mercoledì 22 gennaio 2025

Corso di cucina: 22 CONOSCERE GLI AROMI E LE SPEZIE



Basilico
Complementari: pomodori, timo e origano, finocchio.
Proprietà: digestive (stimola l’intestino), antispasmodiche (allevia i crampi allo stomaco), aromatiche, anti-infiammatorie.
Ricette: insalate, ovviamente nel pesto e nel sugo al pomodoro, pizza, conserve.
Abbinamenti: carne bianca, tacchino, agnello, roast-beef, uova e melanzane. Provatelo con i frutti di bosco, specie fragole, lamponi.
Coriandolo
Complementari: zenzero, cannella, cumino, cardamomo, noce moscata.
Proprietà: digestive, carminative (riducono la formazione di gas nell’intestino), anti-spasmodiche, anti-settiche.
Ricette: insalate, zuppe in stile indiano, dolci della cucina americana come pancakes e torta di mele, salsicce, stufati.
Abbinamenti: carni, pesce grigliato, formaggi, riso e cetriolini.
Dragoncello
Complementari: peperoncino, erba cipollina, tarassaco, cerfoglio.
Proprietà: aromatiche, digestive.
Ricette: salsa tartara e salsa bernese, senape e mostarda, per profumare la maionese, anche nel pollo.
Abbinamenti: insalate, uova, con il pesce e i crostacei, con le carni bianche.
Finocchietto
Complementari: senape, pepe, cannella, zenzero, prezzemolo, chiodi di garofano.
Proprietà: digestive, carminative, diuretiche, anti-spasmodiche
Ricette: arrosti, liquori come l’anisetta, pesce alla griglia, finocchiona, porchetta, pasta con le sarde, borsch, la minestra in brodo di carne della cucina russa.
Abbinamenti: minestre, zuppe, insalate, salmone, funghi, patate, olive. Provatene un po’ nello yoghurt bianco.
Menta
Complementari: cumino, pepe di cayenna, verbana e zenzero.
Proprietà: dissetanti, anti-spasmodiche, digestive, anti-fermentative.
Ricette: piatti agrodolci, tisane, torte e crostate, confetture (specie di fichi).
Abbinamenti: da provare con il cioccolato, nei fritti a base di verdure, per insaporire il riso come nella cucina indiana, con la carne e i legumi.
Origano
Complementari: maggiorana, timo, finocchio, basilico, da abbinare al peperoncino nelle minestre speziate come insegna la cucina messicana.
Proprietà: aromatiche, anti-spasmodiche, anti-settiche, anti-infiammatorie.
Ricette: sugo al pomodoro, insalate, pizza, carne alla pizzaiola.
Abbinamenti: carni bianche, roast beef, pesce fritto.
Prezzemolo
Complementari: basilico, erba cipollina, tarassaco.
Proprietà: vitaminizzanti, diuretiche, sudorifere.
Ricette: con i funghi, con le uova, nelle zuppe.
Abbinamenti: un’infinità, si usa per guarnire e insaporire praticamente tutto, specie i piatti di pesce, di solito a fine cottura per non compromettere l’aroma.
Rosmarino
Complementari: origano, timo, aglio.
Proprietà: digestive, anti-spasmodiche, diuretiche, balsamiche, anti-settiche.
Ricette: sugo al pomodoro, aromatizza le patate fritte (basta metterne un rametto lavato e asciugato nell’olio della frittura), pollo e barbecue (tra l’altro, i rametti bruciati allontanano gli insetti).
Abbinamenti: pomodori, arrosti e carni bianche, patate, funghi e cavolfiori.
Salvia
Complementari: limone, spezie invernali.
Proprietà: digestive, balsamiche, aromatiche (lasciate qualche foglia a contatto con il burro per avere interessanti sfumature di gusto), anti-settiche anti-infiammatorie.
Ricette: ravioli di magro, bolliti, arrosti, hamburger.
Abbinamenti: carni rosse e bianche, formaggi, pesce fritto, mele al forno.
Timo
Complementari: rosmarino, origano, maggiorana, cilantro, sommacco.
Proprietà: digestive, depurative, tossifughe, anti-settiche, stimolanti.
Ricette: insalate, nei piatti a base di fagioli, qualche fogliolina profuma la macedonia.
Abbinamenti: piatti di carne e di pesce, con le patate, carote e funghi, per aromatizzare una tavoletta di cioccolato.


Con il termine spezie si indicano tutte quelle sostanze aromatiche (come il pepe, lo zenzero, la cannella, il peperoncino, la noce moscata, ecc.) solitamente di provenienza esotica, utilizzate in cucina per aromatizzare i cibi o in erboristeria per preparazioni semi-farmaceutiche.
L’utilizzo delle spezie non risponde ad una ricetta esatta, molto dipende dalle tradizioni, dalla localizzazione geografica, che può rendere più semplice la reperibilità di alcune spezie piuttosto che altre, e sicuramente in primis dai gusti personali.
Non esiste quindi uno schema di utilizzo delle spezie, tuttavia, conoscendo le caratteristiche di ognuna di essa sarà più semplice il loro utilizzo.
L’utilizzo delle spezie in cucina non è affatto una cosa da sottovalutare, poiché oltre a donare ai cibi (ma anche alle bevande) dei sapori e degli odori del tutto particolari ed inimitabili, favorisce un minor utilizzo di grassi e sale (perché le spezie insaporiscono molto già di loro), rendendo ciò che mangiamo molto appetibile con un ridotto contenuto calorico.
Molte sono le spezie che conosciamo e che comunemente utilizziamo, grazie alla diffusione che queste per tradizione hanno nel nostro paese (come accade per: aglio, pepe, peperoncino, prezzemolo), ma grazie alla larga diffusione della cucina multi etnica ed alla riscoperta dei benefici naturali che queste hanno, nonché al loro approdo nelle diete ipocaloriche, è bene documentarci sull'utilizzo delle varie spezie e sfruttare al meglio questo patrimonio naturale.
Anche la loro commercializzazione ormai non è più appannaggio dei mercatini ed dei bazar orientali, quindi anche la reperibilità di qualche spezia della quale forse non abbiamo mai sentito parlare non sarà così difficile, basterà recarsi in un supermercato ben fornito o al massimo rivolgersi ad un erborista.

Il ginepro (iuniperus) è una pianta tipica della flora italiana. In cucina si utilizzano le bacche di ginepro, che insaporiscono le carni, soprattutto di selvaggina, o alcuni superalcolici (come il gin o la grappa di ginepro). Nel nord Europa le bacche di ginepro vengono utilizzate anche per arricchire di gusto i crauti.

Il cappero (Capparis spinosa L., 1753) è un piccolo arbusto o suffrutice ramificato a portamento prostrato-ricadente. Della pianta si consumano i boccioli, detti capperi, e più raramente i frutti, noti come cucunci. Entrambi si conservano sott'olio, sotto aceto o sotto sale.
Il portamento è cespitoso, con fusto subito ramificato e rami lignificati solo nella parte basale, spesso molto lunghi, dapprima eretti, poi striscianti o ricadenti.
Le foglie sono alterne e picciolate, a lamina subrotonda e a margine intero, glabre o finemente pelose, di consistenza carnosa. La forma della lamina è ovata, il margine è liscio, le nervature sono pennate e non è una foglia composta. Il nome dato alla specie è dovuto alla presenza, alla base del picciolo, di due stipole trasformate in spine. Nella varietà inermis, la più comune, le stipole sono erbacee e cadono precocemente.
I fiori sono solitari, ascellari, lungamente peduncolati, vistosi. Calice e corolla sono tetrameri, composti rispettivamente da 4 sepali verdi e 4 petali bianchi. L'androceo è composto da numerosi stami rosso-violacei, provvisti di filamenti molto lunghi. L'ovario è supero, con stimma sessile.
Il frutto è una capsula oblunga e verde, a forma di fuso, portata da un peduncolo di 2–3 cm, fusiforme e carnosa, con polpa di colore rosaceo. Contiene numerosi semi reniformi, neri o giallastri, di 1–2 mm di dimensioni. A maturità si apre con una fessura longitudinale. Comunemente i frutti sono chiamati cucunci o cocunci.
Il cappero è coltivato fin dall'antichità ed è diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo. È spontaneo solo su substrati calcarei: nel suo ambiente naturale cresce sulle rupi calcaree, nelle falesie, su vecchie mura, formando spesso cespi con rami ricadenti lunghi anche diversi metri. È una pianta eliofila e xerofila con esigenze idriche limitatissime.
Pur essendo una pianta rupicola, il cappero trae vantaggio dalla coltivazione in piena terra e irrigato moderatamente ha uno sviluppo più rigoglioso, producendo fiori da maggio a ottobre. Si propaga per seme o preferibilmente per talee. La talea si esegue in estate, prelevando un pezzo di 7–10 cm di un ramo legnoso di 2-3 anni d'età, quindi lo si pone in una cassetta riempita di torba e sabbia.
Per favorire la radicazione è consigliato l'uso di polveri radicanti. Formatesi le radici, si prelevano le piantine e si invasano singolarmente in vasetti di circa 10 cm di diametro. La propagazione per seme è difficoltosa dato che la germinazione dei semi è buona solo se i semi sono seminati immediatamente dalla raccolta dai frutti, è invece molto difficoltosa (germinabilità del 5 - 10%) quando entrano in dormienza (cioè si essiccano), la preparazione con semi in acqua calda e poi in ammollo per qualche giorno aumenta la germinabilità. La possibilità di germinazione aumenta anche qualora la semina venga eseguita nei mesi invernali (dicembre - gennaio).
Si semina in cassette, riempite di torba e sabbia, lasciate all'aperto nel periodo estivo e riparate in autunno–inverno. Nella primavera successiva si può trapiantare la nuova pianta direttamente nel terreno o singolarmente in un vaso. La semina può avvenire anche direttamente nelle fessure di muri a secco ben esposti al sole in autunno. Occorre però inserire i semi pressati in una manciata di muschio che proteggerà il seme durante l'inverno e lo terrà umido, altra soluzione: inserire dei semi dentro un fico maturo, o in una zolletta di fango pressato inserendo poi il tutto nella fessura del muro. Le piantine nasceranno verso maggio-giugno.
Le proprietà aromatiche sono contenute nei boccioli del fiore, comunemente chiamati capperi. Utilizzati in gastronomia da millenni, si raccolgono ancora chiusi e si conservano in macerazione sotto sale o sotto aceto. I capperi sono solitamente usati per aromatizzare le pietanze e si sposano bene con una grande varietà di cibi: dalla carne, al pesce, alla pasta.
Il frutto, di sapore simile ma più delicato del cappero, è detto cucuncio, cocuncio o capperone e si trova in commercio sotto sale, sott'olio o sotto aceto. È usato tradizionalmente nella cucina eoliana per condire piatti di pesce. Gli eoliani usano anche dissalare i cucunci o i capperi e consumarli al pari di una qualsiasi verdura, di solito in insalata. In ambito culinario vengono utilizzate anche le giovani foglie come insalata, previa cottura per pochi minuti in acqua bollente.
L'ampia diffusione in Sicilia e l'uso tradizionale che se ne fa nella cucina siciliana hanno portato i capperi ad essere inseriti nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) come prodotto tipico siciliano. Il Cappero di Pantelleria ha invece ottenuto l'Indicazione geografica protetta (IGP). Fin dall'antichità è diffusa la credenza che attribuisce proprietà afrodisiache al cappero.

Varietà di peperoncino
Le 5 specie domesticate, e quindi più comuni, di peperoncino sono:
· Capsicum annuum, probabilmente la più coltivata, comprendente le varietà più diffuse: i peperoni dolci, il peperoncino comune in Italia, il peperoncino di Cayenna, e il messicano jalapeño
· Capsicum baccatum, che include il cosiddetto cappello del vescovo, e gli ají
· Capsicum chinense, il cui nome può trarre in inganno. Difatti la qualità non è cinese, bensì sud-americana, in particolare originario dell'Amazzonia. Tale qualità include l'habanero, rimasto fino al 2006 nel Guinness dei primati come il peperoncino più piccante del mondo, e il suo successore Dorset Naga ibrido con C. frutescens, più lo Scotch Bonnet e il fatalii
· Capsicum frutescens, che include tra gli altri il tabasco
· Capsicum pubescens, che include il sudamericano rocoto
Sebbene siano poche le specie di peperoncino coltivate commercialmente in Italia, ci sono molte cultivar: il peperone verde e quello rosso, ad esempio, sono la stessa cultivar, ma i verdi sono immaturi. A livello amatoriale, invece, vi è una fiorente comunità di appassionati, che coltivano tutte le 5 specie principali e molte delle minori. Per la gran varietà di cultivar, sicuramente C. annuum è il più diffuso, mentre le altre specie sono relativamente meno coltivate.
La sostanza artefice principale della piccantezza è l'alcaloide capsaicina (8-metil-N-vanillil-6-nonenamide o C18H27NO3), insieme ad altre 4 sostanze naturali correlate, chiamate collettivamente capsaicinoidi, che ne comprendono anche altre di sintesi. Ogni capsacinoide ha piccantezza relativa e un sapore diversi nella bocca, e una variazione nelle proporzioni di queste sostanze determina le diverse sensazioni prodotte dalle diverse varietà, oltre al loro contenuto. La capsaicina provoca dolore e infiammazioni se consumata in eccesso, e può addirittura causare vesciche da ustione, se in alte concentrazioni. Rappresenta anche l'ingrediente principale nello spray al pepe, usato come "arma non letale".
La sensazione di bruciore che percepiamo, tanto più intensa e persistente quanto più il peperoncino è piccante, in realtà non esiste, nel senso che non si ha un aumento di temperatura nella nostra bocca. La capsaicina interagisce semplicemente con alcuni termorecettori presenti nella bocca, nello stomaco e nell'ano, che mandano un segnale al cervello come se la nostra bocca o il nostro stomaco "bruciasse". Stessa sensazione si ha quando defechiamo, in quanto gli stessi termorecettori sono presenti anche nell'ano.
La piccantezza dei peperoncini è misurata solitamente tramite la scala di Scoville, ideata al principio del XX Secolo dal chimico statunitense Wilbur Scoville. Il peperone dolce ha ad esempio zero unità Scoville, i jalapeños vanno da 3,000 a 10,000 SU, mentre gli Habaneros arrivano a 600,000 unità Scoville. Il record per il più alto numero di unità Scoville in un peperoncino è stato assegnato dal Guinness dei primati al Bhut Jolokia indiano, che ha fatto segnare oltre 1.000.000 unità. Nel 2006, è stata presentata la varietà Dorset Naga, derivata da quest'ultima, che ha fatto misurare anch'essa oltre 1.000.000 di SU.
Va tuttavia precisato che anche nel C. chinense, che vanta appunto alcune delle più piccanti al mondo, vi sono cultivar a 0 SU. Ad ogni modo, a partire da 250.000 SU, la sensazione di piccantezza cede il posto al dolore, la cui intensità è per lo più costante a prescindere dal contenuto in capsaicina, mentre aumentano la diffusione in bocca e gola, e la persistenza nel tempo. Pertanto, assaggiare un bhut jolokia o un habanero orange, a parte il sapore, dà la stessa sensazione di dolore, solo che il primo dura di più. Uno dei modi migliori per alleviare la sensazione di bruciore è bere latte, mangiare yogurt od ogni prodotto caseario, possibilmente a pasta morbida o liquido. Infatti una proteina presente nei latticini, la caseina, agglutina la capsaicina, rimuovendola dai recettori nervosi.
La capsaicina si scioglie molto bene anche nei grassi e nell'alcool, quindi anche prodotti grassi o bevande alcoliche aiutano a rimuovere la sensazione dolorosa. Per le alte concentrazioni, come nell'habanero Red Savina o estratti vari, il modo più efficace è usare del ghiaccio come anestetico.
Un bicchiere di latte freddo, sorseggiato lentamente, è senz'altro il "rimedio" migliore all'eccessiva piccantezza, da tenere a portata di mano per l'assaggio di salse piccanti o peperoncini sconosciuti. Molto efficace anche mangiare del pane, specie la mollica, perché rimuove meccanicamente il peperoncino dalla bocca.
Il peperone in cucina
Il frutto viene consumato fresco, essiccato, affumicato, cotto o crudo. Oltre alla sua capacità di bruciare il palato, si utilizza anche per aromatizzare, nonché per fare salse piccanti. Nelle specie piccanti, la capsaicina si concentra nella parte superiore della capsula, dove ci sono ghiandole che la producono, diffondendosi poi lungo la capsula. Al contrario di quanto si crede comunemente, non sono i semi, ma la membrana interna, la placenta, che contiene la maggior parte di capsaicina: quindi è quasi inutile togliere i semi per ridurre la piccantezza del frutto, mentre è consigliabile togliere la placenta.
In Italia il peperoncino è ampiamente usato e alcune regioni ne hanno fatto la base dei propri piatti regionali, come la Calabria, con la sardella e la famosa nduja, la Basilicata con il peperone di Senise (in dialetto locale Zafaran), che ha ottenuto il marchio IGP dall'Unione Europea) e in generale tutto il Sud peninsulare. Il peperone dolce è invece molto utilizzato nella cucina piemontese soprattutto nella sua variante regionale Peperoni di Carmagnola ed è alla base di numerosi antipasti, del bagnet ross e della bagna cauda. All'estero il peperoncino è usato molto in Messico (nelle salse, nel chili con carne), in Nordafrica (dove è alla base della harissa), in India, in Thailandia e nelle due Coree. Le cucine indiana, indonesiana, cinese sono associate all'uso del peperoncino, sebbene la pianta sia arrivata in Asia solo dopo l'arrivo degli europei. Una volta macinato il peperoncino modifica l'intensità del gusto: il grado di piccantezza però varia non solo in base alla varietà di peperoncino scelta, ma anche in base al grado di maturazione: infatti più è maturo e più è forte. Inoltre lo stress ambientale, tra cui la siccità e il freddo accentua il sapore piccante. L'eccesso di acqua causa anch'esso aumento di piccantezza, ma spesso rovina la pianta e, in C. chinense, può dare sapore amaro ai frutti. Alcune varietà di peperoncino sono indicate per il consumo immediato, perché i frutti non si mantengono a lungo. Altre, possono essere invece essiccate e macinate. In questo modo aumenta la concentrazione di capsaicina e dunque la piccantezza. Inoltre, pressappoco tutte le varietà di C. chinense hanno aroma e sapore intenso, che si perde con l'essiccazione. Ad esempio l'habanero, da fresco ha un intenso odore di albicocca e un sapore fruttato simile al cedro, che si attenuano alquanto con l'essiccazione.
Il peperoncino è un condimento molto popolare, nonostante il dolore e l'irritazione che provoca. Quattro composti del peperoncino, tra cui i flavonoidi e i capsaicinoidi, hanno un effetto antibatterico, cosicché cibi cotti col peperoncino possono essere conservati relativamente a lungo. Questo spiega anche perché più ci si sposta in regioni dal clima caldo, maggiore sia l'uso di peperoncino ed altre spezie.
I peperoncini sono ricchi in vitamina C e si ritiene abbiano molti effetti benefici sulla salute umana, purché usati con moderazione ed in assenza di problemi gastrointestinali. Il peperoncino ha un forte potere antiossidante, e questo gli è valso la fama di antitumorale. Inoltre, il peperoncino si è dimostrato utile nella cura di malattie da raffreddamento come raffreddore, sinusite e bronchite, e nel favorire la digestione. Queste virtù sono dovute principalmente alla capsaicina, in grado di aumentare la secrezione di muco e di succhi gastrici. In ultimo il peperoncino stimolando la peristalsi intestinale favorisce il transito e l'evacuazione, il più rapido passaggio intestinale in sinergia col potere antibatterico ed antimicotico evita la fermentazione e la formazione di gas intestinali e di tossine, particolarmente le tossine della candida albicans.
Alcuni studi hanno evidenziato un aumento del metabolismo e una riduzione dell'insulina ematica dopo aver mangiato cibi conditi con peperoncini piccanti. Il peperoncino può essere usato anche come antidolorifico in artriti, neuropatia diabetica, nevralgie post-herpetiche e del trigemino, sintomi post-mastectomia, cefalea a grappolo. I capsaicinoidi agiscono a livello dei nocicettori mediante i recettori vanilloidi specifici VR-1, come desensibilizzanti dei recettori stessi agli stimoli dolorosi, in una prima fase attraverso una "desensibilizzazione acuta" ed in seguito attraverso una tachifilassi (una ridotta risposta recettoriale alle successive applicazioni di capsaicinoidi). Si può anche ipotizzare che la sensazione di dolore prodotta dalla capsaicina stimoli il cervello a produrre endorfine, un oppiaceo naturale in grado di agire da analgesico e produrre una sensazione di benessere.
Non esiste alcuno studio o prova sperimentale che dimostri le sue presunte proprietà afrodisiache.
In conclusione i benefici dei peperoncini sono numerosi, anche se non tutti confermati, e questi frutti delle piante di Capsicum (della famiglia delle Solanaceae come le piante del tabacco, delle melanzane e dei pomodori) sono sempre al centro di numerosi studi in atto per certificarne le effettive proprietà benefiche. Moltissime tradizioni medicinali popolari usano come rimedio il peperoncino, e la medicina Ayurvedica lo consiglia per il trattamento di ulcere peptiche.
Gli uccelli, al contrario dei mammiferi, non sono sensibili alla capsaicina, poiché questa sostanza agisce su uno specifico recettore nervoso che gli uccelli non possiedono. A ragione di ciò i peperoncini costituiscono il cibo preferito di molti volatili; essi costituiscono infatti una fonte di vitamina C e carotene, necessari agli uccelli soprattutto durante la muta del piumaggio. In cambio gli uccelli spargono i semi della pianta sia mentre consumano i frutti, sia attraverso le feci, poiché questi semi riescono a oltrepassare l'apparato digerente inalterati. Si pensa che questo tipo di relazione abbia promosso l'evoluzione dell'attività protettrice della capsaicina.
Valori nustrizionali

La caratteristica principale del peperone è il suo elevato contenuto di vitamina C, e contiene anche vitamina A; è decisamente poco calorico, poiché è costituito per oltre il 90% da acqua, e il che lo rende adatto alle diete dimagranti.

Le varietà dolci sono generalmente quelle preferite dai consumatori, per la migliore digeribilità e appetibilità.

Le varietà piccanti sono più ricche di vitamine delle altre, tanto che raggiungono valori 300 volte maggiori di ciascuno degli altri ortaggi coltivati, inoltre hanno un tenore medio di acido ascorbico altissimo, e sono sconsigliate a chi soffre di ulcera o iperacidità gastrica e ai bambini; però, per la presenza di carotenoidi (contro i radicali liberi e l’invecchiamento cellulare) e sali minerali, hanno il pregio di stimolare la vitalità dei tessuti e di attivare il circolo venoso
Cenni Storici

Il peperone ha fatto la sua comparsa sulle tavole europee quando venne importato in Spagna verso la metà del 1500; poi arrivò in Italia, e solo nel 1700 in Ungheria, una delle principali produttrici di paprika, spezia ottenuta da particolari varietà di peperoni, che vengono fatti essiccare, ridotti in polvere e mescolati con farina di frumento.

Il nome latino "capsicum" deriva da capsa= scatola, per la particolare forma del frutto che ricorda proprio una scatola con dentro i semi.

Coltivazione

Le moltissime specie di peperone, sono largamente coltivate e diffuse in tutto il mondo (circa 1,26 milioni di ettari), in aree come l' America centro-meridionale, Asia, Africa ed Europa; in Italia invece la coltivazione di questa pianta si sta lentamente riducendo tanto che ultimamente si tende più ad importare che ad esportare, con flussi di prodotti provenienti prevalentemente da Spagna ed Olanda; le regioni italiane maggiormente interessate dalla coltura sono la Sicilia, la

Varietà peperoni

Peperoni rossi/gialli/verdi quadrati

Sono ortaggi grossi, di forma quadrata a quattro lobi.

Il colore dapprima verde,diventa a maturazione rosso, giallo oppure mantiene lo stesso colore a seconda delle sottovarietà di appartenenza.

Possiedono una polpa carnosa e un sapore dolce.

Peperoni rossi/gialli/verdi lunghi

Questi peperoni hanno una forma allungata, La polpa è carnosa e sempre di sapore dolce. Sono questi i peperoni più diffusi.

I peperoni di Senise

Sono peperoni coltivati sulle valli del Sinni e dell'Agri, in Basilicata.

Sono caratterizzati da uno spessore sottile e da un basso contenuto in acqua del pericarpo.

Il trapianto si effettua dopo la seconda decade di maggio mentre La raccolta avviene manualmente a partire dalla prima decade di agosto quando le bacche raggiungono la tipica colorazione rossa.

Può essere consumato fresco o conservato.

Come scegliere

Al momento dell’acquisto i peperoni devono avere il picciolo ben attaccato, teso e turgido devono essere lucidi, sodi al tatto, con la pelle ben tesa e privi di ammaccature; in più ricordate: se sono ben maturi risulteranno dolciastri, se immaturi e verdi saranno piuttosto asprigni ma ugualmente apprezzati.

I peperoncini piccanti si conservano in genere sott'olio. Quelli di Cajenna, dai quali si ricava la paprika, si essiccano al sole e poi si macinano.

Come conservare

I peperoni si possono conservare in frigorifero per 4-5 giorni nel cassetto delle verdure, in alternativa potete conservarli sott’aceto o sott’olio. Se essiccate e macinate dei peperoncini piccanti potete conservarli in vasi di vetro, lontani da luce o fonti di calore.

I 10 peperoncini più piccanti del mondo

Gli uomini che amano il cibo piccante sono pieni di testosterone: non è la boutade del presidente del consorzio della ‘Nduja calabrese, lo afferma uno studio dello scienziato venuto dal regno della cucina snob, il professor Laurent Bègue dell’Università di Grenoble (si chiama Some like it hot A qualcuno piace caldo, solo il titolo vale la lettura).
Lo studio si spinge a sostenere che l’amore per il peperoncino, nei maschi più virili, è la conseguenza della passione per il rischio, dimostrata dalla capsaicina, sostanza che si lega con il recettore del dolore e provoca bruciore, battito accelerato e sudorazione.
In Inghilterra, dove sospinto dalla massiccia immigrazione indiana il cibo piccante è ormai la regola, i quotidiani usano lo studio per dileggiare i francesi, che lo snobbano abbastanza.
Pare che l’abuso di peperoncino aumenti le percentuali di testosterone negli uomini (ma per il momento è stato provato solo sui roditori).
Comunque, chi vuole portarsi avanti col lavoro può insaporire la propria dieta con uno di questi 10 peperoncini, i più piccanti del mondo secondo la scala ufficiale di Scoville (unità di misura è lo shu: Scoville heat units).
10 Byadagi
Coltivato dello stato indiano del Karnataka, da questo peperoncino si estrae un olio venduto negli stati uniti e in Europa come base per lo smalto per le unghie.
La sua forza relativa, 100.000 shu, lo ha reso una delle spezie base nella cucina dell’India del Sud.
9 Bird’s eye
E’ il peperoncino della cucina thailandese, del Kerala, del Vietnam e dello Sri Lanka: arriva fino a 250.000 shu.
8 Habanero
L’Habanero con i suoi 350.000 shu è entrato a far parte del Guinness dei primati nel lontano 1999.
E’ spesso confuso con lo Scotch Bonnet con cui condivide il sapore e la carnosità, ma l’Habanero è rosso e famoso ai più.
7 Scotch Bonnet
Coltivato soprattutto nei Caraibi e in Guyana, ne esistono anche delle varietà dolci.
E’ molto diffuso, anche se non lo sappiamo, in Occidente.
6 Habanero Orange
Arancione, messicano e sottovalutato.
L’Habanero Orange è stato per errore spodestato dalla varietà Red Savina, ma doveva essere lui a detenere il Guinness dei primati fino al 2006.
5 Habanero Red Savina
Il più piccante secondo il Guinness dei primati dal 1999 al 2006. Misura circa 300.000 shu, ma il Chile Pepper Institute ha determinato che quello di attribuirgli una così alta percentuale di capsaicina è stato un errore di calcolo: l’Habanero Orange è più piccante, arriva infatti a 360.000 shu.
4 Bhut Jokolia
Dal 2007 al 2011 è stato il peperoncino più piccante del mondo. E’ conosciuto anche con i simpatici nomignoli di “peperoncino velenoso” e di “peperoncino cobra”.
E’ comunemente usato negli spray anti aggressione, e qualche tempo fa si era pensato di trarne una bomba chimica. Misura poco più di 1 milione di shu.
3 Naga Viper
Per un breve periodo nel 2011 è stato anche lui il peperoncino più piccante del mondo (titolo che evidentemente non si nega a nessuno) con i suoi 1.400.000 shu. E’ però una varietà ibrida, creata in Inghilterra, incapace di riprodursi da sola.
2 Trinidad Moruga Scorpion
Il peperoncino terribile dei Caraibi che misura 2 milioni sulla scala di Scoville è dal 2011 il più piccante ufficialmente.
Oltre al più forte è anche il più grosso, e qui le battute sulla sua mascolinità si potrebbero sprecare.
1 Carolina Reaper
C’è sempre qualcuno più grande.
Avrà pensato questo il T scorpion quando dopo solo un anno di permanenza nel Guinness dei primati, nel 2013 è stato spodestato dal Carolina Reaper, un ibrido nato in South Carolina ad oggi il più piccante conosciuto con i suoi 2.200.000 shu. La sua caratteristica è avere la codina, come uno scorpione.
Scala di Scoville
La scala di Scoville è una scala di misura della piccantezza di un peperoncino. Questi frutti del genere Capsicum contengono alcune sostanze, dettecapsaicinoidi, di cui la più abbondante è la capsaicina, un composto chimico che stimola i recettori del caldo VR1 (recettori per i vanilloidi 1) situati anche sulla lingua e ciò provoca la sensazione di "bruciore".
Il numero di unità di Scoville che indica l'appartenenza alla scala (SHU) (Scoville Heat Units) indica la quantità di capsaicina equivalente contenuta. Molte salse piccanti in uso sia in America del Nord che del Sud indicano la loro piccantezza in unità di Scoville. La scala di Scoville prende il nome dal suo ideatore, Wilbur Scoville che sviluppò il SOT (Scoville Organoleptic Test) nel1912. Questo test originariamente prevedeva che una soluzione dell'estratto del peperoncino venisse diluita in acqua e zucchero finché il "bruciore" non fosse più percettibile ad un insieme di assaggiatori (generalmente 5); il grado di diluizione, posto pari a 16.000.000 per la capsaicina pura, dava il valore di piccantezza in unità di Scoville. Il valore 16.000.000 per la capsaicina fu posto arbitrariamente da Scoville.
Quindi un peperone dolce, che non contiene capsaicina, ha un valore zero sulla scala Scoville, a significare che l'estratto di peperone non è piccante anche se non diluito. Al contrario uno dei peperoncini più piccanti, l'Habanero, fa misurare un valore superiore a 300.000 sulla scala Scoville: posto 16.000.000 la capsaicina pura, significa che l'estratto di Habanero ha un contenuto di capsaicina equivalente di in peso.
Il record, registrato nel Guinness dei primati nel dicembre del 2013, appartiene al Carolina Reaper con 2.200.000 SHU. Precedentemente apparteneva allo Scorpione di Trinidad, e ancora prima al Naga Viper con 1.382.118 SHU. Come sempre, va ricordato che essendo prodotti naturali e non industriali, non tutti i peperoncini hanno lo stesso valore: è semplicemente il massimo valore registrato e ufficialmente riconosciuto.
Sedici unità di Scoville sono equivalenti a una parte di capsaicina per milione, ma il suo grande limite è che pur basandosi su una scala oggettiva, la rilevazione dipende dalla soggettività umana. Successivamente sono stati sviluppati altri tipi di test, molto più sofisticati, come il test HPLC (High performance liquid chromatographynoto anche come "Metodo Gillett") che misura direttamente la quantità di capsaicinoidi invece che affidarsi alla sensibilità dell'uomo. La capsaicina pura è una sostanza tossica e la sua assunzione in grandi quantità può avere effetti letali.
Classifica della piccantezza di alcuni peperoncini sulla scala Scoville
 I valori sulla scala Scoville possono variare sensibilmente per almeno tre ragioni:
·        Variano all'interno della stessa specie, anche di un fattore 10 o più, a seconda della semenza, del clima e del suolo.
·        Le vere "Unità di Scoville" erano il risultato di un test organolettico, che dipende dalla sensibilità umana e varia anche di ± 50%.
·        Il test HPLC non misura direttamente le unità di Scoville, ma le "unità di piccantezza ASTA". Queste sono poi convertite in unità Scoville, ma dato che la piccantezza assoluta dei capsaicinoidi ha un errore di circa il 20%, anche la conversione ne risente. L'HPLC stesso ha un errore di circa il 12%.



Scala di Scoville (unità di misura in Scoville Heat Units - SHU)
16.000.000.000
Resiniferatossina
5.300.000.000
Tinyatossina
15.000.000 - 16.000.000
Diidrocapsaicina, Capsaicina pura
8.800.000 - 9.100.000
Nordiidrocapsaicina
6.000.000 - 8.600.000
Omodiidrocapsaicina, Omocapsaicina
2.500.000 - 5.300.000
Spray al peperoncino in uso alla polizia
2.483.584 - 2.723.058
Dragon's Breath
2.000.000 - 2.200.000
Carolina Reaper
1.067.286 - 2.000.231
Trinidad Scorpion Moruga, Trinidad Scorpion Butch Taylor, Naga Viper, Infinity Chili, Komodo Dragon Chili, Spray al peperoncino di uso comune
855.000 - 1.041.427
Naga Morich, Naga Dorset, Seven Pod (o Seven Pots)
876.000 - 970.000
Bhut Jolokia (noto anche come Ghost Chili), Naga Jolokia (Ibrido)
350.000 - 855.000
Habanero Red Savina, Indian Tezpur
100.000 - 350.000
Habanero, Jamaican Hot, Bird's Eye (o "Piripiri", "Pilipili", "African Devil")
50.000 - 100.000
Scotch Bonnet, Santaka, Chiltecpin, Rocoto, Thai Pepper (o Thai Dragon),
30.000 - 50.000
Ají, Cayenne, Tabasco, Piquin
15.000 - 30.000
Chile de Arbol, Calabrese, Manzano
5.000 - 15.000
Peter Pepper, Serrano, Jalapeño
2.500 - 5.000
Mirasol, Chipotle, Poblano
1.500 - 2.500
Sandia, Cascabel, NuMex Big Jim, NuMex Suave
1.000 - 1.500
Ancho, Anaheim, Pasilla Bajio, Española
100 - 1.000
Mexican Bell, Cherry, New Mexico Pepper, Peperone, Paprica
0 - 100
Peperone dolce, Pimento (Pimenta dioica), Paprica dolce
Caratteristiche nutrizionali degli ortaggi da frutto
Quando si leggono le caratteristiche nutrizionali di prodotti vegetali crudi bisogna sempre tenere conto della grandissima quantità di acqua che contengono, e gli ortaggi a frutto non sono da meno. Questo significa che se in cottura la perdita d’acqua è importante, per gli ortaggi che si cuociono, in proporzione le altre sostanze nutritive cresceranno, e questo porta a differenze importanti dal punto di vista alimentare.
Nella tabella seguente vengono considerate le sostanze nutritive principali di ogni singolo alimento; tutti gli ortaggi erano crudi nel momento in cui sono stati analizzati (nonostante qualcuno, come le melanzane, non sia commestibile crudo).
Inoltre, tutti i valori sono da intendersi per 100 grammi di prodotto, buccia compresa (tranne nel caso della zucca).


Zucchina
Zucca
Cetriolo
Pomodoro(maturo)
Melanzana
Peperone (giallo e rosso)
Acqua
93,6
94,6
96,5
94
92,7
91,5
Proteine
1,3
1,1
0,7
1
1,1
0,9
Lipidi
0,1
0,1
0,5
0,2
0,4
0,3
Carboidrati
1,4
3,5
1,8
3,5
2,6
6,7
Fibra
1,2
0,5
0,8
2
2,6
2
Energia (Kcal)
11
18
14
19
18
31
Sodio (mg)
22
1
13
6
26
2
Potassio (mg)
264
340
140
297
184
210
Ferro (mg)
0,5
0,9
0,3
0,3
0,3
0,7
Calcio (mg)
21
20
16
9
14
17
Vitamina A(ug)
6
599
Tracce
610
Tracce
424
Vitamina C(mg)
11
9
11
25
11
166
Acqua
Il componente principale di tutti gli ortaggi a frutto è l’acqua che protegge e nutre il seme; l’acqua è un nutriente essenziale ed è facilissimo da recuperare, per la pianta, che lo assorbe dall’aria e dalla terra. Tutti gli ortaggi superano il 90% di contenuto in acqua, e anche se qualcuno è più “solido”, come i peperoni (cosa che aumenta se, come nel caso dei peperoncini, vengono essiccati) e qualcuno meno, come il cetriolo (che è essenzialmente solo acqua) la situazione è sempre molto simile; tutti gli ortaggi da frutto dissetano, e nessuno è particolarmente ricco in macronutrienti, a differenza di altri ortaggi. 
I lipidi nelle piante hanno solamente una funzione strutturale, a differenza degli animali in cui costituiscono un nutriente di riserva. Per questo motivo sono pochissimo rappresentati nei vegetali (in questi vegetali, mentre in altre come le olive sono molto rappresentati), e per quel poco che lo sono lo sono nel seme, dove ci sono acidi grassi essenziali che consentiranno il futuro sviluppo della pianta che germoglia.
Anche se questi nutrienti sono essenziali, c’è però da dire che sono così pochi all’interno degli ortaggi che certo non si possono mangiare per ottenere la quota lipidica di cui ha bisogno l’organismo. Questo si nota anche nelle calorie contenute negli ortaggi, che sono sempre bassissime.
Questo, però, ha un rovescio positivo: questi alimenti non fanno ingrassare, e possono essere consumati a volontà. Sempre, ovviamente, facendo attenzione ai condimenti: se l’ortaggio poco grasso viene mangiato con molto olio, questa qualità nutrizionale inevitabilmente si perde.
Le proteine sono molto presenti negli alimenti in quanto necessarie al movimento; non a caso si trovano soprattutto nei muscoli. Nei vegetali (a parte il caso particolare dei legumi, per una particolarità delle loro radici) non hanno questa funzione e, quindi, non hanno senso di essere presenti in abbondanza perché questo rappresenterebbe un dispendio energetico per la pianta, che le sostituisce per funzione strutturale con la fibra. È per questo che le proteine negli ortaggi a frutto sono sempre pochissime, e non si scostano molto dall’1%. Non solo: oltre ad essere poche sono anche di bassa qualità, per cui del grammo (circa) che ne assumiamo mangiando 100 grammi di ortaggio, ne assorbiamo circa 0,2 grammi. Gli ortaggi a frutto non sono dunque l’alimento più indicato per chi si trova in carenza proteica.
Neanche i carboidrati sono particolarmente rappresentati negli ortaggi a frutto, anche se sono più presenti rispetto ad altre componenti. Vengono prodotti direttamente dalla pianta tramite il processo di fotosintesi clorofilliana, e ovviamente vengono inseriti nel frutto soprattutto per renderlo dolce e appetibile in funzione del trasporto dei semi lontano dalla pianta madre. In ogni caso, seppur presenti, gli ortaggi da frutto non contengono un quantitativo di carboidrati tale da costituire nutrimento e sostentamento per una persona, motivo per cui per i fabbisogni energetici bisogna affidarsi, se non ad alimenti animali, almeno ad alcuni vegetali che ne contengono molti di più, come i cereali.
La fibra negli ortaggi da frutto è presente, anche se non è particolarmente rappresentata rispetto ad altri vegetali come gli ortaggi da foglia. Questo perché nelle piante le fibre hanno una funzione strutturale, cioè sorreggono la pianta e la rendono rigida, per cui sono molto più presenti nei fusti e nelle foglie che, però, negli ortaggi da frutto non si consumano. La percentuale di fibra va in relazione alla quantità e allo spessore della buccia, perché è contenuta proprio lì: le solanacee hanno una buccia più spessa, per cui un quantitativo maggiore di fibra, mentre cetrioli e zucchine ce l’hanno molto sottile, infatti non si riescono a sbucciare senza togliere parte della polpa. La zucca ha meno fibra di tutti gli altri perché presa in considerazione priva della buccia.
La composizione in minerali delle singole piante varia da pianta a pianta, in base a quelli che riesce ad assorbire. Nel frutto, ricco di liquido intracellulare ma con pochi vasi di trasmissione della linfa, il potassio è sempre molto più presente rispetto al sodio, che invece è in quantità molto bassa, a differenza da quanto accade con altri tipi di vegetali. Discorso molto simile per il calcio, che si accumula principalmente in fusto e foglie e poco nei frutti, mentre il ferro non solo è pochissimo rappresentato ma anche difficile da assimilare, essendo presente nella forma non digeribile, a differenza del ferro presente nella carne. Per quanto riguarda i minerali, quindi, gli ortaggi a frutto non sono i migliori come fonte, anche se altri vegetali naturalmente lo sono.
Per quanto riguarda invece le vitamine, queste sono ben presenti negli ortaggi a frutto. In particolare è molto ben rappresentata la vitamina C, che viene prodotta proprio dai frutti delle piante (quindi si trova, oltre che in questi ortaggi, nella frutta); particolarmente ricco di questa vitamina è il peperone. Per la vitamina A, o retinolo, ne sono ricchi gli ortaggi che si mangiano quando maturi: pomodoro, peperoni e zucca sono quindi ottimi alimenti in cui cercare questo nutriente, mentre per quanto riguarda gli ortaggi ancora immaturi i quantitativi sono molto inferiori.


La noce moscata (Myristica fragrans Houtt) è il seme di un albero della famiglia Myristicaceae originario delle isole Molucche (Indonesia) ed oggi coltivato nelle zone intertropicali. Se ne ricavano due spezie:
- il seme decorticato è la noce moscata
- la parte esterna che ricopre il seme fornisce il macis.
Il nome noce moscata significa "noce di Mascate" e fa riferimento alla capitale dell'Oman, luogo dal quale cominciò ad essere commercializzata.

Il tebel è una miscela di spezie molto utilizzata nella cucina araba, soprattutto tunisina. La miscela è realizzata da: aglio secco, peperoncino secco, , e carvi (spezia simile al cumino). Un tipico utilizzo del tebel è nell’aromatizzazione del couscous tunisino.

martedì 21 gennaio 2025

Corso di cucina: 21 Focacce tipiche

BARTOLACCIO
200 g di farina
300 g di patate
50 g di pancetta
50 g di parmigiano grattugiato
20 g di lievito di birra
1 cucchiaio di strutto
sale
pepe
Lessare le patate, intanto che queste cuociono preparare l’impasto con la farina, lo strutto, il lievito di birra e acqua quanto basta. Lavorare il tutto per cinque/sei minuti. Lasciare lievitare l'impasto coperto e al caldo per circa un'ora. Nel frattempo rosolare la pancetta tagliata a cubetti, condire con sale e pepe. Quando le patate saranno cotte schiacciarle in una ciotola, aggiungere la pancetta, il pecorino e la noce moscata, mescolare fin quando gli ingredienti saranno ben amalgamati e aggiustare di sale e pepe. Ora tirate la sfoglia non troppo grossa altrimenti non cuoce bene, non troppo sottile perchè potrebbe rompersi col peso del ripieno. A questo punto potete scegliere se tagliare la sfoglia a dischi o a rettangoli. Riempite ogni metà di rettangolo/disco lasciando vuoto un po’ di bordo poi ripiegate la sfoglia vuota, sigillate bene e rifilate con la forchetta. Quando saranno pronti tutti li cuocete su di una piastra molto calda girandoli per non farli bruciare. Se avete una stufa a legna potete utilizzare la teglia in terra cotta che è l’ideale e, se ne avanza qualcuno, sono ottimi anche freddi il giorno dopo.
Il Bartolaccio, o bartlàz in dialetto forlivese, è un prodotto alimentare tipico dell'Appennino forlivese. Noto ad esempio è quello di Tredozio. Si compone di una sfoglia sottile, i cui ingredienti sono soltanto acqua e farina, farcita di un particolare ripieno: purea di patate, pancetta, formaggio grana stagionato, sale e pepe. La sfoglia, poi, è richiusa su se stessa in modo da formare una mezzaluna (a somiglianza di un crescione). Il tutto è quindi cotto sulla piastra. Si tratta di un prodotto della tradizione contadina povera.

CALZONE AL FORNO BARESE
calzone al forno barese
Il calzone al forno è una specialità gastronomica originaria della  cucina barese derivando dalla focaccia alla barese: le varianti sono praticamente centinaia poiché diffondendosi in Italia e all'estero le ricette locali hanno adottato ingredienti caratteristici delle più disparate località. Questo tipo di calzone si cuoce sempre nel forno: a legna o alimentato dai vari tipi d'energia.
Il calzone più diffuso in Puglia, delle dimensioni di una normale focaccia, è a forma circolare fatto con sfoglia all'olio che avvolge un ripieno di spaghettini o capellini, inseriti nel calzone pochi minuti dopo averli cotti e scolati, con cipolla, acciughe, capperi e olive. Le varianti di farciture comprendono filetti di pesce, carne tritata, fior di latte, ricotta e altro; le varianti di forma comprendono quelle tubolare e rettangolare.

CANASCIONE
canascione
Il canascione o 'a pizza chiena (la pizza ripiena) è una torta rustica salata composta da una pasta simile a quella della pizza e farcita con un ripieno di uova, salumi (prosciutto crudo) e formaggi (pecorino).
È un prodotto della tradizione gastronomica contadina, diffuso soprattutto nel nord della Campania (Napoli e Caserta) e in Ciociaria. È una ricetta tipica del periodo pasquale, soggetta a numerose varianti regionali per quanto riguarda la farcitura, mentre gli ingredienti per la pasta sono identici in ogni luogo.

FAZZINO DELLA VAL BORMIDA
Il Fazzino, (lisone o lisotto) è prodotto indistintamente un po' in tutta la val Bormida, terra di castagne, funghi e patate dove la tradizione culinaria offre piatti di origine contadina dal gusto semplice ed antico. Ma è a Murialdo che trova la sua terra d'elezione. In località Riofreddo, il 16 agosto, è possibile degustarlo in occasione della festa di San Rocco.
Ogni paese della valle apporta leggere variazioni alla ricetta base, creando così un prodotto che muta nel gusto.
Ancora un esempio di come l'unione di elementi semplici e poveri possa creare un piatto gustoso e sostanzioso che ha saputo superare inalterato le mode: è il fazzino, lisone o lisotto, morbida focaccina di patate con una leggera cavità all'interno per raccogliere i condimenti tipici, ottime se cotte sulla stufa a legna, come vuole la tradizione.
Ingredienti: farina, lievito di birra, patate, sale.
Preparazione: fate bollire le patate con la pelle e passatele quando sono ancora calde, unitele poi alla farina e al lievito (o bicarbonato), aggiungendo un pizzico di sale. Impastate il tutto sino ad ottenere un impasto molle. Formate quindi delle palline grosse quanto una patata media e ponetele in frigo a lievitare per mezz'ora.
Nel frattempo tagliate a spicchi la cipolla e fatela ammorbidire in acqua e sale. Mettetene un pò su ogni pallina insieme all'olio e lasciate lievitare in frigo per un'altra mezz'ora.
Dopo la lievitazione spruzzate con acqua e mettete a cuocere. C'è chi, invece di far lievitare l'impasto, lo stende direttamente (sostituendo il bicarbonato al lievito), e lo taglia a rombi. Una volta cotti possono essere conditi oppure no, a seconda dei gusti e delle tradizioni, e si servono ancora caldi.
A Pallare si prevede l'impiego di una cipolla, o del porro unito all'uovo e all'olio; a Osiglia si usa l'aglio o il pesto; a Calizzano non è previsto nessun tipo di condimento.

farina,
lievito di birra,
patate,
sale.
Fate bollire le patate con la pelle e passatele quando sono ancora calde, unitele poi alla farina e al lievito (o bicarbonato), aggiungendo un pizzico di sale. Impastate il tutto sino ad ottenere un impasto molle. Formate quindi delle palline grosse quanto una patata media e ponetele in frigo a lievitare per mezz'ora.
Nel frattempo tagliate a spicchi la cipolla e fatela ammorbidire in acqua e sale. Mettetene un pò su ogni pallina insieme all'olio e lasciate lievitare in frigo per un'altra mezz'ora.
Dopo la lievitazione spruzzate con acqua e mettete a cuocere. C'è chi, invece di far lievitare l'impasto, lo stende direttamente (sostituendo il bicarbonato al lievito), e lo taglia a rombi. Una volta cotti possono essere conditi oppure no, a seconda dei gusti e delle tradizioni, e si servono ancora caldi.
A Pallare si prevede l'impiego di una cipolla, o del porro unito all'uovo e all'olio; a Osiglia si usa l'aglio o il pesto; a Calizzano non è previsto nessun tipo di condimento.

FOCACCETTE AL FORMAGGIO
Le focaccette al formaggio (in dialetto genovese 'e fugasette) sono una pasta ripiena di formaggio e fritta; sono una specialità tipica della cucina della riviera ligure di levante, Sori, Recco, Uscio, Camogli, tutti comuni della provincia di Genova, che si affacciano nel Golfo Paradiso e che è diventata nota in tutto il mondo.
Da oltre 40 anni si svolge ogni anno a Recco la Sagra delle Focaccette, in concomitanza con la Festività della Santa Spina, nel giorno di Pasquetta e la domenica successiva. Ottanta persone della comunità parrocchiale di N.S. delle Grazie di Megli, preparano le famose focaccette col formaggio, gustose frittelle salate, con una sfoglia croccante e sottile, ripiene di formaggio stracchino, fritte nell’olio bollente. Vengono preparate circa 3.500 focaccette, per la preparazione delle quali occorrono circa 400 kg di farina, 400 litri di olio, in un padellone di circa 2,00 m. di diametro, visibile al pubblico. Il padellone contiene circa 150 litri d’olio per ogni turno di frittura.
La focaccetta col formaggio può essere considerata una variazione della famosa focaccia col formaggio originaria di Recco: in effetti gli ingredienti adoperati sono molto simili, alla tradizionale focaccia senza lievito, fatta con farina, acqua e olio, viene in questo caso aggiunto del formaggio di tipo crescenza, varianti casalinghe con altri formaggi come la prescinsêua, il grana grattugiato o il gorgonzola; mentre diversi sono ovviamente il modo di preparazione e la procedura di cottura, che nel caso delle focaccette prevede un taglio rotondo o quadrato e la frittura. Variante casalinga è di cuocerle al forno, con un velo d'olio nella teglia.
Alle focaccette col formaggio si abbina un vino bianco, fresco e leggero come il Vermentino.
Le focaccette al formaggio molto spesso vengono inserite in un assortimento di antipasti, come i grissini al timo, le frittelle salate di cipolla e le frittelle di lattuga, i biscotti salati, le olive marinate.

FOCACCIA BARESE
focaccia alla barese
La focaccia tipica barese è un prodotto lievitato da forno tipico della Puglia e diffuso specialmente nelle province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Taranto, dove la si può trovare abitualmente nei panifici. Nasce, probabilmente ad Altamura o Laterza, come variante del tradizionale pane di grano duro, probabilmente dall'esigenza di sfruttare il calore iniziale forte del forno a legna, prima che questo si stabilizzi sulla temperatura ideale per cuocere il pane. Prima di procedere all'infornamento delle pagnotte, si stendeva un pezzo di pasta di pane cruda su una teglia, lo si lasciava riposare un po', dunque lo si condiva e infine lo si cuoceva.
Trattandosi di un prodotto della tradizione, la ricetta, tramandata di generazione in generazione, presenta numerose varianti, per lo più su base geografica.
Nella sua versione più tipica, la base della focaccia si ottiene amalgamando semola rimacinata, patate lesse, sale, lievito e acqua così da ottenere un impasto piuttosto elastico, molle ma non appiccicoso, che viene lasciato lievitare, steso in una teglia tonda unta con molto olio extravergine d'oliva, quindi lasciato lievitare di nuovo, condito e cotto, preferibilmente in forno a legna.
L'olio viene anche versato sulla superficie della focaccia insieme al condimento. Circa quest'ultimo, che va posto sull'impasto inderogabilmente prima della cottura, è possibile distinguere almeno tre varianti tradizionali:
la focaccia per eccellenza, che prevede pomodori freschi e/o olive baresane;
la focaccia alle patate, che prevede il ricoprimento dell'intera superficie superiore con fette di patata spesse circa 5 mm;
la focaccia bianca, condita con sale grosso e rosmarino.
A tali varianti se ne affiancano altre, che di volta in volta prevedono l'aggiunta di peperoni, melanzane, cipolle o altre verdure.
Al termine della cottura, si sarà ottenuta una spianata più soffice della pizza con un'altezza di 1-3 cm. Va gustata calda per assaporarne appieno la fragranza.

FOCACCIA CON LE CIPOLLE
La focaccia con le cipolle alla genovese (a fugàssa co-e çiòule in lingua genovese) è una variante della comune focaccia genovese. Alimento di antiche tradizioni nei quartieri più popolari di Genova e colazione usuale degli scaricatori del porto perché capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame. La focaccia con la cipolla è un alimento molto economico ed è possibile prepararla anche in casa. A Genova molte persone mangiano la focaccia con le cipolle per colazione, intinta nel caffelatte o al bar con un buon bicchiere di vino bianco (u gianchettu).
L'impasto è come quello per la focaccia genovese: farina, acqua, lievito di birra, olio e sale.
Si usa l'olio d'oliva in quantità che può variare rispetto al peso della farina: più olio si aggiunge e più la focaccia viene unta. Per farla indorare molto bisogna aggiungere del malto. La pasta va lavorata col mattarello e tirata una sfoglia il più sottile possibile, al massimo mezzo centimetro, delle dimensioni della teglia da forno che si usa e una volta posizionata nella teglia unta d'olio, bisogna schiacciarla il più possibile, con la punta delle dita. Le cipolle, abbondanti, tagliate sottile, crude, irrorate con un poco d'olio e sale, si aggiungono a lievitazione avvenuta, prima di mettere nel forno. La temperatura del forno e i tempi di cottura variano dal tipo di forno che si usa: in media, forno ad alta temperatura per il tempo minimo per rendere cotta la farina. La morbidezza dipende dal tempo di cottura, meno si cuoce e più rimane molle.

FOCACCIA DI PATATE
500 g di farina, 
300 g di patate quarantine, 
olio, 
sale, 
pepe, 
lievito di birra q.b.
Bollire le patate e farle raffreddare. Impastare insieme le patate, la farina, l'acqua l'olio ed il lievito. Far lievitare il tempo necessario. Stendere l'impasto in una teglia unta e cuocere in forno a 200° per circa 30 minuti. Dopo la cottura gettare qualche chicco di sale grosso sulla focaccia ancora calda.

FOCACCIA DI RECCO
300 grammi di farina di grano duro,
500 grammi di formaggetta ligure o crescenza,
acqua,
olio extravergine di oliva,
sale.
Preparate la sfoglia unendo due parti di farina e una d'acqua e volendo un po' d'olio. Formate un panetto e fatelo riposare sotto uno strofinaccio in un luogo tiepido al riparo dalle correnti. Dividete la pasta in due tirando due sfoglie molto sottili, quasi trasparenti. Stendetene una sul fondo di una teglia ben unta e distribuitevi sopra il formaggio a pezzetti. Coprite con l'altra sfoglia, chiudete bene i bordi e praticate dei piccoli fori sullo strato superiore. Cospargete di sale, spalmate con olio e infornate per 10-15 minuti a temperatura elevata.

FOCACCIA LIGURE
La focaccia classica di Genova, meglio conosciuta come focaccia alla genovese (in lingua ligure a fugàssa), è una specialità tipica della cucina ligure: sorta di pane piatto (al massimo 2 cm) si distingue perché, prima dell'ultima lievitazione viene spennellata con un'emulsione composta da olio extravergine d'oliva, acqua e sale grosso, la si può consumare già a colazione, come "rompi digiuno" nella mattinata o come aperitivo-antipasto.
È particolarmente gradevole se accompagnata con un buon bicchiere di vino bianco (o gianchetto - pron. [u gianchettu] in lingua ligure) che ne favorisce la digestione. I genovesi usano anche inzuppare la focaccia nel caffelatte come colazione.
La focaccia viene preparata nei forni di ormai diverse città italiane, ma risulta spesso differente da quella tradizionale genovese. A parere di molti, infatti, la vera focaccia alla genovese la si può apprezzare solo nelle città liguri e nei borghi dislocati lungo la riviera ligure. I buongustai sono soliti aspettare di acquistarla calda, appena uscita da una delle varie infornate che si succedono nella mattinata, come si usa per la farinata. La focaccia è tipica del mattino, la farinata della sera, anche se ormai con i tempi moderni questo ritmo si è perso.
Il segreto della sua fragranza è costituito dalla qualità della farina e soprattutto dall'uso di olio extravergine d'oliva.
La elaborata lievitazione e l'accurata lavorazione della pasta richiedono una ventina di ore (ecco perché il prodotto risente decisamente delle condizioni climatiche, riuscendo meno buono nelle giornate particolarmente piovose); l'optimum di cottura lo garantisce soltanto un forno da panettiere (meglio se a legna), tuttavia una discreta focaccia può essere preparata anche nella cucina di casa. La sua variante più classica consiste nella sua ricopertura con cipolle tagliate assai finemente (fugàssa co-a çiòula).
Nella sua versione classica gli ingredienti occorrenti sono:
Farina bianca di grano tenero tipo 00 o 0 di media forza (W 200-300, 500 g)
lievito di birra (quantità variabile a seconda delle condizioni climatiche. Per una lievitazione di 20 ore con temperatura ambiente di 20 °C 0.1%)
acqua pura (400 g) oppure una miscela di acqua e vino bianco (300 g acqua e 100 g di vino bianco)
sale fino per l'impasto (10-15 g) e sale grosso per il condimento (10 g)
olio d'oliva extravergine (100 g, includendo sia quello dell'impasto sia quello usato per ungerla)
Spesso viene aggiunto sopra l'impasto base o cipolle o rosmarino o olive
La possibilità di elaborare varianti è limitata solo dalla fantasia del panettiere.
Molto diffusa è anche la focaccia con le cipolle, alimento di antiche tradizioni nei quartieri più popolari di Genova e pasto usuale degli scaricatori del porto perché capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame.
Tradizionali sono la focaccia con le olive (sopra, come per quella con le cipolle) o con la salvia (nell'impasto) o con il rosmarino (nell'impasto) o con le patate (nell'impasto) o con l'uvetta passa (in forma più dolciastra, nell'impasto); ultimamente si fanno focacce con patate e/o pomodori (sopra) o noci (nell'impasto) o con il formaggio (non tipo Recco).
In Liguria è anche possibile trovare versioni decisamente moderne, ma non meno valide. È possibile assaporare, per esempio, focaccia cosparsa di salse varie, affettati o anche versioni dolci, farcite di panna, frutta secca o crema gianduia.
Da alcuni anni a questa parte è invalsa a Genova la locuzione linguistica errata ancorché deplorevole, di indicare la focaccia genovese classica come "focaccia normale", per distinguerla dalle varianti.
La fugàssa co-o formàggio, focaccia con il formaggio, propria di Recco, non è considerabile una variante della focaccia genovese in quanto prodotta con pasta non lievitata.
Oltre alla vendita a peso, la focaccia è venduta secondo altre unità di misura. Tra queste ricordiamo:
Mille lire (usata in particolare per focaccia da consumarsi subito, uscendo dal panificio. Ovviamente oggi non più usata)
Sleppa (o slerfa) (corrispondente a 1/8 di leccarda, che equivale a 150~200 g.)
Strisce (misura equivalente circa a 40~60 g.) Le strisce di focaccia vengono disposte su un cabaret di cartone (o polistirolo) in occasione di piccoli rinfreschi mattutini sul luogo di lavoro.
Quadretti (bocconi quadrati con lato di 6~8 cm. utilizzati in alternativa alle strisce).

500 grammi di farina di grano tenero,
1 decilitro d'olio extravergine d'oliva,
30 grammi di sale,
30 grammi di lievito di birra,
acqua.
Formate con parte della farina una fontana sulla spianatoia. Sciogliete il lievito di birra con acqua tiepida e unitelo alla farina che deve essere lavorata come la pasta del pane. Lasciate riposare la pasta sotto un canovaccio, meglio se di lana, in un luogo tiepido per almeno 2 ore. A questo punto prendete la pasta lievitata ed unite la restante farina, l'olio e, facoltativo, mezzo bicchiere di vino bianco; lavorate per ottenere una pasta morbida e fate nuovamente lievitare sempre sotto uno strofinaccio per altre 2 ore. Dopo la lievitazione, stendere la pasta in una teglia con le mani e lasciare le impronte delle dita che raccoglieranno l'olio versatovi. Spolverizzate con il sale grosso che deve essere frantumato da una bottiglia usata come mattarello. Lasciate riposare ancora, prima di cuocere in forno a 200-230° per circa 30 minuti. La focaccia può essere aromatizzata alla salvia che deve essere tritata ed aggiunta direttamente nell'impasto, con le olive tritate, anch'esse unite alla farina, oppure arricchita con le cipolle che tagliate a fette si cospargono sulla pasta già stesa prima di infornare.

FOCACCIA LIGURE CON LE PELLETTE DI OLIVE
Focaccine fritte o al forno, nel cui impasto viene inserita la pelle (epicarpo) dell'oliva, conservato sott'olio.
La proverbiale parsimonia ligure ha partorito un’altra squisitezza: la focaccia con le pellette di olive, nata dall'esigenza di non sprecare nulla, la focaccia co-e porpe, come si chiama nel Levante, co-a murcia come si chiama nel Ponente, per non buttare le olive già spremute;
Dalla frangitura delle olive (nei frantoi con macine in pietra) per la produzione di olio extravergine di oliva le pellette vengono separate dalla sansa mediante lavaggio in acqua calda e per affioramento: vengono quindi raccolte, asciugate e messe sott'olio. Tutti gli olivicoltori della zona conoscevano questi prodotti in quanto quando portavano a frangere le oliva si facevano donare le pellette. Poi una volta a casa le lavavano bene, togliendo alcuni residui di nocciolo macinato. Asciugate, venivano messe in barattoli di vetro coperte d'olio e durante l'anno venivano usate quando si impastava per preparare le focaccette che erano un piatto di lusso che ogni contadino offriva ai proprietari o agli ospiti di casa.
Zona di produzione: Da Varazze a Quiliano
Ingredienti: per un etto di farina di grano, un bicchiere di olio extravergine di oliva, mezzo bicchiere d'acqua, sale q.b., due cucchiai di pelli di oliva, lievito di birra.
Preparazione: Si impasta il tutto e si lascia lievitare, si stende a sfoglia e si inforna. In alternativa lo taglia a losanghe, quindi si frigge in abbondante olio extravergine d'oliva.
per un etto di farina di grano,
un bicchiere di olio extravergine di oliva,
mezzo bicchiere d'acqua,
sale q.b.,
due cucchiai di pelli di oliva,
lievito di birra.
Si impasta il tutto e si lascia lievitare, si stende a sfoglia e si inforna. In alternativa lo taglia a losanghe, quindi si frigge in abbondante olio extravergine d'oliva.

FOCACCIA MESSINESE
La focaccia messinese (o focaccia alla messinese, così chiamata nei comuni limitrofi ove non è natìa e quindi solo rassomigliante) è una specialità tipica della gastronomia messinese. La sua preparazione è molto comune nella città e meno nella provincia di Messina: essa si caratterizza per un impasto alto, soffice, che si cucina in forno a legna in grandi teglie. Tradizionalmente è ricoperta di scarola, pomodoro a pezzi, acciughe e formaggio (in genere tuma, anche se negli ultimi anni è usata anche la mozzarella). Condivide gran parte degli ingredienti con il pitone messinese, noto prodotto della rosticceria locale. Sia la pasta, sia lo spessore, differiscono significativamente rispetto a quelli di una normale pizza. Si ritiene che la ricetta abbia iniziato ad acquistare una sua fisionomia all'inizio del Novecento, per poi essere stabilizzata dai panificatori messinesi all'inizio del secondo dopoguerra, nella forma in cui la conosciamo oggi. Il prodotto è comunemente presente in tutti i panifici e le rosticcerie di Messina e molto meno in quelli della sua provincia, oltre a conoscere una discreta diffusione anche nel resto della Sicilia orientale dove però la ricetta si discosta dal prodotto tipico messinese. Nella zona dei Nebrodi, in luogo della tuma o della mozzarella, è spesso utilizzata la provola locale, che costituisce un presidio slow food.

FOCACCIA NOVESE
La focaccia novese è una specialità da forno tipica della cucina piemontese, prodotta artigianalmente dalle panetterie della zona di Novi Ligure (Novese) ed Ovada. È una sorta di pane piatto (presenta al massimo un centimetro d'altezza) condito con olio extravergine d'oliva e sale grosso. Durante il processo produttivo la focaccia viene stirata e poi successivamente manipolata per produrre piccoli alvei sulla superficie. È consigliato l'abbinamento al vino di produzione locale Cortese di Gavi DOCG.
La composizione degli ingredienti, e dunque dell'impasto, rendono tale prodotto molto simile alla focaccia genovese, dalla quale si distingue per un minor contenuto di olio d'oliva e l'aggiunta di strutto.
Con la deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte del 15 aprile 2002 n. 46-5823 la focaccia novese è stata riconosciuta prodotto agroalimentare tradizionale del Piemonte in attuazione del D.lgs. n. 173/98, art. 8 e D.M. n. 350 dell'8 settembre 1999.

FOCACCIA VERDE
farina,
olio,
sale,
lievito,
bietole,
1 cipolla,
uova,
formaggio in grana.
Impastare la farina con olio di oliva, sale e lievito. Porre l'impasto in una teglia unta d'olio. Tritare le bietole a crudo e aggiungere olio, sale, uova, cipolla e formaggio. Il composto preparato con gli ingredienti sopra elencati si pone sulla pasta e si inforna. A cottura ultimata, aggiungere le olive.

PIZZOLO

150 g di farina per pizza
50 g di farina integrale
110 ml di acqua tiepida
2 cucchiaini di zucchero
1/3 di bustina di lievito disidratato
grana grattugiato
timo
olio extravergine d’oliva
Disponete le farine in una ciotola, e sulla spianatoia versate le farine al centro e aggiungete il lievito disidratato e lo zucchero. Versate l’acqua tiepida a poco a poco e impastate con le mani. Rimettete l’impasto ben lavorato nella ciotola dopo aver unto i bordi con un po’ d’olio. Lasciate a lievitare per almeno 3-4 ore, in un luogo caldo. Prendete una teglia da pizza e ungetela leggermente con olio. Stendete il vostro impasto omogeneamente, in modo che sia alto più o meno un centimetro. Infornatelo a 200° per almeno 15-20 minuti. Quando il pizzolo sarà cresciuto un po’ e si sarà un po’ colorato, uscitelo dal forno e fatelo raffreddare per 5-10 minuti. Con un coltello tagliate il pizzolo in due facendo molta attenzione a non romperlo. Farcitelo secondo il vostro gusto con salumi, carne, formaggi o verdure. Chiudete il pizzolo e bagnate la parte superiore con poco olio, mettendo anche il grana grattugiato e il timo. Rimettete in forno per circa 10 minuti, a 220°. Sfornate e gustate.
Se vi trovate dalle parti di Siracusa, in particolare a Sortino, non potete non assaggiare il pizzolo (pizzòlu). Si tratta di un prodotto tipico della cucina dell’isola: è una sorta di pizza tonda, farcita all’interno e condita con olio, origano, pepe, formaggio e sale. I ripieni sono i più disparati: spinaci, melanzane, peperoni, carne di ogni tipo, prosciutto crudo e scamorza. In alcuni casi, ai può anche optare per la doppia farcitura: il pizzolo, in questo caso viene condito in due modi diversi.Il nome deriva da una grossa pietra di forma ovoidale, che richiamerebbe la concezione greca della ciclicità della vita. Il pizzolo sarebbe legato alle focacce rituali diffuse in epoca greco-romana. Nel corso dei secoli si è affermato come tipico pane contadino, un piatto povero che veniva farcito con ciò che si aveva. La notorietà del pizzolo, però, arriva molto più avanti. Alcuni sortinesi emigrarono nel nord Europa in cerca di fortuna, aprendo delle pizzerie specializzandosi nella preparazione di pizze farcite. Al ritorno in Sicilia, negli anni Ottanta, continuano a preparare i pizzoli, che riscuotono un enorme successo. Il boom arriva negli anni Novanta.

SCACCIATA
Nella provincia di Catania, da una tradizione che risale alla fine del XVII secolo, deriva la scacciata, molto simile ad un calzone o ad una pizza a due strati, che prevedeva due differenti versioni originali: in città a base di caciocavallo e acciughe, nelle zone intorno a Catania con broccoli, cavolfiori, patate lesse e addirittura carne speziata (salsiccia o brasato).

SFINCIONE
La pizza siciliana più conosciuta è lo sfincione originario di Palermo e diffuso in molte zone dell'isola, ma accanto ad esso esistono diverse altre varietà di pizze. Le differenze nella preparazione della pizza in Sicilia sono legate alla cultura e alla tradizione locale che, in un'isola vasta come la Sicilia, hanno portato a ricette dalle caratteristiche a volte assai diverse tra loro. Con i fenomeni di emigrazione che hanno toccato la popolazione siciliana all'inizio del XX secolo, alcune ricette sono sbarcate anche in altre nazioni mantenendo in parte le loro caratteristiche originarie, così ad esempio nel New Jersey si indica col termine inglese sicilian pizza la versione italoamericana dello sfincione.
A Palermo è molto diffuso lo sfincione (in siciliano sfinciuni), una pizza al taglio venduta sia nelle rosticcerie che dagli ambulanti a base di pomodoro, cipolla, acciughe, pangrattato e caciocavallo.
Lo sfincione (sfinciuni o spinciuni in siciliano) è un prodotto tipico della gastronomia palermitana. È un prodotto tipico siciliano, come tale è stata ufficilamente inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).
Al pari della sfincia di San Giuseppe, il nome si fa derivare dal latino spongia, "spugna" oppure dall'arabo isfan col quale si indica una frittella di pasta addolcita con il miele. Si tratta di una antica ricetta che vede come ingrediente cardine il pane pizza (morbido e lievitato, simile appunto ad una spugna) con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, e pezzetti di formaggio tipico siciliano (chiamato caciocavallo ragusano). Lo sfincione si può gustare solo a Palermo e dintorni presso alcune pizzerie, gastronomie e panifici.
Il prodotto più originale viene però prodotto artigianalmente nei pressi di Porta Sant'Agata, e commercializzato da ambulanti che spaziano per le vie della città a bordo di motoveicoli a tre ruote (conosciuti meglio come "lapini") ed invitano ad assaporare il loro prodotto gridando a voce alta o attraverso un amplificatore.

STIRPADA 
Stirpada, scherpada o scarpazza, rotonda o quadrata, mignon o di normali dimensioni, ma sempre di torta di verdure si tratta.
Zona di produzione: comune di Calice al Cornoviglio, località Pegui (per la stirpada), comune di Ponzano, La Spezia (per la scherpada) comune Sarzana (per la scarpazza)
Stirpada
Preparazione: lavare le foglie di bietola e borragine e tritarle non troppo fini. Bollire la zucca gialla, tagliare il porro e farlo soffriggere insieme alla zucca e alle erbette. Mescolare il tutto con pecorino e parmigiano. Preparare quindi la classica sfoglia ligure con farina, acqua, olio e sale e tirarla molto sottile. Tagliare la sfoglia in piccoli quadrati, versarvi sopra l'impasto di erbe e ripiegare i bordi. Cuocere in forno caldo per 30 minuti circa.
Scherpada
Preparazione: si fanno bollire le erbe (1500 g) e zucca gialla (500 g) tagliata a pezzi; nel frattempo si soffriggono a parte con olio di oliva i porri (3) tagliati finemente e si ammorbidisce con acqua la mollica di pane (200 g). Una volta cotte, le verdure vengono macinate e quindi mescolate con i porri, la mollica del pane strizzata, il formaggio grattugiato (100 g formaggio pecorino e 100 g formaggio vaccino stagionato), l'olio di oliva (un bicchiere) e il sale quanto basta. Il tutto viene impastato sino ad ottenere un ripieno compatto che è disposto tra due dischi di sfoglia preparata con farina di grano, acqua e sale, e quindi cotta nei testi caldi dieci minuti per lato.
Scarpazza
Preparazione: per la sfoglia, predisporre 200 grammi di farina, due cucchiai d'olio, un bicchiere d'acqua e un pizzico di sale. Procedimento per il ripieno: tagliare i porri a rondelle e farli rosolare per cinque minuti; aggiungere le erbette (sia coltivate che spontanee) e salarle. Sbattere a parte le uova, unire i porri, le erbette, il parmigiano, il pecorino grattugiato e amalgamare il tutto. Versare l'impasto di verdure nella teglia foderata con la sfoglia, spianarlo e guarnire con striscioline di pasta come una crostata. Cuocere in forno per 40 minuti.
Lavare le foglie di bietola e borragine e tritarle non troppo fini. Bollire la zucca gialla, tagliare il porro e farlo soffriggere insieme alla zucca e alle erbette. Mescolare il tutto con pecorino e parmigiano. Preparare quindi la classica sfoglia ligure con farina, acqua, olio e sale e tirarla molto sottile. Tagliare la sfoglia in piccoli quadrati, versarvi sopra l'impasto di erbe e ripiegare i bordi. Cuocere in forno caldo per 30 minuti circa.
Si fanno bollire le erbe (1500 g) e zucca gialla (500 g) tagliata a pezzi; nel frattempo si soffriggono a parte con olio di oliva i porri (3) tagliati finemente e si ammorbidisce con acqua la mollica di pane (200 g). Una volta cotte, le verdure vengono macinate e quindi mescolate con i porri, la mollica del pane strizzata, il formaggio grattugiato (100 g formaggio pecorino e 100 g formaggio vaccino stagionato), l'olio di oliva (un bicchiere) e il sale quanto basta. Il tutto viene impastato sino ad ottenere un ripieno compatto che è disposto tra due dischi di sfoglia preparata con farina di grano, acqua e sale, e quindi cotta nei testi caldi dieci minuti per lato.
per la sfoglia, predisporre 200 grammi di farina, due cucchiai d'olio, un bicchiere d'acqua e un pizzico di sale. Procedimento per il ripieno: tagliare i porri a rondelle e farli rosolare per cinque minuti; aggiungere le erbette (sia coltivate che spontanee) e salarle. Sbattere a parte le uova, unire i porri, le erbette, il parmigiano, il pecorino grattugiato e amalgamare il tutto. Versare l'impasto di verdure nella teglia foderata con la sfoglia, spianarlo e guarnire con striscioline di pasta come una crostata. Cuocere in forno per 40 minuti.
Nel piccolo borgo di Pegui, frazione di Calice al Cornoviglio, era consuetudine preparare le stirpade in occasione del Natale. La rotonda scherpada è protagonista della sagra che dal 1975 si svolge ogni anno, l'ultima settimana di agosto, a Ponzano superiore, piccolo paese collinare del comune di Santo Stefano Magra. La scarpazza è invece di Sarzana, territorio in cui anche a livello culinario si incontrano ben tre regioni: Liguria, Emilia Romagna e Toscana. Queste torte di erbetti, hanno comunque un denominatore comune: il ripieno è costituito da una miscellanea di verzure, coltivate e spontanee, un riferimento preciso al preboggion genovese espressione della cucina povera dell'entroterra ligure.

STRAZZATA
La Strazzata è un tipo di focaccia caratteristico della Basilicata, originario della zona di Avigliano. Il nome è una forma italianizzata di strazzat, che in dialetto locale significa "stracciata" o "strappata", il che rimanda all'uso di staccarne i pezzi "strappando" la focaccia con le mani, anziché con l'uso del coltello. Gli ingredienti base sono acqua, lievito, farina, pepe nero macinato e origano (un'altra varietà prevede anche l'aggiunta di strutto e piccoli pezzi di lardo). Come da tradizione, questo alimento era utilizzato nei matrimoni e nelle feste in genere, per accompagnare il vino.
Preparazione
La strazzata, tramite lavorazione a mano, si ottiene sciogliendo il lievito nell’acqua tiepida e mescolandolo con la farina si crea un impasto morbido e compatto. La farina deve provenire da una molitura non troppo fine, cioè deve contenere una parte di crusca che dà una colorazione alla strazzata leggermente più scura del pane. All’interno dell'impasto viene aggiunto il pepe nero, dopo essere stato rigorosamente macinato, e il lardo (secondo un'altra variante della ricetta). L’impasto finale viene fatto riposare fino ad una completa lievitazione naturale e dopo aver effettuato un buco al centro viene cotto nel forno a legna. La strazzata viene farcita, generalmente, con provolone e prosciutto crudo, ma anche con frittata e peperoni.
Manifestazioni
L'alimento è il protagonista dell'omonima Sagra della Strazzata, organizzata dall'associazione culturale "Il Cigno" e che si tiene annualmente nel periodo di agosto a Stagliuozzo, frazione aviglianese di circa 250 abitanti, a un paio di km dal castello federiciano di Lagopesole. Altri prodotti offerti dalla manifestazione sono il vino Aglianico del Vulture DOC e i formaggi di Filiano.