martedì 4 febbraio 2025

Corso di cucina: 36 Conoscere il pane



🥖 Pane: la crosta croccante della civiltà

Parliamoci chiaro: senza il pane la storia dell’umanità avrebbe avuto un altro sapore (probabilmente molto più amaro). È stato la prima “tecnologia alimentare”: qualcuno, migliaia di anni fa, ha dimenticato dell’impasto in un angolo e si è trovato un miracolo lievitato. Da lì in poi, il pane ha fatto più chilometri di Marco Polo.

Il bello è che il pane non è mai solo pane: è compagno di viaggio, simbolo di ospitalità, protagonista di proverbi (“buono come il pane”) e persino di rivoluzioni (“il pane e le rose”).

E in Italia? Qui il pane è quasi un dialetto. Ogni regione, anzi quasi ogni borgo, ha la sua forma e il suo orgoglio: pani tondi, allungati, con crosta dura o morbida, con semi, con patate, con olio. Non è solo cibo: è cultura da mordere.

Preparati quindi a un tour tra le forme, i profumi e le croste che hanno reso l’Italia la vera “panetteria d’Europa”.


🥖 “Il Classico da Compagnia” – Pane comune e filone

Il pane quotidiano, quello della tavola di tutti i giorni. Crosta dorata, mollica bianca e soffice. Lo trovi in mille varianti locali, ma resta la base rassicurante che accompagna qualsiasi piatto.


🍞 “Il Piumino del Nord” – Michetta e rosetta lombarda

Svuota dentro, croccante fuori: la michetta (o rosetta) è leggera come l’aria. Nata a Milano sotto influenza austriaca, è perfetta per panini rapidi e per chi ama il “crunch” al morso.


🧄 “Il Pugliese di Ferro” – Pane di Altamura

Fatto con grano duro, ha crosta spessa e cuore giallo e profumato. È un pane che dura giorni senza perdere dignità, perfetto da intingere nell’olio o da accompagnare ai piatti più robusti.


🥔 “Il Montanaro Soffice” – Pane di patate del Trentino e dell’Abruzzo

Qui l’astuzia contadina ha fatto scuola: aggiungere patate all’impasto lo rende morbido e resistente. È un pane che racconta di montagne, stufe accese e tavole rustiche.


🌊 “Il Compagno di Mare” – Coppia ferrarese

Con quelle forme intrecciate a nastro, sembra quasi un piccolo capolavoro barocco. Croccante, saporita, accompagna i piatti della cucina emiliana come se fosse nata apposta.


🥯 “Il Pane della Festa” – Ciabatta veneta

Nata negli anni ’80, è il pane italiano che ha conquistato il mondo. Crosta sottile, mollica alveolata e leggera: sembra fatta per raccogliere il sugo fino all’ultima goccia.


🧀 “Il Pane che si fa coccolare” – Tuscano sciapo

Niente sale nell’impasto, e questa è la sua forza. Nasce da scelte storiche (le tasse sul sale), ma oggi è il miglior alleato di salumi, formaggi stagionati e piatti saporiti.


🌿 “Il Pane Profumato” – Pan con l’olio e schiacciata toscana

Fragrante, morbido, con quell’inconfondibile gusto di extravergine. È metà pane e metà coccola.


🌽 “Il Pane dei Campi” – Pane di mais e mistura lombarda

Da sempre mescolato con farina di mais o di cereali poveri, ha un colore dorato e un sapore rustico. Pane di tradizione contadina, oggi è riscoperto come chic.


🧄 “Il Pane che parla dialetto” – Pane carasau sardo

Sottile come una pergamena, croccante come una patatina: il carasau è un’invenzione geniale. Leggero, trasportabile, perfetto per i pastori e oggi anche per gli aperitivi.


🌾 “Il Pane della Resistenza” – Pane nero e segale valdostano e altoatesino

Scuro, compatto, nutriente. Fatto con segale, era la scorta per l’inverno nei forni comunitari. Oggi è amatissimo con burro e speck.


🍇 “Il Pane della Festa” – Pan co’ l’uva e pani dolci regionali

Non solo salato: in Italia il pane diventa anche dolce, arricchito con uva passa, fichi, noci, castagne. Una fetta e sembra subito domenica.


BAGUETTE
La baguette (dall'italiano bacchetta), in italiano baghetta, francesino o pan francese, è un particolare tipo di pane distinto dalla sua forma molto allungata e dalla sua crosta croccante, originario della Francia.
La forma classica della baguette è di 5 o 6 cm di larghezza e 3 o 4 cm di altezza, lunga circa 65 centimetri e con un peso di circa 250 grammi. Le baguette più corte sono spesso usate per fare i panini, oppure vengono tagliate a fette e servite con formaggio fresco o pâté.
Le baguette sono spesso legate nell'immaginario collettivo come uno dei prodotti culinari più noti della Francia, specialmente a Parigi, ma sono reperibili in tutto il mondo.
La baguette è un discendente del pane sviluppatosi a Vienna nella metà del XIX secolo, quando si iniziò ad utilizzare i forni a vapore, che favorivano la formazione della crosta croccante e dei solchi obliqui che ancora distinguono l'odierna baguette. La forma venne adottata in Francia nell'ottobre del 1920, quando una legge vietò ai fornai di lavorare prima delle quattro, rendendo impossibile cucinare le tradizionali pagnotte rotonde in tempo per la colazione dei clienti: la baguette risolse il problema perché può essere preparata e infornata molto più brevemente.
Le leggi francesi del cibo definiscono come «pane della tradizione francese» un prodotto contenente solo i seguenti 4 ingredienti: acqua, farina, lievito (di birra o pasta madre) e sale.
L'aggiunta di qualsiasi altro ingrediente impedisce di usare il nome di «pane della tradizione francese» per il prodotto finale.

CIABATTA
La ciabatta è un classico tipo di pane italiano con un alto contenuto di liquidi circa il 70% sulla farina, generalmente senza lipidi, riconoscibile dalla grande alveolatura della mollica, dalla crosta generalmente bruna e dalla sua croccantezza.
L'impasto è formato in gran parte da biga a cui verrà aggiunta poi nella fase di impastamento una piccola quantità di farina.
14500 g di biga
4000 g di farina tipo 0 (w 280)
9800 g d'acqua
140 g malto
140 g integratore
280 g sale
1000 g d'olio d'oliva (a scelta)
150 g lievito di birra
Unire farina, biga, i 3/4 dell'acqua, lievito, olio, malto, integratore e fare andare l'impasto in prima velocità affinché non sia ben agglomerato.
Unire il sale e di seguito un goccio d'acqua per facilitarne l'assorbimento, dopodiché fare girare l'impasto in seconda velocità aggiungendo lentamente il restante dell'acqua. Fare impastare bene.
Le tempistiche dell'impasto sono abbastanza lunghe, è preferibile utilizzare acqua fredda.

CIAPPE
Prodotto a base di farina di grano. Si presentano sottili, dal colore dorato, croccanti e saporite in bocca. In dialetto ligure, ciappa significa pietra piatta sottile come la lastra di ardesia il cui nome deriva da ardere: infatti grazie alle sue caratteristiche fu sicuramente uno dei primi metodi di cottura usate dall'uomo.
Ancora oggi si utilizza questo strumento per cucinare la carne e il pesce senza l'aggiunta di grassi; noto è il tonno in sciä ciappa.
Lastra di ardesia è anche la tradizionale copertura dei tetti in Liguria dove le tegole vengono denominate ciappe: la stessa parola nel ponente ligure indica una sorta di schiacciatina, resa croccante e friabile dall'olio extravergine di oliva della Riviera.
Zona di produzione: Costa del ponente ligure, nel territorio del comune di Taggia
Ingredienti: farina, acqua, olio e sale.
Preparazione: la farina (di grano tenero) viene lavorata con acqua, olio e sale e stesa formando dei dischetti dello spessore di pochi millimetri e del diametro di 10/15 cm. Le ciappe vengono cotte al forno e si mantengono per 15/20 giorni.
farina,
acqua,
olio
sale. la farina (di grano tenero) viene lavorata con acqua, olio e sale e stesa formando dei dischetti dello spessore di pochi millimetri e del diametro di 10/15 cm. Le ciappe vengono cotte al forno e si mantengono per 15/20 giorni.
Ciappe La zona di produzione è la Costa del ponente ligure, nel territorio del comune di Taggia. Prodotto a base di farina di grano. Si presentano sottili, dal colore dorato, croccanti e saporite in bocca. In dialetto ligure, ciappa significa pietra piatta sottile come la lastra di ardesia il cui 164 nome deriva da ardere: infatti grazie alle sue caratteristiche fu sicuramente uno dei primi metodi di cottura usate dall'uomo. Ancora oggi si utilizza questo strumento per cucinare la carne e il pesce senza l'aggiunta di grassi; noto è il tonno in sciä ciappa. Lastra di ardesia è anche la tradizionale copertura dei tetti in Liguria dove le tegole vengono denominate ciappe: la stessa parola nel ponente ligure indica una sorta di schiacciatina, resa croccante e friabile dall'olio extravergine di oliva della Riviera.

GALLETTE DEL MARINAIO
gallette del marinaio
500 g Acqua
1000 g Farina w 320
5 g Lievito di birra secco
1 g Sale
Le gallette da Marinaio sono praticamente delle focaccine secche, quasi immangiabili se non bagnate, ed erano utilizzate al posto del pane sia nelle zuppe che nelle insalate.
Pare che sin dal 1500 venisse fatto uso di queste gallette del marinaio sulle navi, insieme ai biscotti, che si conservavano per lunghi periodi. La storia ci narra che queste gallette di pane erano preparate per chi partiva per mare ed era destinato a trascorrerci lunghi periodi. Le gallette del marinaio molto secche e leggere si conservano per mesi e anticamente alla bisogna venivano bagnate nell’acqua di mare per essere ammorbidite; questo è un’altro il motivo per cui nella ricetta c’è pochissimo sale. Una volta ammorbidite venivano sgranocchiate cosi o anche cucinate insieme al pescato. Con il passare degli anni è divenuto sempre più difficile trovare nei forni questo tipo di pane che però sta tornando di moda soprattutto nella cucina casalinga.
Mettiamo nella ciotola dell'impastatrice acqua e lievito e mescoliamo. Aggiungiamo la farina ed iniziamo ad impastare. Appena l'acqua è assorbita aggiungiamo il sale e continuiamo ad impastare finche l'impasto non si compatta. Stacchiamo l'impasto dal gancio e riprendiamo ad impastare per altri 3-5 minuti. Trasferiamo l'impasto sulla spianatoia. Pesiamo dei pezzi da 80 - 90g e formiamo delle palline. Copriamo con la pellicola trasparente e lasciamo riposare 30 minuti. Spianiamo le palline con il matterello fino a 0,5 cm di spessore e copriamo i dischi risultanti con un telo e della pellicola di plastica. Lasciamo lievitare circa 45 minuti. Riprendiamo i dischi di pasta e facciamo su di essi dei fori con una forchetta o con il bucasfoglia. Trasferiamo delicatamente sulle teglie ed inforniamo a circa 220° per 8-10 minuti. Trascorsi 10 minuti trasferiamo le gallette dalle teglie alle griglie e inforniamo di nuovo per circa 5-6 minuti. Trascorsi 5-6 minuti spegnamo il forno apriamo leggermente la porta del forno e lasciamo raffreddare. Ecco le gallette del marinaio che sigillate all'interno di un contenitore dureranno anche mesi.

GRISSINO

Il grissino (ghërsin in piemontese) è uno dei più celebri e diffusi prodotti della gastronomia torinese, nonché uno dei più noti della cucina italiana all'estero. Tradizionalmente la sua nascita si fa risalire al 1679, quando il fornaio di corte Antonio Brunero, sotto le indicazioni del medico lanzese Teobaldo Pecchio, inventò questo alimento per poter nutrire il futuro re Vittorio Amedeo II, di salute cagionevole ed incapace di digerire la mollica del pane. Re Carlo Felice li prediligeva così tanto che, in palco, al Teatro Regio, ne sgranocchiava per passatempo. Il successo dei grissini fu particolarmente rapido, sia per la maggiore digeribilità rispetto al pane comune, sia per la possibilità di essere conservato anche per diverse settimane senza alcun deterioramento. Fra i grandi estimatori del grissino torinese, non si può non citare Napoleone Bonaparte, il quale creò, all'inizio del XIX secolo un servizio di corriera fra Torino e Parigi prevalentemente dedicato al trasporto di quelli ch'egli chiamava les petits bâtons de Turin. Del tutto identica a quella del pane normale, salvo che la forma lunga e stretta fa sì che la cottura sia più uniforme e quindi, causa la sottigliezza dell'impasto, il prodotto finale in pratica è come pane di sola crosta, cioè privo di mollica. Gli ingredienti sono: farina 00, acqua, lievito e sale. Recentemente sono state introdotte varianti nella composizione che vengono commercializzati come "grissini al...": latte al posto dell'acqua, aggiunta di olio di oliva, aggiunta di grasso animale (strutto in genere), aggiunta di aromatizzanti vari, fino a variarne la forma (più tozza). L'aggiunta di sostanze grasse rende il grissino più "morbido", ma ne limita la durata di conservazione. La forma di grissino più antica e tradizionale è indubbiamente il robatà, che in piemontese significa "caduto" (o anche "rotolato"), di lunghezza variabile dai 40 agli 80 cm, facilmente riconoscibile per la caratteristica nodosità, dovuta alla lavorazione a mano. Il robatà di Chieri è incluso nella lista prodotti agroalimentari tradizionali italiani del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Sono allo stesso modo considerate zone di produzione classica del robatà il Torinese, la zona di Andezeno e il Monregalese. L'unica altra forma di grissino tradizionale e tutelata è il "grissino stirato". D'invenzione più recente rispetto al robatà, si distingue da questi in quanto la pasta, invece che essere lavorata manualmente per arrotolamento e leggero schiacciamento, viene allungata tendendola dai lembi per la lunghezza delle braccia del panificatore, il che conferisce maggiore friabilità al prodotto finale. Soprattutto questo tipo di lavorazione permise la produzione meccanizzata già a partire dal XVIII secolo. Ne esistono anche diversi tipi aromatizzati (all'origano, al sesamo, al cumino, ecc.).

MICCA
Con il termine di "miseria" a Busseto si identifica un pane che, al di fuori del paese, viene chiamato "micca", comune a tutta la Padania. Quando il peso è superiore al mezzo kg., allora diventa la "gran      miseria", retaggio di un passato recente dove, quando non c'era nulla da mangiare, si mangiava solo pane: "miseria", se piccolo, e - non senza contraddizione - "gran miseria" se grande.
Composizione: farina di grano tenero, acqua, strutto raffinato, lievito naturale, sale.
La farina viene impastata con lievito di birra sciolto in acqua salata e lo strutto fuso. L'impasto, duro, viene lavorato a lungo lasciandolo fermentare per molte ore. Quando la lievitazione è completata si formano dei pezzi dalla forma oblunga di 30 cm. circa e dal peso di 2 etti e mezzo. Vengono incisi nel centro assumendo la forma di farfalla. Si cuoce nel forno caldo.

PAN MARTÌN
pan Martìn
farina di castagne
farina di grano in parti uguali,
sale
lievito di birra (venti grammi circa per un chilo di farina),
acqua.
Unisco gli ingredienti e li impasto. Faccio riposare il composto per quarantacinque minuti, quindi inforno in una teglia unta con olio d'oliva. Faccio cuocere per circa un'ora e mezza.
Le castagne furono talmente fondamentali per l'alimentazione e, spesso, sopravvivenza delle popolazioni dell'entroterra, da essere considerate il pane dei poveri. Oltre a questa esplicita metafora, va detto che un po' di farina di castagne veniva sempre unita a quella più preziosa e rara di grano per preparare il pane. Tale variante arricchiva di zuccheri il prodotto da forno e lo rendeva più sostanzioso e nutriente. Questo tipo di pane scuro, di tradizione domestica, dall'aroma delicatamente dolce che gli viene conferito dalla presenza della farina di castagne nella miscela di preparazione, prese il nome di Pan Martìn probabilmente dal giorno di San Martino, 11 novembre, quando era pronta la farina di castagna. Il Pan Martìn è ottimo consumato caldo insieme al latte, ai formaggi e ai salumi dell'entroterra. La zona di produzione è l’entroterra spezzino e genovese, in particolare, val di Vara, val Graveglia e valle Sturla Il luogo dove veniva posto tradizionalmente il testo era l'essiccatoio. La parte inferiore delle seccatoio, infatti, fungeva anche da cucina: dal solaio pendeva un gancio al quale si applicava la campana, che creava, calata sul testo con un meccanismo di contrappesi, un rustico forno.

PANE D'ORZO
pan d'ordiu carpasinn-a
Nella valle Argentina in provincia di Imperia, alle falde del monte Grande, sorge un antico paese caratterizzato dall'architettura tipica montana della zona, con i muri in pietra a vista e i tetti in ardesia. È Carpasio, il cui nome sembra derivi da Cara Pax, un trattato di pace stipulato tra i Liguri e i Romani. Carpasinn-a, pane d'orzo, è invece il nome del prodotto tipico di questo borgo dalla storia antica e di Badalucco. C'era un tempo in cui il grano era raro e pertanto si macinavano anche altri cereali per ottenere la preziosa farina, tra questi c'era anche l'orzo che qui sostituiva il frumento nella realizzazione del pane. Oggi l'orzo per la produzione di questo pane arriva ormai dal Piemonte. La carpasinn-a è sostanziosa ma molto dura, tanto da dover essere ammorbidita nell'acqua prima di venir consumato condita con olio, aglio, pomodoro, acciughe e foglie di basilico come accade per le friselle meridionali.
Nel mese di settembre a Carpasio si rivivono i tempi della transumanza e protagonista della festa è la carpasina che insieme al latte e al formaggio, rappresenta il cibo dei pastori quando per alcuni mesi vivevano negli alpeggi.
Pane d'orzo biscottato, di consistenza dura e dal caratteristico colore dorato.
Ingredienti:
farina d'orzo, acqua, lievito di birra.
Lavorazione:
impastare la farina con l'acqua e il lievito di birra. Lasciare in riposo l'impasto coperto con la farina di orzo. Riprendere l'impasto lavorandolo bene e a lungo, formando poi delle lunghe pagnotte. Con un filo di spago tagliare delle fette che devono essere disposte nelle teglie e cotte nel forno a legna non troppo caldo per un'ora. Togliere dal forno, girare dall'altra parte e rimettere in forno, completare la cottura per un'ora ancora, sempre a bassa temperatura.

PANE DI CASTAGNE
pane di castagne calabrese
Il Pane dei castagne (o di castagna) è un tipico alimento che veniva usato dalle popolazioni più disagiate, soprattutto nei centri delle aree interne delle Calabria, come alimento alternativo al più costoso pane tradizionale ottenuto dalla farina 00, ma anche per sfruttare la castagna, di cui sono molto ricche alcune aree della regione. Il pane veniva prodotto e consumato soprattutto nei periodi invernali, quando molti centri montani rimanevano completamente isolati a causa delle abbondanti nevicate, e risultava difficile il reperimento della farina per la produzione del pane.
Questo prodotto assume forma circolare, di piccole dimensioni e del peso di 1 o 1,5 kg. E' un prodotto ricavato dalla lavorazione della farina di castagne, farina prodotta per metodo di essiccazioni delle castagne dopo adeguata lessatura e successiva trasformazione in purea, oppure con le castagne macinate dopo essiccazione.

PANE DI PATATE

Questo tipo di pane è sinonimo di povertà: era infatti consumato soprattutto dalle famiglie meno abbienti che utilizzavano le patate in sostituzione di parte della farina di grano, economiche e sostanziose, la cui produzione risulta tutt'oggi notevole nelle valli del Casale e del Pignone in Comune di Pignone. Rappresenta un modo di mangiare povero legato strettamente alle condizioni socio-economiche di queste valli. I panini sono ottimi se serviti unitamente a saporiti insaccati.
Pane ottenuto dall'impasto di farina e patate, di forma tonda o allungata e di piccole dimensioni: il suo peso massimo è infatti di mezzo chilo. Il colore è dorato, la crosta è molto saporita e racchiude un interno morbido.
1 Kg farina di grano, 

2 Kg di patate di Pignone, 
sale q.b., 
poco olio e lievito. 
Con queste dosi si ottengono circa 3 Kg di pane.
Nel tondo della farina opportunamente lavorata mettere le patate bollite e passate, aggiungendo un pizzico di sale e poco olio. Dividere il composto ottenuto in piccoli pezzi, schiacciandoli leggermente con il palmo della mano. Lasciare lievitare per un ora circa in ambiente caldo. Intanto, portare il forno a 150°C di temperatura, quindi mettere i panini in una grande teglia unta con poco olio e infornare il pane. Qualora si disponga di un forno a legna non occorre la teglia. Il pane sarà pronto quando inizia ad acquisire la classica doratura. Si consiglia di consumare il pane entro due giorni.

PANE DI SEGALE
Il pane nero, o pane di segale, è un tipo di pane di colore più scuro, usato in sostituzione al pane bianco, soprattutto nelle regioni di lingua tedesca e scandinava.
Questo pane viene impastato usando la farina di segale, al posto di quella bianca, dato che la segala era maggiormente resistente ai climi freddi tipici dei paesi montani, ma anche all'aridità.
Nella cucina altoatesina esistono storicamente tre variazioni di pane nero:
il Vinschger Paarl: questo pane viene impastato usando farina di segale e grano; il panino viene ottenuto unendo due pani rotondi e piatti, da qui il nome “paarl”, ovvero coppia. Di questo pane si è riscoperta la ricetta, che era custodita dai frati benedettini dell'Abbazia di Monte Maria, sopra Burgusio nel comune di Malles.
il Schüttelbrot (letteralmente: pane scosso), la schiacciata tradizionale della val d'Isarco. Il nome del pane è dovuto al fatto che l'impasto a tre quarti della lievitazione viene battuto e appiattito utilizzando un’assicella di legno rotonda.
il Pusterer Breatl della val Pusteria, si ottiene impastando farina di segale e di grano.
Queste tipologie di pane sono nate come un pane per poveri, che veniva cotto soltanto due/tre volte l'anno e conservato al buio.
In Valtellina il pane di segale, pan de séghel è prodotto in tre varianti:
la ciambella del diametro di circa 15 cm e di 1,5 cm di altezza
la Brazzadéla ossia la ciambella fatta essiccare al sole infilzandola su pioli di legno.
la ciambella con aggiunta di anice.
In Valtellina è possibile trovare ogni giorno il pane di segale fresco oppure la Brazzadelà confezionata. Il pane di segale con l'anice è reperibile soprattutto in alta Valtellina.

PANELLA
La panella, detta anche pattona, decisamente sostanziosa e saporita, era consumata come piatto unico dai contadini. La totale mancanza di grassi non permetteva però un apporto nutrizionale completo che veniva soddisfatto da altri piatti. In valle Sturla la panella era utilizzata anche in sostituzione del pane. Veloce da preparare e da cuocere, si trovava sulle mense ad accompagnare il pasto giornaliero. Per le occasioni si arricchiva di pezzi di salsiccia. Lo stesso piatto era anche preparato sostituendo alla farina di castagna quella di mais.
Tipica del Levante ligure è una preparazione a base di farina di castagne, di forma circolare e con un colore marrone più o meno intenso a seconda del grado di cottura.
Ingredienti: 1 chilo di farina di castagne, acqua, sale, olio extravergine d'oliva
Preparazione: ponete la farina di castagne, ben setacciata, in un recipiente, e aggiungete acqua a temperatura ambiente, in modo da formare un impasto cremoso. Quindi procedete alla cottura versando la pastella in una teglia unta e ponendo in forno a 180° per circa un'ora. La panella sarà pronta quando la crosta incomincerà a spaccarsi.
Nella versione antica la panella si cuoceva su fuoco a legna in un testo in terracotta o ghisa. In questo modo era possibile arricchire la preparazione con foglie di castagno, usate per evitare che il composto si attaccasse come una sorta di antica carta-forno.
Le foglie di castagno si dovevano raccogliere a fine luglio direttamente dagli alberi oppure a settembre-ottobre prima che cadessero (la tradizione vuole che il giorno di San Lorenzo non si dovessero raccogliere foglie, in quanto non si sarebbe riusciti a conservarle). Queste foglie ordinate in fasci di spago erano poste ad essiccare al chiuso o all'aperto. Così conservate, a causa dei bordi troppo stropicciati, non sarebbero state adatte all'uso: si provvedeva quindi alla loro preparazione qualche giorno prima di usarle. Bagnate in acqua bollente, si lasciavano scolare (per evitare formazione di muffa) e si ponevano sotto peso in careghèira per circa mezza giornata. Rimaneva quindi solo da applicare l'arte della loro corretta disposizione sul tagliere, pena l'imperfetta riuscita del piatto, e ricoprirle con il composto steso.
Intanto il testo, generalmente posto nell'essiccatoio delle castagne, veniva fatto scaldare con fuoco di legna per circa 20-30 minuti. Si asportavano quindi le braci, e si faceva scivolare dal tagliere sul basamento l'alimento da cuocere, si chiudeva la campana (cioè la parte superiore del testo) e si lasciava per il tempo necessario alla cottura, senza mai aprire. Il coperchio o campana del testo, era movimentata attraverso un contrappeso, per permettere con minimo sforzo la regolazione della sua altezza.

1 chilo di farina di castagne,
acqua,
sale,
olio extravergine d'oliva
Ponete la farina di castagne, ben setacciata, in un recipiente, e aggiungete acqua a temperatura ambiente, in modo da formare un impasto cremoso. Quindi procedete alla cottura versando la pastella in una teglia unta e ponendo in forno a 180° per circa un'ora. La panella sarà pronta quando la crosta incomincerà a spaccarsi.

PANIGACCIO
Il panigaccio è un tipo di pane rotondo, non lievitato, cotto in uno speciale piatto di terracotta e mica, chiamato Testo, arroventato a fuoco vivo in un falò o in un forno a legna. Una pastella di farina, acqua e sale si frappone tra un testo e l'altro, sino a formare una pila. La consistenza finale è morbida o croccante a seconda del tempo di cottura.
Si possono gustare con gli affettati, formaggi molli come lo stracchino e e il gorgonzola, o con vari sughi, da quello di funghi al pesto. Il modo più adatto per gustarli con dei sughi è quello di farli bollire una volta raffreddati, servirli e versare il sugo, creando un primo piatto originale. In alcuni ristoranti della Lunigiana esiste la variante "dolce": si servono a fine pasto con della cioccolata da spalmare.
I panigacci hanno origini molto antiche, sono diffusi nella Lunigiana ed hanno i natali nel paese di Podenzana, dove è stato costituito un consorzio tra i ristoratori, per mantenere inalterato il sapore antico di questo semplice prodotto. In Liguria i testi di terracotta e mica, vengono fabbricati da tempo immemorabile ad Iscioli, nel comune di Ne, nell'entroterra di Chiavari e si possono trovare nei negozi e nei consorzi agrari del chiavarese. Nella seconda guerra mondiale, quando i tedeschi distrussero un ponte che collegava il comune di Podenzana con il resto della regione, gli abitanti del comune sopravvissero mangiando panigacci fatti con farina di ghiande e castagne. A Ponzanello (Comune di Fosdinovo) un piatto tipico sono le focaccette, una variante dei panigacci.
Sono fatti con acqua, farina e sale e si preparano mescolando gli ingredienti fino a ottenere una pastella fluida. Tale pastella viene quindi versata nei testi, precedentemente lasciati arroventare su di un fuoco vivace, tipicamente in un falò o in un forno a legna. Quando sono roventi al calor rosso, vengono estratti dal forno e fatti raffreddare un poco poi viene fatta una pila di testi, in modo tale che stando nel mezzo la pastella si cuocia sui due lati. Una volta "smontata" la pila i panigacci si servono in cestini di vimini e usati come companatico di salumi e formaggi cremosi. In Liguria i panigacci si chiamano testaieu e si servono durante le feste di paese autunnali, nell'entroterra del levante, con un sostanzioso strato di pesto alla genovese, con parmigiano grattugiato o dolci al miele e naturalmente un vino nuovo nostralino.
I panigacci cuociono in pochi minuti a temperature molto alte e non necessitano di lievitazione.

PIADINA
La piadina romagnola, è un prodotto alimentare composto da una sfoglia di farina di frumento, strutto (o olio di oliva), sale e acqua, che viene tradizionalmente cotta su un piatto di terracotta, detto teglia (teggia in romagnolo), ma oggi più comunemente viene cotta su piastre di metallo oppure su lastre di pietra refrattaria chiamate "testo" (test in dialetto). È, per dirla con Giovanni Pascoli, «il pane, anzi il cibo nazionale dei Romagnoli»: in realtà, lo era innanzitutto per i più poveri.
La piadina romagnola è inserita nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani della regione Emilia-Romagna.
Diverse sono le correnti sull'origine della piadina e sulla sua forma e impasto originale. Fin dagli antichi Romani ci sono tracce di questa forma di "pane". La prima testimonianza scritta della piadina risale all'anno 1371. Nella Descriptio Romandiolae, il cardinal Legato Anglico de Grimoard, ne fissa per la prima volta la ricetta: "Si fa con farina di grano intrisa d'acqua e condita con sale. Si può impastare anche con il latte e condire con un po' di strutto". I prodromi dell'odierna piada possono essere individuati anche in una focaccia a base di farina di ghianda ed altre farine povere in uso in tempi antichi nel territorio del Montefeltro.
L'etimologia è incerta; i più riconducono il termine piada (piê, pièda, pìda) al greco placus, focaccia. Originariamente, in effetti, è una schiacciata lievitata e ben condita cotta nel forno: come tale è citata nel 1371 nella Descriptio Romandiole. In seguito (dal Cinquecento all'Ottocento), mentre assume la forma attuale, altro non è che un surrogato del pane confezionato con ingredienti per lo più vili e impanificabili (spelta, fava, ghianda, crusca, sarmenti, mais, ecc.). La piadina di farina di grano è relativamente recente, così come le sue varianti ricche: la piadina unta, quella sfogliata e quella fritta. Un'altra ipotesi interessante consiste nel riscontrare la somiglianza con i termini utilizzati in altre lingue per indicare piatti simili, nell'ambito di tutti i paesi che ruotavano nell'orbita dell'Impero Romano d'Oriente (tra i quali anche la Romagna, ovviamente). Basti pensare all'ebraico pat, che significa "pagnotta" o "pezzetto", a "pita", che esiste ancora nell'aramaico del Talmud babilonese ed indica il pane in generale, o a "pide" in turco. È facile pensare, nel caso della piadina, al pane in uso presso l'esercito bizantino, di stanza per secoli in Romagna, nel nord delle Marche (fino a buona parte della provincia di Ancona), e nella valle umbra attraversata dalla via Flaminia.
Usi
Può essere mangiata come surrogato del pane per accompagnare varie pietanze nel corso del pasto.
Piadina farcita
Più spesso però viene piegata a metà e farcita in vario modo: con pezzi di salsiccia cotti alla brace o alla piastra e cipolla; con affettati vari di suino; con la porchetta; con rucola e squacquerone; con erbette o verdure gratinate; con crema gianduia, confetture o Nutella.
Cassone o crescione
Il cassone o cascione o crescione (in romagnolo carson o casòun) è una tipica preparazione basata sulla piadina dove la sfoglia viene farcita, ripiegata e chiusa prima della cottura. La farcitura di erba crescione, che ora è difficile da trovare, ma un tempo abbondava lungo i fossati, ne darebbe il nome: questa erba - di per sé già saporita - poteva venire ulteriormente insaporita con aglio, cipolla, o scalogno. Questa usanza deriverebbe dal largo uso che si è sempre fatto nella cucina romagnola di erbe (compresa la "bietola", ovvero le foglie della barbabietola che si raccoglievano per diradarne la coltura)
Oggi le farciture più comuni, con variazioni da luogo a luogo, sono: alle erbe, chiamato anche 'cassone verde', (può trattarsi di spinaci e/o bietole, e nel riminese anche 'rosole' (papaveri,  macerate nel sale), con o senza ricotta e formaggio grattugiato; con una base di mozzarella e pomodoro abbinata o meno con salumi, e chiamato anche 'rosso'; con zucca e patate, spesso arricchite di salsiccia o pancetta.
Tortello alla lastra
Il tortello alla lastra, forma tipica della Romagna Toscana, si prepara stendendo l'impasto della piadina con il matterello, per ottenere una sfoglia sottile. Questa viene farcita con un ripieno che può essere di patate lesse passate e condite con cipolla, pecorino, noce moscata, pancetta e sale, o con erbe (biete o spinaci) lessate, ricotta e formaggio grattugiato. Il ripieno viene distribuito su metà della sfoglia e coperto con l'altra metà; con la rotella si chiudono i tortelli, dividendoli in forme quadrate di 5–10 cm di lato circa. I tortelli vengono poi cotti sulla lastra per alcuni minuti, girandoli più volte come si fa con i crescioni.
Forme recenti
Forme recenti, e meno diffuse, sono il cosiddetto rotolo, preparato farcendo una piadina sottile che viene poi avvolta su sé stessa, e la piadizza®, recentemente registrata dal gruppo Piada & Piada che opera in USA così chiamata perché farcita da stesa come una pizza. Esiste anche una diversa piadina chiamata sfogliata che risulta più friabile dato che contiene un quantitativo consistente di strutto.
Diffusione
Commercializzata fresca, realizzata sul momento, in appositi chioschi anche detti piadinerie diffusi in tutta la Romagna, diffusissimi nella Riviera Romagnola, è possibile trovarla anche confezionata precotta presso la grande distribuzione. I chioschi della piadina sono colorati a bande verticali, con colori standardizzati per varie località romagnole.
A seconda della zona di preparazione ci sono alcune differenze tra piadina e piadina, per quanto riguarda la forma e la consistenza. Nel ravennate e nel forlivese è spessa e soffice, mentre nel riminese e nel pesarese è più sottile e talvolta di diametro leggermente maggiore. La piadina pesarese, poi, chiamata anche crescia o crostolo nell'entroterra, è sfogliata e saporita.
Pur essendo tipica della Romagna è ormai conosciuta in tutta l'Italia ed all'estero.
Promozione e protezione
Fra il 2002 e il 2003 si sono costituite tre associazioni per la promozione e la tutela della piadina romagnola e promotrici dell'attribuzione dell'Indicazione Geografica Protetta (marchio IGP): l'Associazione per la valorizzazione della Piadina Romagnola, l'Associazione per la promozione della Piadina Romagnola e il Comitato per la valorizzazione della piada riminese com'era e dov'era.
I marchi IGP richiesti sono: Piadina Terre di Romagna e Piada Romagnola di Rimini, differenziate fra loro principalmente per spessore e dimensioni.
Il marchio Piadina è registrato in più di 30 paesi da una ditta svizzera (Renzi AG) alla WIPO e non può essere prodotto o diffuso in questi paesi senza l'autorizzazione di questa.

Farina 500 g
Strutto 125 g
Sale fino 17,5 g
Acqua 90 ml
Lievito chimico in polvere per preparazioni salate 7,5 g
Miele 5 g
Zucchero semolato 15 g
Latte 100 ml
Per realizzare la piadina setacciate la farina e il lievito nella tazza di una planetaria munita di foglia, aggiungete lo strutto (in alternativa sostituitelo con la stessa quantità di olio di semi), il miele e azionate la macchina a velocità media per 5 minuti. Poi fermate la planetaria, incorporate lo zucchero e versate il latte a filo e sostituite la foglia con il gancio e continuate ad impastare. Mentre la planetaria impasta aggiungete l’acqua poco alla volta e per ultimo unite il sale. Quando l’impasto sarà omogeneo e si staccherà dalle pareti della tazza, spegnete la planetaria e riponete il panetto ottenuto in una ciotola e copritelo con la pellicola trasparente. Lasciate lievitare l’impasto per un ora in un luogo tiepido come il forno spento con la luce accesa. Trascorso il tempo si riposo riprendete l’impasto e stendetelo con il mattarello su un piano di lavoro leggermente infarinato, dovete ottenere una sfoglia di 2 mm circa. Ritagliate le piadine con un coppapasta da 24 cm di diametro. I ritaglia avanzati si possono lasciare riposare qualche minuto e poi impastare nuovamente. Le piadine sono pronte per la cottura: scaldate una padella dal fondo basso e cuocete le piadine su entrambi i lato per 2 minuti. Durante la cottura bucherellate la piadina con una forchetta e, se si formeranno delle bolle in superficie, schiacciatele con un coltellino o i rebbi della forchetta. Una volta cotta, trasferite la piadina su un piatto di portata e farcitela con salumi e formaggi a vostro piacimento e poi gustatela ben calda.

PIRILLA
La pirilla è un pane prodotto durante la panificazione casalinga tradizionale, ottenuto con impasto lievitato di acqua e farina di grano duro. Ottenuta per colatura diretta sulla pietra di un forno a legna con l’aiuto di una paletta. Ha una forma rotondeggiante di circa 20 cm di diametro e pochi centimetri di spessore, presenta la faccia superiore liscia, quasi levigata, dura ma non croccante. La pasta interna ha un aspetto compatto e quasi gommoso con piccoli alveoli. Richiede brevi tempi di cottura (meno di un'ora).
Nella pasta, specie se nata per essere mangiata senza condimento, possono essere inserite olive nere intere per dare sapore, a volte uva passa. Se la pirilla contiene altri ingredienti, come pomodoro, pezzi di zucca, cipolla, ecc. può prendere localmente un nome più specifico (ad esempio cucuzzata).
Lo spessore e la pasta compatta permettono un comodo spacco per la farcitura. La farcitura più usata era il pomodoro fresco, spesso solo il seme e gli umori interni del pomodoro, olio e sale. Pure peperoni fritti, a volte pure accompagnati da pomodoro fresco. Vanno molto bene le farciture che bagnano la pasta e l’ammorbidiscono un po', come i sughetti di pomodoro, cipolla e peperoni ma pure i pezzetti di carne di cavallo. Una variante sfiziosa della farcitura sono i peperoni fritti con fette di mortadella.
Presenta vari sinonimi nel Salento. I più usati sono pirilla (Ortelle, Castro), pitilla (Specchia Gallone, Poggiardo, San Cesario di Lecce), 'mpilla (Sannicola), pilla (Cursi, Cutrofiano, Melpignano, Otranto), simeddhra (Tricase, Depressa).
La pastina era preparata coi resti degli impasti recuperati dai lavaggi dei contenitori. Nella panificazione tradizionale era prodotta in pochi pezzi e generalmente destinata al consumo degli stessi panificatori occupati per diverse ore nelle operazioni di impasto e cottura. A volte era prodotta      appositamente con impasti ad hoc per il consumo casalingo e per distribuzione tra parenti e amici. Non era destinata alla vendita. Con la riscoperta delle antiche tradizioni alcuni forni industriali la producono e la vendono.
Nella tradizione salentina, comune ad altre tradizioni contadine, si procedeva con cadenza regolare alla panificazione, spesso in capientissimi forni a legna pubblici. Gli intervalli di panificazione potevano essere variabili, da cadenze bisettimanali fino a periodi di oltre tre mesi, per cui il quantitativo di farina di una o più famiglie associate, poteva costituirsi anche da un impasto di 100-200 kg. Nella panificazione una quota limitata (20%) si costituiva da pezzi pane morbido da consumarsi nei primissimi giorni in genere da tagliarsi a fette. Moltissime risultano le varianti del pane fresco spesso associate alla presenza nell'impasto di olive nere, zucca, cipolla, ecc.. o a particolari lavorazioni (taralli, pirille, ecc..) per il consumo diretto senza particolari condimenti aggiunti. La quota maggiore dell'impasto di panificazione veniva riservato, in genere, alla produzione di friselle, un biscotto di più lunga conservazione rispetto al pane fresco garantendo intervalli di panificazione maggiori.
Al termine della infornatura, i recipienti e le madie sporche dell'impasto lievitato venivano sciacquate con pochissima acqua e la pastina ottenuta calata direttamente sul piano arroventato del forno. Si cuoceva molto in fretta e veniva consumata nel forno stesso per una colazione di ristoro tra gli addetti.
La pirilla, pertanto, rappresenta più che un tipo di pane, una testimonianza del mondo agricolo arcaico ormai scomparso e molti comuni nel leccese la omaggiano con feste e sagre. La più importante e consolidata è la Festa della Pirilla nel Comune di Ortelle che nell'estate del 2009 si è svolta per la ventinovesima volta, essendo tra l'altro una delle più antiche sagre gastronomiche in assoluto nella Provincia di Lecce. All'evento è accordato il patrocinio da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri - Ministero per i Rapporti con le Regioni, del Presidente della Regione Puglia e del Comune stesso.

PITTA

La pitta è un tipico prodotto di panetteria calabrese. La pitta generalmente è una specialità da forno (tipo una focaccia) preparata con l'impasto per il pane che accompagna tradizionalmente il Morzeddhu alla catanzarisi.
farina 0 (1000gr)
lievito di birra fresco (25 gr) o una bustina di quello secco
1 cucchiaio raso di sale fino
strutto(60 gr)
1 cucchiaino di malto (facoltativo)
acqua (575 ml).
In Calabria assieme al pane "normale" per la famiglia, si faceva spesso anche una pitta chjina (pitta ripiena, dove pitta è un nome generale per una forma di pane). Tale prodotto ha l'aspetto di una pizza chiusa, ovvero formata da due strati di pasta con il ripieno al loro interno.

ROSETTA
La michetta, conosciuta in buona parte d'Italia anche come "rosetta", è un tipo di pane soffiato (quindi cavo al suo interno) che si riconosce dal tipico stampo a stella con "cappello" centrale.
Molto diffusa in Lombardia, specialmente a Milano, la michetta è stata il pane degli operai fin dal 1700, epoca durante la quale la lavorazione del pane era quasi completamente manuale.
I funzionari dell'Impero Austro-Ungarico, cui faceva capo la Lombardia dopo il trattato di Utrecht del 1713, portarono con sé a Milano alcune novità alimentari (che i Milanesi fecero proprie fino al punto di farle diventare un prodotto della loro tradizione alimentare), come l'allora famoso Kaisersemmel, un panino variabile da 50 a 90 grammi e dalla forma di una piccola rosa.
I risultati non furono, però, incoraggianti: il Kaisersemmel a Milano non rimaneva, come a Vienna, fresco e fragrante fino a sera: si rammolliva velocemente, divenendo "gommoso". L’umidità del clima lombardo penetrava eccessivamente in un prodotto igroscopico come il pane, a differenza di quanto accadeva nel più asciutto clima viennese.
Bisognava privare quel pane della mollica, svuotarlo, alleggerirlo, renderlo "soffiato": così sarebbe stato fragrante e digeribile, garantendone una migliore conservazione. I maestri panificatori milanesi riuscirono nel loro intento, creando un pane unico le cui caratteristiche l’hanno reso famoso.
Il termine michetta nasce in questo periodo. Infatti i Milanesi chiamarono il Kaisersemmel con il diminutivo di “micca”, ossia “michetta”, micchetta in milanese. La "micca", o "mica", era un pane che aveva una certa diffusione nell’Italia del nord e il cui termine, in origine, significava briciola.
Nel 2007 la michetta ottiene, dal Comune di Milano, il riconoscimento “De.Co.”(Denominazione Comunale), assegnato dal capoluogo lombardo ai prodotti gastronomici tradizionali milanesi.
La preparazione della "biga", ovvero la pasta lievitata e fermentata, avviene mescolando ed impastando farina di forza (100%), acqua (35%) con malto (0,1%) e lievito (1%) fino ad ottenere un impasto piuttosto sostenuto dalla texture perfettamente omogenea, viene quindi lasciato riposare per almeno 16 ore (tempo che varia in funzione della temperatura ambientale). La preparazione dei pastoni (forme di pasta arrotondate) avviene impastando la biga con farina di forza (20% della dose iniziale) acqua (quanto basta per ottenere un impasto asciutto e morbido) e sale (0,5% del peso totale).
Questo impasto deve avere una buona elasticità ed una texture perfetta (impastare almeno 30 min con la macchina al minimo), viene quindi passato al cilindro (macchina che ha la funzione di raffinare ulteriormente la pasta) e poi suddiviso in pezzi di circa 3kg che adeguatamente arrotondati vengono "puntati" cioè lasciati a lievitare per circa 30 min. In seguito alla lievitazione dei pastoni avviene la "spezzatura della pasta" con apposite macchine automatiche o manuali, che dividono il pastone in 37 pezzi esagonali nella forma e di ugual peso, a questo segue immediatamente l'operazione di stampa mediante macchina stampatrice o stampo a mano; vengono messe le michette su appositi telai per infornare, coperte con tela o fogli di plastica per conservarne l'umidità e lasciate lievitare per altri 30 min.
Le Michette vengono infornate tra i 220° ed i 250° a discrezione del fornaio, viene immesso abbondante vapore acqueo all'interno della camera di cottura. La cottura richiede circa 25 minuti. nei primi minuti di cottura la superficie gelatinizza a causa del rilascio di amilopectina dai granuli di amido presenti nella farina che si rompono per effetto del calore aumentando così la viscosità dell'impasto che imbastisce una trama reticolare formata dalle glutanine aumentandone l'elasticità, il lievito per effetto del calore sviluppa anidride carbonica ed etanolo che gonfiano il prodotto creando un cavo all'interno del pane che dona alla Michetta la caratteristica soffiatura.
Esistono altri pani che seguono gli ingredienti ed il processo di lavorazione della michetta, come il “maggiolino” e la “tartaruga”.

SGABEI
SGABEI
400 g di farina,
20 g di lievito di birra,
sale,
un bicchiere e ½ di acqua,
½ litro di olio evo (per friggere).
Lavorare bene l'impasto che dovrà presentarsi morbido. Lasciare lievitare per circa un'ora, quindi stendere la pasta e tagliare a strisce della larghezza di cm. 3 e della lunghezza di cm. 15 circa. Fare riposare per mezz'ora, poi friggere in olio caldo e abbondante. Quando diventano dorati, sgocciolarli, asciugarli e servirli caldi aggiungendo sale. Si servono con formaggi e salumi.
Gli sgabei sono strisce di pasta lievitata della larghezza di circa 3 cm e della lunghezza di circa 15 cm. Vengono fritti in olio evo e quando raggiungono la giusta doratura si servono caldi. La ricetta degli sgabei ha radici nella val di Magra, dove le donne friggevano la pasta avanzata del pane trasformandola in un gustoso pane fritto croccante, da mangiare con i salumi o i formaggi. Alla farina bianca veniva mescolata un po' di farina gialla che ha il potere di renderli più croccanti e asciutti. Si portavano all'ora di pranzo agli agricoltori avventizi che andavano a giornata. Allora venivano fritti nello strutto e a volte arricchiti con uva passa. Oggi, diversi ristoranti della provincia li cucinano per i propri clienti, contribuendo a conservare le tradizioni e a rispettare la memoria storica della val di Magra.
Gli sgabei sono strisce di pasta lievitata per circa un'ora in luogo caldo, della larghezza di circa 3 cm e della lunghezza di circa 15 cm. Vengono fritti in olio extravergine di oliva e quando raggiungono la giusta doratura si servono caldi. La ricetta degli sgabei ha radici nella val di Magra, dove le donne friggevano la pasta avanzata del pane trasformandola in un gustoso pane fritto croccante, da mangiare con i salumi o i formaggi. Alla farina bianca veniva mescolata un po' di farina gialla che ha il potere di renderli più croccanti e asciutti. Si portavano all'ora di pranzo agli agricoltori avventizi che andavano in giornata. Allora venivano fritti nello strutto e a volte arricchiti con uva passa. Oggi, diversi ristoranti della provincia li preparano e li cucinano per i propri clienti, contribuendo a conservare le tradizioni e a rispettare la memoria storica della val di Magra. È facile trovarli di accompagnamento ad altri piatti nelle sagre paesane estive.

TARALLO
Olio extravergine di oliva 125 gr
Vino bianco secco 200 ml
Sale 10 g
Pepe q.b.
un cucchiaino di semi di finocchietto
Farina tipo 00, 500 gr
Versate in una ciotola la farina e aggiungete l’olio, il sale, il pepe (o i semi di finocchietto) e infine il vino bianco. Impastate gli ingredienti e quando saranno amalgamati trasferite il tutto su di un piano di lavoro (meglio se su di un’asse di legno) e impastate per almeno 20 minuti fino a che il composto sarà liscio ed elastico; la sua consistenza deve essere più compatta dell’impasto del pane. Mettete l’impasto per i taralli in una ciotola e copritelo con della pellicola, quindi fatelo riposare per almeno mezz’ora al fresco. Trascorso il tempo indicato dividete l’impasto in pezzetti del peso di 7-8 gr l’uno e con il palmo della mano ricavate dei bastoncini del diametro di 1 cm circa lunghi 8 cm. Unite le due estremità del bastoncino per formare un cerchio o una goccia (come più vi piace). Ponete tutti i taralli ottenuti su di un canovaccio pulito e poi portate a bollore un tegame contenente dell’acqua: buttateci dentro una dozzina di taralli. Non appena i taralli verranno a galla scolateli e adagiateli in un vassoio foderato con un canovaccio pulito. Dopo un minuto trasferite i taralli su di una teglia foderata con carta forno e infornateli in forno già caldo a 200 ° per circa 30 minuti (o fino a che non saranno appena dorati). Estraete i taralli dal forno, toglieteli dalla teglia e lasciate raffreddare completamente i taralli prima di gustarli.
Il Tarallo è un prodotto da forno tipico della Puglia, della Campania e della Calabria classificato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come Prodotto agroalimentare tradizionale. Viene comunque prodotto anche in altre regioni d'Italia, ad esempio in Basilicata ove esiste una variante (il tarallo aviglianese) fatta con glassa di zucchero fondente, che gli permette di assumere una colorazione bianco neve, e profumata all’anice. Principalmente si tratta di un anello di pasta non lievitata cotto in forno. L'impasto base è composto di farina, acqua, olio e sale.

TIROTTO
Il paese di Sassello, l'antica Salsole, in provincia di Savona, sembra essere stato già abitato dai tempi della preistoria, come dimostrano ritrovamenti litici. Intorno all'anno mille la sua storia è legata a quella dell'impero di Sassonia e nel Medioevo i Trovatori dedicarono più canzoni alla bellezza delle dame locali che non alle qualità d'arme dei suoi cavalieri.
Ricco di emergenze storico naturalistiche, Sassello è stato insignito della Bandiera arancione testimone dell'alta qualità ambientale. L'eccellente composizione oligominerale dell'acqua e la purezza dell'aria sono fattori fondamentali per la riuscita del pane qui prodotto, il tirotto.
Il nome deriva dal nome del pane detto tira, di forma arrotolata che prima della cottura viene leggermente tirato.
Il tirotto è un pane speciale e ne esistono diverse tipologie: tirotto comune, senza grassi aggiunti; tirotto all'olio, con aggiunta di olio; tirotto di patate, arricchito di olio e patate.
Prodotto a base di farina di grano e patate, dalla forma tirata e arrotolata leggermente, può essere condito (pane speciale) e non.
farina, 

acqua, 
sale, 
lievito, 
olio e patate.
Unire la farina con l'acqua il sale e il lievito e formare delle pagnotte di forma allungata. Dopo la lievitazione, usare le dita per formare i caratteristici buchi sulla superficie, che deve essere oliata e salata. Dopo un ulteriore periodo di lievitazione, si possono infornare.

Corso di cucina: 35 CONOSCERE LE FARINE

🌾 Farina: la polvere che ha fatto la storia

Se ci pensi, la farina è come la sceneggiatrice silenziosa della nostra vita quotidiana: senza di lei niente colazioni con brioche, niente pizze tra amici, niente domeniche di lasagne. Eppure, a differenza di altri ingredienti che amano stare sotto i riflettori (vedi il cioccolato o l’olio extravergine), lei preferisce recitare dietro le quinte.

Ma attenzione: dire “farina” è come dire “automobile”: dietro c’è un intero parco macchine. Alcune leggere e veloci, altre robuste e resistenti, altre ancora di nicchia, che vanno tirate fuori per le occasioni speciali.

Facciamo allora un giro nel mondo delle farine moderne, tra tradizione e innovazione.


🏰 “La Regina Bianca” – Farina 00 e 0

La più amata nelle cucine italiane. Bianca, raffinata e leggera, la 00 è perfetta per dolci e pasta fresca, ma non brilla per nutrienti. La sorella maggiore, la farina 0, ha un po’ più di fibre e forza: ottima per pane e pizza.

  • Pro: versatile, facile da lavorare.

  • Contro: povera di fibre e sali minerali.


🌾 “Il Chicco Intero” – Farina integrale

Qui non si butta via nulla: il chicco resta al completo, con crusca e germe. Risultato? Più fibre, più sapore e un profumo rustico. Chiede solo pazienza in lievitazione.

  • Pro: saziante, ricca di nutrienti.

  • Contro: impasti più compatti e lievitazioni lente.


🍞 “Il Pane Quotidiano” – Farina di grano duro (semola e rimacinata)

Gialla e granulosa, è l’anima della pasta italiana. La rimacinata, più fine, regala pani dorati e profumati.

  • Pro: ottima tenuta in cottura.

  • Contro: meno adatta a dolci soffici.


🌽 “La Dorata Polenta” – Farina di mais

Dal bramata rustico al fioretto fine, è regina di polenta, ma anche di biscotti e dolci tradizionali. Senza glutine, è un’alleata nelle miscele alternative.

  • Pro: gluten free, gusto unico.

  • Contro: non panifica da sola.


🍚 “La Leggera Orientale” – Farina di riso

Fine e digeribile, rende croccanti le fritture e soffici i dolci. Spesso usata nelle miscele senza glutine.

  • Pro: digeribile, neutra.

  • Contro: scarsa elasticità.


🥞 “La Fitness” – Farina di avena

Il nuovo idolo delle colazioni fit. Ricca di fibre e proteine, dona morbidezza a pancake e biscotti.

  • Pro: saziante, nutritiva.

  • Contro: gusto meno neutro.


🧆 “La Mediterranea” – Farina di ceci

Profumata e proteica, è alla base di ricette iconiche: farinata, panelle, cecina.

  • Pro: proteine vegetali, sapore intenso.

  • Contro: impasti “pesanti”.


🌰 “La Dolce d’Autunno” – Farina di castagne

Dal castagnaccio ai dolci rustici, porta in tavola dolcezza naturale e ricordi di boschi.

  • Pro: naturalmente dolce, senza glutine.

  • Contro: stagionale, meno versatile.


🌍 “Le Esotiche Avanguardie” – Farine alternative (quinoa, amaranto, teff, cocco, mandorle)

Colorate, ricche di nutrienti, spesso senza glutine. Richiedono però “compagnia”: da sole non sempre funzionano negli impasti.

  • Pro: varietà di gusti e nutrienti.

  • Contro: costose, poco maneggevoli.



• Farina Atta: è un tipo di farina integrale di grano, importante nella cucina indiana, essendo utilizzata per parecchi tipi di pane come il roti e il chapati.
• Farina d’avena:
E' una pianta che appartiene alla famiglie delle Graminacee, coltivata dall'uomo fin dai tempi antichi sia per la sua alimentazione che per quella del bestiame. La sua appartenenza geografica è contrastante, i Paesi che si contendono il merito sono India, Cina ed Egitto. L'avena è composta per 8,5% di acqua, il 14% di proteine e il rimanente 65% da carboidrati e fibre.
L'avena ha innumerevoli proprietà. Grazie al sua alto contenuto di fibre è da considerarsi un ottimo lassativo, la crusca di cui è ricoperta invece possiede proprietà depurative per tutto l'organismo. Viene usata in cucina, sotto forma di fiocchi, per cucinare dolci e zuppe. Ottima anche per tenere a bada il colesterolo "cattivo" se assunta tutti i giorni, con la sua capacità di attirare l'acqua, è in grado di abbassare il colesterolo nel giro di poco tempo. Non a caso la vecchia tradizione popolare riteneva che l'avena fosse un tocca sana per la salute dell'uomo.
• Farina di enrik:
In natura esistono differenti "famiglie" del cereale triticum monococcum nate spontanee e l'enkir è una selezione di alcune di queste: una "popolazione di semi" che negli ultimi due decenni si è adattata naturalmente al nostro territorio mantenendo la propria biodiversità. Per chi spera che nella diversità si possa trovare un prodotto autentico e migliore.
La farina di Enkir, contiene poco glutine ma possiede un alto contenuto proteico, in media il 18% (con punte fino al 24%) ed un elevata quantità di carotenoidi che hanno importanti ruoli nelle funzioni cellulari e che sono efficienti antiossidanti infatti la farina è di colore giallo naturale. Essendo un cereale molto gustoso esalta tutto il suo sapore nelle preparazioni semplici.
• Farina di farro:
è il prodotto della macinazione del farro. Il farro rappresenta il più antico tipo di frumento coltivato ed è utilizzato dall’uomo come nutrimento fin dal Neolitico. Contiene glutine.
• Farina di Kamut:
Kamut è un marchio registrato di qualità, di proprietà dell'azienda americana Kamut, fondata nel Montana da Bob Quinn, dottore in patologia vegetale e agricoltore biologico. Il nome preserva e designa esplicitamente una particolare varietà, mai ibridata né incrociata, prodotta e garantita da agricoltura biologica dall'azienda statunitense, di grano della sottospecie Triticum turgidum ssp. turanicum. La cultivar è nota anche con il nome generico di grano Khorasan, dal nome della regione iraniana dove fu descritto per la prima volta, nel 1921, e dove ancora attualmente si coltiva. Il grano prodotto dalla cultivar, registrata nel 1990 all'USDA (U.S. Department of Agriculture) col nome ufficiale di QK-77, veniva inizialmente venduto nelle fiere agricole del Montana col nome di "grano del faraone Tut". La parola Kamut deriva dal relativo ideogramma geroglifico e significa "grano". Con la direttiva 9180.60 dell'USDA, in data 30 dicembre 2003, la cultivar è definita con il termine generico Khorasan. Il Khorasan può essere coltivato liberamente da chiunque e dovunque, ma solo il consorzio di agricoltori che fa capo all'azienda americana proprietaria del marchio registrato Kamut può usare la denominazione Kamut attraverso la quale intende garantire determinati standard qualitativi e l'assenza di ibridazioni. Il grano khorasan a marchio Kamut viene coltivato con metodo biologico esclusivamente nelle grandi pianure semi aride del Montana, dell'Alberta e del Saskatchewan. Studi scientifici recenti dimostrano che ha qualità e proprietà superiori al comune frumento ma, essendo un antenato del grano duro, ha capacità allergeniche simili al grano comune e non è adatto ai celiaci poiché contiene glutine. Dato l'alto tenore proteico, si presta alla preparazione di paste alimentari ed è molto versatile in cucina. È inoltre utilizzato per la preparazione di pilaf, in aggiunta ad insalate e minestre.
• Farina di mais:
ottenuta dal mais, è popolare in Italia, negli U.S.A. e in Messico. La farina di mais sbiancata con la soda caustica è chiamata masa harina ed è usata per la preparazione di tortillas e tamales nella cucina messicana. In Italia sono molto utilizzate farine di diversi tipi di mais, più o meno raffinate e disponibili in granulometrie diverse: dalla cosiddetta farina "bramata", a grana più grossa, usata soprattutto nel nord per la polenta, alla farina "fioretto", usata anche per la panatura dei fritti e per la preparazione di dolci della tradizione contadina, al cosiddetto "fumetto", una farina a grana finissima ricavata dalla parte più interna dei chicchi di mais, usata anche in pasticceria e, raramente, per panificare. Non contiene glutine.
• Farina manitoba:
La farina manitoba è una farina di grano tenero (Triticum aestivum) del Nord America di ottima qualità. Viene definita una farina "forte" per distinguerla da altre farine, più deboli. La forza della farina viene indicata dal valore del coefficiente "W" misurato con alveografo di Chopin: più alto è il valore, più la farina è forte. Una farina debole ha un valore W inferiore a 170 mentre la manitoba ha un valore W superiore a 350. Questo tipo di farina prende il nome dalla zona di produzione dove inizialmente cresceva un grano forte e resistente al freddo: Manitoba, vasta provincia del Canada, che, a sua volta, prende il nome dall'antica tribù Indiana che l'abitava. Attualmente si definiscono come manitoba tutte le farine con W > 350 qualsiasi sia la zona di produzione e la varietà di grano con la quale viene prodotta.
La caratteristica principale di questa farina è di contenere una grossa quantità di proteine insolubili (glutenina e gliadina) che, a contatto con un liquido nella fase d'impasto, producono glutine. È quindi una farina ricca di glutine e povera di amidi. Il glutine forma una tenace rete che, negli impasti lievitati trattiene i gas della lievitazione permettendo un notevole sviluppo del prodotto durante la cottura; nel caso delle paste alimentari trattiene invece gli amidi che renderebbero collosa la pasta e permette una cottura al dente. Si trova in confezioni industriali e anche in pacchi per uso domestico; viene usata dal fornaio, dal pasticciere, in pizzeria. In Italia per legge la pasta destinata al consumo interno (salvo la pasta fresca) si può produrre esclusivamente con il grano duro, ma in altre nazioni la farina Manitoba è adoperata anche nell'industria della pasta all'uovo. I mulini spesso l'adoperano per "tagliare" altre farine, aumentando in questo modo il coefficiente W totale della farina. L'impasto fatto con la manitoba risulterà più elastico e più forte, adatto per la lavorazione di pane particolare (baguette francese, panettone e pandoro), della pizza a lunga lievitazione, delle ciacce o torte al formaggio pasquali e di particolari paste alimentari.
Ideale anche per la preparazione del Chapati, un pane indiano. La farina Manitoba viene utilizzata anche come base per la preparazione del Seitan, alimento che viene anche definito come "Carne Vegan".
• Farina di miglio:
ottenuta dal miglio. Non contiene glutine.
• Farina di riso:
ottenuta dal riso, è di grande importanza nella cucina orientale. Da essa è possibile ottenere anche carta di riso commestibile. Principalmente la farina di riso è estratta dal riso bianco ed è essenzialmente amido puro, mentre è disponibile in commercio anche la farina ottenuta dal chicco intero. Non contiene glutine.
• Farina di riso glutinoso:
ottenuta dal riso glutinoso, è utilizzata nelle cucine asiatiche orientali e sudorientali per preparare il tangyuan, etc.
• Farina di segale:
ottenuta dalla segale, è utilizzata per cucinare il tradizionale pane a lievitazione naturale di segale in Germania, in Scandinavia, alta Lombardia, Trentino Alto Adige, Piemonte etc. In genere il pane di segale è preparato mescolando farina di segale e di frumento perché la segale ha un basso contenuto di glutine. Il pane di segale (come ad esempio il pumpernickel e il ruisreikäleipä) è solitamente preparato solo con segale e contiene un misto di farina di segale e grano di segale.
• Farina Tang: è un tipo di farina di grano utilizzata principalmente nella cucina cinese per preparare lo strato esterno degli gnocchi e del pane dolce.
• Farina di teff:

è ricavata dal cereale teff, ed è di considerabile importanza nell'Africa orientale (particolarmente attorno al Corno d'Africa). Da notare che è l'ingrediente principale nell'ingerà, un importante componente della cucina etiope. Non contiene glutine.

 

FARINE DA FRUMENTO

La farina è il prodotto ottenuto dalla macinazione di cereali o di altri prodotti. La semola è una farina di granulometria maggiore dove i singoli componenti sono di forma arrotondata e con presenza di poca polvere. es.: zucchero semolato, e semola di grano duro.
Nell'uso comune, il termine farina serve ad indicare quella di grano e in particolar modo quella di grano tenero, mentre si usa la parola semola per la farina di grano duro. Per il loro ruolo nella fabbricazione di pane e di pasta, queste sono infatti le più diffuse nel mondo, tutelate dalle leggi dei diversi paesi.
Farina di Grano tenero
Il grano tenero, o frumento, è la specie di frumento che, per il suo largo impiego nella panificazione e nella produzione di paste alimentari fresche, assume maggior importanza fra i cereali in coltivazione oggi. I frumenti teneri comprendono diverse varietà ed hanno estensione colturale più ampia rispetto ad altri frumenti perché, per la loro buona resistenza al freddo, sono i soli in coltivazione nei paesi nordici.
Le seguenti varietà sono quelle coltivate maggiormente oggigiorno:
·         Salmone: varietà coltivata da diversi anni. Sensibile alle malattie fungine, necessita sempre di un trattamento fungicida al momento della spigatura.
·         Zena: varietà di taglia bassa con ottima resistenza all'allettamento. Abbastanza sensibile alla necessità di un trattamento fungicida.
·         Aztec: varietà francese tardiva. È dotata di un'ottima fertilità di spiga che permette di compensare l'eventuale ridotto accestimento. Sensibile, deve essere assolutamente trattata con un fungicida.
·         Bolero: grano "bianco", di notevole stabilità produttiva. Appartiene alla categoria commerciale dei grani "fini" grazie alle caratteristiche qualitative: elevato contenuto proteico.
·         Guadalupe: frumento con rese elevate che si adatta anche alle semine tardive. Ha un discreto contenuto in proteine.
·         Tibet: specie di media precocità con ottimi potenziali produttivi e buona resistenza all'allettamento e al freddo. Caratterizzato da una granella ovoidale e giallo chiaro.
·         Bologna: uno dei teneri più produttivi nel Nord-Centro Italia, si registrano rese di oltre 8 t/ha in media, ha granella rossa, rientra nella categoria dei panificabili superiori, molto resistente alle fitopatie e risponde bene ad abbondanti fertilizzazioni.
·         Aubusson: frumento tenero panificabile più venduto in Italia, da pochi anni sul mercato spicca per le sue rese fino 9-9,2 t/ha, si distingue dagli altri per la sua stabilità sia fisiologica che areica, ottimo in ogni valore molitorio, ha la capacità genetica di adattarsi ad ogni tipo di terreno e areale di produzione.
Il grano tenero è particolarmente adatto alla produzione di farine per pane e pasta e in commercio ne esistono diversi tipi adatti per il prodotto che si vuole preparare. L’industria molitoria assorbe gran parte del prodotto per la riduzione di farine utilizzate nella panificazione.
Dalla macinazione del grano tenero si ottiene una resa in farina che oscilla tra il 70 e l'82%; il rimanente 18-30% è costituito da cruschello, farinaccio, granito, e crusca per uso zootecnico. La percentuale di farina estratta dal chicco dipende, oltre che dal tipo di grano, anche dai parametri chimico fisici impostati durante la macinazione. I mulini moderni sono ormai automatizzati. Le aziende del settore sono innumerevoli.
Il processo di macinazione del grano tenero inizia con la bagnatura del grano, che se ha un valore W (la cosiddetta forza della farina) uguale o minore di 300 consiste nel portare l'umidità del chicco a 15,5% per 24 ore, mentre se il W ha valore maggiore a 300 a 16,5% per un massimo di 48 ore. Successivamente il frumento viene indirizzato nei mulini che iniziano a spogliare il chicco della parte esterna, che mediante sistemi pneumatici viene depositata in appositi silos. Il risultato finale sarà una farina con caratteristiche fisiche conformi alla lavorazione attesa. I prodotti di scarto come il cruschello, la crusca e il farinaccio possono essere usati per scopi zootecnici se non trattati secondo i termini di legge, altrimenti per scopo umano.
Nella produzione dei prodotti dell'Arte Bianca si utilizzano farine di cui alcune additivate volontariamente, mediante l'aggiunta di: agenti di trattamento, agenti antiagglomeranti, coadiuvanti tecnologici (enzimi come le xilanasi, le lipasi, le transglutamminasi, le alfa-amilasi, le glucosio-ossidasi, ecc.) o glutine vegetale secco, acido ascorbico (E300), L-cisteina per migliorarne le caratteristiche tecnologiche. Gli additivi consentiti dall'attuale normativa sono pertanto: glutine secco, acido ascorbico (E300), L-cisteina (E920), biossido di silice e silicati (E551 - E559), acido fosforico di - tri - polifosfati (E338 - 452), oltre chiaramente a tutti gli enzimi. Le farine derivate da basse estrazioni (abburattamento del 70-75%) provengono principalmente dalla parte centrale del chicco e si contraddistinguono ad occhio nudo per la loro purezza e candore; sono denominate in Italia farina tipo 00. Al contrario, una farina ad alto tasso di estrazione (circa 80%) sarà meno chiara in quanto contiene anche la farina proveniente dalla parte esterna del chicco (strato aleuronico); in relazione al contenuto in ceneri (minerali) possono essere denominate farina tipo 0, tipo 1 o tipo 2. Quando la percentuale di estrazione giunge al 100% si ottiene la cosiddetta farina integrale, cioè uno sfarinato comprensivo anche di crusca.
La tabella seguente riassume le principali caratteristiche delle farine di grano tenero in commercio in Italia, e le equivalenti classificazioni statunitensi, tedesche e francesi:
Italia
Umidità
max
Ceneri
min
Ceneri
max
Proteine
min
USA
Germania
Francia
Farina di grano tenero tipo 00
14,50%
0,55%
9,00%
pastry flour
405
40
Farina di grano tenero tipo 0
14,50%
0,65%
11,00%
all-purpose flour
550
55
Farina di grano tenero tipo 1
14,50%
0,80%
12,00%
high gluten flour
812
80
Farina di grano tenero tipo 2
14,50%
0,95%
12,00%
first clear flour
1050
110
Farina integrale di grano tenero
14,50%
1,30%
1,70%
12,00%
white whole wheat
1600
150
Nota: tabella contenuta nel DPR 9 febbraio 2001, n. 187. Valori delle ceneri e proteine calcolati sul secco. Umidità consentita fino al 15,50% se indicato in etichetta. Proteine: azoto Kjeldahl * 5,7

Determinazione della forza della farina

La proprietà più importante della farina è la sua forza, cioè la capacità di resistere nell'arco del tempo alla lavorazione. La forza della farina deriva dalla qualità del grano macinato per produrla, quindi dal suo contenuto proteico, in particolare di quello di unità proteiche insolubili in acqua gliadine e glutenine. Queste proteine semplici poste a contatto con l'acqua e grazie all'azione meccanica proveniente dall' impastamento, formano un complesso proteico detto glutine che costituisce la struttura portante dell'impasto. Si tratta di un complesso viscoelastico stabilizzato da legami di natura covalente (ponti di solfuro, etc.) e non (legami idrogeno, ionici, iterazioni di tipo idrofobico, forze di Van der Waals, entaglements etc.) che trattiene sia i componenti dell'impasto, microrganismi compresi, sia i gas, metaboliti secondari etc. che si sviluppano all'interno nella struttura. In base alla proprietà reologiche della massa si parlerà di: Stabilità (S), tempo di sviluppo (T), caduta, forza (W), resistenza (P) ed elasticità (L) che permettono di classificare le farine in base all'utilizzo finale. Farine con elevati valori di S e W saranno farine in grado di sopportare tempi lunghi sia di impastamento sia di fermentazione e/o maturazione e quindi varierà anche il tempo necessario per la lievitazione.
Leader mondiale nella produzione di sistemi per determinare la Forza della farina è la Chopin col suo Alveografo. Tale macchina è in grado di determinare il fattore di pianificabilità W, cioè l'area del tracciato finale che disegna l'Alveografo dato dalla resistenza P e dall'elasticità L. La metodologia consiste nell'impastare 250 g di farina con acqua leggermente salata per otto minuti, ricavare da questo impasto cinque "pastine" rotonde. Queste riposeranno 15 minuti circa a 25° C in un apposito scomparto dell'Alveografo, per poi venire poste su un sistema di insufflaggio di aria che ne testerà la resistenza. Le "pastine" si gonfieranno e in base al volume della sfera ricavato, si avrà il P, L e il W della farina. Va da sé che, più grande sarà la sfera, più forza avrà la farina. Un alto valore di W indica un alto contenuto di glutine; questo vuol dire che la farina assorbirà molta acqua e che l'impasto sarà resistente e tenace, e che lieviterà lentamente perché le maglie del reticolo di glutine saranno fitte e resistenti. Viceversa, un W basso indica una farina che ha bisogno di poca acqua e che lievita in fretta, ma che darà un impasto (e un pane) leggero e poco consistente.
Ecco un indice di massima:
·         Fino a W 170 (deboli): per biscotti, cialde e dolci friabili; anche per besciamella e per rapprendere salse.
·         Da W 180 a W 260 (medie): pane francese, panini all'olio, pizza, pasta: assorbono dal 55% al 65% del loro peso in acqua.
·         Da W 280 a W 350 (forti): pane classico, pizza, pasta all'uovo, pasticceria a lunga lievitazione: babà, brioche. Assorbono dal 65% al 75% del loro peso in acqua.
·         Oltre i W 350: in genere fatte con particolari tipi di grano, vengono usate per "rinforzare" farine più deboli, mescolandovele, oppure per prodotti particolari. Possono assorbire fino al 100% del loro peso in acqua.
Le farine in commercio al dettaglio hanno una forza variabile. Solitamente quella delle farine 0 e 00 generiche si aggira sul W 150, quella delle 00 specifiche per prodotti non lievitati (creme, torte a lievitazione chimica come il plum cake, biscotti, crostate) dal W 80 al W 150, quella delle 00 e 0 specifiche per pizza dal W 200 al W 280, quella delle 00 specifiche per dolci lievitati intorno al W 300. Le farine vendute come manitoba (quasi tutte 0) riportano il nome di una varietà di grano appunto Manitoba (specifica zona in Canada di origine della varietà utilizzata) ma non identificano il valore della forza per cui non è detto che siano più forti di altre varietà.
Sfarinati di Grano duro
Il grano duro (Triticum durum Desf., Triticum turgidum L. subsp. durum) è un frumento tetraploide, largamente coltivato per la trasformazione in farina. Una caratteristica che distingue il grano duro dal grano tenero (Triticum aestivum, esaploide, 2n=42, genomi AABBDD) è che a maturazione le cariossidi si presentano vetrose e non farinose. Questo è dovuto alla particolare composizione proteica del grano duro, che quindi dà prevalentemente semole e non farina. Le proprietà delle proteine del grano duro fanno sì che le masse che si ottengono impastando le semole con acqua sono particolarmente indicate per la produzione di paste. Tuttavia nel Mezzogiorno d'Italia da secoli le semole, rimacinate per ridurne la granulazione, sono utilizzate per la produzione di pani tipici, tra i quali il Pane di Altamura, primo prodotto nell'Unione Europea appartenente alla categoria merceologica "Panetteria e prodotti da forno" a fregiarsi del marchio DOP, il Pane di Matera, prodotto di lunga tradizione ottenuto con un antico sistema di lavorazione, avente il marchio IGP ed il Pane di Laterza, la cui ricetta è tutelata dal Marchio Collettivo di Qualità. I pani di grano duro hanno particolare consistenza, colore giallognolo per una più elevata presenza di carotenoidi, e resistono meglio all'invecchiamento, restando appetibili per un tempo maggiore dei pani fatti da farina di grano tenero. Oltre alla diffusissima pasta, molti alimenti mediterranei sono basati sul grano duro, tra i quali i più noti sono il cuscus ed il bulgur, tipici l'uno della cultura del Nordafrica l'altro del Medio Oriente ed oggi diffusi anche al di là delle zone di origine rispettive. Il cuscus siciliano, chiamato cùscusu, affonda le sue radici nella dominazione araba della Sicilia nei secoli IX-XII. Quello carlofortino deriva invece dalle influenze con la vicina isola di Tabarka.
Varietà
• Triticum durum var. affine
• Triticum durum var. hordeiforme
• Triticum durum var. reichenbachii
Lo sfarinato proveniente dal grano duro viene denominato semola. Tradizionalmente era prodotta prevalentemente nelle regioni del sud Italia, ma adesso la sua produzione ha una distribuzione nazionale. Essa si distingue da quella di grano tenero sia per la granulometria più accentuata che per il suo caratteristico colore giallo ambrato, colore che si ripercuote anche sui prodotti con essa ottenuti. Questa farina si utilizza prevalentemente per la produzione di pane e pasta (sia casereccio che industriale) ma anche per dolci tipici. Macinando ulteriormente la semola si ottiene la "semola rimacinata" o "rimacinato". Questo prodotto è contraddistinto dal caratteristico colore giallo ambrato proprio della semola ma con una granulometria meno accentuata rispetto alla materia d'origine. Il rimacinato viene prevalentemente impiegato per la panificazione puro o mescolato con farine di grano tenero, il prodotto che si ottiene è un pane a pasta gialla molto saporito e a lunga conservazione.
La tabella seguente riassume le principali caratteristiche delle farine di grano duro in commercio in Italia:
Denominazione del
 prodotto
Umidità max
Ceneri min
Ceneri max
Proteine min
Semola *
14,50%
0,90%
10,50%
Semolato
14,50%
0,90%
1,35%
11,50%
Semola integrale di grano duro
14,50%
1,40%
1,80%
11,50%
Farina di grano duro
14,50%
1,36%
1,70%
11,50%
ALTRE FARINE
Cereali
Graminacee
Avena, Fonio, Mais (granturco), Miglio, Orzo, Riso, Segale, Sorgo, Triticale,Lacrime di Giobbe, Teff, Zizania
Frumento (grano)
Grano tenero
Grano duro
Khorasan
Farro
Piccolo farro
Farro dicocco
Spelta
Pseudocereali
Polygonacee
Grano saraceno
Fagopyrum tataricum
Amaranthacee
Amaranto
Amaranto Caudato
A. cruentus
A. hypochondriacus
Chenopodiacee
Quinoa
Lamiacee
Chia







• Farina di amaranto:
è una farina ottenuta dal grano amaranto, della famiglia delle Amarantacee. Era usata nella cucina pre-colombiana e meso-americana e oggi sempre più diffusa in negozi specializzati. Non contiene glutine.
• Farina di canapa:
è ottenuta da piante del genere Cannabis, della famiglia delle Cannabaceae.
Come altri numerosissimi prodotti di questa pianta officinale, ha subito negativamente gli effetti della lotta contro lo spaccio di "droghe leggere" ricavabili dalla stessa pianta. Recentemente, in seguito a miglioramenti normativi, sta tornando in auge con nuovi prodotti, oltre che tessili e farmaceutici, anche alimentari: ne è esempio la pizza di canapa anche se di scarsa importanza nutrizionale. Non contiene glutine.
• Farina di grano saraceno:
dai semi del grano saraceno, che fa parte della famiglia delle Poligonacee, si ricava una farina utilizzata per la preparazione dei pizzoccheri, prodotto tipico della Valtellina, e della polenta taragna. Non contiene glutine.
• Farina di moringa:
è ottenuta da una pianta appartenente alla famiglia delle Moringaceae. Non contiene glutine.
Farina di quinoa:
è ottenuta generalmente dalla quinoa bianca. La quinoa, appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae, è originaria di Perù, Bolivia e America meridionale ed è alimento base del popolo andino da secoli. È stata introdotta in Italia nel 2009 ed utilizzata per la prima volta nel settore della panificazione nel 2010 nel prodotto Quite. La FAO OMS ha proclamato il 2013 anno della Quinoa. Elevatissima importanza nutrizionale soprattutto per l'apporto di aminoacidi essenziali. Non contiene glutine.


farina di grano tenero
Dalla macinazione del grano tenero si ottiene una resa in farina che oscilla tra il 70 e l'82%; il rimanente 18-30% è costituito da crusca, cruschello, germe, farinaccio. La percentuale di farina estratta dal chicco dipende, oltre che dal tipo di grano, anche dai parametri chimico fisici desiderati ed impostati nella macinazione.
Il processo di macinazione del grano tenero inizia con la pulitura del grano, esistono tre fasi di pulitura più la fase di bagnatura o condizionamento:
A) la prima fase si chiama Pre-pulitura è quella che si esegue subito al ricevimento del prodotto presso il mulino prima di immagazzinarlo nei silos o depositi, questa Pre-pulitura ha la caratteristica di dover lavorare in modo veloce una grande quantità di prodotto, la Pre-pulitura serve a migliorare la conservazione del prodotto fino alla lavorazione successiva.
B) La pulitura che si esegue prima della macinazione, in questa fase la pulizia deve essere molto accurata e sono necessarie più macchine ogni macchina serve a togliere impurità specifiche, importante la spazzola grano che è la macchina che più profondamente pulisce il frumento spazzolando la sua parte esterna e rimuovendo polvere , terra ed altre impurità possibili come muffe.
C) La bagnatura del grano ed il suo tempo di riposo (chiamato anche condizionamento) permette di ammorbidire la parte esterna di crusca che in questo modo durante la macinazione non si frantuma rimanendo più morbida e di dimensioni maggiori facilitando quindi la sua perfetta separazione tramite la setacciatura.

D) Dopo bagnatura e riposo è quasi sempre prevista una seconda pulitura proprio per migliorare ulteriormente la pulizia del prodotto.
(nella preparazione del grano duro le fasi di bagnatura e riposo diventano minimo due oppure anche tre )
Successivamente il frumento viene indirizzato nella macinazione, negli impianti industriali ci sono più fasi di macinazione in sequenza da minimo 8 a 14 o più, le progressive macinazioni servono ad aprire con delicatezza i chicchi e poi spogliarli delicatamente dalla farina contenuta cercando il più possibile a non frantumare la crusca ed il cruschello. Da ogni passaggio di macinazione il prodotto è normalmente aspirato da un sistemi pneumatici ed inviato ad un passaggio di stacciatura con macchinari chiamati Plansichter. Il risultato finale sarà una farina con caratteristiche fisiche conformi alla lavorazione attesa. I prodotti di scarto come il cruschello, la crusca e il farinaccio possono essere usati per scopi zootecnici se non trattati secondo i termini di legge, altrimenti per scopo umano.
Nella produzione dei prodotti dell'Arte Bianca si utilizzano farine di cui alcune additivate volontariamente, mediante l'aggiunta di: agenti di trattamento, agenti antiagglomeranti, coadiuvanti tecnologici (enzimi come le xilanasi, le lipasi, le transglutamminasi, le alfa-amilasi, le glucosio-ossidasi, ecc.) o glutine vegetale secco, acido ascorbico (E300), L-cisteina per migliorarne le caratteristiche tecnologiche[2]. Gli additivi consentiti dall'attuale normativa sono pertanto: glutine secco, acido ascorbico (E300), L-cisteina (E920), biossido di silice e silicati (E551 - E559), acido fosforico di - tri - polifosfati (E338 - 452), oltre chiaramente a tutti gli enzimi.
Le farine derivate da basse estrazioni (abburattamento del 70-75%) provengono principalmente dalla parte centrale del chicco e si contraddistinguono ad occhio nudo per la loro purezza e candore; sono denominate in Italia farina tipo 00. Al contrario, una farina ad alto tasso di estrazione (circa 80%) sarà meno chiara in quanto contiene anche la farina proveniente dalla parte esterna del chicco (strato aleuronico); in relazione al contenuto in ceneri (minerali) possono essere denominate farina tipo 0, tipo 1 o tipo 2.
La farina integrale non è composta dal 100% del frumento macinato , proprio perche la legge italiana fissa dei limiti di presenza di ceneri quindi una parte di crusca viene rimossa questo per fondamentalmente due motivi: 1) rientrare nei limi di legge 1,3-1,7 di ceneri 2) La crusca che è più esterna si differenza dal cruschello che è più aderente allo strato aleuronico per essere meno ricca di vitamine e dal gusto meno gradito.
Le farine di grano tenero in commercio in Italia
Farina di grano tenero tipo 00
Farina di grano tenero tipo 0
Farina di grano tenero tipo 1
Farina di grano tenero tipo 2
Farina integrale di grano tenero
Farine a confronto: Farina 00 e Farina integrale
La Farina 00 è quella più raffinata e priva di particelle di crusca e cruschello. La Farina integrale è quella con la più alta percentuale di cruschello e crusca, la legge italiana impone dei limiti che sono 1.3-1.7% di presenza di ceneri. Il grano tenero macinato veramente in modo integrale possiede mediamente una percentuale di ceneri (sali minerali) che varia dal 2 al 2,2%, quindi nella farina integrale normalmente commercializzata una parte della crusca è asportata.
Determinazione della forza della farina
La proprietà più importante della farina è la sua forza, cioè la capacità di resistere nell'arco del tempo alla lavorazione. La forza della farina deriva dalla qualità del grano macinato per produrla, quindi dal suo contenuto proteico, in particolare di quello di unità proteiche insolubili in acqua gliadine e glutenine. Queste proteine semplici poste a contatto con l'acqua e grazie all'azione meccanica proveniente dall' impastamento, formano un complesso proteico detto glutine che costituisce la struttura portante dell'impasto. Si tratta di un complesso viscoelastico stabilizzato da legami di natura covalente (ponti di solfuro, etc.) e non (legami idrogeno,ionici,iterazioni di tipo idrofobico, forze di Van der Waals, entaglements etc.) che trattiene sia i componenti dell'impasto, microrganismi compresi, sia i gas, metaboliti secondari etc. che si sviluppano all'interno nella struttura.
In base alla proprietà reologiche della massa si parlerà di: Stabilità (S), tempo di sviluppo (T), caduta, forza (W), resistenza (P) ed elasticità (L) che permettono di classificare le farine in base all'utilizzo finale. Farine con elevati valori di S e W saranno farine in grado di sopportare tempi lunghi sia di impastamento sia di fermentazione e/o maturazione e quindi varierà anche il tempo necessario per la lievitazione.
Leader mondiale nella produzione di sistemi per determinare la Forza della farina è la Chopin col suo Alveografo. Tale macchina è in grado di determinare il fattore di panificabilità W, cioè l'area del tracciato finale che disegna l'Alveografo dato dalla resistenza P e dall'elasticità L.
La metodologia consiste nell'impastare 250 g di farina con acqua leggermente salata per otto minuti, ricavare da questo impasto cinque "pastine" rotonde. Queste riposeranno 15 minuti circa a 25 °C in un apposito scomparto dell'Alveografo, per poi venire poste su un sistema di insufflaggio di aria che ne testerà la resistenza. Le "pastine" si gonfieranno e in base al volume della sfera ricavato, si avrà il P, L e il W della farina. Va da sé che, più grande sarà la sfera, più forza avrà la farina.
Un alto valore di W indica un alto contenuto di glutine; questo vuol dire che la farina assorbirà molta acqua e che l'impasto sarà resistente e tenace, e che lieviterà lentamente perché le maglie del reticolo di glutine saranno fitte e resistenti. Viceversa, un W basso indica una farina che ha bisogno di poca acqua e che lievita in fretta, ma che darà un impasto (e un pane) leggero e poco consistente.
Ecco un indice di massima:
Fino a W 170 (deboli): per biscotti, cialde e dolci friabili; anche per besciamella e per rapprendere salse.
Da W 180 a W 260 (medie): pane francese, panini all'olio, pizza, pasta: assorbono dal 55% al 65% del loro peso in acqua.
Da W 280 a W 350 (forti): pane classico, pizza, pasta all'uovo, pasticceria a lunga lievitazione: babà, brioche. Assorbono dal 65% al 75% del loro peso in acqua.
Oltre i W 350: in genere fatte con particolari tipi di grano, vengono usate per "rinforzare" farine più deboli, mescolandovele, oppure per prodotti particolari. Possono assorbire fino al 100% del loro peso in acqua.
Le farine in commercio al dettaglio hanno una forza variabile. Solitamente quella delle farine 0 e 00 generiche si aggira sul W 150, quella delle 00 specifiche per prodotti non lievitati (creme, torte a lievitazione chimica come il plum cake, biscotti, crostate) dal W 80 al W 150, quella delle 00 e 0 specifiche per pizza dal W 200 al W 280, quella delle 00 specifiche per dolci lievitati intorno al W 300. Le farine vendute come manitoba (quasi tutte 0) riportano il nome di una varieta di grano appunto Manitoba (specifica zona in Canada di origine della varietà utilizzata) ma non identificano il valore della forza per cui non è detto che siano più forti di altre varietà.
farina di grano duro,
Lo sfarinato proveniente dal grano duro viene denominato semola. Tradizionalmente era prodotta prevalentemente nelle regioni del sud Italia, ma adesso la sua produzione ha una distribuzione nazionale. Essa si distingue da quella di grano tenero sia per la granulometria più accentuata che per il suo caratteristico colore giallo ambrato, colore che si ripercuote anche sui prodotti con essa ottenuti. Questa farina si utilizza prevalentemente per la produzione di pane e pasta (sia casereccio che industriale) ma anche per dolci tipici.
Macinando ulteriormente la semola si ottiene la "semola rimacinata" o "rimacinato". Questo prodotto è contraddistinto dal caratteristico colore giallo ambrato proprio della semola ma con una granulometria meno accentuata rispetto alla materia d'origine. Il rimacinato viene prevalentemente impiegato per la panificazione puro o mescolato con farine di grano tenero, il prodotto che si ottiene è un pane a pasta gialla molto saporito e a lunga conservazione.

Farina di ceci (chiamata anche gram flour o besan): ottenuta dal cece, è di grande importanza nella cucina indiana, e in Italia, dove è utilizzata in Liguria per preparare la farinata, a Palermo per preparare le panelle, a Livorno per preparare la "torta di ceci", a Pisa per preparare la "cecina", a Sassari per preparare la "fainè".
Farina di fagioli: è una farina ottenuta da un fagioli essiccati e polverizzati.
Farina di fave: è una farina ottenuta dalla fava.
Farina di piselli: è una farina prodotta da piselli gialli arrostiti e polverizzati.
Farina di soia: è una farina ottenuta dalla soia.

La fecola di patate è l'amido (chiamato in questo caso « fecola ») estratto dai tuberi della pianta della patata. Le patate vengono schiacciate, liberando così i granuli di amido (amiloplasti). L'amido viene successivamente lavato ed essiccato assumendo l'aspetto di una polvere bianca. Essendo totalmente inodore e particolarmente leggera è usata come addensante per creme e nella pasticceria in generale. Trova applicazione, ad esempio, nella preparazione di torte e altri dolci da forno che contribuisce a rendere soffici. Deve essere conservata in un luogo particolarmente asciutto per preservarne le caratteristiche.

La lecitina di soia è sostanza emulsionante derivata dalla lavorazione diretta dei fagioli di soia. Chimicamente è un fosfolipide composto da una parte liposolubile e una parte idrosolubile, quindi in grado di tenere insieme sostanze acquose e sostanze grasse, normalmente non miscelabili tra loro (proprietà emulsionante). La lecitina, come già detto, è contenuta nella soia e, in misura maggiore, anche nell’olio di soia (purchè sia naturale e spremuto a freddo). La lecitina di soia è ricca di omega-3, omega-6, colina, inositolo e minerali quali ferro, calcio e fosforo. Una delle principali proprietà della lecitina di soia è quella di abbassare il colesterolo. La sua proprietà emulsionante infatti, favorisce il passaggio dei grassi nel sangue sotto forma di emulsione, provvedendo al trasporto del colesterolo verso il fegato. Ne consegue che l’aggiunta della Lecitina di soia nella propria dieta riduce di una buona percentuale l’ipercolesterolemia. Per chi è a dieta la lecitina può apportare benefici siccome migliora il metabolismo corporeo. Inoltre favorisce le funzioni cerebrali e recenti studi suggeriscono che la Colina (un elemento contenuto nella Lecitina di Soia) possa essere un valido aiuto nei problemi associati all’Alzheimer e alla demenza senile. Inoltre svolge un’azione epatoprotettrice, riequilibra il sistema nervoso ed è un valido ricostituente. I suoi componenti sono molto importanti anche per il funzionamento dei muscoli e partecipano alla formazione delle cellule muscolari. In commercio la lecitina di soia si trova sotto forma di compresse, utilizzate come integratori per abbassare il colesterolo nel sangue, in granuli e in polvere. E’ possibile usare la lecitina di soia in granuli come “condimento” a primi o secondi piatti, latte, yogurt, oppure utilizzare capsule contenenti lecitina di soia in forma liquida, da assumere come integratore. Questa sostanza però trova il suo principale utilizzo in cucina, dove viene utilizzata come addensante per creme e farciture.


L’amido di mais, chiamato anche maizena, viene ricavato dal chicco del mais mediante un processo di macinazione ad umido. Il prodotto si presenta sotto forma di polvere bianca finissima, quasi impalpabile, insolubile in acqua fredda. 
La differenza tra amido e farina di mais sta nella composizione del prodotto. La farina si ricava attraverso la macinatura della totalità del chicco (endosperma+germe+crusca) mentre l'amido è contenuto nel solo endosperma. La farina di mais si ottiene per macinazione a secco. L'amido di mais non va confuso con la farina di mais Biancoperla, di colore appunto bianco, che serve per la preparazione della polenta bianca, tipica del Polesine e delle zone di Padova e Venezia.
Il principale utilizzo dell'amido di mais è in ambito gastronomico. Si impiega per addensare minestre, salse, creme, budini o gelati, e per rendere più friabili i dolci lievitati.
Viene anche usato, in sostituzione della farina di frumento, per la preparazione di alimenti destinati a persone affette da celiachia, cioè intolleranti al glutine. A questo scopo si può adoperare da solo o, più comunemente, mescolato alla farina di riso o alla fecola di patate. È necessario però, che il prodotto abbia la dicitura "senza glutine". Si utilizza ad esempio con latte di soia per preparare una crêpe per intolleranti sia alla farina, sia al latte; la pasta di questa crêpe è anche prodotta senza uova, per intolleranti a questi tre principali allergeni. Nell'industria alimentare, oltre agli impieghi suddetti, viene anche adoperato come additivo antiagglomerante, ad esempio nella produzione dello zucchero a velo, o addensante, come nel confezionamento di insaccati. Trova impiego anche nella produzione di birra (in parziale sostituzione del più tradizionale orzo, dato il suo costo minore).


mais
In botanica, il mais è conosciuto come Zea mais: pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Graminaceae, originaria dell'America centrale ed attualmente assai diffusa e coltivata un po' in tutto il mondo. L'importanza botanica va attribuita agli stimmi, i quali pendono al di fuori delle brattee formando una sorta di barba. Pochi sono a conoscenza del fatto che la comune “pannocchia”, in realtà è una spiga: più precisamente, le infiorescenze maschili costituiscono una pannocchia terminale, mentre quelle femminili (nella pianta medesima) formano una spiga, avvolta da grandi brattee. Il mais, dopo il riso ed il frumento, si è conquistato il primato all'interno dell'alimentazione umana. Dal punto di vista chimico, dal mais si ricavano oli essenziali, flavonoidi, fitosteroli, mucillagini, tannini, alcaloidi e sali di potassio.
Macinata finemente, la farina di mais trova largo impiego nella produzione di polente; in base alla macinatura del mais, si ottengono farine a diversa granulometria, fattore rilevante per il risultato del prodotto finale. Nonostante sia l'ingrediente protagonista nella produzione di polente, non dev'essere dimenticato che la farina di mais è utilizzata anche per la preparazione di sformati, tortillas messicane, crèpes, pasta, dolci e tanti altri prodotti culinari.

12 CONSERVE (2^ Edizione)


Conserve. In queste 230 pagine ho raccolto circa 300 schede di ricette, prodotti e consigli di degustazione pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. La dispensa delle conserve deve essere sempre ben fornita. Molto meglio se sarete voi a produrre una parte di queste delizie. Confetture, marmellate, gelatine, sottolio, sottaceto, frutta essiccata, frutta candita, ecc. Nelle stagioni in cui certi prodotti non sono disponibili, la nostra dispensa dei sapori mostra il suo tesoro.

BRANCALEONE FOX TERRIER

“Brancaleone Fox Terrier” è il primo di un ciclo di volumi che Jean Jacques Bizarre, nom de plume di un bon vivant di origini parigine, ha dedicato alla Liguria, terra che conosce molto bene poiché vi ha risieduto a lungo in compagnia del suo adorato cane, costantemente attorniato dalle sue amicizie senza confini. Il libro è scritto sotto forma di diario che è anche guida turistica e gastronomica romanzata. Il volume si compone di 682 pagine. Leggendolo conoscerete luoghi, miti, leggende, eventi, itinerari, ristoranti e quanto di buono si può trovare in questa affascinante terra. Ma Jean Jacques ha anche aperto a voi le porte del suo cuore e delle sue grandi passioni: le belle donne e la buona cucina (non necessariamente nell’ordine).