giovedì 6 marzo 2025

Corso di cucina: 66 Pizze

ALL'ANDREA
pizza all'Andrea
1 kg di farina,
g 75 di lievito di birra,
mezzo bicchiere d'olio di oliva,
mezzo bicchiere di vino bianco,
cinque acciughe salate,
due spicchi di aglio,
origano,
basilico,
mezza cipolla,
olive di riviera,
salsa di pomodoro,
olio e sale.
Per l'impasto si procede come per la focaccia all'olio. Sulla superficie della focaccia si spalma poca salsa di pomodoro e si dispongono le acciughe tagliate a pezzi, le foglie di basilico intere, le olive e una spolverata di origano. Si cosparge di olio e si inforna.
Se nella composizione della farcitura entrano i prodotti del mare ecco allora l’ennesima variante della pizza ligure. Il nome è curioso pizza all’Andrea. Ai cittadini illustri di solito si dedica un monumento, spesso equestre. Al celeberrimo Andrea D'Oria (1466-1560), invece, gli onegliesi consacrarono una pizza.
Ecco spiegato il nome che è strettamente legato a quello dell'importante ammiraglio, che sembra ne fosse particolarmente ghiotto. Questa pizza, differente da quella napoletana perché cotta nel tegame, è diffusissima in tutto il Ponente ligure anche oltre gli attuali confini nazionali. La ritroviamo infatti nel sud della Francia antica ultima propaggine della Repubblica di Genova, con il nome di pissalandière o pizzalandeira, leggermente più bassa e croccante.
La ricetta originale si è nei secoli arricchita di nuovi ingredienti, a cominciare dal pomodoro e dalle olive. Ricordiamo che esiste anche la sardenaira, cioè pizza con sardine, altra versione dello stesso piatto dove le acciughe sono sostituite appunto dalle sardine.
Non sempre le regole sono rispettate e le due varianti tendono spesso a omogeneizzarsi, ottenendo un unico piatto dai nomi diversi: pisciadela, piscirà, sardenaira, machetaera, machetusa, pasta cu a pumata.
Si tratta di una Focaccia ai pesci salati con parecchi nomi locali: Macchettusa (Apricale), Pissadala (Bordighera), Pissalandrea (Imperia), Pissaladiere (Nizza), Piscarada (Pigna), Sardenaire (Sanremo).

CARCIOFI SPINACI E RASPADURA
La pizza ortolana con carciofi spinaci e raspadura
q.b. pepe
1 cipolla rossa
2 cucchiaino cappero sott'aceto
q.b. olio di oliva extravergine
4 cucchiaio vino bianco
4 cucchiaio salsa di pomodoro
4 carciofo
q.b. sale
2 cucchiaino olive taggiasche
50 grammi raspadura
40 grammi spinaci germogli
300 grammi pasta per pizza
1) Stendi la pasta da pizza e disponila in una teglia rettangolare o su una placca da forno oleata. Copri con un telo e fai lievitare per mezz’ora. Nel frattempo, metti in una terrina la salsa di pomodoro con un cucchiaio d’olio e uno d’acqua. Mescola il tutto e regola di sale. A parte, affetta la cipolla sottile.
2) Monda i carciofi, tagliali a spicchi e falli bollire per 5 minuti in acqua salata e acidulata con aceto. Terminata la cottura, sgocciola i carciofi e saltali in padella per qualche minuto con poco olio.
3) Condisci la pizza ortolana con la salsa di pomodoro e la cipolla a fettine, quindi cuoci per 20 minuti in forno preriscaldato a 220°. Trascorso il tempo, tira fuori dal forno, aggiungi capperi, carciofi e olive, quindi cuoci per altri 5 minuti.
4) Servi la pizza ortolana aggiungendo i germogli di spinaci crudi, la raspadura e una macinata di pepe appena prima di portare in tavola.

DATTERINI CON MELANZANE PINOLI STRACCIATELLA
forno
3 rametti basilico
475 grammi farina per celiaci
2 grammi lievito di birra
1 melanzane
3 rametti menta
1 cucchiaio olio di oliva extravergine
2 cucchiai patate
2 cucchiai pinoli
q.b. pomodoro datterino
q.b. sale
300 grammi stracciatella
2.5 grammi zucchero
Come preparare la pizza senza glutine al sugo di datterini con melanzane, pinoli e stracciatella
1) In una ciotola sciogli il lievito e lo zucchero in 2,5 dl d'acqua tiepida, aggiungi metà della farina e mescola rigorosamente. Aggiungi la patata schiacciata e l'olio, amalgama e aggiungi il sale; poi incorpora la farina rimasta e lavora tutto fino a quando gli ingredienti sono ben amalgamati e l'impasto risulta liscio e omogeneo.
2) Dai alla pasta della pizza senza glutine una forma sferica, mettila dentro una ciotola pulita e coprila con pellicola per alimenti e un canovaccio umido, per impedire che si secchi. Metti la ciotola in frigorifero per circa 1 ora, quindi trasferisci in luogo tiepido lasciando lievitare per almeno 3 ore.
3) Stendi l'impasto in un cerchio di 32 cm di diametro (ricorda che è privo di glutine e quindi poco elastico); trasferisci la base sopra un foglio di carta da forno e sistemala sulla placca del forno. Sala la passata di datterini, distribuiscila sopra la pasta e cuoci in forno a 220° per 15 minuti.
3) Nel frattempo, taglia a metà i datterini, saltali in padella con lo spicchio d'aglio, i pinoli e 2 cucchiai d'olio, poi salali. Taglia la melanzana a fettine sottili, condisci con sale e olio. Guarnisci la pizza con i pomodori saltati e le fettine di melanzana, cuoci per altri 15 minuti. Fuori dal forno distribuisci sulla superficie la stracciatella, le foglie di menta e di basilico. Servi subito la pizza senza glutine al sugo di datterini con melanzane, pinoli, stracciatella.

FOGGIANA
La cucina foggiana, pur mantenendo elementi tipicamente pugliesi, ha ricevuto grande influenza dalla tradizione culinaria napoletana. Per questo motivo, le caratteristiche della pizza foggiana risultano pressoché simili, almeno nell'aspetto, a quella partenopea; cucinata rigorosamente in forno a legna, di forma tonda, morbida e dai bordi piuttosto alti con la differenza che viene utilizzato come pomodoro quello tipico del Tavoliere delle Puglie.

GENOVESE
La pizza genovese è una specialità della cucina ligure che deriva dalla focaccia genovese, diffusa sin dall'antichità.
Fu preparata a Genova nel 1490, e venne chiamata "Pissa d'Andrea" in onore dell'ammiraglio genovese Andrea Doria che ne era particolarmente ghiotto. Questa focaccia, detta 'pissa' (ovvero 'pezza' in Genovese), differiva dall'odierna napoletana poiché veniva cotta in un tegame; è tuttora diffusissima in tutto il Ponente ligure ed anche oltre gli attuali confini nazionali, la ritroviamo infatti nel sud della Francia, ultima propaggine della Repubblica di Genova, con il nome di Pissaladière o Pizzalandeira, leggermente più bassa e croccante.
La ricetta originale si è nei secoli arricchita di nuovi ingredienti a cominciare dal pomodoro (dopo che si è imparato a conoscerlo ed usarlo conseguentemente alla scoperta dell'America) che si aggiungeva alle olive rivierasche, cipolle, ad un formaggio molle ligure quasi liquefatto anche noto come squaquerone, ed alle acciughe, uno dei pesci tipici della tradizione ligure. Una antica variante era la 'Sardenaira', cioè pizza con sardine, altra versione dello stesso piatto genovese, dove le acciughe sono sostituite appunto dalle sardine. Non sempre, oggigiorno, la tradizione viene rispettata e le due varianti tendono spesso ad omogeneizzarsi ottenendo un unico piatto dai nomi diversi più o meno derivanti e storpiati dalla dizione originaria: pisciadela, piscirà, sardenaira, machetaera, machetusa, pasta cu a pumata. La preparazione originaria della pizza prevedeva: focaccia di farina alla Genovese, acqua, sale, olio e lievito, ricoperta di un battuto di cipolla, salsa di pomodoro e di acciughe (Macchettu).

NAPOLETANA
La pizza napoletana, dalla pasta morbida e sottile ma dai bordi alti (detti "cornicione"), è la versione partenopea della pizza tonda ed inoltre, su scala mondiale, è anche intesa come la pizza italiana per antonomasia.
Dal 5 febbraio 2010 è ufficialmente riconosciuta come specialità tradizionale garantita della Comunità Europea.
Nel 2011, la pizza napoletana è stata presentata dall'Italia come candidata al riconoscimento UNESCO come Patrimonio immateriale dell'umanità.
L'espressione pizza napoletana, data la sua importanza nella storia o nel territorio, viene usata in alcune regioni come sinonimo per pizza tonda.
Le prime notizie riguardo alla Pizza Napoletana vengono fatte risalire al periodo che va dal 1715 al 1725. Vincenzo Corrado alla metà del Settecento scrisse un pregevole trattato sulle abitudini alimentari della città di Napoli, in cui osservò come fosse costume del popolo condire la pizza ed i maccheroni con il pomodoro. L'associazione di questi prodotti e le sue osservazioni diedero di fatto inizio alla fama gastronomica della città di Napoli ed attribuirono al Corrado un ruolo importante nella storia della gastronomia. Quelle stesse osservazioni costituiscono la data di nascita della Pizza Napoletana, un sottile disco di pasta condito con pomodoro. Le prime pizzerie comparvero a Napoli nel corso del XIX secolo e fino alla metà del XX secolo esse furono un fenomeno esclusivo di quella città. A partire dalla seconda metà del Novecento le pizzerie si sono diffuse ovunque nel mondo, sempre con il termine di Pizza Napoletana, anche se a volte non si sa neanche dove sia la città in questione.
La peculiarità della pizza napoletana è dovuta soprattutto alla sua pasta che deve essere prodotta con un impasto simile a quello per pane - ossia completamente privo di grassi - morbido ed elastico, steso a mano in forma di disco senza toccare i bordi che formeranno in cottura un tipico "cornicione" di 1 o 2 cm mentre la pasta al centro sarà alta circa 3 mm. Un veloce passaggio in un forno molto caldo deve lasciarla umida e soffice, non troppo cotta.
Nella più stretta tradizione della cucina napoletana sono previste solo due varianti per quanto riguarda il condimento:
Pizza marinara: con pomodoro, aglio, origano e olio.
Pizza Margherita: con pomodoro, mozzarella STG a listelli, mozzarella di bufala campana DOP a cubetti o Fior di latte, basilico e olio.
Alcuni ritengono che il pomodoro debba essere di tipo San Marzano.
Ricordando che i puristi di questo piatto considerano solo due tipi di pizza tradizionale, la Margherita e la Marinara, sono comunque diffusi numerosi altri tipi di condimento che prevedono l'aggiunta di diversi ingredienti sopra la pizza.
Non è possibile elencare le innumerevoli varietà di pizze che sono state via via inventate e, dal momento che ogni pizzeria agisce a propria discrezione, è molto difficile individuare standard sempre validi. Si riportano comunque alcune tra le altre varianti di pizza napoletana più comuni nella tradizione italiana.
Capricciosa: pomodoro, mozzarella, grana grattugiato, basilico, funghi, carciofini, prosciutto cotto, olive, olio. Non a Napoli, in alcuni casi vengono aggiunti anche acciughe e uova sode.
Quattro stagioni: normalmente gli stessi ingredienti della capricciosa, disposti ognuno in uno dei quattro quadranti in cui viene suddivisa la pizza, a volte con delle sottili striscioline di pasta per suddividerli.
Quattro formaggi: pomodoro (facoltativo), mozzarella, altri formaggi a discrezione, basilico. In genere, soprattutto nel nord Italia, tra i formaggi è presente il gorgonzola. A Napoli è perlopiù bianca (ossia senza pomodoro).
Ripieno al forno (o Calzone): pomodoro,provola, formaggio grattugiato, ricotta e (a scelta) salame o prosciutto cotto.
Ripieno fritto: ricotta, provola e (a scelta) salame o prosciutto cotto.
Diavola: pomodoro, mozzarella, grana grattugiato, basilico e pezzettini di salame piccante. È praticamente una variante della Margherita, divenuta anch'essa negli ultimi anni un classico.
Negli ultimi anni a Napoli si sono diffuse, fino a raggiungere capillarmente praticamente ogni pizzeria, la pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e mais, da molti chiamata "mimosa", e la pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e funghi, detta anche "chef".
Secondo il disciplinare per la definizione di standard internazionali per l'ottenimento del marchio "Pizza Napoletana" la cottura deve avvenire in forno a legna a circa 485 °C per circa 90 secondi.
Per versare l'olio, i pizzaioli tradizionali utilizzano l'agliara, un contenitore in rame, internamente stagnato, con il becco lungo e stretto, in modo da far fuoriuscire un filo d'olio sottile e continuo.
Per infornare e governare la pizza in forno si utilizzano due pale a manico lungo: una più larga, di forma quadrata, dove la pizza viene stesa cruda e con la quale la pizza viene infornata, ritirandola con un rapido colpo di braccio. Questa pala era tradizionalmente in legno, ma per motivi igienici è stata recentemente sostituita da una versione in alluminio. Un'altra pala più piccola, tonda e di ferro, usata per far ruotare la pizza nel forno in modo fa farla cuocere uniformemente su tutti i lati.
Nel 2004 è iniziato l'iter per far ottenere alla pizza napoletana il marchio di qualità "Specialità Tradizionale Garantita" (STG) Per potersi fregiare di tale marchio, la pizza deve essere preparata con ingredienti e metodiche codificate. In particolare, l'unica operazione che può essere effettuata a macchina è la preparazione dell'impasto. Il taglio in panetti e la manipolazione della pasta per ottenere il disco devono essere fatti a mano.
Dal 5 febbraio 2010 è ufficialmente riconosciuto come specialità tradizionale garantita della Comunità Europea.

PAN FRATTAU
200gr di pane carasau,
4 uova,
400gr di passata di pomodoro,
50 gr di pecorino sardo,
1 litro di brodo vegetale,
1 spicchio di aglio,
1 ciuffo di basilico,
1 cucchiaio di aceto di vino bianco,
3 cucchiai di olio di oliva
sale fino.
In origine era un sistema utile per consumare tutti i resti del tipico pane conosciuto anche col nome "carta da musica"(anche se tale denominazione in riferimento al pane carasau è da considerarsi errata). Infatti quello che restava a piccoli pezzi lo si metteva nell'acqua bollente salata e poi lo si disponeva a strati sul piatto ricoprendolo con il formaggio pecorino grattugiato e con il sugo se disponibile. Questa preparazione molto semplice (ed ancora oggi attuale) poteva essere arricchita con un uovo fatto cuocere nella stessa acqua e adagiato in cima al pane ormai ammorbidito (questo però solo in tempi molto più recenti). Gli ingredienti del pane frattau variano a seconda della zona. I più comuni sono un uovo di gallina (cotto in camicia), del pane carasau (ammorbidito nell'acqua, nel brodo o direttamente dal sugo di pomodoro), della cipolla, del basilico fresco, del sugo di pomodoro e parmigiano o pecorino sardo. In alcune zone si utilizzano erbe aromatiche per l'insaporimento della pietanza, come la cicoria, il rosmarino, il timo o l'origano.
Il pane frattau, noto talvolta anche con la variante pane vrattau, è un piatto tradizionale della Sardegna, preparato specialmente nella regione della Barbagia, e nella parte centrale dell'isola.
Il pane carasau, che è alla basa della ricetta, veniva posto dai pastori che prima dell'alba andavano al lavoro in sa "taschedda" vale a dire uno zaino di pelle, insieme a del pecorino e dell'acqua. Questo era il cibo che mangiavano durante la giornata. Al tramonto, al rientro a casa, il pane così conservato si sminuzzava (vrattau/frattau) dentro la " taschedda" e tutto ciò non veniva mai buttato, ma veniva ammorbidito nel brodo, o nell'acqua calda , condito con un poco di "bagna" e col pecorino rimasto e mangiato per cena. Queste sono le tradizioni pastorali più povere che hanno portato oggi a quella saporitissima pietanza arricchita dall'uovo in camicia. Il pane frattau è una pietanza composta da ingredienti semplici quali le uova, il pane carasau, tipico pane sardo, la salsa di pomodoro, l'olio d'oliva e il pecorino. Le tradizioni sulla preparazione del piatto variano a seconda della zona, per esempio mentre nella Gallura si prepara con questi soli ingredienti, in Barbagia si adoperano anche erbe aromatiche come prezzemolo, rosmarino e cicoria, per insaporire. Due sono le tradizioni sull'origine di questo piatto: Nacque con l'arrivo della II guerra mondiale; a seguito dello scarseggiare di cibo, i contadini, specialmente, utilizzavano i pochi ingredienti che avevano a disposizione. Una leggenda dice che venne inventato come piatto da presentare al re Umberto I: due donne per la fretta e per il ritardo, durante una visita del re in Sardegna, cercarono di arrangiarsi con ciò che trovarono per dare forma ad un piatto da porgere al monarca. Corsero a prendere della conserva di pomodoro, due uova nel pollaio, del basilico e della cipolla dall'orto e infine presero del pane dalla credenza. Prepararono in fretta e furia il tutto, disponendo il piatto in maniera frettolosa. Offertolo al sovrano, a quanto narra la leggenda, quest'ultimo gradì particolarmente la pietanza. Il nome "frattau" deriva dall'espressione "casu vrattau" cioè formaggio grattugiato, componente importante della pietanza. La sua diffusione è avvenuta grazie agli agriturismo ed ai famosi "pranzi con i pastori" dove specialmente in Barbagia si è conservato questo modo di mangiare il "Pane carasau".

PEPERONI ARROSTITI PATATE E ROBIOLA DI ROCCAVERANO
Pizza con peperoni arrostiti, patate e robiola di Roccaverano
280 grammi base per pizza
10 grammi menta
100 grammi mozzarella
q.b. olio di oliva extravergine
50 grammi patate
100 grammi peperoni
80 grammi robiola
1 rametto rosmarino
q.b. grammi sale
q.b. semola
1) Per prima cosa, prepara l'impasto per la pizza. Recuperare 280 grammi di base per la pizza oppure preparare l'impasto. Metti sulla spianatoia 1 kg di farina bianca tipo 1, fai la fontana, aggiungi 750 g di acqua, 20 g di sale e 100 g di lievito madre rinfrescato. Impasta il tutto e lavora la pasta energicamente.
2) Stendi l'impasto, sistemalo nella teglia e lascialo lievitare a temperatura ambiente per 4-6 ore. Lava i peperoni, asciugali e arrostiscili interi su una piastra ben calda.
3) A questo punto, lasciali intiepidire, quindi pelali.
4) Aprili con un coltello, elimina i semi e le nervature interne, quindi tagliali a strisce e condiscili con un filo di olio e un pizzico di sale.
5) Taglia le patate prima a fette di 1 cm, poi a cubetti.
6) Distribuisci i cubetti di patata in una teglia unta di olio e condiscili con olio, sale e rosmarino.
7) Introduci la teglia in forno già caldo a 180° e cuoci le patate per 12-15 minuti; sfornale ben cotte e dorate.
8) Distribuisci la mozzarella sulla pasta lievitata e inforna la pizza con peperoni arrostiti, patate e robiola di Roccaverano a 220° per 15 minuti. Sfornala e sistemate sopra le patate, tagliala a spicchi, distribuisci i peperoni e la robiola e termina con un giro di olio che avrai profumato con le foglie di menta.

PESTO BUFALA E POMODORINI
Pizza multicereali con pesto bufala e pomodorini
q.b. basilico
150 grammi farina
150 grammi farina multicereali
20 grammi lievito madre
250 grammi mozzarella
3 pezzi mozzarella di bufala
q.b. olio di oliva extravergine
2 cucchiai pesto
80 grammi pomodoro semisecco
150 grammi provola affumicata
1) Per la pizza multicereali con pesto, bufala e pomodorini sciogli il lievito in poca acqua tiepida, tolta da un totale di 225 ml, e lascialo riposare qualche istante. Disponi a fontana le due farine setacciate, aggiungi il lievito e l'acqua rimasta e lavora l'impasto fino ottenere una palla elastica.
2) Mettila in una ciotola e lasciata lievitare a temperatura ambiente per 6-8 ore: se vuoi preparare l'impasto il giorno prima, puoi farlo lievitare in frigo durante la notte; ci vorranno 12 ore.
3) Al raddoppio del volume, dividi la pasta in due porzioni, allargala con le mani formando due larghi dischi e disponili in due teglie di 30 cm di diametro foderate con carta da forno leggermente oliata. Copri le pizze con la mozzarella fiordilatte tritata, irrora con un filo di olio ed infornate a 220° per 10 minuti.
4) Poi aggiungi anche la provola a fettine e i bocconcini di bufala e prosegui la cottura per 2 minuti. Completa con il pesto, i pomodorini, un giro d'olio e qualche foglia di basilico e servi subito la pizza multicereali.

POMODORI FRESCHI E CRESCENZA
Pizza con pomodori freschi e crescenza

2 cucchiai pesto
500 grammi pasta da pane
200 grammi crescenza
6 pomodoro perino
2 cipollotto
q.b. sale
q.b. olio di oliva extravergine
1) Taglia i pomodori a fette spesse circa mezzo cm. Pulisci i cipollotti, eliminando la radice e la parte verde, e riducili a rondelle.
2) Dividi la pasta in 2 panetti, ricavane 2 dischi del diametro di 22 cm e sistemali in 2 teglie del diametro di 23 cm foderate con carta da forno.
3) Bucherella il fondo con una forchetta, disponici sopra i pomodori, salandoli leggermente, e su questi i cipollotti.
4) Completa con un filo di olio e cuoci in forno preriscaldato a 225° per circa 10 minuti, fino a quando cioè la pasta inizia a dorare.
5) Leva le pizze dal forno, disponici sopra la crescenza tagliata a fiocchetti e prosegui la cottura, sempre in forno, per altri 10 minuti, fino a quando il formaggio si sarà sciolto.
6) A fine cottura, distribuisci sulle pizze il pesto diluito con un cucchiaio di olio e servi. 

POMODORINI BURRATA E CIPOLLA DI TROPEA
Pizza con pomodorini burrata e cipolla di Tropea
280 grammi base per pizza
4 foglie basilico
100 grammi burrata
1 cipolle di tropea
100 grammi mozzarella
q.b. olio extra vergine di oliva
100 grammi pomodorino datterino
q.b. sale
q.b. semola
Come preparare la pizza con pomodorini, burrata e cipolla di Tropea
1) Prendi l'impasto per la pizza, cospargilo di semola e allargalo con le mani.
2) Stendilo sulla spianatoia dandogli forma rotonda e mantenendo il bordo un po' alto.
3) Sistemalo in una teglia del diametro di 30 cm, precedentemente unta di olio, coprilo con pellicola e lascialo lievitare per circa un'ora.
4) Taglia la mozzarella a cubetti, distribuiscila sulla pizza cruda e inforna a 220° per 15 minuti.
5) Rompi la burrata in una ciotola spezzettandola prima con le mani poi con un cucchiaio.
6) Taglia i pomodorini a pezzetti, raccoglili in una ciotola, aggiungi qualche foglia di basilico e condisci con un pizzico di sale e un fllo di olio.
7) Affetta la cipolla di Tropea e immergila in una ciotola piena di acqua fredda.
8) A cottura ultimata sforna la pizza, sistemala su un tagliere e tagliala a spicchi.
9) Con un cucchiaio distribuisci sui tranci di pizza la burrata, i pomodorini scolati dal loro condimento.
10) Completa con la cipolla, e un giro di olio e servi la pizza con pomodorini, burrata e cipolla di Tropea.

ROMANA
La pizza romana è una pizza tonda dalla pasta molto sottile e croccante. L'impasto viene prodotto con farina di grano tenero tipo 00 o 0, acqua, lievito di birra (oppure lievito naturale), olio d'oliva (oppure per ottenere una pizza più croccante si utilizza l'olio di semi) e sale in proporzioni tali che risulti duro e consistente, tanto da rendere spesso necessaria la stesura con il mattarello. Diffusasi a partire appunto dalla capitale solo dopo l'ultimo dopoguerra, si chiama Napoli la variante di condimento con pomodoro, mozzarella e alici. I libri di cucina tradizionale romana, sembrerebbero avvalorare che la variante con le acciughe sia un'usanza propria della Capitale; la pizza romana, secondo gli stessi ricettari, dovrebbe comprendere anche basilico tagliuzzato, pecorino e pepe.

SALSICCIA DI POLLO CETRIOLI E TZATZIKI
Pizza con salsiccia di pollo cetrioli e tzatziki
5 grammi aceto bianco
1 spicchio aglio
280 grammi base per pizza
2 cetrioli
0.5 limone
80 grammi mozzarella
q.b. olio di oliva extravergine
q.b. pepe
q.b prezzemolo
q.b. 1 sale
100 grammi salsiccia di pollo
100 grammi yogurt greco
1 grammi zucchero
1) Per prima cosa, prepara l'impasto per la pizza con salsiccia di pollo, cetrioli e salsa tzatziki. Recuperare 280 grammi di base per la pizza oppure preparare l'impasto. Metti sulla spianatoia 1 kg di farina bianca tipo 1, fai la fontana, aggiungi 750 g di acqua, 20 g di sale e 100 g di lievito madre rinfrescato. Impasta il tutto e lavora la pasta energicamente.
2) Stendi l'impasto nella teglia e fallo lievitare per 3-4 ore a temperatura ambiente. Distribuisci sopra la mozzarella tritata e la salsiccia spezzettata e cuocila in forno a 220° per 15 minuti.
3) Trita finemente l'aglio e il prezzemolo.
4) Preparate lo tzatziki: riunisci in una ciotola lo yogurt, l'aceto, lo zucchero, il trito di aglio e prezzemolo e il succo di limone, amalgama il tutto con una frustina.
5) Sbuccia i cetrioli con un pelapatate.Grattugiali con la grattugia a fori grossi, mettili in una ciotola e condisci con sale e olio.
6) Sforna la pizza, tagliala a spicchi e guarniscila con la salsa e i cetrioli grattugiati.
7) Servi la pizza con salsiccia di pollo, cetrioli e salsa tzatziki ben calda

SARDENAIRA
1 kg di farina, 
g 75 di lievito di birra, 
mezzo bicchiere d'olio di oliva, 
mezzo bicchiere di vino bianco, 
cinque acciughe salate, 
due spicchi di aglio, 
origano, 
basilico, 
mezza cipolla, 
olive taggiasche, 
salsa di pomodoro, 
sale.
Per l'impasto si procede come per la focaccia all'olio. Si fa un battuto con vino, cipolla, salsa di pomodoro e acciughe (lavate dal sale) da spalmare sulle superficie della focaccia. Si dispongono sopra alcune acciughe tagliate a pezzi, le foglie di basilico intere, gli spicchi di aglio interi, le olive taggiasche e una spolverata di origano. Si cosparge di olio e si inforna.

SCAROLA CIPOLLA E POMODORI CILIEGIA
Pizza con scarola cipolla e pomodori ciliegia
2 cucchiai capperino
600 grammi pasta da pizza
100 grammi pecorino
120 grammi olive verdi piccanti
2 cipolla
2 cespi insalata scarola
2 acciughe o alici sotto sale
16 pomodorino ciliegia
q.b. aceto bianco
q.b. sale
q.b. origano
q.b. olio di oliva extravergine
q.b. pepe
Come preparare la pizza con scarola, cipolla e pomodori ciliegia
1) Prepara il ripieno: pulisci le cipolle e affettale sottili; pulisci anche la scarola e tagliala a listarelle. Lava le acciughe sotto acqua fredda corrente, sfilettale e mettile a bagno per qualche minuto in acqua e aceto. Lava i pomodori ciliegia e tagliali a spicchietti; poi snocciola le olive verdi piccanti schiacciate.
2) Fai rosolare in una padella le cipolle con 4-5 cucchiai di olio e un pizzico di sale, aggiungendo di tanto in tanto qualche cucchiaio di acqua, finché saranno ammorbidite. Unisci quindi la scarola e lasciala cuocere per 5 minuti a fuoco vivo, finché  il liquido sarà evaporato. Alla fine regola di sale e pepe.
3) Dividi la pasta da pizza in 4 porzioni e stendile a dischi di un cm scarso di spessore. Fodera di carta da forno 2 placche e disponi 2 pizze su ciascuna, tenendole leggermente distanziate.
4) Distribuisci sulle pizze il composto di cipolla e scarola e decora con le olive, i capperini, le acciughe tagliate a pezzetti e i pomodori ciliegia.
5) Aromatizza con l'origano, irrora con un filo d'olio e cuoci le pizze in forno già caldo a 250°. Dopo 15 minuti di cottura, ricoprile con il pecorino non troppo stagionato tagliato a cubetti o a fettine, lascialo sciogliere per qualche istante in forno e servi immediatamente.

TONNO E PEPERONE ROSSO
 Pizza di farro con tonno e peperone rosso

500 grammi farina di farro
1/2 bustina lievito di birra secco
15 grammi sale rosa
1 peperone rosso
1 spicchio aglio
q.b. basilico greco
100 grammi fior di latte
200 grammi tonno fresco
q.b. rucola
q.b. olio al peperoncino
q.b. sale
q.b. olio di oliva extravergine
q.b. pepe
1) Prepara l’impasto. In un’ampia terrina, sciogli 15 gr di sale rosa e 1/2 bustina di lievito di birra secco in 4 dl di acqua tiepida e versa metà farina di farro e mescola; copri e lascia riposare il composto per 30 minuti. Unisci a quest’ultimo la farina rimasta e impasta per circa 10 minuti per ottenere un panetto liscio e senza grumi; ungilo con un po’ di olio di oliva extravergine e lascialo lievitare per 8 ore tra i 20° e 25°, in un luogo caldo della casa. Se l'impasto si riscalda troppo, mettilo in frigo nella zona meno fredda.
2) Prepara il condimento. Abbrustolisci un grande peperone rosso sotto il grill del forno, chiudilo in un sacchetto e lascialo intiepidire; elimina la pelle sotto acqua corrente, taglialo a julienne e condiscilo in una ciotola con una presa di sale e un battuto di aglio e le foglie di basilico greco. Taglia il tonno fresco a pezzetti non troppo piccoli e condiscili in un’altra ciotola con pepe e un filo d'olio extravergine di oliva. Taglia a dadini il fior di latte ben sgocciolato.
3) Completa e cuoci. Riscalda il forno a 250° e dividi la pasta in 4 porzioni e tirala con le mani per formare 4 pizze allungate e sottili, trasferiscile in una teglia rettangolare per pizza unta con un po’ di olio. Cospargi le pizze con i dadini di fior di latte e cuocile per 10 minuti, poi distribuisci il peperone condito sulle pizze e prosegui la cottura per 5 minuti. Aggiungi infine i pezzetti di tonno e completa la cottura della pizza di farro con tonno e peperone rosso per altri 3 minuti, fino a quando il pesce comincia a scurire. Prima di servire, guarnisci con la rucola e irrora, se ti piace, con olio al peperoncino.

VEGETARIANA
La pizza vegetariana
500 grammi farina
25 grammi lievito di birra
q.b. sale
1 melanzana
2 zucchina
200 grammi mozzarella
1 cucchiaino cappero sotto sale
q.b. pepe
1 cucchiaino origano
1 cucchiaio olio di oliva extravergine
1 peperone giallo
200 grammi pomodoro polpa
1 ciuffo basilico
2 cucchiai salsa di pomodoro
Per preparare la ricetta pizza vegetariana sciogli il lievito con 1/2 dl di acqua tiepida, unisci 2 cucchiai di farina e mescola fino ad ottenere 1 pastella densa; lasciala lievitare per mezz'ora. Raccogli la restante farina a fontana sulla spianatoia e unisci la pastella, 2 dl circa di acqua, l'olio e poco sale.
Impasta tutti gli ingredienti e lavora energicamente la pasta per circa 10 minuti, finché è omogenea e non si appiccica più alle dita; se necessario unisci ancora poca acqua. Fai 1 palla, incidila a croce, coprila e falla lievitare in luogo tiepido per circa 2 ore.
Pulisci e lava le verdure per la pizza vegetariana, taglia il peperone a falde, la melanzana a fette rotonde e le zucchine a fette per il lungo; ungi di olio le verdure e passale per pochi minuti su una bistecchiera calda; sistemale su un largo piatto, salale e spolverizzale di origano.
Riprendi la pasta lievitata, lavorala energicamente per qualche minuto per sgonfiarla, quindi appiattiscila con il palmo della mani e allargala con le dita, fino ad ottenere 1 disco dello spessore di circa 1/2 cm e con i bordi un po' più alti.
Sistema la base di pasta su una placca foderata con un foglio di carta da forno, distribuiscici sopra la polpa di pomodoro tritata, sala leggermente, pepa e cospargi la superficie con metà della mozzarella tagliata a dadini per creare la base della classica ricetta pizza vegetariana.
Disponici sopra le verdure, appoggia su ogni fetta di melanzana mezza fettina di mozzarella e 1 cucchiaino di salsa di pomodoro, distribuisci qua e là i capperi dissalati e le foglie di basilico, condisci con 1 filo di olio e inforna a 220° per 15 minuti.
Servi la pizza vegetariana.

mercoledì 5 marzo 2025

Corso di cucina: 65 Frittelle salate e fritture

CAZZILLI
cazzilli palermitani
gr. 500 patate da gnocchi
2 uova
sale
olio
prezzemolo
Alla purea di patate bollite e ben amalgamate aggiungere una manciata di prezzemolo finemente tritato con uno spicchio d’aglio, sale e pepe. Al raffreddamento si formeranno piccole crocchette cilindriche della grandezza di un dito mignolo. Si tuffano nel bianco d’uovo battuto e si friggono in abbondante olio molto caldo.

FIORI DI ZUCCA FRITTI
Acqua 275 ml
Farina 185 gr
Fiori di zucca 270 gr
Olio di semi q.b.
Sale q.b.
Immergete delicatamente i fiori di zucca in acqua fredda poi sgocciolateli e poneteli a scolare su di un panno asciutto con il quale li tamponerete delicatamente; eliminate il gambo divaricate leggermente i fiori di zucca con le dita ed estraete i pistilli carnosi posti all’interno e sulla base dei fiori stessi. Una volta puliti ponete i fiori di zucca in una ciotola. Nel frattempo preparate la pastella: mettete la farina setacciata in una capiente ciotola, aggiungete poco alla volta l’acqua mescolando con una frusta per evitare i grumi. Una volta che avrete ottenuto un composto liscio aggiungete il sale. Ponete a scaldare un’ampia padella con l’olio di semi per la frittura. A questo punto avvolgete delicatamente nella pastella i fiori, ad uno ad uno, cercando di non romperli e subito dopo immergete il fiore nell’olio bollente, girandolo durante la cottura. Appena cotti, scolate i fiori di zucca e lasciateli asciugare su un vassoio rivestito di carta assorbente. Servite i fiori di zucca fritti ben caldi.

FOCACCINE DI MAIS

farina di mais,

olio,
acqua,
sale.
Unisco la farina, l'olio, l'acqua e il sale, ottenendo un impasto denso. La cottura la eseguo in forno, con gli appositi testetti.
Le focaccine di mais (
fugassette de mega) sono diffuse su quasi tutto il territorio regionale e cambiano nome e dimensioni a seconda del luogo di produzione: fugassetta in val Petronio e dintorni, revzora in valle Stura. Anche il metodo di cottura subisce delle variazioni a seconda delle consuetudini locali: in val Petronio e levante ligure si cuociono utilizzando i testetti, tegami di argilla fatti arroventare direttamente sul fuoco, in altre zone nel forno a legna, come in valle Stura. Dopo la cottura il prodotto risulta friabile e decisamente saporito. Muta anche il companatico: se nel levante sono le erbette di campo (prebuggiùn e cavolo nero), nel ponente si prediligono i salumi come ad esempio la testa in cassetta. Quest'ultimo abbinamento viene riproposto nella sagra di primavera che si svolge a Campo Ligure (in valle Stura, Genova). Nell'entroterra del levante (Chiavari, Lavagna, Sestri) la fugassetta si degusta insieme ai cavoli broccoli di Lavagna (cavoli neri) per assaporare l'olio novello, appena franto. Nelle fugassette de mega, la farina bianca viene sostituita da quella più povera e rustica del mais che conferisce all'impasto un aspetto più grezzo e un delizioso colore dorato. Le zone di produzione sono la Val Petronio (GE), la valle Stura (GE), la val di Vara (SP).

Frittelle di baccalà

600 grammi di baccalà bagnato,
farina bianca,
olio extravergine di oliva,
lievito di birra,
due uova,
sale.
Per la pastella unite la farina bianca con l'acqua e aggiungete il lievito di birra, precedentemente sciolto in acqua tiepida, e salate. Sbattete le uova, aggiungendo la pastella e i pezzetti di baccalà, quindi friggete in olio ben caldo. Quando le frittelle sono dorate, scolatele e asciugatele per eliminare l'unto in eccesso.

FRITTELLE DI BORRAGINE
500 grammi di borragini,
50 grammi di formaggio grana grattugiato,
200 grammi di farina,
alcune foglie di maggiorana,
acqua minerale gassata,
olio extra vergine d'oliva, sale.
Lavate e strizzate la verdura, tagliatela finemente. Tritate le foglioline della maggiorana e unitele alle verdure tagliate, poi aggiungete anche il formaggio. Diluite la farina con poca acqua minerale e mescolate fino ad ottenere una pastella piuttosto liquida. Fate riposare mezz'ora, quindi aggiungetevi la verdura mescolando. Fate scaldare dell'olio abbondante in padella e quando è caldissimo, versatevi a cucchiaiate il composto. Scolate le frittelle su una carta assorbente e servitele subito.

FUGASSETTE DI SAVONA 

Panissa,

farina di semola,
olio.
Le fugassette si preparano con farina di semola fine cui si aggiunge olio e acqua, emulsionati, in uguale quantità. Lavoro con cura, aggiungendo acqua sino ad ottenere un impasto morbido. Divido l'impasto in tante parti della grandezza di un'arancia, formo dei pani e faccio riposare per un'ora. Stendo i pani fino a raggiungere l'altezza di due centimetri e cuocio in forno a 180°, per 20 minuti. Nel frattempo taglio la panissa a fette sottili come le patatine, le friggo in abbondante olio e le mantengo calde. Le focaccine si tagliano a metà e si farciscono con le panissette cui si può provare ad aggiungere una fetta di formaggetta.

GNOCCO FRITTO
Farina 500 g
Strutto 70 g
Zucchero 1 cucchiaino
Sale 10 g
Acqua 180 ml circa
Lievito di birra 12 g
per  friggere
Olio di oliva q.b. (oppure secondo la tradizione strutto q.b.)
Per preparare lo gnocco fritto, sbriciolate in una ciotola il lievito di birra, unite il cucchiaino di zucchero quindi versate 50 ml di acqua tiepida: fate sciogliere bene il lievito mescolando con un cucchiaino unite poi 2 cucchiai di farina, quanta ne serve per formare una pastella molto morbida, che lascerete riposare per mezz'ora. Passata la mezz'ora versate la restante farina in una ciotola capiente ed unite la pastella, aggiungete lo strutto, dopodiché fate sciogliere i 10 gr di sale in circa 125 ml di acqua tiepida; quando il sale si sarà disciolto versate tutta l'acqua all'interno della ciotola e cominciate a impastare. Quando il liquido sarà stato interamente incorporato alla farina, trasferite l'impasto su un piano infarinato e lavoratelo fino a quando sarà diventato liscio ed omogeneo, quindi date all'impasto una forma di palla, e incidetela a croce, e posizionatelo in una ciotola capiente che avrete precedentemente spolverizzato con una manciata di farina, sigillate la ciotola con della pellicola trasparente. Lasciate lievitare per circa 4 ore in un ambiente tiepido e privo di correnti d'aria, fino a quando l'impasto avrà circa triplicato il volume. Trascorso il tempo necessario, riprendete l'impasto e lavoratelo su un piano infarinato e stendetelo in una sfoglia dello spessore di circa 3 mm; con un tagliapasta con la lama liscia ricavate dei rombi o dei quadrati di 8-10 cm di lato. A questo punto preparate una pentola, con abbondante olio di oliva (o strutto) e fatelo riscaldare per bene. Immergete pochi gnocchi per volta nell' olio di oliva (o nello strutto bollente), fateli friggere, scolateli con una schiumarola e mettete gli gnocchi fritti ad asciugare su un pezzo di carta assorbente per eliminare l'olio in eccesso. Servite lo gnocco fritto ancora caldo accompagnandolo con un bel tagliere di salumi misti, lardo e con qualche formaggio con cui andrete a riempirli dopo averli tagliati a metà.
Lo gnocco fritto, denominazione tipica nelle province di Bologna, Modena e Reggio Emilia (luoghi in cui viene citato con l'articolo il), è un prodotto alimentare italiano tipico dell'Emilia di origine longobarda il cui nome varia da un'area all'altra.
Per esempio in gran parte della provincia di Parma viene chiamato torta fritta e nella provincia di Ferrara viene chiamato pinzino. Nella parte nord-orientale della provincia di Piacenza è comune la dizione dialettale chisulén (italianizzata in chisolino), ma anche qui è diffuso il nome parmense di torta fritta; nella parte meridionale e in Val Trebbia si ritorna alla denominazione tipica dello gnocco fritto. Nel bolognese viene chiamato più comunemente crescentina.
In alcune zone dell'appennino modenese è chiamato paste fritte (quasi sempre al plurale). Nel centro - sud Italia, in Campania e nelle zone appenniniche comprese tra l'alto Lazio, l'Umbria e una parte delle Marche viene denominato al plurale, le pizze fritte, o anche paste fritte, in quest'ultima forma specialmente nel casertano e in alcune zone del napoletano. Infine, in Sicilia nel palermitano viene preparata col nome di vastedda fritta. In provincia di Reggio Emilia lo gnocco (citato sempre con l'articolo il) è una focaccia fatta al forno con lardelli di maiale, molto diffusa. Fondamentale per tanto aggiungere l'attributo "fritto" che indica un prodotto piuttosto differente.
Dapprima viene preparato un impasto di farina di frumento, sale, strutto e lievito. Dopo la lievitazione, la pasta viene ridotta in una sfoglia alta pochi millimetri (da circa 2 a 6) e tagliata in rombi di circa 10 cm di lato, che vengono fritti secondo la tradizione in abbondante strutto bollente. Lo strutto di maiale ha un punto di fumo molto alto (ca. 230 °C). Le moderne norme di sicurezza imposte a bar, ristoranti, mense e comunità rendono difficile reperire in commercio friggitrici che superano la temperatura di 190 °C.
Dovendo calare la temperatura di frittura, almeno negli ambienti industriali e della ristorazione, si è costretti ad usare vari olii al posto dello strutto, che alla temperatura di 190 °C lascerebbe lo gnocco eccessivamente unto. Si ricorre quindi all'utilizzo di olii di semi o di palma, frazionato o bifrazionato ad una temperatura di frittura che può variare fra i 180 °C ed i 188 °C in relazione allo spessore della pasta da friggere. La pasta viene quindi fritta (normalmente circa un minuto per lato) e si gonfia formando una "pancia". Lo gnocco fritto può essere gustato dopo averlo riempito con affettati, formaggi.
Impasto della versione bolognese
Nella versione bolognese (denominata localmente "crescentina") l'impasto è composto da:
farina tipo 00 (grano tenero)
lievito istantaneo (1 bustina ogni circa 500 grammi di farina)
un pizzico di sale
latte per impastare
A volte si aggiunge anche un po' d'olio, ad esempio un paio di cucchiai per 1 o 2 kg di impasto, per far sì che durante la frittura assorba meno grasso.
Riconoscimenti
La regione Emilia-Romagna e il Ministero hanno incluso lo gnocco fritto, con la settima revisione, nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.).

LATTE BRUSCO
un litro di latte,
150 grammi di farina,
60 grammi di burro,
100 grammi di pane grattugiato,
6 uova,
mezza cipolla, un ciuffo di prezzemolo, olio evo, sale.
Tritate la cipolla con il prezzemolo e fateli rosolare nel burro a fiamma dolce per una decina di minuti, unite la farina e mescolate. Aggiungete sempre mescolando il latte e continuate così per altri 20 minuti. Ritirate la casseruola dal fuoco, aggiungete due uova intere e quattro tuorli leggermente sbattuti, tenendo da parte gli albumi. Amalgamate, salate e rimettete di nuovo sul fuoco facendo cuocere a fiamma bassa per mezz'ora sempre mescolando. Ungete un grande piatto con un po' d'olio e versate la crema di latte, stendetela con la lama di un coltello o una spatola in modo che mantenga uno spessore di circa due centimetri. Fatela raffreddare. Tagliate delle losanghe di circa 4 centimetri per lato, passatele negli albumi sbattuti, quindi nel pangrattato e friggetele in olio caldissimo. Servite subito.

PANELLE

gr.200 farina di ceci;
per friggere
lt. 2 olio di arachidi.
Fare sciogliere in ½ lt. di acqua fredda la farina di ceci con sale e pepe a mescolare bene fino alla scomparsa di eventuali grumi. Mettere il tegame a fuoco moderato e mescolando continuamente ottenere all’ebollizione un impasto denso che si stacchi dal fondo. Versare su un ripiano di marmo o su di una teglia molto bassa e larga, livellando con una spatola la polenta in uno strato regolare di non più di 3 cm. Al raffreddamento tagliare a rombi o quadri di 5 cm. di lato e friggere in abbondante olio molto caldo.

PANISSA LIGURE
g 280 farina di ceci
Sale fino g 10
Per condire
2 limoni
Olio evo
Per friggere
1 l olio di semi di arachidi
Mettete la farina di ceci in pentola. Mescolando con una frusta, versate a piccole dosi l’acqua leggermente tiepida: amalgamate bene per evitare la formazione di grumi. Salate, ponete su fuoco lento e rimestando in continuazione con un cucchiaio di legno portate a cottura per almeno un’ora. La panissa sarà cotta quando si staccherà dalle pareti della pentola. La panissa può essere servita calda, nei piatti, condita con olio, limone e pepe. Oppure: fate cuocere ancora un po’ l’impasto, finché avrà la consistenza di una soda polenta, poi rovesciatelo su un largo piatto o su un piano di marmo, distendendolo, con una spatola, in modo uniforme. Appena la panissa sarà ben raffreddata, tagliatela a grossi fiammiferi di 7-8 cm e friggeteli in abbondante olio bollente a 180 °C. Scolateli e sistemateli su carta di tipo assorbente. Serviteli caldi con un pizzico di sale e una spruzzata di succo di limone. Nel Savonese, per tradizione, da aprile a settembre, la panissa viene tagliata a fette e usata per farcire un riquadro di focaccia all’olio o pane azzimo.
La panissa è un piatto tipico della cucina ligure per il quale si usano gli stessi ingredienti della farinata di ceci, con l'esclusione però dell'olio di oliva. Si unisce la farina di ceci con l'acqua ed il sale e si mette sul fuoco, quando ha raggiunto una certa consistenza si rovescia dentro a dei piatti fondi oppure, più spesso, in appositi stampini lunghi e stretti con profilo semicircolare di 7-10 cm di diametro. Dopo che si è solidificata si taglia a fette con sezione semicircolare, si taglia a cubetti e si serve fredda o tiepida, condita con olio e limone, o si condisce con cipolla. Oppure si friggono le striscioline in abbondante olio, dando origine alle Fette, analoghe alle panelle palermitane; si servono salate da sole o, più spesso, dentro un panino speciale, a forma di piccola focaccia bianca senza crosta, rotonda, piatta e senza sale: sono le "fette con le fugassette". Il piatto ligure è totalmente diverso dall'omonimo piatto tipico della cucina piemontese. Sicuramente dovuto ai rapporti commerciali con le Americhe confluenti in Europa attraverso il porto di Cadice (Spagna), questo piatto esiste anche nella cucina della città iberica con il nome di paniza. La versione spagnola è preparata usando la farina di ceci in una percentuale variabile fino al 20% insieme alla farina di frumento per dar consistenza al tipico fritto di pesce locale. È un cibo di origine povera, ma nutriente.

PASTE CRESCIUTE

400 gr di farina
25 gr di lievito di birra
sale, pepe (facoltativo)
olio per friggere
Sciogliete, in una ciotolina, il lievito di birra con un po' d'acqua tiepida. Aggiungete un pizzico di sale, la farina e acqua tiepida, un po' alla volta, fino ad ottenere un impasto molle. Mettete la pastella a riposare, coperta da uno strofinaccio pulito, in un luogo fresco ed asciutto per circa 2 ore. Trascorso il tempo friggetela a cucchiaiate nell'olio ben caldo creando delle palline. Quando saranno cotte e ben dorate da entrambe le parti scolatele ed asciugatele sulla carta assorbente, spolverate con il sale e il pepe (se piace) e servite subito in tavola.
Le paste cresciute (pasta crisciute in napoletano) sono un prodotto tipico napoletano di friggitoria, dette anche zeppole, da non confondersi con le omonime pietanze da pasticceria.
Sono frittelle salate sferiche irregolari fatte di pastella di farina, acqua e lievito naturale. Vengono fritte in abbondante olio bollente. Si vendono nelle friggitorie tipiche di Napoli insieme ad altri prodotti caratteristici come gli scagliozzi/scuppette (fette triangolari di polenta fritte), i sciurilli (fiori di zucchini), le fette di melanzane fritte in pastella (simili alla tempura giapponese), piccoli arancini rotondi (palle di riso) e crocchè di patate.
Una variante molto apprezzata nel napoletano prevede l'aggiunta all'impasto di pezzetti di alghe di mare. Questa variante è diffusa come antipasto nei ristoranti, ma in genere non è venduta nelle friggitorie tipiche. Altre possibili aggiunte sono acciughe salate o cicenielli.

PETTOLE PUGLIESI
500 gr di farina
50 gr di lievito
12 gr di sale
300 ml di acqua tiepida
acciughe q.b.
olio per frittura q.b.
Impastate in una pentola di creta con un cucchiaio di legno la farina, il lievito, il sale e l'acqua tiepida. Lavorate per bene fino al momento in cui, seppur ancora lentamente, l'impasto si staccherà dalla pentola. Lasciate lievitare l'impasto finchè non vedrete apparire le bolle sulla superficie. Riempite una padella con un'abbondante quantità di olio e mettetelo a riscaldare sul fuoco. Con un cucchiaino bagnato di acqua, strappate dei piccoli pezzi di impasto e inseritevi all'interno un'acciuga per ognuno. Mettete le pettole a cuocere nell'olio bollente, nel quale assumeranno la forma di pallottole leggere e soffici. Le pettole devono essere belle dorate da entrambi i lati, quindi in cottura vanno girate con una pinza. Estraetele con uno stecchino dalla padella e poggiatele su della carta da cucina per far assorbire l'olio in eccesso. Servite le pettole pugliesi salate ben calde e croccanti. Le pèttole (pèttëlë a Foggia, nel Tarantino e nel Materano, scorpelle a San Severo, pèttuli nel Brindisino, pìttule nel Leccese, pèttule nel Potentino) sono pallottole di pasta lievitata molto morbida fritte nell'olio bollente, tipiche delle regioni Puglia e Basilicata. A Foggia è usanza preparare l'impasto per le pettole dal primo mattino del 24 dicembre per friggerle e consumarle ancora calde verso mezzogiorno come "spuntino" in attesa del cenone della vigilia. Come variante c'è l'aggiunta di alici sott'olio (prima della frittura) o la preparazione di vere e proprie pizzette fritte da condire con pomodoro, basilico e pecorino. Alcune famiglie ripropongono le pettole la mattina del 31 dicembre. A Monte Sant'Angelo nell'impasto si aggiungono anche delle patate lesse affinché la pettola risulti essere più morbida. A Brindisi, tradizione vuole che le pettole vengano preparate il 7 dicembre, ovvero il giorno della vigilia dell'Immacolata Concezione, per poi essere riproposte nel periodo natalizio. In molte altre località, la data di inizio della preparazione delle pettole è invece la festa dell'Immacolata Concezione, l'8 dicembre, infatti nel Salento tarantino e precisamente a Lizzano, c'è un proverbio che dice: Ti la Mmaculata la prima ffrizzulata, ti la Cannilora l'ultima frizzola, cioè: Nel giorno dell'Immacolata, la prima preparazione di pettole, nel giorno della Candelora, l'ultima. Nella zona leccese del Salento la prima frittura avviene l'11 novembre, giorno in cui si celebrano San Martino e, secondo la tradizione, la fine del periodo di fermentazione del mosto che coincide quindi con l`arrivo sulle mense del vino nuovo o novello. È costume ancora molto praticato tra i leccesi, per l'occasione, festeggiare Santu Martinu ritrovandosi tra amici e parenti, preferibilmente nelle tipiche abitazioni di campagna normalmente preposte alla villeggiatura estiva. L`usanza locale prevede il consumo, oltre che delle pittule e del vino novello, anche di carni arrostite alla brace, particolarmente di cavallo e di maiale. Nell'area di Taranto si preparano nel giorno in cui si festeggia Santa Cecilia, il 22 novembre, e a seguire durante le festività natalizie. In alcuni comuni del sud-est barese, come Rutigliano è consuetudine prepararle il giorno di Santa Caterina, il 23 novembre. Si usa ancora prepararle recitando preghiere. Questo piatto è noto a Gallipoli a partire dal 15 ottobre giorno in cui si festeggia Santa Teresa d'Avila che introduce nella stessa città il periodo natalizio. Possono essere rustiche o dolci, semplici o ripiene, e spesso vengono usate in sostituzione del pane, oppure come antipasto. In tutte le varianti, si realizzano utilizzando farina, patata, lievito di birra, acqua e sale, ma ne esiste anche una versione più semplice che non prevede l'utilizzo della patata e comunque la pasta deve risultare piuttosto fluida per poterla versare nell'olio senza fare un panetto solido destinato ad inzupparsi di olio. La forma può essere quella della "pallottola" oppure di una ciambella, come è tradizione a Ferrandina, Bernalda, Salandra e Pomarico. La ricetta tipica usata a Taranto è quella che le vede cosparse di zucchero, ma anche di sale. In altre zone della Regione è possibile degustarle ricoperte di vincotto o vincotto di fichi o miele, ma volendo si possono riempire con piccoli pezzi di baccalà lessato o di alice salata, oppure con un broccoletto di cavolo cotto a metà.

SCAGLIOZZI PUGLIESI
1500 g di acqua
380 grammi farina di mais (polenta)
120 grammi di ciccioli di maiale
120 grammi di pecorino romano a dadini
2 cucchiai di olio evo
1 cucchiaio di sale fino,
pepe
olio di semi di girasole (per friggere)
In una pentola mettere l’acqua, la polenta il sale e l’olio e cuocere a fuoco medio fino al completo assorbimento dell’acqua, girando continuamente con un cucchiaio di legno. Quando la polenta è pronta, spegnere il fuoco e aggiungere il pepe, i ciccioli di maiali e il pecorino romano tagliati a dadini; girare per qualche minuto. Trasferire la polenta ottenuta su un tagliere rotondo e aiutandosi con una spatola stenderla nello spessore di circa 1,5 cm. Lasciarla riposare per almeno un paio di ore finchè non diventa compatta. Portare a temperatura l’olio in una padella antiaderente, nel frattempo ricavare gli scagliozzi in questo modo, tagliare a metà la polenta, poi ancora a metà, finchè non avrete ottenuto 16 triangoli. Quando l’olio ha raggiunto la temperatura giusta, friggere gli scagliozzi fino a completa doratura, metterli su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso. Trasferiteli su un vassoio da polenta e aggiungere il sale e il pepe. Servire belli caldi. Gli scagliozzi sono un prodotto tipico di cucina foggiana da friggitoria anche presente nella cucina napoletana e quella toscana e barese. Sono fette di polenta, la quale generalmente viene lasciata a seccare qualche giorno dopo la preparazione per perdere un po' del suo contenuto d'acqua e poter essere fritta senza sciogliersi nell'olio bollente, tagliate a forma di piccoli triangoli, fritte in abbondante olio bollente e salate. Si vendono nelle friggitorie tipiche di Foggia. A Bari è invece tradizione trovare questa preparazione in bancarelle allestite nel centro storico, in particolare nei giorni di festa.

SCHITA
La schita è una frittella composta da acqua, farina e strutto tipica dell'Oltrepò Pavese.
Si prende una biella (ciotola), si mette un po’ di farina, un pizzico di sale e si “bagna” il tutto con l’acqua. Poi si frigge in una padella, versando il preparato fino a stenderlo in modo omogeneo su tutta la superficie. Dopo qualche minuto si gira, si attende finché è ben dorata ed è pronta per essere servita. Tipica dell'Oltrepò Pavese (dove viene anche chiamata schita d’ra nona, “la schita della nonna”) è conosciuta anche come farsùla o paradèla. In base alla tradizione, una volta fritta, viene mangiata senza nessun'altra aggiunta. Tuttavia oggi ci sono diverse versioni: dolce (aggiungendo un pizzico di zucchero oppure anche una goccia di miele) e salata. Si può accompagnare anche ai salumi locali.
100 g farina,
50 g acqua tiepida,
10 g latte,
10 g sale,
strutto per friggere
E' una ricetta povera delle terre dell'Oltrepò pavese. Unisci alla farina il latte e l'acqua tiepida a filo, mescolando in modo da non avere grumi. la consistenza dev'essere di un liquido denso (appena più denso della crepe), se la farina assorbe troppa acqua aggiungine ancora un po'. Fai scaldare lo strutto in una padella sufficientemente larga e versaci l'impasto. Se aumenti le dosi versalo con un mestolo. Aggiungere sale.

SCUGNIZZIELLI
250 gr di polenta
100 grammi di ciccioli
sale, pepe
olio (per friggere)
Preparare la polenta. Nel frattempo prendere i ciccioli, cioè grasso del maiale lavorato, tagliateli a pezzettini molto piccoli ed andate ad incorporali nella polenta ancora calda. Stendere la polenta e farla raffreddare. Con un coltello affilato ricavate dei triangoli. Friggere in padella con l’olio di semi bollente finchè non saranno ben dorati su ambo le parti, scolate su carta assorbente da cucina.
Gli scugnizzielli sono un antipasto tipico napoletano. Consiste in strisce di pasta da pizza, fritte e servite come antipasto con pomodori tagliati a tocchetti, oppure salsa di pomodoro, olio extravergine di oliva, sale e pepe. Esiste anche la variante dolce. Si tratta di una variante delle pastacresciute, con l'aggiunta del condimento.

TIRTLEN

200 g di farina bianca
200 g di farina di segale
1/8 l di latte tiepido
1 uovo
400 g di spinaci
200 g di ricotta fresca
cipolla, noce moscata, sale.
Impastare i vari ingredienti e lasciar riposare la pasta per una mezz'ora. Con la pasta tirata sottile formare quindi dei dischi di circa 10 centimetri di diametro. Riempirli con gli spinaci, richiudere bene con un altro disco e friggere in olio bollente.