lunedì 6 gennaio 2025

Corso di cucina: 6 CONOSCERE I SALUMI

BACON
Il bacon (dal medio inglese bacoun che deriva a sua volta forse dalla parola proto-germanica bacho che significa posteriore del suino o prosciutto) è un salume di suino preparato con la pancia dell'animale, oppure con la lonza comprensiva di parte della pancetta (e in questo caso prende il nome di back bacon). Nel Regno Unito è diffusa l'abitudine di preparare nello stesso modo del bacon anche la coscia posteriore del suino, spesso disossata, ottenendo un prodotto noto come gammon che viene solitamente commercializzato affettato con la denominazione di gammon steak. La carne viene prima trattata con sale, zuccheri, conservanti (nitrati e/o nitriti) e spesso spezie, sia in salamoia (wet cure) sia a secco (dry cure) per un periodo di qualche giorno, in funzione delle dimensioni del pezzo. Successivamente il bacon può essere ulteriormente stagionato, oppure affumicato a freddo o a caldo. Il bacon non affumicato (o affumicato a freddo) di solito viene cotto prima del consumo, mentre il bacon affumicato a caldo (che ha già subito una sorta di cottura) può anche essere consumato tale e quale. Nei paesi di influenza anglosassone il bacon è spesso consumato insieme alle uova (bacon and eggs) nell'ambito del cosiddetto full breakfast.

BRESAOLA
Tra i prodotti di carne salati, la bresaola rientra nella categoria di salumi crudi a pezzo intero non affumicati. In varie zone dell'Italia Settentrionale vengono prodotti vari tipi di bresaola, che si distinguono per le carni utilizzate, che possono essere di manzo, di cavallo o di cervo o di maiale, dal budello o materiale utilizzato per l'insaccatura, nonché per la procedura impiegata per la produzione. La bresaola appare di norma come cilindro o parallelepipedo, più o meno regolare, avvolto dal budello di colore grigiastro, con o senza legatura. Al taglio la bresaola appare di colore rossastro, più o meno scuro o acceso a seconda delle carni impiegate, compatta, con scarse venature dovute ai depositi di grasso e al connettivo naturali. Si consuma affettata, come antipasto o come secondo.
Bresaola della Valtellina
La bresaola della Valtellina, prodotta a partire dalla carne di manzo (essenzialmente punta d'anca, ma vengono utilizzati anche i tagli anatomici della sottofesa e del magatello), è tutelata dall'Indicazione geografica protetta. Dagli scarti di produzione della bresaola di manzo, ovvero le carni più vicine all'osso, viene prodotta la Slinzega. Esiste un consorzio di tutte le azienda che si fregiano del bollino igp e che è attivo nel proteggere l'indicazione di tipicitá e diffondere il consumo della bresaola.
Bresaola di cavallo
In provincia di Asti ed in Veneto (in particolare in provincia di Padova) è tipicamente prodotta una bresaola di cavallo. Viene utilizzata la carne della coscia del cavallo, priva di nervi e grasso. La procedura di produzione prevede la salmistrazione, la speziatura e l'asciugatura in locali riscaldati, infine la stagionatura.
Bresaola di cervo
In provincia di Novara viene prodotta una bresaola utilizzando i tagli più pregiati della coscia e della spalla del cervo. La carne viene lasciata macerare in una salamoia a base di vino rosso. Una volta insaccata, l'asciugatura e la stagionatura concludono la produzione della bresaola di cervo.
Bresaola della val d'Ossola
Nella Val d'Ossola in Piemonte è prodotta una bresaola di manzo, conosciuta anche come "carne salata". Per la sua produzione viene utilizzata la punta dell'anca e il magatello del bovino. La carne salata è conciata con spezie ed aromi naturali: cannella, chiodi di garofano, aglio, rosmarino, alloro, facoltativamente ginepro. La pezzatura è variabile in dipendenza dei tagli di carne che sono lavorati. Si presenta compatta, consistente e di colore rosso intenso, con scarsissima infiltrazione di grasso.
Bresaola affumicata
È una variante della bresaola di manzo prodotta in Valchiavenna, provincia di Sondrio. Dopo l'insaccatura in budello naturale e la stagionatura, avviene l'affumicatura con legno di pino.

COPPA
La coppa, detta anche capocollo, capicollo (Campania), finocchiata (Siena), lonza (Lazio) o lonzino (Marche e Abruzzo) è un insaccato, che è presente nel territorio italiano con varie interpretazioni e ricette, ottenuto dalla lavorazione della porzione superiore del collo del maiale e da una parte della spalla (questo ne giustifica il nome). Le carni vengono salate e massaggiate (questa operazione è necessaria per favorire sia la penetrazione che la distribuzione uniforme del sale) poi vengono insaccate in un budello naturale e fatte stagionare. Nel corso della lavorazione vengono aggiunte spezie ed erbe aromatiche tipiche delle diverse località di produzione del salume. In passato, per la sua stagionatura, si avvolgeva la carne in una tela grezza o la si legava con spago di canapa. Con questo nome si intende anche una parte del maiale, ottima per la cottura alla brace, alla griglia o pietra ollare. Prende nomi differenti a seconda della regione.
Prodotti riconosciuti
Marchi di tutela attribuiti dall'Unione europea
D.O.P.
Capocollo di Calabria
Coppa Piacentina
Coppa di Corsica/Coppa de Corse
I.G.P.
Coppa di Parma
Prodotti agroalimentari tradizionali italiani
Regione Puglia capocollo di Martina Franca
Regione Basilicata capocollo
Regione Campania capicollo
Regione Lazio lonza
Regione Lombardia Coppa Maccarana (finocchiella)
Regione Toscana capocollo tipico senese (finocchiata)
Regione Umbria capocollo
Regione Marche e Abruzzo coppa, lonza, lonzino
Regione Molise capocollo

COTECHINO
Il cotechino è un tipo di insaccato consumato cotto, è originario del Friuli-Venezia Giulia, ma diffuso poi in tutte le regioni del nord Italia, è un piatto abbastanza famoso insieme all'inseparabile compagno lo Zampone di Modena. Deve il suo nome alla cotica, la cotenna di maiale, e prende nomi locali a seconda della zona in cui viene prodotto. La tradizione vuole che sia il piatto che si consuma il primo giorno dell'anno (o l'ultimo) accompagnato dalle lenticchie. Si prepara riempiendo il budello con un impasto fatto di:
cotenna;
carne, solitamente non tagli pregiati;
pancetta
condito con sale e spezie, nella produzione industriale vengono aggiunti per la conservazione nitriti e nitrati. Simile al cotechino, in Friuli esiste il musetto, esso è fatto principalmente con carni derivanti dal muso del maiale.
La pezzatura varia da pochi etti (formato salsiccia) a più di un chilo (formato grosso salame). Richiede tempi lunghi di cottura, a fuoco basso per non rompere il budello, in modo che le cotenne diventino morbide. Si procede bucando la pelle del cotechino con uno stuzzicadenti in parecchi punti per permettere la fuoriuscita del grasso durante la cottura, poi lo si avvolge in un tovagliolo, lo si lega e lo si mette in una pentola di acqua fredda, tanta che ne sia ricoperto. Mettere la pentola, con coperchio, su un fuoco medio e attendere che inizi a bollire. A questo punto abbassare il fuoco in modo che dal coperchio esca solo un filo di vapore. Deve bollire così per altre quattro ore. Alcuni sostituiscono l'acqua dopo un paio d'ore con altra già bollente.
Riconoscimenti
Il cotechino di Modena è un salume a Indicazione geografica protetta (IGP).
Cinque regioni hanno inserito il cotechino nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali:
Emilia Romagna:Cotechino di Modena insieme allo Zampone Modenese.(Cùdghèin in dialetto modenese)
Lombardia: cotechino (bianco, cremonese, della bergamasca, mantovano, pavese)
Molise: cotechino (formato salsiccia)
Trentino: cotechino di maiale
Veneto: sono riconosciuti sette diversi prodotti: coeghin nostrano padovano; coessin co la lengua del basso vicentino, coessin del basso vicentino, coessin della Val Leogra, coessin in onto del basso vicentino, coessin co lo sgrugno, cotechino di puledro, codeghin de Lavagno
Valacchia: cotechino (moro e dalle forme rotonde)

CULATELLO

Il culatello di Zibello è un salume a denominazione di origine protetta tipico della provincia di Parma. È inoltre catalogato tra i Presidi di Slow Food dell'Emilia-Romagna.
Il Culatello, citato con certezza per la prima volta in un documento del 1735, è prodotto a partire dalla coscia di maiale. Il Consorzio del Culatello di Zibello ha stabilito che la lavorazione può avvenire solo in una determinata e circoscritta zona ed esclusivamente nel periodo tra ottobre e febbraio, quando la Bassa è avvolta dalla nebbia e dal freddo. È in quel periodo che la parte di carne ricavata dalla coscia dei suini adulti, allevati secondo metodi tradizionali, viene decotennata, sgrassata, disossata, separata dal fiocchetto e rifilata a mano, così da conferirle la caratteristica forma "a pera". A queste operazioni seguiranno poi, dopo circa una decina di giorni, la salatura e la cosiddetta investitura, cioè l'insaccamento del salume nella vescica del suino e la legatura con lo spago che, dopo la stagionatura, dovrà risultare a maglie larghe e irregolari. La stagionatura in cantina accompagna il Culatello dalle nebbie invernali all'afa estiva, per arrivare sulle nostre tavole l'inverno successivo nel pieno delle sue più originali qualità di sapore. Il periodo di stagionatura è da un minimo di 10 mesi per le pezzature inferiori (almeno 3 kg) fino ad una media di 14 mesi per tutti i pezzi. La produzione annua è di circa 50.000 pezzi di Culatello di Zibello DOP.

LARDO

lardo
Il lardo è il prodotto della salagione, aromatizzazione e stagionatura dello strato di grasso che si trova appena sotto la cute del maiale. Questo taglio grasso del maiale si preleva dal collo, dal dorso e dalla parte alta dei fianchi dell'animale. Il nome lardo sarebbe da attribuire propriamente al prodotto stagionato, mentre il taglio di carne grassa da cui il lardo si produce, ordinariamente sarebbe corretto chiamarlo "grasso fresco", per distinguerlo dal prodotto stagionato. Tale distinzione linguistica non sempre è osservata nel linguaggio corrente. La parola lardo deriva dal latino làrdum o làrinum e dal greco larinòs, λαρινός, ossia "ingrassato" (da la - in - e rinòs - cuoio, scuso - quindi "ben coperto" o "pingue").
Il più conosciuto è probabilmente il lardo di Colonnata che, per il suo gusto unico e la sua delicatezza, ha reso famosa la località toscana da cui prende nome.
La qualità del lardo dipende della scelta delle materie prime (dalla qualità del "grasso fresco" che deve essere di suino pesante, agli aromi con i quali viene strofinato) e della sapiente arte della stagionatura che ancora oggi viene fatta nelle vasche di marmo (conche) in cui il prodotto rimane per circa 6 mesi.
Un altro tipo è il lardo di Arnad che, a differenza del precedente, viene stagionato in vasche di legno e insaporito con aromi come ginepro, alloro, noce moscata, salvia e rosmarino. Lardo di Arnad è una Denominazione di origine protetta. Il lardo è stato riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come prodotto tradizionale su proposta della Regione Basilicata.

MORTADELLA
La Mortadella Bologna IGP è un prodotto di salumeria realizzato con carne di puro suino, finemente triturata, mescolata con lardo, leggermente aromatizzata con spezie, insaccata e cotta.
Dal luglio 1998, a livello europeo, la denominazione Mortadella Bologna è stata riconosciuta quale indicazione geografica protetta (IGP). A seguito di questo riconoscimento, solo la Mortadella Bologna può fregiarsi del marchio IGP, mentre tutte le altre produzioni che non rientrano nelle regole del disciplinare, possono essere commercializzate come mortadella comune e in alcun modo posso usare la denominazione 'Bologna' o la dicitura 'IGP' sui prodotti venduti, anche se erroneamente nel linguaggio comune è uso indicare come 'Bologna' anche la comune mortadella.
L'origine del nome "mortadella" è tuttora fonte di dibattito, ma risalirebbe all'epoca dell'Impero Romano. Secondo alcuni deriverebbe da mortarium (mortaio), l'utensile usato per schiacciare la carne di maiale; condividerebbe quindi l'etimo con la mortandela trentina (salume niente affatto simile).
Altri ritengono invece che provenga da mortarum, una salsiccia aromatizzata con bacche di mirto, oppure da murtatum che significa, appunto, carne finemente tritata nel mortaio.
La mortadella è nata probabilmente nel I secolo e la sua produzione si è sviluppata in un'area compresa tra Emilia-Romagna e Lazio; tuttavia, per un periodo di tempo, questo salume entrò nell'oblio, ma ricomparve nel tardo Medioevo, dove veniva prodotto esclusivamente nella città di Bologna.
Le sue origini sono da ricercare nei territorio dell'antica Felsina etrusca e della Bononia dei Galli Boi, che vivevano in ambienti ricchi di boschi di querce che fornivano le ghiande, principale alimento dei maiali di allora, allevati allo stato brado o addomesticati.
Nel museo archeologico di Bologna è conservata la prima testimonianza della presenza di un produttore di mortadella: una stele di epoca romana imperiale raffigura sette maialetti condotti al pascolo e un mortaio con pestelle.
Si parla della mortadella già nei libri di cucina del Trecento, anche se è probabile che esistessero diversi tipi di mortadella confezionate con carni di vitello e di asino.
La fabbricazione e l'applicazione dei sigilli di garanzia era di competenza della Corporazione dei Salaroli, una delle più antiche di Bologna, che già nel 1376 aveva per stemma un mortaio con pestello.
Nel 1661 per regolare la produzione fu pubblicato un bando del cardinale Girolamo Farnese, cardinale legato di Bologna, che impediva la produzione di mortadella con carni diverse da quelle di maiale, anche perché tale reato provocava “in grave pregiudicio del Pubblico, e particolarmente della Dote che gode ab antiquo detta città di fabbricar Mortadelle d'isquisita perfettione”. Questo provvedimento è considerato il primo provvedimento emanato al mondo a tutela di una specialità gastronomica.
Oggigiorno, le caratteristiche della mortadella sono stabilite dal Consorzio della Mortadella Bologna e approvate dall'Unione Europea.
La mortadella Bologna IGP, di puro suino, è un insaccato cotto, dalla forma cilindrica od ovale, di colore rosa e dal profumo intenso, leggermente speziato.
Per la sua preparazione vengono impiegati solo tagli pregiati (carne e lardelli di elevata qualità), triturati adeguatamente allo scopo di ottenere una pasta fine. Il sapore è pieno e ben equilibrato. Una volta tagliata, la superficie si presenta vellutata e di colore rosa vivo uniforme. La mortadella Bologna emana un profumo particolare e aromatico e il suo gusto è tipico e delicato.
Principali valori nutrizionali:
Parte edibile: 100%
Proteine: 15,7%
Lipidi: 25%
Acidi grassi saturi: 8,3%
Energia: 288 kcal per 100 g
La Mortadella è un prodotto estremamente versatile e utilizzato in diverse preparazioni. Può essere consumata affettata abbinata con il pane o tagliata a cubetti come antipasto.
La Mortadella è protagonista dei piatti della tradizione bolognese: è infatti un ingrediente del ripieno dei tortellini, frullata compone la "spuma di Mortadella", e nel Gran fritto alla Bolognese compare come ingrediente dello Stecco petroniano.
L'utilizzo della mortadella in cucina non si limita alle ricette della tradizione, ma è anche oggetto di ricette e interpretazioni più fantasiose.
Dal 2007, nel primo weekend di ottobre, a Zola Predosa, si tiene "Mortadella, Please", il Festival Internazionale della Mortadella di Zola Predosa. La festa è organizzata da alcuni produttori locali.
Nel 2013 c'è stata la prima edizione "MortadellaBò", un evento annuale che viene abitualmente organizzato a fine estate dal Consorzio di Tutela della Mortadella Bologna IGP in Piazza Maggiore a Bologna, che coinvolge tutte le aziende consorziate produttrici, le istituzioni locali e le rappresentanze amministrative della città di Bologna.
Una buona percentuale della produzione italiana di mortadella viene esportata.

PANCETTA
La pancetta (detta anche ventresca di maiale) è un salume di suino preparato con la parte della pancia dell'animale. Le parti della pancia dei suini vengono squadrate e rifilate. La conservazione o meno della cotenna dipende dal tipo di preparazione prevista per la pancetta. Le rifilature delle pancette sono utilizzate per la parte grassa dei salami (lardelli) o per ricavarne ciccioli. Successivamente alla rifilatura, le pancette passano alla salagione. Vengono cosparse di sale (in alcune zone, oltre al sale, si aggiungono anche aromi e spezie - ad esempio frequentemente pepe nero, raramente altri aromi come chiodi di garofano e noce moscata) e sono poste a riposare per alcuni giorni. L'insaccato che successivamente se ne ricava, varia da regione e regione e, in base alla destinazione finale, può essere: Arrotolata come un grosso salame (con o senza cotenna). Se si rimuove la cotenna, la pancetta si insacca in un grosso budello naturale o artificiale e viene legata; se all'interno si inserisce un blocco di coppa (detta anche "capocollo") si avrà la "pancetta coppata" Steccata, con cotenna (piegata e stretta tra due robuste assi tenute legate saldamente fra loro); Stesa con cotenna; Dopo i tre tipi di preparazione sopra riportati inizia la stagionatura vera e propria che può durare dai 50-60 giorni per la pancetta stesa e per le pezzature piccole, fino ai 90-120 giorni per le pezzature più grosse. Altre preparazioni della pancetta possono essere: Affumicata, con cotenna, in apposite stufe e lasciata stesa; Cubettata, sia affumicata che dolce, pronta per sughi e commercializzata come prodotto semilavorato. Queste ultime due preparazioni di norma non richiedono stagionatura. L'aspetto esteriore finale del taglio di pancetta sarà di uno strato di grasso bianco con filettature rosa (più o meno scure) di carne magra. Il grasso della pancetta affumicata si presenta con un colore più scuro, tendente al giallo avorio; se la pancetta sarà stata aromatizzata con peperoncino, il bianco del grasso avrà riflessi rossicci.
Prodotti a denominazione d'origine protetta e agroalimentari tradizionali italiani
Due prodotti possono vantare la denominazione DOP:
Pancetta Piacentina
Pancetta di Calabria
La pancetta di maiale è tanto diffusa in Italia da essere inoltre inserita nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali di 12 Regioni:
Basilicata
Calabria
Campania: Pancetta arrotolata e pancetta tesa
Emilia-Romagna: Pancetta canusina, pancetta piacentina
Friuli e Venezia Giulia: pancetta arrotolata dolce e affumicata, pancetta arrotolata manicata, pancetta con lonza, pancetta stesa
Liguria
Lombardia: pancetta con filetto, con pisteum, alla bergamasca, pavese
Marche: pancetta arrotolata
Piemonte
Toscana: pancetta apuana, pancetta e rigatino, pancetta stesa vergazzata
Trentino- Alto Adige, pancetta affumicata, panceta ligada all'ai della Val Rendena e pancetta nostrana all'aglio di Caderzone
Umbria: Ventresca di maiale
Veneto: pancetta col tocco (filetto) del basso vicentino e pancetta con l'ossocollo del basso vicentino

PROSCIUTTO COTTO

Il prosciutto cotto è un salume tipico italiano ottenuto dalla salatura e cottura della coscia del maiale. Si definisce prosciutto cotto unicamente il salume derivato dal taglio anatomico di riferimento, che si chiama infatti "prosciutto". Un salume simile, ricavato invece dalla spalla del maiale (meno pregiato, ma simile a livello nutrizionale) viene denominato spalla cotta. Si tratta di un salume cotto, non insaccato e parzialmente ricoperto da cotenna. Il Ministero dello sviluppo economico diversifica il prosciutto cotto in tre tipologie distinte:
prosciutto cotto di alta qualità - devono essere identificabili almeno 3 dei 4 muscoli principali della coscia intera del suino. Il tasso di umidità deve essere compreso tra il 75,5 ed il 76,5%;
prosciutto cotto scelto - devono essere identificabili almeno 3 dei 4 muscoli principali della coscia intera del suino. Il tasso di umidità deve essere compreso tra il 78,5 ed il 79,5%;
prosciutto cotto ottenuto dalla coscia del suino (eventualmente disossata, sgrassata, sezionata e privata dei tendini e della cotenna) Il tasso di umidità deve essere compreso tra l’81 e l’82%
Tali denominazioni disciplinano la produzione e la vendita del prosciutto cotto su tutto il territorio italiano.
Lavorazione
Le cosce di maiale vengono schiacciate e salate con una salamoia contenente sale, aromi e una bassa dose di conservanti (ad es. nitriti). Successivamente avviene la zangolatura ("massaggiatura", per distribuire in modo uniforme la salamoia nei tessuti), la pressatura in stampi e la cottura a vapore. Vi sono inoltre varianti arrosto e affumicate.

PROSCIUTTO CRUDO
Il prosciutto crudo è un salume tipico italiano (prodotto agroalimentare tipico italiano) ottenuto dalla salatura a secco dalla coscia del maiale, in particolare da animali che hanno raggiunto un peso intorno ai 150 kg. Specialità ottenute dallo stesso taglio anatomico in nazioni diverse dall'Italia assumono nomi specifici e non possono essere assimilate al prodotto italiano, soprattutto in virtù del fatto che la specificità del prosciutto crudo italiano risiede nelle particolari tecniche produttive e nella stagionatura in microclimi specifici. Il prosciutto crudo si ottiene tramite salatura, fermentazione e successiva stagionatura della coscia (arto posteriore) del maiale; tale taglio di carne è detto infatti "prosciutto". In nessun caso può essere utilizzato il termine "prosciutto crudo" per definire specialità salate ottenute da altre parti anatomiche del suino, ivi compresa la spalla. In taluni casi è invalso l'uso della definizione di prosciutto crudo per identificare salumi ottenuti dalla coscia di animali diversi dal maiale. In questi casi si pospone alla dizione prosciutto crudo la denominazione dell'animale dal quale viene ricavato ("prosciutto crudo d'oca", "prosciutto crudo di cinghiale", ecc.). I prosciutti crudi si dividono in due grandi gruppi: i prosciutti ai quali viene asportato lo zampino e parte dello stinco (ad esempio il Prosciutto di Parma) e i prosciutti che conservano tali parti anatomiche (ad esempio il Prosciutto di San Daniele). Per questi prosciutti esiste un disciplinare che ne regola non solo il trattamento della carne, ma anche la selezione delle razze suine utilizzabili e la qualità e quantità della loro alimentazione, dal momento della nascita al raggiungimento del peso/età per il macello. Il prosciutto crudo viene conciato a secco e lavorato con sale marino. Alcuni disciplinari di prosciutti DOP escludono tassativamente l'impiego di conservanti, mentre nella maggior parte dei prosciutti prodotti in Italia è consentito l'uso di nitrati nelle quantità previste dalla legge. L'utilizzo di nitriti è invece molto raro. Dopo la salatura iniziale e l'inizio dei processi di fermentazione, il prosciutto crudo viene stagionato (e in questa fase perde una buona percentuale di acqua: la parola prosciutto deriva, infatti, dal latino "perexsuctum" che significa "prosciugato").
Dal punto di vista prettamente tecnico, il processo di stagionatura può essere equiparato a quello di una naturale mummificazione per disidratazione.
Varietà
Le principali varietà italiane di prosciutto sono:
prosciutto Veneto Berico-Euganeo
prosciuttino crudo d'oca del Friuli
prosciutto crudo Praga del Friuli-Venezia Giulia
prosciutto di Carpegna
prosciutto di Cormons
prosciutto di Cuneo
prosciutto di Modena
prosciutto di Norcia
prosciutto di maiale brado di Norcia
prosciutto di Parma
prosciutto di San Daniele
prosciutto di cinta senese
jambon de Bosses
prosciutta di Castelnuovo
prosciutto dei Nebrodi
prosciutto del Carso o carsolino
prosciutto Toscano
prosciutto di Faleria
Speck dell'Alto Adige
prosciutto dolce o affumicato del Friuli-Venezia Giulia
speck friulano di Sauris
prosciutto sardo
prosciutto di Sauris
prosciutto di Casaletto
prosciutto di monte
prosciutto di Pietraroja
prosciutto di Venticano
Riconoscimenti
I prosciutti possono fregiarsi del marchio D.O.P.:
prosciutto di Carpegna DOP (Marche)
prosciutto di Cuneo DOP (Piemonte)
prosciutto di Modena DOP (Emilia-Romagna)
prosciutto di Parma DOP (Emilia-Romagna)
prosciutto di San Daniele DOP (Friuli-Venezia Giulia)
prosciutto toscano DOP (Toscana)
prosciutto Veneto Berico-Euganeo DOP (Veneto)
Vallée d'Aoste jambon de Bosses DOP (Valle d'Aosta)
Ha ottenuto il marchio IGP:
prosciutto di Norcia I.G.P. (Umbria)
speck dell'Alto Adige IGP (Alto Adige)
prosciutto di Sauris (Friuli-Venezia Giulia)
Il prosciutto è stato riconosciuto prodotto tradizionale su proposta delle seguenti regioni:
Basilicata
prosciutto crudo
Calabria
prosciutto crudo di San Lorenzo Bellizzi
Campania
fiocco di prosciutto
prosciutto di Casaletto
prosciutto di monte
prosciutto di Pietraroja
prosciutto di Venticano
Friuli-Venezia Giulia
prosciuttino crudo d'oca
prosciutto cotto Praga
prosciutto di Cormons
prosciutto del Carso o carsolino
prosciutto dolce o affumicato
Lazio
prosciutto (di Guarcino, di Bassiano)
prosciutto dei monti Lepini al maiale nero
prosciutto di montagna della Tuscia
Liguria
prosciutto cotto di Castiglione Chiavarese
prosciutta di Castelnuovo (La Spezia)
Lombardia
prosciuttini (della Valtellina, della Valtellina al pepe)
prosciuttino d'oca stagionato
prosciutto cotto
prosciutto mantovano
Marche
prosciutto aromatizzato del Montefeltro
prosciutto delle Marche
Molise
prosciutto
prosciutto di spalla
Piemonte
prosciutto cotto
prosciutto crudo della Valle Gesso
prosciuttello dell'Alta Val Susa
prosciutto montano della Val Vigezzo
paletta di Coggiola
Puglia
prosciutto di Faeto
Sardegna
prosciutto di pecora - presuttu de berveghe
prosciutto di suino - presuttu
Sicilia
prosciutto di suino nero dei Nebrodi
Toscana
prosciutto bazzone della Garfagnana e della Valle del Serchio
prosciutto del casentino
prosciutto di Cinta Senese (prosciutto chiantigiano)
prosciutto di Sorano
Provincia autonoma di Bolzano
Bauernschinken (prosciutto contadino)
Umbria
prosciutto nostrano
Valle d'Aosta
Prosciutto alla brace di Saint-Oyen (jambon à la braise Saint-Oyen)
Veneto
prosciutto crudo dolce di Este e Montagnana
Varianti europee
Aree geografiche europee con certificazioni di produzione, sebbene non denominati "prosciutti" hanno un processo di produzione simile ai prosciutti italiani:
Beher Bernando Hernandez (Guijuelo), un "prosciutto" spagnolo
Ammerländer Dielenrauchenschinken (Germania)
Dehesa de Extremadura (Spagna)
Gailtaler Speck (Austria)
Guijuelo (Spagna)
Holsteiner Katenschinken (Germania)
Jamón ibérico [Spagna)
Jamón serrano (Spagna)
Jamón de Huelva (Spagna)
Jamón de Teruel (Spagna)
Jamón de Trevélez (Spagna)
Jambon de Luxeuil (Francia)
Jambon de Bayonne (Francia)
Jambon de l'Ardèche (Francia)
Jambon d'Ardennes (Belgio), solitamente affumicato
Jambon sec des Ardennes (Francia)
Kraški Pršut o Prosciutto del Carso (Slovenia)
Lacón Gallego (Spagna)
Los Pedroches (Spagna)
Njeguški pršut o Prosciutto di Njeguši (Montenegro)
Presunto de Barrancos (Portogallo)
Presunto de Barroso (Portogallo)
Presunto de Vinhais (Portogallo)
Presunto o Paleta de Campo Maior e Elvas (Portogallo)
Presunto o Paleta de Santana da Serra (Portogallo)
Presunto o Paleta do Alantejo (Portogallo)
Prosciutto dalmata o Dalmatinski pršut (Croazia)
Prosciutto istriano o Istarski pršut (Croazia e Slovenia)
Schwarzwälder Schinken (Germania)
VALORI NUTRIZIONALI
I prosciutti crudi hanno diverse proprietà nutritive a seconda del tipo. Il Prosciutto di Parma ha solo il 18,5% di lipidi, percentuale che scende al 3,8% se privato del grasso visibile. Il San Daniele è appena poco superiore nel contenuto lordo (23% circa), ma inferiore se sgrassato (3,2%). Entrambi sono ricchi di sali minerali quali sodio, potassio, calcio, fosforo, magnesio e zinco, così come contengono importanti quantità di vitamina B1, B2, B6 e PP. Gli altri tipi di prosciutto hanno generalmente quantità di grassi superiori ed analoghe proprietà nutritive. Tutti hanno generalmente un buon contenuto proteico, ed hanno un coefficiente di digeribilità attorno al 97%. Il prosciutto crudo è considerato infatti un alimento predigerito dal sale. Il prosciutto crudo (e cotto) è indicato nella alimentazione infantile, anche perchè il bambino piccolo lo trova molto appetibile. Esistono peraltro delle controindicazioni nell'anziano quando vi sono delle riserve severe sull'apporto giornaliero di sale, ad esempio cardiopatici, ipertesi, neuropatici. Il crudo è sconsigliato anche quando nell'organismo vi è ritenzione idrica (edema, cioè gonfiore alle parti declivi, per accumulo di acqua).
VARIETA'
Le seguenti denominazioni di prosciutto sono regolate dal decreto ministeriale del 21 settembre 2005:
- Prosciutto crudo stagionato. Questa denominazione è riservata al prosciutto crudo stagionato almeno 7 mesi, oppure almeno 9 mesi se il peso finale è superiore a 8 chili. Non è ammessa la stufatura, cioè la stagionatura "accelerata" con aria calda. L'umidità deve essere inferiore al 64 per cento (valore che indica il periodo di stagionatura) e il contenuto proteico superiore al 24 per cento (se l'umidità fosse più alta, il valore proteico diminuirebbe). E' anche noto che nel prodotto con alta umidità, stagionato poco e male, le fette si "appiccicano" e il sapore è più di carne che di prosciutto.
- Prosciutto crudo. Questa denominazione identifica il prodotto meno qualitativo che non ha i requisiti del precedente, quindi il periodo di stagionatura è discrezionale e può essere usata la stufatura.
COME SCEGLIERE
Il colore del prosciutto crudo deve essere uniforme e rosso-rosato, il profilo e le striature di grasso bianco candido. L’odore deve essere intenso e gradevole.
COME CONSERVARE
Il prosciutto crudo affettato deve essere conservato in frigorifero per 1 giorno al massimo, ben coperto. Se intero, è meglio conservarlo in luogo fresco, al massimo per 12 mesi. Una volta iniziato è necessario però conservarlo in frigorifero per un mese al massimo, coprendo la parte tagliata con pellicola trasparente.
PRODOTTI A MARCHIO
Prosciutto di Carpegna DOP: il Prosciutto di Carpegna al taglio è tendenzialmente rosa salmonato con giusta quantità di grasso solido, di colore bianco rosato. L’odore è dolce e penetrante, mentre il gusto è caratteristico, delicato, dolce e fragrante; una variante di sapore è il San Leo, dolce ed armonicamente profumato.
Prosciutto di Modena DOP: il Prosciutto di Modena si caratterizza per una forma tipicamente a pera ed un peso mai inferiore a 7kg. Si presenta al taglio di colore rosso vivo; con un profumo estremamente gradevole. Il sapore è dolce ma intenso, non salato.
Prosciutto di Norcia IGP: il Proscitto di Norcia è un proscitto delle aree montagnose della zona omonima, dalla caratteristica forma a pera. La fetta tagliata risulta rossa, il sapore è intenso ma non salato, il profumo è delicatamente speziato.
Prosciutto di Parma DOP: il Prosciutto di Parma ha forma tondeggiante, la parte del taglio, effettuato per separare la coscia dalla mezzena, viene protetta da un sottile strato di sugna costituito da un impasto di grasso animale e sale e, eventualmente, pepe e farina di riso. Tutto il resto è ricoperto dalla cotenna. Una volta affettato, il prosciutto presenta un bel colore rosa intenso e un bordo di grasso bianco. Il gusto è dolce e delicato, poco salato e con aroma fragrante e caratteristico. Prosciutto di San Daniele DOP: il Prosciutto di San Daniele ha una forma distintiva “a chitarra” caratterizzata dal mantenimento della parte terminale, detta zampino. Al taglio ha un colore uniforme rosso-rosato, con striature di grasso bianco. Il profumo è intenso, il gusto è dolce e delicato con retrogusto più marcato. Talvolta nel magro è possibile trovare dei microscopici granuli di una certa consistenza, che non sono granelli di sale, ma semplici ed innocui cristalli di tirosina, una sostanza naturale che deriva dall’invecchiamento delle proteine.
Prosciutto Toscano DOP: il prodotto finito ha forma tondeggiante, ad arco alla sommità, di peso variabile intorno agli 8-9 kg: al taglio, la fetta si presenta di colore dal rosso vivo al rosso chiaro, con scarsa presenza di grasso intramuscolare. Il sapore è delicato, con equilibrata sapidità ed un aroma caratteristico derivante dall’elaborata stagionatura.
Proscitto Veneto Berico-Euganeo DOP: il prosciutto Veneto Berico-Euganeo è prodotto dalla carne fresca della coscia del maiale adulto. La coscia viene semi-pressata nel processo di salagione. La carne è di colore rosa tendente al rosso con le parti grasse perfettamente bianche. Ha un profumo caratteristico, un gusto dolce e morbido dovuto all’impieto di una quantità minima di sale.

SALAME

Il salame è un salume insaccato e stagionato ottenuto a partire da una miscela di macinato di carne e grasso. Il nome deriva dall'operazione di salatura che si rende necessaria per assicurarne la conservazione. Alla carne e al grasso vengono aggiunti sale e spezie che variano localmente (tra le quali: aglio, pepe nero o bianco, macinato o in grani, finocchio, macis). La carne maggiormente usata è tradizionalmente quella di maiale, considerata per quest'uso di maggior pregio, tanto che la normativa italiana vigente, impone al produttore di dichiarare sull'etichetta che accompagna il prodotto, la tipologia di carne impiegata, se solo suino o misto suino, infatti, in molti prodotti tradizionali è specificato puro suino. Prodotti tipici vengono preparati con carne di: capra, pecora, cavallo, asino, oca, selvaggina come il cinghiale o frattaglie. Altri ingredienti, a secondo delle tradizioni locali, possono essere le rape o il sangue. Il grasso è sempre suino, per motivi organolettici e di conservazione. Il processo di stagionatura può essere favorito dall'introduzione di alcuni ingredienti quali latte, vino, destrosio, nitriti e nitrati. L'insieme delle spezie e degli aromi aggiunti alla carne prende il nome di concia. L'impasto può essere insaccato in un involucro di budello animale (solitamente suino, ma anche ovino, bovino o equino), o artificiale (cellulosa o collagene quelli più utilizzati). La lunghezza varia dai 10 ai 60 cm, il diametro (calibro) varia da 3 (Salame Cacciatore DOP) a circa 20 cm (crespone). Una volta insaccato il salame passa di norma un periodo in locali di asciugatura (circa una settimana) per passare poi alla stagionatura vera e propria, che varia a seconda della grandezza del salame (da 2 settimane per le salsicce stagionate fino anche a 6 mesi per prodotti tradizionali). Il salame prende i nomi dai tipi di budello usato o dai componenti e dalle località in cui viene prodotto.

SALSICCIA
salsiccia
La salsiccia è un insaccato di carne, tipico di molte regioni italiane e diffuso in tutto il mondo. In Italia, secondo gli ingredienti e le zone dove viene prodotta, assume varie denominazioni come luganega, salamella, salamina, salamino o salametto.
La prima testimonianza storica sull'uso di insaccare nel budello di maiale la sua carne insieme a spezie e sale è dello storico romano Marco Terenzio Varrone, che ne attribuisce l'invenzione e l'uso ai Lucani: «Chiamano lucanica una carne tritata insaccata in un budello, perché i nostri soldati hanno appreso il modo di prepararla dai Lucani».
Secondo una tradizione lombarda, spuria e molto recente, la sua invenzione sarebbe invece opera della regina longobarda Teodolinda, che inventò la salsiccia e che ne avrebbe poi regalato la ricetta agli abitanti di Monza. Anche i Veneti rivendicano la paternità di questo prodotto, affermando che la salamella sarebbe nata sul loro suolo, e sono tante altre regioni italiane che ne reclamano i natali. Tuttavia, le fonti antiche che si occupano di questa ricetta sono concordi nel ritenere che essa sia un'invenzione del popolo dei Lucani, conquistato da Roma nel III secolo a.C. (l'antica Lucania corrisponde all'odierna Basilicata, comprese limitate zone della Campania meridionale). In particolare, scrittori come Cicerone, Marziale, oltre al già nominato Marco Terenzio Varrone, parlano più volte nelle loro opere della "lucanica", specialità introdotta nell'antica Roma dalle schiave lucane, e apprezzata per la facilità di trasporto e di conservazione che conferiva alla carne di maiale, oltre che per lo squisito sapore. D'altronde, a riprova della genuinità di questa ricostruzione, si osservi che dal nome "lucanica" è derivato "luganega", termine che gli stessi lombardi, i trentini e i veneti tutt'oggi danno a un tipo di salsiccia di piccolo diametro, destinata al consumo immediato. Viene prodotta solitamente riempiendo un budello naturale di suino (budellozza) o di montone (lucanicchia o, nel linguaggio volgare, luganega) con un misto di parti magre (es. spalla) e grasse (es. pancetta) tagliate a dadini (o tritate) e mescolate con sale. All'impasto così ottenuto viene aggiunto solitamente vino (prevalentemente rosso) e altre spezie, quali possono essere pepe, peperoncino, coriandolo, finocchio, noce moscata, anche zucchero (destrosio, saccarosio). Nelle produzioni industriali viene aggiunto di norma acido ascorbico (E300) come antiossidante e latte in polvere affinché il salume conservi una certa morbidezza nel tempo. L'insieme del sale e degli aromi viene denominato concia. Può essere consumata fresca (previa cottura) o secca (quindi stagionata).
Salsicce riconosciute tradizionali
Su proposta delle rispettive regioni, sono stati riconosciuti dal ministero le seguenti salsicce, considerate nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Regione Abruzzo
salsiccia di fegato
salsiccia di fegato con miele
salsiccia di maiale sott'olio
salsiccia di cotica
salsicciotto frentano
Regione Basilicata
salsiccia dolce, con finocchietto (o semi di coriandolo) e con peperoncino rosso di Senise in polvere.
salsiccia piccante, con finocchietto e peperoncino piccante.
salsiccia pezzente, così chiamata per l'impiego di parti meno pregiate e più grasse.
salsiccia sotto sugna
Regione Calabria
salsiccia con finocchietto selvatico, satizza
salsiccia piccante, con finocchietto e peperoncino piccante.
salsiccia di coretto
salsiccia pezzente
salsiccia sott'olio (d'oliva)
salsiccia sotto sugna
Regione Campania
salsiccia
salsiccia affumicata
salsiccia di polmone
salsiccia sotto sugna
salsiccia sotto sugna di Casale di Carinola
salsiccia sotto sugna di Vairano Patenora
salsiccia Rossa di Castelpoto
salsiccione nocerino, salame da cuocere
cervellatine
Regione Emilia-Romagna
salsiccia fina o grosso
salsiccia matta (fatta con tagli meno pregiati, soprattutto della gola vicino al taglio per il dissanguamento dell'animale in fase di macellazione)
salsicciotto alla piacentina, salame da cuocere
Regione Lazio
salsiccia al coriandolo di Monte San Biagio (LT) (fresca, conservata e secca)
salsicce (corallina romana, susianella, al coriandolo, paesana)
salsicce secche aromatiche
salsicce secche di suino della Ciociaria e dei monti Lepini
salsiccia dei monti Lepini al maiale nero
salsiccia di fegato (mazzafegato di Viterbo, paesana da sugo)
salsiccia di fegato dei monti Lepini al maiale nero
salsiccia di fegato di suino (tipica dell'Alta Valle del Velino)
salsiccia sott'olio (allo strutto)
Regione Liguria
salsiccia
salsiccia di ceriana, slasiccia
salsiccia di pignone
Regione Marche
salsiccia
salsiccia di fegato
salsiccia di cinghiale
Regione Molise
salsiccia di fegato di maiale
salsiccia di maiale
salsiccia di maiale di Pietracatella
Regione Piemonte
salsiccia al formentino
salsiccia di Bra
salsiccia di cavolo o sautissa ëd coi
salsiccia di riso
Regione Puglia
salsiccia a punta di coltello dell'Alta murgia a Spinazzola [Gravina in Puglia]
salsiccia alla salentina, sardizza, sarsizza, satizza
salsiccia dell'appennino dauno
salsicciotti di Laterza
Zampina, prodotto tipico di Sammichele di Bari
salsiccia suino a punta di coltello, di Altamura
Cervellata, prodotto tipico di Toritto, inserito nella lista dei (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).[5]
Regione Sardegna
salsiccia di Siligo, di suino, affumicata, con pepe nero, chiodi di garofano e finocchietto selvatico
salsiccia di suino fresca
salsiccia di suino secca di Irgoli detta comunemente "Sartizzu"
Regione Siciliana
salsiccia di maiale fresca, secca e affumicata, "a sasizza"
salsiccia pasqualora
salsiccia ravanusana, "sasizza" mista di carne vaccina e suina
salsiccione grasso
Regione Toscana
salsiccia con patate
salsiccia con fagioli
salsiccia di cinghiale
salsiccia di cinghiale sott'olio
salsiccia di montignoso
salsiccia toscana (sarciccia)
Regione Trentino-Alto Adige
Provincia autonoma di Bolzano:
Hirschwurst (salsiccia di cervo)
Leberwurst (salsiccia di fegato)
salsiccia fresca o luganegheta fresca o salziza fresca (Provincia di Trento)
Regione Umbria
salsicce
Regione Veneto
salsiccia con le rape
salsiccia equina
salsiccia tipica polesana
VALORI NUTRIZIONALI
Generalmente si attribuisce alla carne di maiale fama di essere toppo grassa, ma va detto che del maiale esistono anche tagli magri, che sono sani ed equilibrati , infatti questa è una componente che varia secondo la razza, la specie e il sesso, l’età, il taglio e l’alimentazione ricevuta dall’animale: ovviamente, come per tutti gli alimenti, non bisogna abusarne. La coscia del maiale, ottima alla griglia, oltre ad essere una delle parti più pregiate dell’animale, ricca in proteine muscolari facilmente assimilabili, è anche una delle più magre, insieme alla lonza e al filetto. Le parti anteriori del maiale vanno cucinate più lungo affinché diventino tenere; esse contengono molte proteine, quelle che formano il collagene, che fa parte della pelle, delle ossa, dei tendini; proteine di scarso valore (povere in aminoacidi essenziali), che diventano gelatina e rendono più difficile la digestione. Inoltre, per prevenire l’elevato consumo di grassi della carne di maiale potremmo stare attenti a eliminare il grasso visibile sulla carne prima di cucinarla avendola preventivamente tenuta in frigorifero (il grasso a basse temperature solidifica e si toglie più facilmente), e sgrassare le preparazioni durante e dopo la cottura. La carne di maiale è molto proteica (apporta da 18 a 20 grammi di proteine ogni cento grammi), anche se il contenuto varia in funzione della specie, dell’età e della parte; inoltre contiene tutte le sostanze minerali necessarie per il nostro organismo, buone quantità di ferro, vitamina B, vitamina A e D contenute nel fegato. Il maiale ha diverse proprietà nutritive, ma bisogna ricordare che le viscere, come il rognone, il fegato o il cervello hanno un elevato contenuto di colesterolo.
La carne di maiale è però sconsigliata a chi soffre di gotta, e a chi soffre di colesterolo (può optare per i tagli più magri); inoltre nel caso d’ipertensione, va ridotto il consumo di carne in generale e vanno eliminati gli insaccati per via del sale aggiunto, in quanto quest’ultimo ritiene l’acqua che provoca un’elevata pressione sanguigna.
VARIETA'
Le razze suine attualmente allevate sono derivate dalla selezione e spesso dall'incrocio di suini di ceppo europeo e di ceppo orientale. I primi sono caratterizzati da profilo fronto-nasale rettilineo, orecchie portate in avanti orizzontalmente, taglia piuttosto ridotta e forniscono carne magra e di qualità pregiata. i secondi hanno come caratteri peculiari un profilo fronto-nasale nettamente concavo, il muso e le zampe corti e un'accentuata precocità con la tendenza a produrre carne grassa e lardo. Le antiche razze europee possono essere ulteriormente suddivise nel ceppo celtico (presente nell'Europa centro-settentrionale) e in quello iberico, predominante nei Paesi mediterranei. Dalle razze celtiche, di buona mole, con cute rosea e orecchie pendule, derivano le principali razze suine migliorate.

SOPPRESSATA
soppressata
La soppressata è un particolare tipo di salume, riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale italiano e diffuso in Basilicata, Puglia, Calabria, Abruzzo, Molise e Campania. Si ritiene che la soppressata (dial. lucano: "subbursata" o "soperzata" a seconda delle zone) abbia avuto origini in Basilicata e viene prodotta nella regione da almeno tre secoli, secondo la testimonianza scritta più antica datata 1719. Il nome deriva dall'azione di pressione compiuta mentre il prodotto è in fase di essiccazione, dandogli una forma appiattita. Il prodotto divenne anche molto conosciuto nel resto d'Europa e nelle Americhe, soprattutto negli Stati Uniti, grazie agli immigrati italiani che fecero conoscere le proprie tradizioni all'estero. A seconda delle regioni italiane, il salume viene chiamato in vari modi come Soprassata e Soppresata. In Pennsylvania (U.S.A.), ove il prodotto è molto apprezzato, la soppressata viene chiamata Supersata, anche se, in gergo, viene usato più il suo diminutivo Supie.
Preparazione
La carne utilizzata è di puro suino macellata fresca, mediante la tecnica definita "punta di coltello", un taglio grossolano che consente alla carne di rimanere molto compatta e mantenere così una peculiare integrità organolettica. La soppressata è preparata con una selezione di tagli nobili di prosciutti, spalle e rifili di pancetta e lardo tenero (questi ultimi, in particolare, vengono utilizzati allo scopo di "ammorbidire" la carne utilizzata, normalmente troppo magra per poter essere utilizzata da sola), anche se esistono delle varianti fatte con carne bovina.
La carne così tagliata viene poi condita semplicemente con sale, grani di pepe interi (eventualmente "ravvivati", poco prima, mediante una leggera pestatura in mortaio), e peperone essiccato in polvere. Successivamente, viene infilata in un budello che, se naturale, va pulito scrupolosamente con sale e limone, e viene legata con spago per compattarne il contenuto. La soppressata viene poi lasciata ad essiccare, al buio, dalle 3 alle 12 settimane, a seconda del diametro, perdendo il 30% del suo peso originario.
L'essiccazione ottimale va fatta ad umidità e temperatura controllata (un innalzamento repentino della temperatura può provocare il "buco" all'interno del salume, e rovinarne alcune peculiari caratteristiche), per questo motivo nelle zone di produzione della soppressata si è soliti prepararla d'inverno: una stanza fredda infatti, debitamente munita di camino, può essere all'occorrenza deumidificata e riscaldata nelle giornate troppo fredde e umide, e lasciata raffreddare rapidamente nel naturale rigore invernale, dopo una delle rare giornate di sole. Dopo l'essiccazione, la soppressata viene generalmente conservata in barattoli con olio d'oliva. Varianti della preparazione descritta sono una leggera affumicatura, e la conservazione (raro per questo prodotto, più consueto per il salame pezzente) nella "sugna" fresca di maiale.
Varianti
Sono diffusi vari tipi di soppressata, soprattutto nell'Italia meridionale:
Soppressata di Ricigliano (SA)
Soppressata di Basilicata: è riconosciuta prodotto agroalimentare tradizionale. I comuni di Castelluccio, Rivello, Lauria, Viggianello, Rotonda, Latronico, Lagonegro, Vietri di Potenza, Cancellara e Vaglio ne sono tra i maggiori produttori.[senza fonte]
Soppressata di Puglia: di cui è molto nota quella della Murgia e nello specifico delle città di Gravina e di Martina Franca.
Soppressata di Napoli: spesso prodotta in ambito casalingo e senza obiettivi commerciali.
Soppressata di Calabria a marchio DOP.
Soppressata del Molise: prodotta prevalentemente per consumo casalingo, caratteristiche le produzioni di Rionero Sannitico, Macchiagòdena, Montenero di Bisaccia e Castel del Giudice.
La soprassata toscana (detta anche capofreddo o capaccia), che è composta da parti di suino "di scarto"; come i tendini, le cotenne, la testa (esclusi occhi e cervello) e parti del collo. La soprassata viene insaporita con varie spezie, prezzemolo e buccia di limone.
Un'altra variante (del Cilento) è la soppressata di Gioi, caratterizzata dalla carne magrissima, attraversata in tutta la lunghezza da un unico cilindro di grasso.
La soppressata bresciana è riconosciuta come Prodotto agroalimentare di tradizione.

SPECK
speck
Lo speck dell'Alto Adige IGP (in ladino cioce) è una specialità della salumeria sud-tirolese. Consiste in un prosciutto crudo completamente disossato, lievemente affumicato, tipico del territorio altoatesino, in Italia. È protetto dall'Unione europea con il marchio IGP. Il termine speck, in tedesco, significa letteralmente "lardo".
I primi documenti contenenti la parola speck risalgono al XVIII secolo, ma esso compare nei regolamenti dei macellai e nei registri contabili dei principi tirolesi già dal 1200, seppur con definizioni e nomi diversi.
Inizialmente lo speck veniva prodotto per la necessità di conservare la carne. Esso permetteva di conservare per tutto l'anno la carne dei maiali che venivano uccisi durante il periodo natalizio. Lo speck rappresentava soprattutto per i ceti meno abbienti l'unica opportunità di mangiare carne e far fronte al bisogno di lipidi. Col tempo è diventata una delle pietanze principali in occasione di feste e banchetti. E ancora oggi, insieme al pane e al vino, è il protagonista della tipica "merenda" sudtirolese.Lo speck è un prodotto tipico della provincia italiana dell'Alto Adige ed è nato dall'unione dei due metodi di conservazione della carne: la stagionatura, come il prosciutto crudo nell'area mediterranea, e l'affumicatura, tipica del nord Europa. L'Alto Adige trovandosi in una posizione intermedia e godendo di un particolare clima ha fuso i due metodi, producendo lo speck secondo la regola "poco sale, poco fumo e molta aria fresca", che consiste in una salatura moderata e nell'alternanza di fumo e aria fresca.
Inizialmente lo speck veniva prodotto dalle singole famiglie contadine. Successivamente la produzione si è sviluppata prima a livello artigianale, con i macellai di paese, e negli anni sessanta a livello industriale.
Tra le diverse aziende presenti nel territorio locale, ma anche nazionale, l'azienda Senfter di San Candido (BZ), è una delle maggiori produttrici di speck in Italia.
In Valle d'Aosta nel 2008 un noto salumificio locale dopo due anni di sperimentazione ha iniziato la produzione di Reinhold Speck, un tipo di speck affumicato alle piante aromatiche alpine. Altra produzione tipica è quella dello speck di Sauris, prodotto della tradizione di Sauris, un paesino situato a 1200 metri s.l.m. in provincia di Udine con origini e lingua tedesca. Lo Speck Alto Adige IGP deve il suo carattere inconfondibile al metodo di lavorazione tradizionale. Il disciplinare di produzione prevede un'affumicatura leggera della coscia salata di maiale, una stagionatura media di 22 settimane e un contenuto di sale non superiore al 5% nel prodotto finale. L'elemento che accomuna i piccoli e grandi produttori è il rispetto della regola "poco sale, poco fumo e molta aria fresca" e la dedizione e cura nel creare una specialità amata ben oltre i confini nazionali. La produzione prevede cinque fasi: selezione della materia prima, speziatura, affumicatura, stagionatura, controlli e marchio di qualità. Per la produzione dello Speck Alto Adige IGP vengono utilizzate solo cosce suine magre e provenienti da allevamenti riconosciuti appartenenti ad un Paese all'interno dell'Unione Europea. Esse vengono selezionate in base ai criteri definiti nel capitolato sulla materia prima e tagliate secondo i metodi tradizionali. Le cosce selezionate vengono marchiate con la data di inizio produzione, a garanzia indelebile e come base per i successivi controlli. Le baffe di speck vengono cosparse di sale e di una miscela di aromi (sale, pepe, ginepro, rosmarino, alloro). Esse vengono salmistrate a secco in ambiente controllato per tre settimane e girate più volte per agevolare la penetrazione uniforme della salamoia. Il contenuto di sale nel prodotto finale non deve superare il 5%. Successivamente, le baffe vengono sottoposte alternativamente alle fasi di affumicatura e asciugatura. L'affumicatura con legna poco resinosa è leggera e la temperatura del fumo dev'essere inferiore ai 20 gradi centigradi. La fase finale è quella della stagionatura, in cui le baffe restano appese in locali pervasi da aria fresca. La durata della stagionatura è definita tenendo conto del peso finale della baffa ed è di circa 22 settimane. Durante questa fase si forma uno strato naturale di muffa aromatica, rimossa alla fine del processo, che arrotonda il gusto dello speck ed evita che si secchi troppo. Infine, lo speck che risponde ai criteri imposti dal disciplinare di produzione e che ha superato i controlli viene marchiato a fuoco sulla cotenna in 4 differenti punti con l'apposito sigillo.

WURSTEL
würstel
Il würstel (dal diminutivo della parola tedesca Wurst, "insaccato", secondo i dialetti tedeschi meridionali, laddove il termine in tedesco standard, hochdeutsch, suonerebbe Würstchen), detto anche salsiccia, è una specie di insaccato preparato con carni tritate bovine e suine, tipico della Germania e dell'Austria e, in Italia, del Trentino e dell'Alto Adige.
Da alcuni anni sono commercializzati anche würstel prodotti con carne di pollo e di tacchino, pubblicizzati come prodotti più leggeri rispetto a quelli di suino e molto apprezzati dal mercato mediorientale (o dagli immigrati musulmani all'estero). Il würstel più diffuso in Italia corrisponde generalmente al Wiener o Wiener Würstchen (letteralmente "salsicciotto di Vienna" o "viennese") reperibile in Germania. Lo stesso prodotto in Svizzera è chiamato Wienerli e in Austria Frankfurter (Würstel), letteralmente "salsicciotto di Francoforte", sebbene in origine i due tipi (Wiener e Frankfurter) non fossero identici: il primo conteneva sia carne suina che bovina, era più corto e veniva servito appaiato a un altro, il secondo conteneva solo carne suina, era più lungo e veniva servito da solo. Alcune aziende del settore hanno cominciato a produrre anche in Italia wurstel simili a quelli venduti in Germania, commercializzandoli come "Wurstel tipici".
Solitamente i würstel sono venduti caldi lungo le strade e le vie dei centri storici in caratteristiche bancarelle o carrettini, assieme a un panino e salse a scelta (senape, ketchup, maionese, o salsa al curry). Gli statunitensi chiamano questo panino hot dog (letteralmente, "cane caldo"), sebbene chiamino i würstel "wiener" o "frankfurter" (entrambe le definizioni indicano lo stesso prodotto di carne suina) il termine hot dog per estensione può riferirsi anche alla singola salsiccia.
Nel consumo casalingo è comune cuocerli su una piastra o sulla griglia o bolliti e servirli accompagnati da patatine fritte o insalata.
La carne è sottoposta a una minuta macinazione insieme a grasso di maiale, aromi, additivi e a un'alta percentuale di acqua (o ghiaccio), insaccata e quindi cotta in forni a vapore. Come involucro è utilizzato budello naturale o artificiale, ai würstel "senza pelle", cioè privi di involucro, il budello viene tolto prima di essere confezionati in lattine metalliche insieme a un liquido di governo simile a gelatina, gli altri sono confezionati sottovuoto in un involucro costituito da una pellicola di plastica. Solitamente vengono venduti in confezioni da tre pezzi. Sono diffusi sia il formato grande sia un formato più piccolo, venduto in pezzi da quattro. Alcune aziende producono anche mini-wurstel della lunghezza di 3-4 centimetri, utilizzati ad esempio per preparare spiedini o come antipasto. In Italia questo tipo di bestiame è tuttora poco diffuso, i primi esemplari italiani sono stati dichiarati il 24 gennaio 2008 in Lombardia. Un'importante azienda veneta fondata da Ferdinando Borletti, imprenditore milanese cofondatore anche de La Rinascente e della Standa, alleva nella località di Ca' Negra, dal 2009, alcuni esemplari di wagyu seguendo il metodo tradizionale giapponese.

domenica 5 gennaio 2025

Corso di cucina: 5 Carni non bovine

AGNELLO D'ALPAGO
La pecora alpagota o agnello d'Alpago è una razza ovina di taglia medio-piccola, autoctona della regione dell'Alpago, che interessa i comuni di Chies d'Alpago, Pieve d'Alpago, Tambre, Farra d'Alpago e Puos d'Alpago. La regione Veneto ha ottenuto dal Ministero il riconoscimento sotto la denominazione di Pecora alpagota. L'agnello è invece protagonista di un presidio di Slow Food. La pecora alpagota è una razza autoctona di taglia medio-piccola, priva di corna e con orecchie minute. Ha un profilo montonino, una curiosa maculatura scura sulla testa e sulla parte inferiore degli arti ed è ricoperta interamente da un mantello folto, fine e ondulato. è una razza rustica, adatta all'ambiente alpino, ma altrettanto idonea all'allevamento in stalla. Considerata ovino a triplice attitudine, cioè valida sia per la carne sia per la produzione di latte e di lana, oggi l'Alpagota è allevata quasi esclusivamente per l’ottima carne. L'agnello d'Alpago, macellato quando arriva a 5-6 mesi di vita, ha una carne tenerissima, con un giusto equilibrio fra grasso e magro e sensazioni di erbe aromatiche. Gli agnelli migliori sono quelli macellati a 55, 65 giorni dalla nascita e con un peso da vivi di 15, 25 chilogrammi.

AGNELLO DEL CENTRO ITALIA
La designazione Agnello del Centro Italia viene utilizzata – fin dagli anni ’60 – dagli operatori della filiera carne ovina e dai consumatori per riferirsi agli agnelli nati e allevati – grazie anche alla transumanza – in tutta l’area del Centro Italia (specificatamente: Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Toscana e Umbria) e che derivano da ovini ivi storicamente presenti, la cui attitudine era fino alla metà del secolo scorso a triplice attitudine (carne, latte e lana), e successivamente – ad opera del miglioramento genetico – si è specializzata nella produzione della carne.
Le principali razze sono rappresentate da:
Appenninica,
Fabrianese,
Merinizzata Italiana,
Pomarancina,
Sopravissana,
Zerasca,
ma anche da altre razze a duplice attitudine (carne/latte):
Garfagnina Bianca,
Massese
Quasi tutti questi nomi testimoniano l’origine geografica delle razze stesse e il loro legame con i luoghi dove esse meglio si sono ambientate e nel tempo valorizzate (Fabriano, Massa Carrara, Pomarance, Visso, Zeri). Gli agnelli ottenuti sono caratterizzati da un rapido accrescimento ponderale, da una elevata resa in carne e da un basso contenuto di grasso, grazie alla loro elevata capacità di utilizzare le essenze foraggere tipiche costituenti i pascoli del Centro Italia.
Le carcasse reperibili in commercio si possono classificare in diverse tipologie, le cui più rappresentative sono:
A. l’agnello leggero, di peso compreso tra gli 8 e i 13 kg;
B. l’agnello pesante, di peso superiore ai 13 kg;
C. il castrato, di peso superiore ai 20 kg.
La qualità delle carcasse di agnello leggero, oltre al peso, è caratterizzata dal colore della carne (rosa chiaro o rosa) e da un tenore di grasso scarso o mediamente importante per la prima qualità, mentre per la seconda qualità il colore della carne è diverso dal rosa chiaro o rosa e ha un tenore di grasso molto scarso o abbondante.
La qualità delle carcasse di agnello pesante più rappresentata è caratterizzata da 3 classi di conformazione (U “ottima” – R “buona” – O “abbastanza buona”) e anche dallo stato di ingrassamento (compreso tra scarso” e “abbondante”):
La qualità delle carcasse di castrato (da cui deriva il prodotto tipico Castrato di agnello del centro Italia) più rappresentativa è caratterizzata da 3 classi di conformazione (E “eccellente” – U “ottima” – R “buona”) e anche dallo stato di ingrassamento (compreso tra scarso” e “abbondante”).
Per valorizzare questa produzione il "Comitato promotore della IGP Agnello del Centro Italia" ha presentato  al Ministero delle Politiche Agricole la richiesta di riconoscimento del prodotto come IGP e recentemente l'ha ottenuto.
Al momento la regione Emilia-Romagna ha inserito nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani l'agnello da latte delle razze sarda e massese.
Le tecniche di allevamento tradizionali prevedono che gli agnelli – per loro elevata rusticità e adattabilità ai sistemi di produzione adottati dagli allevatori – vengano allevati sia allo stato brado o semibrado, ma anche stabulato, e in combinazione tra di loro, in base alle fasi produttive del gregge e alla stagionalità. Fino allo svezzamento gli agnelli vengono sempre allattati esclusivamente con latte materno e in seguito l’alimentazione è costituita da fieni e foraggi freschi. L’agnello del Centro Italia è rinomato dai consumatori per la preparazione di ricette tradizionali e perché rievoca la salubrità degli ambienti in cui gli animali sono allevati (in considerazione del fatto che il Centro Italia è ricco di Parchi naturali per circa 700.000 ha).

AGNELLO DI SARDEGNA
Agnello di Sardegna è una denominazione di carne ovine riservata esclusivamente agli agnelli nati, allevati e macellati in Sardegna.
Dal gennaio 2001, a livello europeo, la denominazione « Agnello di Sardegna » è stata riconosciuta indicazione geografica protetta (IGP) e suo disciplinare di produzione modificato nel 2010.
L'allevamento ovino e in particolare dell'agnello è un'attività tipicamente sarda risalente all'epoca della civiltà nuragica dell'Età del bronzo. Negli scavi archeologici effettuati nei nuraghi del centro Sardegna sono stati rinvenuti resti di ossa d’agnello ed utensili relativi alla caseificazione datati 3000 a.C. che testimoniano questa antica tradizione. Altri ritrovamenti attestano invece l'esistenza di riti religiosi sacrificali relativi all'agnello, come ad esempio la statuina rinvenuta a Serri di un orante che offre agli dei delle pelli di agnello. È importante considerare che nonostante l’abbondanza di pascoli e della pastorizia soprattutto ovina, nel ventesimo secolo la consumazione della carne (d’agnello ma anche di maiale e di pecora) era piuttosto secondaria, per lo più festiva, rispetto al pane.
Nel ventunesimo secolo il patrimonio ovino dell'isola ammonta a circa tre milioni di capi; circa il 70% degli allevatori, ovvero più di 3.000, sono soci del Consorzio per la tutela dell’IGP Agnello di Sardegna; ciò equivale designare l'agnello Sardo originario di questa determinata regione e ad assicurare una determinata qualità al consumatore. In dettaglio, la Disciplinare di Produzione IGP del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali "Agnello di Sardegna" garantisce che: L’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) Agnello di Sardegna è riservata esclusivamente agli agnelli nati, allevati e macellati in Sardegna che siano in regola con le norme dettate dal presente disciplinare di produzione e identificazione.
Di piccole dimensioni, l'agnello di Sardegna IGP si distingue per una carne morbida e bianca, per un odore intenso e l’estrema digeribilità e magrezza della carne. Suo sapore è deciso e selvatico, determinato dalle particolari condizioni degli allevamenti in cui l’agnello viene nutrito con latte materno e con alimenti naturali e in piena libertà.
Commercializzato fresco, può essere immesso sul mercato intero e/o porzionato secondo tre tipologie: da latte (5-7kg), leggero (7-10kg) e da taglio (10-13kg).

CAPPONE DI MOROZZO
A Morozzo tradizionalmente i capponi si fanno con la razza Bionda e, quando sono pronti, hanno una lunga coda nera con riflessi metallici e penne lucide rosso mattone orlate di blu o di verde. Si riconoscono perché non hanno né creste né bargigli e per un particolare che notano soltanto gli allevatori: durante le fiere e le mostre, nelle gabbiette e nelle ceste, i capponi sono placidamente affiancati in coppie, comportamento impensabile per due galli.
La preparazione del cappone è prerogativa esclusiva delle donne, perché richiede mani fini e abili. Ed è il coronamento di un lavoro paziente iniziato in primavera, con la schiusa dei pulcini. Nei primi giorni la loro dieta è a base di mangime vegetale e poi sono lasciati liberi: i galletti (e poi i capponi) devono disporre di almeno cinque metri quadrati di spazio all’aperto e sono rinchiusi solo la notte. La castrazione avviene ad agosto, permettendo ai capponi di crescere per altri quattro, cinque mesi e di essere pronti a Natale (non si macellano mai prima di 220 giorni). 
La carne del cappone è morbida, tenera e delicata: i puristi la gustano semplicemente lessa e bagnata nel sale (o al limite accompagnata dal bagnet verde) ma può anche essere ingrediente di piatti raffinati, come il pasticcio o il cappone ripieno.

CAPRA CAMOSCIATA
Originaria della Svizzera, la capra camosciata delle Alpi si è diffusa in molti paesi, tra cui l'Italia, dove è allevata soprattutto in Piemonte e nel Trentino Alto Adige in allevamenti semistabulati e stabulati di medie e grandi dimensioni. E' detta "camosciata" per il mantello simile a quello del camoscio: il colore di fondo è marrone con riga più scura dalla nuca alla coda. In Liguria sono circa presenti 20 capi. L'attitudine naturale di questa razza è la produzione di latte. Il pascolamento apporta un grosso vantaggio produttivo visto dal punto di vista quali - quantitativo, nonché ha un benefico effetto sullo stato di salute degli animali.

CAPRA SAANEN
Originaria della Svizzera, ha preso il nome dalla valle di Saanen nel cantone di Berna, si è diffusa in molti paesi europei ed extra-europei. Razza altamente produttiva con temperamento vivace ma mansueto, è la tipica razza da allevamento intensivo prevalentemente stabulato e con ricorso al pascolo. La resa in formaggio è inferiore a quella delle capre di origine italiana nonostante la produzione di latte sia alta, poichè il contenuto in residuo secco è più basso. Si registra un unico allevamento di 150 capi in provincia di Savona, nella zona del Giovo Ligure, nel comune di Pontinvrea.

CINTA SENESE
La cinta senese è una razza suina italiana.
A livello europeo, nel marzo 2012, la denominazione Cinta Senese - riservata esclusivamente alle carni suine di animali nati, allevati e macellati in Toscana secondo tradizione - ottiene il marchio denominazione di origine protetta (DOP).
È una razza particolarmente antica - che trae il nome dalla sua area di diffusione, le colline del senese - e probabilmente già allevata a tempo dei romani. Le prime attestazioni sicure della sua presenza risalgono al tardo medioevo quando Ambrogio Lorenzetti ritrasse la specie in un proprio affresco del 1338, dal nome Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo (nel riquadro La campagna ben governata), conservato nel Palazzo Comunale di Siena.
Poiché è poco prolifica, andò in via di estinzione dopo l'introduzione delle razze straniere e ne fu salvata quando oramai erano presenti solo poco più di 150 esemplari. Caratteristiche morfologiche: È una razza di tipo fine, di taglia media, con scheletro leggero ma solido. Il peso adulto è di 300 kg per i verri e di 250 kg circa per le scrofe.
È una razza molto rustica e resistente che non necessita di particolari cure. Il corpo è longilineo e snello, mentre gli arti, lunghi, appaiono robusti rispetto alla tronco dell'animale. La testa è allungata e presenta un profilo rettilineo mentre il muso è affusolato. Le tinte del mantello è di colore scuro con una banda di pelo bianco che cinge il torace dell'animale.

CONIGLIO GRIGIO DI CARMAGNOLA
Questa razza ha pelliccia soffice, folta, grigia (un poco più chiara sul ventre, sugli arti e nella parte terminale della coda). Di taglia media, con un corpo allungato e lombi muscolosi, pare discenda da un incrocio con il cincillà. La salute molto delicata e la pelle sottilissima lo rendono molto difficile da allevare nelle comuni gabbie: l’ideale è un recinto con un pezzetto di prato e un piccolo ricovero in caso di intemperie, lontano da correnti, umidità e dal sovraffollamento degli allevamenti intensivi.
L’alimentazione migliore è a base di erba e mangimi naturali, la macellazione deve avvenire quando raggiunge un peso tra i 3,5 e i 5,5 chilogrammi per i maschi e i 3,5 e i 4 chilogrammi per le femmine.Il coniglio Grigio di Carmagnola si segnala per l’ottima resa: la sua struttura ossea è molto fine e la massa muscolare superiore a quella delle altre razze. Le carni sono fini, tenere, sapide, particolarmente bianche e per niente stoppose. Un tempo il coniglio ai peperoni fatto con le carni del Grigio di Carmagnola era un piatto immancabile in ogni menù delle osterie piemontesi, così come il coniglio all’Arneis nel Roero, piatto antico ed erede diretto della lepre al civet (dalle squisite carni marinate nel sangue e nel vino). Varianti più moderne lo propongono in agrodolce, al cioccolato, in salsa d’uovo.

CONIGLIO VENETO

Il coniglio veneto (cunicio, conejo) è inserito nell'elenco dei prodotti tipici veneti. Il Veneto è tradizionalmente una delle regioni con il maggior numero di allevamenti cunicoli del mondo: fino a trent'anni fa ogni famiglia aveva un piccolo allevamento di conigli sia per il proprio consumo che per garantirsi un reddito integrativo attraverso il commercio di carne e pelli.
La Marca trevigiana, possiede a tutt'oggi la più alta concentrazione al mondo di tali allevamenti: delle circa 50 razze di conigli allevati nel mondo 40 sono selezionate in Italia, per lo più in quest'area dove sono presenti industrie che producono attrezzature e mangimi. Il coniglio viene consumato giovane, possibilmente prima che raggiunga la maturità sessuale (ad una età di 84/90 giorni, al raggiungimento di 2,5 kg di peso) per evitare che la carne assuma un odore acre e sgradevole, tagliandolo a pezzi e cuocendolo in una casseruola di terracotta per due ore dopo averlo lasciato marinare una notte con un trito di verdure, alloro e vino rosso. Anche il coniglio, come molti piatti veneti, era servito con la polenta e, in stagione, con un contorno di pissacan in tecia ovvero foglie di tarassaco leggermente amarognole, cucinate con aglio, olio e lardo.

GALLINA BIONDA PIEMONTESE E GALLINA BIANCA DI SALUZZO
In Piemonte, fino a pochi decenni orsono, non c’era cascina che non allevasse polli, anatre, oche e conigli: piccoli animali da cortile destinati al consumo familiare o venduti per arrotondare i modesti bilanci aziendali. Le tradizionali razze di polli allevate erano due: la Bionda Piemontese (detta anche Bionda di Cuneo, Bionda di Villanova, Rossa delle Crivelle o Nostralina) e la Bianca di Saluzzo (conosciuta anche come Bianca di Cavour).
La Bionda ha piumaggio dorato e camosciato, la coda alta, nera con riflessi metallici, il becco giallo e la cresta ben sviluppata, eretta, con quattro, sei denti. La Bianca di Saluzzo è simile alla Bionda, ma è bianchissima (compresa la coda). Più rara della prima, la Bianca ha un’area di allevamento molto ristretta: in pratica, l’antico Marchesato di Saluzzo (realtà politica forte che rimbalza, nei secoli, tra il dominio francese e quello dei Savoia) più qualche comune a nord (come Cavour, Villafranca e Garzigliana). Un tempo, in questa zona, molte cascine allevavano fino a 200-300 galline e producevano anche 10-15 dozzine di uova al giorno. Galline, polli, capponi e uova finivano sui mercati e le donne contrattavano il prezzo con i polaié: il ricavato serviva per le spese di casa e per comprare il corredo.
È molto più ampia, invece, l’area della Bionda, che copre quasi tutto il Piemonte. Negli anni Sessanta l’avvento dell’allevamento industriale e, in particolare nel Saluzzese, lo sviluppo di un’agricoltura intensiva, hanno soppiantato queste razze tradizionali (adatte esclusivamente all’allevamento all’aperto). Da sempre il pollo, nelle osterie di Langa e un po’ in tutto il cuneese, si cucina «alla cacciatora»: piccoli pezzi di pollo soffritti in un trito di aromi, un poco di vino bianco, cipolle e pomodori a pezzetti. Le carni acquistano sapore e morbidezza dalla salsa e la stessa salsa serve di condimento per la polenta. Infine è ottima la gallina lessa – in particolare la Bianca di Saluzzo – servita con il suo brodo, in gelatina o in insalata.

GALLINA COMUNE ARGENTATA O GALLINA DORATA LIGURE

È un pollo di tipo mediterraneo caratterizzato da cresta semplice sviluppata, bargigli rossi sviluppati, orecchione bianco o crema, pelle gialla, tarsi gialli e nudi, uova a guscio bianco. La colorazione fondamentale del piumaggio è l'argentato.Zona di produzione: Tutte le province della Liguria.
Lavorazione: Il pollo comune dorata ligure viene allevato con metodo estensivo. La macellazione deve essere eseguita almeno dopo il quarto mese di vita. La concentrazione dei capi deve essere la seguente: in ambiente chiuso 10 capi a metro quadrato, se destinati all'ingrasso; 4 capi a metro quadrato, se destinati alla riproduzione.

GALLINA POLVERARA
La Polverara è una razza di pollo a cui è stata ufficialmente riconosciuta l'origine italiana. Come per la "cugina" gallina padovana, pare che le origini della gallina di Polverara vadano ricercate nell'est europeo. Nel 1300, l'astronomo e filosofo Giovanni Dondi dell'Orologio avrebbe riportato dalla Polonia dei meravigliosi polli ciuffati. Questi, col tempo fuoriusciti dalla sua tenuta in quel di Padova ed accoppiatisi con i polli allevati nei villaggi vicini, avrebbero dato origine a questa pregiata razza avicola. Tale teoria, che viene riportata da numerosi scrittori del passato (come Teodoro Pascal) e moderni (come Periquét) non ha finora, però, trovato conferme storiche. Pare più plausibile a tutt'oggi l'ipotesi secondo cui i polli ciuffati sarebbero giunti nella regione del padovano sotto forma di viatico vivente dei pellegrini dell'est europeo, che, diretti verso i luoghi sacri della cristianità in Italia, si fermavano nei monasteri della regione, come quello di Santa Maria della Riviera a Polverara. Recentemente è stata scoperta la prima raffigurazione conosciuta di una gallina ciuffata nel padovano: si tratta di un affresco risalente al 1397 e presente nell'oratorio di San Michele Arcangelo a Padova. Nei secoli successivi, i polli ciuffati vennero ad essere allevati soprattutto nella zona di Polverara, divenendo tanto famosi per la loro bellezza e grossezza da divenire oggetto di dono al sultano Maometto II, colui che prese Costantinopoli. A darcene notizia è Ermolao Barbaro, che verrà poi ripreso da Ulisse Aldrovandi nella sua opera sull'ornitologia. Questi uccelli, forma ancestrale degli odierni Polli di Polverara, vennero per secoli chiamati galline padovane, e a causa della loro fama divennero merce per i traffici dei Veneziani che le vendettero in diverse zone dell'Europa (Belgio, Francia, Paesi Bassi). I polli di Polverara erano allevati all'aperto tutto l'anno, dormivano sugli alberi la notte e si nutrivano nelle campagne, liberi. Nel corso dei secoli questi animali conobbero alterne fortune, e furono pure citati nelle opere letterarie di Bernardino Scardeone e di Alessandro Tassoni. La razza entrò in crisi verso l'inizio del Novecento, tanto che a stento si riuscì a salvarla. Un secondo tracollo, più grave, si ebbe negli ultimi 50 anni, con la perdita di molti allevamenti amatoriali e l'ibridazione con polli di tipo meramente commerciale. Pressoché estinta nel 2000, la gallina di Polverara si salvò grazie all'opera di Bruno Rossetto, che per cinquant'anni continuò ad allevare questi avicoli, acquistati nel '54 dalla Sig.ra Ruzza.
Verso la fine degli anni ottanta, venuti meno gli altri allevatori che, al pari di Bruno Rossetto, allevavano la razza, il ragionier Antonio Fernando Trivellato iniziò il lavoro di recupero numerico della stessa, partendo inizialmente da incroci di Gallina Padovana e Cornish, ma inserendo il patrimonio genetico di alcuni capi ricevuti da Bruno Rossetto e quello di un'altra ventina di polli (ibridi di Polverara) reperiti tra mille difficoltà nel territorio del padovano. Oggi grazie all'opera pionieristica di questi due allevatori e all'interesse del Comune di Polverara la razza vanta alcune migliaia di esemplari, distribuiti in 5 grandi allevamenti e tra numerosi altri avicoltori amatoriali. La Polverara è anche una delle razze oggetto del progetto CO.VA., che si occupa di varietà avicole venete minacciate. A Polverara uno dei maggior allevatori di queste galline è il Sign. Francesco Pianta.
La gallina di Polverara è provvista di una cresta ridotta che dovrebbe, nei migliori esemplari, prendere la forma di una coppia di cornetti disposti a "V" davanti al ciuffo. In alcuni esemplari un terzo cornetto più piccolo sovrasta le narici. Il caratteristico ciuffo composto da piume fitte non è dovuto, come nella gallina padovana, ad un'ernia cerebrale e ad una modifica del cranio. sono presenti barba e favoriti, i bargigli sono rudimentali se non assenti.
Presente oggi con due varietà di colore, la nera e la bianca, ufficialmente riconosciute dalla FIAV (Federazione Italiana Associazioni Avicole), in passato erano note altre colorazioni, come la camoscio o la dorata. In molti ceppi dall'incrocio di bianche e nere emergono esemplari blu, segno che sotto la colorazione bianca si celano ancora esemplari splash. Recentemente il rag. Trivellato ha affermato di aver ricostituito anche altre varietà di colore[6]. La carne è scura (morata) e dal sapore delicato. Il suo peso varia da 2,8/3 chilogrammi per i maschi ai 2 chilogrammi per le femmine.
La gallina di Polverara depone uova bianche di circa 40 grammi di peso. Le galline di Polverara non sono buone chiocce - di norma solo una su dieci presenta l'istinto alla cova. Diventa quindi quasi indispensabile il ricorso ad una balia (gallina, tacchina) o ad una incubatrice artificiale. La schiusa delle uova avviene, come negli altri polli, dopo 21 giorni. I giovani impiegano molti mesi (fino a 9) prima di arrivare a completa maturazione.

GALLINA SICILIANA
La Siciliana è un'antica razza leggera di pollo originaria della Sicilia, da cui prende il nome, presente nei libri dedicati all'avicoltura di tutto il mondo, ma estremamente rara. È il tipico pollo leggero di origine mediterranea, presente in diverse varietà di colore, ma che si differenzia dalle altre razze per la peculiare forma della cresta, definita "a coppa", caratteristica che l'ha resa popolare e unica al mondo. Come per la Livorno, anche la Siciliana è stata oggetto di allevamento in USA, tanto che si possono osservare due tipi distinti: la Siciliana di tipo italiano, che è da considerarsi l'originale, e quella di tipo americano, definita Sicilian Buttercup, o semplicemente Buttercup.
Le origini della razza sono piuttosto controverse; tuttavia, pare che esista da molti secoli, come attestano opere pittoriche che la riproducono, risalenti al sedicesimo secolo. Secondo alcuni studiosi la razza si sarebbe originata da accoppiamenti tra polli locali e polli provenienti dall' Africa settentrionale; in effetti la razza nordafricana chiamata Tripolina, oltre a vantare un ciuffo di penne, presenta anche una cresta a coppa proprio come la Siciliana. Tra il 1850 e il 1860 il Capitano Daves acquistò un notevole numero di polli, al fine di rifornire l'equipaggio di uova e carne durante il suo viaggio di ritorno a Boston. Le galline dimostrarono di essere ottime ovaiole, e così gli esemplari che arrivarono vivi negli Usa divennero oggetto di intensa selezione da parte di alcuni allevatori statunitensi che divennero sostenitori della razza, tra cui l'avvocato Cough e il reverendo Brown. La razza venne ribattezzata Flower Bird, grazie alla forma della cresta, e poco più tardi Sir Loring importò i polli dalla Sicilia anche in Inghilterra, dove furono chiamati Sicilian Buttercup. Gli allevatori statunitensi crearono una Siciliana diversa da quella originale, più pesante e con orecchioni bianchi, chiamata appunto Sicilian Buttercup, un ceppo discretamente allevato all'estero, mentre la Siciliana originale è andata progressivamente scomparendo. Fortunatamente alcuni allevatori italiani si sono impegnati nel conservare questa razza e salvarla dall'estinzione.
Caratteristiche morfologiche
È un pollo di tipo campagnolo, snello e leggero, dalle forme eleganti ma meno vistose di altre razze mediterranee.
Il tronco è di media grandezza. La testa è arrotondata, abbastanza larga e profonda. Il becco è forte, di media lunghezza, striato di nero. Gli occhi sono vivaci, grandi, prominenti e di colore rosso. La cresta rappresenta il punto forte della razza: è rossa e di tessitura fine, inizia come cresta semplice alla base del becco per acquisire la forma a coppa ben arrotondata ; si chiude nella parte posteriore. I denti della cresta devono essere cinque e regolari, non troppo lunghi, ben definiti e senza una base troppo larga. La cresta è portata ben dritta in entrambi i sessi. I bargigli sono rossi, di media grandezza, ben distesi e non aperti. La faccia è rossa, liscia e senza peluria. Gli orecchioni sono medi, ben arrotondati, fini e di colore rosso; è ammessa una leggera presenza di bianco.
Il collo è arcuato ed elegante, dotato di un'abbondante mantellina. Le spalle sono larghe e ben arrotondate. Il dorso è largo e non troppo lungo. Le ali sono lunghe, aderenti al corpo e portate alte. La coda è abbastanza larga, con timoniere abbastanza lunghe, portata alta fino ad angolo retto. Il petto è portato abbastanza alto, è pieno, largo ed arrotondato.
Le zampe sono di media grandezza, ben staccate dal tronco, dotate di tarsi sottili, nudi e abbastanza lunghi, di colore verde salice. Il peso è di kg 2,000/2,400 per il gallo e di kg 1,600/1,800 per la gallina. Il piumaggio si presenta abbondante e morbido, ben aderente su tutto il corpo.
Qualità
La Siciliana è un pollo molto rustico e vivace, con una spiccata attitudine alla produzione di uova. Un pollo con poche pretese, dalla grande resa: in sintesi questa è la Siciliana.
Molto resistente ai climi caldi e asciutti, ha un temperamento vivace, sanguigno ma in genere non è una buona volatrice.
Il suo aspetto è fiero e battagliero, coraggioso e territoriale, particolarmente resistente alle malattie più comuni, di indole vagabonda: se lasciata libera di pascolare può procurarsi buona parte dell'alimentazione giornaliera, anche se può continuare a vivere e a produrre confinata in piccoli ambienti.
Inoltre è una razza molto precoce: i pulcini nascono vispi e robusti, quasi sempre con un anticipo di 12 ore circa; prima dei 20 giorni si distinguono già i sessi, le galline depongono già dal quinto mese di vita uova dal caratteristico guscio affusolato color bianco ed in numero di oltre 150 per ciclo; anche la carne è gustosa, si avvicina molto al gusto della pernice, con buone caratteristiche organolettiche.
Nonostante non sia stata oggetto di grossi programmi di recupero, la sua particolare resistenza e adattamento al territorio ha permesso la sua sopravvivenza fino ai giorni nostri, non è difficile trovarla distribuita nel territorio Siciliano.
La razza è allevata a scopo di recupero con l'obiettivo di essere conservata e recuperata, non ha mai assunto una notevole importanza economica ma culturale. Il peso minimo dell'uovo è di 45 grammi.

GALLO NERO DELLA VAL DI VARA
Nella Val di Vara, nell'entroterra spezzino, esiste il gallo nero, una razza di taglia gigante, selezionata alla fine degli anni Venti dal Pollaio Provinciale di Genova ma pressoché scomparsa nel dopoguerra. È una razza maestosa, con il piumaggio completamente nero, setoso, dai riflessi verdi metallici. La cresta grande, color rosso vivo, è unica, a cinque punte. Una delle ragioni del suo abbandono è indubbiamente la sua caratteristica principale, ovvero le dimensioni, assolutamente inadatte ai consumi delle piccole famiglie moderne. Con una sola gallina di razza gigante nera è possibile sfamare almeno sei commensali mentre il mercato attuale richiede polletti di piccole dimensioni. Raggiungono il peso ideale di oltre tre chilogrammi solo dopo dieci mesi. Grazie all'alimentazione naturale (granaglie, avanzi dell'orto, erbe e insetti), integrata dal pascolo, la qualità della carne è eccellente, è soda e saporita, più scura sulle cosce che sul petto: un indicatore fondamentale che segnala che il pollo ha pascolato, e quindi ossigenato molto la muscolatura. Il pollaio tipo ospita un maschio e dieci femmine, è sempre circondato da ampi spazi aperti dove gli animali razzolano liberamente.

GIGANTE NERA D'ITALIA
La razza Gigante Nera fu selezionata in Liguria a partire dal 1929, appositamente per le caratteristiche di questa regione. Raggiungendo il ragguardevole peso di 4 Kg, è 42 classificata tra le razze pesanti. È riconoscibile per il piumaggio nero dagli eleganti riflessi verdi. Allevamento: la Gigante nera, come tutte le razze pesanti, ha la caratteristica di essere sedentaria e avere scarsa attitudine al pascolo. Zona di produzione: Val di Vara (La Spezia)

PECORA BRIGASCA
L'origine del nome della razza è da attribuirsi al monte Briga e all'omonimo passo sulle Alpi Marittime, zona di confine tra Italia e Francia. La popolazione è di circa 2000 capi.
L'attitudine principale di questa razza è duplice (carne e latte) con una certa prevalenza della prima.
Taglia: medio-grande, con un peso che si aggira sui 50 kg e più per le femmine, nei maschi adulti di 3-4 anni il peso minimo è di 80 kg; in alcuni soggetti sono oltrepassati i 100 kg.
Testa: medie dimensioni, più potente nei maschi, in ogni caso in equilibrio con il corpo nel suo insieme. Profilo fronto-nasale montonino, più accentuato nei maschi. Corna presenti in circa l'80% dei capi, inserite al di sopra della fronte, robuste, portate all'indietro e lateralmente, a semispirale nelle femmine; di più grandi dimensioni e più robuste, avvolte a spirale, nei maschi.
Collo: tendenzialmente lungo e ben inserito sull'anteriore.
Tronco: medio-grande con garrese spesso e torace in genere abbastanza lungo e profondo (da preferire animali con torace lungo e molto profondo di tipo respiratorio), con dorso e lombi larghi, groppa larga ed abbastanza lunga, tendenzialmente inclinata posteriormente.
Apparato mammario: mediamente si presenta ben sviluppato, abbastanza quadrato e ripartito nei quarti, con buon legamento mediale e capezzoli di media grandezza.
Arti: robusti e di media lunghezza, con unghielli forti e di colore prevalentemente scuro, ben adattati al pascolo in zone impervie.
Vello: ricopre tutto il corpo ad eccezione della testa, addome, parte interna delle cosce e degli arti e distalmente all'articolazione tibio-tarsica per gli arti posteriori e del ginocchio per quelli anteriori.
Pelle e pigmentazione: la pelle si presenta al tatto sottile ed elastica, mediamente di colore roseo o rosa antico, talvolta sono presenti macchie scure più o meno estese.
Difetti di tipo zoognostico che precludono l'iscrizione al Registro
Mantello completamente nero o con pezzature, macchie nere.
Profilo rettilineo o concavo della testa.
Vello di tipo chiuso, merinizzato.
Dati biometrici: peso medio nelle femmine 50 kg, nei maschi minimo 70 kg a tre anni, negli agnelli alla nascita 4-5 kg. Negli adulti sono da preferire animali più pesanti.
Allevamento: l'attitudine principale di questa razza è duplice (carne e latte) con una certa prevalenza della prima. La carne è costituita principalmente dalla vendita degli agnelli del peso vivo di 15-16 kg, raggiunto a circa due mesi di età. L'allevamento tradizionale prevede, infatti, un periodo di sette otto mesi in alpeggio, e di circa quattro mesi in bandia, la zona costiera ove il clima mite permette di mantenere il pascolo all'aperto anche nei mesi invernali.
Zona di produzione:Valle Arroscia, valle Argentina e alcuni comuni litoranei delle province di Imperia e Savona
L'origine del nome della razza è da ascriversi al monte Briga e all'omonimo passo sulle Alpi Marittime, zona di confine tra il nostro paese e la limitrofa Francia. L'area di allevamento comprende diversi comuni della valle Arroscia, della valle Argentina e alcuni altri comuni litoranei per la provincia di Imperia, il comune di Albenga per la provincia di Savona.

PECORA MARRANA
La razza ha probabili origini da alcune razze da carne italiane, bergamasca, biellese e appenninica, presenti ancora in numero assai diffuso in Pianura Padana, Alpi ed Appennini. E' presente nella provincia di Genova, nel comune di Montaggio, per un totale di 21 capi. 39 L'attitudine di questa razza è da sempre la produzione di carne, l'allevamento è tipicamente stanziale, agro-pastorale.

PECORA MASSESE
La massese è una pecora da latte originaria della Valle del Forno, in provincia di Massa, allevata in Toscana, Emilia, Umbria, Liguria con presenze in espansione nelle regioni limitrofe. E' presente nella provincia della Spezia, zona di Sarzana, presso sette aziende, per un totale di 1.000 capi. Il sistema di allevamento tradizionale prevede l'utilizzo del pascolo durante tutto l'anno, con rientro delle pecore per la mungitura serale e mattutina. La caseificazione avviene presso le singole aziende con vendita diretta del prodotto ottenuto.

PECORA SARDA
Pecora Sarda
Sarda è una razza ovina italiana a prevalente attitudine alla produzione di latte. Razza autoctona della Sardegna, si è diffusa in tutta l'Italia centrale. Si ritiene che derivi dal muflone che vive allo stato selvatico sui monti del Gennargentu. La razza Sarda rappresenta circa il 40% della popolazione ovina nazionale. E' una razza rustica e molto produttiva. Poco adatta alla produzione di carne e di lana (modeste quantità e poco pregiata).
Taglia: media.
Testa: distinta leggera, solitamente un po’ allungata con profilo diritto o leggermente montonino nei maschi, faccia uniformemente bianca con espressione vivace, occhi grandi e vivaci con leggero rigonfiamento palpebrale, narici larghe, bocca ampia, orecchie di media grandezza o piccole, mobili, portate orizzontalmente e talvolta anche un po’ pendenti, corna assenti nelle femmine o poco sviluppate, assenti o rudimentali nei maschi.
Collo: ben unito alle spalle ed al petto, lungo ed esile nelle femmine, più forte e più robusto nei maschi.
Tronco: allungato e di forma tronco-conica, garrese ben serrato, leggermente pronunciato e piuttosto affilato nella pecora, più muscoloso nell’ariete; torace profondo e leggermente piatto, spalle ben attaccate, leggere, giustamente inclinate ed in armonia con le regioni circostanti; dorso forte e diritto; linea superiore corretta; lombi larghi e robusti allineati con il dorso, ventre capace, arrotondato e ben modellato, fianchi pieni, larghi e profondi, groppa leggermente spiovente, più lunga che larga, coscia piatta, scarna e ben discesa. Coda esile e lunga. Mammella sferica, larga, ben sostenuta, forte negli attacchi, con tessitura morbida, spugnosa, elastica, quasi floscia dopo la mungitura, bene irrorata dalla corrente sanguigna periferica e con capezzoli proporzionati e ben diretti.
Vello: bianco, aperto, costituito da bioccoli appuntiti, con presenza di peli morti nel sottovello, esteso fino a metà dell’avambraccio e poco sopra il garretto.
Pelle e pigmentazione: pelle sottile, elastica e di colore bianco rosato, talora con lieve picchiettatura nera o marrone sulla testa, negli arti, e, in genere nelle parti prive di lana.
Altezza media al garrese:
- Maschi a. cm. 71
- Femmine a. cm. 63
Peso medio:
- Maschi a. Kg. 59
- Femmine a. Kg. 42
Produzioni medie:
Latte (senza poppata - grasso 6,0% proteine 5,3%)
- primipare lt. 130
- pluripare lt. 180
Carne:
- Maschi Kg. 44,5
- Femmine Kg. 32,5
Lana: (in sucido)
- Arieti Kg. 2,5
- Pecore Kg. 1,2