico del paese tra antiche case a corte, all’interno delle quali si possono gustare le tradizionali specialità della cucina salentina.

SCHIACCIATINA MANTOVANA
La schiacciatina (o chisolina) mantovana è una sorta di pane croccante secco e basso, molto fragrante, di forma quadrata o rettangolare, da gustare come spuntino, merenda o da accompagnare con un bicchiere di vino bianco secco. Da non confondere con la focaccia, condita solo con olio.
Conosciuta sin dai tempi dei Gonzaga col nome di “schizzadas”, veniva consumata dai contadini come intermezzo nei lavori dei campi. E' prodotta anche industrialmente e venduta confezionata in sacchetti.

STESA CIOCIARA
La stesa, è un alimento molto antico, risale all'epoca del 1800, quando la popolazione non potendo permettersi di comperare il pane, se lo faceva da sé. Veniva considerata il pane dei poveri, infatti per realizzarla basta poco tempo e pochi ma buoni ingredienti.
È impastata con farina, sale, strutto e con l'acqua necessaria a ottenere un impasto omogeneo e piuttosto consistente. Si manipola la massa per circa 10 minuti, si suddivide in tanti pezzi grossi come 2 uova per poi stenderli col mattarello in modo che formino delle sfoglie di spessore di circa 4-5 mm. Si fa scaldare una teglia di ferro o di terracotta in modo da arroventarla e si cuoce la focaccia da entrambi i lati, punzecchiandola con una forchetta. La stesa viene ripiegata su se stessa a formare una mezzaluna e viene servita farcita con prosciutto crudo, con formaggio, con mortadella, con coppa, con tonno o con broccoletti. Ma può anche essere gustata da sola, come semplice focaccia.
È un prodotto tipico della Ciociaria. Infatti nel paese di Strangolagalli in provincia di Frosinone, ogni anno, il secondo sabato di ottobre si svolge la Sagra della stesa.

SU ZICHI SARDO
Su zichi è un tipico pane sardo originario di Bonorva, centro abitato del Logudoro, nella Sardegna settentrionale. Pane circolare in spianate sottili, morbido o croccante.
Gli ingredienti sono farina di grano duro, acqua, sale e lievito naturale.
La sera si prepara la biga utilizzando pasta conservata da una panificazione precedente che viene sciolta in acqua tiepida con aggiunta di farina e lasciato lievitare tutta la notte. La mattina si impasta farina con acqua salata e si aggiunge la biga fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Si formano dei cerchi di mezzo centimetro di spessore e 35-40 centimetri di diametro, si lascia lievitare 6 - 12 ore a seconda del periodo. In passato veniva cotto esclusivamente in forni a legna.
Su zichi morbido fatto indurire e tagliato a pezzi viene cucinato in brodo di pecora bollente o in un brodo ottenuto con lardo e prezzemolo. Ultimamente ne vengono presentate altre varianti alla sagra dedicata nel comune originario Bonorva. Queste varianti si presentano sotto forma di condimento che può andare dai frutti di mare al pesto genovese al nero di seppia. 

VASTEDDA SICILIANA
La vastedda è una pagnotta di grosse dimensioni, con un peso che va da 500 g a 1500 g, di dimensione rotonda e piena, diffusa sia a Palermo dove è usata per la preparazione del pani ca meusa che nella Sicilia sud orientale (province di Catania e Provincia di Siracusa).

martedì 4 febbraio 2025

Corso di cucina: 36 Conoscere il pane



🥖 Pane: la crosta croccante della civiltà

Parliamoci chiaro: senza il pane la storia dell’umanità avrebbe avuto un altro sapore (probabilmente molto più amaro). È stato la prima “tecnologia alimentare”: qualcuno, migliaia di anni fa, ha dimenticato dell’impasto in un angolo e si è trovato un miracolo lievitato. Da lì in poi, il pane ha fatto più chilometri di Marco Polo.

Il bello è che il pane non è mai solo pane: è compagno di viaggio, simbolo di ospitalità, protagonista di proverbi (“buono come il pane”) e persino di rivoluzioni (“il pane e le rose”).

E in Italia? Qui il pane è quasi un dialetto. Ogni regione, anzi quasi ogni borgo, ha la sua forma e il suo orgoglio: pani tondi, allungati, con crosta dura o morbida, con semi, con patate, con olio. Non è solo cibo: è cultura da mordere.

Preparati quindi a un tour tra le forme, i profumi e le croste che hanno reso l’Italia la vera “panetteria d’Europa”.


🥖 “Il Classico da Compagnia” – Pane comune e filone

Il pane quotidiano, quello della tavola di tutti i giorni. Crosta dorata, mollica bianca e soffice. Lo trovi in mille varianti locali, ma resta la base rassicurante che accompagna qualsiasi piatto.


🍞 “Il Piumino del Nord” – Michetta e rosetta lombarda

Svuota dentro, croccante fuori: la michetta (o rosetta) è leggera come l’aria. Nata a Milano sotto influenza austriaca, è perfetta per panini rapidi e per chi ama il “crunch” al morso.


🧄 “Il Pugliese di Ferro” – Pane di Altamura

Fatto con grano duro, ha crosta spessa e cuore giallo e profumato. È un pane che dura giorni senza perdere dignità, perfetto da intingere nell’olio o da accompagnare ai piatti più robusti.


🥔 “Il Montanaro Soffice” – Pane di patate del Trentino e dell’Abruzzo

Qui l’astuzia contadina ha fatto scuola: aggiungere patate all’impasto lo rende morbido e resistente. È un pane che racconta di montagne, stufe accese e tavole rustiche.


🌊 “Il Compagno di Mare” – Coppia ferrarese

Con quelle forme intrecciate a nastro, sembra quasi un piccolo capolavoro barocco. Croccante, saporita, accompagna i piatti della cucina emiliana come se fosse nata apposta.


🥯 “Il Pane della Festa” – Ciabatta veneta

Nata negli anni ’80, è il pane italiano che ha conquistato il mondo. Crosta sottile, mollica alveolata e leggera: sembra fatta per raccogliere il sugo fino all’ultima goccia.


🧀 “Il Pane che si fa coccolare” – Tuscano sciapo

Niente sale nell’impasto, e questa è la sua forza. Nasce da scelte storiche (le tasse sul sale), ma oggi è il miglior alleato di salumi, formaggi stagionati e piatti saporiti.


🌿 “Il Pane Profumato” – Pan con l’olio e schiacciata toscana

Fragrante, morbido, con quell’inconfondibile gusto di extravergine. È metà pane e metà coccola.


🌽 “Il Pane dei Campi” – Pane di mais e mistura lombarda

Da sempre mescolato con farina di mais o di cereali poveri, ha un colore dorato e un sapore rustico. Pane di tradizione contadina, oggi è riscoperto come chic.


🧄 “Il Pane che parla dialetto” – Pane carasau sardo

Sottile come una pergamena, croccante come una patatina: il carasau è un’invenzione geniale. Leggero, trasportabile, perfetto per i pastori e oggi anche per gli aperitivi.


🌾 “Il Pane della Resistenza” – Pane nero e segale valdostano e altoatesino

Scuro, compatto, nutriente. Fatto con segale, era la scorta per l’inverno nei forni comunitari. Oggi è amatissimo con burro e speck.


🍇 “Il Pane della Festa” – Pan co’ l’uva e pani dolci regionali

Non solo salato: in Italia il pane diventa anche dolce, arricchito con uva passa, fichi, noci, castagne. Una fetta e sembra subito domenica.


BAGUETTE
La baguette (dall'italiano bacchetta), in italiano baghetta, francesino o pan francese, è un particolare tipo di pane distinto dalla sua forma molto allungata e dalla sua crosta croccante, originario della Francia.
La forma classica della baguette è di 5 o 6 cm di larghezza e 3 o 4 cm di altezza, lunga circa 65 centimetri e con un peso di circa 250 grammi. Le baguette più corte sono spesso usate per fare i panini, oppure vengono tagliate a fette e servite con formaggio fresco o pâté.
Le baguette sono spesso legate nell'immaginario collettivo come uno dei prodotti culinari più noti della Francia, specialmente a Parigi, ma sono reperibili in tutto il mondo.
La baguette è un discendente del pane sviluppatosi a Vienna nella metà del XIX secolo, quando si iniziò ad utilizzare i forni a vapore, che favorivano la formazione della crosta croccante e dei solchi obliqui che ancora distinguono l'odierna baguette. La forma venne adottata in Francia nell'ottobre del 1920, quando una legge vietò ai fornai di lavorare prima delle quattro, rendendo impossibile cucinare le tradizionali pagnotte rotonde in tempo per la colazione dei clienti: la baguette risolse il problema perché può essere preparata e infornata molto più brevemente.
Le leggi francesi del cibo definiscono come «pane della tradizione francese» un prodotto contenente solo i seguenti 4 ingredienti: acqua, farina, lievito (di birra o pasta madre) e sale.
L'aggiunta di qualsiasi altro ingrediente impedisce di usare il nome di «pane della tradizione francese» per il prodotto finale.

CIABATTA
La ciabatta è un classico tipo di pane italiano con un alto contenuto di liquidi circa il 70% sulla farina, generalmente senza lipidi, riconoscibile dalla grande alveolatura della mollica, dalla crosta generalmente bruna e dalla sua croccantezza.
L'impasto è formato in gran parte da biga a cui verrà aggiunta poi nella fase di impastamento una piccola quantità di farina.
14500 g di biga
4000 g di farina tipo 0 (w 280)
9800 g d'acqua
140 g malto
140 g integratore
280 g sale
1000 g d'olio d'oliva (a scelta)
150 g lievito di birra
Unire farina, biga, i 3/4 dell'acqua, lievito, olio, malto, integratore e fare andare l'impasto in prima velocità affinché non sia ben agglomerato.
Unire il sale e di seguito un goccio d'acqua per facilitarne l'assorbimento, dopodiché fare girare l'impasto in seconda velocità aggiungendo lentamente il restante dell'acqua. Fare impastare bene.
Le tempistiche dell'impasto sono abbastanza lunghe, è preferibile utilizzare acqua fredda.

CIAPPE
Prodotto a base di farina di grano. Si presentano sottili, dal colore dorato, croccanti e saporite in bocca. In dialetto ligure, ciappa significa pietra piatta sottile come la lastra di ardesia il cui nome deriva da ardere: infatti grazie alle sue caratteristiche fu sicuramente uno dei primi metodi di cottura usate dall'uomo.
Ancora oggi si utilizza questo strumento per cucinare la carne e il pesce senza l'aggiunta di grassi; noto è il tonno in sciä ciappa.
Lastra di ardesia è anche la tradizionale copertura dei tetti in Liguria dove le tegole vengono denominate ciappe: la stessa parola nel ponente ligure indica una sorta di schiacciatina, resa croccante e friabile dall'olio extravergine di oliva della Riviera.
Zona di produzione: Costa del ponente ligure, nel territorio del comune di Taggia
Ingredienti: farina, acqua, olio e sale.
Preparazione: la farina (di grano tenero) viene lavorata con acqua, olio e sale e stesa formando dei dischetti dello spessore di pochi millimetri e del diametro di 10/15 cm. Le ciappe vengono cotte al forno e si mantengono per 15/20 giorni.
farina,
acqua,
olio
sale. la farina (di grano tenero) viene lavorata con acqua, olio e sale e stesa formando dei dischetti dello spessore di pochi millimetri e del diametro di 10/15 cm. Le ciappe vengono cotte al forno e si mantengono per 15/20 giorni.
Ciappe La zona di produzione è la Costa del ponente ligure, nel territorio del comune di Taggia. Prodotto a base di farina di grano. Si presentano sottili, dal colore dorato, croccanti e saporite in bocca. In dialetto ligure, ciappa significa pietra piatta sottile come la lastra di ardesia il cui 164 nome deriva da ardere: infatti grazie alle sue caratteristiche fu sicuramente uno dei primi metodi di cottura usate dall'uomo. Ancora oggi si utilizza questo strumento per cucinare la carne e il pesce senza l'aggiunta di grassi; noto è il tonno in sciä ciappa. Lastra di ardesia è anche la tradizionale copertura dei tetti in Liguria dove le tegole vengono denominate ciappe: la stessa parola nel ponente ligure indica una sorta di schiacciatina, resa croccante e friabile dall'olio extravergine di oliva della Riviera.

GALLETTE DEL MARINAIO
gallette del marinaio
500 g Acqua
1000 g Farina w 320
5 g Lievito di birra secco
1 g Sale
Le gallette da Marinaio sono praticamente delle focaccine secche, quasi immangiabili se non bagnate, ed erano utilizzate al posto del pane sia nelle zuppe che nelle insalate.
Pare che sin dal 1500 venisse fatto uso di queste gallette del marinaio sulle navi, insieme ai biscotti, che si conservavano per lunghi periodi. La storia ci narra che queste gallette di pane erano preparate per chi partiva per mare ed era destinato a trascorrerci lunghi periodi. Le gallette del marinaio molto secche e leggere si conservano per mesi e anticamente alla bisogna venivano bagnate nell’acqua di mare per essere ammorbidite; questo è un’altro il motivo per cui nella ricetta c’è pochissimo sale. Una volta ammorbidite venivano sgranocchiate cosi o anche cucinate insieme al pescato. Con il passare degli anni è divenuto sempre più difficile trovare nei forni questo tipo di pane che però sta tornando di moda soprattutto nella cucina casalinga.
Mettiamo nella ciotola dell'impastatrice acqua e lievito e mescoliamo. Aggiungiamo la farina ed iniziamo ad impastare. Appena l'acqua è assorbita aggiungiamo il sale e continuiamo ad impastare finche l'impasto non si compatta. Stacchiamo l'impasto dal gancio e riprendiamo ad impastare per altri 3-5 minuti. Trasferiamo l'impasto sulla spianatoia. Pesiamo dei pezzi da 80 - 90g e formiamo delle palline. Copriamo con la pellicola trasparente e lasciamo riposare 30 minuti. Spianiamo le palline con il matterello fino a 0,5 cm di spessore e copriamo i dischi risultanti con un telo e della pellicola di plastica. Lasciamo lievitare circa 45 minuti. Riprendiamo i dischi di pasta e facciamo su di essi dei fori con una forchetta o con il bucasfoglia. Trasferiamo delicatamente sulle teglie ed inforniamo a circa 220° per 8-10 minuti. Trascorsi 10 minuti trasferiamo le gallette dalle teglie alle griglie e inforniamo di nuovo per circa 5-6 minuti. Trascorsi 5-6 minuti spegnamo il forno apriamo leggermente la porta del forno e lasciamo raffreddare. Ecco le gallette del marinaio che sigillate all'interno di un contenitore dureranno anche mesi.

GRISSINO

Il grissino (ghërsin in piemontese) è uno dei più celebri e diffusi prodotti della gastronomia torinese, nonché uno dei più noti della cucina italiana all'estero. Tradizionalmente la sua nascita si fa risalire al 1679, quando il fornaio di corte Antonio Brunero, sotto le indicazioni del medico lanzese Teobaldo Pecchio, inventò questo alimento per poter nutrire il futuro re Vittorio Amedeo II, di salute cagionevole ed incapace di digerire la mollica del pane. Re Carlo Felice li prediligeva così tanto che, in palco, al Teatro Regio, ne sgranocchiava per passatempo. Il successo dei grissini fu particolarmente rapido, sia per la maggiore digeribilità rispetto al pane comune, sia per la possibilità di essere conservato anche per diverse settimane senza alcun deterioramento. Fra i grandi estimatori del grissino torinese, non si può non citare Napoleone Bonaparte, il quale creò, all'inizio del XIX secolo un servizio di corriera fra Torino e Parigi prevalentemente dedicato al trasporto di quelli ch'egli chiamava les petits bâtons de Turin. Del tutto identica a quella del pane normale, salvo che la forma lunga e stretta fa sì che la cottura sia più uniforme e quindi, causa la sottigliezza dell'impasto, il prodotto finale in pratica è come pane di sola crosta, cioè privo di mollica. Gli ingredienti sono: farina 00, acqua, lievito e sale. Recentemente sono state introdotte varianti nella composizione che vengono commercializzati come "grissini al...": latte al posto dell'acqua, aggiunta di olio di oliva, aggiunta di grasso animale (strutto in genere), aggiunta di aromatizzanti vari, fino a variarne la forma (più tozza). L'aggiunta di sostanze grasse rende il grissino più "morbido", ma ne limita la durata di conservazione. La forma di grissino più antica e tradizionale è indubbiamente il robatà, che in piemontese significa "caduto" (o anche "rotolato"), di lunghezza variabile dai 40 agli 80 cm, facilmente riconoscibile per la caratteristica nodosità, dovuta alla lavorazione a mano. Il robatà di Chieri è incluso nella lista prodotti agroalimentari tradizionali italiani del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Sono allo stesso modo considerate zone di produzione classica del robatà il Torinese, la zona di Andezeno e il Monregalese. L'unica altra forma di grissino tradizionale e tutelata è il "grissino stirato". D'invenzione più recente rispetto al robatà, si distingue da questi in quanto la pasta, invece che essere lavorata manualmente per arrotolamento e leggero schiacciamento, viene allungata tendendola dai lembi per la lunghezza delle braccia del panificatore, il che conferisce maggiore friabilità al prodotto finale. Soprattutto questo tipo di lavorazione permise la produzione meccanizzata già a partire dal XVIII secolo. Ne esistono anche diversi tipi aromatizzati (all'origano, al sesamo, al cumino, ecc.).

MICCA
Con il termine di "miseria" a Busseto si identifica un pane che, al di fuori del paese, viene chiamato "micca", comune a tutta la Padania. Quando il peso è superiore al mezzo kg., allora diventa la "gran      miseria", retaggio di un passato recente dove, quando non c'era nulla da mangiare, si mangiava solo pane: "miseria", se piccolo, e - non senza contraddizione - "gran miseria" se grande.
Composizione: farina di grano tenero, acqua, strutto raffinato, lievito naturale, sale.
La farina viene impastata con lievito di birra sciolto in acqua salata e lo strutto fuso. L'impasto, duro, viene lavorato a lungo lasciandolo fermentare per molte ore. Quando la lievitazione è completata si formano dei pezzi dalla forma oblunga di 30 cm. circa e dal peso di 2 etti e mezzo. Vengono incisi nel centro assumendo la forma di farfalla. Si cuoce nel forno caldo.

PAN MARTÌN
pan Martìn
farina di castagne
farina di grano in parti uguali,
sale
lievito di birra (venti grammi circa per un chilo di farina),
acqua.
Unisco gli ingredienti e li impasto. Faccio riposare il composto per quarantacinque minuti, quindi inforno in una teglia unta con olio d'oliva. Faccio cuocere per circa un'ora e mezza.
Le castagne furono talmente fondamentali per l'alimentazione e, spesso, sopravvivenza delle popolazioni dell'entroterra, da essere considerate il pane dei poveri. Oltre a questa esplicita metafora, va detto che un po' di farina di castagne veniva sempre unita a quella più preziosa e rara di grano per preparare il pane. Tale variante arricchiva di zuccheri il prodotto da forno e lo rendeva più sostanzioso e nutriente. Questo tipo di pane scuro, di tradizione domestica, dall'aroma delicatamente dolce che gli viene conferito dalla presenza della farina di castagne nella miscela di preparazione, prese il nome di Pan Martìn probabilmente dal giorno di San Martino, 11 novembre, quando era pronta la farina di castagna. Il Pan Martìn è ottimo consumato caldo insieme al latte, ai formaggi e ai salumi dell'entroterra. La zona di produzione è l’entroterra spezzino e genovese, in particolare, val di Vara, val Graveglia e valle Sturla Il luogo dove veniva posto tradizionalmente il testo era l'essiccatoio. La parte inferiore delle seccatoio, infatti, fungeva anche da cucina: dal solaio pendeva un gancio al quale si applicava la campana, che creava, calata sul testo con un meccanismo di contrappesi, un rustico forno.

PANE D'ORZO
pan d'ordiu carpasinn-a
Nella valle Argentina in provincia di Imperia, alle falde del monte Grande, sorge un antico paese caratterizzato dall'architettura tipica montana della zona, con i muri in pietra a vista e i tetti in ardesia. È Carpasio, il cui nome sembra derivi da Cara Pax, un trattato di pace stipulato tra i Liguri e i Romani. Carpasinn-a, pane d'orzo, è invece il nome del prodotto tipico di questo borgo dalla storia antica e di Badalucco. C'era un tempo in cui il grano era raro e pertanto si macinavano anche altri cereali per ottenere la preziosa farina, tra questi c'era anche l'orzo che qui sostituiva il frumento nella realizzazione del pane. Oggi l'orzo per la produzione di questo pane arriva ormai dal Piemonte. La carpasinn-a è sostanziosa ma molto dura, tanto da dover essere ammorbidita nell'acqua prima di venir consumato condita con olio, aglio, pomodoro, acciughe e foglie di basilico come accade per le friselle meridionali.
Nel mese di settembre a Carpasio si rivivono i tempi della transumanza e protagonista della festa è la carpasina che insieme al latte e al formaggio, rappresenta il cibo dei pastori quando per alcuni mesi vivevano negli alpeggi.
Pane d'orzo biscottato, di consistenza dura e dal caratteristico colore dorato.
Ingredienti:
farina d'orzo, acqua, lievito di birra.
Lavorazione:
impastare la farina con l'acqua e il lievito di birra. Lasciare in riposo l'impasto coperto con la farina di orzo. Riprendere l'impasto lavorandolo bene e a lungo, formando poi delle lunghe pagnotte. Con un filo di spago tagliare delle fette che devono essere disposte nelle teglie e cotte nel forno a legna non troppo caldo per un'ora. Togliere dal forno, girare dall'altra parte e rimettere in forno, completare la cottura per un'ora ancora, sempre a bassa temperatura.

PANE DI CASTAGNE
pane di castagne calabrese
Il Pane dei castagne (o di castagna) è un tipico alimento che veniva usato dalle popolazioni più disagiate, soprattutto nei centri delle aree interne delle Calabria, come alimento alternativo al più costoso pane tradizionale ottenuto dalla farina 00, ma anche per sfruttare la castagna, di cui sono molto ricche alcune aree della regione. Il pane veniva prodotto e consumato soprattutto nei periodi invernali, quando molti centri montani rimanevano completamente isolati a causa delle abbondanti nevicate, e risultava difficile il reperimento della farina per la produzione del pane.
Questo prodotto assume forma circolare, di piccole dimensioni e del peso di 1 o 1,5 kg. E' un prodotto ricavato dalla lavorazione della farina di castagne, farina prodotta per metodo di essiccazioni delle castagne dopo adeguata lessatura e successiva trasformazione in purea, oppure con le castagne macinate dopo essiccazione.

PANE DI PATATE

Questo tipo di pane è sinonimo di povertà: era infatti consumato soprattutto dalle famiglie meno abbienti che utilizzavano le patate in sostituzione di parte della farina di grano, economiche e sostanziose, la cui produzione risulta tutt'oggi notevole nelle valli del Casale e del Pignone in Comune di Pignone. Rappresenta un modo di mangiare povero legato strettamente alle condizioni socio-economiche di queste valli. I panini sono ottimi se serviti unitamente a saporiti insaccati.
Pane ottenuto dall'impasto di farina e patate, di forma tonda o allungata e di piccole dimensioni: il suo peso massimo è infatti di mezzo chilo. Il colore è dorato, la crosta è molto saporita e racchiude un interno morbido.
1 Kg farina di grano, 

2 Kg di patate di Pignone, 
sale q.b., 
poco olio e lievito. 
Con queste dosi si ottengono circa 3 Kg di pane.
Nel tondo della farina opportunamente lavorata mettere le patate bollite e passate, aggiungendo un pizzico di sale e poco olio. Dividere il composto ottenuto in piccoli pezzi, schiacciandoli leggermente con il palmo della mano. Lasciare lievitare per un ora circa in ambiente caldo. Intanto, portare il forno a 150°C di temperatura, quindi mettere i panini in una grande teglia unta con poco olio e infornare il pane. Qualora si disponga di un forno a legna non occorre la teglia. Il pane sarà pronto quando inizia ad acquisire la classica doratura. Si consiglia di consumare il pane entro due giorni.

PANE DI SEGALE
Il pane nero, o pane di segale, è un tipo di pane di colore più scuro, usato in sostituzione al pane bianco, soprattutto nelle regioni di lingua tedesca e scandinava.
Questo pane viene impastato usando la farina di segale, al posto di quella bianca, dato che la segala era maggiormente resistente ai climi freddi tipici dei paesi montani, ma anche all'aridità.
Nella cucina altoatesina esistono storicamente tre variazioni di pane nero:
il Vinschger Paarl: questo pane viene impastato usando farina di segale e grano; il panino viene ottenuto unendo due pani rotondi e piatti, da qui il nome “paarl”, ovvero coppia. Di questo pane si è riscoperta la ricetta, che era custodita dai frati benedettini dell'Abbazia di Monte Maria, sopra Burgusio nel comune di Malles.
il Schüttelbrot (letteralmente: pane scosso), la schiacciata tradizionale della val d'Isarco. Il nome del pane è dovuto al fatto che l'impasto a tre quarti della lievitazione viene battuto e appiattito utilizzando un’assicella di legno rotonda.
il Pusterer Breatl della val Pusteria, si ottiene impastando farina di segale e di grano.
Queste tipologie di pane sono nate come un pane per poveri, che veniva cotto soltanto due/tre volte l'anno e conservato al buio.
In Valtellina il pane di segale, pan de séghel è prodotto in tre varianti:
la ciambella del diametro di circa 15 cm e di 1,5 cm di altezza
la Brazzadéla ossia la ciambella fatta essiccare al sole infilzandola su pioli di legno.
la ciambella con aggiunta di anice.
In Valtellina è possibile trovare ogni giorno il pane di segale fresco oppure la Brazzadelà confezionata. Il pane di segale con l'anice è reperibile soprattutto in alta Valtellina.

PANELLA
La panella, detta anche pattona, decisamente sostanziosa e saporita, era consumata come piatto unico dai contadini. La totale mancanza di grassi non permetteva però un apporto nutrizionale completo che veniva soddisfatto da altri piatti. In valle Sturla la panella era utilizzata anche in sostituzione del pane. Veloce da preparare e da cuocere, si trovava sulle mense ad accompagnare il pasto giornaliero. Per le occasioni si arricchiva di pezzi di salsiccia. Lo stesso piatto era anche preparato sostituendo alla farina di castagna quella di mais.
Tipica del Levante ligure è una preparazione a base di farina di castagne, di forma circolare e con un colore marrone più o meno intenso a seconda del grado di cottura.
Ingredienti: 1 chilo di farina di castagne, acqua, sale, olio extravergine d'oliva
Preparazione: ponete la farina di castagne, ben setacciata, in un recipiente, e aggiungete acqua a temperatura ambiente, in modo da formare un impasto cremoso. Quindi procedete alla cottura versando la pastella in una teglia unta e ponendo in forno a 180° per circa un'ora. La panella sarà pronta quando la crosta incomincerà a spaccarsi.
Nella versione antica la panella si cuoceva su fuoco a legna in un testo in terracotta o ghisa. In questo modo era possibile arricchire la preparazione con foglie di castagno, usate per evitare che il composto si attaccasse come una sorta di antica carta-forno.
Le foglie di castagno si dovevano raccogliere a fine luglio direttamente dagli alberi oppure a settembre-ottobre prima che cadessero (la tradizione vuole che il giorno di San Lorenzo non si dovessero raccogliere foglie, in quanto non si sarebbe riusciti a conservarle). Queste foglie ordinate in fasci di spago erano poste ad essiccare al chiuso o all'aperto. Così conservate, a causa dei bordi troppo stropicciati, non sarebbero state adatte all'uso: si provvedeva quindi alla loro preparazione qualche giorno prima di usarle. Bagnate in acqua bollente, si lasciavano scolare (per evitare formazione di muffa) e si ponevano sotto peso in careghèira per circa mezza giornata. Rimaneva quindi solo da applicare l'arte della loro corretta disposizione sul tagliere, pena l'imperfetta riuscita del piatto, e ricoprirle con il composto steso.
Intanto il testo, generalmente posto nell'essiccatoio delle castagne, veniva fatto scaldare con fuoco di legna per circa 20-30 minuti. Si asportavano quindi le braci, e si faceva scivolare dal tagliere sul basamento l'alimento da cuocere, si chiudeva la campana (cioè la parte superiore del testo) e si lasciava per il tempo necessario alla cottura, senza mai aprire. Il coperchio o campana del testo, era movimentata attraverso un contrappeso, per permettere con minimo sforzo la regolazione della sua altezza.

1 chilo di farina di castagne,
acqua,
sale,
olio extravergine d'oliva
Ponete la farina di castagne, ben setacciata, in un recipiente, e aggiungete acqua a temperatura ambiente, in modo da formare un impasto cremoso. Quindi procedete alla cottura versando la pastella in una teglia unta e ponendo in forno a 180° per circa un'ora. La panella sarà pronta quando la crosta incomincerà a spaccarsi.

PANIGACCIO
Il panigaccio è un tipo di pane rotondo, non lievitato, cotto in uno speciale piatto di terracotta e mica, chiamato Testo, arroventato a fuoco vivo in un falò o in un forno a legna. Una pastella di farina, acqua e sale si frappone tra un testo e l'altro, sino a formare una pila. La consistenza finale è morbida o croccante a seconda del tempo di cottura.
Si possono gustare con gli affettati, formaggi molli come lo stracchino e e il gorgonzola, o con vari sughi, da quello di funghi al pesto. Il modo più adatto per gustarli con dei sughi è quello di farli bollire una volta raffreddati, servirli e versare il sugo, creando un primo piatto originale. In alcuni ristoranti della Lunigiana esiste la variante "dolce": si servono a fine pasto con della cioccolata da spalmare.
I panigacci hanno origini molto antiche, sono diffusi nella Lunigiana ed hanno i natali nel paese di Podenzana, dove è stato costituito un consorzio tra i ristoratori, per mantenere inalterato il sapore antico di questo semplice prodotto. In Liguria i testi di terracotta e mica, vengono fabbricati da tempo immemorabile ad Iscioli, nel comune di Ne, nell'entroterra di Chiavari e si possono trovare nei negozi e nei consorzi agrari del chiavarese. Nella seconda guerra mondiale, quando i tedeschi distrussero un ponte che collegava il comune di Podenzana con il resto della regione, gli abitanti del comune sopravvissero mangiando panigacci fatti con farina di ghiande e castagne. A Ponzanello (Comune di Fosdinovo) un piatto tipico sono le focaccette, una variante dei panigacci.
Sono fatti con acqua, farina e sale e si preparano mescolando gli ingredienti fino a ottenere una pastella fluida. Tale pastella viene quindi versata nei testi, precedentemente lasciati arroventare su di un fuoco vivace, tipicamente in un falò o in un forno a legna. Quando sono roventi al calor rosso, vengono estratti dal forno e fatti raffreddare un poco poi viene fatta una pila di testi, in modo tale che stando nel mezzo la pastella si cuocia sui due lati. Una volta "smontata" la pila i panigacci si servono in cestini di vimini e usati come companatico di salumi e formaggi cremosi. In Liguria i panigacci si chiamano testaieu e si servono durante le feste di paese autunnali, nell'entroterra del levante, con un sostanzioso strato di pesto alla genovese, con parmigiano grattugiato o dolci al miele e naturalmente un vino nuovo nostralino.
I panigacci cuociono in pochi minuti a temperature molto alte e non necessitano di lievitazione.

PIADINA
La piadina romagnola, è un prodotto alimentare composto da una sfoglia di farina di frumento, strutto (o olio di oliva), sale e acqua, che viene tradizionalmente cotta su un piatto di terracotta, detto teglia (teggia in romagnolo), ma oggi più comunemente viene cotta su piastre di metallo oppure su lastre di pietra refrattaria chiamate "testo" (test in dialetto). È, per dirla con Giovanni Pascoli, «il pane, anzi il cibo nazionale dei Romagnoli»: in realtà, lo era innanzitutto per i più poveri.
La piadina romagnola è inserita nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani della regione Emilia-Romagna.
Diverse sono le correnti sull'origine della piadina e sulla sua forma e impasto originale. Fin dagli antichi Romani ci sono tracce di questa forma di "pane". La prima testimonianza scritta della piadina risale all'anno 1371. Nella Descriptio Romandiolae, il cardinal Legato Anglico de Grimoard, ne fissa per la prima volta la ricetta: "Si fa con farina di grano intrisa d'acqua e condita con sale. Si può impastare anche con il latte e condire con un po' di strutto". I prodromi dell'odierna piada possono essere individuati anche in una focaccia a base di farina di ghianda ed altre farine povere in uso in tempi antichi nel territorio del Montefeltro.
L'etimologia è incerta; i più riconducono il termine piada (piê, pièda, pìda) al greco placus, focaccia. Originariamente, in effetti, è una schiacciata lievitata e ben condita cotta nel forno: come tale è citata nel 1371 nella Descriptio Romandiole. In seguito (dal Cinquecento all'Ottocento), mentre assume la forma attuale, altro non è che un surrogato del pane confezionato con ingredienti per lo più vili e impanificabili (spelta, fava, ghianda, crusca, sarmenti, mais, ecc.). La piadina di farina di grano è relativamente recente, così come le sue varianti ricche: la piadina unta, quella sfogliata e quella fritta. Un'altra ipotesi interessante consiste nel riscontrare la somiglianza con i termini utilizzati in altre lingue per indicare piatti simili, nell'ambito di tutti i paesi che ruotavano nell'orbita dell'Impero Romano d'Oriente (tra i quali anche la Romagna, ovviamente). Basti pensare all'ebraico pat, che significa "pagnotta" o "pezzetto", a "pita", che esiste ancora nell'aramaico del Talmud babilonese ed indica il pane in generale, o a "pide" in turco. È facile pensare, nel caso della piadina, al pane in uso presso l'esercito bizantino, di stanza per secoli in Romagna, nel nord delle Marche (fino a buona parte della provincia di Ancona), e nella valle umbra attraversata dalla via Flaminia.
Usi
Può essere mangiata come surrogato del pane per accompagnare varie pietanze nel corso del pasto.
Piadina farcita
Più spesso però viene piegata a metà e farcita in vario modo: con pezzi di salsiccia cotti alla brace o alla piastra e cipolla; con affettati vari di suino; con la porchetta; con rucola e squacquerone; con erbette o verdure gratinate; con crema gianduia, confetture o Nutella.
Cassone o crescione
Il cassone o cascione o crescione (in romagnolo carson o casòun) è una tipica preparazione basata sulla piadina dove la sfoglia viene farcita, ripiegata e chiusa prima della cottura. La farcitura di erba crescione, che ora è difficile da trovare, ma un tempo abbondava lungo i fossati, ne darebbe il nome: questa erba - di per sé già saporita - poteva venire ulteriormente insaporita con aglio, cipolla, o scalogno. Questa usanza deriverebbe dal largo uso che si è sempre fatto nella cucina romagnola di erbe (compresa la "bietola", ovvero le foglie della barbabietola che si raccoglievano per diradarne la coltura)
Oggi le farciture più comuni, con variazioni da luogo a luogo, sono: alle erbe, chiamato anche 'cassone verde', (può trattarsi di spinaci e/o bietole, e nel riminese anche 'rosole' (papaveri,  macerate nel sale), con o senza ricotta e formaggio grattugiato; con una base di mozzarella e pomodoro abbinata o meno con salumi, e chiamato anche 'rosso'; con zucca e patate, spesso arricchite di salsiccia o pancetta.
Tortello alla lastra
Il tortello alla lastra, forma tipica della Romagna Toscana, si prepara stendendo l'impasto della piadina con il matterello, per ottenere una sfoglia sottile. Questa viene farcita con un ripieno che può essere di patate lesse passate e condite con cipolla, pecorino, noce moscata, pancetta e sale, o con erbe (biete o spinaci) lessate, ricotta e formaggio grattugiato. Il ripieno viene distribuito su metà della sfoglia e coperto con l'altra metà; con la rotella si chiudono i tortelli, dividendoli in forme quadrate di 5–10 cm di lato circa. I tortelli vengono poi cotti sulla lastra per alcuni minuti, girandoli più volte come si fa con i crescioni.
Forme recenti
Forme recenti, e meno diffuse, sono il cosiddetto rotolo, preparato farcendo una piadina sottile che viene poi avvolta su sé stessa, e la piadizza®, recentemente registrata dal gruppo Piada & Piada che opera in USA così chiamata perché farcita da stesa come una pizza. Esiste anche una diversa piadina chiamata sfogliata che risulta più friabile dato che contiene un quantitativo consistente di strutto.
Diffusione
Commercializzata fresca, realizzata sul momento, in appositi chioschi anche detti piadinerie diffusi in tutta la Romagna, diffusissimi nella Riviera Romagnola, è possibile trovarla anche confezionata precotta presso la grande distribuzione. I chioschi della piadina sono colorati a bande verticali, con colori standardizzati per varie località romagnole.
A seconda della zona di preparazione ci sono alcune differenze tra piadina e piadina, per quanto riguarda la forma e la consistenza. Nel ravennate e nel forlivese è spessa e soffice, mentre nel riminese e nel pesarese è più sottile e talvolta di diametro leggermente maggiore. La piadina pesarese, poi, chiamata anche crescia o crostolo nell'entroterra, è sfogliata e saporita.
Pur essendo tipica della Romagna è ormai conosciuta in tutta l'Italia ed all'estero.
Promozione e protezione
Fra il 2002 e il 2003 si sono costituite tre associazioni per la promozione e la tutela della piadina romagnola e promotrici dell'attribuzione dell'Indicazione Geografica Protetta (marchio IGP): l'Associazione per la valorizzazione della Piadina Romagnola, l'Associazione per la promozione della Piadina Romagnola e il Comitato per la valorizzazione della piada riminese com'era e dov'era.
I marchi IGP richiesti sono: Piadina Terre di Romagna e Piada Romagnola di Rimini, differenziate fra loro principalmente per spessore e dimensioni.
Il marchio Piadina è registrato in più di 30 paesi da una ditta svizzera (Renzi AG) alla WIPO e non può essere prodotto o diffuso in questi paesi senza l'autorizzazione di questa.

Farina 500 g
Strutto 125 g
Sale fino 17,5 g
Acqua 90 ml
Lievito chimico in polvere per preparazioni salate 7,5 g
Miele 5 g
Zucchero semolato 15 g
Latte 100 ml
Per realizzare la piadina setacciate la farina e il lievito nella tazza di una planetaria munita di foglia, aggiungete lo strutto (in alternativa sostituitelo con la stessa quantità di olio di semi), il miele e azionate la macchina a velocità media per 5 minuti. Poi fermate la planetaria, incorporate lo zucchero e versate il latte a filo e sostituite la foglia con il gancio e continuate ad impastare. Mentre la planetaria impasta aggiungete l’acqua poco alla volta e per ultimo unite il sale. Quando l’impasto sarà omogeneo e si staccherà dalle pareti della tazza, spegnete la planetaria e riponete il panetto ottenuto in una ciotola e copritelo con la pellicola trasparente. Lasciate lievitare l’impasto per un ora in un luogo tiepido come il forno spento con la luce accesa. Trascorso il tempo si riposo riprendete l’impasto e stendetelo con il mattarello su un piano di lavoro leggermente infarinato, dovete ottenere una sfoglia di 2 mm circa. Ritagliate le piadine con un coppapasta da 24 cm di diametro. I ritaglia avanzati si possono lasciare riposare qualche minuto e poi impastare nuovamente. Le piadine sono pronte per la cottura: scaldate una padella dal fondo basso e cuocete le piadine su entrambi i lato per 2 minuti. Durante la cottura bucherellate la piadina con una forchetta e, se si formeranno delle bolle in superficie, schiacciatele con un coltellino o i rebbi della forchetta. Una volta cotta, trasferite la piadina su un piatto di portata e farcitela con salumi e formaggi a vostro piacimento e poi gustatela ben calda.

PIRILLA
La pirilla è un pane prodotto durante la panificazione casalinga tradizionale, ottenuto con impasto lievitato di acqua e farina di grano duro. Ottenuta per colatura diretta sulla pietra di un forno a legna con l’aiuto di una paletta. Ha una forma rotondeggiante di circa 20 cm di diametro e pochi centimetri di spessore, presenta la faccia superiore liscia, quasi levigata, dura ma non croccante. La pasta interna ha un aspetto compatto e quasi gommoso con piccoli alveoli. Richiede brevi tempi di cottura (meno di un'ora).
Nella pasta, specie se nata per essere mangiata senza condimento, possono essere inserite olive nere intere per dare sapore, a volte uva passa. Se la pirilla contiene altri ingredienti, come pomodoro, pezzi di zucca, cipolla, ecc. può prendere localmente un nome più specifico (ad esempio cucuzzata).
Lo spessore e la pasta compatta permettono un comodo spacco per la farcitura. La farcitura più usata era il pomodoro fresco, spesso solo il seme e gli umori interni del pomodoro, olio e sale. Pure peperoni fritti, a volte pure accompagnati da pomodoro fresco. Vanno molto bene le farciture che bagnano la pasta e l’ammorbidiscono un po', come i sughetti di pomodoro, cipolla e peperoni ma pure i pezzetti di carne di cavallo. Una variante sfiziosa della farcitura sono i peperoni fritti con fette di mortadella.
Presenta vari sinonimi nel Salento. I più usati sono pirilla (Ortelle, Castro), pitilla (Specchia Gallone, Poggiardo, San Cesario di Lecce), 'mpilla (Sannicola), pilla (Cursi, Cutrofiano, Melpignano, Otranto), simeddhra (Tricase, Depressa).
La pastina era preparata coi resti degli impasti recuperati dai lavaggi dei contenitori. Nella panificazione tradizionale era prodotta in pochi pezzi e generalmente destinata al consumo degli stessi panificatori occupati per diverse ore nelle operazioni di impasto e cottura. A volte era prodotta      appositamente con impasti ad hoc per il consumo casalingo e per distribuzione tra parenti e amici. Non era destinata alla vendita. Con la riscoperta delle antiche tradizioni alcuni forni industriali la producono e la vendono.
Nella tradizione salentina, comune ad altre tradizioni contadine, si procedeva con cadenza regolare alla panificazione, spesso in capientissimi forni a legna pubblici. Gli intervalli di panificazione potevano essere variabili, da cadenze bisettimanali fino a periodi di oltre tre mesi, per cui il quantitativo di farina di una o più famiglie associate, poteva costituirsi anche da un impasto di 100-200 kg. Nella panificazione una quota limitata (20%) si costituiva da pezzi pane morbido da consumarsi nei primissimi giorni in genere da tagliarsi a fette. Moltissime risultano le varianti del pane fresco spesso associate alla presenza nell'impasto di olive nere, zucca, cipolla, ecc.. o a particolari lavorazioni (taralli, pirille, ecc..) per il consumo diretto senza particolari condimenti aggiunti. La quota maggiore dell'impasto di panificazione veniva riservato, in genere, alla produzione di friselle, un biscotto di più lunga conservazione rispetto al pane fresco garantendo intervalli di panificazione maggiori.
Al termine della infornatura, i recipienti e le madie sporche dell'impasto lievitato venivano sciacquate con pochissima acqua e la pastina ottenuta calata direttamente sul piano arroventato del forno. Si cuoceva molto in fretta e veniva consumata nel forno stesso per una colazione di ristoro tra gli addetti.
La pirilla, pertanto, rappresenta più che un tipo di pane, una testimonianza del mondo agricolo arcaico ormai scomparso e molti comuni nel leccese la omaggiano con feste e sagre. La più importante e consolidata è la Festa della Pirilla nel Comune di Ortelle che nell'estate del 2009 si è svolta per la ventinovesima volta, essendo tra l'altro una delle più antiche sagre gastronomiche in assoluto nella Provincia di Lecce. All'evento è accordato il patrocinio da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri - Ministero per i Rapporti con le Regioni, del Presidente della Regione Puglia e del Comune stesso.

PITTA

La pitta è un tipico prodotto di panetteria calabrese. La pitta generalmente è una specialità da forno (tipo una focaccia) preparata con l'impasto per il pane che accompagna tradizionalmente il Morzeddhu alla catanzarisi.
farina 0 (1000gr)
lievito di birra fresco (25 gr) o una bustina di quello secco
1 cucchiaio raso di sale fino
strutto(60 gr)
1 cucchiaino di malto (facoltativo)
acqua (575 ml).
In Calabria assieme al pane "normale" per la famiglia, si faceva spesso anche una pitta chjina (pitta ripiena, dove pitta è un nome generale per una forma di pane). Tale prodotto ha l'aspetto di una pizza chiusa, ovvero formata da due strati di pasta con il ripieno al loro interno.

ROSETTA
La michetta, conosciuta in buona parte d'Italia anche come "rosetta", è un tipo di pane soffiato (quindi cavo al suo interno) che si riconosce dal tipico stampo a stella con "cappello" centrale.
Molto diffusa in Lombardia, specialmente a Milano, la michetta è stata il pane degli operai fin dal 1700, epoca durante la quale la lavorazione del pane era quasi completamente manuale.
I funzionari dell'Impero Austro-Ungarico, cui faceva capo la Lombardia dopo il trattato di Utrecht del 1713, portarono con sé a Milano alcune novità alimentari (che i Milanesi fecero proprie fino al punto di farle diventare un prodotto della loro tradizione alimentare), come l'allora famoso Kaisersemmel, un panino variabile da 50 a 90 grammi e dalla forma di una piccola rosa.
I risultati non furono, però, incoraggianti: il Kaisersemmel a Milano non rimaneva, come a Vienna, fresco e fragrante fino a sera: si rammolliva velocemente, divenendo "gommoso". L’umidità del clima lombardo penetrava eccessivamente in un prodotto igroscopico come il pane, a differenza di quanto accadeva nel più asciutto clima viennese.
Bisognava privare quel pane della mollica, svuotarlo, alleggerirlo, renderlo "soffiato": così sarebbe stato fragrante e digeribile, garantendone una migliore conservazione. I maestri panificatori milanesi riuscirono nel loro intento, creando un pane unico le cui caratteristiche l’hanno reso famoso.
Il termine michetta nasce in questo periodo. Infatti i Milanesi chiamarono il Kaisersemmel con il diminutivo di “micca”, ossia “michetta”, micchetta in milanese. La "micca", o "mica", era un pane che aveva una certa diffusione nell’Italia del nord e il cui termine, in origine, significava briciola.
Nel 2007 la michetta ottiene, dal Comune di Milano, il riconoscimento “De.Co.”(Denominazione Comunale), assegnato dal capoluogo lombardo ai prodotti gastronomici tradizionali milanesi.
La preparazione della "biga", ovvero la pasta lievitata e fermentata, avviene mescolando ed impastando farina di forza (100%), acqua (35%) con malto (0,1%) e lievito (1%) fino ad ottenere un impasto piuttosto sostenuto dalla texture perfettamente omogenea, viene quindi lasciato riposare per almeno 16 ore (tempo che varia in funzione della temperatura ambientale). La preparazione dei pastoni (forme di pasta arrotondate) avviene impastando la biga con farina di forza (20% della dose iniziale) acqua (quanto basta per ottenere un impasto asciutto e morbido) e sale (0,5% del peso totale).
Questo impasto deve avere una buona elasticità ed una texture perfetta (impastare almeno 30 min con la macchina al minimo), viene quindi passato al cilindro (macchina che ha la funzione di raffinare ulteriormente la pasta) e poi suddiviso in pezzi di circa 3kg che adeguatamente arrotondati vengono "puntati" cioè lasciati a lievitare per circa 30 min. In seguito alla lievitazione dei pastoni avviene la "spezzatura della pasta" con apposite macchine automatiche o manuali, che dividono il pastone in 37 pezzi esagonali nella forma e di ugual peso, a questo segue immediatamente l'operazione di stampa mediante macchina stampatrice o stampo a mano; vengono messe le michette su appositi telai per infornare, coperte con tela o fogli di plastica per conservarne l'umidità e lasciate lievitare per altri 30 min.
Le Michette vengono infornate tra i 220° ed i 250° a discrezione del fornaio, viene immesso abbondante vapore acqueo all'interno della camera di cottura. La cottura richiede circa 25 minuti. nei primi minuti di cottura la superficie gelatinizza a causa del rilascio di amilopectina dai granuli di amido presenti nella farina che si rompono per effetto del calore aumentando così la viscosità dell'impasto che imbastisce una trama reticolare formata dalle glutanine aumentandone l'elasticità, il lievito per effetto del calore sviluppa anidride carbonica ed etanolo che gonfiano il prodotto creando un cavo all'interno del pane che dona alla Michetta la caratteristica soffiatura.
Esistono altri pani che seguono gli ingredienti ed il processo di lavorazione della michetta, come il “maggiolino” e la “tartaruga”.

SGABEI
SGABEI
400 g di farina,
20 g di lievito di birra,
sale,
un bicchiere e ½ di acqua,
½ litro di olio evo (per friggere).
Lavorare bene l'impasto che dovrà presentarsi morbido. Lasciare lievitare per circa un'ora, quindi stendere la pasta e tagliare a strisce della larghezza di cm. 3 e della lunghezza di cm. 15 circa. Fare riposare per mezz'ora, poi friggere in olio caldo e abbondante. Quando diventano dorati, sgocciolarli, asciugarli e servirli caldi aggiungendo sale. Si servono con formaggi e salumi.
Gli sgabei sono strisce di pasta lievitata della larghezza di circa 3 cm e della lunghezza di circa 15 cm. Vengono fritti in olio evo e quando raggiungono la giusta doratura si servono caldi. La ricetta degli sgabei ha radici nella val di Magra, dove le donne friggevano la pasta avanzata del pane trasformandola in un gustoso pane fritto croccante, da mangiare con i salumi o i formaggi. Alla farina bianca veniva mescolata un po' di farina gialla che ha il potere di renderli più croccanti e asciutti. Si portavano all'ora di pranzo agli agricoltori avventizi che andavano a giornata. Allora venivano fritti nello strutto e a volte arricchiti con uva passa. Oggi, diversi ristoranti della provincia li cucinano per i propri clienti, contribuendo a conservare le tradizioni e a rispettare la memoria storica della val di Magra.
Gli sgabei sono strisce di pasta lievitata per circa un'ora in luogo caldo, della larghezza di circa 3 cm e della lunghezza di circa 15 cm. Vengono fritti in olio extravergine di oliva e quando raggiungono la giusta doratura si servono caldi. La ricetta degli sgabei ha radici nella val di Magra, dove le donne friggevano la pasta avanzata del pane trasformandola in un gustoso pane fritto croccante, da mangiare con i salumi o i formaggi. Alla farina bianca veniva mescolata un po' di farina gialla che ha il potere di renderli più croccanti e asciutti. Si portavano all'ora di pranzo agli agricoltori avventizi che andavano in giornata. Allora venivano fritti nello strutto e a volte arricchiti con uva passa. Oggi, diversi ristoranti della provincia li preparano e li cucinano per i propri clienti, contribuendo a conservare le tradizioni e a rispettare la memoria storica della val di Magra. È facile trovarli di accompagnamento ad altri piatti nelle sagre paesane estive.

TARALLO
Olio extravergine di oliva 125 gr
Vino bianco secco 200 ml
Sale 10 g
Pepe q.b.
un cucchiaino di semi di finocchietto
Farina tipo 00, 500 gr
Versate in una ciotola la farina e aggiungete l’olio, il sale, il pepe (o i semi di finocchietto) e infine il vino bianco. Impastate gli ingredienti e quando saranno amalgamati trasferite il tutto su di un piano di lavoro (meglio se su di un’asse di legno) e impastate per almeno 20 minuti fino a che il composto sarà liscio ed elastico; la sua consistenza deve essere più compatta dell’impasto del pane. Mettete l’impasto per i taralli in una ciotola e copritelo con della pellicola, quindi fatelo riposare per almeno mezz’ora al fresco. Trascorso il tempo indicato dividete l’impasto in pezzetti del peso di 7-8 gr l’uno e con il palmo della mano ricavate dei bastoncini del diametro di 1 cm circa lunghi 8 cm. Unite le due estremità del bastoncino per formare un cerchio o una goccia (come più vi piace). Ponete tutti i taralli ottenuti su di un canovaccio pulito e poi portate a bollore un tegame contenente dell’acqua: buttateci dentro una dozzina di taralli. Non appena i taralli verranno a galla scolateli e adagiateli in un vassoio foderato con un canovaccio pulito. Dopo un minuto trasferite i taralli su di una teglia foderata con carta forno e infornateli in forno già caldo a 200 ° per circa 30 minuti (o fino a che non saranno appena dorati). Estraete i taralli dal forno, toglieteli dalla teglia e lasciate raffreddare completamente i taralli prima di gustarli.
Il Tarallo è un prodotto da forno tipico della Puglia, della Campania e della Calabria classificato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come Prodotto agroalimentare tradizionale. Viene comunque prodotto anche in altre regioni d'Italia, ad esempio in Basilicata ove esiste una variante (il tarallo aviglianese) fatta con glassa di zucchero fondente, che gli permette di assumere una colorazione bianco neve, e profumata all’anice. Principalmente si tratta di un anello di pasta non lievitata cotto in forno. L'impasto base è composto di farina, acqua, olio e sale.

TIROTTO
Il paese di Sassello, l'antica Salsole, in provincia di Savona, sembra essere stato già abitato dai tempi della preistoria, come dimostrano ritrovamenti litici. Intorno all'anno mille la sua storia è legata a quella dell'impero di Sassonia e nel Medioevo i Trovatori dedicarono più canzoni alla bellezza delle dame locali che non alle qualità d'arme dei suoi cavalieri.
Ricco di emergenze storico naturalistiche, Sassello è stato insignito della Bandiera arancione testimone dell'alta qualità ambientale. L'eccellente composizione oligominerale dell'acqua e la purezza dell'aria sono fattori fondamentali per la riuscita del pane qui prodotto, il tirotto.
Il nome deriva dal nome del pane detto tira, di forma arrotolata che prima della cottura viene leggermente tirato.
Il tirotto è un pane speciale e ne esistono diverse tipologie: tirotto comune, senza grassi aggiunti; tirotto all'olio, con aggiunta di olio; tirotto di patate, arricchito di olio e patate.
Prodotto a base di farina di grano e patate, dalla forma tirata e arrotolata leggermente, può essere condito (pane speciale) e non.
farina, 

acqua, 
sale, 
lievito, 
olio e patate.
Unire la farina con l'acqua il sale e il lievito e formare delle pagnotte di forma allungata. Dopo la lievitazione, usare le dita per formare i caratteristici buchi sulla superficie, che deve essere oliata e salata. Dopo un ulteriore periodo di lievitazione, si possono infornare.