Ma quando andremo su Marte, la merendina ce la dovremo portare da casa? Per rispondere a questa domanda, che immagino assilli tutte le casalinghe di Voghera di umbertoechiana memoria, oggi il vostro cronista del gusto si dovrà spingere oltre la soglia dell’innovazione alimentare a cui gradualmente, in questo 2020, vi ha abituato. La risposta è “no, la merendina ce la fabbricheremo in loco” con la stessa tecnica che stiamo già usando sulla Terra. Si tratta dei Solar Foods prodotti e commercializzati dalla finlandese Solein, frutto di una ricerca del Technical Research Center of Finland e della Lappeenranta University of Technology. Sono cibi proteici fatti con sole, acqua, anidride carbonica ed elettricità. Proteine vegane al 100%, cruelty free e sostenibili, prodotte con l’elettrolisi ed i bioreattori, polveri bianche simili alla farina 00, composte per il 50% da proteine, per il 5-10% da grassi e un 20-25% da carboidrati. Il primo grande merito dei Solar Foods è quello che l’impatto ambientale è 100 volte inferiore a quello dei prodotti a base di carne, poiché non vi è nessuna emissione di CO2, che anzi viene impiegata per la loro produzione, ed è necessario un bassissimo consumo di acqua: per 1 kg di Solar Foods bastano 10 litri di acqua, 1000 volte di meno di quelli necessari per produrre 1 kg di carne di manzo. Ma come si produce un cibo solare? L’energia solare, catturata dai pannelli fotovoltaici, genera l’elettricità per l’elettrolisi dell’acqua. L’idrogeno così ottenuto serve ad attivare, all’interno di un bioreattore, un processo di fermentazione, come se fosse un lievito, che però non si nutre di zuccheri, ma usa la CO2 come fonte di carbonio. La sostanza ottenuta al termine della fermentazione viene estratta, essiccata e macinata. Si tratta quindi di un cibo per produrre il quale non occorrono terreni o speciali condizioni metereologiche, ma solo sole, acqua ed anidride carbonica, che ci sono ovunque, anche su Marte.Ma al di là del futuro spaziale a cosa possono servire oggi i Solar Foods? Sono una delle strategie per combattere la fame nel mondo. Secondo le stime della FAO, nel 2050 il nostro pianeta ospiterà circa 10 miliardi di persone, un dato che aumenterà il fabbisogno alimentare del 70%. Di conseguenza, ci sarà un bisogno di cibi proteici l’80% in più di quello attualmente richiesto dalla popolazione mondiale. Mangiare una o due fettine di manzo alla settimana, equivale a consumare 120.237 litri di acqua e produrre 207 kg di CO2 all’anno. Un dispendio idrico equiparabile all’acqua che berremmo il 165 anni, e un rilascio di anidride carbonica pari a quello generato da un’auto, per percorrere 253 km. Secondo l’ultima analisi dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’allevamento intensivo è nel mondo una delle cause principali di inquinamento atmosferico. La “torta dell’inquinamento” dell’aria è composta infatti per il 38% dal riscaldamento domestico, per il 32% dai veicoli, per un 15% dalle industrie e per il restante 15% dagli allevamenti e dalla produzione agricola. Occorre una risposta: i “cibi solari” non sono la soluzione al problema, né possono fungere da invito ad abbandonare le abitudini alimentari tradizionali per nuove polveri che nascono dall’energia solare. Ma se già ci inducono a riflettere sul cibo che consumiamo abitualmente e a non escludere a priori che la tecnologia possa aiutarci a trovare nuovi metodi di produzione alimentare, hanno compiuto metà della loro missione.
Alla ricerca del buon gusto raccoglie in maniera sistematica le recensioni pubblicate sul mensile savonese Il Letimbro nella rubrica Dalla parte del gusto e poi apparse nel blog HOMO LUDENS https://nonmirompereitabu.blogspot.com/
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