'MBRIULATA
200 g di farina di semola; 150 g di farina "00";
3 cucchiai di olio d'oliva;
20 g di lievito di birra;
latte;
sale.
Ingredienti ripieno:
3 patate piccole;
150 g di polpa di manzo tritata;
150 g di carne di maiale tritata;
1 piccola cipolla;
6 olive nere snocciolate;
4 cucchiai di pecorino grattugiato;
olio d'oliva;
sale;
pepe
Impastate la farina con olio, lievito di birra, del sale ed un po' di latte. Aggiungete tanto latte quanto basta a dare consistenza all'impasto. Dovrà risultare piuttosto sodo, quindi non abbondate con la mano. Durante l'impasto potrebbe tornare utile aggiungere un pochino di acqua tiepida. Quando l'impasto sarà pronto, mettetelo a lievitare per un 30 minuti. Approfittate di questo break per dedicarvi al ripieno. Pelate le patate e tagliatele a tronchetti. Fatele rosolare in padella con un pò di olio e sale. Mescolate i due diversi tipi di carne e aggiungete sempre un pizzico di sale e pepe. Ora rimettete le mani in pasta e ricavate una sfoglia spessa qualche millimetro. Spennellate un po' di olio di oliva e sistemate immediatamente sopra le patate, poi la carne ed infine le olive ed un po' di cipolla, che rallegra il sapore. Girate la sfoglia a spirale e cuocetela a forno caldo per circa 40 minuti. Prima di servirla fatela riposare 10 minuti.
La 'mbriulata o imbriulata consiste in un impasto di pasta di pane salato arrotolato farcito al suo interno da vari ingredienti: olive, cipolla e tritato di maiale. Prodotto tipico della cucina di Milena (CL) che si prepara tradizionalmente per la notte di Natale. Nello stesso paese ogni anno il secondo lunedì di agosto si tiene la "sagra della 'mbriulata". È un piatto tipico locale che anticamente le massaie preparavano come pasto unico per i familiari che si recavano per l'intera giornata a lavorare nei campi. La 'mbriulata dopo essere preparata si può consumare per alcuni giorni.
ACCIUGHE ALL'AMMIRAGLIA
1/2 Kg di acciughe nostrane, 3 o 4 limoni,
olio extra vergine di oliva, meglio se Colombaia,
origano.
Privare le acciughe della testa e delle lische ma non della coda, lavarle e disporle in una pirofila. Coprirle con il succo dei limoni. Conservarle in frigo per almeno mezza giornata, avendo cura di girarle in modo da marinarle completamente. Le acciughe saranno cotte dal limone quando appariranno bianche.
ACCIUGHE ALLA LIGURE 
aglio, acciughe salate,origano, olio extra vergine.
Una volta pulite le acciughe dalla lisca e sciacquate abbondantemente vanno poste in un piatto dove saranno coperte d'olio e spolverizzate di origano e aglio. È bene far passare qualche ora prima di gustarle.
ACCIUGHE ALLA SANREMASCA
800 grammi di acciughe freschissime,
2 limoni,
poco vino bianco secco,
olio evo,
sale,
prezzemolo,
aglio.
Pulite le acciughe eliminando la testa e le interiora. Apritele e allineatele su un piatto di portata. Preparate un trito d'aglio e di prezzemolo. Aggiungete l'olio, il succo di limoni, bagnate con il vino e salate. Emulsionate con una forchetta e versate il composto sulle acciughe. Lasciate marinare per almeno due ore prima di servire.
ACCIUGHE MARINATE
Acciughe (alici) fresche 500 gr
2 cucchiai Aceto di vino bianco
il succo di 2 Limoni
Prezzemolo,
Pepe,
Olio,
AglioLa prima operazione da fare nella preparazione delle alici marinate è quella di preparare la marinatura: tritate nel mixer il prezzemolo, poi emulsionate in una ciotola l’olio, l'aglio tritato, l’aceto e il succo dei limoni aggiungendo un pizzico di sale, il pepe e infine il prezzemolo tritato finemente. Ora pulite bene le alici secondo le indicazioni che trovate qui. Squamatele (dove fosse necessario) con un coltello, eliminando dapprima la testa, per poi passare ad aprirle lungo il ventre a mo' di libro, per poterle successivamente diliscare e pulirle dalle interiora, ottenendo così i filetti; dovreste evitare però di dividere le due metà del pesce. In un recipiente mettete un primo strato di marinatura, ed adagiatevi il primo strato di alici, facendo molta attenzione a non romperle; proseguite così fino al termine. Lasciate macerare almeno 5 ore prima di servire.
Le alici marinate possono essere preparate sia con il limone che con l'aceto oppure come nella nostra ricetta da un miscuglio dei due. In entrambi i casi la cottura dei filetti di alici (la marinatura) avviene per contatto con il liquido. Con il limone sono sufficienti 3 o 4 ore di marinatura mentre con l'aceto bisogna considerare almeno 12 ore. Per rendere più appetitosa e colorata la preparazione è aggiungere nella marinatura una mezza carota tritata finemente. Per chi non gradisce troppo il forte sapore del limone o dell’aceto è possibile metterle a marinare solo in questi ingredienti, dopodiché trascorso il tempo necessario si può buttare il liquido della marinatura e condirle con i rimanenti ingredienti. Questo gustoso antipasto può essere servito accompagnato con delle fette di pane casereccio tostate.
La marinatura è un procedimento di cottura delle carni che avviene mediante l’immersione del cibo nel liquido di marinatura. A causa degli acidi, che provvedono alla cottura delle carni, è assolutamente indispensabile che per questo procedimento non vengano usati contenitori di alluminio o rame che rilascerebbero sostanze velenose; molto meglio preferire contenitori di plastica, vetro, o ceramica.
Le alici (o acciughe) marinate sono una ricetta tipica di tutte le zone di mare, infatti, tracce di questo gustoso piatto si ritrovano un po’ in tutte le tradizioni culinarie marittime. La semplicità di preparazione, insieme alla reperibilità delle materie prime, hanno fatto si che fosse uno dei piatti sempre presenti sulle tavole dei pescatori. Le alici così preparate sono un ottimo antipasto freddo e si mantengono in frigo per giorni e giorni.
ACQUA SALE
L'acquasale, nota anche come acquasala, è un piatto tipico del sud Italia, diffuso particolarmente in Campania, Basilicata e Puglia. È un piatto povero, facile e veloce da preparare. Veniva preparato specialmente dai pescatori e i contadini da consumare mentre erano sul lavoro. Viene realizzato solitamente immergendo il pane biscottato di grano in acqua e condirlo poi con sale, olio extravergine di oliva, pomodoro (succo e/o pezzi) e origano. Può essere servito sia come antipasto o secondo, o anche come piatto unico, specialmente se arricchito di altri ingredienti. In Basilicata, l'acquasale viene anche preparato con l'aggiunta di peperoni cruschi scottati in olio bollente e/o salame al posto del pomodoro.
ACQUERELLO
calamaretti,
vongole,
maionese,
nero di seppia,
prezzemolo,
passata di pomodoro.
Confezionare la maionese in modo tradizionale. Una volta pronta diluirla con l'acqua fino a farle ottenere una consistenza oleosa che le doni leggerezza. Conservare una parte della maionese al naturale e colorarne il resto, metà con il nero di seppia e metà con la clorofilla di prezzemolo o eventualmente con un po' di pesto. Realizzare una passata di pomodoro. Prendere un piatto quadrato e cospargete il suo fondo con la maionese naturale, poi sparpagliare sopra dei calamaretti bolliti e delle vongole sgusciate, quindi sgocciolare sopra a turno la maionese alla clorofilla, la salsa al nero di seppia e quella al pomodoro.
ARANCINI SICILIANI

1 Kg riso
100 gr. burro
30 gr. di sale
2 bustine di zafferano
Ingredienti per il ragù:
1 cipolla
1 carota
1 gambo di sedano
2 foglie d'alloro
un pizzico di chiodi di garofano in polvere
gr. 250 tritato suino
gr. 250 tritato bovino,
gr.250 di caciocavallo grattugiato.
mezzo bicchiere di vino bianco
2 cucchiai di concentrato di pomodoro
200 gr di piselli
sale,
pepe
Mettere gli ingredienti per il riso in una capiente pentola, possibilmente antiaderente, partendo da freddo e lasciare cuocere, a fuoco medio e senza mai mescolare, fintanto che il riso non avrà assorbito tutta l'acqua (impiegherà circa 40 minuti), quindi rovesciare il contenuto della pentola in una teglia (placca) o altro largo contenitore per farlo raffreddare. In un tegame largo, mettere la cipolla, la carota e il gambo di sedano tritati finemente con un filo d'olio (e.v.o.) fare andare a fuoco lento dopo qualche minuto versare la carne suina e la carne bovina e farla rosolare, quando la carne sarà rosolata, alzare la fiamma, sfumare col vino bianco e fare evaporare,aggiungere l'alloro e la polvere dei chiodi di garofano quindi i piselli ed il concentrato di pomodoro sciolto in un bicchiere d'acqua tiepida, aggiungere altri due bicchieri d'acqua aggiustare di sale e di pepe e fare cuocere a fuoco lento per circa un ora e mezza, se vediamo che asciuga troppo aggiungere dell'acqua calda. Finita la cottura fare raffreddare, togliere le foglie d'alloro e quando tutto sarà tiepido aggiungere il caciocavallo mescolando . Andiamo, ora, ad assemblare gli arancini: prendiamo sul palmo della mano una manciata di riso e formiamo una palla, grande quanto un'arancia, apriamo poi questa palla appena formata e la riempiamo con una bella polpetta del ragù che abbiamo preparato e che deve essere piuttosto asciutto, se dovesse essere troppo liquido lo aggiustiamo con un po di farina 00 ,richiudiamo a questo punto l'arancina compattandolo bene,per fare questa operazione è meglio tenere le mani ben umide. L'arancino così formato va poi passato in una pastella leggera (lega), fatta da acqua e farina, piuttosto liquida e poi nel pangrattato. Siamo così pronti per la frittura, che va fatta usando un tegame con abbondante olio di semi, appena l'olio sarà ben caldo immergervi uno o più arancini in modo che vengano completamente sommersi dall'olio, farli imbiondire ed appena avranno assunto quel bel colore dorato tirarli fuori e farli intiepidire su della carta assorbente.
L'arancino (in siciliano arancinu o arancina) è una specialità della cucina siciliana. Come tale, è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF) con il nome di "arancini di riso". Si tratta di una palla o di un cono di riso impanato e fritto, del diametro di 8-10 cm, farcito generalmente con ragù, piselli e caciocavallo, oppure dadini di prosciutto cotto e mozzarella. Il nome deriva dalla forma originale e dal colore dorato tipico, che ricordano un'arancia, ma va detto che nella Sicilia orientale gli arancini hanno più spesso una forma conica.
Etimologia
Nella parte occidentale dell'isola questa specialità è conosciuta come "arancina", mentre nella parte orientale è chiamata "arancino". Secondo lo scrittore Gaetano Basile la pietanza dovrebbe essere indicata al femminile, in quanto il nome deriverebbe dal frutto dell'arancio, l'arancia appunto, che in lingua italiana è al femminile. Tuttavia in siciliano la declinazione al femminile dei frutti non è frequente quanto in italiano, e nel caso specifico l'arancia viene detta arànciu. Pertanto in siciliano il nome di questa pietanza è originariamente al maschile (arancinu), come testimoniato dal Dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biundi, che nel 1857, al lemma arancinu, scrive: "[...] dicesi fra noi [in Sicilia] una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia". Il termine della lingua italiana arancino deriverebbe dal siciliano arancinu.
Storia
Le origini dell'arancino sono molto discusse. Essendo un prodotto popolare risulta difficile trovare un riferimento di qualche tipo su fonti storiche che possano chiarire con esattezza quali le origini e quali i processi che hanno portato al prodotto odierno con tutte le sue varianti. In assenza di fonti specifiche, quindi, alcuni autori si sono cimentati nell'immaginarne le origini a partire dall'analisi degli ingredienti che costituiscono la pietanza. Così, per via della presenza costante dello zafferano, se ne è supposta una origine alto-medioevale, in particolare legato al periodo della dominazione musulmana, epoca in cui sarebbe stato introdotto nell'isola l'usanza di consumare riso e zafferano condito con erbe e carne. L'invenzione della panatura nella tradizione a sua volta viene spesso fatta risalire alla corte di Federico II di Svevia, quando si cercava un modo per recare con sé la pietanza in viaggi e battute di caccia. La panatura croccante, infatti, avrebbe assicurato un'ottima conservazione del riso e del condimento, oltre ad una migliore trasportabilità. Si è supposto che, inizialmente, l'arancino si sia caratterizzato come cibo da asporto, possibilmente anche per il lavoro in campagna. Non mancano piuttosto le fonti relative al termine, arancinu, la cui più antica pare essere il Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino di Michele Pasqualino edito a Palermo nel 1785, in cui è riportato alla voce corrispondente "del colore della melarancia, rancio, croceus". Curiosamente, poco oltre il Pasqualino riporta che il termine arancia era riferito all'albero di citrus × aurantium, mentre aranciu al suo frutto, contrariamente a come avviene nella lingua italiana. Da questa edizione fino alla metà del XIX secolo il lemma arancinu indicava prevalentemente un tipo di colore. La prima documentazione scritta che parli esplicitamente dell'arancinu in qualità di pietanza è il Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi, il quale testimonia la presenza di "una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia". Questo dato può indurre a credere che l'arancino nascesse come dolce, presumibilmente durante le festività in onore di santa Lucia, e solo in seguito divenisse una pietanza salata. In effetti pare che i primi acquisti di uno degli elementi tipici costituenti l'arancino salato, il pomodoro, siano datati al 1852, cinque anni prima l'edizione del Biundi: la diffusione di tale ortaggio e il suo uso massiccio nella gastronomia siciliana si deve ipotizzare sia successiva a tale data e - verosimilmente - nel 1857 non era ancora divenuto parte dell'arancino. L'assenza di riferimenti precedenti al Biundi potrebbe in realtà essere indice di una relativa "modernità" del prodotto, certamente comunque nella sua versione salata. Sulla origine della versione dolce pure permangono notevoli dubbi: l'accostamento con santa Lucia e i prodotti tipici legati ai suoi festeggiamenti apre diverse possibilità di interpretazione. A Siracusa, secondo la tradizione, nel 1646 approdò una nave carica di grano che pose fine ad una grave carestia, evento ricordato con la creazione della cuccìa, un prodotto a base di chicchi di grano non macinato, miele e ricotta. Non è impensabile quindi che i primi arancini dolci siano una versione da trasporto della stessa cuccìa. In merito al legame tra i due prodotti e i festeggiamenti luciani, ancora oggi il 13 dicembre di ogni anno, è tradizione palermitana quanto trapanese, festeggiare il giorno di santa Lucia, in cui ci si astiene dal consumare cibi a base di farina, mangiando arancini (di ogni tipo, forma e dimensione) e cuccìa. In merito alla diffusione di questo prodotto nel mondo, si possono rintracciarne le origini nel fenomeno della emigrazione di siciliani all'estero, almeno nella sua fase iniziale, che fondarono rosticcerie nei luoghi in cui si stabilirono portando con sé i prodotti regionali. Un secondo fenomeno è dovuto alla creazione di rosticcerie di qualità in Italia e all'estero da parte di cuochi affermati e imprenditori siciliani.
Nella cultura di massa
L'arancino è considerato dai siciliani il prodotto di rosticceria più caratteristico della propria regione e quasi tutte le grandi città ne rivendicano la paternità. Questo atteggiamento fortemente campanilistico ha spesso acceso discussioni che oggi si sono diffuse a livello popolare anche grazie ai canali virtuali di discussione sociale, come blog, forum e altre forme di social network. In particolare nel comprensorio catanese si sostiene che la forma a cono si debba ad una ispirazione data dall'Etna: infatti tagliandone la punta esce dall'arancino il vapore che ricorderebbe il fumo del vulcano, mentre la superficie croccante della panatura e il rosso del contenuto ne rievocherebbero la lava nei suoi due stadi, calda e fredda. Sempre nel catanese, la forma a palla del prodotto ha generato un accostamento con le persone corpulente, definite con tono di scherno arancinu che' peri (arancino con i piedi, ossia arancino che cammina), per indicare una persona particolarmente rotonda. Nella letteratura appaiono diversi riferimenti a questo prodotto gastronomico. Il personaggio dei romanzi di Andrea Camilleri - il commissario Montalbano, nella finzione letteraria noto estimatore di questo piatto - è forse il più popolare tra essi e uno dei racconti dell'autore siciliano è persino intitolato Gli arancini di Montalbano e quasi per intero dedicato alla passione del commissario per tale pietanza.
Tipologie
Gli arancini più diffusi in Sicilia sono quello al ragù di carne (per praticità, un sostituto dell'originale sugo), quello al burro (con mozzarella, prosciutto e, a volte, besciamella) e quello agli spinaci (condito anch'esso con mozzarella). Inoltre, nel catanese sono diffusi anche l'arancino "alla norma" (con melanzane, detto anche "alla catanese") e quello al pistacchio di Bronte. La versatilità dell'arancino è stata sfruttata per diverse sperimentazioni. Esistono infatti ricette dell'arancino che prevedono, oltre ovviamente al riso, l'utilizzo di funghi, salsiccia, gorgonzola, salmone, pollo, pesce spada, frutti di mare, pesto, gamberetti nonché del nero di seppia (l'inchiostro). Ne esistono varianti dolci: gli arancini vengono preparate con il cacao e coperti di zucchero (vengono preparate solitamente per la festa di santa Lucia); ce n'è alla crema gianduia (soprattutto nella zona di Palermo) e al cioccolato, nonché all'amarena. Per facilitare la distinzione tra i vari gusti, la forma dell'arancino può variare.
BACIOCCA
Patate 800 g
Lardo quanto basta
Cipolle 2
Sale quanto basta
Parmigiano reggiano 80 g
Uova 2
Pasta sfoglia 1
Sbucciate le patate e tagliatele a fettine sottili. Ponetele in una ciotola, aggiungete acqua e sale e lasciatele riposare. Ponete il lardo in una padella e fatelo sciogliere, aggiungete le cipolle tagliate a fettine sottili e lasciate rosolare qualche minuto. Unite le patate, fatele rosolare, sfumate leggermente con un mestolo di acqua e lasciate cuocere con un coperchio. Mettete le uova in una ciotola, aggiungete parmigiano reggiano, sale, pepe e mescolate. Aggiungete le patate all'interno del composto. Versate il composto all'interno di un rotolo di pasta sfoglia steso in un tegame ricoperto di carta da forno e livellate la superficie con una forchetta. Girate i bordi all'interno. Cuocete in forno a 180°C per 40 minuti. Portate in tavola.
BARCHETTE DI INDIVIA AI FORMAGGI
Caprino 150 grErba cipollina tritata 2 cucchiai
Gorgonzola 150 gr
Noci gherigli tritati 30 gr
Panna (fresca o da cucina) 1 cucchiaio
Pepe macinato 1 pizzico
Philadelphia (o altro formaggio cremoso) 180 gr
Scarola (indivia) belga 12 foglie
Speck 30 gr
Separate 12 foglie di indivia belga facendo attenzione a non romperle; lavatele e asciugatele bene. Preparate ora i 3 ripieni.
Primo ripieno: tritate finemente le fette di speck e unitele, in una ciotola, con il caprino amalgamando il tutto.
Secondo ripieno: in una ciotola mettete il Philadelphia, 2 cucchiai di erba cipollina tritata, il pepe macinato e amalgamate bene.
Terzo ripieno: in una ciotola amalgamate il gorgonzola con la panna (potete servirvi anche di un mixer) e unite quindi le noci tritate grossolanamente.
Prendete ora le 12 foglie di indivia belga e, con l’aiuto di un cucchiaino, riempitele con i vari ripieni: disponete sopra ognuno dei 4 piatti da portata 3 barchette con ripieni diversi, quindi servite.
CAPPESANTE IN SALSINA
8 cappesante
60 gr di burro
2 cucchiai di olio
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
1 acciuga sott'olio
Mezzo cucchiaino di brandy
2 spicchi d'aglio
Preparate la salsina: in una casseruola mettete metà burro, l’olio, il prezzemolo tritato, l’acciuga sciolta, il brandy, un po’ di pepe macinato e di aglio schiacciato. Aprite le conchiglie, estraete i molluschi (noci) e le uova (coralli): lavateli più volte sotto l’acqua corrente, separateli, eliminate la fine membrana e asciugateli. Lavate bene le conchiglie e asciugatele. Imburrate le conchiglie e distribuitevi noci e coralli, ben sistemati. Fate sciogliere il rimanente burro in una piccola casseruola e con esso spennellate i molluschi. Mettete le conchiglie in forno già caldo (250°) per 5 minuti. Intanto mettete sul fuoco la casseruola con gli ingredienti per la salsina. Fate scaldare e mescolate in continuazione. Togliete le conchiglie dal forno e versate in ognuna un po’ di salsina. Infornate ancora per qualche minuto e servite.
Fettine di carne rossa sottilissima,
scaglie di formaggio grana
limone,
sale,
pepe,
olio,
Con carpaccio si intende genericamente un piatto a base di fettine di carne o pesce crudi o semi-crudi a cui vengono aggiunti limone, sale, pepe, olio e scaglie di formaggio grana o altri ingredienti a seconda della versione.
Nella cucina piemontese esiste un piatto tradizionale molto simile, la carne cruda all'Albese, che consiste di carne cruda di manzo arricchita di una marinatura di succo di limone, olio di oliva, scaglie di parmigiano o tartufo bianco. Sempre nella tradizione piemontese, troviamo anche il carpaccio fatto con carne tritata (battuta al coltello) e aglio la cosiddetta "carne cruda". Questo nome si deve a Giuseppe Cipriani, che in un giorno del 1950 preparò il piatto appositamente per un'amica, la contessa Amalia Nani Mocenigo, quando seppe che i medici le avevano vietato la carne cotta. Il nome venne dato in onore del pittore Vittore Carpaccio, poiché a Cipriani il colore della carne cruda ricordava i colori intensi dei quadri del pittore ed in quel periodo si teneva una mostra a lui dedicata. Più precisamente il carpaccio che propose Cipriani consisteva in fettine sottilissime di controfiletto di manzo disposte su un piatto e decorate alla Kandinsky, con una salsa che viene chiamata universale. Trattandosi di un piatto da servire crudo, la carne deve sempre essere freschissima e mai decongelata.
CAVIALE DI ZUCCHINE CON CREMA DI GORGONZOLA
Zucchine 300 g
Gorgonzola dolce 100 g
Stracchino 50 g
Scalogno 10 g
Basilico 3 g
Timo 1 g
Olio extravergine di oliva 20 g
Sale 2 g
Pepe 0,1 g
Pomodori ciliegini 2
Tagliate il gorgonzola grossolanamente. Trasferitelo nel bicchiere del mixer insieme al formaggio cremoso e regolate di sale e pepe. Frullate per ottenere una crema liscia e omogenea, quindi passate alla preparazione del caviale: tagliate le zucchine a rondelle sottili e tritate lo scalogno. In una padella antiaderente scaldate l'olio e aggiungete lo scalogno. Lasciatelo stufare dolcemente per 5 minuti, poi unite le zucchine e il timo. Regolate di sale e pepe e continuate a cuocere a fuoco dolce per almeno 10 minuti. Poi spegnete il fuoco e fate raffreddare. Trasferite poi le zucchine cotte nel mixer e frullatele grossolanamente. Trasferite il caviale di zucchine così ottenuto in una ciotola e profumatelo con il basilico. Ponete a questo punto separatamente la crema di gorgonzola e il caviale di zucchine in 2 sac-à-poche. Riempite per metà i bicchierini con circa 60 g di caviale di zucchine e poi per ancora un quarto con circa 30 g di crema di gorgonzola. Decorate i bicchierini con il timo, il basilico e i pomodorini: il vostro caviale di zucchine con crema di gorgonzola è pronto per essere servito.
CILINDRETTI CON CREMA AL SALMONE
pan carrèsalmone
ricotta
brandy
semi di sesamo
burro
sale
pepe
olio
Spezzettare il salmone e metterlo nel contenitore assieme alla ricotta. Frullarlo con il mixer ad immersione ed aggiungere olio, sale e pepe qb e un goccio di brandy. Tagliare il pancarré con la formina e dentro la formina stessa (che deve essere un pò alta) stendere la crema di salmone. Coprire con un altro disco di pancarré. Arrotolare il cilindretto nei semi e spalmare sopra del burro morbidissimo. Infornare giusto il tempo di dorare il sopra.
COPPETTE DI GAMBERI LIGURI
3 o 4 gamberi per persona,
1 tazza di maionese,
1 cucchiaio di ketchup
1 cucchiaio di Worcester,
tabasco,
1 bicchierino di brandy,
limone,
1 cuore di lattuga,
1 manciata di capperi salati,
1 cetriolino sotto aceto a persona,
sale
pepe.
Bollire i gamberi e tagliarli a fettine, conservarne 1 intero per coppa, amalgamare le salse insieme ed aggiungervi i capperi ed i cetriolini tagliati a dadini. Mettere sul fondo di ogni coppa 1 foglia di lattuga, versarvi il cocktail ottenuto e guarnire ogni porzione con un gambero intero. Conservare in frigo e servire le coppe ben fredde o addirittura su uno strato di ghiaccio.
FALAFEL
Fave secche 500 g
Acqua 35 g
Farina 00 20 g
Prezzemolo 10 g
Cipolle 1
Aglio 1 spicchio
Sale fino 5 g
Cardamomo 2 g
Bicarbonato 2 g
Cumino 1 g
Pepe nero q.b.
Olio di semi di arachide q.b.
Per preparare i falafel di fave mettete le fave in una ciotola con acqua fredda e lasciatele in ammollo per una notte. Il giorno dopo scolatele in un colino e asciugatele con un canovaccio. Ponete le fave in un mixer, aggiungete lo spicchio di aglio la cipolla tagliata a fette grossolane e il prezzemolo, frullate le fave con gli aromi fino ad ottenere un composto omogeneo e ben compatto. Sciogliete il bicarbonato nell’acqua e aggiungete anche questa al composto. Aromatizzate il composto con il mix di spezie preparato con cumino e cardamomo. Per ultima unite la farina e frullate ancora per qualche istante. Dovrete ottenere un composto non troppo liscio, ma granuloso. Scaldate l’olio e portatelo alla temperatura massima di 180° (se preferite potete friggere i falafel anche nella friggitrice). Si sconsiglia la cottura in forno perchè non avendo panatura i falafel rischiano di seccarsi. Con un cucchiaino prendete l’impasto, tirate indietro la levetta presente sull’apposito attrezzo da falafel (se non disponete dell’attrezzo potete formare delle polpettine leggermente schiacciate formando dei dischi); riempite la conca fino a formare una cupoletta pressando bene con il cucchiaino (ogni felafel pesa 30 gr circa) Lasciate la levetta e versate il falafel direttamente nell’olio caldo, rigirate i falafel di tanto in tanto e toglieteli quando saranno dorati. Scolateli su un foglio di carta assorbente e salateli leggermente, se preferite. Serviteli i vostri falafel di fave caldi!
FARINATA DI ZUCCA
200 g farina di grano tenero30 ml olio extravergine d’oliva
sale
100 ml acqua
800 g zucca pulita
100 g parmigiano
origano
Grattugiate la zucca e ponetela per qualche ora in uno scolapasta con un peso sopra per farle perdere più acqua possibile. Impastate la farina con l’acqua, il sale e l’olio per ottenere un impasto morbido da lasciare coperto in un luogo tiepido per mezz’ora circa. Nel frattempo, scaldate il forno a 200°C. Stendete la pasta e disponetela in una teglia di circa 26 cm di diametro unta con olio in modo che fuoriesca leggermente dai bordi. Impastate la zucca grattugiata con il parmigiano e versatela sulla sfoglia, livellandola con la forchetta. Richiudete all’interno il brodo di pasta in eccesso sulla farcitura e cospargete di origano, quindi cuocete in forno ventilato per 30 minuti a 200°C. Servite la farinata di zucca tiepida.
La farinata di zucca è una preparazione storica culinaria a base di sfoglia di farina di grano e ripieno di zucca, presente da tempo nella cucina genovese, è normalmente venduta in ambito tradizionale in negozi “di pronto consumo” tipici, detti “Fainotti”, spesso assieme ad altri tipi di torte e della tipica farinata di ceci; la farinata di zucca si ritiene originata nel quartiere genovese di Sestri Ponente, e si è propagata in esercizi nel ponente cittadino, come a Pegli, Pra' e Voltri, ma anche nel centro storico e nei territori suburbani di Genova e in molti borghi costieri della Liguria.
Si chiama farinata ma è una torta: è un prodotto da forno analogo alla torta di bietole, una pasta ripiena di una miscela di zucca grattugiata, una piccola quantità di semola di grano oppure farina di mais (polenta), solo se la zucca è eccessivamente acquosa, parmigiano grattugiato, aromi come (origano ed a volte pinoli) e sale.
Il contenuto nutrizionale è alquanto basso, essendo largamente diluito dalla zucca. È saporita, ed ha una delicata miscela di dolce salato; ha un modesto potere di indurre sazietà durevole, essendo poco calorica, il dolce infatti è recato dal fruttosio della zucca, che è assimilato molto rapidamente.
Il prodotto base è la zucca. È assolutamente necessario un tipo particolare di zucca dolce e saporita, a buccia colore nocciola - arancione, ed a polpa arancione, di forma tonda, compressa (più larga che alta), costoluta.
Tagliare la zucca a dadini e farla stufare finché sia diventata molle e l'acqua si sia asciugata e poi passare al passaverdure ottenendo un puré di zucca, che si può cuocere direttamente come per la farinata di ceci oppure come al solito nella pasta.
FONDUTA VALDOSTANA
Pepe bianco una spolverata
Per la sua preparazione viene usato un formaggio a pasta dura che viene fuso all'interno di una pentola apposita, detta caquelon, per essere mangiato caldo. A tavola deve essere servita nel caquelon (che è una sorta di casseruola, in ghisa, terracotta o porcellana) nella quale ogni commensale intinge il suo pezzo di pane grazie all'ausilio di una forchetta particolare. Il caquelon è posizionato al di sopra di un supporto metallico (generalmente in ferro battuto), alla base del quale si trova una fonte di calore (solitamente una candela o un fornelletto ad alcool) che mantiene la fonduta alla temperatura desiderata per tutta la durata del pasto.
La fonduta o fondue è uno dei piatti nazionali e tipici della Svizzera, ma radicato anche in Italia (Valle d'Aosta e Piemonte) e Francia (Savoia).
Per degustare la fonduta, ogni commensale ha a disposizione una forchetta da fonduta di forma allungata con cui s'infilza un pezzo di pane (più raramente una patata) che va immerso nel formaggio fuso presente all'interno della casseruola. Una volta immerso il pane, s'imprime alla forchetta un movimento rotatorio continuo cercando di non far fuoriuscire il formaggio al di fuori del caquelon; quando si ritiene che il pane abbia raggiunto una temperatura ideale, si può estrarre dal formaggio fuso e gustarlo apprezzandone il sapore.
Generalmente, nelle zone d'origine, è possibile acquistare dei mix di formaggi adatti per preparare una fonduta molto gustosa in quanto, per chi non è specialista, non è facile preparare un mix bilanciato di formaggi.
Il termine "fondue" nella lingua francese non indica solamente il piatto a base di formaggio, bensì un'altra specialità della cucina transalpina molto apprezzata anche in Italia: la fondue bourguignonne. Questo piatto consiste nel cuocere dei bocconi di carne (generalmente filetto di manzo, ma anche vitello, pollo o maiale) dentro una pentola tipo il caquelon colma d'olio. Esiste anche la fonduta al cioccolato, ove viene fatta fondere della cioccolata nel caquelon. Basta comunque un po' di fantasia per poter creare nuove ricette con qualsiasi tipo di alimento (carne, pesce, frutta...).
Pellegrino Artusi la definì cacimperio nel suo libro di cucina La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene.
Una tecnica molto diffusa è quella di "ungere" il caquelon con dell'aglio prima di metterci gli ingredienti, per esaltarne il gusto. A volte si preferisce ricoprire il fondo di pezzetti di aglio tagliato. Prima di mangiare il pane, farlo girare nel formaggio fuso imprimendogli un movimento ad otto, al fine di far conservare al formaggio la giusta consistenza.
Variante del precedente: alternare patate e bocconi di pane per degustare la fonduta al vacherin (o fondue fribourgeoise). Il pane, più solido, sarà immerso nella fonduta secondo la tecnica predetta (per le ragioni precitate), mentre la patata, essendo più friabile, verrà semplicemente immersa nel formaggio fuso.
Un trucco molto usato: inzuppare il pane nel kirsch prima di passarlo nel formaggio, tuttavia se il kirsch è già aggiunto nel composto questo trucco rischia di rovinare il sapore della fondue.
Una pratica utilizzata soventemente: rompere un uovo (o solamente il tuorlo) nella fonduta, quando sta per terminare e consumare il composto ottenuto.
Utilizzare del pane leggermente raffermo, permette di essere meno pesante rispetto al caso in cui il pane sia fresco, in quanto contiene troppa aria rischiando di provocare un senso di sazietà troppo prematuro.
Ponendo un disco d'alluminio tra la fonte di calore e il caquelon permette d'evitare la formazione di una crosta al composto. Infatti questa pratica scongiura lo svilupparsi di un calore eccessivo. Non è più un consiglio, ma una necessità, se il caquelon è in terra cotta, che rischia di sviluppare un calore eccessivo nelle vicinanze della fiamma. Anche se un vero amatore della fonduta adora grattare il fondo della padella con la forchetta per raccogliere la crosta.
Esistono diverse varianti di questa specialità culinaria.
Fondute svizzere al formaggio
Fondue moitié-moitié (fonduta mezzo e mezzo): tipica del cantone e della regione di Friborgo. I due formaggi sono i caratteristici Gruyère (groviera) e il vacherin fribourgeois, di solito in percentuali di 50% ciascuno.
Fondue Vaudoise: 100 % Gruyère
Fondue fribourgeoise o fondue tiède (fonduta tiepida): ove viene utilizzato il formaggio vacherin fribourgeois
Fondue Appenzeller: formaggio appenzeller
Fondue au fromage de chèvre: formaggio di capra
Fondue de Suisse centrale: tipica delle zone della svizzera tedesca centrale, con 1/3 Gruyère, 1/3 Emmental et 1/3 Sbrinz
Fondue neuchâteloise (fonduta di Neuchâtel): groviera, emmentaler, anche in questo caso in percentuali di 50% ciascuno.
Fondue épicée (fonduta speziata): groviera, peperone, peperoncino
Fondue aux champignons: groviera, vacherin fribourgeois, funghi
Fondue à la tomate : groviera, emmentaler, pomodoro
Fondue Savoyarde: 1/3 Emmental, 1/3 Beaufort et 1/3 Comté
Fondue ticinese, o Leventinese: tipica del sud delle alpi svizzere, oltre a Gruyère al 50%, gli altri formaggi sono in misura mista Gottardo, Bedretto o altri della val Leventina.
Fonduta valdostana (Fondue valdôtaine)
Fondute francesi al formaggio
Fondue savoyarde: beaufort, comté, emmentaler
Fondue jurassienne: comté stagionato, comté
Fondue normande: camembert, pont-l'évêque, livarot, panna, latte, Calvados, scalogno
Fondue bourguignonne: bocconi di carne cotti nell'olio bollente (Svizzera)
Fondue chinoise: sottili fette di manzo, cavallo o vitello e verdure cotti nel brodo. Se si aggiungono anche pesci e frutti di mare, si ottiene una Fonduta mongola
Fonduta Bacchus: bocconi di carne di manzo cotti nel vino rosso e verdure
Fonduta bressane: bocconi di carne di pollo (eventualmente panati) cotti nell'olio di cocco
Fonduta al cioccolato: pezzi di frutta ricoperti di cioccolato fuso
FRITTOMISTO DI VERDURE E FORMAGGI
Verdure miste
Formaggio
uova
pane grattato
Il fritto misto di verdure è un piatto invitante e genuino preparato con diverse verdure, passate in pastella e fritte, abbinate a sfiziosi bocconcini di formaggio impanati. Può essere un gustoso antipasto, un contorno appetitoso oppure un secondo piatto sostanzioso che incontrerà anche i gusti dei palati più difficili. A seconda della stagione potrete utilizzare diverse verdure: dal carciofo al cavolo, dalle zucchine alle melanzane. Un nuovo modo per far mangiare le verdure ai vostri bambini.
FUNGHI E UOVA STRAPAZZATE100 gr di funghi,
1 spicchio d’aglio,
20 ml di vino bianco,
sale,
olio di oliva,
2 cucchiaini di prezzemolo tritato,
1 uovo,
latte q.b.
Pulisci e lava bene i funghi, tagliali a fettine e quindi mettili in una padella a cuocere a fuooco medio con un cucchiaio di olio. Unisci lo spicchio d’aglio tagliato a fettine, un po’ di sale e il vino bianco e termina la cottura facendo evaporare tutto il liquido. In un piatto fondo sbatti l’uovo, aggiungi un po’ di latte e sala il composto, quindi versalo nella padella in cui si trovano i funghi e cuoci il tutto fino a far raddensare leggermente le uova. Una volta raffreddati gli ingredienti, collocali sulle fettine di pane e cospargi i pinchos con il prezzemolo tritato.
FUNGHI SOTTOLIO
olio,
aceto,
chiodi di garofano,
cannella,
pepe,
noce moscata,
sale,
aglio,
rosmarino
timo.
Si porta a ebollizione l'aceto, l'olio e il sale e si pongono i funghi. Dopo 4-5 minuti si aggiungono le droghe e si continua l'ebollizione per 20 minuti. Si ritirano dal fuoco e si lasciano raffreddare nella pentola. I funghi si pongono quindi in un vaso e per la conservazione si utilizza lo stesso liquido di cottura che dovrà coprirli.
Molti sono i metodi di conservazione del fungo: essiccato, sotto sale, sott'olio. In un manoscritto anonimo ritrovato negli archivi del comune di Sassello, intitolato Cuoco di casa e datato luglio 1894, tra le ricette per conserve viene riportata quella relativa ai Funghi in addobbo di piatti importanti. Questa ricetta viene praticata a Sassello dai più attenti cultori delle conserve di funghi. La produzione si può trovare in quasi tutte le valli dell'entroterra ligure che hanno una specifica tradizione nella raccolta e conservazione dei funghi spontanei.
Oggi il metodo principe è quello sott’olio. Per conservarli sott’olio si scelgono esemplari giovani e freschi non parassitizzati, si puliscono, si lavano e si asciugano. Si prepara un liquido composto da vino bianco secco e aceto bianco forte. Si fanno bollire nella pentola, aggiungendo sale e aromi. La cottura deve avvenire in circa 15 minuti, controllando la consistenza. Una volta cotti, i funghi si distendono sul tavolo di lavorazione, si asciugano e si sgocciolano. Quindi si dispongono interi o tagliati nei vasi di vetro, di varie dimensioni, con olio extra vergine di oliva.
GACHAMIGA
acqua,
olio d'oliva
sale
patate,
aglio,
pancetta,
chorizo,
salsiccia,
peperoncino
La gachamiga è un piatto della cucina spagnola preparato mescolando farina, acqua, olio d'oliva e sale. A seconda delle zone e dei gusti possono essere aggiunte nell'impasto o come accompagnamento patate, aglio, pancetta, chorizo, salsiccia, peperoncino o altro.
È un piatto comune nel sud-est della Spagna, in particolare nella Comunità Valenzana (province di Alicante e Valencia), nella regione di Murcia, di Castiglia-La Mancia (provincia di Albacete) e dell'Andalusia (province di Granada, Almería e Jaén).
GOUGÈRE
100 g Burro
3 Uova
150 g Formaggio gruyere
q.b. Sale
1 cucchiaio Mandorle a filetti
Imburrate e infarinate leggermente una teglia. Grattugiate 70 g di formaggio gruyère e dividete a dadini quello rimasto. Mettete in una casseruola 3 dl d'acqua, il burro e un pizzico di sale; ponetela sul fuoco e portate a ebollizione. Quando l'acqua alza il bollore, gettatevi in un sol colpo tutta la farina. Togliete la casseruola dal fuoco e lavorate energicamente l'impasto con un cucchiaio di legno. Mettete di nuovo la casseruola sul fuoco e lavorate ancora per qualche minuto l'impasto, finché si staccherà sia dalle pareti sia dal fondo del recipiente formando una palla e sfrigolando come se friggesse. Togliete dal fuoco, versate l'impasto in una terrina e lasciate intiepidire. Incorporate le uova intere, un uovo alla volta, facendo attenzione a non aggiungere il successivo finché il precedente non sia stato completamente assorbito dall'impasto. Aggiungete poi sia il gruyère grattugiato sia quello tagliato a dadini (tenete da parte 1 cucchiaio di questi ultimi per la finitura) e amalgamateli bene, mescolando delicatamente con un cucchiaio di legno. Mettete il composto in una tasca da pasticceria e formate una ciambella sopra la teglia. Spennellatela con l'uovo leggermente battuto con una forchetta e cospargetela con i filetti di mandorle e i dadini di formaggio tenuti da parte. Passate la teglia in forno a 180 °C e fate cuocere la ciambella per 20-30 minuti circa, finché sarà ben gonfia e dorata. Servitela tiepida.
Un gougère nella cucina francese, è una pasta choux al forno salata ed impastata con il formaggio. I formaggi comunemente utilizzati sono il groviera, il comté o l'emmental, ma esistono numerose varianti in cui vengono utilizzati altri formaggi o altri ingredienti. Si dice che le origine dei gougères vadano cercate in Borgogna, e specificatamente a Sens. In Borgogna, i gougères vengono solitamente serviti freddi come accompagnamento per la degustazione del vino nelle cantine o caldi come antipasto o come contorni. I gougères possono essere realizzati nella forma di piccoli pasticcini di 3 o 4 centimetri di diametro; i gougères da aperitivo invece in dimensioni di 10 o 12 centimetri 10–12. A volte possono essere ripieni di ingredienti, come funghi, prosciutto o manzo.
INSALATA DI FARRO ORZO E FRUTTI DI MARE
150 g. di farro
300 g. circa di molluschi puliti (a piacere)
500 g. di cozze e/o vongole
8 gamberetti (opzionali)
olio d’oliva extra vergine q.b.
1 limone
2 foglie di alloro
prezzemolo tritato q.b.
sale
pepe macinato o pestato al momento q.b.
Fate cuocere il farro e l’orzo in due pentole diverse in acqua leggermente salata per circa una mezzoretta (ma controllate alla fine, i tempi dipendono molto dal particolare tipo di prodotto usato). Fate intiepidire nella loro acqua fino al momento di servire. Nel frattempo fate aprire le cozze e/o le vongole, eliminate parte dei gusci e conservate il liquido prodotto nella cottura filtrandolo. Lessate i molluschi, dopo averli tagliati a listelle, in acqua bollente salata aromatizzata dall’alloro e dal succo di limone. A fine cottura scottate anche i gamberetti in tale acqua, se li usate. Riunite i cereali tiepidi in una capace ciotola, aggiungete i frutti di mare, tiepidi anche loro, e condite con olio d’oliva extra vergine e un po’ di acqua di cottura delle cozze/vongole (da usare al posto del sale). I gamberetti potete lasciarli da parte e metterli sopra come decorazione,assieme ad alcune cozze e/o vongole con i gusci. Spolverate con il prezzemolo tritato e servite. Se vi piace potete aggiungere uno spicchio di aglio al prezzemolo.
INSALATA DI RISO
Olive nere denocciolate 80 gr
Pomodori 150 g
Groviera 150 g
Erba cipollina 6 g
Wurstel 100 g
Peperoni 150 g
Riso basmati 300 gr
Cetrioli sott'aceto 80 gr
Piselli sgranati 80 gr (freschi o surgelati)
Tonno in scatola 200 gr
Uova sode 4
Lavate i peperoni, eliminate il picciolo, i semi e i filamenti interni, tagliateli prima a listarelle e poi a cubetti e poneteli in una ciotola capiente dove raccoglierete tutti gli altri ingredienti. Lavate e tagliate a metà anche i pomodori, scavate la polpa con un cucchiaino e tagliateli a cubetti. Ricavate dei cubetti anche dal groviera. Tagliate i wurstel a rondelle, procedete nello stesso modo anche con le olive denocciolate. Tritate l’erba cipollina che servirà per aromatizzare l’insalata. Per finire tagliate a rondelle anche i cetriolini sott'aceto unite anche questi al resto degli ingredienti. Ora che il condimento è pronto occupatevi del riso: in una pentola mettete a bollire dell'acqua salata, versate il riso e dopo circa 10 minuti di cottura unite anche i piselli sgranati che devono cuocere rimanendo comunque croccanti, proseguite la cottura per altri 5 minuti. Una volta cotto, scolate il riso insieme ai piselli. Unite quindi il riso al condimento precedentemente preparato. Scolate dall’olio di conservazione il tonno e unitelo al riso, per terminare aromatizzate con l'erba cipollina tritata. Mescolate per amalgamare gli ingredienti. Coprite la ciotola con la pellicola e conservate l’insalata in frigorifero in modo che il riso assorba tutti i sapori. Gustate la vostra insalata di riso classica fredda.
L'insalata di riso è un piatto della cucina italiana tipicamente estivo, costituito da riso e altri diversi ingredienti mescolati insieme, condito in maniera variabile.
Il riso utilizzato può essere riso normale, ma viene consigliato anche il riso parboiled, un riso a grana lunga o in alcuni casi anche il risone (un tipo di pasta). Gli ingredienti per il condimento, tagliati a pezzetti, possono essere verdure (cotte, crude o sottaceto), carne (ad es. wurstel o prosciutto), formaggio o altro ancora.
Per la preparazione dell'insalata di riso è consigliato passare il riso sotto l'acqua fredda una volta scolato (al dente) per evitare che diventi troppo colloso.
INVOLTINI CON BROCCOLETTI E QUARTIROLO
pasta fillo200g foglie di broccoletto lessate
150g quartirolo fresco
sale, pepe, olio
Tagliare la verdura e passarla in padella con un filo d'olio, sale e pepe in modo che si asciughi bene. Farla raffreddare e mescolarla con il quartirolo tagliato a cubetti.
Ritagliare la pasta fillo in 15 rettangoli di 12x38 cm.
Prendere in mano il primo rettangolo, spennellarlo di olio e disporre una parte di composto su un angolo dello stesso. Ripiegare su se stesso (ottenendo così un rettangolo di 6x38) e rispennellare di olio. Dando forma triangolare al composto infagottato, iniziare a ripiegare il triangolo su se stesso fino a terminare la pasta. Rispennellare di olio e disporre su una teglia ricoperta di carta da forno. Procedere nello stesso modo con i restanti ritagli di pasta. Cuocere a 180 gradi per 12-13 minuti o fino a doratura.
LIMONI RIPIENI DI CREMA AL TONNO
per la farcia160 gr tonno sott'olio sgocciolato
15 gr capperi sott'aceto
100 gr maionese
50 gr olive nere o verdi denocciolate
3 uova sode
4 limoni piuttosto grossi
1 cucchiaio erba cipollina tritata
2 cucchiai di succo di limone
Pepe macinato, Sale
per decorare
Erba cipollina qualche filo
1 tuorlo uovo sodo
I limoni ripieni di crema al tonno sono antipasti dall’aspetto e dalla presentazione davvero originale: la crema di tonno, viene infatti servita dentro ad un limone svuotato della polpa e cosparsa con del tuorlo d’uovo sodo sbriciolato. Mettete a rassodare le 4 uova, una volta raffreddate sgusciatele e tritatene solo 3. Nel frattempo prendete un limone, tagliate leggermente la base (quanto serve per farlo stare in piedi) e poi tagliate la parte opposta come per formare un cappello. Ponetevi su di un piano di lavoro e mettete sotto di voi una ciotolina che possa raccogliere il succo e la polpa del limone. Con un coltellino, tagliate la polpa per tutta la circonferenza interna del limone poi, con uno scavino, svuotate la polpa interna stando attenti a non bucare il fondo. Procedete in questo modo per tutti e 4 i limoni. In un’altra ciotola ponete la maionese, il tonno sgocciolato e sbriciolato, i capperi, le olive tritate, le uova tritate, l’erba cipollina e il pepe macinato; mischiate il tutto fino ad amalgamare bene gli ingredienti. Con la crema ottenuta, riempite i 4 limoni scavati. Disponete i limoni riempiti su di un piatto di portata; inserite mezzo tuorlo sodo in uno schiaccia aglio, premete e ricavate tanti piccoli vermicelli che utilizzerete per spolverizzate la sommità dei limoni. Fate la stessa cosa con l’altra metà del tuorlo. Servite i limoni spolverizzando il piatto di portata con i vermicelli di tuorlo sodo ed erba cipollina.
MELANZANE RIPIENE
700 grammi di melanzane liguri,
2 uova,
50 grammi di formaggio grana grattugiato,
40 grammi di mollica di pane,
20 grammi di funghi secchi,
uno spicchio d'aglio,
un bicchiere di latte,
origano quanto basta,
olio extravergine d'oliva,
sale,
pepe.
Elimino il gambo e il calice alle melanzane, le taglio per il lungo e le lesso. Con un cucchiaino le svuoto della polpa e la pesto nel mortaio con mezzo spicchio d'aglio e i funghi ammollati e rosolati per qualche minuto in un tegame d'olio. Unisco la mollica di pane imbevuta nel latte, il formaggio grattugiato e l'origano, salo e pepo. Mescolo in modo da ottenere un composto morbido e omogeneo e farcisco le barchette di melanzane. Le dispongo in un tegame da forno e le spruzzo con poco olio. Metto in forno preriscaldato a cuocere a 180°C per 40 minuti.
MIGAS
PaneAglio
Peperoni verdi
Pancetta
Longaniza (salsiccia spagnola)
Olio evo, sale e acqua
Utilizzare il pane duro avanzato. Grattare e bagnare in acqua per qualche minuto fino a che sia trattabile. Spremere l’acqua avanzata della mollica. Scaldare l’olio in una padella profonda, friggere l’aglio tagliato in quattro parti per dare sapore all’olio. Tolto l’aglio, aggiungere alla padella le molliche di pane e mescolare fino a che diventano di un colore dorato. Aggiungere l’aglio fritto. In un altra padella fai friggere da soli i peperoni, la pancetta (fino a che diventa dorata) e la longaniza. Conservare il tutto in un piatto. Servire le molliche insieme alla longaniza, la pancetta ed i peperoni. Secondo i gusti, sminuzzare tutto e mescolare con le molliche o meglio lasciare che ogni invitato si serva con ciò che desidera. Le migas, o migajas (letteralmente "briciole" in spagnolo), sono un piatto della cucina spagnola e portoghese avente come ingrediente principale delle briciole di pane. Sono tipiche del centro-sud della penisola iberica, principalmente nelle regioni della penisola iberica, principalmente nelle regioni spagnole de La Mancia, Murcia, Andalusia, Estremadura e Aragona, e in quelle portoghesi dell'Alentejo e Beira. Le migas sono un piatto molto diffuso tra i pastori, che possono sfruttare in questo modo il pane duro avanzato, anche se esistono anche le "migas de harina" ("migas di farina"), tipiche del sud-est spagnolo.
Migas spagnole
Nella cucina spagnola, le migas in origine venivano consumate a colazione utilizzando pane o tortilla avanzati, ma oggi le migas sono servite nei ristoranti come antipasto per pranzo o cena. Alcune fonti storiche associano l'origine di questo piatto al couscous nordafricano. In Estremadura, questo piatto include pane vecchio di un giorno inzuppato nell'acqua, aglio, paprica, olio di oliva e spinaci (o alfalfa); sono servite spesso con costolette di maiale fritte. A Teruel, in Aragona, le migas includono chorizo e pancetta, e sono servite spesso con uva.
Ne La Mancha, le migas manchegas sono di preparazione più elaborata, ma contengono gli stessi ingredienti di base delle migas aragonesi. In Andalusia le migas sono spesso mangiate la mattina della matanza (macellazione) e sono servite con uno stufato che include sangue coagulato, fegato, rognone e altre frattaglie, tradizionalmente mangiate subito dopo aver macellato un maiale, una pecora o una capra.
Migas portoghesi
Le migas sono un piatto tradizionale anche della cucina portoghese. Generalmente sono fatte con pane avanzato, o di frumento (regione dell'Alentejo) o di mais (regione di Beira). Aglio e olio di oliva sono ingredienti sempre presenti; altri ingredienti possono essere carne di suino, asparagi selvatici e pomodori (Alentejo) o cavolo verde, fagioli e riso (Beira).
MOSCIAME

È ricavato dalla parte superiore della ventresca di tonno, in siciliano surra, detta in gergo sardo "bodano": la carne viene desquamata, ripulita e lavata; i filetti rimangono poi sotto sale. Nelle fasi successive di preparazione, la carne viene essiccata utilizzando forni, per 4-6 ore ad una temperatura di circa 25-30 °C. La carne viene infine conservata sott'olio. Il prodotto si consuma idealmente tagliato a fette sottili, magari con un contorno di pomodori e condito con olio, altrimenti su crostini. In passato il mosciame o musciamme era anche un piatto tipico ligure, preparato con il filetto salato ed essiccato dei delfini che rimanevano anche impigliati nelle reti dei pescatori e che quindi morivano affogati. Attualmente, essendo proibita la caccia ai delfini, è impossibile trovare legalmente questo tipo di mosciame. Alcuni fanno derivare il termine dal genovese muscio ossia persona di gusti difficili o comunque difficile da accontentare, ma l'ipotesi generalmente ammessa è che derivi dall'arabo mosammed ovvero cosa dura, secca e da questi importato in Sicilia e in Spagna, dove è un prodotto tipico della regione di Murcia, della Comunidad Valenciana e della costa atlantica dell'Andalusia, è detto mojama de atun, mosciame di tonno. Il musciame di tonno rosso, o Tarantello, è un prodotto gastronomico, tipico delle zone rivierasche della Liguria, della Sicilia, nel trapanese, e della Sardegna, soprattutto a Carloforte, nell'isola di San Pietro, cittadina fondata nel XVIII secolo da pescatori di origine ligure e che ancora oggi conserva lingua e tradizioni liguri.
PANADA SARDA
per la pasta:
300 gr farina (oppure 150 farina 150 semola fina);
20 gr strutto di maiale
per il ripieno di carne:
300 gr di carne di manzo
maiale o agnello tagliata a pezzetti;
patate,
carciofi,
sale,
pepe,
pomodori secchi,
prezzemolo,
aglio;
olio evo
Si incomincia facendo una sfoglia non molto sottile impastando la farina con acqua tiepida salata e lo strutto di maiale (oppure metà farina e metà semola fina e così la pasta verrà più croccante). La pasta così ottenuta si lavora a lungo e si tira infine in sfoglia circolare non troppo sottile. Bisogna ricordarsi di mettere da parte un po’ di pasta lavorata (circa un pugno) che servirà più tardi per il coperchio. La sfoglia circolare si depone su una terrina per aiutarsi a dare la giusta forma di "pentola". A questo punto si può cominciare a sistemare il ripieno che deve essere messo tutto a crudo. Per “sa panada” di anguille: mettere le anguille tagliate a pezzi e i piselli alternando con strati di aromi quali pomodori secchi (abbondanti) sale, pepe, prezzemolo, aglio secondo il gusto. Per “sa panada” di carne: mettere la carne di manzo, maiale o agnello tagliata a pezzi alternando con strati degli aromi già detti e piselli, patate, carciofi o melanzane, sempre secondo il gusto. Dopo aver disposto buona parte del ripieno bisogna sollevare pian piano i bordi della pasta seguendo la forma "a pentola" e lasciando qualche centimetro di bordo. A questo punto, prima di mettere il coperchio, bisogna ricordarsi di aggiungere alcuni cucchiai di olio d'oliva. Se per caso ci si dimentica di fare questa operazione, si può rimediare anche durante la cottura facendo un buco nel tappo, versando l'olio e quindi tappando nuovamente il buco con un po’ di pasta fresca. A questo punto bisogna chiudere “sa panada” utilizzando la piccola quantità di pasta messa da parte dalla quale verrà ricavata una sfoglia circolare di diametro sufficiente. Il coperchio, così ottenuto, viene posato sulla "pentola" e viene pizzicato ripetutamente saldandolo ai bordi di essa. Questa operazione è molto importante in quanto la tenuta deve essere perfetta e quindi la giuntura deve essere fatta con molta attenzione e con forte pressione delle dita. Si inforna con forno a temperatura media e si fa cuocere per 3 quarti d'ora (anguille) o 1 ora (carne). Se il forno fosse troppo caldo e la pasta diventasse ben dorata quando ancora non si è raggiunto il punto di cottura, basta proteggere la parte superiore con un foglio di stagnola e continuare la cottura per il tempo ancora necessario. Si può controllare empiricamente l'avvenuta cottura scuotendo leggermente “sa panada”: se il contenuto si muove, significa che è ben cotta.
La panada sarda (o sa panada, in Lingua sarda) è un piatto tipico sardo, originario di Assemini e diffuso in tutta la Sardegna. La paternità di questo piatto è contesa anche dal comune di Oschiri che, insieme ai comuni di Berchidda e Pattada, costituisce un'altra importante zona di produzione delle panadas. È conosciuto anche nel resto d'Italia e in altri Paesi, ed è oggetto di degustazione in numerose sagre, le principali delle quali si svolgono ad Assemini e a Oschiri. In altre parti del mondo esistono prodotti gastronomici simili - per ingredienti e preparazione - alla panada sarda, come l'empanada peruviana. La panada è una torta salata costituita da un involucro di pasta violata (detta croxiu), al cui interno sono contenuti - solitamente - carne, patate e altri condimenti. La panada per antonomasia si ritiene essere quella di anguille, tutt'ora ampiamente diffusa soprattutto nel Campidano, poiché in passato l'attività di sussistenza primaria del comune di Assemini è stata la pesca. Nella sua variante campidanese, viene servita in genere come secondo piatto ed ha una portata minima di quattro persone, ma può considerarsi anche un pasto completo, vista la varietà di ingredienti e il notevole apporto calorico che la contraddistinguono. Nella versione logudorese, si presenta più piccola, della grandezza all'incirca di un panino, e viene consumata tipicamente come piatto unico in occasioni festive. La variante ad oggi più consumata prevede tradizionalmente l'utilizzo di carne di agnello (o più raramente maiale o pollo), mentre le varianti vegetariane contengono piselli, carciofi o fave. Il condimento fondamentale è poi costituito da patate, pomodori secchi, prezzemolo, occasionalmente aglio. L'impasto, invece, è composto da farina di grano tipo "00", acqua, sale e olio (o strutto). La cottura avviene in forno.
PANCAKES SALATI

- 1 cucchiaino di lievito in polvere per torte salate - 130 gr di farina
- sale
- 120 ml di latte
- 1 uovo
- 20 gr di burro
Prendete una ciotola e mescolateci dentro la farina, il lievito e un pizzico di sale. A parte fate sciogliere il burro a bagnomaria e unitelo al latte e al tuorlo dell’uovo. Mescolate in modo da ottenere un liquido omogeneo. A questo punto, unitelo al composto di farina lentamente, in modo che non si formino i grumi. All’ultimo
aggiungete l’albume montato a neve mescolando delicatamente dall’alto verso il basso per evitare che si smonti.
Mettete sul fuoco una padella e spalmatela con una noce di burro. Appena si sarà fuso, versate un mestolo di pastella nella padella e aspettate che si cuocia. Poi girate il pancake dall’altro lato e fatelo cuocere per un altro minuto dall’altra parte. Successivamente, toglietelo dalla padella e mettetelo su un piatto foderato di carta assorbente.
PANZANELLA
2 pomodori maturi da insalata (oppure ciliegini) 15 foglie basilico
400 gr pane toscano a fette
1 piccolo cetriolo
1 cipolla grossa rossa
aceto di vino bianco, olio evo, sale, pepe nero
Per preparare la panzanella sbucciate e tagliate la cipolla a fettine sottili, quindi mettetela in ammollo in una ciotolina con dell’acqua e un cucchiaio di aceto di vino bianco, per almeno 2 ore. Sbucciate il cetriolo aiutandovi con un pela patate, tagliatelo a rondelle sottili e mettetelo da parte. Infine mondate, lavate e tagliate a pezzettini il pomodoro, togliete i semi e tenete anch’esso da parte. Prendete ora 4 fette di pane toscano, eliminate la crosta con un coltello, quindi bagnatele con una soluzione di acqua e aceto (un cucchiaio), senza inzupparle troppo. Una volta che il pane si sarà semplicemente ammorbidito, strizzatelo, spezzettatelo grossolanamente con le mani e mettetelo in un’insalatiera capiente. Scolate la cipolla rossa dalla sua acqua di ammollo, quindi unitela al pane, aggiungete i pomodori, il cetriolo e le foglie di basilico spezzettate a mano. Amalgamate delicatamente tutti gli ingredienti aiutandovi con un cucchiaio, condite il tutto con dell’olio extravergine di oliva, poi aggiustate di sale e pepe. Mescolate nuovamente, assaggiate e, se necessario, aggiungete altro aceto di vino. Fate ora riposare la panzanella in frigorifero per almeno un’ora, affinché si insaporisca ulteriormente. La panzanella è pronta: al momento di servirla estraetela dal frigorifero almeno un quarto d'ora prima di consumarla in modo che torni a temperatura ambiente.
La panzanella, chiamata anche pansanella o panmolle o panmòllo, è un piatto tipico dell'Italia centrale (Toscana, Marche, Umbria e Lazio), nonché della Provincia di Enna. La ricetta originale prevede pane raffermo, cipolla rossa, basilico, il tutto condito con olio, aceto e sale. In Toscana e in Umbria il pane viene lasciato a bagno in acqua e poi strizzato fino a sbriciolarlo e spezzettarlo per mescolarlo agli altri ingredienti; nelle Marche le fette di pane raffermo vengono bagnate ma non sbriciolate e gli altri ingredienti posti sopra come si trattasse di una bruschetta. Nel tempo sono state introdotte alcune aggiunte, alcune delle quali, ormai riconosciute come canoniche, come il pomodoro crudo a pezzi e il cetriolo, altre più legate all'estro del cuoco, ad esempio olive speziate, uova sode a rotelle (si usano come guarnizione) e talvolta tonno. C'è da dire che la ricetta si presenta in molte varianti con aggiunte e sostituzioni di vario tipo: carote, finocchi, mais, sedano, peperoni a crudo, würstel, mozzarella, formaggi di vario tipo, sottoli, sottaceti, fagioli borlotti oltre che spezie a scelta per dare sapore, come origano, basilico, erba cipollina etc. In Toscana questo piatto è diffusissimo fino a Lucca, Viareggio e Bagni di Lucca, mentre in Lunigiana, Versilia e Garfagnana, come scoperto dagli studiosi dell'Università di Firenze che redassero l'Atlante Lessicale Toscano, è un piatto non tradizionale, tipico dei "villeggianti". A partire da Camaiore e Pescaglia "panzanella" significa pasta di pane fritta in olio bollente, l'equivalente di sgabeo. Da un punto di vista gastronomico queste zone, infatti, sono molto più affini alla Liguria che non alla Toscana. Nel Salento si prepara un piatto simile con friselle bagnate, al posto del pane. In Sicilia la panzaneddra fu diffusa grazie al contributo del Duca Alfio Panzanella (pratese di nascita) durante il secondo dei 3 viaggi a scopo commerciale (pare commerciasse in munta e fagioli). In breve tempo, il carattere particolarmente "povero" del piatto conquistò le classi meno agiate, rendendo la diffusione della ricetta talmente importante, da instillare forti dubbi sulla sua provenienza. Ancora oggi, specie nella zona di Piazza Armerina, non è inconsueto che gli operatori in campo gastronomico rivendichino l'originalità della ricetta. Il piatto risulta molto fresco; secondo alcuni è consigliabile addirittura riporlo qualche minuto in frigorifero, prima di servirlo, al livello e a temperatura uguale a quella dove viene riposta la verdura fresca.
Consumato preferibilmente in estate, anche perché è il periodo in cui si trovano con facilità le verdure di cui è composto, rappresenta un buon piatto unico.
PEPERONCINI PICCANTI RIPIENI
500 gr peperoncino piccante tondo
4 acciughe (alici) sotto sale
2 cucchiai capperi sott'aceto
200 gr tonno sott'olio sgocciolato
250 ml aceto di vino bianco
250 ml vino bianco
2 foglie alloro
6 grani pepe misto
mezzo cucchiaio origano
3 grani ginepro
3 chiodi di garofano, sale
Lavate i peperoncini piccanti, togliete loro il picciolo e con un coltellino dalla lama appuntita scavateli e svuotateli completamente aiutandovi con un piccolo cucchiaino. Versate in una casseruola il vino bianco, l’aceto e aggiungete le spezie e il sale, poi portate il tutto a ebollizione: al primo bollore, buttateci dentro i peperoncini e fateli cuocere per 3-4 minuti a fuoco dolce, poi scolateli e poneteli capovolti su di un canovaccio pulito (o carta assorbente da cucina) ad asciugare per alcune ore (i peperoncini devono essere molto asciutti, perché più asciutti saranno e più si conserveranno), meglio se per tutta una notte. Preparate il ripieno dei peperoncini, ponendo in un mixer il tonno, i capperi e le acciughe precedentemente sminuzzati con un coltello; usate il mixer solo per qualche istante (contate fino a 5), giusto il tempo che serva affinché gli ingredienti si amalgamino, facendo attenzione però che il tonno non perda la sua fibra diventando cremoso. Togliete il composto e ponetelo in una ciotola, amalgamatelo con un mestolo e, servendovi di un piccolo cucchiaino, riempite i peperoncini uno ad uno. Prendete dei vasetti sterilizzati e riempiteli con i peperoncini ripieni, avendo cura di posizionarli ben dritti con la parte bucata verso l’alto; riempite il vasetto di olio fino a coprirli completamente, poi tappateli e poneteli in un luogo fresco, asciutto e buio. I peperoncini piccanti ripieni di tonno acciughe e capperi, se ben conservati, si mantengono anche per un anno.
PEPERONI CON PANGRATTATO AROMATICO
1 grosso peperone rosso di tipo “quadrato”
1 grosso peperone giallo di tipo “quadrato”
30 g di pangrattato (preferibilmente fatto in casa)
1 manciata di foglie di prezzemolo (10 g circa)
5 filetti di acciuga sott’olio
olio evo, sale
Lavate i peperoni, asciugateli, ungeteli di olio, sistemateli in una teglia rivestita con carta da forno, fateli arrostire a 220 °C per circa mezz’ora, finché la pelle tenderà a staccarsi. Togliete i peperoni dal forno, trasferiteli in una pentola vuota, ponete sopra un coperchio a tenuta perfetta e lasciateli intiepidire. I peperoni si ammorbidiranno e la pelle si staccherà meglio. Sbucciate i peperoni, divideteli a falde, eliminate tutti i semi, asciugateli, sistemateli su un vassoio, alternando i colori e salateli leggermente. Tritate il prezzemolo. Mettete nel mixer il pangrattato con le acciughe spezzettate e frullate. Aggiungete quindi il prezzemolo tritato e frullate nuovamente aggiungendo 3-4 cucchiai di olio. Trasferite il composto in una padella e fatelo scaldare, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Distribuite il pangrattato sulle falde di peperone stendendone uno strato uniforme e servite.
PISCIADELA
400 g di farina
25 g di lievito di birra
1 bicchiere di acqua tiepida
2 cucchiai di olio d'oliva
sale qb
sugo di pomodoro
100 g olive nere
capperi
acciughe sotto olio
Impasto la farina con il lievito sciolto nell'acqua tiepida, l'olio e il sale. La lavoro finché risulta morbida. In una teglia unta di olio distendo l'impasto e lo condisco con sugo di pomodoro, olive nere salate, qualche cappero, origano e ancora un po’ d'olio d'oliva. La lascio lievitare per un'altra ora e la metto a cuocere nel forno caldo a 200° per una ventina di minuti.
POLPETTINE DI GAMBERETTI250 g besciamella
200 g di gamberetti
1 albume
1 cucchiaio e mezzo di maizena
prezzemolo,
sale,
pangrattato
Uniamo l'albume alla besciamella, la maizena, il prezzemolo tritato e il sale. Amalgamiamo ed uniamo i gamberetti precedentemente lessati e tagliati grossolanamente. Rimescoliamo e poniamo a riposare un'ora in frigo. Riprendiamo il composto e formiamo con le mani tante piccole palline che vanno poi rotolate nel pangrattato e fritte in olio caldo.
RASPADÜRA
La raspadüra è un modo di servire il formaggio grana presentandolo come sottilissime sfoglie, raschiate con un particolare coltello da una forma di Tipico Lodigiano oppure di Grana Padano giovane, stagionato dai quattro ai sei mesi. La raspadüra è tipica della gastronomia lodigiana, ma è diffusa anche nelle province di Pavia e Cremona, dove conserva lo stesso nome. La raspadüra viene solitamente servita come antipasto, accompagnata da salumi, noci o funghi, ma può anche essere utilizzata per guarnire primi piatti come il risotto o la polenta. La raspadüra nacque come cibo povero: in passato era ricavata da forme di Granone Lodigiano imperfette, mentre oggi sono impiegate forme sane, di stagionatura adatta per essere tagliate senza sfaldarsi. Le forme prodotte nelle casere delle cascine, entro il sesto mese venivano verificate per guasti di stagionatura: potevano presentare dei difetti di compattezza, crepe o bolle interne, che si sentono martellando le forme: allora il casaro scartava le forme difettose, che venivano tagliate a metà e talvolta donate ai contadini della cascina, ma più comunemente portate a Lodi per essere vendute come raspadüra. Dunque la raspadüra fu dapprima un sottoprodotto della lavorazione del grana, a basso costo per i poveri che non potevano permettersi il formaggio stagionato da grattugia, mentre ora è una pietanza ricercata anche da golosi gourmet. In molti paesi del Lodigiano, in occasione dei giorni di mercato, è possibile assistere ancora oggi alla raspada, ossia la raschiatura delle forme di formaggio grana giovani, che va fatta sul momento a richiesta del cliente. Raspadüra è un termine della lingua lombarda occidentale che in italiano significa raschiatura: le sottili lamine di raspadüra sono, infatti, raschiate progressivamente dalla superficie della mezza forma con l'aiuto talvolta di un tornio manuale che fa girare su sé stesso il formaggio, e di un particolare coltello flessibile, piatto e ricurvo che nei mesi più freddi può essere anche scaldato, in modo da ottenere nastri soffici di grana che si arriccino su loro stessi.
ROSELLINE DI PROSCIUTTO CRUDO E FICHI

Fichi Prosciutto crudo
Prendete i fichi e con un panno morbido e asciutto pulite delicatamente la parte esterna.
Tagliateli in 4 parti uguali ma senza dividerli alla base, poi apriteli delicatamente come un fiore che ha 4 petali e formate con ogni fetta di prosciutto crudo una rosellina, che porrete al centro di ogni fico. Ponete 3 fichi così formati su ogni piatto da portata e servite immediatamente.
ROTOLI DI ZUCCHINE E TONNO
160 g di tonno30 g. di parmigiano grattugiato
2 zucchine
2 acciughe sottolio
1 uovo
1 cipollotto
olio, pan grattato, capperi, sale e pepe
Affettate per il lungo le due zucchine. Prendete le fette centrali e mettetele da parte. L'altra parte delle zucchine tagliatele a pezzetti e mettetele in padella per 5 minuti con un cucchiaio di olio, le alici, un cipollotto affettato e i capperi. In un frullatore unite il tonno, l'uovo, il parmigiano. Aspettate che si raffreddi il composto di zucchine e unitelo alla crema di tonno. Stendete le fette di zucchina che avevate messo da parte e mettete su un estremo una pallina di composto. Arrotolate. Appoggiate sulla teglia avendo cura di adagiare gli involtini vicini tra di loro (così non si apriranno). Irrorate con un paio di cucchiai di olio. Salate e pepate. Aggiungete qualche pizzico di pan grattato per rendere le zucchine croccanti. Cuocete per 20 minuti a 200°. Servite fredde o tiepide.
SARDELLA CALABRESE
1kg. di pesce bianchetto o sardella
100 gr. di sale,
100 gr. di peperoncino rosso piccante macinato
100 gr. di peperoncino rosso dolce macinato
1 mazzetto di finocchio selvatico
Lavate bene la sardella e mettetela a scolare in un colapasta. Mescolate i due tipi di peperoncino rosso macinato. In una terrina mettete sul fondo un poco di sale e di peperoncino, coprite con una parte di sardella e sopra rimettete ancora sale e peperoncino: continuate così, a strati, fino ad esaurimento degli ingredienti. Coprite, metteteci un peso sopra e lasciate macerare per almeno due giorni, poi mescolate bene tutti gli ingredienti e rimettete, la sardella condita, nello scolapasta a perdere il residuo di salamoia. Versate dentro un barattolo la sardella e copritela con olo d'oliva. Tenetela in frigorifero se la consumate subito. Altrimenti mettetela in un barattolo a chiusura ermetica, poi avvolgetelo in un telo e fatelo bollire, coperto d'acqua, per dieci minuti. Lasciatelo raffreddare nella stessa pentola della bollitura poi, svolgetelo, asciugatelo e riponetelo in un luogo fresco.
SFORMATINI CON PEPERONI E ACCIUGHE
250 grammi farina di mais2 peperone
5 cipolla
8 acciughe o alici sott'olio
5 decilitri pomodoro concentrato
q.b. prezzemolo
q.b. olio di oliva extravergine
q.b. sale
q.b. pepe
1) Prepara la polenta: scalda 1 l di acqua con un pizzico di sale e, prima che raggiunga l'ebollizione, versa la farina gialla a pioggia, mescolando con una frusta. Quindi continua la cottura a fuoco molto basso, sempre mescolando con un cucchiaio di legno.
2) Intanto sbuccia e trita la cipolla e falla soffriggere in un tegame con un filo di olio; unisci i peperoni a pezzettini, sale e pepe. Bagna con un mestolino di acqua e lascia stufare per 25-30 minuti, unendo il pomodoro verso metà cottura e bagnando di tanto in tanto, se necessario, con un po' di acqua calda. Infine spolverizza con prezzemolo tritato.
3) Ungi 4 stampini da 3 dl e in ciascuno versa uno strato di polenta; continua con uno strato di peperonata, distribuisci un po' di acciughe a pezzettini, poi versa un secondo strato di polenta.
4) Inforna per 10 minuti, sforma sui piatti, distribuisci sopra agli sformatini la peperonata avanzata e guarnisci con le acciughe rimaste.
SFORMATO AL TARTUFO
1/2 litro di besciamella molto densa,120 g di formaggetta,
120 g di tartufo nero della val Bormida tritato,
30 g di grana grattugiato,
3 uova,
la mollica di due panini,
timo,
sale e pepe.
Unire alla besciamella tutti gli ingredienti e versare il composto in uno stampo antiaderente oppure imburrato ed infarinato. Porre quindi lo stampo in forno a 200 gradi per 30 minuti circa. Servire caldo, tiepido o anche freddo nella stagione calda.
SUSHI DI MORTADELLA CON SPUMA DI CRESCENZA
180 grammi crescenza
1.5 decilitri aceto balsamico
150 grammi miele
50 grammi pistacchi sgusciati
4 fette mortadella Bologna
Metti in un pentolino il miele insieme all'aceto, portali a ebollizione e falli cuocere per circa 15 minuti. Trasferisci la riduzione preparata in una ciotola. Scotta i pistacchi in acqua bollente, scolali, sbucciali e tritali. Riponi la crescenza in una ciotola e condiscila con un pizzico di pepe. Lavora la crescenza aiutandoti con una frusta fino a quando non sarà soffice. A questo punto, mettila in frigo fino a quando non avrà ottenuto la giusta consistenza. Prendi le fette di mortadella e ritaglia dalla parte centrale di ciascuna 3 strisce larghe circa 3 cm. Versa su un tagliere tre quarti di pistacchi già tritati, stendi sopra la crescenza e rotolala con le mani per formare un cilindro di circa 2 cm di diametro con i pistacchi che aderiscono alla crescenza dandole consistenza. Taglia dal cilindro appena formato un pezzo di circa 3 cm e sistemalo all'inizio della striscia di mortadella precedentemente tagliata. Arrotola la fettina di mortadella intorno alla crescenza formando una specie di sushi. Ripeti il procedimento e forma gli altri rotolini. Prendi quattro piccoli piattini, sul fondo di ciascuno disponi 2 cucchiaiate di riduzione di aceto e miele e posiziona in ciascun piattino 3 rotolini di sushi di mortadella. Prima di servire il sushi di mortadella, spolverizza tutto con i pistacchi tritati rimasti.
TERRINA DELLO CHARCUTIER
Questa terrina risolve con agio un buffet con molte persone, un aperitivo in qualunque stagione dell’anno, ma soprattutto nel periodo delle feste. Prepararla è un soffio ed è una di quelle cose che si possono fare il giorno prima per dedicare tempo ed attenzione ad altro. La terrina si conserva in frigorifero ben sigillata per una settimana, sempre che riusciate a non terminarla subito.1 Con pazienza eliminare il filo sul bordo esterno della mortadella Bologna IGP, quindi raccoglierla nel boccale del mixer e frullarla insieme al prosciutto cotto scelto
2 Aggiungere il succo di limone, quindi incorporare anche il formaggio e il Cognac, infine unire il pepe nero in grani e i pistacchi (avendo cura di conservarne alcuni per la decorazione)
3 Quando il composto sarà perfettamente omogeneo versarlo in una terrina capiente (di quelle con il coperchio), livellare la superficie, coprire con pellicola trasparente e mettere il coperchio
4 Lasciar riposare in frigorifero per almeno 8 ore. Al momento di servire decorare con il pepe rosa e/o i pistacchi
TOMINI AL POMODORO
300 g di tomini freschissimi2-3 pomodori da insalata
1 spicchio d'aglio
5-6 cucchiai di olio extravergine di oliva 1-2 cucchiai di aceto di vino bianco o rosso
sale e pepe
Schiacciate i tomini con una forchetta, aggiungete l'aglio schiacciato (che poi toglierete) unite i pomodori tagliati a piccoli spicchi o a cubetti, salate, pepate, aggiungete olio e aceto, mescolate e servite.
TOMINI AL VERDE
8 tomini freschi piccoli
4-5 cucchiai di olio extravergine di oliva
1/2 spicchio d'aglio
2 belle manciate di prezzemolo
1 pezzetto di peperoncino piccante
sale e pepe
Tritate l'aglio, il peperoncino e il prezzemolo, mettete il tutto in una scodella, salate, pepate, aggiungete l'olio e mescolate bene. Disponete i tomini su un vassoio e mettete sopra ciascuno di essi una parte di bagnetto verde. Lasciate riposare qualche ora prima di servire.
TORTA DI PERE E GORGONZOLA
200 gr di farina 00;
100 gr di burro;
1 tuorlo;
1 presa di sale.
1 pera Kaiser;
120 gr di gorgonzola dolce;
miele millefiori.
Si mettono in una terrina tutti gli ingredienti con il burro morbido tagliato a tocchetti, si impasta aggiungendo un po' d'acqua se necessario, e si ottiene una pasta morbida e omogenea da tenere in frigo mezz'ora. Poi la si stende col mattarello e con un tagliapasta si ottengono dei dischi grandi all'incirca quanto un cd. Si mettono ognuno su un pezzo di carta da forno, si stendono ancora bene col mattarello e si posizionano all'interno degli stampini monouso tipo da muffin o sformatino. Riempirli con qualche tocchetto di pera sbucciata e fatta a dadini, la punta di un cucchiaino di miele, qualche tocchetto di gorgonzola dolce e un'altra punta di miele. Poi infornare il tutto a 180 gradi in forno gia' caldo per 20 minuti
TORTA DI RISO E PORRI
Nel Rinascimento era diffusa la torta mantovana, che poneva tra due sfoglie un ripieno di verdure o carne. Già nel Medioevo c'erano torte scoperte di verdure come cipolle e porri, nate come intelligente piatto unico poco costoso e pratico da mangiare. Il porro, con i suoi colori bianco e verde già emblema degli antichi Celti, fu scelto come simbolo del Galles. La sua origine è ignota: sappiamo che i Romani conoscevano un porro perenne, ma non abbiamo notizie precise per dire se sia lo stesso che consumiamo oggi. Diffuso in tutta Europa, il porro è apprezzato soprattutto in Scozia, in Inghilterra e in Francia già dall'epoca medioevale quando era sinonimo di cibo povero ed equiparato alla cipolla, anche se più delicato, non solo nell'arte culinaria ma nella più fantasiosa arte della narrativa. La possiamo considerare una sorta di cipolla senza bulbo, verdi le sue foglie, bianca la sua porzione inferiore, grazie alla tecnica di coltivazione del rincalzo. La parte commestibile è quella bianca, più tenera, mentre sono preziose sono le sue proprietà diuretiche e post-sbronza. Torta salata di riso, nella sua sfoglia racchiude un ripieno insaporito dal porro e dalle delicate note della zucca. Zona di produzione: Val Bormida.
TORTA PASQUALINA
per la sfoglia,600 grammi di farina,
2 cucchiai d'olio,
1 bicchiere di acqua fredda;
per il ripieno,
1 Kg di bietole,
40 grammi di burro,
6 uova,
60 grammi di Parmigiano grattugiato,
un chilo di prescinsêua oppure 550 grammi di yogurt,
olio evo, sale.
Dopo averle lavate e asciugate il più possibile, tagliate la parte verde delle bietole a fettine sottilissime. Lavorate la farina con poca acqua tiepida, un po'd' olio e un po’ di sale fino ad ottenere un impasto piuttosto molle. Dividetelo in quattro parti e mettetelo a riposo sotto un panno per almeno due ore. In una terrina ponete la prescinsêua con 3 cucchiai di olio, 2 cucchiai di farina, un pizzico di sale, e una manciata di parmigiano grattugiato. Mescolate bene il tutto in modo che risulti una crema piuttosto fluida. Mettete le bietole sulla madia, aggiungete una manciata di farina, tutto il rimanente formaggio grattugiato, tranne una manciatina, spolverizzate di sale e con le mani amalgamate il tutto. Stendete uno dei pezzi di pasta messi a riposare e allargatelo col matterello fino ad ottenere una sfoglia sottile, stendetela sul fondo di un tegame, e da forno unto d'olio. Prendete le bietole a manciatine e disponetele nella teglia, versatevi un giro d'olio e disponetevi sopra la prescinsêua spalmandola con la lama di un coltello unta d'olio. Praticate quattro buchette nella quagliata e rompete dentro ciascuna un uovo intero. Ponete su ciascun tuorlo un pizzichino di sale e una pallina di burro. Spolverizzate ancora su tutto un po' di parmigiano grattugiato. Tirate altre sfoglie con gli altri pezzi di pasta: devono essere molto sottili. Una dopo l'altra stendetele sul tegame avendo l'accortezza di ungere ogni sfoglia con olio: per questo si usa tradizionalmente una piuma. Chiudete il bordo della pasta tutto intorno facendo un cordone non troppo pressato. Ungete anche la sfoglia superficiale con un giro d'olio. Mettete la torta in forno preriscaldato: dovrà cuocere per 45 minuti. Fate raffreddare prima di servire. Molti preferiscono la Pasqualina tiepida, altri a temperatura ambiente.
Torta pasqualina turta pasqualinn-a Torta pasqualina (in ligure torta pasqualinn-a) è una torta, solitamente salata, tipica della Liguria (più precisamente del Genovesato) che viene preparata anche in altre località d'Italia con caratteristiche differenti (talvolta anche in versione dolce). Cotta al forno, è tipica del tempo pasquale. La tradizionale torta pasqualina è tipica del periodo pasquale, cioè della primavera e dei suoi prodotti: uova, erbette, carciofi, piselli, cipolline nuove, maggiorana, un tempo presenti in ogni orto ligure. Rappresenta il clou del pranzo pasquale e in passato era l'apoteosi dell'abilità delle casalinghe, che leggendariamente si narra riuscissero a sovrapporre sino a trentatré sfoglie in omaggio agli anni di Cristo. Una variante per altri periodi 246 prevede l'uso delle bietole o di altra verdura al posto dei carciofi. L'esistenza della torta pasqualina genovese è documentata dal XVI secolo, quando il letterato Ortensio Lando la cita nel Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano. Allora era nota come gattafura, perché le gatte volentieri le furano et vaghe ne sono, ma anche lo stesso scrittore ne era ghiotto tanto da scrivere: "A me piacquero più che all'orso il miele". Nei secoli scorsi uova e formaggio, ingredienti essenziali della pasqualina, erano alimenti che si consumavano solo nelle grandi ricorrenze. La più nota e antica tra le torte di verdura regionali, la pasqualina racchiude tra sottili veli di pasta sfoglia gli spinaci e diverse erbette, amalgamate tra loro con la prescinseua e il parmigiano. Zona di produzione: Tutto il territorio regionale.
600 grammi di farina,
2 cucchiai d'olio,
1 bicchiere di acqua fredda;
per il ripieno:
1 kg di zucchine trombetta,
2 uova,
30 gr di parmigiano,
1 cipolla,
150 di riso.
Tritare le trombette e farle rosolare con la cipolla, poi amalgamarle con le uova e il formaggio grattugiato. Aggiungere il riso che ha il vantaggio di assorbire l'acqua formata dalle zucchine. Stendere la sfoglia e porla in un testo unto. Quindi versarvi il composto di verdure e il riso e coprire. Far cuocere in forno per 30 minuti circa.
UOVA IN COCOTTE CON SALMONE AFFUMICATO
100 gr ricotta
250 gr salmone affumicato
4 Uova
4 fette spesse 1 cm di pane
Olio evo
Pepe
Aneto qualche ciuffo
Per preparare le uova in cocotte con salmone affumicato iniziate a privare della crosta le fette di pane con un coltello, spennellatele leggermente con dell’olio extravergine di oliva e mettetele in forno a grigliare, in modalità grill qualche minuto, girandole durante la cottura. Nel frattempo tagliate il salmone affumicato a striscioline sottili e mettetelo in una ciotola, aggiungete i rametti di aneto, la ricotta e amalgamate bene gli ingredienti. Imburrate 4 cocotte da forno, ponetevi il composto di salmone e ricotta ed effettuate un piccolo solco al centro di ogni cocotte con il dorso di un cucchiaino. Ponete un uovo (facendo attenzione a non romperlo) sopra ogni cocotte. A questo punto riempite una teglia da forno di acqua bollente fino a metà, ponetevi all’interno le cocotte e infornate a 180°C per 15 minuti. Guarnite con del pepe macinato, delle foglioline di aneto e servite le uova in cocotte con salmone accompagnandole con le fette di pane grigliato tagliate a listarelle.