BARBAGIUAI
600 grammi di farina,
acqua,
olio extravergine d'oliva,
sale.
un chilo di zucca,
150 grammi di riso,
un uovo,
un cucchiaio di brusso,
100 grammi di parmigiano e sardo,
maggiorana,
mezzo spicchio d'aglio,
pepe,
sale,
olio,
latte.
A seconda dei paesi, il ripieno può variare: qualcuno aggiunge alla zucca i fagiolini o la bietola.Impastate la farina, l'acqua, l'olio e il sale. Possibilmente il giorno prima sbollentate la zucca tagliata a pezzetti e, una volta scolata e raffreddata, strizzatela ben bene per poi passarla al passaverdure grosso. Nella versione del ripieno con i fagiolini, farli bollire e passarli nel passaverdura insieme alla zucca. Cuocere il riso in latte e acqua. In una terrina amalgamate il riso, i formaggi, la purea di zucca (e di fagiolini), il sale, il pepe, l'uovo e la maggiorana. Stendete la pasta sottilissima e ritagliate dei quadrati di sei-otto centimetri circa. Disponete sulla metà della sfoglia tanti cucchiai di ripieno equidistanti tra loro, ricoprite con l'altra metà e premete per chiudere. Disponete i ravioli in una teglia e cuoceteli in forno o friggeteli in olio di oliva extravergine affinché diventino croccanti e dorati. Si dispongono su di un piatto e dopo una spruzzatina di sale, si servono ancora caldi. Esiste la variante del Barbagiuai con la quagliata (prescinseua).
Molto tempo fa deve essere esistito uno zio (barba) di nome Giovanni (Giuà) con l'hobby della cucina che si dilettò a inventare un succulento piatto a base di zucca. Una divertente storiella per spiegare il nome di questa specialità dell'Imperiese, specialmente della val Nervia, che unisce gli ingredienti orticoli per creare nutrienti ravioli fritti che si possono gustare sia caldi che freddi come facevano un tempo i contadini. La bontà del piatto sta nell'unire il dolce della zucca con il gusto deciso del brusso, che non tutti però utilizzano per la preparazione del ripieno. A Camporosso tutti gli anni si dedica una sagra ai barbagiuai. Nel Principato di Monaco questa specialità fa parte della gastronomia locale e si chiama in monegasco Barbagiuan. Grande raviolo farcito con riso, zucca e fagioli, dove il dolce della zucca contrasta con il piccante del formaggio brusso.
BARCHETTE CROCCANTI CON MOUSSE DI TONNO
200 ml di panna fresca da montare
1 rotolo di pasta fillo
100 gr di ricotta
Sale,
Pepe
200 gr di tonno all'olio di oliva sgocciolato
1 tuorlo d’uovo
Stendete il rotolo di pasta fillo e ricavate 4 cerchi di pasta tagliandola con un coppa pasta, oppure tagliate dei quadrati di pasta che introdurrete nelle pirottine preventivamente oliate. Con una forbice da cucina ritagliate la pasta in eccesso seguendo il perimetro delle pirottine. Riempite queste ultime con dei fagioli secchi, quindi poggiatele su di una teglia e infornatele in forno già caldo a 200° per circa 10-15 minuti, fino a che i cestini diventeranno ben dorati. Estraete a questo punto i cestini croccanti dal forno e lasciateli raffreddare, dopodiché eliminate i fagioli e conservateli per la prossima cottura. Preparate la mousse ponendo il tonno sgocciolato in un mixer, aggiungete la ricotta, il tuorlo d’uovo, il sale e il pepe, quindi frullate il tutto; versate il composto di tonno in una ciotola. Montate la panna ben ferma e aggiungetela delicatamente al composto di tonno stando attenti a non smontare il tutto. Ponete la mousse in frigorifero per almeno mezz’ora. Quando la mousse sarà fredda, mettetela in una tasca da pasticcere con bocchetta a stella e suddividetela nella 4 barchette ormai fredde. Ponete sulla sommità della mousse (di ognuna della 4 barchette) un pezzetto di timo e servite.
BORLENGO
Il borlengo, burlengo o zampanella è una specie di crêpe molto sottile e croccante preparata a partire da un impasto liquido estremamente semplice (è un tipico cibo povero), a base di acqua (o latte), farina, sale e talvolta anche uova: questo impasto è detto colla. Il ripieno tradizionale, detto cunza, consiste in un battuto di lardo, aglio e rosmarino, oltre ad una spolverata di Parmigiano Reggiano. Il borlengo si serve molto caldo e ripiegato in quattro parti. Molti paesi della zona di produzione rivendicano la paternità di questo alimento, la cui origine è decisamente antica: i primi documenti certi risalgono al 1266, ma c'è chi ne situa la data di nascita addirittura nel Neolitico.Scendendo lungo il Panaro, a Vignola, la leggenda vuole che tale alimento sia stato preparato in circostanze simili, ossia durante l'assedio del castello governato da Iacopino Rangoni, avvenuto nel 1386 ad opera dell'esercito del conte Giovanni da Barbiano, alleato di Isacco e Gentile Grassoni.
Un'origine più incerta invece è quella che si tramanda a Zocca, dove i borlenghi scaturirono da una frode vera e propria. Si narra infatti di un bottegaio che nei giorni di mercato vendeva pane e focacce, allungando però l'impasto con acqua a seconda del numero di avventori.
Infine a Montombraro ritorna il collegamento con la "burla": un signorotto locale, infatti, avrebbe servito tale sottile sfoglia a conoscenti ed amici, che erano stati riuniti a convivio con la promessa di un pasto abbondante. Purtroppo per lui, gli ospiti gradirono talmente quel cibo così insolito da venirne conquistati ed insistere per essere invitati a tavola numerose altre volte.
A Zocca ha sede il museo del Borlengo, e ha sede la compagnia della cunza, associazione per la cultura e la conservazione della tradizione del Borlengo tipico.
L'etimologia viene fatta risalire a "burla", e a questo proposito vi sono almeno tre teorie:
Per alcuni il borlengo sarebbe il risultato di uno scherzo ad una massaia che, con acqua e farina, stava preparando il tradizionale impasto per le crescentine da cuocere nelle tigelle (piccole pietre refrattarie in mezzo alle quali, un tempo, i dischi di pasta erano accostati al fuoco del camino). La donna, trovandosi l'impasto per il cibo quotidiano allungato eccessivamente dall'acqua, non pensò di buttarlo via, ma provò a ricavarne ugualmente qualcosa di commestibile - e ci riuscì.
Altri pensano che l'alimento venisse mangiato a carnevale, quindi fosse un "cibo per burla".
Altri ancora ritengono che la burla risieda nel fatto che il borlengo è un alimento molto voluminoso, ma in realtà molto leggero perché la pasta è sottilissima.
Zona di preparazione
La zona di preparazione è una ristretta fascia di Appennino emiliano, che comprende i comuni a cavallo tra la provincia di Modena (la fascia principale è quella che va da Guiglia, Marano sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola e Zocca (che ospita il museo del borlengo o burlengo), fino a Castel D'Aiano e Montese, con in seconda battuta il territorio del Frignano, tra cui Pavullo nel Frignano e Sestola, dove vengono chiamati "berlenghi" e "burlenghi", e Fanano e, la parte della provincia di Bologna più vicina a Modena (Gaggio Montano, Porretta Terme, Vergato, Savigno, Castello di Serravalle e Castel D'Aiano). A Bologna e provincia e nel comune di Montese (MO) sono conosciuti con il nome di "zampanelle". Nel comune di Polinago (MO) i borlenghi vengono chiamati ciaci o solatelle (sono leggermente più spessi dei borlenghi classici) e si possono consumare, anche accompagnati a salumi, con le crescentine nei chioschi allestiti per la festa patronale di Ferragosto. Vengono chiamati inoltre "sfuiadee" o "sfogliatelle" a San Dalmazio, frazione del comune di Serramazzoni.
Tipologie di borlengo
Come per tutti i prodotti tipici locali, è praticamente impossibile definire una ricetta e un modo di preparazione univoco per i borlenghi. Ogni famiglia ha la propria variante peculiare che riterrà quella originale e i diversi paesi si contendono la paternità del borlengo. Inoltre è possibile fare confusione dato che un unico nome in realtà identifica diversi prodotti (ad esempio il caso eclatante delle crescentine); e anche il viceversa, cioè prodotti che hanno nomi diversi ma indicano lo stesso prodotto. Emblematica è la situazione del ciacio, che nel Frignano può indicare sia una variante del borlengo fatto con la farina di castagne e condito con la ricotta, sia il borlengo stesso. Sempre più raramente il borlengo è definito come ciacio, la variante con le castagne è più specifica e sempre più indicativa per i locali delle zone di Pavullo. È però possibile tentare una distinzione tra due tipologie di borlengo in base al tipo di padella in cui vengono cotti, corrispondenti a distinte zone geografiche.
Il borlengo viene condito in mano perché non si raffreddi, con il tipico pesto di lardo di maiale, aglio e rosmarino
Borlengo nelle cotte
Questo tipo di borlengo (chiamato anche Ciacio oppure Ciaccio) viene cucinato nel Frignano, nelle valli del Dolo, del Dragone e del Panaro nel versante occidentale. Le padelle usate per cuocere il borlengo sono chiamate "cotte" o "cottole": due piastre in ferro di circa 28–30 cm senza bordo e con un lungo manico. Le cotte sono scaldate su un normale fornello e sono unte tradizionalmente con cotenna di prosciutto o con mezza patata unta con olio di semi. Raggiunta la temperatura, l'impasto (la colla) viene versata su una delle due cotte che vengono poi sistemate una sopra l'altra. Il borlengo resta schiacciato nel mezzo per il tempo della cottura e le cotte vengono capovolte più volte per ottenere una cottura uniforme. La "scuola" di Pavullo e specialmente quella di Miceno utilizza una metodica particolare, rigirando il borlengo stesso al posto delle cottole e invertendole ad ogni cottura, in modo tale che la colla venga caricata sempre sulla cottola più fredda che andrà poi a posarsi direttamente sul fornello, in questo modo la cottura risulta più rapida ed uniforme. La consistenza e lo spessore di questo tipo di borlengo dipende dalla quantità di acqua contenuta nella colla, e dalla mano del borlengaio poichè ogni borlengaio utilizza una colla più o meno liquida per ottenere lo stesso effetto. Il condimento tradizionale è un pesto di aglio, rosmarino e lardo (noto come cunza di Modena, lo stesso usato per le crescenti) a cui viene aggiunto Parmigiano Reggiano grattugiato. Il condimento viene aggiunto sul borlengo una volta che questo è cotto e al di fuori delle cotte. Esistono altresì condimenti alternativi con formaggio (aggiunto a fine cottura e poi reinserendo il borlengo nelle cotte per qualche secondo) o crema gianduia. Si è diffusa anche l'abitudine di utilizzare come farcitura marmellate e creme di cioccolato, con aggiunta di liquore all'anice (sambuca) oppure con zucchero e limone, cosa però vista malvolentieri dai cultori della tradizione dell'Appennino. La colla è un impasto liquido di farina, acqua e sale, ma anche per questo esistono varianti che contengono farina integrale, latte, vino bianco o uova.
Zampanelle nelle ruole
Questo tipo di borlengo viene cucinato nella valle del Panaro nel versante montuoso e orientale, in specie nel comune di Montese. Il borlengo cucinato nelle zone di Guiglia, Marano sul Panaro, Vignola, Modena e Zocca (Quello del museo) è praticamente identico a questa Zampanella e varia solamente per quello che riguarda alcuni ingredienti della 'colla'. La padella usata in questo caso si chiama "ruola" o "sole": una padella di rame stagnato di circa 40–45 cm di diametro con un lungo manico. Queste ruole devono essere "preparate" per poter essere utilizzate e questo della preparazione è un segreto che ogni cuoco difende accuratamente. La cottura è effettuata su fornelli speciali (detti "fuochi" o "foconi") che poggiano su un treppiede e che scaldano uniformemente la padella. La cottura avviene in quattro minuti per parte e quando la zampanella è pronta viene capovolta e condita direttamente nella padella con il pesto di pancetta, aglio se piace e rosmarino poi arricchito con Parmigiano Reggiano grattugiato. L'abilità del cuoco consiste nel ruotare la padella in modo da ottenere una zampanella distribuita uniformemente, molto sottile (quasi trasparente), croccante (non collosa né elastica). Va mangiata calda e appena fatta altrimenti perde la croccantezza e diventa collosa. L'impasto liquido rispetta la ricetta tradizionale di farina, acqua e sale, ma anche per questo esistono varianti contenenti uova. La differenza fra zampanelle e borlenghi del Frignano sta nelle dimensioni, nell'impasto e nel condimento. Le dimensioni della zampanella sono molto superiori a quelle del borlengo del Frignano e lo spessore risulta molto inferiore. Per questo l'abilità del cuoco è determinante in quanto deve essere capace di spargere velocemente il liquido dell'impasto in modo da renderlo sottilissimo e quasi trasparente. Il condimento poi è molto diverso in quanto viene usata la pancetta fresca e la salsiccia al posto del lardo. Cinquanta anni fa le zampanelle nella zona erano mangiate solo in inverno proprio a ragione del fatto che quando cotte grondavano del grasso del lardo. Attualmente, e da molti anni, si usa la pancetta fresca a volte miscelata con la salsiccia e si possono mangiare tutto l'anno. Una delle differenze fra zampanelle e borlenghi del Frignano sta quindi anche nel modo di condirle. I borlenghi del Frignano assomigliano invece più ai ciaci di farina di grano che vengono fatti nella zona di Montese: più spessi e più piccoli di diametro. In alcuni ristoranti della zona si possono assaggiare zampanelle con varianti al condimento, vegetariane con pesto di asparagi e ricotta, olio di oliva aromatizzato all'aglio e rosmarino con grana grattugiato, caciotta filante, pesto ai quattro formaggi, e anche salumi e formaggi a fette, non mancano varianti dolci alla marmellata, al mascarpone con frutti di bosco e con la famosa crema alle nocciole.
Un'origine più incerta invece è quella che si tramanda a Zocca, dove i borlenghi scaturirono da una frode vera e propria. Si narra infatti di un bottegaio che nei giorni di mercato vendeva pane e focacce, allungando però l'impasto con acqua a seconda del numero di avventori.
Infine a Montombraro ritorna il collegamento con la "burla": un signorotto locale, infatti, avrebbe servito tale sottile sfoglia a conoscenti ed amici, che erano stati riuniti a convivio con la promessa di un pasto abbondante. Purtroppo per lui, gli ospiti gradirono talmente quel cibo così insolito da venirne conquistati ed insistere per essere invitati a tavola numerose altre volte.
A Zocca ha sede il museo del Borlengo, e ha sede la compagnia della cunza, associazione per la cultura e la conservazione della tradizione del Borlengo tipico.
L'etimologia viene fatta risalire a "burla", e a questo proposito vi sono almeno tre teorie:
Per alcuni il borlengo sarebbe il risultato di uno scherzo ad una massaia che, con acqua e farina, stava preparando il tradizionale impasto per le crescentine da cuocere nelle tigelle (piccole pietre refrattarie in mezzo alle quali, un tempo, i dischi di pasta erano accostati al fuoco del camino). La donna, trovandosi l'impasto per il cibo quotidiano allungato eccessivamente dall'acqua, non pensò di buttarlo via, ma provò a ricavarne ugualmente qualcosa di commestibile - e ci riuscì.
Altri pensano che l'alimento venisse mangiato a carnevale, quindi fosse un "cibo per burla".
Altri ancora ritengono che la burla risieda nel fatto che il borlengo è un alimento molto voluminoso, ma in realtà molto leggero perché la pasta è sottilissima.
Zona di preparazione
La zona di preparazione è una ristretta fascia di Appennino emiliano, che comprende i comuni a cavallo tra la provincia di Modena (la fascia principale è quella che va da Guiglia, Marano sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola e Zocca (che ospita il museo del borlengo o burlengo), fino a Castel D'Aiano e Montese, con in seconda battuta il territorio del Frignano, tra cui Pavullo nel Frignano e Sestola, dove vengono chiamati "berlenghi" e "burlenghi", e Fanano e, la parte della provincia di Bologna più vicina a Modena (Gaggio Montano, Porretta Terme, Vergato, Savigno, Castello di Serravalle e Castel D'Aiano). A Bologna e provincia e nel comune di Montese (MO) sono conosciuti con il nome di "zampanelle". Nel comune di Polinago (MO) i borlenghi vengono chiamati ciaci o solatelle (sono leggermente più spessi dei borlenghi classici) e si possono consumare, anche accompagnati a salumi, con le crescentine nei chioschi allestiti per la festa patronale di Ferragosto. Vengono chiamati inoltre "sfuiadee" o "sfogliatelle" a San Dalmazio, frazione del comune di Serramazzoni.
Tipologie di borlengo
Come per tutti i prodotti tipici locali, è praticamente impossibile definire una ricetta e un modo di preparazione univoco per i borlenghi. Ogni famiglia ha la propria variante peculiare che riterrà quella originale e i diversi paesi si contendono la paternità del borlengo. Inoltre è possibile fare confusione dato che un unico nome in realtà identifica diversi prodotti (ad esempio il caso eclatante delle crescentine); e anche il viceversa, cioè prodotti che hanno nomi diversi ma indicano lo stesso prodotto. Emblematica è la situazione del ciacio, che nel Frignano può indicare sia una variante del borlengo fatto con la farina di castagne e condito con la ricotta, sia il borlengo stesso. Sempre più raramente il borlengo è definito come ciacio, la variante con le castagne è più specifica e sempre più indicativa per i locali delle zone di Pavullo. È però possibile tentare una distinzione tra due tipologie di borlengo in base al tipo di padella in cui vengono cotti, corrispondenti a distinte zone geografiche.
Il borlengo viene condito in mano perché non si raffreddi, con il tipico pesto di lardo di maiale, aglio e rosmarino
Borlengo nelle cotte
Questo tipo di borlengo (chiamato anche Ciacio oppure Ciaccio) viene cucinato nel Frignano, nelle valli del Dolo, del Dragone e del Panaro nel versante occidentale. Le padelle usate per cuocere il borlengo sono chiamate "cotte" o "cottole": due piastre in ferro di circa 28–30 cm senza bordo e con un lungo manico. Le cotte sono scaldate su un normale fornello e sono unte tradizionalmente con cotenna di prosciutto o con mezza patata unta con olio di semi. Raggiunta la temperatura, l'impasto (la colla) viene versata su una delle due cotte che vengono poi sistemate una sopra l'altra. Il borlengo resta schiacciato nel mezzo per il tempo della cottura e le cotte vengono capovolte più volte per ottenere una cottura uniforme. La "scuola" di Pavullo e specialmente quella di Miceno utilizza una metodica particolare, rigirando il borlengo stesso al posto delle cottole e invertendole ad ogni cottura, in modo tale che la colla venga caricata sempre sulla cottola più fredda che andrà poi a posarsi direttamente sul fornello, in questo modo la cottura risulta più rapida ed uniforme. La consistenza e lo spessore di questo tipo di borlengo dipende dalla quantità di acqua contenuta nella colla, e dalla mano del borlengaio poichè ogni borlengaio utilizza una colla più o meno liquida per ottenere lo stesso effetto. Il condimento tradizionale è un pesto di aglio, rosmarino e lardo (noto come cunza di Modena, lo stesso usato per le crescenti) a cui viene aggiunto Parmigiano Reggiano grattugiato. Il condimento viene aggiunto sul borlengo una volta che questo è cotto e al di fuori delle cotte. Esistono altresì condimenti alternativi con formaggio (aggiunto a fine cottura e poi reinserendo il borlengo nelle cotte per qualche secondo) o crema gianduia. Si è diffusa anche l'abitudine di utilizzare come farcitura marmellate e creme di cioccolato, con aggiunta di liquore all'anice (sambuca) oppure con zucchero e limone, cosa però vista malvolentieri dai cultori della tradizione dell'Appennino. La colla è un impasto liquido di farina, acqua e sale, ma anche per questo esistono varianti che contengono farina integrale, latte, vino bianco o uova.
Zampanelle nelle ruole
Questo tipo di borlengo viene cucinato nella valle del Panaro nel versante montuoso e orientale, in specie nel comune di Montese. Il borlengo cucinato nelle zone di Guiglia, Marano sul Panaro, Vignola, Modena e Zocca (Quello del museo) è praticamente identico a questa Zampanella e varia solamente per quello che riguarda alcuni ingredienti della 'colla'. La padella usata in questo caso si chiama "ruola" o "sole": una padella di rame stagnato di circa 40–45 cm di diametro con un lungo manico. Queste ruole devono essere "preparate" per poter essere utilizzate e questo della preparazione è un segreto che ogni cuoco difende accuratamente. La cottura è effettuata su fornelli speciali (detti "fuochi" o "foconi") che poggiano su un treppiede e che scaldano uniformemente la padella. La cottura avviene in quattro minuti per parte e quando la zampanella è pronta viene capovolta e condita direttamente nella padella con il pesto di pancetta, aglio se piace e rosmarino poi arricchito con Parmigiano Reggiano grattugiato. L'abilità del cuoco consiste nel ruotare la padella in modo da ottenere una zampanella distribuita uniformemente, molto sottile (quasi trasparente), croccante (non collosa né elastica). Va mangiata calda e appena fatta altrimenti perde la croccantezza e diventa collosa. L'impasto liquido rispetta la ricetta tradizionale di farina, acqua e sale, ma anche per questo esistono varianti contenenti uova. La differenza fra zampanelle e borlenghi del Frignano sta nelle dimensioni, nell'impasto e nel condimento. Le dimensioni della zampanella sono molto superiori a quelle del borlengo del Frignano e lo spessore risulta molto inferiore. Per questo l'abilità del cuoco è determinante in quanto deve essere capace di spargere velocemente il liquido dell'impasto in modo da renderlo sottilissimo e quasi trasparente. Il condimento poi è molto diverso in quanto viene usata la pancetta fresca e la salsiccia al posto del lardo. Cinquanta anni fa le zampanelle nella zona erano mangiate solo in inverno proprio a ragione del fatto che quando cotte grondavano del grasso del lardo. Attualmente, e da molti anni, si usa la pancetta fresca a volte miscelata con la salsiccia e si possono mangiare tutto l'anno. Una delle differenze fra zampanelle e borlenghi del Frignano sta quindi anche nel modo di condirle. I borlenghi del Frignano assomigliano invece più ai ciaci di farina di grano che vengono fatti nella zona di Montese: più spessi e più piccoli di diametro. In alcuni ristoranti della zona si possono assaggiare zampanelle con varianti al condimento, vegetariane con pesto di asparagi e ricotta, olio di oliva aromatizzato all'aglio e rosmarino con grana grattugiato, caciotta filante, pesto ai quattro formaggi, e anche salumi e formaggi a fette, non mancano varianti dolci alla marmellata, al mascarpone con frutti di bosco e con la famosa crema alle nocciole.
BRUSCHETTA
Pane
Olio
Aglio
Abbrustolire il pane. Condirlo con aglio strofinato ed olio. Servite caldo.
La bruschetta è un piatto povero contadino della cucina italiana, nata dalla necessità che gli agricoltori avevano di conservare il pane, servito oggi perlopiù come veloce antipasto. È costituita da una fetta di pane abbrustolito ("bruscato") condito con olio, sale, e strofinato con aglio. La bruschetta può essere arricchita con un'infinita di altri ingredienti, il più tipico è il pomodoro.
Campania
Nella cucina napoletana la bruschetta è presente da secoli grazie alla grande produzione di pomodori della Campania. Diffusasi poi in tutta Italia, la bruschetta nacque come spuntino per gli agricoltori campani che durante le pause condivano queste fette di pane abbrustolite con i pomodori appena raccolti. Il nome deriva probabilmente dalla Brusca "spazzola per pulire i cavalli e buoi dal pelo morto" che richiama la bruschetta nella forma e nella ruvidezza della sua superficie. Diventato poi un antipasto, conobbe la sua prima versione condita con olio, aglio e pomodoro talvolta anche origano. Successivamente si sono aggiunte versioni con alici, olive e formaggi vari. Con il passare del tempo ed il continuo mutare della cucina napoletana, da molti anni si possono assaggiare in tante versioni condite con creme e paté di peperoni, funghi, zucchine,piccoli tocchetti di melanzane, mozzarelle, scamorze e salumi vari.
Toscana
In Toscana viene chiamato fettunta, in altri luoghi panunto. Quando il pane è caldo e croccante si strofina uno spicchio d'aglio sulla superficie e quindi si condisce con olio extra vergine di oliva, sale e pepe. Si ritiene che questo cibo povero sia nato come spuntino per i lavoratori dei campi. Veniva preparato con il pane casereccio, anche raffermo, e insaporito con carni e salsiccia.
Piemonte
Esiste un tipo di bruschetta chiamata in piemontese soma d'aj, di origine tipicamente monferrina e langarola o della zona delle sorgenti del Po (saluzzese e pinerolese). Gli spicchi d'aglio vengono sfregati sulla crosta del pane abbrustolito. Le fette di pane, così trattate, sono solitamente richiuse a formare un panino, con dentro fette di pomodoro, olio e sale. La soma era il cibo dei vendemmiatori quando, durante la pausa per il pranzo, veniva accompagnata con un grappolo d’uva dolcetto o moscato.
Puglia
Famosa per i suoi prodotti tipici da forno (pane, biscotti, frise, ...) la Puglia vanta una tradizione secolare sulla bruschetta. Alimento veloce e tipico della tradizione contadina pugliese, era preparato abbrustolendo delle fette di pane locale sulle braci sempre accese dei camini domestici e condito con olio di produzione locale, ottenuto esclusivamente da olive molite a freddo attraverso processi meccanici, e con pomodori, coltura tipica principalmente della provincia brindisina. Nel corso del tempo questa pietanza, come nel resto dell'Italia, è diventata una portata frugale degli antipasti tipici, aggiornando i condimenti a seconda dei gusti del consumatore e dei prodotti tipici del luogo in cui viene preparata.
Calabria
In Calabria la bruschetta viene chiamata "fedda ruscia" (fetta abbrustolita), si condisce semplicemente con pomodori, olio, sale, pepe e origano.
CALCIONI SALATI MOLISANI
l'impasto:140 ml di olio extra vergine d'oliva
2 uova
il ripieno:
3 tuorli
150 g di prosciutto crudo, tagliato a dadolini
un ciuffo di prezzemolo trito,
sale
Mettere la farina sul piano di lavoro, allargarla formando una fontana. Unire l’olio extra vergine d'oliva, le uova leggermente battute, un pizzico di sale ed eventualmente qualche cucchiaio di acqua tiepida. Impastare e formare un panetto, liscio ed omogeneo. Lasciare riposare sotto una ciotola per almeno 30 minuti. Amalgamare la ricotta passata al setaccio con tre tuorli, unire il pecorino grattugiato, il prosciutto ed il prezzemolo. Pepare ed aggiungere sale solo se ritenuto necessario. Stendere la pasta sul piano di lavoro infarinato. Ricavare tanti cerchi di 15 cm di diametro. In ognuno di essi poggiare un cucchiaio di ripieno. Chiudere a mezzaluna. Friggere i calcioni, pochi alla volta, in abbondante olio caldo, cuocere fino a doratura. Fare asciugare l’olio in eccesso mettendosi su un piatto ricoperto con carta assorbente. Servire caldi.
CANTUCCI SALATI AL CACIO DI PIENZA
500 g di farina 0012 g di lievito in polvere
3 uova
200 g di pecorino poco stagionato grattugiato
120 m di olio extra vergine d’oliva
100 ml circa di latte
1 cucchiaio di salva tritata
100 g di mandorle pelate
Sale
Pepe
1 tuorlo
Scaldare il forno a 180°C . In una ciotola lavorare la farina setacciata con il lievito, le uova, leggermente battute, l’olio, il latte, il pecorino e la salvia. Salare, pepare e versare sul piano di lavoro, formare un impasto a cui aggiungere per ultimo le mandorle. Dividere l’impasto in 4 pezzi.
Allungarli per formare dei filoni, disporli su teglia foderata con carta forno. Battere il tuorlo con un cucchiaio di acqua e spennellarlo sulla superficie. Cuocere in forno per 20 minuti circa. Quando sono sufficientemente freddi, tagliarli sottilmente, e farli tostare in forno a 120°C .
3 uova
200 g di pecorino poco stagionato grattugiato
120 m di olio extra vergine d’oliva
100 ml circa di latte
1 cucchiaio di salva tritata
100 g di mandorle pelate
Sale
Pepe
1 tuorlo
Scaldare il forno a 180°C . In una ciotola lavorare la farina setacciata con il lievito, le uova, leggermente battute, l’olio, il latte, il pecorino e la salvia. Salare, pepare e versare sul piano di lavoro, formare un impasto a cui aggiungere per ultimo le mandorle. Dividere l’impasto in 4 pezzi.
Allungarli per formare dei filoni, disporli su teglia foderata con carta forno. Battere il tuorlo con un cucchiaio di acqua e spennellarlo sulla superficie. Cuocere in forno per 20 minuti circa. Quando sono sufficientemente freddi, tagliarli sottilmente, e farli tostare in forno a 120°C .
CASATIELLO
Per l'impasto
Lievito di birra disidratato 1 bustina o un cubetto se fresco
10 g Sale
Pepe macinato in abbondanza
350-400 ml acqua tiepida
120 gr strutto più quello per ungere
2 cucchiaini zucchero
600 gr farina più quella per la spianatoia
Per il ripieno
100 gr salame tipo Napoli
100 gr pancetta a cubetti
100 gr scamorza (provola) provolone
40 gr pecorino grattugiato
40 gr grana padano grattugiato
Per spennellare
1 uovo piccolo
Setacciate in una ciotola capiente la farina e aggiungete il lievito di birra, lo zucchero, il pepe e lo strutto. Sciogliete il sale nell’acqua tiepida e aggiungetelo nella ciotola, impastando il tutto fino ad amalgamare gli ingredienti. Trasferitevi ad impastare su di un piano di lavoro così da ottenere un composto liscio ed omogeneo che adagerete in una ciotola unta di strutto, coprirete con della pellicola e lascerete lievitare a circa 30° per 2 ore e mezza, o fino a che il volume dell’impasto per il casatiello non sarà raddoppiato. Trascorso il tempo indicato, spolverizzate di farina il piano di lavoro, prendete l’impasto, lavora telo qualche secondo e poi stendetelo in un rettangolo piuttosto lungo (circa 40 x 65 cm ); dal lato più stretto, tagliate via una striscia di 5 cm che vi servirà in seguito per fermare le uova sopra il casatiello (copritela con della pellicola per non farla seccare). Cospargete la sfoglia ottenuta con i formaggi grattugiati la pancetta, il provolone (che avrete precedentemente tagliato a cubetti) e il salame, avendo cura di lasciare un bordo tutto intorno non cosparso di ingredienti e quindi utile per sigillare il casatiello. Arrotolate la sfoglia sul lato più lungo e formate un grosso rotolo. Ungete uno stampo a ciambella da 24 cm con la chiusura verso il basso con dello strutto e subito dopo metteteci dentro il rotolo; sovrapponete leggermente le due estremità del casatiello napoletano e poi fate lievitare il tutto per almeno un’ora o fino a che il casatiello non abbia raggiunto il margine superiore dello stampo. Quando il casatiello avrà raggiunto il margine, prendete le uova e premetele delicatamente sulla superficie dell’impasto, posizionandole a uguale distanza una dall’altra. Stendete poi la pasta avanzata e ritagliate delle piccole strisce dello spessore di ½ cm che andrete a posizionare a croce su ogni uovo. Spennellate delicatamente con un uovo sbattuto la superficie del casatiello e infornate poi il casatiello a 200° per circa 45-50 minuti.
Il casatiéllo o tòrtano è un tipico rustico della cucina napoletana preparato nel periodo di Pasqua. È preparato a partire da una pasta da pane, conciata con formaggio, strutto, Cicoli e altri salumi e rilievitata, indi cotta, preferibilmente in forno a legna. Mentre il tortano si consuma tutto l'anno, il casatiello è specifico del periodo di Pasqua (esso simboleggia la corona di spine del Crocifisso). A Pasqua molte panetterie vendono pasta da pane lievitata naturalmente che poi i consumatori avranno cura di conciare come da tradizione e cuocere nei forni di casa. Esistono anche diverse versioni dolci. Una versione dolce del casatiello è preparata con uova, zucchero, strutto e glassa, e decorata in superficie con confetti colorati (in lingua napoletana diavulilli): tale variante è diffusa a Caserta ed è l'unica conosciuta nell'area vesuviana costiera, a Pompei e nell'agro nocerino-sarnese. Altre versioni dolci sono diffuse a Monte di Procida e nel nolano. Nel casatiello le uova vengono posizionate intere, crude e con il guscio, e vengono cotte insieme al rustico. Le uova sono parzialmente sporgenti e ben visibili sul casatiello, spesso ricoperte da una sottile croce di impasto. La pasta, alla quale sono aggiunti sugna e pepe più una farcitura di salumi e formaggi tipici del luogo, viene lavorata a forma di grossa ciambella, riposta in un apposito stampo, fatta lievitare a lungo (dovrebbe essere fatta con pasta acida e una farina di media forza e lasciata a riposo per almeno 12 ore) e cotta a forno. Fino alla prima metà del secolo scorso era usuale portare a cuocere il casatiello presso forni o panetterie invece che cuocerlo in casa. Di questo rustico esistono diverse varianti, soprattutto per quanto riguarda i diversi tipi di farcitura. Il casatiello viene preparato anche come pranzo al sacco durante le gite fuori porta, tipiche del giorno di Pasquetta. Le uova e la farcitura rendono questo rustico un pranzo pressoché completo.
CANAPÈ
Pane bianco
salse,
affettati,
carne,
formaggio,
pesce,
caviale,
paté.
Un canapé è un piccolo antipasto poggiato o spalmato su fettine di pane senza crosta che solitamente vengono prima spalmate di burro e anche preventivamente grigliate. È solitamente preparato con cura e di aspetto molto decorativo, separato in fette e mangiabile spesso in un solo morso. I canapè si preparano su fette di pane bianco da tramezzini, su pane tostato, su gallette, in barchette di pasta sfoglia o frolla e su qualsiasi supporto che sia adatto a essere presentato disteso su un piatto ritagliato in forme piacevoli, come stelle, cerchi o fiori. Talvolta il supporto del canapè può anche venire fritto o ricavato da impasti di polenta o patate scavate: sebbene esistano ricette tradizionali di canapè, infatti, queste sono preparazioni dove la fantasia nell'accostamento è più che benvenuta. Sopra il supporto si poggiano gli ingredienti scelti, come salse, affettati, carne, formaggio, pesce, caviale o paté, nonché altri condimenti combinati con fantasia. Possono essere salati o dolci e sono presentati su vassoi. Il loro impiego principale è nei buffet.
CHISCIÖI
250 gr farina bianca200 gr farina di grano saraceno
250 gr formaggio valtellina casera
1 pizzico lievito
200 ml birra
1 bicchierino grappa
acqua gassata
olio
sale
Preparate una pastella versando in una terrina le farine, la birra, la grappa. Impastate tutto fino ad avere un composto omogeneo mediamente denso, se fosse necessario unite dell'acqua gassata. Lasciate riposare il composto in frigorifero per circa 1 ora. Cuocete il composto ottenuto a cucchiaiate in abbondante olio bollente in modo da ottenere delle frittelline dal diametro di circa 12 cm . Cuocete i chisciöi da entrambi i lati fino a dorarli. Toglierli dalla padella disporre su ognuno una fetta di formaggio e far gratinare in forno con il grill. Servite i chisciöi su di un letto di cicorino tagliato a striscioline molto fini e condito con un emulsione di olio e aceto.
I chisciöi detti anche panel sono un piatto tipico della Valtellina. Sono delle frittelle di grano saraceno e birra con cuore di formaggio filante fuso, solitamente serviti con cicoria e salumi tipici della zona. A Tirano (provincia di Sondrio) e Sernio ogni anno si tiene la Sagra dei chisciöi. Un tempo piatto povero, ora grazie allo zelante impegno della Confraternita del Chisciöl e dei vini del tiranese, sta tornando come piatto fondamentale della ristorazione della media Valtellina.
CIPOLLINA CATANESE
Pasta sfogliaCipolla
Salsa pomodoro
Mozzarella
Prosciutto cotto
Zucchero
Basilico
Aglio
Tagliare a striscioline le cipolle e cuocerle in una padella con un po' d'olio. Fatte appassire a fuoco basso, aggiungere un pomodoro e uno spicchio d'aglio, qualche foglia di basilico e un cucchiaino di zucchero. Fare cuocere qualche minuto. Dopodiché prendere la pasta sfoglia e tagliarla in forma rettangolare, dopo aver inserito centralmente la salsa appena composta e un po' di mozzarella, richiudere la sfoglia congiungendo i vertici del rettangolo verso il centro. A questo punto basta infornare.
Tagliare a striscioline le cipolle e cuocerle in una padella con un po' d'olio. Fatte appassire a fuoco basso, aggiungere un pomodoro e uno spicchio d'aglio, qualche foglia di basilico e un cucchiaino di zucchero. Fare cuocere qualche minuto. Dopodiché prendere la pasta sfoglia e tagliarla in forma rettangolare, dopo aver inserito centralmente la salsa appena composta e un po' di mozzarella, richiudere la sfoglia congiungendo i vertici del rettangolo verso il centro. A questo punto basta infornare.
CRISPEDDI CATANESI
50 g di lievito;
5 acciughe salate, diliscate e ridotte a pezzetti;
300 g di ricotta fresca di pecora setacciata;
strutto abbondante,
sale.
Nelle friggitorie di Catania, ma diffusi anche altrove, troviamo i crispeddi, una specie di frittella o panino farcito con acciughe e finocchietto che viene successivamente fritto. Diffusi anche fuori città, vengono declinati in altre forme e ricette. Ancora in provincia di Catania, a Zafferana Etnea e Viagrande, è diffusa la pizza siciliana, un calzone fritto con formaggio acciughe e funghi.
Vi presento la ricetta, ma non fatevi illusioni: queste crispelle, dette anche nella Sicilia orientale sfinci, dall’etimo arabo “sfang”, non saranno mai così buone fatte in casa, quando quelle che potrete assaggiare dal più umile rosticciere popolare, nel periodo che va da Natale a San Giuseppe, in qualunque piccolo o grande centro siciliano, ed il cui stuzzicante profumo per tanti emigranti rappresenta l’insostituibile richiamo olfattivo della sera di festa invernale, invano cercato, con struggente nostalgia, nel profumo di altre nordiche frittelle. Il perché di questa quasi impossibilità di rifare in casa queste crispelle è presto detto: si tratta anzitutto di “quantità”, poi di esperienza. La tenera pasta delle crispelle vuole lievitare a lungo entro i grandi recipienti di ceramica smaltata e poi le crispelle vanno fritte, a galleggiare, nel grande padellone di oltre in metro di diametro e profondo circa cinquanta centimetri. Ma la tecnica, raffinata e veloce, nel ma polare la pasta quasi liquida, è qualcosa che veramente non s’insegna: tutti possono diventare “pizzaioli”, ma bravi “crispellari” no: la tecnica del “virtuoso” è un dono ancestrale e nativo ed il popolo segue con rapita ammirazione il lavoro, fatto a “vista”, del bravo crispellaro.
Entro una bacinella di ceramica o zuppiera impastate la semola con acqua calda, moderatamente salata, assieme al lievito. Impastate con le mani a lungo, con acqua abbondante, che non ci sia nessun grumo. Otterrete una pasta sofficissima, al limite dello stato liquido, che coprirete con una coltre di lana ripiegata, per lasciarla lievitare almeno tre ore. Preparare, accanto alla padella dai bordi alti per figgere, un piatto con le acciughe diliscate, ridotte a pezzetti da tre-quattro centimetri e un altro piatto con la ricotta fresca setacciata. Avvicinare il recipiente con la pasta lievitata e munirsi, vicino, di un altro recipiente colmo d’acqua, in cui, necessariamente, il cuciniere dovrà bagnare la mano destra, una volta che ha abbandonato la pasta farcita nello strutto bollente della padella. Con rapido gesto, se si vogliono ottenere crispelle d’acciuga, prendere un pezzetto d’acciuga con la sinistra, mentre la destra si tuffa nella pasta per ritirarne un pezzetto di circa trenta - quaranta grammi. Con tutt’e due le mani manipolare celermente la pasta, dando una forma allungata, affinché copra completamente il pezzetto d’acciuga, che deve rimanere, celato, al centro: quindi lasciar cadere la crispella, così formata, entro il padellone. La pasta, a contatto col liquido bollente, istantaneamente s’increspa, donde il nome, ed è pronta quando assume un bel colore dorato compatto. Viene estratta con un lungo remaiolo fatto di cerchietti di metallo concentrici. Alle crispelle farcite con la ricotta viene data una forma rotonda, ma friggono contemporaneamente e poi si mettono, fumanti, a sgocciolare nell’apposito recipiente. Poi, ancora caldissime, solo quelle con la ricotta, a richiesta, possono essere spolverizzate di zucchero. Vengono trasportate a chili nei grandi cartocci di carta gialla da pasta. Per una compatta doratura le crispelle vanno fritte due volte.
CROSTONI DI FORMAGGIO DE SAN STE'
formaggio de San Ste',
pane casereccio.
Fatto arrostire in sà ciàppa (su di una lastra di ardesia) e servito su fette di pane casereccio, il formaggio di Santo Stefano acquista il massimo della sua bontà.
CULURGIÒNES SARDI
I culurgiònes sono una specialità culinaria tipica della zona dell'Ogliastra, successivamente divenuta dell'intera regione. La regione Sardegna ha avviato la procedura di riconoscimento IGP dei Culurgiònes.Il tipico culurgiòne di Sadali è una specie di raviolo con un cuore di patate, menta, aglio e formaggio pecorino fresco, ma il ripieno varia molto a seconda della zona della Sardegna. La forma oblunga a mezzaluna, dovuta alla chiusura dei bordi effettuata pizzicandoli con le dita, è una lavorazione che dona al prodotto la particolare forma di una spiga. Si può servire in bianco, spolverizzato con pecorino grattugiato, oppure con la classica salsa di pomodoro.
Varianti
Il piatto, con varianti a seconda del paese d'origine, è presente sostanzialmente in tre varianti:
· Nell'Ogliastra e nelle zone interne (tra cui Sadali, al confine con l'Ogliastra, dove si organizza un'interessante Sagra di degustazione nel mese di Agosto) vengono preparati con pasta fresca di semola di grano duro e un ripieno di pecorino sardo (fresco di uno o due giorni, come a Talana, o stagionato come in altri paesi), oppure di patate, aglio e menta come a Gairo (o menta sostituita da "sa nepidedda", nepitella, a Ulassai e Jerzu), chiusi in modo da formare con le dita una piccola spiga, cotti in acqua bollente e conditi sempre col sugo di pomodoro e pecorino grattugiato.
· I culurzònes della Barbagia, importati sempre dall'Ogliastra, sono ripieni di pecorino fresco e vengono conditi con un sugo di pomodoro e carne di maiale a cubetti, o in alternativa con sugo di pomodoro e salsiccia fresca, il tutto condito da pecorino stagionato grattugiato.
· Nella Sardegna meridionale, e in genere nel Campidano, si tratta di una sorta di ravioli preparati con pasta fresca di semola di grano duro con un ripieno di ricotta fresca di pecora o di capra, uovo e zafferano (e l'aggiunta in alcuni casi di pecorino sardo, bietole o spinaci), conditi, dopo la cottura, con sugo di pomodoro fresco e basilico ed una spruzzata di buon pecorino.
Curiosità
Nel paese di Ulassai, sino agli anni '60, la tradizione voleva che i culurgiònes venissero consumati solo ed esclusivamente il giorno dei morti, "sa di e ir mortos", il 2 novembre.
In alcuni paesi della Barbagia di Seulo e tra questi soprattutto Sadali, i culurgiònes non sono considerati solo un alimento, ma un dono prezioso, segno di stima, di rispetto ed amicizia. Venivano preparati per ricorrenze particolari come ringraziamento alla fine del raccolto del grano, per ricordare ed onorare i morti, il giorno della commemorazione dei defunti a Novembre, con il grasso ovino ("culurgiòni de ogliu 'e seu"), per festeggiare il carnevale a Febbraio, con lo strutto ("culurgioni de ogliu 'e procu"). Sa spighitta, la tipica chiusura dei culurgiònes, rappresenta il simbolo del grano per propiziare la nuova annata agraria a fine agosto. Secondo la tradizione venivano anche considerati amuleti che proteggevano la famiglia dai lutti.
FARRATA PUGLIESE
1.5 kg di ricotta fresca di pecora
1 barattolo di grano duro cotto (500gr)
2 mazzetti di menta maggiorana
1 kg di farina
15 grammi di pepe
2 cucchiai di sale
2 bicchieri d'acqua
2 tuorli d'uova
cannella qb
forma circolare (diametro 13 cm)
Rimuovete i ramoscelli dalla menta maggiorana e lasciate solo le foglie. Mescolate in un recipiente abbastanza grande, la ricotta, il grano e la menta maggiorana appena pulita. Aggiungete tutto il pepe e la cannella e mescolate fino ad ottenere un amalgama uniforme degli ingredienti. Lasciate riposare per mezz'ora affinché la menta maggiorana possa aromatizzare la ricotta fresca. Nel frattempo, impastate la farina aggiungendo lentamente l'acqua e il sale. Amalgamate bene la farina fino ad ottenere un impasto non troppo morbido. Preparate delle sfoglie di pasta non più spesse di 2mm. Tagliate la sfoglia in maniera circolare usando un coltello o l'apposito rullo da taglio. Le forme ottenute saranno usate a coppie, una per il fondo e una per coprire il ripieno della farrata. Riempite ogni sfoglia con due cucchiai dell'impasto di ricotta ottenuto in precedenza, e copritela con un'altra sfoglia. Con indice e pollice unite le due sfoglie ripiegando la pasta verso l'interno della farrata, a mo' di calzone. Montare i due tuorli d'uova, e con un pennello piccolo (anticamente si usava un pennello nuovo da barba) cospargete la parte superiore della farrata, colorando di rosso. Infine, prima di infornare, bucate con una forchetta la parte superiore della farrata stessa, onde evitare bolle d'aria all'interno. Infornate per mezz'ora nel forno a 180°. Nell'area sipontina la farrata è il tradizionale piatto rustico del Carnevale Dauno di Manfredonia.
2 mazzetti di menta maggiorana
1 kg di farina
15 grammi di pepe
2 cucchiai di sale
2 bicchieri d'acqua
2 tuorli d'uova
cannella qb
forma circolare (diametro 13 cm)
Rimuovete i ramoscelli dalla menta maggiorana e lasciate solo le foglie. Mescolate in un recipiente abbastanza grande, la ricotta, il grano e la menta maggiorana appena pulita. Aggiungete tutto il pepe e la cannella e mescolate fino ad ottenere un amalgama uniforme degli ingredienti. Lasciate riposare per mezz'ora affinché la menta maggiorana possa aromatizzare la ricotta fresca. Nel frattempo, impastate la farina aggiungendo lentamente l'acqua e il sale. Amalgamate bene la farina fino ad ottenere un impasto non troppo morbido. Preparate delle sfoglie di pasta non più spesse di 2mm. Tagliate la sfoglia in maniera circolare usando un coltello o l'apposito rullo da taglio. Le forme ottenute saranno usate a coppie, una per il fondo e una per coprire il ripieno della farrata. Riempite ogni sfoglia con due cucchiai dell'impasto di ricotta ottenuto in precedenza, e copritela con un'altra sfoglia. Con indice e pollice unite le due sfoglie ripiegando la pasta verso l'interno della farrata, a mo' di calzone. Montare i due tuorli d'uova, e con un pennello piccolo (anticamente si usava un pennello nuovo da barba) cospargete la parte superiore della farrata, colorando di rosso. Infine, prima di infornare, bucate con una forchetta la parte superiore della farrata stessa, onde evitare bolle d'aria all'interno. Infornate per mezz'ora nel forno a 180°. Nell'area sipontina la farrata è il tradizionale piatto rustico del Carnevale Dauno di Manfredonia.
La farrata è una pietanza tradizionale della città di Manfredonia, cittadina del Gargano in provincia di Foggia. È così chiamata perché composta prevalentemente di grano o di farro. Altri ingredienti sono la ricotta di pecora, la maggiorana, sale, pepe e cannella. Tutto ciò costituisce il ripieno di questo rustico dalla forma tondeggiante. Presso la nobiltà romana, i riti matrimoniali venivano celebrati spezzando e offrendo agli sposi una focaccia di farro (grano). Questi, mangiandola consacravano la loro unione. Oggi viene consumato a Manfredonia soprattutto nel periodo di carnevale.
FORMAGGIO E FUNGHI
4 rosette soffiate,250 g di funghi champignon,
200 g di emmental,
200 g di fontina,
1 uovo,
4 cucchiai di parmigiano grattugiato,
150 ml di panna da cucina,
50 ml di latte,
sale,
1 cucchiaio di olio di oliva,
1 spicchio di aglio.
In una padella rosolare lo spicchio di aglio sbucciato e tagliato a metà, aggiungere gli champignon affettati e lasciarli cuocere per una decina di minuti, eliminare l’aglio, salare e tenere da parte. Nel robot da cucina tritare insieme l’emmental e la fontina tagliati a pezzi, l’uovo, il parmigiano, la panna e il latte. Aggiungere ai funghi ed amalgamare bene tutti gli ingredienti. Togliere la calotta alle rosette soffiate, ma tenerla da parte. Riempire per bene le rosette con la crema di formaggi e funghi, adagiarle su una leccarda rivestita di carta forno e infornare in forno già caldo a 180° per circa 30 min., aggiungendo le calottine solo una decina di minuti prima per farle tostare. Servire le rosette calde adagiando la calottina sul formaggio dorato e croccante, mentre all’interno il formaggio sarà morbido e deliziosamente filante.
200 g di emmental,
200 g di fontina,
1 uovo,
4 cucchiai di parmigiano grattugiato,
150 ml di panna da cucina,
50 ml di latte,
sale,
1 cucchiaio di olio di oliva,
1 spicchio di aglio.
In una padella rosolare lo spicchio di aglio sbucciato e tagliato a metà, aggiungere gli champignon affettati e lasciarli cuocere per una decina di minuti, eliminare l’aglio, salare e tenere da parte. Nel robot da cucina tritare insieme l’emmental e la fontina tagliati a pezzi, l’uovo, il parmigiano, la panna e il latte. Aggiungere ai funghi ed amalgamare bene tutti gli ingredienti. Togliere la calotta alle rosette soffiate, ma tenerla da parte. Riempire per bene le rosette con la crema di formaggi e funghi, adagiarle su una leccarda rivestita di carta forno e infornare in forno già caldo a 180° per circa 30 min., aggiungendo le calottine solo una decina di minuti prima per farle tostare. Servire le rosette calde adagiando la calottina sul formaggio dorato e croccante, mentre all’interno il formaggio sarà morbido e deliziosamente filante.
FRIARELLI CON MOZZARELLA
1 mozzarella di bufala DOP da 250 g
15/20 peperoni friarelli
olio evo
sale
qualche foglia di menta
1 limone
Sciacqua bene i friarelli e con un coltellino incidili fino a metà, questo per permettere che si insaporiscano tutti per bene durante la cottura. Lascia il picciolo. Versa in una padella un po' di olio di oliva e lascialo scaldare; aggiungi uno spicchio d'aglio in camicia e i peperoni. Fai rosolare a fuoco vivace, devono "friggere", mescolando spesso, per circa 10 minuti, facendoli ammorbidire e un po' bruciacchiare. Scolali su carta assorbente e condisci con sale grosso. Se li volete mangiare così, la tradizione prevedere che vadano afferrati per il picciolo e mangiati per intero, semi compresi; se non vi piacciano mordete un centimetro prima del picciolo. Taglia la mozzarella di bufala a pezzettoni e lasciala un po' colare del suo liquido. Prepara un'emulsione con olio di oliva, qualche goccia di buon limone e un trito di foglie di menta. Assembla la tua tapas campana! Metti sul piatto un pezzo di mozzarella, un peperone friarello e fissali con uno spiedino. Cospargi con qualche goccia di emulsione alla menta e qualche zesta di limone.
FRIGGITELLI E FORMAGGIO BURRINO
500 g di friggitelli
uno spicchio d'aglio
un peperoncino
5 cucchiai di olio extravergine
200 g di formaggio burrino tagliato a fette
sale q.b
un peperoncino
5 cucchiai di olio extravergine
200 g di formaggio burrino tagliato a fette
sale q.b
Per la cottura dei friggitelli: in una padella mettere l'olio, l'aglio e il peperoncino, soffriggere bene e aggiungere i friggitelli lavati e puliti dai semi interni. Cuocere per almeno 30 minuti e salare.
Comporre il panino con i friggitelli e le fette di formaggio burrino.
FRISELLA
La frisella (frisa nelle varie varianti pugliesi), chiamata anche "fr'sell" in napoletano è un tarallo di grano duro (ma anche orzo o in combinazione secondo varie proporzioni) cotto al forno, tagliato a metà in senso orizzontale e fatto biscottare nuovamente in forno. Ne consegue che essa presenta una faccia porosa e una compatta. Importante è distinguere tra la frisa e il pane: la frisa infatti non è un pane, in quanto è cotto due volte (bis-cotto).L'impasto, ottenuto dalla lievitazione di farina di grano o orzo con acqua, sale e lievito, viene lavorato a mano per renderne omogenea la struttura e tagliato nella pezzatura desiderata secondo la tradizione locale e lavorato fino alla forma di una losanga. Con un preciso gesto si premono le quattro punte delle dita perfettamente allineate lungo l'asse della losanga determinando lungo l'asse principale una riduzione dello spessore, che agevolerà lo spacco successivo. La losanga ottenuta viene arrotolata su sè stessa in una breve forma a spirale con piccolo foro centrale e successivamente infornata a contatto con altri pezzi, in piccole palettate di sei-otto forme.
Dopo la prima cottura la singola forma, ancora calda, viene tagliata con un filo ("a strozzo") sul piano mediano orizzontale lasciando sulla faccia dello scorrimento dello spago la caratteristica superficie irregolare.
I due pezzi ottenuti, quello inferiore col fondo piatto e quello superiore con il dorso curvo, si cuociono nuovamente in forno (bis-cotto) per eliminare l'umidità residua della pasta. La frisa viene conservata in contenitori di creta (oggi in buste di plastica) per preservala dall'umidità e favorirne la conservazione. Le friselle di pezzature maggiore, per effetto delle lavorazioni precedenti la cottura, all'atto della bagnatura (sponsatura) si dividono quasi naturalmente in due parti: quella superiore più morbida in corrispondenza della faccia dello spacco e quella del fondo più dura; è usanza servirle già nel piatto divise per facilitarne il condimento. Le friselle di pezzatura minore si bagnano e si condiscono intere. La pezzatura della singola frisella, in passato, corrispondeva alla porzione di pane necessaria al regime alimentare di un lavoratore addetto a lavori pesanti e spesso costituiva l'intero apporto calorico del pasto. Prodotta principalmente in Puglia, è anche molto diffusa in Campania, dove prende il nome di fresella e in Calabria con il nome di fresa. Nella lingua italiana, grazie alla riscoperta delle tradizioni pugliesi e salentine, si sta imponendo il termine frisa.
Viene preparata con il grano del Salento, sia quello vagliato fine sia con quello con ancora parti di crusca fine (rossello).
Per gustarla si bagna in acqua fredda per un tempo che dipende dal gusto individuale e dalla consistenza della pasta cotta. Quindi si condisce, con pomodoro fresco, origano, sale e un filo d'olio extravergine d'oliva. Come variante si può strofinare uno spicchio di aglio sulla frisella prima di bagnarla, si può aggiungere del peperoncino, del cetriolo o del carosello (menunceddha, spureddhra).
Prima del dopoguerra, la frisella di farina di grano era riservata alle sole tavole benestanti e a poche altre occasioni celebrative. I ceti meno abbienti della popolazione consumavano friselle di farina di orzo o di miscele di orzo e grano.
La frisella può essere conservata per un periodo lungo e questo la rendeva una valida alternativa al pane, nei periodi in cui la farina era più scarsa. In Puglia è nota anche come il pane dei Crociati giacché favorì il vettovagliamento e il viaggio delle truppe cristiane.
In passato in Puglia si usava bagnare le friselle direttamente in acqua di mare, e consumarle condite col solo pomodoro fresco, premuto per far uscire il succo.
La forma non è il risultato di una ricerca estetica o del caso, ma risponde a precise esigenze di trasporto e conservazione. Le friselle venivano infilate in una cordicella i cui terminali venivano annodati a formare una collana, che era facile appendere per un facile e comodo trasporto e conservazione all'asciutto. La frisella era infatti un pane da viaggio; da qui l'uso di bagnarla in acqua marina da parte dei pescatori, che la usavano anche come fondo per le zuppe di pesce o di cozze, alimenti abituali durante le battute di pesca che duravano parecchi giorni.
Nella tradizione salentina, comune ad altre tradizioni contadine, si procedeva con cadenza regolare alla panificazione, spesso in capientissimi forni a legna comuni o pubblici. Gli intervalli della panificazione potevano essere da bisettimanali a più che trimestrali, per cui il quantitativo di farina di una o più famiglie associate, poteva dare corpo ad un impasto di 100-200 kg. Nella panificazione una quota limitata (20%) era costituita da pezzi di pane morbido da consumarsi nei primissimi giorni, in genere da tagliarsi a fette. Moltissime risultano le varianti del pane fresco spesso associate alla presenza nell'impasto di olive nere, zucca, cipolla, ecc. o a particolari lavorazioni (taralli, pirille, ecc.) per il consumo diretto senza particolari condimenti aggiunti. La quota maggiore dell'impasto di panificazione veniva riservato però alla produzione di friselle di più lunga conservazione rispetto al pane fresco tenero, consentendo intervalli di panificazione maggiori. In casa le friselle erano conservate in grossi orci di creta (quartieri o capasoni). La frisella, pertanto, non era un prodotto da forno ricercato ma un prodotto alimentare di base, spesso in contesti dove il consumo di pane fresco era impossibile o inopportuno. Nel Salento la tradizione della panificazione "secca" è tuttora conservata in pochissimi centri minori e famiglie, spesso associata alla coltivazione in proprio di grano. Attualmente la frisella è prodotta da forni commerciali in varie pezzature e venduta in confezioni imbustate nei supermercati di tutta Italia.
A Bari e circondario le friselle sono spesso preparate in casa pur essendo vendute nei negozi: inzuppate d'olio, acqua, sugo di pomodoro e un filo di vino quindi condite con carciofini e lampascioni sono una pietanza gradita ai buongustai. Tale specialità culinaria, servita pure in raffinati ristoranti, è definita in dialetto barese con il termine ciallèdde che in lingua italiana diventa cialda, da non confondere ovviamente con l'omomima pasta di biscotti e coni da gelato.
A Napoli la fresella è la base della caponata, fatta con pomodoro a pezzetti, aglio, olio, origano e basilico su di una fresella bagnata. Una versione più ricca è fatta con pomodoro (più frequentemente pomodorini) a pezzetti, olio extravergine d'oliva, aglio sminuzzato, origano, olive nere, olive bianche, tonno e/o alici sotto sale.
Dopo la prima cottura la singola forma, ancora calda, viene tagliata con un filo ("a strozzo") sul piano mediano orizzontale lasciando sulla faccia dello scorrimento dello spago la caratteristica superficie irregolare.
I due pezzi ottenuti, quello inferiore col fondo piatto e quello superiore con il dorso curvo, si cuociono nuovamente in forno (bis-cotto) per eliminare l'umidità residua della pasta. La frisa viene conservata in contenitori di creta (oggi in buste di plastica) per preservala dall'umidità e favorirne la conservazione. Le friselle di pezzature maggiore, per effetto delle lavorazioni precedenti la cottura, all'atto della bagnatura (sponsatura) si dividono quasi naturalmente in due parti: quella superiore più morbida in corrispondenza della faccia dello spacco e quella del fondo più dura; è usanza servirle già nel piatto divise per facilitarne il condimento. Le friselle di pezzatura minore si bagnano e si condiscono intere. La pezzatura della singola frisella, in passato, corrispondeva alla porzione di pane necessaria al regime alimentare di un lavoratore addetto a lavori pesanti e spesso costituiva l'intero apporto calorico del pasto. Prodotta principalmente in Puglia, è anche molto diffusa in Campania, dove prende il nome di fresella e in Calabria con il nome di fresa. Nella lingua italiana, grazie alla riscoperta delle tradizioni pugliesi e salentine, si sta imponendo il termine frisa.
Viene preparata con il grano del Salento, sia quello vagliato fine sia con quello con ancora parti di crusca fine (rossello).
Per gustarla si bagna in acqua fredda per un tempo che dipende dal gusto individuale e dalla consistenza della pasta cotta. Quindi si condisce, con pomodoro fresco, origano, sale e un filo d'olio extravergine d'oliva. Come variante si può strofinare uno spicchio di aglio sulla frisella prima di bagnarla, si può aggiungere del peperoncino, del cetriolo o del carosello (menunceddha, spureddhra).
Prima del dopoguerra, la frisella di farina di grano era riservata alle sole tavole benestanti e a poche altre occasioni celebrative. I ceti meno abbienti della popolazione consumavano friselle di farina di orzo o di miscele di orzo e grano.
La frisella può essere conservata per un periodo lungo e questo la rendeva una valida alternativa al pane, nei periodi in cui la farina era più scarsa. In Puglia è nota anche come il pane dei Crociati giacché favorì il vettovagliamento e il viaggio delle truppe cristiane.
In passato in Puglia si usava bagnare le friselle direttamente in acqua di mare, e consumarle condite col solo pomodoro fresco, premuto per far uscire il succo.
La forma non è il risultato di una ricerca estetica o del caso, ma risponde a precise esigenze di trasporto e conservazione. Le friselle venivano infilate in una cordicella i cui terminali venivano annodati a formare una collana, che era facile appendere per un facile e comodo trasporto e conservazione all'asciutto. La frisella era infatti un pane da viaggio; da qui l'uso di bagnarla in acqua marina da parte dei pescatori, che la usavano anche come fondo per le zuppe di pesce o di cozze, alimenti abituali durante le battute di pesca che duravano parecchi giorni.
Nella tradizione salentina, comune ad altre tradizioni contadine, si procedeva con cadenza regolare alla panificazione, spesso in capientissimi forni a legna comuni o pubblici. Gli intervalli della panificazione potevano essere da bisettimanali a più che trimestrali, per cui il quantitativo di farina di una o più famiglie associate, poteva dare corpo ad un impasto di 100-200 kg. Nella panificazione una quota limitata (20%) era costituita da pezzi di pane morbido da consumarsi nei primissimi giorni, in genere da tagliarsi a fette. Moltissime risultano le varianti del pane fresco spesso associate alla presenza nell'impasto di olive nere, zucca, cipolla, ecc. o a particolari lavorazioni (taralli, pirille, ecc.) per il consumo diretto senza particolari condimenti aggiunti. La quota maggiore dell'impasto di panificazione veniva riservato però alla produzione di friselle di più lunga conservazione rispetto al pane fresco tenero, consentendo intervalli di panificazione maggiori. In casa le friselle erano conservate in grossi orci di creta (quartieri o capasoni). La frisella, pertanto, non era un prodotto da forno ricercato ma un prodotto alimentare di base, spesso in contesti dove il consumo di pane fresco era impossibile o inopportuno. Nel Salento la tradizione della panificazione "secca" è tuttora conservata in pochissimi centri minori e famiglie, spesso associata alla coltivazione in proprio di grano. Attualmente la frisella è prodotta da forni commerciali in varie pezzature e venduta in confezioni imbustate nei supermercati di tutta Italia.
A Bari e circondario le friselle sono spesso preparate in casa pur essendo vendute nei negozi: inzuppate d'olio, acqua, sugo di pomodoro e un filo di vino quindi condite con carciofini e lampascioni sono una pietanza gradita ai buongustai. Tale specialità culinaria, servita pure in raffinati ristoranti, è definita in dialetto barese con il termine ciallèdde che in lingua italiana diventa cialda, da non confondere ovviamente con l'omomima pasta di biscotti e coni da gelato.
A Napoli la fresella è la base della caponata, fatta con pomodoro a pezzetti, aglio, olio, origano e basilico su di una fresella bagnata. Una versione più ricca è fatta con pomodoro (più frequentemente pomodorini) a pezzetti, olio extravergine d'oliva, aglio sminuzzato, origano, olive nere, olive bianche, tonno e/o alici sotto sale.
GATTAFIN
per la sfoglia:olio,
acqua e sale.
Per il ripieno:
1 kg tra erbette di campo e bietole,
una cipolla dolce,
due uova,
formaggio parmigiano,
pecorino sardo,
olio,
maggiorana,
noce moscata e sale.
Setacciare la farina e metterla a fontana, quindi versare un filo d'olio, una presa di sale e l'acqua che può essere sostituita da un bicchiere di vino bianco, volendo aggiungere un uovo. Impastare sino ad ottenere un impasto liscio e morbido. Far riposare. Lessare le erbette e le bietole in acqua e sale, scolarle, farle raffreddare leggermente, strizzarle, tritarle in modo grossolano, rosolarle con la cipolla, o meglio i cipollotti. Sbattere a parte le uova, quindi unirvi le verdure, i due formaggi grattugiati, il sale e le spezie, la maggiorana, le uova ed un goccio d'olio, amalgamare il tutto. Stendere la pasta e mettere distanziato il ripieno, un cucchiaio per ogni raviolo, ripiegare e chiudere pigiando bene sui bordi, con la rotella tagliare in modo da dare la classica forma a mezzaluna. Si ricorda che i gattafin sono grandi circa 10 centimetri . Friggere in olio bollente, scolare e servire caldo.
Grosso raviolo ripieno di erbette spontanee, cipolla, ricotta, uova e formaggio. Il piatto ha origine dalla raccolta di erbe selvatiche da parte dei lavoratori di una vecchia cava di pietra in località la gatta, nelle vicinanze di Levanto e utilizzate dalle loro mogli per preparare questo piatto, chiamato quindi finezza della gatta ovvero Gattafin.
La preparazione è ancora oggi soltanto locale, anche se l'associazione Sapori di Levanto, per tutelare questo piatto tradizionale, ha voluto registrare la denominazione, depositando il marchio Gattafin. Una spiegazione più ricercata dell'etimologia fa risalire l'origine del nome a gattafura, parola trecentesca che indica rafioli e torte. Sia Maestro Martino, uno dei cuochi più famosi del XV secolo nel suo De arte Coquinaria, sia Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di papa Pio V, ci hanno lasciato notizie sulla Gattafura. Nel libro V della sua celebre Opera (1570) ci riporta la ricetta della Gattafura alla Genovese, una torta di erbe e formaggi simile alla più recente torta pasqualina. Da oltre 500 anni in Liguria, e non solo, imprigioniamo le verdure tra due strati di pasta. Le torte di verdure hanno dato origine anche ai ravioli, che nel Rinascimento si consumavano fritti.
La preparazione è ancora oggi soltanto locale, anche se l'associazione Sapori di Levanto, per tutelare questo piatto tradizionale, ha voluto registrare la denominazione, depositando il marchio Gattafin. Una spiegazione più ricercata dell'etimologia fa risalire l'origine del nome a gattafura, parola trecentesca che indica rafioli e torte. Sia Maestro Martino, uno dei cuochi più famosi del XV secolo nel suo De arte Coquinaria, sia Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di papa Pio V, ci hanno lasciato notizie sulla Gattafura. Nel libro V della sua celebre Opera (1570) ci riporta la ricetta della Gattafura alla Genovese, una torta di erbe e formaggi simile alla più recente torta pasqualina. Da oltre 500 anni in Liguria, e non solo, imprigioniamo le verdure tra due strati di pasta. Le torte di verdure hanno dato origine anche ai ravioli, che nel Rinascimento si consumavano fritti.
MICOTTI
patate,farina di mais,
lardo,
burro,
cipolle,
aglio, prezzemolo,
formaggio grattugiato.
Fate bollire le patate, schiacciatele ancora calde e aggiungetevi la farina di mais. Intanto fate soffriggere il lardo con il burro, le cipolle, l'aglio ed il prezzemolo. Versate le patate e dopo qualche minuto togliete il tutto dal fuoco, insaporendo con il formaggio grattugiato. Formate quindi delle palline di impasto a forma di panettoncino. A questo punto procedete alla cottura sotto il testo, posto nell'essiccatoio delle castagne. Quest'ultimo viene fatto scaldare con fuoco a legna per circa 20-30 minuti. Si asportano le braci, si fa scivolare sul basamento di metallo l'alimento da cuocere, servendosi di un tagliere di legno e si chiude la campana, lasciando chiuso per il tempo necessario alla cottura, senza mai aprire. La cottura può essere svolta anche nel normale forno ma si penalizza il risultato.
MOZZARELLA IN CARROZZA
una mozzarella grossa,
8 fette di pane in cassetta (pan carré),
2 uova,
farina,
2 cucchiai di latte,
sale e olio.
Si dividono le fette di pan carré a metà e si toglie la crosta. La mozzarella viene tagliata a fette abbastanza spesse e queste ultime si pongono tra due fette di pane. Il tutto si passa in farina, in uova sbattute con latte e sale e quindi fritte in abbondante olio.
PA AMB TOMÀQUET
2 fette di pane
1 pomodoro maturo
1 spicchio di aglio, sale e olio evo
Tostate le fette di pane in modo che siano croccanti. Tagliate a metà l’aglio e strofinatelo sul pane. Tagliate il pomodoro a metà e strofinatelo bene sul pane (metà pomodoro per ogni fetta di pane). Aggiungete il sale. Aggiungete l’olio. Strofinate la buccia del pomodoro rimasta in modo da distribuire bene il sale e l’olio su tutta la fetta di pane. Pa amb tomàquet, tradotto letteralmente in italiano come "pane con pomodoro", è una semplice e tipica ricetta di Aragona, Catalogna, Valencia e Maiorca, dove riceve il nome di pa amb oli o pamboli, in italiano letteralmente: "pane con olio d'oliva"). È un piatto simile alla bruschetta. È considerato il piatto più noto della cucina catalana. La versione più semplice del piatto consiste in una fetta di pane con mezzo pomodoro maturo strofinato, e condito con olio d'oliva e sale. Nella ricetta contadina originaria quest'ultima veniva accompagnata da una sardina in salamoia, ma oggigiorno si serve piuttosto accompagnata di prosciutto, formaggi o salumi affettati, sebbene si possa ritenere pa amb tomàquet una qualsiasi variante di panino o pane tostato purché il pomodoro ci sia stato strofinato. Il primo riferimento scritto riguardo a questo piatto risale al XVIII secolo, la ricetta viene nominata come panboli bo nel libro Modo de cuynar a la mallorquina di Jaume Martí Oliver. Comunque alcuni autori sostengono che la ricetta sia anteriore, e che tuttavia nei primi tempi non fosse stata apprezzata abbastanza da figurare nei ricettari trattandosi d'una ricetta troppo semplice ed evidente. In ogni caso non sarebbe una ricetta anteriore all'introduzione del pomodoro nella cucina catalana, verso il XVI secolo. Secondo l'ipotesi più accettata, la ricetta sarebbe nata spontaneamente nelle campagne, dove si sarebbero usati dei pomodori, spesso abbondanti nelle buone raccolte, per ammorbidire il pane secco, anche se in passato se ne era attribuita la diffusione agli immigrati dalla Murcia andati a Barcellona per lavorare nell'Esposizione Universale di Barcellona del 1929.
Tostate le fette di pane in modo che siano croccanti. Tagliate a metà l’aglio e strofinatelo sul pane. Tagliate il pomodoro a metà e strofinatelo bene sul pane (metà pomodoro per ogni fetta di pane). Aggiungete il sale. Aggiungete l’olio. Strofinate la buccia del pomodoro rimasta in modo da distribuire bene il sale e l’olio su tutta la fetta di pane. Pa amb tomàquet, tradotto letteralmente in italiano come "pane con pomodoro", è una semplice e tipica ricetta di Aragona, Catalogna, Valencia e Maiorca, dove riceve il nome di pa amb oli o pamboli, in italiano letteralmente: "pane con olio d'oliva"). È un piatto simile alla bruschetta. È considerato il piatto più noto della cucina catalana. La versione più semplice del piatto consiste in una fetta di pane con mezzo pomodoro maturo strofinato, e condito con olio d'oliva e sale. Nella ricetta contadina originaria quest'ultima veniva accompagnata da una sardina in salamoia, ma oggigiorno si serve piuttosto accompagnata di prosciutto, formaggi o salumi affettati, sebbene si possa ritenere pa amb tomàquet una qualsiasi variante di panino o pane tostato purché il pomodoro ci sia stato strofinato. Il primo riferimento scritto riguardo a questo piatto risale al XVIII secolo, la ricetta viene nominata come panboli bo nel libro Modo de cuynar a la mallorquina di Jaume Martí Oliver. Comunque alcuni autori sostengono che la ricetta sia anteriore, e che tuttavia nei primi tempi non fosse stata apprezzata abbastanza da figurare nei ricettari trattandosi d'una ricetta troppo semplice ed evidente. In ogni caso non sarebbe una ricetta anteriore all'introduzione del pomodoro nella cucina catalana, verso il XVI secolo. Secondo l'ipotesi più accettata, la ricetta sarebbe nata spontaneamente nelle campagne, dove si sarebbero usati dei pomodori, spesso abbondanti nelle buone raccolte, per ammorbidire il pane secco, anche se in passato se ne era attribuita la diffusione agli immigrati dalla Murcia andati a Barcellona per lavorare nell'Esposizione Universale di Barcellona del 1929.
PANUOZZO
Il panuozzo (o panozzo) è una preparazione alimentare tradizionale della cucina campana, diffusa in alcune aree della regione, commercializzata soprattutto nelle pizzerie di Gragnano e dell'area dei Monti Lattari (Pimonte, Agerola, Santa Maria la Carità).
Il panuozzo ha molti elementi in comune con la pizza, della quale costituisce un'alternativa, essendo peraltro molto più veloce da preparare e pratico da consumare, come cibo da asporto o cibo da strada. La diffusione di questa ricetta ha travalicato l'ambito strettamente locale, allargandosi su un più vasto territorio regionale.
Il panuozzo, come evoca in parte il suo nome, ha la forma di un grande panino, realizzato con del pane cotto nel forno a legna ma preparato con lo stesso impasto della pizza. Una variante, meno diffusa, prevede l'utilizzo del pane comune, nella tipologia "cafone". L'interno del panuozzo viene farcito con mozzarella, altri latticini, pomodori, verdure, ortaggi vari, salumi vari, affettati, ecc. Rispetto alla pizza, peculiare è il fatto che richieda un secondo passaggio in forno, immediatamente prima del consumo, a farcitura avvenuta, al fine di scaldare gli ingredienti del ripieno e amalgamarli con il pane.
Al pari della pizza, la composizione della farcitura e dei condimenti può spaziare in un ampio numero di varianti, anche personalizzate su richiesta del consumatore finale.
PANZEROTTO PUGLIESE
1 kg di farina 00
1 cucchiaino colmo di miele millefiori
250 ml di latte tiepido
passata di pomodoro
mozzarelle ben sgocciolate
Nel latte tiepido sbriciolare il lievito di birra, unire il miele e mescolare il tutto per far sciogliere bene il lievito. Sul piano lavoro o nella ciotola della planetaria setacciare la farina, unire il latte con il lievito sciolto, l’olio evo e iniziare ad impastare. Un po’ per volta incorporare l’acqua e il sale. Aggiungere un quantitativo di acqua che permette di ottenere un impasto morbido, ma sodo allo stesso tempo. Lavorare l’impasto per circa 10 minuti sino a renderlo liscio e ben amalgamato. Trasferire l’impasto in una capiente ciotola, coprire con pellicola e far lievitare in un luogo tiepido sino al raddoppio (circa 2 ore). Quando l’impasto avrà raddoppiato il volume, dividerlo in palline da circa 80/100 g. Infarinare bene il piano lavoro, sistemare le palline ben distanziate e far lievitare nuovamente per meno di 1 ora coperte con un canovaccio umido. Nel frattempo, grattugiare le mozzarelle con una grattugia a fori molto larghi (mi raccomando solo mozzarelle ben sgocciolate oppure acquistare le mozzarelle per pizza). In una ciotola unire le mozzarelle grattugiate, qualche cucchiaio di passata di pomodoro, regolare di sale e mescolare il tutto. Portare a giusta temperatura abbondante olio per frittura (circa 170°C ). Infarinare leggermente il piano lavoro, con il mattarello stendere una pallina già lievitata per la seconda volta sino ad ottenere un disco dal diametro circa 20 cm, farcire con mozzarelle e pomodoro, spennellare con acqua il bordo del disco di pasta e chiudere a mezzaluna. Sigillare bene i bordi con i rebbi di una forchetta oppure con le dita per evitare che il ripieno fuoriesca durante la cottura. Friggere i panzerotti pugliesi, quando saranno gonfi e dorati scolarli e adagiarli su carta assorbente. Servire i panzerotti pugliesi o calzoni fritti caldi caldi.
Il panzerotto (detto anche cazzotto) è un tipo di pietanza da rosticceria, chiusa su sé stessa, a forma di mezzaluna. È un prodotto tipico delle regioni del centro-sud Italia.
Si prepara con la stessa pasta per creare la normale pizza, ed è chiamato panzerotto specialmente in Puglia (ad esclusione della provincia di Lecce in cui è chiamato calzone), diversamente dalle altre regioni in prevalenza del centro-sud d'Italia (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia) per distinguerlo dai numerosi tipi di calzone al forno. A Napoli, dove è anche molto diffuso, viene chiamato semplicemente pizza fritta, mentre con il termine calzone si indica il calzone al forno ed il nome panzerotto ('o panzarotto detto in napoletano), viene invece utilizzato per indicare delle semplici grosse crocchette di patate. Esistono molte varianti al ripieno originale del panzerotto pugliese; noto è il ripieno con l'aggiunta delle olive snocciolate, delle acciughe, della cipolla e dei capperi. Il panzerotto nasceva dalla tradizione della cucina più povera pugliese, quando con la rimanenza della pasta del pane venivano cotte queste piccole mezzelune con pezzi di formaggio e pomodori. Oggi lo si trova in tutte le vetrine dei bar e nei menu delle pizzerie e, spesso, dei ristoranti. Il tipico panzerotto pugliese è ripieno con pomodoro e mozzarella, può essere cotto al forno o fritto nell'olio extravergine di oliva. Il prodotto per essere gustato appieno va mangiato caldo. Può essere considerato tanto un esempio di classica rosticceria quanto un dessert atipico. Il panzerotto, inteso come portata principale, è infatti un vero e proprio piatto salato composto da un involucro di pasta da pizza, lavorato e reso simile ad un croissant, farcito al suo interno con mozzarella e pomodoro oppure con ricotta e pancetta ed in seguito fritto in olio d'oliva o infornato. Va precisato che bisogna distinguere il calzone dal panzerotto oltre che per il tipo di cottura e di impasto (il calzone si prepara con lo stesso impasto usato per fare il pane, quindi si sottopone a lievitazione ed è cotto al forno, mentre il panzerotto viene fritto in abbondante olio di semi) anche per le dimensioni; infatti un calzone è una vera e propria "pizza" da33 cm di diametro richiusa a metà, mentre per il panzerotto viene usata la metà della dose di pasta che occorre per fare un calzone, ottenendo infine una sorta di raviolo di dimensioni medie. A Napoli, il calzone (quello classico), è inteso con ciccioli e ricotta. Nelle sue varianti dolci, che di solito si consumano durante le festività del Carnevale, il ripieno è composto da marmellata, ricotta o crema gianduia e composta della castagna di Montella, con copertura di zucchero a velo. In questo caso si rivela ottima anche la pasta frolla in luogo della pasta di pane, più leggera. Si cuociono sia al forno sia fritti. Come variante salata, invece, si può usare sempre un ripieno di ricotta pepata farcita di salumi tagliati a dadi.
Si prepara con la stessa pasta per creare la normale pizza, ed è chiamato panzerotto specialmente in Puglia (ad esclusione della provincia di Lecce in cui è chiamato calzone), diversamente dalle altre regioni in prevalenza del centro-sud d'Italia (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia) per distinguerlo dai numerosi tipi di calzone al forno. A Napoli, dove è anche molto diffuso, viene chiamato semplicemente pizza fritta, mentre con il termine calzone si indica il calzone al forno ed il nome panzerotto ('o panzarotto detto in napoletano), viene invece utilizzato per indicare delle semplici grosse crocchette di patate. Esistono molte varianti al ripieno originale del panzerotto pugliese; noto è il ripieno con l'aggiunta delle olive snocciolate, delle acciughe, della cipolla e dei capperi. Il panzerotto nasceva dalla tradizione della cucina più povera pugliese, quando con la rimanenza della pasta del pane venivano cotte queste piccole mezzelune con pezzi di formaggio e pomodori. Oggi lo si trova in tutte le vetrine dei bar e nei menu delle pizzerie e, spesso, dei ristoranti. Il tipico panzerotto pugliese è ripieno con pomodoro e mozzarella, può essere cotto al forno o fritto nell'olio extravergine di oliva. Il prodotto per essere gustato appieno va mangiato caldo. Può essere considerato tanto un esempio di classica rosticceria quanto un dessert atipico. Il panzerotto, inteso come portata principale, è infatti un vero e proprio piatto salato composto da un involucro di pasta da pizza, lavorato e reso simile ad un croissant, farcito al suo interno con mozzarella e pomodoro oppure con ricotta e pancetta ed in seguito fritto in olio d'oliva o infornato. Va precisato che bisogna distinguere il calzone dal panzerotto oltre che per il tipo di cottura e di impasto (il calzone si prepara con lo stesso impasto usato per fare il pane, quindi si sottopone a lievitazione ed è cotto al forno, mentre il panzerotto viene fritto in abbondante olio di semi) anche per le dimensioni; infatti un calzone è una vera e propria "pizza" da
PATÉ DI FEGATINI
300 g cipolle bianche1 bicchierino marsala
1/2 bicchierino cognac
olio, maggiorana, buccia grattugiata limone, pepe
400 gr fegatini di pollo
per guarnire
capperi q.b. cetrioli sotto aceto q.b. olive q.b. gelatina q.b.
Generalmente i fegatini di pollo vengono venduti in confezioni che contengono anche i cuori dei volatili, che non utilizzeremo per la realizzazione del patè; dovrete quindi separarli e usarli per qualche altra ricetta. Lavate i fegatini di pollo, asciugateli e puliteli, avendo cura di togliere il grasso in eccesso e le sacche del fiele; quindi tagliateli a pezzetti. Tritate le cipolle e mettete in una padella 150 gr di burro e un filo d’olio e fatevi appassire le cipolle, stando attenti a non farle colorire. Aggiungete poi il fegato tagliato, la maggiorana fresca, la scorza del limone grattugiata e fate rosolare per qualche minuto (se lo gradite potete sostituire la maggiorana fresca con dell'alloro). Versate nella padella il marsala e il cognac per ammorbidire gli ingredienti e lasciate evaporare sempre a fuoco dolce. Aggiustate il composto di sale e pepe e lasciatelo raffreddare. Mettete poi tutto in un mixer e riducete il composto in una crema. Sciogliete il rimanente burro a fuoco dolce e aggiungetelo alla crema di fegato, finchè il composto diventerà omogeneo. Per preparare un patè di fegato avvolto nella gelatina, avremo bisogno di due stampi da plum cake: uno leggermente più grande dell'altro e che lo contenga. Imburrate e foderate lo stampo più piccolo con della pellicola e versate al suo interno il pâté. Una volta che il pâté sarà sistemato nello stampo lasciatelo riposare in frigorifero per un paio d'ore, affinché si rassodi per bene. Nel frattempo preparate la gelatina, utilizzando un litro d'acqua e due dadi di preparato per gelatina,: versate metà del la gelatina ancora liquida nello stampo più grande e mettetelo a rassodare in frigorifero per un paio d'ore. Trascorse le due ore, prelevate dal frigo lo stampo piccolo contenente il pâté, che sformerete, eliminando la pellicola. Adagiate il pâté al centro dello stampo più grande che conterrà sul fondo, la gelatina ormai soda. Tra il pâté e le pareti dello stampo ci deve essere un vuoto che andrà colmato con la restante gelatina. Riempite quindi lo spazio tra il pâté e lo stampo con la gelatina liquida, coprendo bene anche la superficie del pâté. Mettete il tutto in frigorifero e lasciate solidificare per altre due ore. Quando la gelatina sarà ben soda, avvolgete lo stampo con un canovaccio bollente, quindi capovolgetelo su di un piatto da portata e guarnitelo a vostro piacere con fettine di cetriolini sott’aceto e dischetti di olive nere, verdi e capperi.
Il paté (dal francese pâté; a volte chiamato anche pasticcio in italiano) è un impasto di carne o pesce tritati e grassi alimentari ridotti al mortaio, in un composto di pasta spalmabile. Il paté classico francese, si chiama foie gras, del quale è stata limitata la vendita. Attualmente (2012), le direttive della Comunità Europea vietano la produzione di fois gras, perché l'ingrasso delle oche pone gravi problemi di salute degli animali. L'ingrasso produce una steatosi epatica dell'oca, una patologia che compromette la funzionalità del fegato. Esistono anche paté a base di vegetali.
Composizione
Auguste Escoffier, nel suo libro Ma cuisine contempla il paté di anguilla, di salmone, paté di vitello e prosciutto cotto, paté di pollo, di anatroccolo, di piccione e di faraona, paté di allodola, becaccia, fagiano, tordo, piviere, pavoncella, beccaccino, pernice, lepre e infine paté di fegato d'oca. Nel tempo si è elaborato anche un paté di tonno, un paté di prosciutto, un paté di ricotta e prosciutto cotto. Per il paté di fegato può essere usato il fegato che si trova in commercio più facilmente: dal più economico fegato di maiale, ai fegatatini di pollo, di coniglio, di agnello.
I grassi alimentari usati possono essere: lardo, strutto, burro, margarina o olio. La carne trita che si usa aggiungere al paté di fegato, per diluire il sapore forte del fegato, è carne di maiale, di costo economico oppure carne di vitello, meno saporita e più dispendiosa. In Toscana usano la milza di maiale, molto economica. Le verdure, le erbe aromatiche e gli aromi usati classicamente durante la cottura sono la carota, la cipolla, il timo e l'alloro, in modo opzionale, si può aggiungere rosmarino e salvia. Altri aromi pestati al mortaio, che si possono aggiungere dopo la cottura, sono capperi, prezzemolo, menta e basilico e miscele varie a seconda dei gusti, di coriandolo, pepe, finocchietto (conosciuto col nome improprio di semi di finocchio), noce moscata o aromi esotici, come cumino, cannella, zenzero, curry, carvi, citronella. A parte si prepara un brodo a proprio gusto, si mischia col vino e si ricopre il fegato preventivamente soffritto. Il vino classico da usare durante la cottura è il Madeira e in mancanza può andare bene anche il Porto o la malvasia secca, nostrana. Nei libri di ricette classici è descritto di aggiungere opzionalmente del brandy, o meglio cognac. Il paté si consuma freddo e dura anche una settimana, per cui potrebbe disidratarsi e formare delle croste o diventare più scuro, per cui viene immerso in una gelatina, preparata al momento.
PESTO MANDORLE FORMAGGIO E POMODORI
20 foglie di basilico
10 mandorle
Sale
Pepe
Olio extravergine di oliva
2 pomodori maturi
formaggio spalmabile a piacere
Preparo il pesto di basilico unendo 50 ml di olio extravergine di oliva, 2 cucchiai di aceto, un pizzico di sale e pepe, il basilico, le mandorle. Frullo con un frullatore ad immersione. Otterrò una crema densa e saporitissima. Taglio a fette il pomodoro e lo condisco con aceto, olio, sale e pepe. Taglio il pane a metà e faccio più strati alternando pomodori, formaggio spalmabile e pesto di basilico e mandorle.
Sale
Pepe
Olio extravergine di oliva
2 pomodori maturi
formaggio spalmabile a piacere
Preparo il pesto di basilico unendo 50 ml di olio extravergine di oliva, 2 cucchiai di aceto, un pizzico di sale e pepe, il basilico, le mandorle. Frullo con un frullatore ad immersione. Otterrò una crema densa e saporitissima. Taglio a fette il pomodoro e lo condisco con aceto, olio, sale e pepe. Taglio il pane a metà e faccio più strati alternando pomodori, formaggio spalmabile e pesto di basilico e mandorle.
PIDUNI MISSINISI
250 g di farina 00
250 g di farina di semola rimacinata
250 ml di latte tiepido
10 g di lievito di birra fresco
2 cucchiai di zucchero
2 cucchiai di olio evo
Per il ripieno:
Una insalata riccia
2 o 3 filetti di acciughe sott’olio
sale e pepe nero, olio evo.
Per friggere
Strutto
Miscelare le farine. Sciogliere il lievito nel latte tiepido con lo zucchero. Aspettare che sulla superficie del latte si formi una schiumetta che indica che la lievitazione è in atto. Unire il latte con il lievito alle farine. Iniziare a lavorare il composto. Unire l’olio evo, lavorare ancora e alla fine aggiungere il sale. Lavorare l’impasto per almeno 15 minuti, finché otterrete una pasta liscia ed elastica. Coprire con un canovaccio e mettere in forno spento per 5/6 ore. Tirare fuori l’impasto al latte e procedere alla lavorazione desiderata. Lasciare lievitare successivamente per un’altra ora, poi potete infornare o friggere. I tempi di cottura variano a seconda della preparazione. Lavare e asciugare molto bene l’insalata. Tagliare a cubetti piccoli il pomodoro e sistemarlo in uno scola pasta per far perdere la parte acquosa. Tagliare a cubetti il formaggio. Ora in una ciotola capiente, condire l’insalata, il formaggio e il pomodoro con sale, pepe e oli evo. Prendere l’impasto e tagliare de pezzi grandi quanto una pallina da tennis. Su una spianatoia, con l’aiuto di un po’ di farina e un mattarello stendere dei cerchi molto sottili. Prendere un po’ di condimento e sistemarlo su una metà del cerchio. Bagnare con acqua i bordi e chiudere il pitone spingendo con il palmo della mano sul ripieno per far uscire l’aria. Tagliare se necessario la pasta in esubero con una rotella dentata. Per essere più sicuri che il pitone sia ben chiuso, potete passare sui bordi i denti di una forchetta, stando attenti a non bucare la pasta. Preparare in una padella dai bordi alti dell’olio per fritture ben caldo. Per sapere se è a giusta temperatura buttate dentro un pezzetto di impasto, se inizia a fare le bollicine intorno, è alla temperatura giusta per friggere. Iniziare a mettere uno o due pitoni, in base alla grandezza della padella. Far dorare su entrambe i lati, per girare i pitoni non usare forchette, ma due utensili piatti, in legno, plastica o acciaio. Portare in tavola e stare attenti a non scottarsi. Nella provincia di Messina si cucina il piduni (piedone), detto per questo messinisi (messinese), una variante di calzone ripieno d'indivia, caciocavallo, pomodoro e acciughe. Accanto ad esso si trova la focaccia alla messinese che, nella sua versione originale, prevede gli stessi ingredienti.
PINCHO
Pincho o pintxo è un termine usato nel centro-Nord della Spagna, per la precisione nei Paesi Baschi, in Navarra ed in Castiglia e León, per identificare uno stuzzichino che accompagna l'aperitivo, del tutto simili ai cicheti veneziani. I pinchos sono accomunabili alle tapas. Il pincho è costituito da una fetta di pane con sopra uno o più ingredienti (i più diffusi sono prosciutto, formaggio, pesce, olive, tortilla de patatas, peperoni, ecc.). Il nome deriva dal fatto che tradizionalmente il pincho era tenuto insieme da uno stuzzicadenti anche se oggi questa caratteristica non è sempre rispettata. I pinchos sono un piatto tipico della gastronomia basca e si gustano come aperitivo accompagnati con un bicchiere di vino rosso (chiamato txikito in lingua basca) o di birra (zurito in lingua basca). I pinchos, all'ora dell'aperitivo, sono esposti lungo tutto il banco del bar, in modo che ogni cliente possa prendere ciò che vuole, in modo analogo a come avviene nei bacari di Venezia e alle altre tapa spagnole. Curioso è il fatto che in molti locali si paga il conto in base al numero di stuzzicadenti rimasti sul piatto con il quale i pinchos vengono portati al proprio tavolo.
Tapas: gamberi alla catalana
TAPAS
Con il termine spagnolo tapa, si indica un'ampia varietà di preparazioni alimentari tipiche della cucina spagnola consumate come aperitivi o antipasti. Sebbene abbiano origini e una filosofia di utilizzo tradizionale diversa, le tapas sono del tutto identiche ai ciccheti veneziani, sia nel modo di essere serviti, sia nel modo di essere consumati. Differiscono invece per alcuni ingredienti, infatti le tapas spagnole non sono esclusivamente preparate con il pesce o i frutti di mare, ma con ingredienti legati alla produzione alimentare mediterranea. Le tapa possono essere fredde, quando vengono preparate, per esempio, con le olive miste ed il formaggio, o calde, con polpo e calamari fritti. L'origine della parola tapa deriva dall'antica usanza di coprire, in spagnolo tapar, i bicchieri di vino nelle taverne e nelle locande, con un pezzo di pane o prosciutto, per evitare l'introduzione di insetti o polvere. Esistono altre denominazioni nel territorio spagnolo : per esempio nei Paesi Baschi e in Navarra, il tapa è conosciuto come Poteo, mentre in Aragona come Alifara.
Tra le preparazioni più usate troviamo:
Tapa di calamari, Olive (aceitunas), polpette (albondigas), aioli, salsa a base di aglio e olio d'oliva dal sapore forte e servita sul pane come antipasto o aperitivo, bacalao, merluzzo saltato servito molto lentamente e generalmente con pane e pomodori, boquerones, acciughe bianche servite sotto aceto (en vinagre) o fritte (fritos) calamares fritos, calamares a la romana o rabas, anelli di calamaro fritti, pinchos (o pintxos in basco), stuzzichini realizzati con vari ingredienti, infilzati con uno stuzzicadenti e collocati su una fetta di pane, patatas bravas, patatas a la brava o papas bravas, patate fritte accompagnate da una salsa piccante a base di pomodoro e pimenton (paprika), insalata russa (ensalada rusa o ensaladilla), carne mechada, carne cucinata a fuoco lento, tenera come una bistecca, chopitos o puntillitas, piccoli calamari fritti, polpo alla galiziana (pulpo a la gallega in spagnolo, polbo á feira o pulpo á feira in galiziano), polpo bollito e condito con olio d'oliva, sale e paprica, crocchette (croquetas) di patate con baccalà o prosciutto.
Tapas: alette di pollo
Salate e pepate le alette di pollo, infarinatele e friggetele in abbondante olio bollente per 5 minuti fino a completa doratura, poi scolatele ase mettetele da parte. Soffriggete in una padella con olio extravergine di oliva 1 spicchio d’aglio schiacciato, un trito finissimo di cipolla e un rametto di timo. Quando la cipolla sarà ben appassita aggiungete il prezzemolo tritato e il peperoncino, unite mezzo bicchiere di vino bianco e fate restringere la salsa per 5 minuti. Versate la salsa sulle alette di pollo e servite!
Tapas: alici marinate
Pulite le alici e ricavatene i filetti. Sistemate le alici in un piatto e conditele con un filo d’olio extravergine di oliva, succo di mezzo limone e succo di mezza arancia. Aggiungete un pizzico di sale e abbondante pepe nero macinato fresco. Lasciate marinare le alici in frigorifero per almeno 2 ore prima di servirle.
Tapas: asparagi in pastella
Pulite gli asparagi eliminando la parte finale e sbollentateli in acqua bollente salata per qualche minuto poi scolateli bene. In una terrina sbattete un uovo e aggiungete 1 cucchiaio di latte. Immergete gli asparagi nella pastella e poi friggeteli in abbondante olio bollente fino a renderli croccanti. Scolate gli asparagi dall’olio, conditeli con sale, pepe e servite ben caldi.
Tapas: champignon marinati con peperoni
Pulite gli champignon e tagliateli a fettine sottili. Sbollentate per 5 minuti i funghi in acqua salata, poi scolateli bene e conditeli con un trito d’aglio. Scottate i peperoni tagliati a lamelle in acqua bollente, poi scolateli e tagliateli a cubettini. Unite i peperoni ai funghi e condite il tutto con olio extravergine di oliva, una spruzzata di aceto di vino bianco, sale e abbondante pepe nero macinato fresco.
Tapas: cozze in salsa piccante
Lavate e pulite bene le cozze poi sistematele in un tegame con un filo d’olio extravergine di oliva e uno spicchio d’aglio. Coprite con un coperchio e lasciate che si aprano. Eliminate le cozze dal tegame e filtrate il sughetto ottenuto. In un pentolino, aggiungete la salsa di pomodoro, il sughetto delle cozze e il peperoncino in polvere. Cuocete la salsa per 10 minuti, versatela sulle cozze e servite!
Tapas: crostini con scampi e avocado
Tagliate il pane bianco a cerchietti e abbrustolitelo da entrambe le parti. Pulite gli scampi, privateli del carapace e conditeli con olio extravergine di oliva, succo di lime e un pizzico di sale in fiocchi. Pulite l’avocado e tagliatelo a cubettini. Sistemate l’avocado sui crostini, aggiungete su ognuno uno scampo, condite con pepe nero e servite.
Tapas: datteri con formaggio e bacon
Tagliate a metà i datteri per il verso della lunghezza. Farcite i datteri con una fettina di formaggio tipo fontina, pepe nero macinato e una grattugiata di scorza d’arancia. Avvolgete i datteri con una fettina di bacon e passateli in forno a 180°C per 10/15 minuti.
Tapas: frittata di funghi
Anche detta frittata, la tortilla di funghi è molto semplice da preparare! Pulite molto bene i funghi scelti e tagliateli a pezzi non troppo piccoli. Fate saltare i funghi in padella con uno spicchio d’aglio, un filo d’olio extravergine di oliva, sale e pepe. Sbattete le uova in una terrina e aggiungetele poi alla padella con i funghi. Abbassate il fuoco e cuocete la tortilla da entrambi i lati. Prima di servire tagliate la tortilla di funghi a quadratini.
Tapas: frittelle di olive
Unite in una terrina 100 gr di farina, 2 uova e un pizzico di sale. Mescolate molto bene fino ad ottenere un impasto senza grumi. Aggiungete all’impasto le olive denocciolate e tagliate a pezzettini. Affettate finemente la cipolla e l’aglio e unite anche questi all’impasto delle frittelle. Tagliate i pomodori a dadini, conditeli con timo e pepe e uniteli al composto. Impastate bene in modo da incorporare tutti gli ingredienti. Scaldate abbondante olio in una casseruola e con l’aiuto di un cucchiaio ricavate delle frittelline che andrete a friggere fino a quando non saranno ben dorate. Servite queste tapas caldissime!
Tapas: gamberi alla catalana
Pulite e lavate i gamberi. In una padella fate soffriggere uno spicchio d’aglio tritato in olio extravergine di oliva. Aggiungete i gamberi e fateli cuocere per qualche minuto poi aggiungete la paprika, il sale e il pepe nero. Portate a cottura per altri 5 minuti, trasferite i gamberi in un piatto da portata e servite con un trito di prezzemolo fresco.
Tapas: indivia in salsa di acciughe
Scottate le foglie di indivia in acqua bollente per 10 minuti, poi scolatele e fatele raffreddare aprendole bene su un piatto. In una padella scaldate un filo d’olio extravergine di oliva, unite uno spicchio d’aglio e le acciughe. Spegnete il fuoco e con un cucchiaio di legno schiacciate bene le acciughe. Versate la salsa sulle foglie di indivia e guarnite con qualche fogliolina di menta fresca.
Tapas: olive all’arancia
Denocciolate le olive verdi spagnole e sistematele in una terrina. Lavate il limone e l’arancia e grattugiatene la buccia (solo la parte colorata!) sulle olive. Condite le olive con il succo di arancia e quello di limone, aggiungete abbondate pepe nero e mescolate bene prima di servire.
Tapas: pane croccante al pomodoro con prosciutto spagnolo
Tagliate le fette di pane e fatele abbrustolire bene su entrambi i lati. Tagliate i pomodorini a meta e strofinateli sul pane in modo da insaporirlo. Servite il pane con fettine di prosciutto spagnolo tagliate al coltello
Tapas: pane fritto al profumo di aglio
Tagliate delle fette di pane alte al massimo 2 cm . Pelate uno spicchio d’aglio e strofinatelo su tutte le superfici del pane in modo da insaporirlo. In una terrina rompete un uovo e sbattetelo. Passate il pane nell’uovo e friggetelo nell’olio fino a quando non sarà ben dorato.
Tapas: patatas bravas velocissime
Tagliate le patate a pezzetti non troppo piccoli e friggetele in olio fino a quando non saranno cotte e ben croccanti. Nel frattempo preparate la salsa unendo un cucchiaio di maionese, un cucchiaio di passata di pomodoro, tabasco e senape. Amalgamate bene tutti gli ingredienti della salsa e servitela con le patate ben calde.
Tapas: patate con salsa alioli
Pelate le patate e tagliatele a cubi della stessa dimensione. Friggete le patate in olio fino a quando non saranno ben croccanti. Nel frattempo preparate la salsa tritando gli spicchi di una testa d’aglio con il mixer aggiungendo l’olio a filo fino ad ottenere una salsa bianca cremosa ed omogenea. Condite la salsa con un pizzico di sale, pepe nero e servitela con le patate!
Tapas: polpo alla gallega
Fate bollire abbondante acqua in una pentola, poi aggiungete il polpo dai tentacoli e una patata con la buccia. Fate cuocere il polpo per 15/20 minuti a seconda della grandezza. Quando il polpo e le patate saranno cotti, scolateli e tagliate le patate a rondelle e il polpo a pezzetti. Condite il tutto con olio extravergine di oliva, sale, pepe, un trito fine di prezzemolo e il peperoncino piccante.
Tapas: pomodorini secchi marinati
Preriscaldate il forno a 120°C . Lavate bene i pomodorini, asciugateli e sistemateli in una teglia da forno foderata. Condite i pomodorini con un filo d’olio extravergine di oliva, una spolverata di zucchero a velo, sale, pepe e qualche rametto di timo fresco. Passate i pomodorini in forno per 5/6 ore, poi tagliateli a metà e serviteli anche freddi. Potrete conservare questi pomodorini sott’olio in frigorifero anche per una settimana.
Tapas: rotolini di peperoni rossi
Lavate bene i peperoni, poi scottateli sulla fiamma o in una bistecchiera e pelateli accuratamente. Tagliate i peperoni a strisce di 5 cm di larghezza e conditeli con un filo d’olio extravergine di oliva e qualche goccia di succo di limone. In una terrina lavorate il formaggio spalmabile e conditelo con pepe e erba cipollina. Farcite i peperoni con il formaggio e ripiegateli su loro stessi fino a formare dei rotolini. Infilzate i rotolini con uno stuzzicadenti, guarnite con qualche foglia di basilico e servite.
Tapas: uova in cocotte con pomodoro e peperoncino
Scaldate il forno a 160°C . Immergete i pomodori ramati in acqua bollente per 30 secondi, poi scolateli, pelateli e privateli dei semi. Tagliate la polpa dei pomodori a dadini. Scaldate un filo d’olio extravergine di oliva in una padella, unite uno spicchio d’aglio e un trito di cipolla e fate soffriggere. Unite il pomodoro, i peperoni tagliati a cubetti, regolate di sale e di pepe e fate cuocere per 10 minuti. Mettete il sugo nella cocotte e sistemate sopra l’uovo. Infornate per 10 minuti e guarnite con una fettina di chorizo, un salame spagnolo molto saporito, e qualche fogliolina di timo.
TIROLESE
4 fette di Emmental,8 panini integrali con semi di sesamo e di lino,
spinacini da insalata,
4 fette di speck, sale e pepe
Tagliare a metà i panini, imbottire con spinacini, speck, rosti e fette di Emmental. Chiudere i panini e servire.
spinacini da insalata,
4 fette di speck, sale e pepe
Tagliare a metà i panini, imbottire con spinacini, speck, rosti e fette di Emmental. Chiudere i panini e servire.
UOVO NEL PANINO
provolone piccantepancetta arrosto
uovo
piselli cotti
panino rotondo
uovo
piselli cotti
panino rotondo
sale
pepe
Togliete la calotta al panino e svuotatelo internamente, poi tagliate il formaggio e la pancetta a dadini. In una ciotola mescolate i piselli con la pancetta e il formaggio e riempite il panino. Rompete l’uovo al centro, aggiungete sale e pepe quanto basta e infornate a 200° per 15 minuti.
VOL-AU VENT
pasta sfogliaper la farcia alle erbe (3 vol au vent)
robiola 30 gr
5/6 cucchiaini erba cipollina o prezzemolo
2 cucchiai panna fresca
pepe e sale
per la farcia al salmone (3 vol au vent)
30 gr robiola
30 gr robiola
30 gr salmone
timo o aneto per guarnire
per la farcia all'insalata russa (3 vol au vent)
per la farcia all'insalata russa (3 vol au vent)
60 gr insalata russa
capperi per guarnire
per la farcia ai gamberetti (3 vol au vent)
6 gamberetti sgusciati
2 cucchiai salsa cocktail
Disponeteli su un piano di lavoro i vol au vent, e occupatevi delle creme che vi serviranno per farcirli: salsa cocktail, insalata russa. 12 vol au vent, quindi ogni farcia servirà per riempire 3 vol au vent. Preparate la crema alle erbe: mondate e tritate il prezzemolo, in una ciotolina lavorate la robiola con la panna fresca, aggiungete il prezzemolo tritato, mescolate il tutto e con l'aiuto di un sac-à-poche e trasferitelo all'interno del vol au vent.
Poi passate alla preparazione dei vol au vent con i gamberetti, disponete sul fondo di un vol au vent un cucchiaino di salsa cocktail, poi inserite i gamberetti, sgusciati e sbollentati, potrete sminuzzarli o lasciarli interi se preferite, aggiungete un altro cucchiaio di salsa cocktail e guarnite con i gamberetti lasciati interi.
Passate quindi alla farcia al salmone, tritate il salmone e unitelo alla robiola mescolate bene e inserite anche questo composto all'interno del vol au vent e disponete sulla sommità una fettina di salmone e un ciuffetto di timo o di aneto per decorare. Poi farcite gli ultimi vol au vent con l'insalata russa.
Se volete potete completare i vol au vent con la gelatina. Fate sciogliere un cubetto di gelatina in acqua calda (seguendo le dosi riportate sulla confezione) e una volta sciolta disponetela sulla sommità dei vol au vent. Quindi mettete i vol au vent in frigorifero per far rassodare la gelatina. Dopo il riposo in frigorifero i vostri bellissimi vol au vent sono pronti per essere gustati.
I vol au vent sono degli sfiziosi antipasti immancabili sulle tavole delle feste, perché sono molto belli da vedere e facili da preparare. I vol au vent possono essere farciti come più vi piace, le combinazioni di sapori e di aromi per preparare le creme che li farciscono sono innumerevoli, noi vi presentiamo una fantasia di vol au vent preparati con crema di salmone, alle erbe, all’insalata russa e ai gamberetti.
YORKSHIRE PUDDING
130 gr di farina,1 uovo,
300 ml di latte,
1 pizzico di sale,
olio.
olio.
Unite al latte la farina e l'uovo in modo graduale e mescolando con una mestola di legno fino ad ottenere una pasta liscia e senza grumi; dopo averla ben lavorata lasciate riposare il composto. Preriscaldate il forno almeno a 220 gradi quindi prendete una teglia tonda se desiderate fare un unico pudding e versate sul fondo l'olio. La cottura varia a seconda delle dimensioni del vostro pudding che potrà essere pronto in 10 o 20 minuti, comunque quando sarà diventato piuttosto gonfio e ben dorato. Sono ottimi serviti caldi.
ZUCCA
Preparare questo panino è molto semplice: tagliate la zucca in fettine sottili e fatele cuocere in forno per 20 minuti a 180°. Quando le fette di zucca saranno cotte e ben morbide, salatele leggermente e poggiatele su delle fetta di pane integrale bruschettato. Sistemate la pancetta sopra la zucca e l'abbinamento sarà perfetto. Volendo preparare dei panini con la zucca anche in versione crostino di pane, potete far bollire la zucca in acqua salata, dopo averlo tagliato a cubetti piuttosto piccoli. La cottura sarà davvero breve, basteranno 10 minuti per avere la zucca perfettamente cotta. Scolate i cubetti di zucca e conditeli con pepe e un filo di olio. Quindi fate abbrustolire il pane, che può essere una fetta di pagnotta casereccia, oppure del pane multicereali, o ancora una baguette o una michetta.
Condite il panino con la zucca cotta che potete schiacciare grossolanamente in modo che resti sul pane. Sopra la zucca potete poggiare del formaggio come pecorino romano,ricotta salata oppure anche della robiola oppure della stracciatella di mozzarella di bufala. Per dare a questo crostino di pane un aroma speciale sistemate sopra al formaggio una fettina sottile di lardo. L'abbinare il lardo alla zucca è un ottimo modo di equilibrare aromi, calorie e delicatezza.
La zucca, è evidente, si abbina a moltissimi sapori che accontentano i gusti di tutti. Con la zucca potete anche preparare dei tortini dolci, seguendo le identiche dosi di una torta di carote. Potete usarla anche per farcire una torta salata con della pasta sfoglia o brisé, abbinandola a formaggi salati e salumi grassi come la pancetta o lo speck. Se avete a disposizione una zucca allungata potete usarla per fare un panino senza pane. Tagliate la zucca in fette spesse 2 cm e mettetela a cuocere in forno fino a quando non sarà cotta, ma soda. Fate abbrustolire le fette di zucca su un tegame antiaderente molto caldo, salatele e usatele come fette di pane da farcire con salumi e formaggi.
La zucca, è evidente, si abbina a moltissimi sapori che accontentano i gusti di tutti. Con la zucca potete anche preparare dei tortini dolci, seguendo le identiche dosi di una torta di carote. Potete usarla anche per farcire una torta salata con della pasta sfoglia o brisé, abbinandola a formaggi salati e salumi grassi come la pancetta o lo speck. Se avete a disposizione una zucca allungata potete usarla per fare un panino senza pane. Tagliate la zucca in fette spesse 2 cm e mettetela a cuocere in forno fino a quando non sarà cotta, ma soda. Fate abbrustolire le fette di zucca su un tegame antiaderente molto caldo, salatele e usatele come fette di pane da farcire con salumi e formaggi.
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