venerdì 10 gennaio 2025

Corso di cucina: 10 CONSERVARE

Congelare e surgelare: sono sinonimi? In realtà no, niente affatto. Anche se spesso capita di confondere i due termini, si tratta di processi di conservazione del cibo che hanno differenze sostanziali.
La surgelazione è un procedimento che avviene a livello industriale, perché comporta un raggiungimento di temperature tali per cui sono necessari macchinari appositi.
La congelazione invece è un procedimento "casalingo" , che può essere effettuato nel freezer di qualsiasi cucina.
La surgelazione avviene in tempi rapidissimi, può raggiungere in fase iniziale anche temperature inferiori ai -80°, non supera mai la temperatura di -18°, ed è regolata da una legge (Decreto Legislativo n.110 del 27 gennaio 1992), poiché riguarda prodotti industriali. Quando invece si impacchetta del cibo e lo si conserva nel freezer, allora lo si congela. In questo caso non ci sono normative, ma è necessario attenersi a qualche fondamentale norma igienica, sia per salvaguardare la salute, sia per conservare al meglio il sapore e i valori nutrizionali degli alimenti.
La differenza sostanziale fra i due processi riguarda la formazione dei cristalli di ghiaccioNel caso della surgelazione, avviene in tempi così rapidi e a temperature così basse che i cristalli di ghiaccio che si formano sono di piccolissime dimensioni. Nel caso della congelazione, invece, I cristalli sono più grandi, comportano la rottura delle strutture cellulari, una maggiore perdita d'acqua quando avviene il processo di scongelamento, e insieme all'acqua, anche di sostanze nutritive. Questo fa sì che un prodotto surgelato, una volta riportato a temperatura ambiente, sia simile o identico al prodotto fresco; il prodotto congelato, invece, a causa dell'acqua persa e alla rottura delle strutture cellulare, appare meno compatto.
Surgelazione
Il primo passo del processo di surgelazione consiste nella scelta del prodotto, che deve essere fresco e non deve contenere sostanze che potrebbero rivelarsi dannose. La surgelazione vera e propria consiste nel portare l'alimento, in genere grazie all'esposizione ad aria a -30°, a una temperatura inferiore ai 18 gradi sotto lo zero, in tempi rapidissimi, anche in pochi minuti. La velocità del processo è fondamentale per evitare che il prodotto venga alterato dall'azione di microorganismi potenzialmente nocivi. I microorganismi vengono bloccati dalla trasformazione dell'acqua in piccoli cristalli di ghiaccio. Da questo momento l'alimento viene conservato a una temperatura che non supera mai i -18 gradi.
I cibi più diffusi in "versione" surgelata, sono pesce e verdure. Per fare un esempio pratico, quando un tipo di verdura viene surgelata, per prima cosa si sceglie il prodotto e si controlla che sia maturo al punto giusto e in buono stato. Quindi l'alimento viene lavato e trattato con acqua calda o vapore, per assicurare che non perda il giusto colore durante le fasi successive del trattamento. A questo punto la temperatura viene portata sotto i -18 gradi, e la verdura viene poi confezionata. La catena del freddo però non deve mai interrompersi, per cui il prodotto deve restare alla stessa temperatura anche nei magazzini, nei depositi, nei furgoni per il trasporto e nei punti vendita. Per questo ogni banco dei surgelati dovrebbe avere, per legge, un termometro che esponga al pubblico la temperatura di conservazione dei cibi.
Come consumare un prodotto surgelato
I surgelati dovrebbero essere tolti dal freezer e immediatamente cotti, sia che richiedano frittura, bollitura o qualsiasi altro tipo di cottura. Lasciarli scongelare comporta il rischio che si sviluppino microorganismi. Al limite, possono essere lasciati scongelare in frigorifero, tenendo però presente che è un metodo che può comportare anche dodici ore di attesa. Mai passarli sotto acqua calda, perché si cuocerebbe la parte esterna del prodotto; in generale, passarli sotto l'acqua comporta comunque la perdita di sali e vitamine. Se il prodotto è stato scongelato per errore, ad esempio per un black-out o per la rottura del freezer, non va ricongelato: va consumato subito o eliminato.
Surgelati e valori nutritivi
Il processo di surgelamento non comporta una significativa perdita di valore nutritivo del prodotto. La fase di scottatura che viene applicata ad alcuni tipi di frutta e verdura prima del processo, può determinare la perdita fino al 20 per cento di vitamina C, ma si tratta comunque di prodotti freschi, appena raccolti, al massimo del loro valore nutrizionale. Quindi in condizioni sicuramente migliori di alimenti che, seppure venduti freschi, sono stati raccolti giorni e giorni prima di essere esposti al pubblico. Per quanto riguarda pesce e carne, si tratta di alimenti che non vengono in alcun modo danneggiati dalla fase di surgelazione. Durante lo scongelamento sali e vitamine possono andare persi nel liquido, che per questo motivo andrebbe recuperato.
Congelazione
La congelazione avviene in tempi molto meno rapidi della surgelazione, e a temperature più alte. Quando si conserva qualcosa nel freezer, lo si sta congelando. Si possono congelare praticamente tutti gli alimenti, compresi piatti già pronti e cotti, tenendo presente che per ogni tipo di cibo c'è un limite di tempo di conservazione diverso, oltre il quale la congelazione comporta un'eccessiva perdita di sostanze nutritive. Quando si decide di congelare un alimento bisogna tenere innanzitutto presente che, al momento di toglierlo dal freezer, dovrebbe essere già pronto per l'utilizzo; per cui è necessario togliere scarti e parti che non verranno usati. L'alimento va pulito, asciugato e "imballato". La fase di confezionamento è fondamentale per proteggere il cibo ed evitare che si deteriori, per cui vanno scelti materiali impermeabili all'acqua, all'aria, al vapore, ai grassi e agli acidi. I migliori in commercio sono il politene, l'alluminio, i contenitori rigidi di alluminio, plastica o vetro.
Quando si congelano grandi quantità di cibo, in pacchetti che non ne consentono il riconoscimento, è sempre bene etichettare la confezione, per evitare brutte sorprese.
Si tenga sempre presente che un liquido, quando si congela, si può espandere, e spaccare il contenitore in cui è conservato.
Materiali per congelare
Come già detto, i materiali che vengono usati per congelare gli alimenti devono avere caratteristiche ben precise:
devono essere impermeabili ad aria e acqua, a prova di perdite, e resistenti alle basse temperature. I contenitori rigidi in plastica e in vetro sono adatti a conservare tutti i cibi, ma bisogna fare attenzione al vetro non temperato, che in un congelatore può rompersi. La carta e il cartone invece sono sconsigliati perché non sono impermeabili, e non proteggono da perdite di vapore e umidità; quindi, per congelare il pane, sarebbe meglio usare appositi sacchetti, così come per la conservazione di latte, panna, gelati in cartone. Stesso discorso vale per la carta oleata, che non protegge da perdite e umidità. Per carne, frutta, pesce e pollame sono perfetti i fogli di alluminio pesante; quello sottile si può rompere facilmente, quindi non è adatto.
Come consumare un prodotto congelato
Per quanto riguarda i prodotti che vanno consumati crudi, possono essere lasciati a scongelare in frigorifero. Se si tratta di alimenti di grande spessore da cuocere a fiamma alta, si possono scongelare a temperatura ambiente o a bagnomaria; i cibi da cuocere a fuoco lento, possono essere cucinati ancora congelati.
Mai congelare di nuovo un prodotto già scongelato. La carne scongelata in frigo può essere conservata per massimo due o tre giorni; il pesce non deve mai essere consumato oltre uno o due giorni di permanenza in frigorifero. Il pane e i prodotti da forno devono essere scongelati nel loro involucro; i prodotti impanati possono essere scongelati in frigo, ma senza involucro.
Il congelatore
Un buon congelatore deve raggiungere temperature anche inferiori a -18 gradi. I congelatori che non raggiungono queste temperature non garantiscono una conservazione del cibo ottimale per lungo tempo. Per garantire il migliore funzionamento, il congelatore deve essere riempito al massimo della sua capienza.
Mai inserire nel congelatore piatti caldibisogna sempre aspettare che si raffreddino completamente, per non modificare la temperatura interna. Non congelare mai, tutto in una volta, una quantità di prodotto che superi il dieci per cento della capienza del freezer; è preferibile congelare gli alimenti in più fasi (nei manuali è sempre indicata la quantità di cibo massima da congelare in una volta). Sarebbe ottimale, quando si deve congelare qualcosa, regolare nelle 24 ore precedenti la temperatura del freezer al livello più basso. Mai comunque farla alzare oltre i - 18 gradi. Il cibo da congelare va sistemato nella zona più fredda, a contatto delle superfici refrigeranti, e va lasciato dello spazio libero intorno alla confezione; i cibi possono essere messi a contatto dopo che sono già congelati.
Che cos’è la congelazione
Fin dai tempi più remoti l'uomo ha cercato di conservare gli alimenti di cui aveva bisogno per il suo sostentamento. Le tecniche di conservazione a lungo termine (salagione, affumicatura, cottura, essiccatura) apportavano però agli alimenti una certa alterazione nel peso, nell'aspetto e nel sapore originario e, cosa più grave, li indebolivano dal punto di vista nutritivo specialmente per quanto riguarda il contenuto di vitamine.
Questo aspetto negativo ha trovato soluzione nel più moderno dei metodi di conservazione: la congelazione a bassa temperatura . Essa consiste nella congelazione a -18°/-25°C e rappresenta per i cibi conservati quello che potremmo definire un "letargo", cioè un lungo sonno invernale, al cui risveglio essi ritrovano, quasi totalmente, le caratteristiche che avevano prima dell'ibernazione.
Perché e cosa congelare
Si possono congelare praticamente tutti i tipi di alimenti, compresi i piatti gastronomici già pronti per il consumo. La lunga conservazione di alcuni degli alimenti, tuttavia, è ovviamente più conveniente della conservazione di certi altri. Due sono i criteri fondamentali, dati per lo più dal buon senso, per la scelta dei cibi da conservare:
La stagionalità: è conveniente congelare i prodotti che sono disponibili soltanto in determinate stagioni: verdure pregiate, frutta rossa, selvaggina… In questo modo la loro disponibilità viene prolungata nel tempo.
La quantità conveniente: la congelazione conviene per quegli alimenti, altrimenti deperibili, il cui acquisto in grosse quantità (acquisto individuale o combinato con un parente o un amico) permette sensibili economie sul prezzo d'acquisto. Inoltre la congelazione conviene per piatti gastronomici raffinati o per comuni piatti pronti che richiedono un tempo di preparazione piuttosto lungo.
Il confezionamento
Il procedimento di congelazione prevede quattro operazioni:
·        preparazione;
·        confezionamento;
·        eventuale etichettatura;
·        stivaggio.
I prodotti da conservare vanno preparati, di norma, in modo da trovarli all'atto del consumo già pronti per l'utilizzo immediato. Vanno quindi eliminati tutti gli scarti e le parti inutilizzabili come ossa, pelli, lische. Il prodotto deve essere lavato ed asciugato, o comunque sempre ben pulito. Il confezionamento mediante imballo è necessario per diversi motivi: protegge i cibi dall'essicazione, dalla brina, evita la trasmissione di odori e l'irrancidimento dei grassi.
Materiali per il confezionamento
Caratteristica fondamentale è l'impermeabilità all'acqua, all'aria, al vapore, ai grassi e agli acidi. Inoltre devono essere chimicamente inerti. I materiali consigliabili sono:
il politene acquistabile in rotoli a metraggio o sacchetti,
il cellophane speciale per alimenti;
l'alluminio, in rotoli a metraggio o in fogli;
contenitori rigidi di alluminio, plastica o vetro .
Consigli utili
- Per una congelazione ottimale dei prodotti bisognerebbe mantenerli nel congelatore, preventivamente regolato al massimo del freddo, per almeno 24 ore. Passate le 24 ore l'apparecchio va riportato al livello di freddo normale (temperatura che deve essere sempre e comunque essere inferiore a 18°gradi sottozero).
- Mai congelare in una sola volta una quantità di prodotti che superi il 10% della capacità del congelatore.
- Una volta decongelato il prodotto, anche se solo parzialmente, mai ricongelarlo.
Come decongelare
Prodotti da consumare crudi:
la decongelazione può essere fatta ponendo il prodotto nel frigorifero per un periodo variabile a seconda del tipo e della dimensione del prodotto. La decongelazione nel frigorifero evita che la parte esterna del prodotto si scongeli prima della parte interna, il che può avere conseguenze spiacevoli sull'aspetto e sulla consistenza del prodotto stesso.
Prodotti di grosso spessore da cuocere a fuoco violento:
è consigliabile decongelarli a temperatura ambiente, oppure in un posto leggermente riscaldato (bagnomaria o forno tiepido), avendo cura di non toglierli dall'imballo ermetico fino a che non saranno completamente decongelati.
Prodotti di grosso spessore da cuocere a fuoco lento:
per questi prodotti non è necessario il decongelamento. Il tempo di cottura è lungo e la temperatura è tale per cui la decongelazione avviene da sé.
Prodotti di piccolo taglio o lieve spessore:
per questi prodotti non è necessario il decongelamento, essi possono essere collocati direttamente nel luogo di cottura.

L'olio è un agente di conservazione naturale blandamente antisettico e particolarmente utile se impiegato nella conservazione degli alimenti. Il principio della conservazione sott'olio è quello di isolare l'alimento (quindi il substrato) dall'aria atmosferica, limitando:
La contaminazione dei batteri volatili.
La disponibilità di ossigeno ai germi aerobi.
Ovviamente la conservazione sott'olio a crudo non ha alcun effetto sui batteri anaerobi, cioè quelli che per vivere e riprodursi non hanno bisogno e non tollerano l'ossigeno; pertanto, a fini prettamente igienici ed organolettici, è opportuno svolgere un adeguato trattamento termico (prima e/o dopo l'immersione in olio) in modo da limitare il più possibile il rischio di contaminazione anaerobica, soprattutto da Clostridium Botulinum (batterio responsabile della tossinfezione/intossicazione alimentare nota come Botulismo) e da muffe.
Oltre al trattamento termico degli alimenti da conservare sott'olio, in alcuni casi può essere necessario utilizzare la cottura in aceto e/o in acqua salata, o l'essiccazione.
Linee guida del Ministero della Salute
Dopo averli selezionati, lavati ed eventualmente tagliati, i vegetali devono essere sbollentati per qualche minuto in una soluzione di acqua e aceto in parti uguali. In questo modo, oltre a cuocere, essi verranno acidicati e si conserveranno in sicurezza. Si consiglia di utilizzare aceto di vino con acidità pari o superiore al 6%. Se si utilizza un aceto non di vino, con acidità pari al 5% è consigliabile non diluirlo in acqua, ma utilizzarlo tal quale.
La cottura dei vegetali non deve essere prolungata, essi devono risultare "al dente" altrimenti durante le fasi di conservazione perderanno completamente consistenza. Se oltre ai vegetali si utilizzano anche spezie e erbe aromatiche, anche queste devono essere sbollentate in acqua e aceto. Terminata la cottura devono essere scolati grossolanamente e lasciati raffreddare ed asciugare su un panno asciutto e pulito, quindi inseriti nel contenitore facendo attenzione a colmare tutti gli spazi vuoti, senza però schiacciarli troppo.
A riempimento avvenuto, ricoprire completamente con l'olio e cercare di togliere l'eventuale aria ancora rimasta intrappolata nell'alimento, aiutandosi con una spatola di plastica. Collocare quindi un distanziatore e chiudere il barattolo. Procedere con la pastorizzazione che durerà tanto più a lungo quanto più grande è il contenitore e varierà anche in funzione della tipologia di prodotto preparato.
Se nella ricetta non sono fornite indicazioni diverse, è consigliabile lasciare riposare le conserve per almeno mezza giornata prima di collocarle in dispensa. Potrebbero infatti assorbire olio e quindi potrebbe essere necessario un rabbocco. È assolutamente indispensabile considerare che, nel caso si procedesse con il rabbocco dell'olio, le conserve dovranno essere nuovamente pastorizzate.
Nei 10-15 giorni successivi alla preparazione può essere utile controllare la conserva riposta in dispensa. Se dovessero comparire segni di alterazione come bollicine di aria che dal fondo salgono verso il tappo, oppure l'olio dovesse diventare opalescente è segno che la conserva si sta alterando e potrebbe non essere idonea al consumo.
È importante ribadire che, anche al solo sospetto di alterazione, la conserva non va assaggiata né consumata.
Per poter apprezzarne meglio il gusto, le conserve, dovrebbero essere consumate almeno 2-3 mesi dopo la preparazione. Comunque, se le modalità di preparazione sono state svolte correttamente, i tempi di conservazione possono essere molto lunghi, anche un anno e mezzo.
Tipi di olio per conservare
Esso deve possedere caratteristiche ben determinate, tra le quali una spiccata tendenza alla stabilità chimica o resistenza ossidativa.
In particolare, l'olio extravergine d'oliva sembra possedere un insieme di proprietà che lo rendono estremamente indicato alla conservazione degli alimenti. E' pur vero che gli oli extravergine non sono tutti uguali, così come non lo sono le diverse produzioni alimentari; pertanto, la conservabilità finale (shelf life) di un prodotto sott'olio subisce l'azione di alcune variabili.
Ad esempio:
Presenza di molecole PRO-conservanti, soprattutto antiossidanti come i tocoferoli (vit. E) e polifenoli.
Tipo di tecnologie utilizzate per la conservazione POST copertura: la pastorizzazione e la sterilizzazione determinano una riduzione degli antiossidanti dell'olio stesso.
A tal proposito, l'olio extravergine d'oliva, oltre a contenere un'ottima porzione di antiossidanti, si distingue per l'eccellente stabilità termica che ne favorisce l'integrità anche dopo il trattamento di sterilizzazione. Questo aspetto lo rende particolarmente adatto alla conservazione degli alimenti pastorizzati e/o sterilizzati dopo la copertura. Inoltre, l'olio extravergine d'oliva si caratterizza per una modesta porzione di acidi grassi polinsaturi rispetto a quella di monoinsaturi. Questi ultimi, pur NON essendo essenziali, si caratterizzano per una maggior stabilità ossidativa e termica, e contribuiscono a determinare le proprietà chimiche conservative dell'olio extravergine d'oliva; al contrario, gli oli di semi (con le dovute differenze) non posseggono caratteristiche altrettanto eccelse, essendo molto più ricchi di acidi grassi polinsaturi suscettibili all'ossidazione.
Si consiglia di scegliere accuratamente il tipo di olio extravergine d'oliva da utilizzare in base al tipo di alimento conservato. Per cibi grassi dal gusto deciso è consigliabile un olio gustativamente debole ma ricco in antiossidanti, mentre per ortaggi o altri alimenti dal sapore meno accentuato sarebbe opportuno scegliere un olio forte e possibilmente dal retrogusto amarognolo e piccantino.
Generalità
È importante utilizzare verdure fresche, mature, di stagione e ben lavate. Meglio prodotti biologici, provenienti direttamente dalla raccolta, che non siano stati conservati in frigorifero. Per la cottura usare esclusivamente pentole in acciaio inox, le pentole in ferro e alluminio sono bandite.
Assicurarsi che la verdura non si attacchi sul fondo della pentola per evitare che assuma uno sgradevole gusto amarognolo. Per mescolare, usare solo cucchiai in legno riservati esclusivamente per questo uso.
Assicurarsi che le verdure siano state scolate per bene. Confezionare il prodotto dopo il raffreddamento assicurandosi dell’integrità delle chiusure dei vasi. È bene usare olio d’oliva di ottima qualità ma non un extravergine fruttato, il cui gusto intenso rischierebbe di prevaricare quello del prodotto protagonista.
La durata della conservazione è, teoricamente, illimitata. In pratica, è preferibile consumare le conserve entro due anni dalla produzione, fatta eccezione per le sardine sott’olio che migliorano con il passare del tempo.
È opportuno usare vasetti a collo largo, sia con il tappo a vite sia con la chiusura ermetica a molla con guarnizione di gomma. Prima di tappare, sarà bene inserire il “pressino” e, nei primi

 giorni dopo la chiusura dei vasi, controllare che il livello dell’olio sia rimasto costante; in caso contrario sarà necessario un rabbocco e un ulteriore controllo.
Conservare in luogo fresco, asciutto e lontano dalla luce.
Verificare prima di consumare il prodotto che non ci siano muffe, segni di fermentazione o cattivo odore. In tal caso vanno eliminate. Le conserve aperte vanno messe in frigorifero e consumate dopo massimo qualche giorno.
Tindalizzazione
Una volta sistemata la verdura e l’olio nei vasi si deve poi procedere alla Tindalizzazione. Che cosa è la Tindalizzazione? E’ un processo che consiste nel portare a ebollizione per tre volte a distanza di 24 ore, i vasetti pieni avvolti in una tela in modo che non si crepino. La bollitura deve durare circa 45 minuti e i vasetti devono restare nella pentola finchè l’acqua non sarà fredda.
Una procedura utile nel caso fossero presenti spore di microrganismi: in tal caso sbocciano, ossia sporificano, liberando il batterio che si moltiplica ma senza aver tempo di produrre spore. Non dimenticare di apporre su ogni contenitore un’etichetta con la data di preparazione.
RICETTE
Peperoni sott’olio
1 kg di peperoni rossi e gialli
aceto di vino bianco
olio vergine di oliva
un pizzico di sale
Pulire i peperoni privandoli anche dei filamenti bianchi interni e dei semi e tagliarli a strisce. Portare a bollore l’ acqua acidula (per ¼ di aceto un litro d’acqua) e aggiungere un pugno di sale. Immergere i peperoni e scottarli per tre minuti circa. Scolare i peperoni e lasciare raffreddare su un piano inclinato. Una volta raffreddati, confezionare i peperoni nei barattoli e ricoprirli con olio di oliva.
Carciofi sott’olio
1 kg di carciofi
1 limone
1 l di aceto di vino bianco
olio extra vergine di oliva biologico
sale
pepe nero in grani
foglie di alloro
2-3 chiodi di garofano
rametto di dragoncello
foglie di basilico
3 spicchi d’aglio
Scartare le foglie esterne del carciofo fino ad arrivare a quelle interne tenere e bianche. Spuntare la parte alta delle foglie e tagliare il gambo lasciandone circa 1 cm, da cui andremo a togliere i filamenti. In un recipiente contenente acqua fredda aggiungere del succo di limone e immergere i carciofi. In un altro recipiente (che non sia di alluminio) bollire un litro d’acqua con un litro di aceto. Salare l’acqua e aggiungere il pepe, l’alloro, i chiodi di garofano, il dragoncello, il basilico e gli spicchi d’aglio schiacciati. Appena bolle il liquido immergere i carciofi e lasciate poi cuocere per 6-7- minuti a fiamma abbassata. Scolare i carciofi per bene fino ad asciugarli su un piano inclinato.
Appena saranno asciutti, disporre i carciofi nei contenitori, aggiungere qualche grano di pepe nero e un poco di aromi e coprirli di olio d’oliva. Ogni tanto controllare il livello dell’olio e, se occorre, aggiungerne dell’al tro.
Melanzane sottolio
2 melanzane medie
1 bicchiere di aceto di vino bianco
2 ciuffetti di prezzemolo tritato
4 spicchi d'aglio affettati fini o q.b.
3 peperoncini a pezzettini
olio extra vergine di oliva q.b.
Sbucciare e affettare le melanzane in fette da 1/2cm di spessore. Cospargere ciascuna fetta con del sale grosso e raccogliere tutte a strati, in uno scolapasta.
Adagiare sopra un peso in modo da esercitare una pressione sulle melanzane e appoggiare lo scolapasta su un piatto o in una ciotola più grande. Lasciarle a macerare per 4-5 ore o finché avranno perso un bel po' di liquido. Eliminare il sale e passare le melanzane in una ciotola con 1 bicchiere di acqua e 1 bicchiere di aceto di vino bianco. Lasciarle in ammollo per qualche ora.
Quindi strizzarle, asciugarle e tagliarle a striscioline sottili. Preparare un trito di prezzemolo, peperoncino e aglio. Riempire un vasetto di vetro già sterilizzato con un primo strato di melanzane da 1 dito di spessore circa; condirle con qualche il trito di aglio, peperoncino e prezzemolo. Aggiungere un secondo strato di melanzane e procedere allo stesso modo con il resto degli ingredienti. Man mano che si procede, spingere bene le melanzane verso il fondo in modo che si compattano. Riempire il vasetto con l'olio, fino in cima e attendere qualche minuto che si depositi sul fondo. Assicurarsi che non ci siano vuoti d'aria e che dunque il barattolo sia pieno di olio, prima di avvitarlo bene con il tappo. Potrebbe essere utile servirsi di un pressello di plastica per assicurarsi che le melanzane siano sempre immerse nell'olio. Con queste dosi si realizzeranno all'incirca 2 vasetti da 350g. Non ci sarà bisogno di bollire i vasetti, ma si dovrà aver cura di rabboccare il livello dell'olio ogni volta che si utilizzano. Conservarle almeno 2-3 settimane in un luogo buio ed asciutto prima di consumarle. Una volta aperto il vasetto, conservarlo in frigo e consumarlo entro un paio di settimane.
Zucchine sottolio
1l d'aceto di vino bianco
2 dozzine di piccole zucchine
5 spicchi d'aglio
peperoncino a piacere
5 foglie d'alloro
olio extravergine d'oliva q.b.
Portate l’aceto ad ebollizione (magari con le finestre aperte) e immergetevi le zucchine private solo della parte che attacca alla pianta. Alzate il bollo e lasciate scottare 3 minuti. Scolatele bene e lasciatele asciugare su un panno da cucina belle sparse e rigirandole per asciugare ogni parte. Riempite vasetti di vetro con le zucchine. Condite con aglio, peperoncino e alloro. Coprite con l’olio e tappate. Son buone dopo una decina di giorni.


Il sottaceto o sottoaceto è un metodo di conservazione degli alimenti tramite fermentazione anaerobica data da una salamoia che produce i batteri dell'acido lattico o marinando il cibo in una soluzione acida come l'aceto. Il cibo così conservato è quindi noto come "sottaceto". Questa procedura, oltre a conservare i cibi, conferisce ai prodotti un sapore tipicamente salato o aspro.
Tipico dei sottaceti è il pH, che risulta inferiore al 4.6, sufficiente ad eliminare la maggior parte dei batteri. Il sottaceto può durare fino a qualche anno mantenendo invariate le proprie qualità nutritive. Tuttavia per aumentare le capacità antibatteriche vengono a volte aggiunte erbe e spezie con qualità antimicrobiche come semi di senape, aglio, cannella o chiodi di garofano. Se il tipo di cibo utilizzato per la conservazione è sufficientemente umido si usa aggiungere del sale per permetterne la seccatura. Ad esempio i crauti del Trentino-Alto Adige o il Kimchi coreano vengono posti in una salamoia per asciugare l'acqua in eccesso. La naturale fermentazione a temperatura ambiente produce poi la tipica acidità. Il metodo più comune rimane tuttavia la conservazione sotto aceto, da cui deriva il nome.
Diversamente dal metodo della conserva, come le conserve di pomodoro, il sottaceto (che invece include la fermentazione) non necessita di una preventiva sterilizzazione prima della salatura o dell'acetizzazione. L'acidità o salinità della soluzione, la temperatura di fermentazione, e l'esclusione dell'ossigeno determinano quali microrganismi prevarranno, determinando di conseguenza il tipo di sapore che il cibo assumerà. Quando sia la concentrazione di sale che la temperatura risultano abbastanza basse è il batterio Leuconostoc mesenteroides a prevalere, producendo un aroma misto tra l'acido e l'alcolico. Ad alte temperature è invece il Lactobacillus plantarum a dominare, producendo principalmente acido lattico. La maggior parte dei sottaceti inizia il processo di conservazione insieme al Leuconostoc, per poi cambiare nel Lactobacillus ottenendo un'altissima acidità.
Metodi di conservazione
La conservazione sott'aceto (scritta anche sottaceto) indica due tipologie di lavorazione alimentare ben distinte, entrambe caratterizzate dalla presenza esclusiva di ingredienti naturali: mentre la prima si basa sulla fermentazione lattica intrinseca, la seconda prevede l'aggiunta di una componente acida esterna (aceto) ad un alimento precotto.
Sottaceto fermentato
Il sott'aceto fermentato è un alimento (ortaggio) sottoposto a proliferazione microbica; lo starter biologico è costituito dai microorganismi naturalmente presenti sulla verdura e l'agente conservativo è costituito dall'acido lattico; i sott'aceti fermentati più diffusi sono i crauti e i cetriolini.
La tecnica di produzione è più o meno la stessa per entrambe le verdure sott'aceto, ed anche le colture microbiche coinvolte risultano pressoché sovrapponibili; sia i crauti che i cetriolini fermentati sfruttano l'azione di alcuni batteri lattici quali L. mesenteroides, E. faecalis, P. cerevisiae, L. brevis e L. plantarum; tra tutti, i pedicocchi e L. plantarum sono quelli di maggior rilievo, mentre L. brevis (soprattutto per i cetriolini) rappresenta una specie potenzialmente dannosa.
Il sott'aceto fermentato necessita (dopo il lavaggio, la mondatura ed il taglio) l'aggiunta di sale da cucina (NaCl), utile a selezionare la colonia microbica idonea per il processo (poiché in tal modo si attiveranno solo i batteri necessari alla liberazione di acido lattico).
Nel caso in cui la selezione batterica dovesse fallire, potrebbero manifestarsi rammollimenti, marcescenza, rigonfiamenti, alterazione del colore, viscosità ecc.
Sottaceto con aggiunta di aceto
Quella sott'aceto è un'altra tecnica di conservazione "naturale" degli alimenti (soprattutto ortaggi, funghi e pesci) precedentemente lavati, mondati, precotti ed immersi in un liquido di governo acido bollente, con pH alimentare di circa 4,6; si tratta di un metodo conservativo prevalentemente "chimico", più artefatto del precedente e ottenuto mediante l'aggiunta di aceto alimentare (quello di vino, ad esempio, contiene circa il 6% di acido acetico - CH3COOH). La scelta di un pH di 4,6 rappresenta il giusto compromesso tra appetibilità del sott'aceto (che possiede sapore ed aroma aciduli caratteristici) e sicurezza igienica dello stesso, poiché i batteri si sviluppano prevalentemente a pH di 6,5-7,5, le muffe a circa 6, ed i lieviti in un range di pH oscillante tra 3 e 4 (risultando pertanto potenzialmente attivi nel sott'aceto non sterilizzato). Tuttavia, mediante la precottura e la successiva immersione del sott'aceto nel liquido di governo bollente, è possibile abbattere a tal punto la carica microbica (lieviti compresi!) da prevenirne "quasi" totalmente lo sviluppo nell'alimento conservato.
Nonostante l'acido acetico vanti proprietà antibiotiche, per le preparazioni maggiormente deperibili è consigliabile fortificarne l'effetto antisettico/battericida con l'aggiunta di sale da cucina (cloruro di sodio - NaCl) e spezie; questi ingredienti rappresentano ulteriori fattori di conservazione naturale utili al prolungamento della vita dell'alimento. D'altro canto, la concentrazione di acido acetico nel sott'aceto può variare in base al tipo di alimento conservato; per esempio, sull'etichetta di un sott'aceto commerciale si possono distinguere 3 diciture differenti:
Aromatizzato con aceto: se l'acidità del liquido di governo del sott'aceto è inferiore all'1,2%.
All'aceto o con aceto: se l'acidità del liquido di governo è superiore all'1,2%
In aceto: se l'acidità del liquido di governo è superiore al 2,2%.
RICETTE
Cetriolini sottaceto
Scegliete 1 kg di cetriolini lunghi 4-5 cm freschi, puliteli e lavateli, metteteli in un contenitore con molto sale per almeno 8 ore per far perdere l'acqua di vegetazione. Quindi lavateli e asciugateli, sistemateli ben aggiustati nei vasi, coprite con aceto e qualche granello di pepe. Chiudete i vasi e metteteli in pentola coperti di acqua tiepida, portate a bollore per 10 minuti. Spegnete e lasciate raffreddare.
Cipolla rossa sottaceto
Sbucciate una grossa cipolla rossa e tagliatela a fettine molto sottili e poi mettetela in un vasetto di piccole dimensioni. Per la salamoia, portare a ebollizione e fate sobbollire per 5 minuti 240 ml di aceto di mele, 240 ml d’acqua, un cucchiaio di miele o di zucchero di canna e un cucchiaino di sale. Raffreddate leggermente, versare sopra la cipolla e conservate in frigorifero. Deliziosa con cracker, panini e insalate.
Cipolline sottaceto
Pulite le cipolline, sbollentatele per 7 minuti in acqua salata, raffreddatele in un contenitore con abbondante cqua fredda e mettetele nei vasi, coperti di aceto per 24 ore per farle macerare. Togliete l'aceto dai vasi, fatelo bollire e rimettetelo sulle cipolline, sigillate e tenete in luogo fresco.
Giardiniera sottaceto
100 g di cimette di cavolfiore, 130 g di carote a rondelle o a bastoncino, 80 g di peperone giallo a fette, 80 g di peperone rosso a fette, 4 peperoncini interi e mezzo cucchiaino di peperoncino rosso secco. Portate a ebollizione 350 ml di aceto bianco, 250 ml d’acqua e 1 cucchiaino abbondante di sale. Cuocete nella salamoia le verdure per 5 minuti, poi raffreddate leggermente, versate tutto nel barattolo e conservate in frigorifero. Ottima per accompagnare un bollito o per insalate di riso.
Peperoni sottaceto
Tagliate a rondelle 16 mini peperoni e uno scalogno. In un barattolo unite i peperoni, lo scalogno e due spicchi d’aglio schiacciati. Portare a ebollizione e fate sobbollire per 5 minuti 60 ml di aceto bianco, 240 ml d’acqua e un cucchiaino di sale. Fate raffreddare leggermente, versate sopra i peperoni e conservate in frigorifero. Da usare come condimento per panini.

La canditura è un metodo di conservazione di parti di piante commestibili (solitamente frutta) mediante immersione in uno sciroppo di zucchero. La parola "candire" viene dall'arabo qandat, trascrizione della parola in sanscrito khandakah ("zucchero"). I prodotti ottenuti mediante canditura si chiamano canditi o frutta candita.
Nel processo di canditura, per osmosi viene ridotto il contenuto in acqua della frutta e il contenuto in zucchero viene gradualmente portato a più di 70%. Le qualità nutrizionali della materia prima utilizzata vanno quasi del tutto perdute, anche se alcune vitamine si mantengono. La conservazione degli aromi dipende dal tipo di procedura e dall'abilità del dolciere: possono sparire quasi del tutto, come nei canditi di lavorazione industriale, ma anche addensarsi in un concentrato di aromi. L'opportunità che la canditura offre al pasticciere è infatti quella di poter effettuare l'intero ciclo di lavorazione a freddo, senza snaturare per effetto di riscaldamenti le componenti aromatiche dei frutti utilizzati.
Normalmente, si impiega zucchero di barbabietola, ma tutti gli zuccheri alimentari sono (almeno teoricamente) utilizzabili. Della frutta candita particolarmente pregiata si ottiene mediante canditura nel miele, in Italia esistono ancora pregiatissime preparazioni in cui la frutta è candita e conservata nel mosto cotto, una di queste è la saba o sapa dell'Emilia-Romagna.
Già le antiche culture della Cina e della Mesopotamia conoscevano la conservazione mediante zuccheri (sciroppo di palma e miele). Spesso era l'unico metodo di conservazione conosciuto: gli antichi Romani mantenevano addirittura il pesce immergendolo nel miele. I veri precursori della canditura moderna sono gli arabi, che servivano agrumi e rose candite nei momenti topici dei loro banchetti. Grazie ai mercanti veneziani prima e genovesi poi, la canditura si fece strada in Occidente, anche se già la Sicilia, tra il IX e XII sec., proprio grazie agli Arabi, la conosceva. I primi documenti che testimoniano l'uso di frutta candita in Europa risalgono al Cinquecento. All'epoca, i canditi venivano assimilati alle spezie. In Italia, diventano un ingrediente cardine di alcuni dei dolci più famosi della tradizione culinaria: tra questi, il panettone milanese e la cassata siciliana.
La materia prima viene posta in una vasca di canditura e coperta di sciroppo. Per osmosi, avviene uno scambio del liquido cellulare con la soluzione zuccherina. Dopo un certo periodo di tempo (da un giorno ad una settimana), lo sciroppo, ormai diluito, viene separato dalla materia prima e riscaldato al fine di fargli perdere acqua per evaporazione ed eventualmente rinforzato con aggiunta di altro zucchero. Arrivato alla concentrazione desiderata, lo sciroppo viene nuovamente versato sulla frutta. Questa operazione, chiamata giulebbatura (dall'arabo giulab, "acqua di rose"), viene poi ripetuta finché la concentrazione di zucchero nei canditi non si sarà stabilizzata. A questo punto questi possono essere consumati oppure conservati nello sciroppo di canditura fino al momento dell'utilizzo.
Per facilitare il processo osmotico, la frutta da candire viene porzionata; se si vuole candire un frutto intero, è necessario inciderlo o praticarvi dei fori con un ago. Anche una previa sbollentatura può essere utile per avviare l'osmosi.
I canditi possono ulteriormente essere ghiacciati, cioè ricoperti di uno strato di zucchero (canditi "alla parigina").
Vengono spesso utilizzate delle autoclavi di canditura: si tratta di recipienti a chiusura ermetica, dentro i quali frutta e sciroppo vengono tenuti a bassa pressione. Il punto di ebollizione risulta così abbassato a 55-60 °C. L'autoclave è riscaldata alla temperatura corrispondente, finché non si giunge, per evaporazione, alla concentrazione finale.

La temuta gommosità dei canditi industriali è dovuta ad un uso massiccio di glucosio, che evita il formarsi di cristalli anche ad elevate concentrazioni zuccherine. Inoltre, la grande industria fa uso massiccio di additivi alimentari (coloranti, aromatizzanti e conservanti), fino a snaturare il gusto della materia prima. Come conservante è ampiamente impiegato l'anidride solforosa e suoi derivati (E220-E229), approfittando anche del fatto che tali additivi per una legislazione tollerante non devono essere dichiarati se sono contenuti nella materia prima e non aggiunti durante la lavorazione.

Essiccare la frutta è un processo molto semplice: bisogna disidratare gli alimenti, togliendo circa l'80/90% di acqua che normalmente contengono.
La frutta più adatta: albicocche, fragole, mele, ananas, more, lamponi, ananas, fichi, ciliegie, prugne, pere, banane, more, arance, frutti di bosco. Un passaggio fondamentale per essiccare la frutta è quello di immergerla in acqua e limone per accorciare i tempi.
microonde
Posizionate un foglio di carta da forno all'interno del microonde. Disponetevi quindi le fettine di frutta, ricordatevi: la sottigliezza in questo caso è tutto. Azionate il timer per un minuto circa al massimo, dopodiché procedete aumentando il tempo di cottura di circa 30 secondi finché il frutto non sarà completamente disidratato.
forno
In forno, a una temperatura costante tra i 40° e i 60° in modalità ventilata. Iniziate tagliando a fette molto sottili la frutta precedentemente denocciolata. Quindi disponete le fettine di frutta senza sovrapporla su una leccarda rivestita di carta da forno e lasciate in forno dalle 4 alle 12 ore, a seconda della percentuale di acqua contenuta nel frutto.
essiccatore
Ovviamente, avendo a disposizione un essiccatore, tutto sarà molto più facile.

Un metodo che attualmente è in forte riscoperta a causa del desiderio di avere per tutto l’anno cibi con ottime qualità nutrizionali, senza additivi vari (conservanti) è l’essiccazione. Tra i metodi naturali di conservazione, l’essiccazione è sicuramente il più antico e il più salutare, perché il più naturale, oltre che il più economico ed ecologico. Infatti, né vi sono drastici interventi di natura fisica né aggiunte di sostanze chimiche e/o di ingredienti, come sale, aceto, olio, zucchero, che, seppur naturali, alterano la composizione degli alimenti destinati alla conservazione. Tali ingredienti, del resto, anche se non nocivi, comportano variazioni nutritive in termini di contenuto calorico, di sali minerali e vitaminico.
Se si scegli il metodo di essiccazione solare, i costi energetici vengono ridotti a zero, mentre pesi ed ingombri possono essere ridotti anche dell’80-90%.
La logica alla base del processo di essiccazione è semplice: privando gli alimenti del loro contenuto di acqua per circa l’80-90%, si inibiscono i microrganismi, che necessitano dell’acqua stessa per sopravvivere, bloccando ogni loro attività per periodi anche lunghi. In genere l’essiccazione evita i problemi che si hanno con altri metodi.
L’uso di alte temperature (sterilizzazione ecc.) distrugge una buona percentuale di sostanze utili. Le medie temperature (pastorizzazione) consentono una conservazione molto limitata (pochi giorni). Le basse temperature bloccano l’attività dei microrganismi che riprende appena il prodotto torna a temperatura ambiente. L’aggiunta di conservanti naturali (sale, olio ecc.) altera le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto.
Altri vantaggi non secondari sono l’economicità del metodo e la drastica riduzione dei volumi e dei pesi che consente un facile trasporto e un facile stoccaggio.
Metodi tradizionali
Vediamo insieme alcune verdure che possiamo essiccare con una vecchio metodo della nonna:
Carote: Pulite bene le carote, raschiatele bene e tagliatele a fettine sottili per il senso della lunghezza. Fate sbollentare in acqua per un minuto e poi estraetele e sgocciolatele facendole asciugare con cura con dei panni puliti e ponetele sopra a della carta assorbente su un luogo aerato e buio. Ogni tanto procedete a smuoverle e lasciatele così fino a completa essiccazione. Le carote potranno essere conservate in vasetti di vetro o in sacchetti di carta per insaporire minestre, soffritti o anche per essere consumate così.
Cipolle: Pulite bene le cipolle e tagliatele a fette sottili, ponetele su un graticcio in un luogo aerato e buio, muovetele di tanto in tanto finchè non saranno completamente secche. Distribuitele a questo punto in vasi di vetro, e teneteli in un luogo asciutto e buio.
Fagioli: Puliteli bene e gettateli per qualche minuto in acqua bollente. A questo punto scolateli e lasciateli a asciugare, dopo di che poneteli in un luogo aerato e buio, rigirandoli spesso. Quando saranno completamente asciutti riponeteli in vasetti di vetro o in sacchetti di carta oleata.
Funghi: Puliteli bene dalla terra con un panno pulito e tagliateli poi a fette sottili per il senso della lunghezza. Riponeteli in un luogo aerato e asciutto. Girateli di tanto in tanto e poi una volta essiccati riponeteli in sacchetti di carta o di cotone. Tenete presente che non tutti i funghi sono adatti all’essiccazione. Distinguiamo in primavera ad esempio il prugnolo, le spugne, le gambesecche, l’orecchio di Giuda. Questi funghi fra l’altro interessanti perchè al momento di rinvenire in acqua ritornano allo stato fresco e possono essere utilizzati per le stesse preparazioni come funghi freschi, cosa che invece con i porcini non avviene.
Peperoncini rossi: Pulite bene i peperoncini e infilateli uno a uno con un ago grosso e spago sottile. Teneteli distanziati un pò gli uni dagli altri. Appendete questa corda in un luogo aerato e asciutto e una volta secchi conservateli in vasetti di vetro oppure in sacchetti carta. Piselli: I piselli vanno essiccati nel loro baccello, in un luogo aerato e asciutto. Una volta ben asciutti, sgranateli e conservateli in sacchetti di tela. Quando dovete procedere a cucinare questi dovranno essere lasciati in ammollo almeno 6 ore prima di essere cucinati.
Melanzane e zucchine: Pulite melanzane e zucchine con un panno pulito (partiamo sempre dal presupposto che siano di provenienza biologica) e tagliatele a fette sottili. Le melanzane andranno anche sbucciate. Con un ago e filo infilate le fette e lasciate lo spazio fra una fetta e l’altra. Ponetele fuori in un luogo aerato e asciutto e lasciatele asciugare, ritirandole dentro alla sera. Fate questo per circa un mese, dipende sempre dalle zone. In alcune zone il tempo si dimezza.
Pomodori: I pomodori si prestano ad essere essiccati al sole con una certa facilità e durante la bella stagione si possono ottenere degli ottimi risultati in tempi relativamente brevi. Per l’essiccazione mediante l’esposizione al sole è bene ricordare che: il piano di appoggio deve essere abbastanza ampio da consentire il distanziamento degli alimenti da essiccare; meglio utilizzare pannelli in legno sui quali fisseremo delle griglie metalliche o piani in acciaio inox che al sole raggiungono facilmente alte temperature; dotarsi di un secondo pannello da utilizzare come protezione o coprire con un panno di garza grezza molto sottile. Dopo avere selezionato i pomodori più maturi e sodi, lavateli e tagliateli a metà, disponendoli sul vostro ripiano e cospargendoli di sale grosso in modo che buttino fuori l’acqua. Esponeteli al sole in un luogo secco e ben ventilato e all’imbrunire ritirateli in casa per evitare l’umidità della notte. Mediamente il tempo necessario per ottenere una perfetta essiccazione è di 6-8 giorni, ma a seconda del clima, della ventilazione e della dimensione dei pomodori è possibile che i tempi si allunghino. Se con il passare del tempo notate che i bordi dei pomodori tendono ad arricciarsi su se stessi distendeteli ad uno ad uno in modo che non si formino ristagni d’acqua (e quindi muffe) all’interno delle arricciature. Una volta secchi, i pomodori possono essere conservati al naturale in barattoli di vetro ben chiusi o sott’olio.
Come essiccare verdura con il forno
Se preferite procedere all'essiccazione mediante il forno domestico (elettrico o a gas): la temperatura deve essere costante e regolata sui 50-60 C°; lasciate lo sportello socchiuso per favorire la ventilazione; se il vostro forno ha l’opzione ‘ventilato’ potete chiudere lo sportello, tagliate a fette sottili le verdure da essiccare per ridurre i tempi. Generalmente questo metodo prevede esposizioni al calore per più ore per più giorni consecutivi, a seconda della tipologia di frutta o verdura da essiccare.
Nel caso dei pomodori è sufficiente cuocere su una teglia o, ancora meglio, direttamente sulla griglia del forno per 6-12 ore a 65 C°. 
Come essiccare verdura con l’essiccatore
Oggi esistono essiccatori professionali elettrici che garantiscono un risultato veramente sorprendente. In genere sono costituiti da: una resistenza elettrica che funge da generatore di calore, azionabile manualmente o con termostato regolabile; una ventola che smuove l’aria attorno al prodotto; ripiani forati (da 2 a 15 o più) su cui riposa l’alimento da essiccare. A seconda del movimento dell’aria esistono due tipi di essiccatori, a flusso d’aria verticale o orizzontale.
Flusso d’aria verticale Come dice il nome, sono a ripiani sovrapposti con la ventola in basso (raramente è superiore); il flusso dell’aria è dall’alto al basso, minimo all’inizio del processo (il prodotto da essiccare occupa gran parte dello spazio), sempre più facile quando il prodotto si è “ritirato”.
Flusso d’aria orizzontale I ripiani sono rettangolari, posti all’interno di un contenitore pure lui rettangolare in pile di 4-6, in modo che un flusso d’aria orizzontale possa lavorarli tutti in modo efficiente.
Se il prodotto da essiccare è poco, è conveniente riempire l’essiccatore vicino al flusso d’aria per velocizzare le operazioni, anche se sarebbe buona regola caricare il prodotto dalla parte opposta della ventola. Se si vuole risparmiare tempo è anche possibile intervenire manualmente ridisponendo il materiale parzialmente essiccato in posizione più vicina alla sorgente di calore.
Chi invece vuole un’essiccazione ottimale e non ha fretta deve considerare che il percorso del prodotto è contrario a quello della direzione dell’aria: si carica l’essiccatore dalla parte opposta alla ventola e si scarica dalla parte di quest’ultima. La verifica della completa essiccazione (tasso d’acqua rimasto non superiore al 15%) non può che farsi visivamente e in base all’esperienza. Infatti la consistenza al tatto è tipica di ogni alimento: duri e quasi croccanti i cibi con pochi zuccheri e pectine, più morbidi gli altri.
Cosa essiccare
In genere si essiccano: funghi, verdure, erbe. Poiché l’essiccazione avviene per evaporazione dell’acqua, è necessario che il processo la estragga a livello cellulare portandola in superficie. Poiché per un millimetro di spessore ci possono essere anche dieci strati di cellule, quanto più le fette dell’alimento sono spesse e tanto più durerà il processo di essiccazione. Ovviamente diminuendo lo spessore delle fette queste aumentano di numero, richiedendo un’area più grande. È necessario quindi raggiungere un compromesso fra area totale da essiccare e spessore delle singole

Tempi di essiccazione consigliati

Verdura

Tempi

(in h)

Aglio

6-8

Asparago

4-6

Barbabietola

10-12

Broccolo

12-15

Carciofo

4-6

Carota

10-12

Cavoletto di Bruxelles

12-18

Cavolfiore

12-15

Cavolo

10-12

Cipolla

3-9

Fagiolo

8-14

Fungo

8-10

Melanzana

12-14

Patata

8-12

Peperone/Peperoncino

8-12

Piselli verdi

8-10

Pomodoro

10-18

Prezzemolo

1-2

Sedano

10-16

Verdure a foglie verdi

8-10

Zucca

10-16

Zucchina

10-12


 fette, spessore che è correlato alla durata dell’essiccazione. L’esperienza dimostra che lo spessore delle fette deve essere compreso fra 4 e 10 mm, non escludendo casi particolari.
Per  esempio per le erbe aromatiche a foglia larga, lucida e pelosa l’uso dell’essiccatore non è consigliato perché lo spessore non può essere ulteriormente ridotto e la foglia presenta una superficie di  per sé molto resistente all’evaporazione; in questo caso è preferibile la vecchia procedura dell’essiccazione all’aria per diversi giorni. In altri casi (piante officinali) si deve evitare una temperatura superiore ai 35 °C che distruggerebbe i principi attivi della pianta, molto più critici dei normali principi nutrizionali. Per verdura di medie dimensioni ( pomodori ecc.) è possibile limitarsi a tagliare in due il singolo pezzo. I tempi tipici di essiccazione sono di 2-3 ore per ogni millimetro di spessore, anche se è opportuno rifarsi al manuale dell’essiccatore usato per avere una maggiore precisione nel prevedere la durata del processo. Al termine dell’essiccazione è opportuno conservare il prodotto in recipienti ermeticamente chiusi (in teoria non è necessario, ma si allungano notevolmente i tempi di conservazione), al riparo dalla luce. Alcuni ortaggi possono essere conservati sottolio; il caso classico è quello dei pomodori, ma il metodo vale anche per melanzane, peperoni, zucchine, funghi, fagiolini, carote ecc. La conservazione sottolio Il vantaggio per cui si conserva sottolio il prodotto secco (anziché usare quello fresco) è sicuramente lo spazio; coltivatori, ristoratori, appassionati (pensiamo ai funghi) possono conservare per lunghi periodi quantità notevoli di un alimento in pochissimo spazio. In genere per conservare sottolio si restituisce al prodotto un po’ d’acqua (4-8 etti per chilo di prodotto secco; meglio acqua e aceto o addirittura aceto puro, a seconda dei gusti), in modo da ammorbidire l’ortaggio; quest’ultimo viene immerso nella miscela di acqua e aceto all’ebollizione per al massimo un paio di minuti, avendo cura di mescolare il tutto con vigore. Si lascia poi riposare per un’intera notte (possono bastare anche due o tre ore, dipende dal tipo d’ortaggio). Dopodiché si procede alla messa sottolio in vasetti ermetici. Per utilizzare gli ortaggi secchi sottolio basta metterli a bagno la sera precedente in poca acqua. Per esempio per un ottimo sugo di pomodoro, ai pomodori secchi rinvenuti con un po’ d’acqua si uniscono gli aromi freschi (timo, cipolla, sedano ecc. a proprio piacimento) e si passa (o si frulla) il tutto, aggiungendo alla fine aromi secchi polverizzati. L’igiene È buona norma pretrattare i cibi da essiccare per evitare che la contaminazione con additivi e/o microrganismi possa essere trasportata anche al prodotto finito. In genere per gli additivi e i microrganismi patogeni è sufficiente immergere il prodotto in acqua bollente fino a 2′; per le larve d’insetto è opportuno lasciare il prodotto in forno a 80 °C per circa un quarto d’ora.
C
ome consumare e reidratare la verdura essiccata
Le verdure essiccate sono un ottimo ingrediente per minestre, risotti, sughi, umidi, stufati. Ortaggi essiccati in foglia possono essere ridotti in polvere, con un frullatore od un macinatutto e stemperati in acqua calda per ottenere zuppe o creme. Un mix di cavoli, carote, patate, piselli, prezzemolo, cipolle e zucchine costituisce un’ottima base per minestre sughi e stufati. Carne, riso, pasta ed altri ingredienti freschi, possono essere aggiunti successivamente, durante la cottura, quando gli ingredienti essiccati saranno sufficientemente reidratati. La reidratazione degli ortaggi dovrebbe fargli recuperare buona parte della consistenza e dimensione originale. Iniziare l’operazione con almeno un paio di tazze di acqua fredda per ogni tazza di prodotto, le verdure devono essere ben coperte dall’acqua. Portare a lenta ebollizione in una casseruola con coperchio ed aggiungere acqua se necessario. I tempi di reidratazione dipendono dal tipo di verdura e dalla pezzatura, possono variare da ½ ora fino ad un paio d’ore.Se volete aggiungere verdura essiccata ad una zuppa o ad un sugo, non preoccupatevi tanto di reidratarla, aggiungetela all'inizio della cottura, ci sarà tutto il tempo necessario per una buona reidratazione.

giovedì 9 gennaio 2025

Corso di cucina: 9 ACQUISTARE


COLORANTI ALIMENTARI

Colorante alimentare è un qualsiasi composto chimico (organico oppure inorganico) che possa essere usato per modificare il colore di un prodotto alimentare e pertanto è classificabile come un additivo alimentare.
Alcuni coloranti sono sostanze naturali, altri sono sostanze naturali concentrate o modificate chimicamente, altri sono imitazioni di sintesi di sostanze naturali, altri sono totalmente artificiali e sono generalmente indicati con la sigla E100-E199, vedi la voce additivi alimentari.
Il colore dei cibi deriva dall'assorbimento delle diverse lunghezze d'onda luminose da parte di una o più sostanze coloranti naturali o artificiali, e la successiva riflessione o trasmissione di quelle lunghezze d'onda corrispondenti al colore che riusciamo a percepire in modo soggettivo (dal momento che la percezione del colore varia da persona a persona).
Coloranti naturali alimentari
Arancione: viene dato da vari tipi di carotene (dalla carota), utilizzati per esempio nel formaggio Cheddar.
Bianco: caratteristico del lardo animale (traslucida rifrangenza e riflessione di tutti colori), il colorito giallastro che può prendere è dovuto alla alta solubilità di coloranti come i caroteni, presenti nell'alimentazione dell'animale.
Giallo: nel giallo d'uovo viene dato da colesterolo e fosfolipidi.
Nero: nel ribes nigrum, il colore nero è dato soprattutto dal pigmento antociano.
Rosso: nel sangue è caratteristico dell'emoglobina, che possiede molti gruppi insaturi nel tetra-pirrolo, molecola portante della protoporfirina-eme, il sangue, imbibendole, dà colore anche alle carni.
Rosso: nella frutta (particolarmente nell'uva da vino rosso) è spesso associato a flavonoidi (come il resveratrolo, che si sono rivelati dei potenti antiossidanti utili contro l'arteriosclerosi).
Rosso pomodoro: il colore acceso dei pomodori più maturi, è dovuto al licopene (sostanza naturale con proprietà antiossidanti).
Verde: più spesso deriva dalla clorofilla, che può colorare anche l'olio extravergine.


ADDITIVI ALIMENTARI

Nella definizione fornita dalla Direttiva del Consiglio 89/107/CEE, per additivo alimentare si intende "qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente".
Il Regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, definisce inoltre le diverse tipologie, i quantitativi, l’ambito di applicazione e quant’altro serva a regolamentare con precisione l’utilizzo degli additivi alimentari, perché essi non costituiscano problemi per la sicurezza dei consumatori.

Come si riconoscono in etichetta?

Solo gli additivi autorizzati a livello europeo appaiono in etichetta attraverso una sigla numerica che inizia sempre con la “E” seguita, poi, da un numero costituito da tre cifre.
Nello specifico, vengono così numerati in base alla loro tipologia:
Coloranti (da E100 ad E199)
Conservanti (da E200 ad E299) il loro fine è quello di rallentare il deterioramento del cibo causato da: batteri, lieviti e muffe.
Antiossidanti (da E300 ad E322) evitano il processo di ossidazione nell'alimento.
Correttori di acidità (da E325 ad E385)
Addensanti, emulsionanti stabilizzanti (da E400 ad E495)
Aromatizzanti, donano agli alimenti specifici odori e sapori. La legge italiana prevede la loro indicazione in etichetta in modo generico come aromi.
Additivo impiegato in ambito alimentare
Un additivo, per essere impiegato nel settore alimentare, deve essere ammesso e inserito nell’elenco delle sostanze approvate dal Comitato Scientifico dell’Unione Europea. La possibilità di entrare nella suddetta lista è vincolata da diversi elementi: superamento della valutazione di sicurezza, prove tossicologiche, osservazione di test condotti su animali e poi su uomini. In laboratorio, sulle cavie, sono condotti test su più generazioni, dunque devono trascorrere lunghi periodi prima che una sostanza possa essere dichiarata sicura.
Additivo incluso negli elenchi della UE
Un additivo, per essere incluso nel settore alimentare deve soddisfare le condizioni di seguito riportate:
• fattori ambientali: in base ai dati scientifici disponibili sul prodotto in oggetto, il tipo d’impiego proposto non evidenza problemi di sicurezza per la salute umana;
• il suo impiego è da considerarsi una necessità tecnica;
• il suo impiego non inganna in alcun modo i consumatori.
Un additivo alimentare deve inoltre presentare vantaggi e benefici per i consumatori e dunque sarà incluso negli elenchi comunitari solo se contribuisce al raggiungimento di uno o più dei seguenti obiettivi:
• la qualità nutrizionale degli alimenti deve essere conservata;
• aumentare la capacità di conservazione di un alimento;
• aumentare la stabilità di un alimento e/o migliorarne le proprietà organolettiche, senza però alterarne la natura.
Un additivo alimentare può eventualmente ridurre la qualità nutrizionale di un alimento ed essere incluso nell’elenco comunitario solo se:
• l’alimento non rappresenta un componente importante di una dieta normale;
• l’additivo alimentare è necessario per produrre alimenti “speciali” destinati a diete particolari.
Cosa per legge è da non considerarsi additivo alimentare
• monosaccaridi, disaccaridi od oligosaccaridi e tutti gli alimenti contenenti queste
sostanze impiegate per le proprietà dolcificanti;
• gli alimenti, essiccati e concentrati, introdotti durante la fabbricazione di alimenti che
abbiano poi un effetto colorante secondario;
• le sostanze utilizzate per i materiali di copertura o di rivestimento, che non fanno parte
degli alimenti e non sono consumati con i medesimi;
• i prodotti che contengono pectina derivati dalla polpa di mela essiccata o anche dalla
scorza di agrumi o cotogni, (“pectina liquida”);
• le basi utilizzate per la gomma da masticare;
• la destrina bianca o gialla;
• l’amido arrostito o destrinizzato;
• l’amido modificato mediante trattamento acido o alcalino;
• l’amido bianchito;
• l’amido trattato con enzimi amilolitici;
• il cloruro d’ammonio;
• il plasma sanguigno;
• la gelatina alimentare;
• le proteine idrolizzate e i loro Sali;
• le proteine del latte;
• il glutine;
• gli amminoacidi e i loro sali diversi dall’acido glutammico (glicina, cisteina, cistina e i loro sali);
• i caseinati e la caseina;
• l’inulina.
Soglia massima di consumo
A seguito dei test effettuati e dei loro risultati, l’Unione Europea definisce la soglia massima di consumo di un additivo alimentare; si tratta della quantità che il corpo umano può assumere senza che si evidenzino effetti collaterali e di sorta, soprattutto senza avere problemi a livello tossicologico evidenti e dimostrabili. È stata definita “livello effetto zero”.
Dose giornaliera ammissibile
La Dga ovvero la dose giornaliera ammissibile è la quantità di un additivo che l’essere umano può introdurre ogni giorno attraverso la dieta alimentare senza avere nessun rischio per tutto l’arco della vita; essa è più bassa del “livello effetto zero”.
Si tratta di un calcolo basato su un margine di sicurezza molto ampio, per tutelare la salute del consumatore, dunque ha carattere ovviamente preventivo, considerando le differenze possibili tra i dati provenienti dai test condotti sugli animali e quelli condotti su uomini e anche le possibili differenze tra uomo e uomo.
I coloranti
La categoria funzionale dei coloranti è parte dell’elenco comunitario degli additivi alimentari.
L’uso dei coloranti rossi, in particolare, è stato più di altri oggetto di verifiche da parte dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) a seguito di uno studio condotto dall’università di Southampton in Gran Bretagna dal quale emergeva che sei coloranti - E104, E110, E124, E102, E122, E129 - potevano favorire l’iperattività nei bambini. Il risultati di tali verifiche è che le dosi di alcuni coloranti sono state ufficialmente ridotte per il loro utilizzo in ambito alimentare.
L’importanza di monitorare costantemente l’utilizzo dei coloranti rossi deriva dal fatto che si tratta di additivi presenti in moltissimi cibi e bevande, tra i quali i prodotti a base di frutta, gelatine, caramelle e dolciumi vari, molto graditi dai bambini.
Tra i coloranti anche i coloranti caramello sono sotto la lente attenta dell’Efsa: si tratta di quattro miscele di sostanze derivanti da zuccheri trattati termicamente, da qui il tipico colore “marrone” con varie sfumature. In etichetta, i coloranti caramello sono indicati con la sigla E150 seguita da lettere minuscole (a, b, c, d), ogni lettera sta ad indicare il tipo differente di reagente impiegato durante la loro produzione, ad esempio ammoniaca, solfiti ecc.
Si usano moltissimo in ambito alimentare poiché donano le sfumature marroni più o meno intense richieste in alcune bevande aromatiche (chinotti ad esempio, ma anche cole) analcoliche, per diverse tipologie di prodotti dolciari, zuppe, condimenti come aceti
balsamici, birra ecc.
Si tratta di prodotti che, secondo l’opinione degli esperti scientifici dell’Efsa, non causano modificazioni nella struttura del Dna delle cellule, ma è stata stabilita una dose minima giornaliera accettabile che è di 300 mg per kg di peso, di cui possono provenire dal caramello E150c al massimo 100 mg. È utile sapere che il superamento di tali limiti può verificarsi facilmente, con un consumo elevato e quotidiano di caramelle, dolci, bevande zuccherate, soft drink ecc.
Coadiuvante tecnologico
Qualsiasi sostanza che non è consumata come un alimento in sé, che è stata intenzionalmente utilizzata nella trasformazione di materie prime e che può causare la presenza, anche non intenzionale, di residui della suddetta sostanza: tali residui non devono assolutamente rappresentare un rischio per la salute e non devono avere effetti tecnologici sul prodotto al termine della sua produzione.
Principali definizioni in etichetta
alimento senza zuccheri aggiunti.
Si applica su quegli alimenti che nella loro composizione non hanno alcuna aggiunta di monosaccaridi o disaccaridi;
alimento a ridotto contenuto calorico.
Alimento con contenuto calorico ridotto di almeno il 30 % rispetto all’alimento analogo o originario.
edulcoranti da tavola.
Ci si riferisce alle preparazioni di edulcoranti autorizzati, i quali possono contenere altri additivi e/o ingredienti alimentari, sono destinati a alla vendita come sostituto degli zuccheri.
quantum satis.
Non è specificata una quantità numerica massima, le sostanze sono utilizzate conformemente alle buone pratiche di fabbricazione.
edulcoranti.
Sostanze che danno un sapore dolce agli alimenti
coloranti.
Sostanze che danno un colore a un alimento o ne restituiscono la colorazione originaria, in essi vi sono componenti naturali degli alimenti normalmente non consumati. Sono coloranti tutte quelle preparazioni ricavate da alimenti e materiali commestibili di origine  naturale ottenuti attraverso procedimento fisico e/o chimico che permetta l’estrazione selettiva dei pigmenti.
conservanti.
Sostanze utilizzate per prolungare la durata di conservazione degli alimenti proteggendoli dal deterioramento provocato da microorganismi e/o dalla proliferazione di microrganismi patogeni.
antiossidanti.
Anch’essi, come i conservanti, prolungano la durata di conservazione degli alimenti evitando il deterioramento provocato dall’ossidazione; un esempio di ossidazione è l’irrancidimento dei grassi.
supporti.
Si tratta di sostanze impiegate per sciogliere, diluire, disperdere, modificare fisicamente un additivo alimentare oppure un aroma, un enzima alimentare o, ancora, un nutriente aggiunti agli alimenti. Essi non ne alterano la funzione (e ovviamente non hanno effetto tecnologico). Tutto ciò serve per rendere più facile la manipolazione del prodotto alimentare.
acidificanti.
La loro peculiarità è quella di aumentare l’acidità di un prodotto alimentare e al contempo aumentano il sapore aspro.
regolatori dell’acidità.
Sostanze in grado di modificare e controllare l’acidità o l’alcalinità di un alimento.
antiagglomeranti.
Riducono la tendenza delle particelle di un prodotto alimentare ad agglomerarsi l’una all’altra.
agenti antischiumogeni.
La loro funzione è quella di impedire o comunque ridurre la formazione di schiuma.
agenti schiumogeni.
Permettono la dispersione omogenea di una fase gassosa in un liquido o solido alimentare.
agenti di carica.
Sostanze che contribuiscono ad aumentare il volume di un prodotto alimentare senza contribuire in modo significativo al suo valore energetico disponibile.
emulsionanti.
Permettono la formazione e il mantenimento di una miscela omogenea di sostanze normalmente non miscibili tra loro come ad esempio olio e acqua.
sali di fusione.
Sostanze la cui finalità è quella di disperdere le proteine del formaggio permettendo in questo modo la distribuzione omogenea dei lipidi e degli altri componenti. Molto usati nei formaggi fusi come le sottilette.
agenti di resistenza.
Sostanze che mantengono croccanti i tessuti dei frutti o della verdura in generale, permettono ad un gel di rimanere tale.
esaltatori di sapidità.
Esaltano il sapore e la fragranza di un prodotto alimentare, ad
esempio il glutammato monopodico.
agenti gelificanti.
Conferiscono consistenza ad un prodotto alimentare grazie alla
formazione di un gel.
agenti di rivestimento (inclusi gli agenti lubrificanti).
Sostanze che, quando vengono applicate alla superficie esterna di un prodotto alimentare, gli conferiscono un aspetto brillante o forniscono un rivestimento protettivo.
agenti umidificanti.
Impediscono l’essiccazione degli alimenti.
amidi modificati.
Si ottengono attraverso uno o più trattamenti chimici di amidi
alimentari.
gas d’imballaggio.
Gas differenti dall’aria introdotti in un contenitore prima, durante o dopo aver introdotto in tale contenitore un prodotto alimentare.
agenti lievitanti.
Sostanze che liberano gas aumentando il volume di un impasto o pastella.
agenti sequestranti.
Formano complessi chimici con ioni metallici.
stabilizzanti.
Rendono possibile il mantenimento dello stato fisico-chimico di un prodotto alimentare.
addensanti.
Aumentano la viscosità di un prodotto alimentare

PACKAGING

Ogni qualvolta si esce da un supermercato o da una rivendita di alimentari dopo una spesa si riportano a casa, oltre al cibo e ad acquisti di altra natura, anche i diversi imballaggi necessari al trasporto. Ma davvero tutti gli imballaggi sono necessari? E in quale misura? Come sono cambiati nel tempo, quali sono i materiali con i quali vengono confezionati e qual è il loro impatto ambientale?
Si risponderà qui a queste e ad altre domande legate a quello che oggi viene tecnicamente chiamato packaging, parola di origine anglosassone che si riferisce non solo alla parte materiale dell’imballaggio ma anche a tutto ciò che concerne agli aspetti produttivi, estetici e di marketing.
Gli imballaggi sono nati insieme alla pratica del trasporto, nella necessità di proteggere merce delicata o deperibile, alimentare e non, durante uno spostamento più o meno lungo in cui sollecitazioni varie, eventuali urti o cambi di temperatura potessero in qualche modo deteriorala, romperla e compromettere quindi poi la vendita.
Già nell’antica Roma, si usavano anfore in cotto, un materiale perfetto e igienico che permetteva il trasporto nella vasta area del Mediterraneo di alimenti molto delicati e deperibili quali ad esempio olio, frumento e vino. Prima di allora, la stessa natura aveva suggerito la necessità di una protezione all’interno di contenitori speciali: il guscio delle uova, il riccio delle castagne, la dura corazza del cocco, la spinosa protezione del fico d’india, la resistente conchiglia di cozze o di vongole, il guscio delle noci o delle mandorle, o il caldo marsupio con cui i canguri ospitano i propri cuccioli sono tutte forme “naturali” di imballaggio.
Ci sono poi voluti diversi secoli perché le scoperte dell’uomo ispirassero via via nuove tipologie di imballaggio, dalla semplice carta, al cartone, al legno, alla plastica, al polistirolo, ai fogli di alluminio ecc.
Imballaggi: definizione e legge
Per imballaggio si intende un prodotto che può essere costituito da materiali di natura diversa che ha lo scopo di contenere e proteggere le merci, le materie prime o i prodotti finiti in modo da consentirne la manipolazione e la diretta consegna al consumatore finale. A tal fine l’imballaggio dovrà essere sicuro, pratico, economico, facilmente riciclabile.
Sugli imballaggi esistono leggi e norme alle quali i produttori si devono attenere, in particolare l’ex decreto legislativo Ronchi 22/1997(art. 35, lett. a), ora art. 218 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante Norme in materia ambientale, in base al quale vi è stata la
precisazione di tre tipologie di packaging indipendentemente dal materiale di cui possono essere fatti.
L’imballaggio primario: si riferisce all’imballaggio della singola unità di vendita; la bottiglia di acqua, la scatola di acciughe, il flacone dell’ammorbidente, di shampoo, ecc. In sintesi, si tratta di un imballaggio destinato in modo diretto al consumatore finale.
L’imballaggio secondario: è la confezione che include un certo numero di unità di vendita. Una volta eliminato, rivelerà comunque l’imballaggio primario. Sono esempi di imballaggio secondario: il film che avvolge la confezione da 6 bottiglie di acqua, la confezione in cartoncino che avvolge le 3 scatolette di tonno, la confezione che contiene le merendine, il cartoncino che chiude le due lattine di birra ecc. In questo caso si tratta di una tipologia di imballaggio da destinarsi o al consumatore finale oppure al rivenditore.
L’imballaggio terziario: è quello che consente il trasporto di un grosso numero di unità di vendita, ad esempio il bancale o il “pallet” sul quale si impilano le confezioni di acqua, o le grandi cassette di plastica che contengono le mele sfuse. Questo genere di imballaggio non è quasi mai reso disponibile al consumatore finale poiché canalizzato solo verso l’esterno della catena di distribuzione, restando nello stoccaggio.
Materiali maggiormente usati per gli imballaggi
Cartone
Si tratta di un materiale cartaceo le cui peculiarità sono rappresentate sia dallo spessore che dalla pesantezza, normalmente formato da uno strato ondulato centrale e da due fogli piani laterali.
Prodotto inizialmente in Cina nel XV secolo, fu poi solo nel 1817 utilizzato in Europa e più specificatamente in Inghilterra per produrre le prime scatole di cartone ad uso commerciale.
Il confine e la differenza tra la carta e il cartone è per convenzione posta a 224 g/m² con uno spessore di almeno 175 mm; dal punto di vista delle proprietà meccaniche e ottiche del cartone sono racchiuse nello standard ISO 5651:1989. Esistono varie tipologie di cartone:
• Cartone piano o cartoncino
• Cartone ad onda semplice (due fogli esterni ed uno ondulato interno).
• Cartone ad onda doppia (tre fogli, di cui due esterni ed uno centrale e tra questi due fogli ondulati).
I fogli esterni possono essere composti da diverse carte:
• Kraftliner (simbolo K)
• Liner (simbolo L)
• Test (simbolo T)
• Camoscio (simbolo S)
Il foglio ondulato interno, invece, può essere:
• Semichimica (simbolo S)
• Medium (simbolo M)
• Fluting (simbolo F)
È utile sapere che per produrre una tonnellata di carta c’è bisogno di circa 15 alberi con un consumo di acqua pari a 440.000 litri, mentre per produrre la stessa quantità di carta riciclata non serve nessun albero e si consumano meno di 1900 litri di acqua. Ecco quindi che indirizzare gli acquisti verso imballaggi riciclati è un segno di sensibilizzazione nei riguardi dell’ambiente e una scelta consapevole ed etica.
Tetra Pak; un imballaggio rivoluzionario
Il Tetra Pak è un materiale molto usato come imballaggio primario per prodotti come succhi di frutta, latte pastorizzato fresco, ecc.
La sua invenzione è attribuita allo svedese Ruben Rausing. Nato nel 1895 a Helsingborg, egli si laureò in Economia e poi si trasferì negli Stati Uniti dove studiò alla Columbia University e qui convogliò i suoi interessi per un settore all’epoca pioneristico come quello degli imballaggi. Appreso quanto c’era da sapere al riguardo, fece ritorno in Svezia e lì, insieme ad un amico, fondò l’Akelund & Rausing, una ditta specializzata in imballaggi.
La sua idea era che l’imballaggio dovesse proteggere il contenuto e nello stesso tempo essere leggero, economico e rendere facile il trasporto. All’epoca il latte, uno degli alimenti più largamente diffusi e consumati al mondo, veniva unicamente trasportato all’interno di bottiglie di vetro, materiale sì igienico ma fragile, per di più pesante e non impilabile. Ecco quindi che Rausing, nel 1943, ideò un contenitore rivoluzionario: una carta speciale per contenere il latte, capace di ostacolare la sua dispersione e atta a proteggerlo dall’aria, naturale apportatrice di potenziali e pericolosi batteri, grazie anche alla presenza, all’interno, di un sottile strato di particolare plastica. In seguito, un collaboratore di Rausing propose una strana forma di imballaggio, a metà tra una piramide e un tetraedro, maneggevole, pratica e sicura dal punto di vista igienico, costituita da un materiale asettico e poco costoso.
Nel 1944 fu depositato il brevetto di Tetra Classic e nel 1950 fu fondata l’AB Tetra Pak, prima azienda al mondo per la produzione del Tetra Pak, un materiale destinato all’industria alimentare ed utilizzato, oltre che per il latte, anche per succhi di frutta, passate di verdure, tuorli di uovo pastorizzati, vino ecc. L’azienda è ancora oggi leader assoluto del settore, con più di 20.000 persone impiegate, oltre 100 miliardi di contenitori prodotti ogni anno e quasi 80 uffici commerciali disseminati sul globo.
Il contenitore Tetra Pak è costituito:
75% di carta, 20% da polietilene, 5% da alluminio.
Plastica
In commercio esistono moltissimi tipi di plastica utilizzati per contenere cibi e bevande; tra gli ultimi contenitori ad essere stati prodotti e commercializzati, quelli adatti ad essere introdotti nei forni a microonde.
Per riconoscere questi ultimi, viene utilizzato il seguente simbolo:
Costituito da tre onde stilizzate, geometricamente sovrapposte le une sulle altre; il simbolo sta quindi ad indicare che il contenitore è adatto all'uso nel forno a microonde, aggiungendovi anche alcune specifiche quali:
• NO LID = senza coperchio
• 400W = la potenza massima che si può programmare sul forno per quel tipo di contenitore.
 Tornando alla plastica è bene sapere che moltissimi contenitori prodotti con tale materiale sono riciclabili. Per verificarlo, bisogna sapere leggere i diversi simboli che vi vengono riportati: la sigla PET indica per l'appunto che si tratta da materiali riciclabili e che dunque possono essere buttati nei cassonetti riservati alla plastica. Dove invece non bisogna buttare, ad esempio, le stoviglie in plastica usa e getta, specialmente se sporche.
Di seguito si riporta uno schema dei simboli riportati sui diversi imballaggi dei prodotti disponibili sul mercato, per comprendere come riconoscere i materiali e regolarsi nella raccolta differenziata. Si tratta di simbologie denominate universalmente come International Universal Recycling Codes (Codici universali internazionali di riciclaggio).

LEGGERE LE ETICHETTE

Siamo al supermercato e con la lista della spesa in mano, decidiamo di ripristinare la nostra dispensa, intanto il carrello della spesa si riempie di svariate confezioni diverse per forma, grandezza e colore. Conosciamo esattamente ciò che stiamo acquistando, la sua composizione, l'origine ...in buona sostanza, leggiamo l'etichetta?
La risposta è molto spesso no! Leggere l'etichetta è uno strumento che il consumatore può utilizzare per conoscere tutto ciò che è contenuto in quel determinato prodotto, dunque la lista degli ingredienti, la tabella nutrizionale, i termini di scadenza, le modalità di conservazione e la provenienza del prodotto. Il suo scopo è quello di tutelare e informare l'acquirente in modo corretto e il più possibile trasparente; dal 1982 per legge l'etichetta deve riportare l'elenco degli ingredienti con nome specifico leggibile. Il governo ha poi emanato il D lgs 27/01/92 n. 109 che è il testo vigente secondo il quale devono essere riportate le seguenti indicazioni:
· Nome del prodotto
· Elenco degli ingredienti
· Quantitativo (peso netto/peso sgocciolato)
· Termini di scadenza
· Azienda produttrice
· Lotto di appartenenza
· Modalità di conservazione e eventualmente utilizzo
Al contempo un'etichetta non deve mai indurre in errore sulle caratteristiche del prodotto, sulla sua natura, origine, qualità, ecc. A questo proposito è bene considerare l'aspetto legato alle immagini utilizzate per completare la confezione e la pubblicità del prodotto venduto. Si tratta di "libere immagini", cioè di contorni "pittorici" scelti dall'azienda per richiamare l'attenzione del consumatore. E' comunque specificato in dicitura accanto alla foto che si tratta, appunto, di un'immagine che richiama il prodotto in questione, con il solo scopo di proporcelo esteticamente più interessante.
Per quanto concerne gli ingredienti, l'ordine in cui appaiono in etichetta non è assolutamente casuale ma è decrescente in relazione al peso, quindi il primo è quello quantitativamente più rappresentato e via via seguiranno gli altri. Per fare un esempio pratico: su una confezione di biscotti al miele gli ingredienti sono: farina di grano tenero, uova, miele, zucchero ovviamente sarà quantitativamente più presente il miele che lo zucchero.
Il consiglio è dunque quello di leggere molto attentamente l'etichetta e dunque tutti gli ingredienti in essa contenuti, è particolarmente importante per chi presenta problemi allergici, poiché potrà ponderare la sua scelta e conseguentemente il suo acquisto.
Il termine peso sgocciolato indica che: l'alimento solido è immerso in un liquido, quindi deve esserne indicata la quantità peso sgocciolato oltre al peso netto.
Per quanto concerne la scadenza è bene fare subito molta chiarezza. La data di scadenza è un elemento fondamentale per organizzare e controllare la nostra dispensa. Un piccolo aiuto:
· da consumarsi preferibilmente entro…; fino a quella data il prodotto garantisce le sue proprietà, ma può essere consumato anche per un breve periodo successivo alla data indicata: ad esempio per la pasta o il riso si applica questa dicitura;
· da consumarsi entro: va consumato assolutamente entro quella data e non oltre. Ad esempio per il latte, lo yogurt, i formaggi freschi.
La data può apparire:
gg/mese = per prodotti che si conservano per meno di tre mesi. Esempio latte, mozzarelle, yogurt
· mese/anno = per prodotti che si conservano per più di tre mesi ma per meno di 18 mesi. Esempio pasta all'uovo, biscotti, merendine, maionese.
· Anno = per prodotti che si conservano per almeno 18 mesi. Esempio pelati in scatola, piselli e tonno in scatola, olive in salamoia.
Se leggete un'etichetta che riporta la dicitura "gnocchi di patate"; le patate sono, effettivamente, l'ingrediente principale, mentre se la scritta riporta "gnocchi con patate": è molto probabile che al primo posto troverete farina di grano tenero, e poi le patate.
Ultimamente si dà sempre maggiore importanza alla tracciabilità e alla sicurezza alimentare ad esempio nel settore ortofrutticolo è entrata in vigore a partire dal 15/02/2003 un decreto legislativo (Dlgs/306/02) che dispone l'applicazione di una carta d'identità da applicare alla frutta e alla verdura. Si tratta di cartellini da esporre sulla merce in vendita i quali devono riportare: natura del prodotto, sua origine, varietà, categoria ecc.
Altro elemento interessante è il codice a barre (composto da un insieme di barre, lineette nere) attraverso il quale si risale alla provenienza nazionale ecco alcuni esempi: 80 Italia, 30 Francia, 57 Danimarca, 73 Svezia, 400 Germania, 76 Svizzera, 45/49 Giappone, 87 Olanda, 90 Norvegia.
Ogni confezione è fabbricata utilizzando uno specifico materiale vediamo qualche esempio: CA = cartone, AL = alluminio, PVC = polivinilcloruro, ACC = banda stagnata.
Tutte queste indicazioni sono utili per poter smaltire e differenziare correttamente i rifiuti.
Essere informati attraverso la lettura delle etichette ci permette di conoscere meglio gli alimenti che consumiamo e acquisire una maggiore consapevolezza sulla loro provenienza e tracciabilità.

CALENDARIO STAGIONALE VERDURE