sabato 25 gennaio 2025

Corso di cucina: 25 CONOSCERE LE SOLANACEE

Le Solanaceae sono una famiglia di angiosperme dicotiledoni che comprende molte specie commestibili ed altre velenose. Molte specie di questa famiglia hanno infatti componenti alcaloidi psicoattivi, tra cui anche l'alcaloide tossico solanina, presente in alcune specie nella pianta e nei frutti ancora acerbi, che scompare o si trasforma in altre sostanze, innocue o salutari, quando il frutto è maturo.
Delle solanacee si consuma solitamente il frutto, anche se con alcune eccezioni come le patate (di cui invece si consuma il tubero, un organo con funzione di riserva). Appartengono a questa famiglia piante come il pomodoro, la melanzana e il peperone, le patate e altre piante come quelle da cui si ricavano gli alcaloidi in industria farmaceutica (tabacco per la nicotina e belladonna per l’atropina).
Altre piante, come la Datura, sono invece velenose e non hanno utilizzi pratici.

Fra le piante più conosciute appartenenti alla famiglia troviamo piante importanti per l'alimentazione umana (le patate, le melanzane, i pomodori, i peperoncini, i peperoni, le bacche di Goji), piante da cui si ricavano droghe farmaceutiche (la belladonna per l'atropina, il tabacco) e piante velenose (le datura).

Le Solanaceae sono rappresentate allo stato spontaneo in tutti i continenti, con un maggior numero di specie nel continente americano, e ben si adattano a quasi tutti gli ecosistemi, nonostante la maggior parte di esse prediliga il caldo piuttosto che il freddo intenso.

Le Solanaceae presentano fiori attinomorfi, gamosepali e gamopetali. I pezzi fiorali del calice e della corolla sono in numero di 5. L'androceo è formato da 5 stami non sempre saldati per le antere; l'ovario è supero, formato da due carpelli. Le foglie sono alterne, a lamina intera o profondamente incisa. I frutti possono essere bacche come nel caso del pomodoro o capsule come nel caso della Datura. I semi sono di solito piatti e tondeggianti con un diametro medio di circa 2–4 mm.

Questa famiglia viene riconosciuta sia dalle classificazioni tradizionali che dalla classificazione APG e in entrambi i casi viene collocata nell'ordine delle Solanales.

La suddivisione in sottofamiglie è invece controversa e ancora (2007) oggetto di dibattito anche all'interno della stessa classificazione APG.

Vengono riconosciuti un centinaio di generi e oltre 2000 specie.

La patata (Solanum tuberosum L.) è un tubero commestibile parte di una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Solanaceae (Dicotiledoni), molto utilizzato a scopo alimentare, originaria del Perù, della Bolivia, del Messico e del Cile e portata in Europa dagli spagnoli nel XVI secolo intorno al 1570. Non si conoscono varietà spontanee né si sa da quale specie originaria di Solanum si sia originata la patata edule diffusa dal Centro e Sud America e ora consumata in diverse parti del mondo.
Arrivata tardi in Europa ed affermatasi solo alla fine del secolo XVIII, in breve la patata divenne l'alimento fondamentale nell'alimentazione delle classi umili. In Irlanda la dieta delle classi più povere era basata esclusivamente su latte e patate, mentre il grano era utilizzato per pagare i canoni spettanti ai proprietari inglesi. La grande carestia fu dovuta alla diffusione di un fungo (Phytophthora infestans) che determinò la perdita di buona parte dei raccolti nel giro di pochi anni; la popolazione irlandese diminuì drasticamente. Anche nelle campagne dell'appennino modenese le patate costituivano un importante genere di autoconsumo, mentre il prodotto dell'allevamento veniva venduto ai mercati di città.
Cenni Storici
La patata, il nome deriva dal caraibico "batata", che designava la patata dolce, è un tubero commestibile della famiglia delle Solanacee: il Solanum Tuberosum.
La pianta, contenente al livello dei germogli e della bacca a maturazione, la solanina, un alcaloide velenoso, è originaria dell’ America meridionale, nel territorio compreso fra il Perù e il Cile, da dove i conquistatori spagnoli alla fine del 1500 la portarono alla loro corte di Madrid, presentandola come una curiosità botanica detta “il tartufo americano“. Ed in tale ruolo essa fu considerata per parecchi lustri, fin quando non si pensò bene di destinarne il tubero alla alimentazione animale; con questa funzione essa iniziò a diffondersi prima nei Paesi a stretto contatto politico con gli Spagnoli, Italia e Germania, solo successivamente nel resto dell’ Europa e con varie difficoltà nella Francia immediatamente prerivoluzionaria.

Contrariamente a quanto accaduto ad altre colture di larga diffusione provenienti dal Nuovo Mondo e in seguito diffuse, con tempi e modi diversi, per tutto il globo, (quali ad esempio il pomodoro o il mais), la patata raggiunse un certo successo solo in America del Nord e in Europa, per contro non fu accolta in Cina, Giappone, e in tutta l'area islamica.

Anche in Europa la diffusione della coltivazione fu lenta, influenzata da una diffidenza nei confronti di ciò che "cresce sottoterra" fino ad arrivare ad affermare che il consumo diffondesse la lebbra e ad asserire, nell'Encyclopédie del 1765, che si tratta di "cibo flatulento". Ci furono poi casi di intossicazione causati dall'esposizione prolungata dei tuberi alla luce (come è noto l'esposizione alla luce dei tuberi fa sviluppare la solanina, tossica), tali fatti enfatizzati nei racconti popolari ebbero un effetto dissuasivo al consumo: la decisione poi di costringere i galeotti o i soldati ad alimentarsi di patate, perché a disposizione a buon prezzo, non fu un buon viatico a considerare le patate un cibo di qualità.

Gli spagnoli la conobbero fin dai primi decenni (1539) del XVI secolo in Perù ma la pianta non risvegliò particolari interessi nella penisola iberica, maggiore interesse incontrò in Italia dove le patate vennero chiamate "tartuffoli".

Nel 1600 l'agronomo francese Olivier de Serres, nella sua opera Théâtre d'agriculture et Ménage des champs, ne descrive in maniera dettagliata la coltivazione e nell'opera Rariorum plantarum historia di Charles de l'Écluse del 1601 ne viene data una dettagliata descrizione botanica: a quest'ultimo, che fu per lungo tempo botanico di corte dell'imperatore Massimiliano II, si deve l'introduzione della patata (e di altre piante esotiche) in Austria.

La tradizione vuole che l'introduzione della patata in Inghilterra (1588) sia merito di Walter Raleigh, la coltivazione si diffuse però soprattutto nella vicina Irlanda.

 Per contro l'Inghilterra ne diffuse soprattutto le pratiche di coltivazione all'estero: nel suo libro, La ricchezza delle nazioni, Adam Smith deplorava che i suoi compatrioti non apprezzassero un prodotto che aveva, apparentemente, dimostrato il suo valore nutrizionale nella vicina Irlanda.

La diffusione del tubero fu quindi poco uniforme: in Francia, ad esempio, coinvolse inizialmente poche aree del Delfinato e dell'Alsazia (1666) e in seguito della Lorena (1680) dove nel 1787 viene descritta come cibo principale degli abitanti della campagna.

Più incisiva fu la diffusione in aree come la Svezia, la Svizzera e soprattutto la Germania.

 L'agronomo francese Antoine Parmentier, rientrato in Francia nel 1771 in seguito a un periodo di prigionia trascorso in Prussia dopo la Guerra dei sette anni, prese parte a un concorso indetto dall'Accademia di Besançon sulla ricerca di possibili sostituti del pane, e redasse un articolo sul valore nutrizionale della patata. Sempre nel '700 anche l'economista Antonio Zanon condusse una battaglia per l'introduzione della patata nell'agricoltura della pianura friulana, mentre alla fine dello stesso secolo l'avvocato e agronomo cuneese  Giovanni Vincenzo Virginio si adoperò per cercare di diffondere la patata in Piemonte pubblicando nel 1799 in Torino, presso la Stamperia Reale, il Trattato della coltivazione delle patate o sia pomi di terra volgarmente detti tartiffle, dato in luce dall'avvocato Vincenzo Virginio, Socio ordinario della Reale Società agraria di Torino e di altre Accademie, dedicato agli accurati Agricoltori del Piemonte e arrivando a distribuire gratuitamente patate al popolo a scopo promozionale.

In Irlanda, grazie al clima umido e fresco, particolarmente congeniale alla crescita del tubero, in breve progressione la patata diventò l'alimento principale di gran parte della popolazione (1700-1750). Il diffuso ricorso alla monocoltura, per di più limitata a una o due varietà, espose però la popolazione irlandese al grave rischio degli effetti catastrofici legati al fatto che eventuali malattie potessero colpire le piante. Ciò infatti si verificò con l'arrivo di una terribile malattia della patata, fino ad allora sconosciuta in Irlanda, la Peronospora, che colpì dapprima sporadicamente i raccolti fino poi a colpirli tutti contemporaneamente e con eguale virulenza: data l'uniformità della specie, nelle varietà che erano coltivate, i raccolti andarono completamente persi.

Le conseguenze furono spaventose, provocando una serie di carestie culminate nella devastante Grande carestia del 1845, che fu la concausa che scatenò l'emigrazione massiccia degli Irlandesi negli Stati Uniti nella seconda metà dell'800.

Coltivazione
In primavera, dopo il periodo delle gelate, gli agricoltori interrano le plantule, ossia piccole patate germogliate: è la fase della piantatura.
Verificano quindi che le plantule siano sufficientemente distanziate l’una dall’altra per permettere alle patate di crescere regolarmente. Dalle plantule spunteranno il gambo e le foglie. Al loro apparire, tutt’attorno, le macchine accumuleranno della terra a formare un piccolo monticciolo. Al riparo dalla luce, nuovi tuberi nasceranno sottoterra. Durante l’estate gli agricoltori sorveglieranno la crescita delle patate, annaffiando il terreno se necessario.
Oggi nel mondo si producono 310 milioni di tonnellate di patate. I primi cinque paesi produttori sono la Cina (64 milioni di tonnellate), la Russia (35 milioni di tonnellate), l’India (25 milioni di tonnellate), gli Stati Uniti (25 milioni di tonnellate) e la Polonia (15 milioni di tonnellate).
Le patate prodotte in Europa rappresentano il 60% della produzione mondiale. I primi quattro paesi produttori sono la Polonia, la Germania, la Francia e la Gran Bretagna. Le patate sono un alimento di base nel nostro continente dove costituiscono una produzione di tutto rilievo, dalla cosiddetta vecchia Europa (Germania, Gran Bretagna, Francia…) all’Europa del Nord (Danimarca, Svezia…) passando per la nuova Europa (nazioni dell’Est, paesi baltici).
Varietà
Qualitativamente parlando, seppur provenienti da molteplici varietà, esistono in commercio solo pochi tipi fondamentali di patate:
Patate a pasta bianca, caratterizzate dalla polpa farinosa, adatte ad essere schiacciate, speciali per la preparazione di gnocchi, puré, sufflè, crocchette;
Patate a pasta gialla, caratteristiche per la polpa compatta, devono il loro colore alla presenza di caroteni; sono eccellenti per essere lessate, cotte a vapore, arrostite, fritte a livello industriale o casalingo e si rivelano altresì adatte per insalate e cotture a forno;
Nell’ambito delle Patate a pasta gialla hanno una connotazione a sé le patate a buccia rossa, particolarmente indicate per cotture intense, quali cartoccio, forno e frittura;
Una connotazione a parte rivendicano le Patate Novelle: raccolte prima della maturazione completa, presentano la buccia sottile,con la quale andrebbero bollite, polpa più tenera e dolce; generalmente sono più piccole di quelle mature, si conservano per poco tempo.
Valore nutrizionale
Dal punto di vista nutrizionale le patate sono conosciute principalmente per l'alto contenuto in carboidrati (circa 26 grammi in una patata di 150 g, cioè medie dimensioni), presenti principalmente sotto forma di amidi. Una piccola ma significativa parte di tali amidi delle patate è resistente agli enzimi presenti nello stomaco e nell'intestino tenue, sì da raggiungere l'intestino crasso quasi intatto. Si ritiene che questi amidi abbiano effetti fisiologici pari a quelli delle fibre alimentari.
Le patate sono fonte di importanti vitamine e minerali. Una patata di medie dimensioni (150 g), consumata con la buccia, fornisce 27 mg di vitamina C (45% della dose giornaliera raccomandata), 620 mg di potassio (18% della dose giornaliera raccomandata), 0,2 mg di vitamina B5 (10% della dose giornaliera raccomandata), oltre a tracce di tiamina, riboflavina, folati, niacina, magnesio, fosforo, ferro e zinco; le patate sono assieme alle cipolle e a seconda della natura del terreno in cui sono cresciute l'alimento con le quantità più significative di selenio e litio. Inoltre il contenuto di fibre di una patata con buccia (2 g) è pari al contenuto di fibre del pane integrale, della pasta e dei cereali. Oltre alle vitamine, ai minerali ed alle fibre, le patate contengono svariati composti fitochimici, quali i carotenoidi ed i polifenoli.
Non tutte le sostanze nutritive delle patate si trovano nella buccia; questa contiene circa la metà delle fibre, ma più della metà delle sostanze nutritive sono contenute nella polpa. La cottura può alterarle notevolmente.
Le patate novelle e le varietà a forma allungata contengono una quantità minore di sostanze tossiche, e rappresentano una fonte eccellente di nutrienti. Le patate sbucciate e conservate a lungo perdono parte delle proprie proprietà nutrizionali, benché mantengano il proprio contenuto di potassio e vitamina B.
Le patate sono spesso escluse dalle diete a basso indice glicemico, in quanto si ritiene che possiedano un'alta quantità di glucidi. In realtà l'indice glicemico delle patate varia in maniera considerevole a seconda della loro varietà (patata a buccia rossa, a pasta bianca, eccetera), della loro origine (zona di coltivazione), della preparazione (metodo di cottura, se consumata fredda o calda, in purè, a tocchetti o intera ecc.), e degli altri cibi con cui si accompagna (salse ricche di grassi o ad alto contenuto proteico).
Tossicità
Come molte Solanacee, per esempio il pomodoro, la patata contiene diverse tossine, soprattutto nelle parti verdi, nei fiori e nei germogli: il fusto e le foglie comunque non sono mai stati usati per l'alimentazione (le foglie invece servirono come surrogato del tabacco in periodi particolarmente difficili). Inoltre il frutto è molto tossico, come nella maggioranza delle specie del genere Solanum, come la morella (Solanum nigrum) o la dulcamara.
Vanno conservate al buio, per evitare la germogliazione, e non ingerite se compaiono fiori o germogli sulla buccia.
La principale di queste tossine è un alcaloide, la solanina, che è presente anche nel tubero a basse dosi (meno di 10 mg per 100 g) e concentrata soprattutto nella buccia, che è quindi meglio togliere. Quando la concentrazione è più elevata, come in alcune varietà, ne deriva un gusto amaro del tubero. I tuberi verdi (colorazione dovuta alla produzione di clorofilla come conseguenza dell'esposizione solare) contengono una cospicua quantità di solanina, con valori che possono anche arrivare a 100 mg/100 g. Occorre quindi evitare di consumare i tuberi quando questi presentino parti verdi, perché in tal caso si rischia un'intossicazione. Le patate devono quindi essere conservate al buio per evitare la produzione di solanina.
La solanina non è eliminata dalla cottura, perché viene degradata solo a temperature superiori ai 260 °C (valori che non vengono raggiunti nemmeno durante la frittura). L'ingestione di solanina provoca raramente la morte, ma può causare delle emorragie, specie alla retina.
La patata contiene anche lectine, ma queste sono distrutte dalla cottura. Le lectine sono delle proteine capaci di legarsi in modo reversibile a mono o oligosaccaridi. Questa proprietà permette alle lectine d'agglutinare i globuli rossi umani e di perturbare probabilmente il buon funzionamento dell'apparato digerente degli insetti che si nutrono della pianta, costituendo così un ruolo difensivo della pianta stessa nei confronti degli insetti.
Preparazione
I modi per preparare le patate sono vari. Le patate possono essere cotte con la buccia o senza, intere o a pezzi, con condimenti o senza. La cottura è sempre necessaria per scomporre gli amidi. La maggior parte delle preparazioni a base di patate sono servite calde. In alternativa - come nel caso dell'insalata di patate e delle patatine fritte - le patate possono essere servite anche fredde.
Le ricette più comuni sono quelle del purè di patate, preparato con patate bollite, pelate e schiacciate, cui in seguito si aggiungono latte e burro. Vi sono poi le patate cotte intere al forno; le patate bollite o cotte al vapore; tagliate in cilindri o in dischi e poi fritte; tagliate a cubetti e cotte al forno; cotte in casseruola e condite con salse dense; tagliate a cubetti o in fette e fritte; tagliate alla julienne e fritte; possono essere altresì usate per fare gnocchi, rösti o focacce. Tagliate in pezzi, le patate sono un ingrediente comunemente usato nello spezzatino.
A differenza di altri alimenti le patate si prestano facilmente alla cottura a microonde senza perdere i propri valori nutrizionali, a patto che siano avvolte in un foglio di plastica bucherellato che consenta la ventilazione ed allo stesso tempo trattenga l'umidità. Questo metodo di cottura dà risultati simili a quello della cottura in forno.
Secondo stime della FAO solo poco più dei due terzi del totale (323 milioni di tonnellate) delle patate prodotte nell'anno 2005 è stato destinato ad utilizzi alimentari.
Il consumo alimentare di patate si sta progressivamente spostando da metodi di consumo diretto del prodotto acquistato fresco al consumo di prodotti industriali a base di patate.
Piatti tipici
Le patate sono molto popolari in Europa. In Italia sono utilizzate per preparare gnocchi e purè, oppure accompagnano i pasti bollite, arrostite o saltate; di solito vengono consumate senza buccia. Tra i piatti regionali, citiamo l'mbriulata siciliana e la pitta pugliese, il gâteau di patate tipico soprattutto in Lazio, Campania e Calabria. In Svizzera accompagnano la raclette, oppure, nel rösti, ormai quasi un piatto nazionale, sono grattugiate e poi cotte. Le patate sono anche l'ingrediente principale di molte minestre o zuppe.
In Irlanda il "side plate" (piattino laterale sempre presente nelle tavole apparecchiate) ha precisamente la funzione di accogliere una, due o più patate sempre in accompagnamento a qualsiasi secondo piatto. Se con il primo (solitamente una zuppa) in tavola era presente del pane, viene portato via perché carni e pesce si accompagnano con verdure miste ma soprattutto e sempre con patate bollite.
Le patate schiacciate sono un ingrediente importante di molti piatti inglesi, come la shepherd's pie. Le patate novelle sono considerate prelibate in Europa Settentrionale (Danimarca, Svezia, Finlandia): servite lesse e insaporite con aneto, fanno da contorno alle aringhe del Baltico. Il piatto nazionale della cucina lituana, gli cepelinai, è una sorta di gnocco, ottenuto da patate grattugiate e ripieno di carne e/o formaggio.
Si dice scherzosamente che gli inglesi parlino soprattutto del tempo atmosferico; ebbene invece gli irlandesi, immancabilmente, ad ogni pasto disquisiscono sulla bontà e la qualità delle patate, tanto più apprezzate quanto più farinose e capaci quindi di trattenere il burro salato che si usa per condirle. "Ball of flour" (palla di farina) è il miglior "complimento" per una patata in Irlanda. Molti (ma non tutti) la mangiano con la buccia. Persino nei ristoranti cinesi in Irlanda, qualsiasi piatto prevede, oltre ai classici tipi di riso, l'accompagnamento di patate fritte.
Prodotti industriali
Uno dei principali prodotti industriali derivati da patate sono le patate congelate, che costituiscono la grande maggioranza delle patate fritte servite nei ristoranti e nei fast food. Si calcola che questo tipo di consumo riguardi oltre 11 milioni di tonnellate all'anno.
Un altro prodotto industriale sono gli snack a base di patata (le cosiddette "patatine"), diffusi in moltissimi paesi. Le patatine sono preparate tagliando e friggendo delle fettine sottili di patate. Il prodotto viene poi confezionato con sapori diversi, dal solo sale ad altre tipologie di aromi più elaborate. Alcuni tipi di snack sono preparati utilizzando un impasto di fiocchi di patate disidratati.
I fiocchi di patate vengono prodotti facendo essiccare un impasto di patate bollite e sono utilizzati in diversi prodotti alimentari, dai preparati per purè agli snack.
Un altro prodotto disidratato è la fecola di patate ricavata dall'essiccamento di patate bollite; la fecola è di colore bianco (viene infatti anche chiamata farina di patate), priva di glutine, ricca di amido ed è utilizzata nell'industria alimentare come addensante per salse; essa si trova normalmente in commercio ed è utilizzata per rendere più soffici i prodotti di pasticceria.
Come scegliere
Bisogna scegliere le patate, di qualunque varietà esse siano, senza macchie alla buccia, non raggrinzite, non soffici, anche la polpa deve essere esente da macchie e da odori sgradevoli; soprattutto non devono essere germogliate: la germogliazione infatti eleva di parecchio il livello di solanina normalmente presente nel tubero in quantitativi insignificanti, esponendo il consumatore a reale rischio di disturbi come vomito, dispnea, polso frequente e in qualche caso di enterite. La presenza eccessiva di solanina, velenosa in concentrazioni superiori a 400 mg. per chilo di patate, è attestata dalla colorazione verde che qualche volta si nota sotto la buccia o i germogli.
Come conservare
Occorre conservare bene le patate affinché non germoglino troppo rapidamente o non diventino verdi o nere.
Durante la conservazione bisogna evitare sia le temperature troppo elevate, che favoriscono la comparsa dei germogli, sia le temperature troppo basse che invece addolciscono la patata. È meglio quindi scegliere un luogo fresco (6 - 8°C), come la verduriera del frigo, per esempio. Le patate devono essere conservate al riparo dalla luce per evitare che diventino verdi e assumano un sapore amaro

Capsicum L. è un genere di piante della famiglia delle Solanaceae, originario delle Americhe ma attualmente coltivato in tutto il mondo. Oltre al noto peperone, il genere comprende varie specie di peperoncini piccanti, ornamentali e dolci.
Secondo alcuni, il nome latino "Capsicum" deriva da "capsa", che significa scatola, e deve il nome alla particolare forma del frutto (una bacca) che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto che significa mordere, con evidente riferimento al piccante che "morde" la lingua quando si mangia.
Il peperoncino piccante era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5500 a.C. era conosciuto in Messico, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la sola spezia usata dagli indiani del Perù e del Messico. In Europa il peperoncino giunse grazie a Cristoforo Colombo che lo portò dalle Americhe col suo secondo viaggio, nel 1493. Poiché Colombo sbarcò in un'isola caraibica, molto probabilmente la specie da lui incontrata fu il Capsicum chinense, delle varietà Scotch Bonnet o Habanero, le più diffuse nelle isole.
Introdotto quindi in Europa dagli spagnoli, ebbe un immediato successo, ma i guadagni che la Spagna si aspettava dal commercio di tale frutto (come accadeva con altre spezie orientali) furono deludenti, poiché il peperoncino si acclimatò benissimo nel vecchio continente, diffondendosi in tutte le regioni meridionali, in Africa ed in Asia, e venne così adottato come spezia anche da quella parte della popolazione che non poteva permettersi l'acquisto di cannella, noce moscata, ecc.
Il frutto venne chiamato peperone a causa della somiglianza nel gusto (sebbene non nell'aspetto), con il pepe, Piper in latino. Il nome con il quale era chiamato nel nuovo mondo in lingua nahuatl era chilli o xilli (leggi cìlli o scìlli), e tale è rimasto sostanzialmente nello spagnolo del Messico e dell'America Centrale (chile) e nella lingua inglese (chili) e pure in alcuni nomi di varietà, come il chiltepin (C. annuum var. aviculare), derivato dalla Lingua nahuatl chilitecpintl o peperoncino pulce, per le dimensioni e il gusto ferocemente piccante. Il chiltepin è ritenuto l'antenato di tutte le altre specie. Nei paesi del Sudamerica di lingua spagnola e portoghese, invece, viene comunemente chiamato ají, modernizzazione dell'antillano asci. La parola in lingua quechua per i peperoncini è uchu, come nel nome usato per il rocoto dagli Inca: rócot uchu, peperoncino spesso, polposo.
Il Capsicum annuum è un arbusto perenne a vita breve che, in condizioni di clima sfavorevole, viene coltivato come annuale. Le piante si presentano sotto forma di cespuglio alti da 40 a 80 cm (a seconda della specie) con foglie di colore verde chiaro. I fiori hanno la corolla bianca avente da 5 a 7 petali con stami giallo tenue. Le altre specie hanno portamenti diversi: C. frutescens significa "a forma di arbusto", mentre molte varietà di C. chinense arrivano a 2 metri nei paesi d'origine. Anche la resistenza al clima freddo e caldo varia: il tabasco (C. frutescens) e il rocoto (C. pubescens), ad esempio, resistono anche a -5 C° per brevi periodi, mentre l'habanero (C. chinense) è molto sensibile all'insolazione: se eccessiva causa scottature sui frutti. Il Capsicum pubescens ha fiori viola e semi neri, il Capsicum baccatum presenta delle macule sulla corolla, il Capsicum chinense ha corolla bianca o verdognola e stami viola, con 2 o più fiori per nodo. Il Capsicum frutescens ha anch'esso corolla verdognola e stami viola, ma i fiori sono singoli.
Tutte le specie possono essere coltivate in Italia, anche in balcone, seminando verso febbraio al Centro e al Sud e marzo al Nord, mentre i frutti si possono raccogliere in estate e in autunno. Questi andrebbero usati subito dopo la raccolta affinché non perdano le loro proprietà, ma si possono conservare anche sott'olio o in polvere (dopo averli fatti seccare al sole), oppure congelandoli. La semina avviene in febbraio-marzo, a seconda del clima, possibilmente in ambiente riscaldato a temperatura di circa 25-30 °C, con composta da semi, ½ torba e ½ sabbia. Alcune varietà, soprattutto i C. chinense e il chiltepin, hanno lunghi tempi di germinazione. Questi possono essere ridotti con una corretta concimazione, e una temperatura della composta di 30-35 °C di giorno, e circa 20 °C di notte. Allo spuntare della seconda coppia di vere foglie, si ripicchettano le piantine in contenitori singoli, per poi mettere a dimora dopo le ultime gelate, e comunque quando la temperatura notturna non scende sotto i 15 °C (aprile - maggio). Il terreno dev'essere sciolto, acido, ben drenato con una buona componente sabbiosa, non troppo fertilizzato: un uso eccessivo di nitrati porterebbe a bellissime piante fogliose, con pochissimi o nessun fiore, e quindi frutti. Va bene una composta John Innes numero 2: successive concimazioni dovrebbero limitarsi a potassio, fosforo e microelementi. Va somministrato nuovamente dell'azoto solo se la pianta viene fatta svernare, alla ripresa vegetativa.
Al contrario di quanto si pensa, il peperoncino ha bisogno di molta acqua durante la coltivazione, senza però creare ristagni. Per aumentare il gusto piccante dei frutti, basta diminuire le innaffiature, anche azzerandole, nelle 48-72 ore precedenti la raccolta, stando attenti a non far morire la pianta. Un'altra tecnica è quella di annaffiare solamente quando le foglie si sono abbassate, un chiaro indice di scarsità d'acqua.
Per favorire la maturazione dei frutti, si può aumentare il tenore di potassio del terreno, ad esempio con del solfato di potassio.
C. chinense richiede molto calcio, che può essere aggiunto tramite farina d'ossa o equivalente. Quando la pianta ferma la crescita e le nuove foglie avvizziscono, è un indizio della carenza di calcio.
Essendo perenni a vita breve, possono essere fatte svernare in casa, in una posizione calda e assolata. Devono essere portate all'interno o in serra quando la temperatura di notte scende sotto i 10 °C (le tropicali, sotto i 15 °C), mentre di giorno possono essere portate fuori se la temperatura si mantiene sopra i 15-20 °C. D'inverno le piante possono perdere le foglie, e necessitano una potatura per lo meno dei rami secchi in marzo.
Il metodo solitamente utilizzato è la riproduzione per seme, anche se è possibile fare delle talee di rami semi-maturi, lunghe 10 - 15 cm, trattando le estremità con ormone radicante e mettendole in cassone freddo con composta da radicazione, trapiantando poi a dimora in vaso o in terra nello stesso periodo delle piantine ottenute da semi. Tale metodo è indicato per ringiovanire una pianta fatta svernare all'interno o in serra. È possibile l'innesto su solanacee più resistenti, tipo il solanum capsicastrum o il solanum jasminoides, tuttavia non è una pratica molto diffusa, sia per la scarsa percentuale di successo, sia per la difficoltà dell'innesto con piante semilegnose.
Il peperone è attaccato da diversi insetti e funghi. Tra gli insetti rivestono maggiore importanza la mosca bianca (Trialeurodes vaporariorum), la nottua (Agrotis ipsilon), la minatrice americana (Liriomyza trifolii) e un afide, Macrosiphum euphorbiae. Tra i funghi, i più importanti sono la muffa grigia, il mal bianco, la cancrena pedale e le tracheomicosi causate da Fusarium oxysporum, Verticillium albo-atrum e Verticillium dahliae

Il pomodoro è una delle piante appartenenti alla famiglia delle Solanacee più diffusa; precisamente appartiene ad un’unica specie, che è Solanum lycopersicum, e tutte le varietà che si trovano in vendita, ovvero le cultivar, sono tutte della stessa specie.
Il pomodoro è una coltura tipica del centroamerica; importata con la scoperta dell’America, venne considerata una pianta ornamentale a causa del colore dorato dei suoi frutti.
In principio era considerata velenosa, e per questo non veniva mangiata; successivamente i botanici hanno provveduto, con una serie di incroci, a diminuire le sostanze tossiche al suo interno quando il frutto giunge a maturazione, donando al contempo il tipico colore rosso al frutto maturo; nelle diverse varietà esistono però oggi anche pomodori maturi gialli, verdi, rosa, viola oppure neri.
Il pomodoro è il frutto della pianta, che contiene al suo interno moltissimi semi (polisperma) e di cui si consuma la polpa. Il fatto che inizialmente fosse considerata velenosa dipende dal contenuto dall’interno della pianta di un alcaloide tossico, la solanina (classe di molecole che nel pomodoro comprende la deidrotomatina e l’alfa-tomatina), che si trova anche in altre piante della stessa famiglia. La solanina non viene distrutta con la cottura del pomodoro, ed è molto abbondante in tutte le parti della pianta, motivo per cui fusto e foglie non vengono utilizzate per scopo alimentare nemmeno per gli animali.
Il frutto immaturo contiene un’alta concentrazione di solanina, ma questa via via scompare, rendendolo così commestibile; i pomodori “da insalata”, nonostante il colore verde, sono però in fase di maturazione e questo li rende abbastanza poveri di solanina da poter essere consumati senza problemi.
Un altro composto che il pomodoro contiene è il licopene, che a differenza della solanina ha una funzione antiossidante, ovvero è in grado di legare i radicali liberi cellulari impedendo che facciano danni. Alcuni studi ritengono che questa sostanza abbia un certo effetto sulla prevenzione dei tumori, in particolare del tumore prostatico, per cui è consigliato il consumo di grandi quantitativi di pomodoro.
Cenni storici
Il pomodoro è nativo della zona dell'America centrale, del Sudamerica e della parte meridionale dell'America Settentrionale, zona compresa oggi tra i paesi del Messico e Perù. Gli Aztechi lo chiamarono "xitomatl", il termine "tomatl" indicava vari frutti simili fra loro, in genere sugosi. La salsa di pomodoro divenne parte integrante della cucina azteca. Alcuni affermarono che il pomodoro aveva proprietà afrodisiache, sarebbe questo il motivo per cui i francesi anticamente lo definivano "pomme d'amour", pomo d'amore. Si dice che dopo la sua introduzione in Europa sir Walter Raleigh avrebbe donato questa piantina carica dei suoi frutti alla regina Elisabetta, battezzandola con il nome di "apples of love" (pomo d'amore).
La data del suo arrivo in Europa è il 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in patria e ne portò gli esemplari; ma la sua coltivazione e diffusione attese fino alla seconda metà del XVII secolo. Arriva in Italia nel 1596 ma solo più tardi, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud Campania-Napoli, si ha il viraggio del suo colore dall'originario e caratteristico colore oro, che diede appunto il nome alla pianta, all'attuale rosso, grazie a selezioni e innesti successivi.
Inizialmente si pensò che fosse una pianta velenosa in quanto somigliava all'erba morella Solanum nigrum. Difatti, di fronte al dubbio, venne adottata assieme alla patata e a quella americana, come pianta decorativa. I più ricchi situavano questi alimenti stranieri in bei vasi che ornavano le finestre e i cortili. I primi pomodori che arrivarono in Spagna furono piantati nell'orto del medico e botanico Nicolàs Monardes Alfaro, autore del libro Delle cose che vengono portate dall'Indie Occidentali pertinenti all'uso della medicina (1565 - 1574): per la prima volta il pomodoro viene inteso come coltura con proprietà curative. Gradualmente si comprese che poteva avere un utilizzo farmacologico e gastronomico. Non è ben chiaro come e dove, nell'Europa barocca, il frutto esotico di una pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie di credenze e dicerie popolari, comparisse sulla tavola di qualche coraggioso (oppure affamato) contadino. Infatti, gli stessi indigeni del Perù, i primi coltivatori del pomodoro, non mangiavano i frutti della pianta, usata invece a solo scopo ornamentale e come tale fu conosciuta dagli Europei: nel 1640 la nobiltà di Tolone regalò al cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro, e sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di pomodoro alle dame, come atto d'amor gentile. Così la coltivazione del pomodoro, come pianta ornamentale, dalla Spagna, forse attraverso il Marocco, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando il clima adatto per il suo sviluppo, soprattutto in Italia, nella regione dell'Agro nocerino-sarnese, tra Napoli e Salerno.
Scarsissima è, inoltre, la documentazione relativa all'uso alimentare: le prime sporadiche segnalazioni di impiego del suo frutto come alimento commestibile, fresco o spremuto e bollito per farne un sugo, si registrano in varie regioni dell'Europa meridionale del XVII secolo. Soltanto alla fine del Settecento la coltivazione a scopo alimentare del pomodoro conobbe un forte impulso in Europa, principalmente in Francia veniva consumato soltanto alla corte dei re nell'Italia meridionale nella zona di Napoli si diffuse rapidamente tra la popolazione, storicamente oppressa dai morsi della fame, facendolo diventare un ortaggio tipico e fondamentale della cucina Campana, dove sono diffuse parecchie industrie e coltivazioni di pomodoro.
Nel 1762 ne furono definite le  tecniche di conservazione in seguito agli studi di Lazzaro Spallanzani che, per primo, notò come gli estratti fatti bollire e posti in contenitori chiusi non si alterassero. In seguito, nel 1809, un cuoco parigino, Nicolas Appert, pubblicò l'opera L'art de conserver les substances alimentaires d'origine animale et végétale pour pleusieurs années, dove fra gli altri alimenti era citato anche il pomodoro.
La prima classificazione botanica fu a cura di Carlo Linneo nel 1753, in genere Solanum, come Solanum lycopersicum (lycopersicum deriva dal greco, letteralmente pesca dei lupi).
Nel 1768 tuttavia Philip Miller cambiò il nome, sostenendo che le differenze dalle altre piante del genere Solanum, quali patata e melanzana, erano sostanziali, tali da giustificare la creazione di un nuovo genere: da qui il nuovo nome scientifico di Lycopersicon esculentum. Questo nome ebbe notevole successo, sebbene fosse contrario alle regole di nomenclatura vegetale, secondo cui, se si sposta la specie in un nuovo genere, l'epiteto specifico (lycopersicum) non deve essere cambiato, ma solo il nome del genere: Hermann Karsten corresse l'errore nel 1881 e pubblicò il nome formalmente corretto Lycopersicon lycopersicum.
La controversia sul nome scientifico del pomodoro non è tuttavia finita. Innanzitutto il nome di Miller era fino a poco fa il più usato, nonostante l'errore indicato prima. Poi, le moderne tecniche di biologia molecolare hanno permesso di creare precisi alberi filogenetici, che hanno indicato come il pomodoro in realtà faccia parte veramente del genere Solanum, dando sostanzialmente ragione a Linneo. Il nome ufficiale è oggi quindi Solanum lycopersicum, sebbene il nome di Miller rimanga ancora in uso in molte pubblicazioni.
Generalità
Tutte le parti verdi della pianta sono tossiche, in quanto contengono solanina, un glicoalcaloide steroidale che non viene eliminato nemmeno per mezzo dei normali processi di cottura; per tale motivo, il fusto e le foglie non vengono utilizzati a scopo alimentare.
Anche il frutto contiene solanine (α-tomatina e deidrotomatina) ma in quantità molto basse: il frutto maturo rosso ne contiene da 0,03 a 2,3 mg/100 gr di peso fresco, il pomodoro giallo-rossastro per insalata ne contiene mediamente 6 mg/100 gr di peso fresco, mentre il pomodoro verde per insalata ne contiene mediamente 9 mg/100 gr di peso fresco. Va precisato che il pomodoro verde per insalata si trova in realtà all'inizio della maturazione e contiene una quantità di solanine assai inferiore al frutto verde completamente immaturo, dove il contenuto di solanine può superare i 50 mg/100 gr di peso fresco.
Il frutto maturo è ricco di principi nutritivi seppure a basso contenuto calorico, ed è comunemente utilizzato a scopi alimentari, in insalata o come ingrediente nella preparazione di salse e piatti cotti, come la pizza. Il succo o il centrifugato di pomodoro, assunti come bevanda rendono disponibile all'organismo una quantità significativa di licopene, un antiossidante che si ritiene possa svolgere una certa funzione protettiva rispetto al rischio di tumori alla prostata.  Il succo di pomodoro costituisce anche, con l'aggiunta di vodka, tabasco, limone, sale e pepe, la base di un cocktail Bloody Mary solitamente servito come aperitivo (viene talora chiamata Virgin Mary la versione analcolica dello stesso cocktail, che si riduce a succo di pomodoro condito come sopra).
Nelle zone temperate, la pianta del pomodoro non sopravvive al clima invernale, e quindi è coltivata come annuale.
Per i pomodori da tavola si preferisce la semina in semenzaio, con successivo trapianto sul terreno.
In generale la pianta ha andamento strisciante. Nei climi mediterranei, come molte colture orticole di origine esotica, il pomodoro può soffrire gli effetti dell'accumulo di umidità, dei parassiti, e di diverse fitopatologie. Per questo la coltivazione a terra può causare deterioramento delle bacche e della pianta in generale, ed è necessaria normalmente l'installazione di sostegni. Alcune varietà, più basse e robuste, non hanno tuttavia bisogno di essere sostenute, ed i frutti più robusti non sono danneggiati dal contatto con il suolo; naturalmente tali frutti (a buccia dura), non sono adatti per il consumo fresco, ma sono ottimi per la produzione di derivati. I frutti maturi possono piegare i rami portandosi a contatto con il terreno, fattore che ne velocizza il deterioramento. È quindi consigliabile posizionare uno strato di paglia o di materiale isolante alla base delle piante.
 I pomodori gradiscono esposizione piuttosto assolata, anche se nelle ore più calde questo può causare sofferenza sia alla pianta che ai frutti; per alcune varietà con clima molto soleggiato è consigliabile un leggero ombreggiamento. Il terreno deve essere ben fertilizzato; moderata ma regolare irrigazione.
Come è ovvio, per un frutto composto in gran parte da acqua, la natura del suolo e dell'acqua di irrigazione influisce in modo sensibile circa la qualità del frutto stesso; la temperatura dell'acqua di irrigazione non deve mai essere molto diversa dalla temperatura ambiente da causare shock termici. Per questo motivo si consiglia l'irrigazione alla mattina, o al tramonto.
Per aumentare la produttività ed evitare che l'eccessivo sviluppo della parte verde sottragga risorse alla pianta, le varietà indeterminate vanno sottoposte alla sfemminellatura o scacchiatura, che consiste nell'eliminazione dei germogli cosiddetti ascellari. Questi sono riconoscibili perché nascono alla base di una ramificazione già esistente e danno luogo allo sdoppiamento del fusto della pianta. Nella coltivazione vengono usualmente eliminati con le dita non appena si presentano. Se lasciati crescere tuttavia anche questi producono fiori e frutti, al pari del corpo principale della pianta.
La raccolta è fatta prevalentemente a mano. Molte qualità di pomodoro, quando giungono a maturazione, modificano la base del picciolo, che diventa fragile, il distacco della bacca risulta quindi molto agevole. Alcune varietà industriali sono selezionate per la raccolta meccanizzata, con accentuata caratteristica di distacco della bacca e buccia particolarmente robusta; alla estirpazione della pianta ed al suo scuotimento i frutti cadono al suolo senza danneggiarsi, dove sono raccolti.
Spesso le varietà adatte alla raccolta meccanizzata sono a sviluppo determinato, ossia, una volta raggiunto un certo iniziale grado di produzione dei frutti esse smettono di svilupparsi, in tal modo la cessata produzione di altri fiori ed altri frutti in varie fase di maturazione, permette la quasi completa raccolta in una unica soluzione dei frutti presenti.
In condizioni normali invece la pianta è a sviluppo "indeterminato", ciò deriva dal fatto che naturalmente la pianta tende ad avere uno sviluppo pluriennale, e quindi continua, in clima sufficientemente caldo, a produrre fiori e frutti in diversa fase di sviluppo
Varietà
Nonostante le cultivar rosse siano più diffuse in commercio, le bacche del pomodoro possono assumere colorazioni differenti.
Si va dalle cultivar di colore bianco (white queen, white tomesol) a quelle di giallo (douce de Picardie, wendy, lemon), rosa (thai pink), arancioni (moonglow), verdi anche a maturazione (green zebra), e persino nere violacee (nero di Crimea, purple perfect). Alcune varietà scure sono state appositamente selezionate, con tecniche tradizionali (ma anche OGM), per ottenere una pigmentazione del frutto da antocianine (pomodoro nero, blu, o viola per usufruire delle proprietà antiossidanti associate di tali pigmenti (nomi commerciali: "Indigo Rose", "Sunblack", ecc.).
In alcune cultivar la buccia è leggermente pelosa, simile alla pelle di una pesca.
Esistono pomodori lunghi (San Marzano), rotondi e molto grossi (beefteak), a forma di ciliegia, riuniti in grappoli (reisetomaten), e persino cavi all'interno (tomate à farcir).
Fra le varietà più semplici da coltivare vi sono:
The Amateur: a cespuglio, dai frutti di media grandezza, molto gustosi, ottima per iniziare.
Moneymaker: fra le varietà più note e affidabili, produce numerosi frutti di grandezza medio-piccola.
Gartenperle: varietà precoce, a cespuglio, è ideale per la crescita in vaso. Produce numerosi piccoli frutti, del tipo ciliegino.
Marmande: cultivar tardiva, molto nota dai frutti, grossi e saporiti, simili a quelli del pomodoro di Belmonte.
A seconda delle cultivar, la raccolta può avvenire da 40-50 giorni a oltre 120 giorni dal trapianto.
Trasformazione industriale
L'industria del pomodoro è creatura tipicamente italiana. La sua culla sarebbe stata Parma, nelle cui campagne dopo la metà dell'Ottocento i contadini producevano pani di polpa essiccata, al sole, e non per nulla chiamati "pani neri". Avrebbe imposto la svolta l’agronomo Carlo Rognoni, docente all'Istituto tecnico di Parma, che avrebbe sperimentato la coltura, nei propri poderi, dal 1865, e sarebbe stato protagonista della diffusione, prima del 1895, dei primi processi razionali, presto adottati da numerosi laboratori artigianali. A Parma, dove il pomodoro è destinato a diventare la tra le specie orticole più coltivate, fino al 1880 non rientra tra le abitudini alimentari del mondo contadino. Ma di lì a poco, in queste terre, si sarebbe assistito all’avvento dell’industria della trasformazione del pomodoro, che ancora oggi rappresenta una delle più importanti realtà dell’economia italiana.
In seguito al successo della propria industria conserviera piemontese, nel 1875 l'astigiano Francesco Cirio creò a Napoli la prima industria conserviera meridionale.
I laboratori che dichiarano la propria attività, a Parma, alla Camera di Commercio, sono 4 nel 1893, 5 nel 1894, 11 nel 1896. L'industria parmense acquisisce un autentico primato europeo dopo l'importazione dalla Francia, nel 1905, delle apparecchiature per la condensazione del concentrato di pomodoro sottovuoto.
Le imprese parmensi sono, l'anno medesimo, 16, tutte dotate di apparecchiature moderne, quando da Parma l'industria inizia a dilatarsi alla finitima Piacenza. Insieme le due province conseguiranno l'indiscusso primato mondiale del "concentrato", mentre la grande industria di Cirio nel Mezzogiorno si specializzerà piuttosto nei "pelati", ottenuti dal tipico pomodoro campano, il San Marzano. Attualmente, il pomodoro è coltivato su una superficie di 135.000 ha con una produzione media di 33 t/ha di cui il 30% destinata al consumo fresco ed il 70% all’industria conserviera. L’industria ne impiega il 50% per i concentrati, il 30% per i pelati e il resto per triturati, passati, ecc.
Uso del pomodoro in cucina
L’utilizzazione del pomodoro, o di suoi derivati, nella cucina mediterranea ed extra-mediterranea, è talmente diffusa che sembra impossibile immaginare che la pizza, la pasta e tanti altri piatti, sono nati e vissuti a lungo (la pizza per millenni) senza la sua presenza, così come sembra strano che il pomodoro non sia nato nel bacino del Mediterraneo, ma ha origini ben più esotiche e solo in tempi relativamente recenti è divenuto un alimento principe della cucina italiana.
Il termine italiano “pomodoro”, invece, è riconducibile al colore giallo dei primi frutti apparsi in Europa, alla fine del ’500, soppianti poco dopo da varietà a frutto rosso, anch’essi presenti nell’America Meridionale; dal Messico, dove era coltivato in mezzo al mais, il pomodoro giunse in Spagna. Attraverso il possedimento spagnolo di Napoli, nel sec. XVI, il pomodoro, inizialmente considerato una pianta medicinale entrò nella cucina italiana, attribuendogli il nome di “mela d’oro” o “pomo d’oro” e attraverso Genova e Nizza lo trasmisero ai provenzali, utilizzato prevalentemente per abbellire i balconi.
Dalla Spagna, al seguito degli Arabi, il pomodoro giunse in Sicilia, dove si ritrovano le più antiche ricette italiane a base di pomodoro, soprattutto sughi per condire la pasta, in alternativa ai condimenti a base di burro, formaggio e spezie.

Come scegliere

I pomodori devono avere la buccia soda e ben tesa, lucida, senza ammaccature e discretamente pesanti rispetto al loro volume. Il picciolo deve essere turgido e di un bel colore verde brillante. Devono avere un odore gradevole ed intenso.
Come conservare
Conservare i pomodori in frigorifero nello scomparto della frutta e verdura, oppure in un luogo fresco e asciutto. Non sono particolarmente delicati e si possono mantenere tranquillamente per 6-7 giorni.


La melanzana (Solanum melongena L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae, coltivata per il frutto commestibile.
La melanzana, originaria dell'India, viene introdotta dagli Arabi all'inizio del IV secolo e quindi non ha un nome latino o greco. Gli Arabi chiamano la melanzana badingian e in Italia venne inizialmente chiamata petonciana o petonciano o anche petronciano. Per evitare fraintendimenti sulle sue proprietà, la prima parte del nome venne mutata in mela (ovvero frutto per antonomasia) dando così origine al termine melangiana e poi melanzana. Il nome melanzana, in particolare, veniva popolarmente interpretato anche come mela non sana, proprio perché non è commestibile da cruda. Dalla forma araba con l'articolo (al-badingian) derivano invece la forma catalana (albergínia) e francese (aubergine).
La melanzana (Solanum melongena L.) è una pianta erbacea, eretta, alta da 30 cm a poco più di un metro. I fiori grandi, solitari, sono violacei o anche bianchi. I frutti sono bacche grandi, allungate o rotonde, normalmente nere, commestibili dopo la cottura.
La melanzana rossa è una pianta d'aspetto simile alla melanzana per portamento ma il suo frutto arrotondato si colora di rosso intenso come un pomodoro, tanto da essere scambiata per quest'ultimo. Coltivata essenzialmente in Africa e in Asia.
Proprietà
La melanzana cruda ha un gusto amaro che si stempera con la cottura, che rende inoltre l'ortaggio più digeribile e ne esalta il sapore. D'altra parte, la melanzana ha la proprietà di assorbire molto bene i grassi alimentari, tra cui l'olio, consentendo la preparazione di piatti molto ricchi e saporiti. Per questi motivi la melanzana viene consumata preferibilmente cotta. La normale cottura non è in grado di eliminare del tutto la solanina, che si degrada completamente a temperature molto più alte (circa 243 °C); ciò però non è un problema, perché nella melanzana il contenuto di solanine (α-solanina, solasonina e solamargina) è pari a 9–13 mg/100 gr di peso fresco, ben al di sotto della quantità ritenuta accettabile per gli ortaggi (20–25 mg/100 gr di peso fresco).
Esigenze colturali
La melanzana, originaria di climi subtropicali, richiede climi non eccessivamente freddi. La crescita comunque s'arresta quando la temperatura scende sotto i 12 °C. La resa media è di circa 25 t/ha. La melanzana andrebbe coltivata in terreni fertili e ben drenati, in posizione soleggiata ma riparata. Ha bisogno di un clima che non sia né troppo freddo, né troppo umido né ventoso. È possibile coltivarla in vasi di 23 cm con del terriccio.
Cucina
Si consuma fritta, cotta al forno o grigliata, alcune preparazioni tipiche sono: la parmigiana di melanzane, la moussaka, la ratatouille e la caponata.
Valori Nutrizionali
Anche se giunte in Europa in epoca relativamente recente (XIII sec.) la loro coltivazione si diffuse rapidamente, con produzione in Italia di varietà di pregio come la Violetta, di notevole valore gastronomico,ma anche salutistico. Le melanzane possiedono, infatti, un discreto contenuto vitaminico e minerale e soprattutto di alcuni polifenoli che svolgono attività antiossidante proteggendo l’organismo dai radicali liberi. Da un punto di vista terapeutico, la melanzana è consigliata nella cura dell’insufficienza epatica per la sua azione stimolante le vie biliari; ma è soprattutto indicata nelle diete dimagranti perché, oltre al contenuto vitaminico e minerale, possiede un modesto rendimento calorico (18 calorie per 100 g) in quanto ha un elevato contenuto di acqua, pari ad oltre il 90%, ed è praticamente priva di grassi. Non va inoltre sottovalutata la presenza di fibre che proteggono l’intestino e limitano l’assunzione del colesterolo e dei trigliceridi, svolgendo attività protettiva nei confronti delle malattie vascolari.
Cenni Storici
La melanzana è originaria dell'India ma già durante la preistoria era coltivata in Cina e in altri paesi dell'Asia centrale. In Europa però sembra che non fosse conosciuta fino a circa 1500 anni fa: la diffusione in Europa di nomi derivati dall'arabo e la mancanza di nomi antichi latini e greci indicano che fu portata nell'area mediterranea dagli arabi agli inizi del Medioevo. In Europa, la prima regione che ha conosciuto la melanzana pare sia stata l'Andalusia, nel sud della Spagna. In Italia la melanzana viene cucinata a partire dal Quattrocento.
Coltivazione
La melanzana (Solanum melongena L.) viene coltivata nelle regioni a clima temperato e caldo. La pianta è originaria dell'India ma ha un secondo centro di diversificazione in Cina; il 90 per cento della superficie mondiale è coltivata in Asia. L'interesse verso la coltura è cresciuto negli ultimi quindici anni durante i quali, nei principali Paesi produttori, si è assistito ad un aumento della superficie e delle produzioni areiche.
In Italia la melanzana è coltivata soprattutto nelle zone meridionali dove si concentra il 75 per cento della produzione; le regioni dove la coltura è maggiormente diffusa in pien'aria sono la Campania, il Lazio, la Puglia, la Sicilia e la Calabria.
Varietà
La Melanzana di Murcia con foglie e fusto spinosi, frutto violetto, rotondo;
La Melanzana rossa DOP di Rotonda, con una forma simile ad un pomodoro, colore rosso-arancione, polpa fruttata e un sapore leggermente piccante, appartiene ad altra specie.
La Black Beauty, di forma ovale e di colore viola scuro;
La Gigante bianca di New York, dal frutto enorme, bianco sfumato di violetto con caratteristica forma a borsetta;
La Larga Morada, di colore rosato striata di viola e dal gusto delicato;
La Precoce di Barbentane, di forma allungata;
La Violetta di Napoli, dalla forma allungata e dal sapore più forte e piccante;
La Bianca ovale, pianta vigorosa e rustica adatta a vari ambienti climatici, che produce frutti di colore bianco avorio, di forma ovale, con pochi semi; è poco coltivata in Italia;
La Tonda comune di Firenze (o “Melanzana violetta pallida”), si è imposta sul mercato di Firenze per i suoi frutti rotondeggianti a polpa tenera, compatta e poco acida e con pochissimi semi, dalla buccia viola chiaro caratteristica;
La Violetta lunga migliorata delle cascine, pianta vigorosa molto produttiva, dal frutto allungato, violetto un po’ claviforme;
La Violetta lunga palermitana con frutto di grande dimensioni, allungato, claviforme, di colore violetto scuro;
La Violetta nana precoce con frutto più piccolo delle precedenti ma molto precoce.
Come scegliere
La buccia deve essere liscia e lucida, la polpa deve risultare compatta al tatto e i frutti devono dare una sensazione di peso. La mancanza di questi caratteri è indice di prodotto scadente spesso con polpa vuota e, probabilmente, amara. Indice di freschezza è lo stato della guaina del peduncolo che deve presentare un taglio fresco nella parte più alta dell’attaccatura alla pianta. La protuberanza alla fine del frutto (umbone) è tipica delle produzioni in serra delle melanzane durante le stagioni fredde; questi frutti non hanno semi e sono più acquose delle melanzane prodotte in pieno campo d’estate, le quali, però, possono presentare molti semi e risultare amare.
Come conservare
La temperatura ideale è di 10-13°C; al di sotto di 10°C possono subire dei danni (tacche sulla buccia); pertanto, vanno tenute a temperatura ambiente durante l’inverno e in frigorifero nel comparto frutta e ortaggi d’estate, dove si possono tenere sfuse o in sacchetti in polietilene per mantenere meglio la turgidità della bacca e la brillantezza della buccia; ma durano solo pochi giorni (3 o 4). Per periodi più lunghi, le melanzane possono essere surgelate grigliate su piastra su entrambi i lati. La grigliatura induce una discreta disidratazione e una parziale cottura dell’ortaggio, che lo rendono molto più stabile durante la successiva conservazione.

10 ORTAGGI (2^ Edizione)

 

Ortaggi. In queste 360 pagine ho raccolto oltre 250 schede di prodotti, metodi di lavorazione e tecniche di cucina pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO
(https://dallapartedelgusto.blogspot.com/).
Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Ortaggi, che spettacolo vedere i banchi dei prodotti dell'orto traboccare di colori in ogni stagione. Ed i sapori? In cucina lo spettacolo visivo si muta in spettacolo aromatico. Senza giungere agli eccessi di una dieta vegetariana sbilanciata, gli ortaggi sono salute... e risparmio. In ogni stagione la verdura sta sulla nostra tavola. Ma una conoscenza più approfondita ci fa scoprire che ogni tipo di ortaggio ha molte varianti. Si deve conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro ortolano di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.

BRANCALEONE FOX TERRIER

“Brancaleone Fox Terrier” è il primo di un ciclo di volumi che Jean Jacques Bizarre, nom de plume di un bon vivant di origini parigine, ha dedicato alla Liguria, terra che conosce molto bene poiché vi ha risieduto a lungo in compagnia del suo adorato cane, costantemente attorniato dalle sue amicizie senza confini. Il libro è scritto sotto forma di diario che è anche guida turistica e gastronomica romanzata. Il volume si compone di 682 pagine. Leggendolo conoscerete luoghi, miti, leggende, eventi, itinerari, ristoranti e quanto di buono si può trovare in questa affascinante terra. Ma Jean Jacques ha anche aperto a voi le porte del suo cuore e delle sue grandi passioni: le belle donne e la buona cucina (non necessariamente nell’ordine).

venerdì 24 gennaio 2025

Corso di cucina: 24 CONOSCERE GLI ORTAGGI DA BULBO

La cipolla (Allium cepa L.) è una pianta coltivata bulbosa tradizionalmente attribuita alla famiglia delle Liliaceae, secondo schemi tassonomici più recenti da inserire tra le Amaryllidaceae. È una pianta erbacea biennale il cui ciclo di vita, in coltivazione, viene interrotto a un anno al fine di destinarla al consumo. Ha radici superficiali, con foglie che si ingrossano nella porzione basale dando la parte commestibile. Forma un lungo stelo fiorale che porta un'infiorescenza a ombrella con fiori di colore bianco-giallastro. Il frutto è una capsula.
Il suo utilizzo principale è quello di alimento e condimento, ma è anche adoperata a scopo terapeutico per le proprietà attribuitele dalla scienza e dalle tradizioni della medicina popolare.
Sembra che i bulbi di cipolla e di altre piante della famiglia siano stati usati come cibo già nell'antichità. Negli insediamenti cananei dell'età del bronzo, accanto a semi di fico e noccioli di dattero risalenti al 5000 a.C., sono stati ritrovati resti di cipolle, ma non è chiaro se esse fossero effettivamente coltivate a quell'epoca. Le testimonianze archeologiche e letterarie suggeriscono che la coltivazione potrebbe aver avuto inizio circa duemila anni dopo, in Egitto, insieme all'aglio e al porro. Sembra che le cipolle e i ravanelli facessero parte della dieta degli operai che costruirono le piramidi.
La cipolla si propaga, si trasporta e si immagazzina facilmente. Gli antichi egizi ne fecero oggetto di culto, associando la sua forma sferica e i suoi anelli concentrici alla vita eterna. L'uso delle cipolle nelle sepolture è dimostrato dai resti di bulbi rinvenuti nelle orbite di Ramesse II. Gli egizi credevano che il forte aroma delle cipolle potesse ridonare il respiro ai morti.
Nell'antica Grecia gli atleti mangiavano cipolle in grandi quantità, poiché si credeva che esse alleggerissero il sangue. I gladiatori romani si strofinavano il corpo con cipolle per rassodare i muscoli. Nel medioevo le cipolle avevano grande importanza come cibo, tanto che erano usate per pagare gli affitti e come doni. I medici prescrivevano le cipolle per alleviare il mal di capo, per curare i morsi di serpente e la perdita dei capelli. La cipolla fu introdotta in America da Cristoforo Colombo nel suo viaggio del 1493 a Haiti. Nel XVI secolo le cipolle erano inoltre prescritte come cura per l'infertilità, non solo nelle donne, ma anche negli animali domestici.
Le cipolle sono ricche di vitamine e sali minerali. Il caratteristico odore dei bulbi tagliati è dovuto all'abbondanza di solfossidi, in primis il trans-tiopropanal-S-ossido. Affettare le cipolle fa lacrimare gli occhi perché dei precursori presenti nel citoplasma, gli alchil o alchenil cisteina solfossidi (ACSO), dopo il taglio si combinano con la allinasi, un enzima che viene rilasciato dal vacuolo; la combinazione di questi elementi produce acidi solfenici, piruvato, e ammoniaca. L'acido sulfenico, se attaccato da un secondo enzima detto Lachrymatory Factor Synthase produce sin-propanethial-S-ossido, una molecola volatile e idrosolubile, che è appunto il fattore lacrimogeno poiché, quando entra in contatto con l'umore acquoso presente sul bulbo oculare, si trasforma in acido solforico.

Il contatto con l'acido solforico provoca una immediata reazione di difesa da parte dell'occhio, consistente nella produzione di lacrime; tuttavia la maggiore quantità di secreto acquoso sull'occhio non fa che trasformare una maggior quantità di propilenossido in acido solforico, in una reazione a catena.
È proprio per ridurre la quantità di fattore lacrimogeno liberato che una delle soluzioni adottate per tagliare le cipolle senza lacrimare consiste nel farlo sotto l'acqua corrente: il composto è molto idrosolubile per cui se ne diminuisce la volatilità.
Esistono molte varietà di cipolle, che prendono in genere il nome dalla zona di coltivazione, dalla forma, dal colore, dalle dimensioni del bulbo, dalla precocità o, più in generale, dal colore delle tuniche esterne (cioè la buccia che ricopre il globo interno). Tale buccia può essere bianca, giallo-dorata o rossa.
Varietà comuni in Italia
cipolla rossa di Tropea, Calabria
cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti, Puglia
cipolla rossa di Suasa, Marche
cipolla rossa di Certaldo, Toscana
cipolla ramata di Montoro, Campania
cipolla di Vatolla, Campania
cipolla di Sermide, Lombardia
cipolla borettana, Emilia-Romagna
cipolla di Brunate: piccola, bianca, ottima per la preparazione di sottaceti (zona del Lago di Como).
cipolla di Cannara, Umbria
cipolla dolce
cipolla di Banari, Sardegna
cipolla rossa di Cavasso Nuovo, Friuli-Venezia Giulia

Coltivazione di cipolle
Le cipolle vengono coltivate per i loro fusti verdi, detti scaglioni, e per i loro bulbi. Hanno bisogno di un terreno ricco e umido ma mai troppo inzuppato di acqua. Diversi tipi di cipolla richiedono diverse condizioni climatiche e diverse ore di sole ogni giorno. La coltivazione da seme avviene piantando i semi direttamente nel terreno a 1 cm di profondità, lasciando circa 10 cm di spazio da pianta a pianta. Una volta avvenuta la semina bisogna attendere dai 90 ai 120 giorni prima del raccolto. Nei climi miti la cipolla può essere coltivata anche in inverno, altrimenti la cipolla è una pianta tipicamente primaverile.
La cipolla è considerata una coltura da rinnovo che apre la rotazione. Essendo molto sensibile al fenomeno della stanchezza del terreno è indispensabile attuare una rotazione almeno triennale, facendola seguire a cereali, colture prative, carota, radicchio o insalata. Se si sono verificati problemi di malattie fungine (fusariosi in particolare) o nematodi, sarebbe opportuno non far ritornare la cipolla sullo stesso terreno prima di 7-8 anni. Per evitare cali di produzione e peggioramenti qualitativi è consigliabile evitare di farla seguire a cavolo, patata o barbabietola da zucchero in quanto caratterizzate da problemi fitosanitari simili a quelli della cipolla.
La corretta preparazione del terreno è un'operazione molto importante per la cipolla, in quanto si devono evitare condizioni che favoriscano ristagni idrici con conseguente sviluppo di marciumi dei bulbi. Tale fenomeno è grave in particolare nei terreni argillosi, nei quali un cattivo sgrondo delle acque favorisce gli attacchi da parte di Fusarium spp. In genere viene eseguita un'aratura a 30–40 cm di profondità, con eventuale interramento di residui colturali. L'aratura può essere anche più superficiale se abbinata a una ripuntatura a 50–60 cm; a questo scopo l'aratro ripuntatore garantisce una buona preparazione del terreno con un risparmio di tempo e di combustibile. L'interramento di letame deve evvenire solo se questo è ben maturo, per evitare di favorire lo sviluppo di malattie fungine. Successivamente viene effettuato l'amminutamento del terreno con fresatura o erpicatura a inizio agosto per le colture a ciclo estivo-autunnale o a fine inverno per le colture a ciclo primaverile-estivo. Le lavorazioni di affinamento sono particolarmente importanti se la coltura è seminata, mentre se si impiegano bulbi o se si effettua il trapianto è tollerabile una certa zollosità. Prima della semina può essere utile una rullatura per livellare il terreno, ripetuta dopo la semina stessa. Per piccole superfici è sufficiente una vangatura manuale o una zappettatura con interramento di letame ben maturo o compost in ragione di 20–30 kg per 10 m². Anche in questo caso è opportuno non eccedere con l'apporto di sostanza organica, ricordando che la cipolla si avvantaggia degli apporti organici effettuati alla coltura precedente.
L'epoca di impianto dipende dalla destinazione d'uso del prodotto. Per le cipolle da consumo fresco la semina va da metà agosto a metà settembre oppure a febbraio; il trapianto viene invece eseguito da settembre a dicembre. Le cipolle da serbo sono seminate da gennaio ad aprile con raccolta estivo-autunnale, mentre le cipolline sono seminate direttamente in campo da febbraio ad aprile. Per gli orti famigliari, nei quali la produzione più frequente sono i bulbi da ingrossare, l'impianto avviene da fine inverno a inizio primavera.
Le modalità di impianto della cipolla possono essere distinte in:
semina diretta
trapianto di piantine
messa a dimora di bulbi.
Generalmente su grandi superfici viene preferita la semina diretta, mentre per piccole estensioni e orti famigliari si preferisce il trapianto o l'impianto di bulbi. La semina è d'obbligo per le cipolline da industria data l'elevata densità d'impianto.
La semina della cipolla viene effettuata con seminatrici pneumatiche di precisione, impiegando seme nudo oppure avvolto con un rivestimento (seme confettato) che garantisce una miglior uniformità e precisione di semina. Un ulteriore alternativa è l'utilizzo di seme posto su nastri di materiale biodegradabile, che si decompone a contatto con il terreno. Questo sistema permette un risparmio di semente e una riduzione delle successive operazioni di diradamento.
Per valutare la distanza di semina opportuna è necessario considerare la destinazione finale del prodotto. Per le cipolle a bulbo grande le file devono essere distanti 15–20 cm, mentre per le cipolle a bulbo piccolo sono sufficienti 10 cm; tale distanza può scendere a 5–10 cm per le cipolline da sottaceti, per le quali la semina può essere effettuata anche a spaglio. La distanza tra i semi sulla fila varia da 2–3 cm per la cipolline a 15 cm per le cipolle con bulbo più grande. La quantità di seme impiegato varierà quindi da 5–6 kg per le cultivar a bulbo più grosso fino a 60–100 kg per le cipolline. Il seme va posto a una profondità di 2–3 cm, eseguendo una rullatura per permettere al terreno di aderire adeguatamente al seme.
Il trapianto viene effettuato a mano per piccole superfici o a macchina. Vengono impiegate piantine allevate in contenitore, ricordando che occorrono 40-80 giorni (a seconda delle condizioni ambientali) per ottenere piantine di 3-5 foglie pronte per il trapianto. Tali piantine vengono interrate per 4–5 cm, con eventuale spuntatura delle radici; la spuntatura delle foglie provoca invece effetti negativi sulla produzione. Prima del trapianto le piantine possono essere immerse per 12 ore in una soluzione contenente 20 ppm di acido indolacetico o naftalenacetico, al fine di provocare il precoce ingrossamento del bulbo.
Se si opta per la messa a dimora dei bulbi o dei bulbilli formatisi sull'infiorescenza, si ottiene un accorciamento del ciclo colturale di circa 20 giorni e una forma più perfetta dei bulbi. È importante rispettare l'esatta posizione nel disporre i bulbi sul terreno in particolare per quelle di pezzatura grossa; rispetto alla posizione idonea (con il girello che poggia sul terreno) si riscontrano perdite di produzione dal 25% (se disposti orizzontalmente) fino all'80% (se disposti capovolti).
I bulbi possono essere impiegati per l'impianto di cipolle da consumarsi fresche. Vengono interrati a inizio autunno in file distanti 35–40 cm e a circa 15 cm sulle file. Dopo 60-120 giorni si effettua la raccolta; le cipolle fresche ottenute con questa tecnica sono distinguibili da quelle provenienti da seme in quanto non hanno sezione circolare, bensì una forma schiacciata nella parte in cui sono a contatto con altri cipollotti.
Una corretta dotazione di elementi nutritivi nel terreno favorisce non solo la produttività ma anche la qualità e la conservabilità del prodotto. In genere la concimazione organica è sconsigliata perché può pregiudicare la conservabilità dei bulbi e favorire attacchi da parte di nematodi e patogeni fungini. Per le coltivazioni familiari e a livello hobbistico è opportuno che il letame o il compost apportati siano ben maturi. A livello professionale la concimazione organica fa fatta sulla coltura che precede la cipolla nella rotazione, apportando 40-50 t/hm² di letame.
I maggiori fabbisogni di azoto si hanno nel periodo che va dalla germinazione del seme alla bulbificazione. I fabbisogni per una produzione media di 30 t/hm² si aggirano sui 100–150 kg/hm² di azoto, che viene distribuito in parte prima del trapianto e in parte in copertura. Anche se la somministrazione di azoto provoca notevoli incrementi di produzione, apporti tardivi compromettono la conservabilità dei bulbi. Una carenza di azoto causa riduzione della taglia delle piante, foglie di consistenza rigida e di colore verde chiaro con apici gialli. L'azoto va distribuito in parte in presemina e parte in copertura con 2-3 interventi da 30–50 kg/hm², il primo dei quali quando la pianta ha raggiunto un'altezza di 4–5 cm.
Le richieste di fosforo e di potassio sono maggiori nei 20 giorni che precedono la raccolta. La concimazione fosfopotassica viene effettuata prima del trapianto dei bulbi con 150–200 kg/hm² di fosforo e 100-150 di potassio. Tali concimi vanno distribuiti in parte alla preparazione del terreno e in parte in presemina insieme all'azoto. Sono da prediligere concimi contenenti calcio come il nitrato di calcio e contenenti zolfo come il solfato di potassio e il perfosfato minerale semplice. La presenza di un'elevata quantità di zolfo nel terreno contribuisce ad aumentare le sostanze che conferiscono il classico sapore di cipolla e che sono responsabili del potere lacrimatorio.
Il ridotto sviluppo dell'apparato radicale rende la cipolla molto sensibile agli stress idrici. Data l'elevata suscettibilità ai marciumi radicali, però, gli apporti idrici devono essere frequenti e di limitata entità. Durante le prime settimane di sviluppo sono consigliate irrigazioni di 100–200 m³/hm², per poi passare a 300–400 m³/hm² durante la fase di ingrossamento del bulbo. In totale, per l'intero ciclo vegetativo sono necessari 800–2500 m³/hm² di acqua, a seconda dell'ambiente e del clima. In genere gli apporti idrici vengono effettuati per aspersione, sospendendoli 25-30 giorni prima della raccolta oppure quando il 20-25% dell'apparato fogliare si è adagiato spontaneamente sul terreno. Ulteriori apporti infatti, potrebbero danneggiare la conservabilità dei bulbi.
Impiego in cucina
La cipolla è uno degli aromi più usati nella cucina di tutti i paesi. Il suo gusto particolare dà alle preparazioni quel sapore che esalta gli altri ingredienti usati nei vari piatti della cucina nazionale e internazionale.
Sarebbe molto lungo elencare tutte le preparazioni che ne fanno uso, ma si possono ricordare, a titolo di esempio, la peperonata, la frittata di cipolle e fra i piatti internazionali la soupe à l'oignon (la francese zuppa di cipolle). Molto diffusa, soprattutto negli Stati Uniti d'America, è la cipolla fritta (onion rings, nella cucina americana), in cui la cipolla viene sottoposta a frittura dopo essere stata immersa in pastella. Solitamente le cipolle sono tagliate a rondelle formando dei cerchi che gli conferiscono il nome comune, in inglese, di onion rings (anelli di cipolla). Essi sono spesso e volentieri serviti nei fast food in vaschette di carta, come delle comuni patatine fritte. Una preparazione tipica della cucina palermitana, in cui la cipolla interviene come condimento, è la pizza detta sfincione.
Cruda, la cipolla viene usata nelle insalate, specie con il pomodoro o i fagioli, ed è molto usata soprattutto in estate.
È uno dei 3 odori principali, insieme a sedano e carota, usati per il brodo di verdure.
In Catalogna è uso gustare i germogli di cipolla nella calzotata.
La cipolla contiene calcio, ferro e fosforo di grande aiuto contro la stanchezza fisica e mentale, l’astenia e l’esaurimento. Vi sono poi zinco, sodio e potassio che mantengono i tessuti elastici ed il colorito sano. Non bisogna dimenticare le sostanze funghicide e disinfettanti che oltre a stimolare un aumento delle difese immunitarie e a proteggere l’organismo dai funghi cutanei, rendono più forte ed elastico il capello e proteggono il cuoio capelluto da eventuali esquamazioni. Contiene inoltre le prostaglandine, sostanze naturali che svolgono un’utile funzione di controllo per quanto riguarda la pressione arteriosa e il colesterolo. Nella cipolla, infine, troviamo proteine, anche se in quantità ridotte, e tutte le vitamine del complesso B, C ed E, e la vitamina A. Molto importante è anche la glucochinina che le conferisce un’azione antidiabetica.
Come scegliere
Le cipolle devono avere forma compatta, sode e non presentare ammaccature, muffe e germogli.
Le cipolle possono essere vendute sia sfuse, sia imballate. In questo caso devono riportare un'etichetta con le informazioni di legge (vedi riquadro Cosa dice l'etichetta) ed essere confezionate in modo che sia garantita un'adeguata protezione del prodotto. Inoltre, il contenuto di ciascun imballaggio deve essere omogeneo e comprendere soltanto cipolle della stessa origine, varietà e calibro.
Come conservare
Per conservare la cipolla una volta aperta è necessario coprirla con pellicola trasparente e riporla nel cassetto del frigorifero, quello per la frutta e verdura. In questo modo si conserva per 2-3 giorni, anche se perde un po' del suo aroma. Se questa è stata in parte grattugiata, tagliare la zona irregolare per non rischiare di farla marcire.

cipolla

cipolla

La cipolla (Allium cepa L.) è una pianta coltivata bulbosa tradizionalmente attribuita alla famiglia delle Liliaceae, secondo schemi tassonomici più recenti da inserire tra le Amaryllidaceae. È una pianta erbacea biennale il cui ciclo di vita, in coltivazione, viene interrotto a un anno al fine di destinarla al consumo. Ha radici superficiali, con foglie che si ingrossano nella porzione basale dando la parte commestibile. Forma un lungo stelo fiorale che porta un'infiorescenza a ombrella con fiori di colore bianco-giallastro. Il frutto è una capsula.
Il suo utilizzo principale è quello di alimento e condimento, ma è anche adoperata a scopo terapeutico per le proprietà attribuitele dalla scienza e dalle tradizioni della medicina popolare.
Sembra che i bulbi di cipolla e di altre piante della famiglia siano stati usati come cibo già nell'antichità. Negli insediamenti cananei dell'età del bronzo, accanto a semi di fico e noccioli di dattero risalenti al 5000 a.C., sono stati ritrovati resti di cipolle, ma non è chiaro se esse fossero effettivamente coltivate a quell'epoca. Le testimonianze archeologiche e letterarie suggeriscono che la coltivazione potrebbe aver avuto inizio circa duemila anni dopo, in Egitto, insieme all'aglio e al porro. Sembra che le cipolle e i ravanelli facessero parte della dieta degli operai che costruirono le piramidi.
La cipolla si propaga, si trasporta e si immagazzina facilmente. Gli antichi egizi ne fecero oggetto di culto, associando la sua forma sferica e i suoi anelli concentrici alla vita eterna. L'uso delle cipolle nelle sepolture è dimostrato dai resti di bulbi rinvenuti nelle orbite di Ramesse II. Gli egizi credevano che il forte aroma delle cipolle potesse ridonare il respiro ai morti.
Nell'antica Grecia gli atleti mangiavano cipolle in grandi quantità, poiché si credeva che esse alleggerissero il sangue. I gladiatori romani si strofinavano il corpo con cipolle per rassodare i muscoli. Nel medioevo le cipolle avevano grande importanza come cibo, tanto che erano usate per pagare gli affitti e come doni. I medici prescrivevano le cipolle per alleviare il mal di capo, per curare i morsi di serpente e la perdita dei capelli. La cipolla fu introdotta in America da Cristoforo Colombo nel suo viaggio del 1493 a Haiti. Nel XVI secolo le cipolle erano inoltre prescritte come cura per l'infertilità, non solo nelle donne, ma anche negli animali domestici.
Le cipolle sono ricche di vitamine e sali minerali. Il caratteristico odore dei bulbi tagliati è dovuto all'abbondanza di solfossidi, in primis il trans-tiopropanal-S-ossido. Affettare le cipolle fa lacrimare gli occhi perché dei precursori presenti nel citoplasma, gli alchil o alchenil cisteina solfossidi (ACSO), dopo il taglio si combinano con la allinasi, un enzima che viene rilasciato dal vacuolo; la combinazione di questi elementi produce acidi solfenici, piruvato, e ammoniaca. L'acido sulfenico, se attaccato da un secondo enzima detto Lachrymatory Factor Synthase produce sin-propanethial-S-ossido, una molecola volatile e idrosolubile, che è appunto il fattore lacrimogeno poiché, quando entra in contatto con l'umore acquoso presente sul bulbo oculare, si trasforma in acido solforico.
Il contatto con l'acido solforico provoca una immediata reazione di difesa da parte dell'occhio, consistente nella produzione di lacrime; tuttavia la maggiore quantità di secreto acquoso sull'occhio non fa che trasformare una maggior quantità di propilenossido in acido solforico, in una reazione a catena.
È proprio per ridurre la quantità di fattore lacrimogeno liberato che una delle soluzioni adottate per tagliare le cipolle senza lacrimare consiste nel farlo sotto l'acqua corrente: il composto è molto idrosolubile per cui se ne diminuisce la volatilità.
Esistono molte varietà di cipolle, che prendono in genere il nome dalla zona di coltivazione, dalla forma, dal colore, dalle dimensioni del bulbo, dalla precocità o, più in generale, dal colore delle tuniche esterne (cioè la buccia che ricopre il globo interno). Tale buccia può essere bianca, giallo-dorata o rossa.
Varietà comuni in Italia
cipolla rossa di Tropea, Calabria
cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti, Puglia
cipolla rossa di Suasa, Marche
cipolla rossa di Certaldo, Toscana
cipolla ramata di Montoro, Campania
cipolla di Vatolla, Campania
cipolla di Sermide, Lombardia
cipolla borettana, Emilia-Romagna
cipolla di Brunate: piccola, bianca, ottima per la preparazione di sottaceti (zona del Lago di Como).
cipolla di Cannara, Umbria
cipolla dolce
cipolla di Banari, Sardegna
cipolla rossa di Cavasso Nuovo, Friuli-Venezia Giulia
Coltivazione di cipolle
Le cipolle vengono coltivate per i loro fusti verdi, detti scaglioni, e per i loro bulbi. Hanno bisogno di un terreno ricco e umido ma mai troppo inzuppato di acqua. Diversi tipi di cipolla richiedono diverse condizioni climatiche e diverse ore di sole ogni giorno. La coltivazione da seme avviene piantando i semi direttamente nel terreno a 1 cm di profondità, lasciando circa 10 cm di spazio da pianta a pianta. Una volta avvenuta la semina bisogna attendere dai 90 ai 120 giorni prima del raccolto. Nei climi miti la cipolla può essere coltivata anche in inverno, altrimenti la cipolla è una pianta tipicamente primaverile.
La cipolla è considerata una coltura da rinnovo che apre la rotazione. Essendo molto sensibile al fenomeno della stanchezza del terreno è indispensabile attuare una rotazione almeno triennale, facendola seguire a cereali, colture prative, carota, radicchio o insalata. Se si sono verificati problemi di malattie fungine (fusariosi in particolare) o nematodi, sarebbe opportuno non far ritornare la cipolla sullo stesso terreno prima di 7-8 anni. Per evitare cali di produzione e peggioramenti qualitativi è consigliabile evitare di farla seguire a cavolo, patata o barbabietola da zucchero in quanto caratterizzate da problemi fitosanitari simili a quelli della cipolla.
La corretta preparazione del terreno è un'operazione molto importante per la cipolla, in quanto si devono evitare condizioni che favoriscano ristagni idrici con conseguente sviluppo di marciumi dei bulbi. Tale fenomeno è grave in particolare nei terreni argillosi, nei quali un cattivo sgrondo delle acque favorisce gli attacchi da parte di Fusarium spp. In genere viene eseguita un'aratura a 30–40 cm di profondità, con eventuale interramento di residui colturali. L'aratura può essere anche più superficiale se abbinata a una ripuntatura a 50–60 cm; a questo scopo l'aratro ripuntatore garantisce una buona preparazione del terreno con un risparmio di tempo e di combustibile. L'interramento di letame deve evvenire solo se questo è ben maturo, per evitare di favorire lo sviluppo di malattie fungine. Successivamente viene effettuato l'amminutamento del terreno con fresatura o erpicatura a inizio agosto per le colture a ciclo estivo-autunnale o a fine inverno per le colture a ciclo primaverile-estivo. Le lavorazioni di affinamento sono particolarmente importanti se la coltura è seminata, mentre se si impiegano bulbi o se si effettua il trapianto è tollerabile una certa zollosità. Prima della semina può essere utile una rullatura per livellare il terreno, ripetuta dopo la semina stessa. Per piccole superfici è sufficiente una vangatura manuale o una zappettatura con interramento di letame ben maturo o compost in ragione di 20–30 kg per 10 m². Anche in questo caso è opportuno non eccedere con l'apporto di sostanza organica, ricordando che la cipolla si avvantaggia degli apporti organici effettuati alla coltura precedente.
L'epoca di impianto dipende dalla destinazione d'uso del prodotto. Per le cipolle da consumo fresco la semina va da metà agosto a metà settembre oppure a febbraio; il trapianto viene invece eseguito da settembre a dicembre. Le cipolle da serbo sono seminate da gennaio ad aprile con raccolta estivo-autunnale, mentre le cipolline sono seminate direttamente in campo da febbraio ad aprile. Per gli orti famigliari, nei quali la produzione più frequente sono i bulbi da ingrossare, l'impianto avviene da fine inverno a inizio primavera.
Le modalità di impianto della cipolla possono essere distinte in:
semina diretta
trapianto di piantine
messa a dimora di bulbi.
Generalmente su grandi superfici viene preferita la semina diretta, mentre per piccole estensioni e orti famigliari si preferisce il trapianto o l'impianto di bulbi. La semina è d'obbligo per le cipolline da industria data l'elevata densità d'impianto.
La semina della cipolla viene effettuata con seminatrici pneumatiche di precisione, impiegando seme nudo oppure avvolto con un rivestimento (seme confettato) che garantisce una miglior uniformità e precisione di semina. Un ulteriore alternativa è l'utilizzo di seme posto su nastri di materiale biodegradabile, che si decompone a contatto con il terreno. Questo sistema permette un risparmio di semente e una riduzione delle successive operazioni di diradamento.
Per valutare la distanza di semina opportuna è necessario considerare la destinazione finale del prodotto. Per le cipolle a bulbo grande le file devono essere distanti 15–20 cm, mentre per le cipolle a bulbo piccolo sono sufficienti 10 cm; tale distanza può scendere a 5–10 cm per le cipolline da sottaceti, per le quali la semina può essere effettuata anche a spaglio. La distanza tra i semi sulla fila varia da 2–3 cm per la cipolline a 15 cm per le cipolle con bulbo più grande. La quantità di seme impiegato varierà quindi da 5–6 kg per le cultivar a bulbo più grosso fino a 60–100 kg per le cipolline. Il seme va posto a una profondità di 2–3 cm, eseguendo una rullatura per permettere al terreno di aderire adeguatamente al seme.
Il trapianto viene effettuato a mano per piccole superfici o a macchina. Vengono impiegate piantine allevate in contenitore, ricordando che occorrono 40-80 giorni (a seconda delle condizioni ambientali) per ottenere piantine di 3-5 foglie pronte per il trapianto. Tali piantine vengono interrate per 4–5 cm, con eventuale spuntatura delle radici; la spuntatura delle foglie provoca invece effetti negativi sulla produzione. Prima del trapianto le piantine possono essere immerse per 12 ore in una soluzione contenente 20 ppm di acido indolacetico o naftalenacetico, al fine di provocare il precoce ingrossamento del bulbo.
Se si opta per la messa a dimora dei bulbi o dei bulbilli formatisi sull'infiorescenza, si ottiene un accorciamento del ciclo colturale di circa 20 giorni e una forma più perfetta dei bulbi. È importante rispettare l'esatta posizione nel disporre i bulbi sul terreno in particolare per quelle di pezzatura grossa; rispetto alla posizione idonea (con il girello che poggia sul terreno) si riscontrano perdite di produzione dal 25% (se disposti orizzontalmente) fino all'80% (se disposti capovolti).
I bulbi possono essere impiegati per l'impianto di cipolle da consumarsi fresche. Vengono interrati a inizio autunno in file distanti 35–40 cm e a circa 15 cm sulle file. Dopo 60-120 giorni si effettua la raccolta; le cipolle fresche ottenute con questa tecnica sono distinguibili da quelle provenienti da seme in quanto non hanno sezione circolare, bensì una forma schiacciata nella parte in cui sono a contatto con altri cipollotti.
Una corretta dotazione di elementi nutritivi nel terreno favorisce non solo la produttività ma anche la qualità e la conservabilità del prodotto. In genere la concimazione organica è sconsigliata perché può pregiudicare la conservabilità dei bulbi e favorire attacchi da parte di nematodi e patogeni fungini. Per le coltivazioni familiari e a livello hobbistico è opportuno che il letame o il compost apportati siano ben maturi. A livello professionale la concimazione organica fa fatta sulla coltura che precede la cipolla nella rotazione, apportando 40-50 t/hm² di letame.
I maggiori fabbisogni di azoto si hanno nel periodo che va dalla germinazione del seme alla bulbificazione. I fabbisogni per una produzione media di 30 t/hm² si aggirano sui 100–150 kg/hm² di azoto, che viene distribuito in parte prima del trapianto e in parte in copertura. Anche se la somministrazione di azoto provoca notevoli incrementi di produzione, apporti tardivi compromettono la conservabilità dei bulbi. Una carenza di azoto causa riduzione della taglia delle piante, foglie di consistenza rigida e di colore verde chiaro con apici gialli. L'azoto va distribuito in parte in presemina e parte in copertura con 2-3 interventi da 30–50 kg/hm², il primo dei quali quando la pianta ha raggiunto un'altezza di 4–5 cm.
Le richieste di fosforo e di potassio sono maggiori nei 20 giorni che precedono la raccolta. La concimazione fosfopotassica viene effettuata prima del trapianto dei bulbi con 150–200 kg/hm² di fosforo e 100-150 di potassio. Tali concimi vanno distribuiti in parte alla preparazione del terreno e in parte in presemina insieme all'azoto. Sono da prediligere concimi contenenti calcio come il nitrato di calcio e contenenti zolfo come il solfato di potassio e il perfosfato minerale semplice. La presenza di un'elevata quantità di zolfo nel terreno contribuisce ad aumentare le sostanze che conferiscono il classico sapore di cipolla e che sono responsabili del potere lacrimatorio.
Il ridotto sviluppo dell'apparato radicale rende la cipolla molto sensibile agli stress idrici. Data l'elevata suscettibilità ai marciumi radicali, però, gli apporti idrici devono essere frequenti e di limitata entità. Durante le prime settimane di sviluppo sono consigliate irrigazioni di 100–200 m³/hm², per poi passare a 300–400 m³/hm² durante la fase di ingrossamento del bulbo. In totale, per l'intero ciclo vegetativo sono necessari 800–2500 m³/hm² di acqua, a seconda dell'ambiente e del clima. In genere gli apporti idrici vengono effettuati per aspersione, sospendendoli 25-30 giorni prima della raccolta oppure quando il 20-25% dell'apparato fogliare si è adagiato spontaneamente sul terreno. Ulteriori apporti infatti, potrebbero danneggiare la conservabilità dei bulbi.
Impiego in cucina
La cipolla è uno degli aromi più usati nella cucina di tutti i paesi. Il suo gusto particolare dà alle preparazioni quel sapore che esalta gli altri ingredienti usati nei vari piatti della cucina nazionale e internazionale.
Sarebbe molto lungo elencare tutte le preparazioni che ne fanno uso, ma si possono ricordare, a titolo di esempio, la peperonata, la frittata di cipolle e fra i piatti internazionali la soupe à l'oignon (la francese zuppa di cipolle). Molto diffusa, soprattutto negli Stati Uniti d'America, è la cipolla fritta (onion rings, nella cucina americana), in cui la cipolla viene sottoposta a frittura dopo essere stata immersa in pastella. Solitamente le cipolle sono tagliate a rondelle formando dei cerchi che gli conferiscono il nome comune, in inglese, di onion rings (anelli di cipolla). Essi sono spesso e volentieri serviti nei fast food in vaschette di carta, come delle comuni patatine fritte. Una preparazione tipica della cucina palermitana, in cui la cipolla interviene come condimento, è la pizza detta sfincione.
Cruda, la cipolla viene usata nelle insalate, specie con il pomodoro o i fagioli, ed è molto usata soprattutto in estate.
È uno dei 3 odori principali, insieme a sedano e carota, usati per il brodo di verdure.
In Catalogna è uso gustare i germogli di cipolla nella calzotata.
La cipolla contiene calcio, ferro e fosforo di grande aiuto contro la stanchezza fisica e mentale, l’astenia e l’esaurimento. Vi sono poi zinco, sodio e potassio che mantengono i tessuti elastici ed il colorito sano. Non bisogna dimenticare le sostanze funghicide e disinfettanti che oltre a stimolare un aumento delle difese immunitarie e a proteggere l’organismo dai funghi cutanei, rendono più forte ed elastico il capello e proteggono il cuoio capelluto da eventuali esquamazioni. Contiene inoltre le prostaglandine, sostanze naturali che svolgono un’utile funzione di controllo per quanto riguarda la pressione arteriosa e il colesterolo. Nella cipolla, infine, troviamo proteine, anche se in quantità ridotte, e tutte le vitamine del complesso B, C ed E, e la vitamina A. Molto importante è anche la glucochinina che le conferisce un’azione antidiabetica.
Come scegliere
Le cipolle devono avere forma compatta, sode e non presentare ammaccature, muffe e germogli.
Le cipolle possono essere vendute sia sfuse, sia imballate. In questo caso devono riportare un'etichetta con le informazioni di legge (vedi riquadro Cosa dice l'etichetta) ed essere confezionate in modo che sia garantita un'adeguata protezione del prodotto. Inoltre, il contenuto di ciascun imballaggio deve essere omogeneo e comprendere soltanto cipolle della stessa origine, varietà e calibro.
Come conservare
Per conservare la cipolla una volta aperta è necessario coprirla con pellicola trasparente e riporla nel cassetto del frigorifero, quello per la frutta e verdura. In questo modo si conserva per 2-3 giorni, anche se perde un po' del suo aroma. Se questa è stata in parte grattugiata, tagliare la zona irregolare per non rischiare di farla marcire.

L'aglio (Allium sativum L.) è una pianta coltivata bulbosa, assegnata tradizionalmente alla famiglia delle Liliaceae, ma che la recente classificazione APG III attribuisce alle Amaryllidaceae (sottofamiglia Allioideae).
Il suo utilizzo primo è quello di condimento, ma è ugualmente usato a scopo terapeutico per le proprietà congiuntamente attribuitegli dalla scienza e dalle tradizioni popolari.
A causa della sua coltivazione molto diffusa l'aglio viene considerato quasi ubiquitario, ma le sue origini sono asiatiche (sono state rintracciate sia nella Siberia sud-occidentale), velocemente diffusosi nel bacino mediterraneo e già conosciuto nell'antico Egitto.
L'odore caratteristico dell'aglio è dovuto a numerosi composti organici di zolfo tra cui l'alliina ed i suoi derivati, come l'allicina ed il disolfuro di diallile.
Alcune delle cultivar di aglio più rinomate:

Aglio di Caraglio - (aj 'd Caraj), L'aglio di Caraglio, un paese della provincia di Cuneo, è un aglio dal caratteristico aroma delicato. La caratteristica è data dal clima e dai terreni calcarei, dolomitici e cristallini delle montagne della Valle Grana. È stato creato, nel 2009, un Consorzio di tutela e valorizzazione.
Piacentino bianco
Aglio rosso di Sulmona - una delle poche varietà italiane se non l'unica che va in fiore.
Aglio di Vessalico (bianco), è presidio Slowfood.
Aglio rosso di Nubia - L'aglio rosso di Nubia, una frazione di Paceco (Trapani), è presidio Slowfood. Il bulbo è costituito tipicamente da dodici bulbilli o spicchi, con le tuniche esterne bianche e le tuniche interne di colore rosso vivo. Molto intenso e profumato.
Aglio di Voghiera (Fe), di sapore delicato.
Aglio di Resia - L'aglio della Valle di Resia presenta un bulbo di piccole dimensioni, rossastro. I bulbilli sono dotati di odore e sapore più accentuato degli agli normalmente in commercio.
Aglio Rosso di Proceno (VT) - Aglio coltivato nel Comune di Proceno (VT) sin dai tempi antichi. È un aglio dal profumo intenso e da un sapore forte e gradevole. Ha lo scapo fiorale (Tarlo).
Coltivazione

Per coltivare l'aglio, bisogna prima dividerlo in spicchi uguali e poi piantarli uno a uno con la punta dello spicchio rivolta verso l'alto. Si pianta nello strato attivo.
I fiori sono sterili, e così anche i semi. L'unica via di propagazione si ha attraverso divisione e piantumaggio dei singoli bulbetti, previa una attenta selezione dei singoli spicchi. Questo aumenta la probabilità che le future piante siano maggiormente resistenti alle malattie, più forti, etc.
La pianta non ama il freddo autunno-invernale. Allora comincia ad afflosciarsi, fino a seccarsi del tutto. È a questo punto che il tubero sotterraneo andrebbe raccolto. I bulbi che invece si lasciano in loco, rivegeteranno l'anno seguente, coi primi caldi. Formeranno anche bulbilli (piccoli bulbi cresciuti lateralmente al bulbo-madre). La raccolta dei bulbi dunque non è solo una necessità alimentare, ma anche una intelligente pratica colturale che impedisce un eccessivo affollamento dell'area.
In cucina
L'aglio in cucina è molto utilizzato come condimento, ad esempio come ingrediente per salse come bagna caoda, pesto, aioli, tzatziki. La parte commestibile sono i bulbilli (spicchi). Si consuma crudo o cotto, fresco o secco, intero, a fettine, tritato, in polvere. Talvolta gli spicchi vengono utilizzati per insaporire la pietanza ma non vengono direttamente consumati.
Valori nutrizionali
Dal punto di vista nutrizionale la pianta non presenta elementi quali grassi, carboidrati e proteine; infatti, a parte un buon apporto di vitamine (A, C, PP, B1 e B2), le virtù dell’aglio consistono soprattutto in una serie di benefici apportati all’organismo. L'aglio ha infatti spiccate proprietà ipotensive, è un ottimo battericida ed antimicotico, ha azione espettorante ed è ricco di potassio.
L’aglio ha diverse proprietà benefiche, alcune delle quali particolarmente vantaggiose per chi pratica sport. Infatti esercita un’azione: cardioprotettiva (migliora la forza contrattile del cuore e regola il polso), digestiva (aumenta l’acidità di stomaco agendo anche come calmante a livello gastrointestinale), antisettica.
Cenni storici

Si ritiene che l'aglio sia originario dell'Asia Centrale: Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan sono le sue patrie. Li gli agricoltori locale riuscirono in quell'impresa che trasforma una pianta da selvatica a coltivabile e da li inizia il viaggio che ha portato oggi l'aglio ad essere uno dei pochi ortaggi globali, utilizzato indistintamente un po' ovunque. Oggi allo stato selvatico lo si può ancora trovare solo in Siberia e nella parte sud dei monti Urali. Anticamente lo si riteneva originario dell'Egitto perché lo si trovava raffigurato nelle piramidi. Ora si ritiene che la sua diffusione nel Mediterraneo inizi da li.
Fin dall’antichità l’aglio è stato apprezzato sia come alimento, per il sapore caratteristico che dà ai cibi, che come pianta medicinale. Ippocrate, il più grande medico dell’antichità che basò le sue teorie sulla osservazione dei fatti, in più occasioni raccomanda di usare l’aglio per le sue qualità medicinali avallando così la tradizione e l’esperienza popolare. Plinio il Vecchio, nella sua Historia Naturalis, ne indica con dovizia di particolari vari usi terapeutici e non è un mistero che i legionari romani usavano l’aglio abitualmente come vermifugo e per combattere varie malattie infettive. Nel Medioevo i medici usavano delle mascherine imbevute di succo d'aglio per proteggersi dalle infezioni, metodo tutt'oggi utilizzato nella medicina popolare.
Coltivazione
Diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, è attualmente coltivato in tutti i continenti ed è molto noto per l’uso culinario. In Italia viene coltivata maggiormente in Campania, Emilia-Romagna, Veneto e Sicilia. E’ una perenne rustica, coltivata come annuale.
Come scegliere
Il bulbo dell'aglio deve avere forma compatta, essere sodo e non presentare ammaccature, muffe e fenomeni di germogliazione.
Come conservare
L'aglio si conserva a temperatura ambiente, in un luogo fresco e asciutto. Importante è controllare che non presenti muffe e fenomeni di germogliazione
aglio
L'aglio (Allium sativum L.) è una pianta coltivata bulbosa, assegnata tradizionalmente alla famiglia delle Liliaceae, ma che la recente classificazione APG III attribuisce alle Amaryllidaceae (sottofamiglia Allioideae).
Il suo utilizzo primo è quello di condimento, ma è ugualmente usato a scopo terapeutico per le proprietà congiuntamente attribuitegli dalla scienza e dalle tradizioni popolari.
A causa della sua coltivazione molto diffusa l'aglio viene considerato quasi ubiquitario, ma le sue origini sono asiatiche (sono state rintracciate sia nella Siberia sud-occidentale), velocemente diffusosi nel bacino mediterraneo e già conosciuto nell'antico Egitto.
L'odore caratteristico dell'aglio è dovuto a numerosi composti organici di zolfo tra cui l'alliina ed i suoi derivati, come l'allicina ed il disolfuro di diallile.
Alcune delle cultivar di aglio più rinomate:
Aglio di Caraglio - (aj 'd Caraj), L'aglio di Caraglio, un paese della provincia di Cuneo, è un aglio dal caratteristico aroma delicato. La caratteristica è data dal clima e dai terreni calcarei, dolomitici e cristallini delle montagne della Valle Grana. È stato creato, nel 2009, un Consorzio di tutela e valorizzazione.
Piacentino bianco
Aglio rosso di Sulmona - una delle poche varietà italiane se non l'unica che va in fiore.
Aglio di Vessalico (bianco), è presidio Slowfood.
Aglio rosso di Nubia - L'aglio rosso di Nubia, una frazione di Paceco (Trapani), è presidio Slowfood. Il bulbo è costituito tipicamente da dodici bulbilli o spicchi, con le tuniche esterne bianche e le tuniche interne di colore rosso vivo. Molto intenso e profumato.
Aglio di Voghiera (Fe), di sapore delicato.
Aglio di Resia - L'aglio della Valle di Resia presenta un bulbo di piccole dimensioni, rossastro. I bulbilli sono dotati di odore e sapore più accentuato degli agli normalmente in commercio.
Aglio Rosso di Proceno (VT) - Aglio coltivato nel Comune di Proceno (VT) sin dai tempi antichi. È un aglio dal profumo intenso e da un sapore forte e gradevole. Ha lo scapo fiorale (Tarlo).
Coltivazione
Per coltivare l'aglio, bisogna prima dividerlo in spicchi uguali e poi piantarli uno a uno con la punta dello spicchio rivolta verso l'alto. Si pianta nello strato attivo.
I fiori sono sterili, e così anche i semi. L'unica via di propagazione si ha attraverso divisione e piantumaggio dei singoli bulbetti, previa una attenta selezione dei singoli spicchi. Questo aumenta la probabilità che le future piante siano maggiormente resistenti alle malattie, più forti, etc.
La pianta non ama il freddo autunno-invernale. Allora comincia ad afflosciarsi, fino a seccarsi del tutto. È a questo punto che il tubero sotterraneo andrebbe raccolto. I bulbi che invece si lasciano in loco, rivegeteranno l'anno seguente, coi primi caldi. Formeranno anche bulbilli (piccoli bulbi cresciuti lateralmente al bulbo-madre). La raccolta dei bulbi dunque non è solo una necessità alimentare, ma anche una intelligente pratica colturale che impedisce un eccessivo affollamento dell'area.
In cucina
L'aglio in cucina è molto utilizzato come condimento, ad esempio come ingrediente per salse come bagna caoda, pesto, aioli, tzatziki. La parte commestibile sono i bulbilli (spicchi). Si consuma crudo o cotto, fresco o secco, intero, a fettine, tritato, in polvere. Talvolta gli spicchi vengono utilizzati per insaporire la pietanza ma non vengono direttamente consumati.
Valori nutrizionali
Dal punto di vista nutrizionale la pianta non presenta elementi quali grassi, carboidrati e proteine; infatti, a parte un buon apporto di vitamine (A, C, PP, B1 e B2), le virtù dell’aglio consistono soprattutto in una serie di benefici apportati all’organismo. L'aglio ha infatti spiccate proprietà ipotensive, è un ottimo battericida ed antimicotico, ha azione espettorante ed è ricco di potassio.
L’aglio ha diverse proprietà benefiche, alcune delle quali particolarmente vantaggiose per chi pratica sport. Infatti esercita un’azione: cardioprotettiva (migliora la forza contrattile del cuore e regola il polso), digestiva (aumenta l’acidità di stomaco agendo anche come calmante a livello gastrointestinale), antisettica.
Cenni storici
Si ritiene che l'aglio sia originario dell'Asia Centrale: Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan sono le sue patrie. Li gli agricoltori locale riuscirono in quell'impresa che trasforma una pianta da selvatica a coltivabile e da li inizia il viaggio che ha portato oggi l'aglio ad essere uno dei pochi ortaggi globali, utilizzato indistintamente un po' ovunque. Oggi allo stato selvatico lo si può ancora trovare solo in Siberia e nella parte sud dei monti Urali. Anticamente lo si riteneva originario dell'Egitto perché lo si trovava raffigurato nelle piramidi. Ora si ritiene che la sua diffusione nel Mediterraneo inizi da li.
Fin dall’antichità l’aglio è stato apprezzato sia come alimento, per il sapore caratteristico che dà ai cibi, che come pianta medicinale. Ippocrate, il più grande medico dell’antichità che basò le sue teorie sulla osservazione dei fatti, in più occasioni raccomanda di usare l’aglio per le sue qualità medicinali avallando così la tradizione e l’esperienza popolare. Plinio il Vecchio, nella sua Historia Naturalis, ne indica con dovizia di particolari vari usi terapeutici e non è un mistero che i legionari romani usavano l’aglio abitualmente come vermifugo e per combattere varie malattie infettive. Nel Medioevo i medici usavano delle mascherine imbevute di succo d'aglio per proteggersi dalle infezioni, metodo tutt'oggi utilizzato nella medicina popolare.
Coltivazione
Diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, è attualmente coltivato in tutti i continenti ed è molto noto per l’uso culinario. In Italia viene coltivata maggiormente in Campania, Emilia-Romagna, Veneto e Sicilia. E’ una perenne rustica, coltivata come annuale.
Come scegliere
Il bulbo dell'aglio deve avere forma compatta, essere sodo e non presentare ammaccature, muffe e fenomeni di germogliazione.
Come conservare
L'aglio si conserva a temperatura ambiente, in un luogo fresco e asciutto. Importante è controllare che non presenti muffe e fenomeni di germogliazione
Lo scalogno
Lo scalogno (Allium ascalonicum L.) (detto anche scalogna) è una pianta della famiglia Liliaceae (Amaryllidaceae secondo la moderna classificazione APG). Affine alla cipolla con la quale condivide molte caratteristiche e similitudini di utilizzo. Il nome designa tanto la pianta quanto il suo bulbo.
Le prime zone in cui lo scalogno è comparso si trovano in Asia centrale (Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Afghanistan), regione in cui molte specie esistono ancora allo stato selvaggio. Da qui la pianta si sarebbe diffusa verso l'India e verso il Mediterraneo orientale, anche se le zone esatte in cui le prime varietà di scalogno sarebbero state addomesticate non sono ancora state individuate.
Il nome, scientifico quanto volgare, sembra derivare da quello dell'antico porto mediterraneo di Ascalona, situato nella parte meridionale dell'odierno Israele poco a nord di Gaza. Plinio scrive che i greci avevano sei tipi di cipolle, tra cui appunto la scalogna, mentre lo scrittore del I secolo Columella sostiene le virtù dello scalogno, affermando che questa cipolla è la migliore di tutte le varietà. Non è tuttavia certo, date le somiglianze fra alcune varietà di cipolle e gli scalogni, se gli Antichi si riferissero alle stesse varietà a noi note.
Lo scalogno che coltiviamo attualmente arrivò in Europa tra il XII-XIII secolo per opera dei crociati che rientravano dalla Terra santa (si ricordi la Battaglia di Ascalona durante la prima crociata); già nel Duecento in Francia, lo scalogno aveva un ruolo importante nella cucina tradizionale. In un codice manoscritto del secolo XIV conservato presso la Biblioteca universitaria di Bologna vengono citate torte a base di scalogno.
Alcune fonti riportano che lo scalogno sia stato introdotto nelle Americhe da Hernando de Soto durante la sua esplorazione della Lousiana.
Lo scalogno era ritenuto già dagli antichi uno stimolante delle funzioni sessuali (come tale è citato anche da Ovidio) e nelle campagne di tutta Italia molte leggende popolari attribuiscono allo scalogno proprietà afrodisiache: il medico romano Castore Durante scrisse degli effetti eccitanti dello scalogno in un libro pubblicato nel 1586.
Lo scalogno è una pianta di circa 20–30 cm di altezza, con foglie cilindriche.
Tutte le varietà di scalogno rassomigliano alle cipolle, ma a differenza di queste posseggono un bulbo composito (non unico) e, almeno tradizionalmente, prediligono una riproduzione per via vegetativa. L'infiorescenza, quando si manifesta in alcune varietà appositamente selezionate, è, come in tutte le specie del genere Allium, di tipo ombrellifero, ed i semi sono piccoli e neri.
Il bulbo è tunicato come quello della cipolla, ma più piccolo (generalmente il suo diametro una volta pelato non supera i 4–5 cm), ed è spesso composto da due o tre più piccoli bulbilli uniti in un bulbo tunicato unico poco più grande, nel complesso leggermente più affusolato della cipolla. In genere raggiunge un peso che varia da 5 a 25 grammi circa ed è di diverse varietà, che si distinguono tra loro in funzione del colore delle guaine esterne (verde violaceo, rosso, rosso-bruno, rosso rosaceo, viola, giallo, grigio e bianco), della loro forma (sferica, rotondeggiante ed allungata) e infine dal sapore, il quale è molto influenzato anche dalla zona di coltivazione.
In base al colore della buccia si raggruppano in genere le varietà coltivate in Europa:
Rosa. La più importante di queste varietà è lo scalogno di Jersey, fra i più sofisticati, che ha un bulbo sferico rigonfio (corto e piuttosto largo), una buccia dal rame al rosa, una polpa venata e un aroma poco piccante; altre varietà sono la Pesandor e la Rondeline;
Grigi. Famosa è la varietà di scalogno comune, che ha un bulbo piccolo di forma allungata, guaine di colore grigio con testa violacea, una polpa soda ed un aroma pungente; varietà comuni sono la Griselle e la Grisor.
Gialli. Tipici dell'Olanda, hanno un bulbo relativamente arrotondato e corto, fra i più simili alla cipolla.
Bruno rossastri. La più diffusa in Italia è certamente lo Scalogno di Romagna, prodotto IGP (dal 1997) coltivato dall'inizio del XX secolo nelle zone tra Faenza, Forlì ed Imola, che possiede foglie slanciate, un bulbo a forma di fiaschetto talvolta contorto, un apparato radicale ben sviluppato, guaine di colore scuro dorato o ramato, una polpa dalle sfumature rosa-lilla e un sapore piccante. Altre varietà sono la Arvro, la Germor e la Longor.
Lo scalogno è una pianta erbacea poliennale, ma viene usualmente coltivata come annuale. A differenza delle altre piante della sua famiglia, come aglio e cipolla, in genere non produce fiori, motivo per cui molte varietà, selezionate per l'alimentazione umana, non sono diffuse allo stato selvatico. Per tradizione lo scalogno è sempre stato riprodotto per via vegetativa.
L'operazione d'interramento dei bulbi va ripetuta, cicilicamente, ogni anno. Nell'emisfero boreale viene eseguita nei mesi di fine autunno (ottobre-dicembre) in Paesi come l'Italia, mentre in aree dal clima più rigido quali Nord America o Europa settentrionale, si preferisce aspettare fine inverno.
I bulbilli si piantano separati l'uno dall'altro, pertanto se venduti in cespi vanno preventivamente divisi. La densità d’impianto ottimale può variare in funzione della varietà e dell’ambiente di coltivazione: i migliori risultati si ottengono interrando di pochi centimetri bulbilli dal peso medio di 15-20 grammi allineati in rettilineo a distanza di circa 10–15 centimetri uno dall'altro, con file distanti fra loro 40–55 centimetri (anche in funzione del mezzo meccanico disponibile per la sarchiatura), in tutto circa 13-20 piante/m2. Per l'impianto sono necessari circa 25–40 kg per ara, considerando che 1 kg di bulbi sono approssimativamente 35-40 bulbi di calibro 25–30 mm. La punta del bulbo deve essere posizionata verso l'alto, appena sotto il livello del suolo.
In genere i bulbi più grossi sono riservati al consumo, per cui spesso vengono piantati dei bulbi più piccoli, i quali avendo un minor numero di aree meristematiche (vegetative) tendono a dare origine a pochi bulbi, più grandi. Viceversa, l'impianto di grandi bulbi con molti punti di crescita ha come conseguenza una maggior filiazione, e quindi la produzione di un ciuffo di bulbi più esteso, ma con bulbi di dimensioni ridotte. Come per molte altre piante, si consiglia di utilizzare i bulbi che si sono rivelati più sani e vitali.
Analogamente a molti altri ortaggi, lo scalogno predilige i climi temperati, dal momento che temperature inferiori ai 7-8 °C e superiori ai 30 °C ne ostacolano lo sviluppo vegetativo (valori termici prossimi allo zero possono in particolare provocare la morte della pianta, anche se alcune varietà hanno tolleranza a gelo fino a -8 °C). Sono consigliabili temperature più basse durante lo sviluppo (7-15 °C) che durante la formazione dei bulbi (15-25 °C). Le esposizioni migliori sono quindi gli ambienti completamente soleggiati, perché la crescita dei bulbi è accelerata dalle lunghe giornate e dalle alte temperature estive.
Se gli scalogni piantati a fine autunno sono sottoposti a un inverno lungo e mite potrebbe verificarsi un periodo di crescita intermittente che aumenta il numero di punti vegetativi sulla superficie del bulbo. Gli scalogni piantati in primavera hanno invece una crescita più uniforme e producono bulbi più grandi.
Per quanto riguarda i parametri pedologici, lo scalogno da orto si adatta meglio ai terreni sciolti o sabbiosi, di medio impasto, ben drenati, con un pH nel range 6.0-7.5[23], una profondità utile di almeno 40 cm e con un buon contenuto di materia organica, mentre rifugge quelli troppo argillosi e compatti in quanto potrebbero risultare soggetti a ristagni idrici. Per evitare questi ultimi è consigliata talvolta una prosatura per facilitare lo sgrondo delle acque.
Lo scalogno non presenta particolari esigenze nutritive, ma risulta comunque favorito da una buona fertilità del terreno, e si consiglia una rotazione lunga, di almeno 4-5 anni, prima di ripiantarne i bulbi nella stessa parcella (non è ammesso il cosiddetto ristoppio), e, più in generale, di non coltivare lo scalogno in successione ad altre liliacee, solanacee, cavoli o barbabietole, mentre è ammessa la rotazione con carote, frumento, lattuga, orzo e radicchio.
La concimazione va effettuata preferibilmente con concimi minerali in quanto quelli organici rendono la pianta più sensibile all'attacco dei parassiti (per quanto riguarda l’apporto di letame occorre in particolare che questo sia ben maturo). Prima della messa a dimora si devono somministrare concimi binari fosfo-potassici a base di solfato, dal momento che lo scalogno assorbe dal terreno considerevoli quantità di zolfo, mesoelemento che ne caratterizza il sapore e l’odore. L’azoto invece si distribuisce in maniera frazionata prima dell’impianto, all’emissione della terza o quarta foglia ed all’inizio dell’ingrossamento dei bulbi. Lavorando il terreno, bisogna fare sempre attenzione a non danneggiare le radici, in genere sono poco profonde.
Per il controllo delle erbe infestanti negli orti famigliari si ricorre alla scerbatura manuale. Nelle colture in pieno campo si possono eseguire invece delle sarchiature tra una fila e l’altra e, qualora venga utilizzata la pacciamatura non sono necessari trattamenti erbicidi, negli altri casi si ammette il diserbo chimico.
In assenza di precipitazioni nei mesi di maggio e di giugno si interviene con l’irrigazione, avendo cura di lasciare asciugare il terreno tra un intervento e l’altro, perché come detto lo scalogno è sofferente ai ristagni d'acqua.
Nel complesso il ciclo colturale dura 7-8 mesi nel caso di propagazione per interramento. L'epoca di raccolta è un momento fondamentale della filiera produttiva che influenza in maniera determinante la qualità globale del prodotto. Non è disponibile un metodo oggettivo del tutto affidabile ed universalmente accettato per valutare la maturità e di conseguenza l'epoca di raccolta dello scalogno, ma in genere essa avviene quando le foglie della pianta iniziano ad appassire, presentandosi ingiallite e reclinate verso terra per la perdita di turgidità dei tessuti.
La resa agricola è in media di 10-20 bulbi per pianta, sull'ordine dei 4 kg/m2.
La raccolta avviene in periodi differenti in base all’utilizzo previsto: quella effettuata nel mese di giugno fornisce un prodotto da consumare fresco, mentre quella effettuata verso la metà del mese di luglio un prodotto utilizzabile per la conservazione e la trasformazione. Nella tradizione contadina, le verdure a bulbo (cipolla, aglio, scalogno) sono raccolte durante le fasi di luna calante.
La raccolta si effettua con zappa o vanga nei piccoli apprezzamenti, dove i bulbi sono estirpati a mano e lasciati sul terreno per una settimana in modo da permettere l'essiccazione delle parti verdi sia della pianta che delle radici. Negli appezzamenti industriali l'operazione è totalmente meccanizzata, le foglie vengono tagliate ad una altezza variabile da 3 a 10 cm dal bulbo, dalla stessa macchina che effettua l'estirpazione o da una che la precede. I bulbi sono quindi convogliati (subito o dopo 1 o 2 giorni di permanenza in campo) in contenitori costituiti da pallet-box o carri (trasporto alla rinfusa) per il loro trasporto al magazzino. L'asportazione della maggior parte delle foglie aumenta la quantità del prodotto stivabile nei contenitori e facilita la circolazione dell'aria al loro interno. La distribuzione verso il commercio al dettaglio viene fatto con cassette o sacchi a rete.
Negli ultimi decenni tuttavia la ricerca agricola da parte delle aziende agricole dei Paesi Bassi De Groot en Slot Allium B.V. e Bejo-Zaden B.V. ha portato all'individuazione del seme, ed aperto la strada a una nuova, più recente, modalità di produzione. Semi di scalogno sono disponibili sul mercato dal 1998, e tali varietà sono chiamate échalote de semis in francese, Säschalotte in tedesco e sown shallot in inglese. Si tratta, strettamente parlando, di un incrocio tra cipolle e scalogni, che attraverso la selezione ha combinato le caratteristiche positive di sapore e di moltiplicazione delle sementi.
La semina diretta si effettua nell'emisfero boreale in febbraio appena il terreno è lavorabile (i semi possono anche essere interrati in serra circa otto settimane prima di essere trapiantati nei campi); il ciclo culturale è più breve, circa quattro o cinque mesi. Sono necessari 1.500.000-2.000.000 di semi (5 kg) per ettaro.
Questi progressi della tecnica hanno portato ad adattare di conseguenza la normativa europea, in particolare il Catalogo comune delle varietà delle specie di ortaggi della Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, per il quale lo scalogno oramai è considerato tale anche se non riprodotto da bulbo.
Questo passaggio normativo tuttavia non è stato immediato. In Francia ad esempio ad esempio la legislazione risalente al 1990 riservava espressamente diritto di essere commercializzato con il nome di "scalogno" alle sole varietà dette di "tradizione", riprodotte per interramento dei bulbi. Il contenzioso avviato in merito dalla società olandese De Groot en Slot Allium B.V. davanti al Consiglio di Stato ha visto quest'ultimo sancire espressamente l'appartenenza delle varietà seminate alla specie botaniche "scalogno", dato che entrambe le varianti (seminata e "tradizionale") condividerebbero con le altre varietà di scalogno proprietà che contraddistinguono tutti gli scalogni dalle cipolle. Conseguentemente, nonostante la paura da parte dei produttori "tradizionali" della Bretagna e della Valle della Loira di perdere il monopolio che avevano da molti anni, un nuovo decreto è stato adottato 16 gennaio 2007 (NOR: AGRP0700153A)[36], il quale stabilisce la coesistenza di due modi di produzione (seminato e piantato), dalle simili qualità nutrizionali.
Dopo l'estirpazione e la loro essiccazione, i bulbi di scalogno possono essere conservati a temperatura ambiente, in un luogo buio, fresco, asciutto (umidità relativa sotto il 70%) e ben ventilato per circa 2-3 settimane, controllando, come nel caso di altri bulbi, che non avvengano fenomeni di germogliazione. Dopo questa prima fase i bulbi possono essere venduti.
Al momento dell'acquisto lo scalogno deve presentarsi ben sodo (forma compatta), con una buccia liscia priva di muffe, ammaccature e macchie; i bulbi che presentano fenomeni di germogliazione sono in generale molli al tatto e hanno la buccia rovinata.
Una volta acquistato, lo scalogno, se conservato in locali freschi, asciutti e ben aerati o ventilati (tettoie o alcune cantine), può durare fino a sei mesi senza perdere le sue caratteristiche. Il bulbo con un poco di stelo può essere ad esempio conservato in mazzetti, oppure nelle regioni francofone in trecce, poi appese, come si usa fare con l'aglio. Si deve evitare di conservare i bulbi in frigorifero o di riporli in confezioni impermeabili che ne favoriscono la decomposizione.
Lo scalogno non processato ha nel complesso un periodo di conservazione limitato ai sei mesi, un fatto di fondamentale importanza per la propagazione di varietà tradizionali, le quali devono quindi essere ripiantate ogni anno. I bulbi più piccoli hanno una durata minore, per questo se non possono essere piantati vengono consumati per primi.
Per il consumo alimentare, lo scalogno viene processato in molti modi diversi. Una volta tagliato, lo scalogno può essere conservato, avvolto nella pellicola per alimenti, in frigorifero, dove può rimanere al massimo per una settimana, mentre, come le cipolle, i bulbi possono essere grossolanamente tritati e conservati in congelatore.
Un altro metodo di conservazione è quello di porli, preventivamente sbucciati, in contenitori di vetro sott'olio o sott'aceto.
In cucina
Anche se le foglie giovani verdi delle piante sono molto saporite e possono essere usate tritate al posto dell'erba cipollina, lo scalogno è coltivato soprattutto per i suoi bulbi, edibili al 70%. In genere le stesse foglie non sono mai raccolte in grande quantità proprio perché questo ridurrebbe la resa agricola dei bulbi.
Prima dell'utilizzo si deve eliminare la parte esterna (di consistenza cartacea) e tagliarne le estremità. Non si devono mai mettere gli scalogni sotto l'acqua per mitigare il bruciore che provocano agli occhi, poiché questo influisce negativamente sul loro sapore.
I bulbi hanno un sapore meno intenso della cipolla, più aromatico e leggermente agliaceo, ma, a differenza dell'aglio, non sono troppo acri. In generale proprio per il suo delicato e caratteristico apporto aromatico lo scalogno è proposto come sostituto della cipolla per l'elaborazione di antipasti e piatti di portata nella cucina più raffinata o più attenta ai gusti delicati (ha inoltre il vantaggio di appesantire di meno l'alito).
Lo scalogno viene consumato sia cotto che crudo, anche se quest'ultimo uso è più consigliato perché, ad esempio, nei soffritti, di cui è suggerito come base per zuppe o risotti, lo scalogno tende a divenire amaro. Lo scalogno contiene inoltre leggermente meno acqua della cipolla, pertanto è più soggetto a carbonizzare durante la cottura.


Spesso viene fatta confusione nell’utilizzo della parola cipollotto. Per alcuni, infatti, indica una cipolla piccola di forma allungata e di vari colori, mentre per altri una pianta dal bulbo esile e simile al fusto. La risposta corretta è la seconda, perché il cipollotto è una pianta che appartiene a una specie diversa da quella della cipolla. Quando invece si parla dei “cipollotti” di colore rosso, si intende una varietà di cipolla in grado di formare i bulbilli che viene messa in terra tutta insieme. In questo modo, i singoli bulbilli crescono formando tante piante diverse ma che occupano tutte lo stesso spazio; visto che non hanno la possibilità di espandersi, rimangono piccole e di forma allungata, spesso con lati perfettamente lisci e non arrotondati dove sono venute in contatto con le altre cipolle; tuttavia, nonostante il nome, si tratta a tutti gli effetti di una cipolla, che ha le stesse caratteristiche della cipolla “grande”.
Esistono poi cipolle, come il Cipollotto Nocerino DOP, che sono cipolle a tutti gli effetti, anche se piccole.
Il cipollotto propriamente detto, chiamato anche cipolla d’inverno, è una pianta che appartiene al genere Allium fistulosum, quindi diversa dalla cipolla e coltivata principalmente in Oriente, da poco importata nelle nostre zone. Il cipollotto è diverso dalla cipolla principalmente per la forma del bulbo, che è allungato e non molto più ampio rispetto al fusto. È di colore bianco, oppure rosa, e non è conservabile, a differenza delle cipolle, per cui viene consumato solamente fresco, di solito come condimento dell’insalata. Essendo però molto correlato alla cipolla, spesso viene usato in sua sostituzione.


Lo scalogno (Allium ascalonicum L.) (detto anche scalogna) è una pianta della famiglia Liliaceae (Amaryllidaceae secondo la moderna classificazione APG). Affine alla cipolla con la quale condivide molte caratteristiche e similitudini di utilizzo. Il nome designa tanto la pianta quanto il suo bulbo.
Le prime zone in cui lo scalogno è comparso si trovano in Asia centrale (Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Afghanistan), regione in cui molte specie esistono ancora allo stato selvaggio. Da qui la pianta si sarebbe diffusa verso l'India e verso il Mediterraneo orientale, anche se le zone esatte in cui le prime varietà di scalogno sarebbero state addomesticate non sono ancora state individuate.
Il nome, scientifico quanto volgare, sembra derivare da quello dell'antico porto mediterraneo di Ascalona, situato nella parte meridionale dell'odierno Israele poco a nord di Gaza. Plinio scrive che i greci avevano sei tipi di cipolle, tra cui appunto la scalogna, mentre lo scrittore del I secolo Columella sostiene le virtù dello scalogno, affermando che questa cipolla è la migliore di tutte le varietà. Non è tuttavia certo, date le somiglianze fra alcune varietà di cipolle e gli scalogni, se gli Antichi si riferissero alle stesse varietà a noi note.
Lo scalogno che coltiviamo attualmente arrivò in Europa tra il XII-XIII secolo per opera dei crociati che rientravano dalla Terra santa (si ricordi la Battaglia di Ascalona durante la prima crociata); già nel Duecento in Francia, lo scalogno aveva un ruolo importante nella cucina tradizionale. In un codice manoscritto del secolo XIV conservato presso la Biblioteca universitaria di Bologna vengono citate torte a base di scalogno.
Alcune fonti riportano che lo scalogno sia stato introdotto nelle Americhe da Hernando de Soto durante la sua esplorazione della Lousiana.
Lo scalogno era ritenuto già dagli antichi uno stimolante delle funzioni sessuali (come tale è citato anche da Ovidio) e nelle campagne di tutta Italia molte leggende popolari attribuiscono allo scalogno proprietà afrodisiache: il medico romano Castore Durante scrisse degli effetti eccitanti dello scalogno in un libro pubblicato nel 1586.
Lo scalogno è una pianta di circa 20–30 cm di altezza, con foglie cilindriche.
Tutte le varietà di scalogno rassomigliano alle cipolle, ma a differenza di queste posseggono un bulbo composito (non unico) e, almeno tradizionalmente, prediligono una riproduzione per via vegetativa. L'infiorescenza, quando si manifesta in alcune varietà appositamente selezionate, è, come in tutte le specie del genere Allium, di tipo ombrellifero, ed i semi sono piccoli e neri.
Il bulbo è tunicato come quello della cipolla, ma più piccolo (generalmente il suo diametro una volta pelato non supera i 4–5 cm), ed è spesso composto da due o tre più piccoli bulbilli uniti in un bulbo tunicato unico poco più grande, nel complesso leggermente più affusolato della cipolla. In genere raggiunge un peso che varia da 5 a 25 grammi circa ed è di diverse varietà, che si distinguono tra loro in funzione del colore delle guaine esterne (verde violaceo, rosso, rosso-bruno, rosso rosaceo, viola, giallo, grigio e bianco), della loro forma (sferica, rotondeggiante ed allungata) e infine dal sapore, il quale è molto influenzato anche dalla zona di coltivazione.
In base al colore della buccia si raggruppano in genere le varietà coltivate in Europa:
Rosa. La più importante di queste varietà è lo scalogno di Jersey, fra i più sofisticati, che ha un bulbo sferico rigonfio (corto e piuttosto largo), una buccia dal rame al rosa, una polpa venata e un aroma poco piccante; altre varietà sono la Pesandor e la Rondeline;
Grigi. Famosa è la varietà di scalogno comune, che ha un bulbo piccolo di forma allungata, guaine di colore grigio con testa violacea, una polpa soda ed un aroma pungente; varietà comuni sono la Griselle e la Grisor.
Gialli. Tipici dell'Olanda, hanno un bulbo relativamente arrotondato e corto, fra i più simili alla cipolla.
Bruno rossastri. La più diffusa in Italia è certamente lo Scalogno di Romagna, prodotto IGP (dal 1997) coltivato dall'inizio del XX secolo nelle zone tra Faenza, Forlì ed Imola, che possiede foglie slanciate, un bulbo a forma di fiaschetto talvolta contorto, un apparato radicale ben sviluppato, guaine di colore scuro dorato o ramato, una polpa dalle sfumature rosa-lilla e un sapore piccante. Altre varietà sono la Arvro, la Germor e la Longor.
Lo scalogno è una pianta erbacea poliennale, ma viene usualmente coltivata come annuale. A differenza delle altre piante della sua famiglia, come aglio e cipolla, in genere non produce fiori, motivo per cui molte varietà, selezionate per l'alimentazione umana, non sono diffuse allo stato selvatico. Per tradizione lo scalogno è sempre stato riprodotto per via vegetativa.
L'operazione d'interramento dei bulbi va ripetuta, cicilicamente, ogni anno. Nell'emisfero boreale viene eseguita nei mesi di fine autunno (ottobre-dicembre) in Paesi come l'Italia, mentre in aree dal clima più rigido quali Nord America o Europa settentrionale, si preferisce aspettare fine inverno.
I bulbilli si piantano separati l'uno dall'altro, pertanto se venduti in cespi vanno preventivamente divisi. La densità d’impianto ottimale può variare in funzione della varietà e dell’ambiente di coltivazione: i migliori risultati si ottengono interrando di pochi centimetri bulbilli dal peso medio di 15-20 grammi allineati in rettilineo a distanza di circa 10–15 centimetri uno dall'altro, con file distanti fra loro 40–55 centimetri (anche in funzione del mezzo meccanico disponibile per la sarchiatura), in tutto circa 13-20 piante/m2. Per l'impianto sono necessari circa 25–40 kg per ara, considerando che 1 kg di bulbi sono approssimativamente 35-40 bulbi di calibro 25–30 mm. La punta del bulbo deve essere posizionata verso l'alto, appena sotto il livello del suolo.
In genere i bulbi più grossi sono riservati al consumo, per cui spesso vengono piantati dei bulbi più piccoli, i quali avendo un minor numero di aree meristematiche (vegetative) tendono a dare origine a pochi bulbi, più grandi. Viceversa, l'impianto di grandi bulbi con molti punti di crescita ha come conseguenza una maggior filiazione, e quindi la produzione di un ciuffo di bulbi più esteso, ma con bulbi di dimensioni ridotte. Come per molte altre piante, si consiglia di utilizzare i bulbi che si sono rivelati più sani e vitali.
Analogamente a molti altri ortaggi, lo scalogno predilige i climi temperati, dal momento che temperature inferiori ai 7-8 °C e superiori ai 30 °C ne ostacolano lo sviluppo vegetativo (valori termici prossimi allo zero possono in particolare provocare la morte della pianta, anche se alcune varietà hanno tolleranza a gelo fino a -8 °C). Sono consigliabili temperature più basse durante lo sviluppo (7-15 °C) che durante la formazione dei bulbi (15-25 °C). Le esposizioni migliori sono quindi gli ambienti completamente soleggiati, perché la crescita dei bulbi è accelerata dalle lunghe giornate e dalle alte temperature estive.
Se gli scalogni piantati a fine autunno sono sottoposti a un inverno lungo e mite potrebbe verificarsi un periodo di crescita intermittente che aumenta il numero di punti vegetativi sulla superficie del bulbo. Gli scalogni piantati in primavera hanno invece una crescita più uniforme e producono bulbi più grandi.
Per quanto riguarda i parametri pedologici, lo scalogno da orto si adatta meglio ai terreni sciolti o sabbiosi, di medio impasto, ben drenati, con un pH nel range 6.0-7.5[23], una profondità utile di almeno 40 cm e con un buon contenuto di materia organica, mentre rifugge quelli troppo argillosi e compatti in quanto potrebbero risultare soggetti a ristagni idrici. Per evitare questi ultimi è consigliata talvolta una prosatura per facilitare lo sgrondo delle acque.
Lo scalogno non presenta particolari esigenze nutritive, ma risulta comunque favorito da una buona fertilità del terreno, e si consiglia una rotazione lunga, di almeno 4-5 anni, prima di ripiantarne i bulbi nella stessa parcella (non è ammesso il cosiddetto ristoppio), e, più in generale, di non coltivare lo scalogno in successione ad altre liliacee, solanacee, cavoli o barbabietole, mentre è ammessa la rotazione con carote, frumento, lattuga, orzo e radicchio.
La concimazione va effettuata preferibilmente con concimi minerali in quanto quelli organici rendono la pianta più sensibile all'attacco dei parassiti (per quanto riguarda l’apporto di letame occorre in particolare che questo sia ben maturo). Prima della messa a dimora si devono somministrare concimi binari fosfo-potassici a base di solfato, dal momento che lo scalogno assorbe dal terreno considerevoli quantità di zolfo, mesoelemento che ne caratterizza il sapore e l’odore. L’azoto invece si distribuisce in maniera frazionata prima dell’impianto, all’emissione della terza o quarta foglia ed all’inizio dell’ingrossamento dei bulbi. Lavorando il terreno, bisogna fare sempre attenzione a non danneggiare le radici, in genere sono poco profonde.
Per il controllo delle erbe infestanti negli orti famigliari si ricorre alla scerbatura manuale. Nelle colture in pieno campo si possono eseguire invece delle sarchiature tra una fila e l’altra e, qualora venga utilizzata la pacciamatura non sono necessari trattamenti erbicidi, negli altri casi si ammette il diserbo chimico.
In assenza di precipitazioni nei mesi di maggio e di giugno si interviene con l’irrigazione, avendo cura di lasciare asciugare il terreno tra un intervento e l’altro, perché come detto lo scalogno è sofferente ai ristagni d'acqua.
Nel complesso il ciclo colturale dura 7-8 mesi nel caso di propagazione per interramento. L'epoca di raccolta è un momento fondamentale della filiera produttiva che influenza in maniera determinante la qualità globale del prodotto. Non è disponibile un metodo oggettivo del tutto affidabile ed universalmente accettato per valutare la maturità e di conseguenza l'epoca di raccolta dello scalogno, ma in genere essa avviene quando le foglie della pianta iniziano ad appassire, presentandosi ingiallite e reclinate verso terra per la perdita di turgidità dei tessuti.
La resa agricola è in media di 10-20 bulbi per pianta, sull'ordine dei 4 kg/m2.
La raccolta avviene in periodi differenti in base all’utilizzo previsto: quella effettuata nel mese di giugno fornisce un prodotto da consumare fresco, mentre quella effettuata verso la metà del mese di luglio un prodotto utilizzabile per la conservazione e la trasformazione. Nella tradizione contadina, le verdure a bulbo (cipolla, aglio, scalogno) sono raccolte durante le fasi di luna calante.
La raccolta si effettua con zappa o vanga nei piccoli apprezzamenti, dove i bulbi sono estirpati a mano e lasciati sul terreno per una settimana in modo da permettere l'essiccazione delle parti verdi sia della pianta che delle radici. Negli appezzamenti industriali l'operazione è totalmente meccanizzata, le foglie vengono tagliate ad una altezza variabile da 3 a 10 cm dal bulbo, dalla stessa macchina che effettua l'estirpazione o da una che la precede. I bulbi sono quindi convogliati (subito o dopo 1 o 2 giorni di permanenza in campo) in contenitori costituiti da pallet-box o carri (trasporto alla rinfusa) per il loro trasporto al magazzino. L'asportazione della maggior parte delle foglie aumenta la quantità del prodotto stivabile nei contenitori e facilita la circolazione dell'aria al loro interno. La distribuzione verso il commercio al dettaglio viene fatto con cassette o sacchi a rete.
Negli ultimi decenni tuttavia la ricerca agricola da parte delle aziende agricole dei Paesi Bassi De Groot en Slot Allium B.V. e Bejo-Zaden B.V. ha portato all'individuazione del seme, ed aperto la strada a una nuova, più recente, modalità di produzione. Semi di scalogno sono disponibili sul mercato dal 1998, e tali varietà sono chiamate échalote de semis in francese, Säschalotte in tedesco e sown shallot in inglese. Si tratta, strettamente parlando, di un incrocio tra cipolle e scalogni, che attraverso la selezione ha combinato le caratteristiche positive di sapore e di moltiplicazione delle sementi.
La semina diretta si effettua nell'emisfero boreale in febbraio appena il terreno è lavorabile (i semi possono anche essere interrati in serra circa otto settimane prima di essere trapiantati nei campi); il ciclo culturale è più breve, circa quattro o cinque mesi. Sono necessari 1.500.000-2.000.000 di semi (5 kg) per ettaro.
Questi progressi della tecnica hanno portato ad adattare di conseguenza la normativa europea, in particolare il Catalogo comune delle varietà delle specie di ortaggi della Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, per il quale lo scalogno oramai è considerato tale anche se non riprodotto da bulbo.
Questo passaggio normativo tuttavia non è stato immediato. In Francia ad esempio ad esempio la legislazione risalente al 1990 riservava espressamente diritto di essere commercializzato con il nome di "scalogno" alle sole varietà dette di "tradizione", riprodotte per interramento dei bulbi. Il contenzioso avviato in merito dalla società olandese De Groot en Slot Allium B.V. davanti al Consiglio di Stato ha visto quest'ultimo sancire espressamente l'appartenenza delle varietà seminate alla specie botaniche "scalogno", dato che entrambe le varianti (seminata e "tradizionale") condividerebbero con le altre varietà di scalogno proprietà che contraddistinguono tutti gli scalogni dalle cipolle. Conseguentemente, nonostante la paura da parte dei produttori "tradizionali" della Bretagna e della Valle della Loira di perdere il monopolio che avevano da molti anni, un nuovo decreto è stato adottato 16 gennaio 2007 (NOR: AGRP0700153A)[36], il quale stabilisce la coesistenza di due modi di produzione (seminato e piantato), dalle simili qualità nutrizionali.
Dopo l'estirpazione e la loro essiccazione, i bulbi di scalogno possono essere conservati a temperatura ambiente, in un luogo buio, fresco, asciutto (umidità relativa sotto il 70%) e ben ventilato per circa 2-3 settimane, controllando, come nel caso di altri bulbi, che non avvengano fenomeni di germogliazione. Dopo questa prima fase i bulbi possono essere venduti.
Al momento dell'acquisto lo scalogno deve presentarsi ben sodo (forma compatta), con una buccia liscia priva di muffe, ammaccature e macchie; i bulbi che presentano fenomeni di germogliazione sono in generale molli al tatto e hanno la buccia rovinata.
Una volta acquistato, lo scalogno, se conservato in locali freschi, asciutti e ben aerati o ventilati (tettoie o alcune cantine), può durare fino a sei mesi senza perdere le sue caratteristiche. Il bulbo con un poco di stelo può essere ad esempio conservato in mazzetti, oppure nelle regioni francofone in trecce, poi appese, come si usa fare con l'aglio. Si deve evitare di conservare i bulbi in frigorifero o di riporli in confezioni impermeabili che ne favoriscono la decomposizione.
Lo scalogno non processato ha nel complesso un periodo di conservazione limitato ai sei mesi, un fatto di fondamentale importanza per la propagazione di varietà tradizionali, le quali devono quindi essere ripiantate ogni anno. I bulbi più piccoli hanno una durata minore, per questo se non possono essere piantati vengono consumati per primi.
Per il consumo alimentare, lo scalogno viene processato in molti modi diversi. Una volta tagliato, lo scalogno può essere conservato, avvolto nella pellicola per alimenti, in frigorifero, dove può rimanere al massimo per una settimana, mentre, come le cipolle, i bulbi possono essere grossolanamente tritati e conservati in congelatore.
Un altro metodo di conservazione è quello di porli, preventivamente sbucciati, in contenitori di vetro sott'olio o sott'aceto.
In cucina
Anche se le foglie giovani verdi delle piante sono molto saporite e possono essere usate tritate al posto dell'erba cipollina, lo scalogno è coltivato soprattutto per i suoi bulbi, edibili al 70%. In genere le stesse foglie non sono mai raccolte in grande quantità proprio perché questo ridurrebbe la resa agricola dei bulbi.
Prima dell'utilizzo si deve eliminare la parte esterna (di consistenza cartacea) e tagliarne le estremità. Non si devono mai mettere gli scalogni sotto l'acqua per mitigare il bruciore che provocano agli occhi, poiché questo influisce negativamente sul loro sapore.
I bulbi hanno un sapore meno intenso della cipolla, più aromatico e leggermente agliaceo, ma, a differenza dell'aglio, non sono troppo acri. In generale proprio per il suo delicato e caratteristico apporto aromatico lo scalogno è proposto come sostituto della cipolla per l'elaborazione di antipasti e piatti di portata nella cucina più raffinata o più attenta ai gusti delicati (ha inoltre il vantaggio di appesantire di meno l'alito).
Lo scalogno viene consumato sia cotto che crudo, anche se quest'ultimo uso è più consigliato perché, ad esempio, nei soffritti, di cui è suggerito come base per zuppe o risotti, lo scalogno tende a divenire amaro. Lo scalogno contiene inoltre leggermente meno acqua della cipolla, pertanto è più soggetto a carbonizzare durante la cottura.

Il porro, Allium porrum, è una pianta erbacea non presente in natura ma modificata anticamente per creare una specie a sé. Il suo corrispettivo naturale, da cui deriva, è Allium ampeloprasum, che non si consuma.
È un ortaggio da bulbo per classificazione botanica, perché di fatto il bulbo di questa pianta è praticamente inesistente, o comunque è solo leggermente accentuato ed è comunque lungo appena un paio di centimetri. Dal bulbo, come negli altri ortaggi, escono le foglie, che sono bianche nella parte più bassa, verdi in quella più alta. La differenza tra le due è data dalla possibilità di effettuare la fotosintesi clorofilliana, che nella parte bassa semplicemente non avviene perché si trova sotto terra e non è quindi a diretto contatto con la luce. È anche il motivo per il quale, quando viene coltivato, si tende a rincalzare la terra intorno al porro, così da aumentare la parte bianca a scapito di quella verde non commestibile.
Si mangiano quindi le foglie, e la parte commestibile può arrivare a 30 centimetri di lunghezza; se lasciato nel terreno per due anni di seguito forma l’infiorescenza, quindi i semi che poi verranno coltivati in vivaio per il successivo trapianto nel terreno.
I porri si distinguono in cultivar e vanno in base al periodo di semina (estivo, autunnale o invernale) e in base alla lunghezza della parte bianca che è proporzionale al tempo di crescita.
Quando vengono raccolti si estraggono dal terreno, si lavano (perché vengono venduti con le radici) e poi vengono messi in vendita esclusivamente come ortaggi freschi, che si possono conservare a bassa temperatura, ad esempio in frigorifero, fino a tre mesi. Non si conservano in ambiente asciutto perché non avendo bulbo ma le foglie come parte commestibile, seccherebbero e non sarebbe più possibile mangiarle.
Il porro è originario della regione mediterranea, probabilmente dal Vicino Oriente.
La sua coltivazione è di antichissima memoria: il porro era conosciuto dagli Egizi e dai Romani.
La parte edule è rappresentata dalla parte basale delle foglie (la parte bianca), mentre viene comunemente scartata la parte apicale verde delle stesse.
La varietà Allium ampeloprasum var. kurrat chiamato comunemente kurrat è coltivata in Egitto e Medio Oriente. Viene largamente utilizzato nella cucina araba e maghrebina principalmente per le foglie.
porro
Il porro, Allium porrum, è una pianta erbacea non presente in natura ma modificata anticamente per creare una specie a sé. Il suo corrispettivo naturale, da cui deriva, è Allium ampeloprasum, che non si consuma.
È un ortaggio da bulbo per classificazione botanica, perché di fatto il bulbo di questa pianta è praticamente inesistente, o comunque è solo leggermente accentuato ed è comunque lungo appena un paio di centimetri. Dal bulbo, come negli altri ortaggi, escono le foglie, che sono bianche nella parte più bassa, verdi in quella più alta. La differenza tra le due è data dalla possibilità di effettuare la fotosintesi clorofilliana, che nella parte bassa semplicemente non avviene perché si trova sotto terra e non è quindi a diretto contatto con la luce. È anche il motivo per il quale, quando viene coltivato, si tende a rincalzare la terra intorno al porro, così da aumentare la parte bianca a scapito di quella verde non commestibile.
Si mangiano quindi le foglie, e la parte commestibile può arrivare a 30 centimetri di lunghezza; se lasciato nel terreno per due anni di seguito forma l’infiorescenza, quindi i semi che poi verranno coltivati in vivaio per il successivo trapianto nel terreno.
I porri si distinguono in cultivar e vanno in base al periodo di semina (estivo, autunnale o invernale) e in base alla lunghezza della parte bianca che è proporzionale al tempo di crescita.
Quando vengono raccolti si estraggono dal terreno, si lavano (perché vengono venduti con le radici) e poi vengono messi in vendita esclusivamente come ortaggi freschi, che si possono conservare a bassa temperatura, ad esempio in frigorifero, fino a tre mesi. Non si conservano in ambiente asciutto perché non avendo bulbo ma le foglie come parte commestibile, seccherebbero e non sarebbe più possibile mangiarle.
Il porro è originario della regione mediterranea, probabilmente dal Vicino Oriente.
La sua coltivazione è di antichissima memoria: il porro era conosciuto dagli Egizi e dai Romani.
La parte edule è rappresentata dalla parte basale delle foglie (la parte bianca), mentre viene comunemente scartata la parte apicale verde delle stesse.
La varietà Allium ampeloprasum var. kurrat chiamato comunemente kurrat è coltivata in Egitto e Medio Oriente. Viene largamente utilizzato nella cucina araba e maghrebina principalmente per le foglie.

10 ORTAGGI (2^ Edizione)

 

Ortaggi. In queste 360 pagine ho raccolto oltre 250 schede di prodotti, lavorazione e tecniche di cucina pubblicate sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Ortaggi, che spettacolo vedere i banchi dei prodotti dell'orto traboccare di colori in ogni stagione. Ed i sapori? In cucina lo spettacolo visivo si muta in spettacolo aromatico. Senza giungere agli eccessi di una dieta vegetariana sbilanciata, gli ortaggi sono salute... e risparmio. In ogni stagione la verdura sta sulla nostra tavola. Ma una conoscenza più approfondita ci fa scoprire che ogni tipo di ortaggio ha molte varianti. Si deve conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro ortolano di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.ata come foraggera;