Dopo 365 giorni dedicati ai PAT Liguri, dedichiamo questo 2017 ad un tour enogastronomico della cosiddetta Italia “minore”, scoprendo insieme specialità originali ma replicabilissime. Partiamo dall’Abruzzo, regione dai panorami splendidi e diversissimi: spiagge incantevoli, mare pescoso, colli con oliveti e vigneti, grandi parchi naturali su cui svetta il Gran Sasso, scenari che hanno fatto da sfondo a film come “Il nome della rosa” o “Ladyhawke”.
Sull’ideale tavola abruzzese sono presenti il pane con Farina di Solina (considerata dai fornai una delle migliori al mondo) e la Panonta (sorta di scarpetta inzuppata nel grasso fritto di pancetta, che ricorda tanto la bruschetta e la fettunta fiorentina) ad accompagnare insaccati unici, quali il fegato pazzo, la mortadella di Campotosto, il saggicciottu, il salame aquilano, la ventricina e l’annoia, e formaggi specialissimi quali il cacio marcetto (o marciotto, che tanto ricorda il sardo casu frazigu). Annaffiamo il pasto con il rosso rubino del Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Docg o del Controguerra Doc.
Chi ama le minestre delicate, assaggia le scrippelle ‘mbusse, sorta di crespelle ripiene di carne, o le virtù, minestra tipica del primo di maggio fatta di fave, fagiuoli, ceci, lenticchie, verdure, ossa, orecchi e piedi salati di maiale. Chi predilige i gusti decisi sceglie gli spaghetti alla chitarra (fatti col maccarunare, un attrezzo con corde d’acciaio su cui si stende la pasta col mattarello per ricavare spaghetti a sezione quadrata), oppure le ‘sagne, (sorta di maltagliati romboidali fatti di sola acqua, farina e sale), o i maccheroni con le ceppe (bastoncini attorno a cui vengono arrotolati per prepararli), conditi con legumi e pancetta o con ragù di agnello.
La presenza dell’Adriatico brilla nel brodetto alla vastese; nello scapece, sorta di carpione (con vino e aceto, ginepro o zafferano, pregiatissimo quello aquilano) atto ad utilizzare la porzione minuscola del pescato, altrimenti difficilmente commercializzabile; nel polpo al diavolillo, un peperoncino molto piccante, e nei roscioli, le triglie di scoglio, marinate o grigliate.
La carne ovina domina negli apprezzatissimi arrosticini, spiedini di carne di pecora o castrato, e nella pecora alla callara (o cottora), dal nome del paiolo di rame usato tradizionalmente dai pastori per cuocere le pecore morte di fatica o azzoppate o ferite, durante la transumanza. La carne suina celebra le parti meno nobili dei maiali (guanciale, musetto, orecchie, piedini) nella ‘ndocca ‘ndocca, che deve il suo nome al metodo di preparazione che prevede lo sminuzzamento preventivo delle parti animali in tanti piccoli tocchi, per consentirne meglio la lunga cottura, dopo 24 ore di marinatura con alloro, rosmarino, aglio rosso di Sulmona, peperoncino piccante diavolillo, aceto, pepe, sale.
Ad accompagnare i secondi il carciofo tardivo non spinoso Mazzaferrata di Cupello nel Vastese.
Chiudono il pasto i dolci. Cervone a Natale, che prende il nome dal serpente italiano più lungo, esistente in Abruzzo, e cerca di riprodurne la forma; Fiadone a Pasqua, un termine che sta per soffione indicando la soffice leggerezza della farcitura con ricotta di pecora.
Petits four con confetti di Sulmona (probabilmente i più celebrati del mondo) e torrone al cioccolato dell’Aquila o al miele e fichi secchi di Chieti, ovviamente sorseggiando un Aurum, delizioso brandy all’infuso d’arance, il cui nome, che porta la firma illustre di Gabriele D’Annunzio (che giocò col latino aurum, che significa oro, ed aurantium, arancio) chiude in poesia il nostro pasto.
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