COLORANTI ALIMENTARI
Colorante alimentare è un qualsiasi composto chimico (organico oppure inorganico) che possa essere usato per modificare il colore di un prodotto alimentare e pertanto è classificabile come un additivo alimentare.
Colorante alimentare è un qualsiasi composto chimico (organico oppure inorganico) che possa essere usato per modificare il colore di un prodotto alimentare e pertanto è classificabile come un additivo alimentare.
Alcuni coloranti sono sostanze naturali, altri sono sostanze naturali concentrate o modificate chimicamente, altri sono imitazioni di sintesi di sostanze naturali, altri sono totalmente artificiali e sono generalmente indicati con la sigla E100-E199, vedi la voce additivi alimentari.
Il colore dei cibi deriva dall'assorbimento delle diverse lunghezze d'onda luminose da parte di una o più sostanze coloranti naturali o artificiali, e la successiva riflessione o trasmissione di quelle lunghezze d'onda corrispondenti al colore che riusciamo a percepire in modo soggettivo (dal momento che la percezione del colore varia da persona a persona).
Coloranti naturali alimentari
Arancione: viene dato da vari tipi di carotene (dalla carota), utilizzati per esempio nel formaggio Cheddar.
Bianco: caratteristico del lardo animale (traslucida rifrangenza e riflessione di tutti colori), il colorito giallastro che può prendere è dovuto alla alta solubilità di coloranti come i caroteni, presenti nell'alimentazione dell'animale.
Giallo: nel giallo d'uovo viene dato da colesterolo e fosfolipidi.
Nero: nel ribes nigrum, il colore nero è dato soprattutto dal pigmento antociano.
Rosso: nel sangue è caratteristico dell'emoglobina, che possiede molti gruppi insaturi nel tetra-pirrolo, molecola portante della protoporfirina-eme, il sangue, imbibendole, dà colore anche alle carni.
Rosso: nella frutta (particolarmente nell'uva da vino rosso) è spesso associato a flavonoidi (come il resveratrolo, che si sono rivelati dei potenti antiossidanti utili contro l'arteriosclerosi).
Rosso pomodoro: il colore acceso dei pomodori più maturi, è dovuto al licopene (sostanza naturale con proprietà antiossidanti).
Verde: più spesso deriva dalla clorofilla, che può colorare anche l'olio extravergine.
Verde: più spesso deriva dalla clorofilla, che può colorare anche l'olio extravergine.
ADDITIVI ALIMENTARI
Nella definizione fornita dalla Direttiva del Consiglio 89/107/CEE, per additivo alimentare si intende "qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente".
Nella definizione fornita dalla Direttiva del Consiglio 89/107/CEE, per additivo alimentare si intende "qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente".
Il Regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, definisce inoltre le diverse tipologie, i quantitativi, l’ambito di applicazione e quant’altro serva a regolamentare con precisione l’utilizzo degli additivi alimentari, perché essi non costituiscano problemi per la sicurezza dei consumatori.
Come si riconoscono in etichetta?
Solo gli additivi autorizzati a livello europeo appaiono in etichetta attraverso una sigla numerica che inizia sempre con la “E” seguita, poi, da un numero costituito da tre cifre.
Nello specifico, vengono così numerati in base alla loro tipologia:
Coloranti (da E100 ad E199)
Conservanti (da E200 ad E299) il loro fine è quello di rallentare il deterioramento del cibo causato da: batteri, lieviti e muffe.
Antiossidanti (da E300 ad E322) evitano il processo di ossidazione nell'alimento.
Correttori di acidità (da E325 ad E385)
Addensanti, emulsionanti e stabilizzanti (da E400 ad E495)
Aromatizzanti, donano agli alimenti specifici odori e sapori. La legge italiana prevede la loro indicazione in etichetta in modo generico come aromi.
Additivo impiegato in ambito alimentare
Un additivo, per essere impiegato nel settore alimentare, deve essere ammesso e inserito nell’elenco delle sostanze approvate dal Comitato Scientifico dell’Unione Europea. La possibilità di entrare nella suddetta lista è vincolata da diversi elementi: superamento della valutazione di sicurezza, prove tossicologiche, osservazione di test condotti su animali e poi su uomini. In laboratorio, sulle cavie, sono condotti test su più generazioni, dunque devono trascorrere lunghi periodi prima che una sostanza possa essere dichiarata sicura.
Additivo incluso negli elenchi della UE
Un additivo, per essere incluso nel settore alimentare deve soddisfare le condizioni di seguito riportate:
• fattori ambientali: in base ai dati scientifici disponibili sul prodotto in oggetto, il tipo d’impiego proposto non evidenza problemi di sicurezza per la salute umana;
• il suo impiego è da considerarsi una necessità tecnica;
• il suo impiego non inganna in alcun modo i consumatori.
Un additivo alimentare deve inoltre presentare vantaggi e benefici per i consumatori e dunque sarà incluso negli elenchi comunitari solo se contribuisce al raggiungimento di uno o più dei seguenti obiettivi:
• la qualità nutrizionale degli alimenti deve essere conservata;
• aumentare la capacità di conservazione di un alimento;
• aumentare la stabilità di un alimento e/o migliorarne le proprietà organolettiche, senza però alterarne la natura.
Un additivo alimentare può eventualmente ridurre la qualità nutrizionale di un alimento ed essere incluso nell’elenco comunitario solo se:
• l’alimento non rappresenta un componente importante di una dieta normale;
• l’additivo alimentare è necessario per produrre alimenti “speciali” destinati a diete particolari.
Cosa per legge è da non considerarsi additivo alimentare
• monosaccaridi, disaccaridi od oligosaccaridi e tutti gli alimenti contenenti queste
sostanze impiegate per le proprietà dolcificanti;
• gli alimenti, essiccati e concentrati, introdotti durante la fabbricazione di alimenti che
abbiano poi un effetto colorante secondario;
• le sostanze utilizzate per i materiali di copertura o di rivestimento, che non fanno parte
degli alimenti e non sono consumati con i medesimi;
• i prodotti che contengono pectina derivati dalla polpa di mela essiccata o anche dalla
scorza di agrumi o cotogni, (“pectina liquida”);
• le basi utilizzate per la gomma da masticare;
• la destrina bianca o gialla;
• l’amido arrostito o destrinizzato;
• l’amido modificato mediante trattamento acido o alcalino;
• l’amido bianchito;
• l’amido trattato con enzimi amilolitici;
• il cloruro d’ammonio;
• il plasma sanguigno;
• la gelatina alimentare;
• le proteine idrolizzate e i loro Sali;
• le proteine del latte;
• il glutine;
• gli amminoacidi e i loro sali diversi dall’acido glutammico (glicina, cisteina, cistina e i loro sali);
• i caseinati e la caseina;
• l’inulina.
Soglia massima di consumo
A seguito dei test effettuati e dei loro risultati, l’Unione Europea definisce la soglia massima di consumo di un additivo alimentare; si tratta della quantità che il corpo umano può assumere senza che si evidenzino effetti collaterali e di sorta, soprattutto senza avere problemi a livello tossicologico evidenti e dimostrabili. È stata definita “livello effetto zero”.
Dose giornaliera ammissibile
La Dga ovvero la dose giornaliera ammissibile è la quantità di un additivo che l’essere umano può introdurre ogni giorno attraverso la dieta alimentare senza avere nessun rischio per tutto l’arco della vita; essa è più bassa del “livello effetto zero”.
Si tratta di un calcolo basato su un margine di sicurezza molto ampio, per tutelare la salute del consumatore, dunque ha carattere ovviamente preventivo, considerando le differenze possibili tra i dati provenienti dai test condotti sugli animali e quelli condotti su uomini e anche le possibili differenze tra uomo e uomo.
I coloranti
La categoria funzionale dei coloranti è parte dell’elenco comunitario degli additivi alimentari.
L’uso dei coloranti rossi, in particolare, è stato più di altri oggetto di verifiche da parte dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) a seguito di uno studio condotto dall’università di Southampton in Gran Bretagna dal quale emergeva che sei coloranti - E104, E110, E124, E102, E122, E129 - potevano favorire l’iperattività nei bambini. Il risultati di tali verifiche è che le dosi di alcuni coloranti sono state ufficialmente ridotte per il loro utilizzo in ambito alimentare.
L’importanza di monitorare costantemente l’utilizzo dei coloranti rossi deriva dal fatto che si tratta di additivi presenti in moltissimi cibi e bevande, tra i quali i prodotti a base di frutta, gelatine, caramelle e dolciumi vari, molto graditi dai bambini.
Tra i coloranti anche i coloranti caramello sono sotto la lente attenta dell’Efsa: si tratta di quattro miscele di sostanze derivanti da zuccheri trattati termicamente, da qui il tipico colore “marrone” con varie sfumature. In etichetta, i coloranti caramello sono indicati con la sigla E150 seguita da lettere minuscole (a, b, c, d), ogni lettera sta ad indicare il tipo differente di reagente impiegato durante la loro produzione, ad esempio ammoniaca, solfiti ecc.
Si usano moltissimo in ambito alimentare poiché donano le sfumature marroni più o meno intense richieste in alcune bevande aromatiche (chinotti ad esempio, ma anche cole) analcoliche, per diverse tipologie di prodotti dolciari, zuppe, condimenti come aceti
balsamici, birra ecc.
Si tratta di prodotti che, secondo l’opinione degli esperti scientifici dell’Efsa, non causano modificazioni nella struttura del Dna delle cellule, ma è stata stabilita una dose minima giornaliera accettabile che è di 300 mg per kg di peso, di cui possono provenire dal caramello E150c al massimo 100 mg. È utile sapere che il superamento di tali limiti può verificarsi facilmente, con un consumo elevato e quotidiano di caramelle, dolci, bevande zuccherate, soft drink ecc.
Coadiuvante tecnologico
Qualsiasi sostanza che non è consumata come un alimento in sé, che è stata intenzionalmente utilizzata nella trasformazione di materie prime e che può causare la presenza, anche non intenzionale, di residui della suddetta sostanza: tali residui non devono assolutamente rappresentare un rischio per la salute e non devono avere effetti tecnologici sul prodotto al termine della sua produzione.
Principali definizioni in etichetta
- alimento senza zuccheri aggiunti.
Si applica su quegli alimenti che nella loro composizione non hanno alcuna aggiunta di monosaccaridi o disaccaridi;
- alimento a ridotto contenuto calorico.
Alimento con contenuto calorico ridotto di almeno il 30 % rispetto all’alimento analogo o originario.
- edulcoranti da tavola.
Ci si riferisce alle preparazioni di edulcoranti autorizzati, i quali possono contenere altri additivi e/o ingredienti alimentari, sono destinati a alla vendita come sostituto degli zuccheri.
- quantum satis.
Non è specificata una quantità numerica massima, le sostanze sono utilizzate conformemente alle buone pratiche di fabbricazione.
- edulcoranti.
Sostanze che danno un sapore dolce agli alimenti
- coloranti.
Sostanze che danno un colore a un alimento o ne restituiscono la colorazione originaria, in essi vi sono componenti naturali degli alimenti normalmente non consumati. Sono coloranti tutte quelle preparazioni ricavate da alimenti e materiali commestibili di origine naturale ottenuti attraverso procedimento fisico e/o chimico che permetta l’estrazione selettiva dei pigmenti.
- conservanti.
Sostanze utilizzate per prolungare la durata di conservazione degli alimenti proteggendoli dal deterioramento provocato da microorganismi e/o dalla proliferazione di microrganismi patogeni.
- antiossidanti.
Anch’essi, come i conservanti, prolungano la durata di conservazione degli alimenti evitando il deterioramento provocato dall’ossidazione; un esempio di ossidazione è l’irrancidimento dei grassi.
- supporti.
Si tratta di sostanze impiegate per sciogliere, diluire, disperdere, modificare fisicamente un additivo alimentare oppure un aroma, un enzima alimentare o, ancora, un nutriente aggiunti agli alimenti. Essi non ne alterano la funzione (e ovviamente non hanno effetto tecnologico). Tutto ciò serve per rendere più facile la manipolazione del prodotto alimentare.
- acidificanti.
La loro peculiarità è quella di aumentare l’acidità di un prodotto alimentare e al contempo aumentano il sapore aspro.
- regolatori dell’acidità.
Sostanze in grado di modificare e controllare l’acidità o l’alcalinità di un alimento.
- antiagglomeranti.
Riducono la tendenza delle particelle di un prodotto alimentare ad agglomerarsi l’una all’altra.
- agenti antischiumogeni.
La loro funzione è quella di impedire o comunque ridurre la formazione di schiuma.
- agenti schiumogeni.
Permettono la dispersione omogenea di una fase gassosa in un liquido o solido alimentare.
- agenti di carica.
Sostanze che contribuiscono ad aumentare il volume di un prodotto alimentare senza contribuire in modo significativo al suo valore energetico disponibile.
- emulsionanti.
Permettono la formazione e il mantenimento di una miscela omogenea di sostanze normalmente non miscibili tra loro come ad esempio olio e acqua.
- sali di fusione.
Sostanze la cui finalità è quella di disperdere le proteine del formaggio permettendo in questo modo la distribuzione omogenea dei lipidi e degli altri componenti. Molto usati nei formaggi fusi come le sottilette.
- agenti di resistenza.
Sostanze che mantengono croccanti i tessuti dei frutti o della verdura in generale, permettono ad un gel di rimanere tale.
- esaltatori di sapidità.
Esaltano il sapore e la fragranza di un prodotto alimentare, ad
esempio il glutammato monopodico.
- agenti gelificanti.
Conferiscono consistenza ad un prodotto alimentare grazie alla
formazione di un gel.
- agenti di rivestimento (inclusi gli agenti lubrificanti).
Sostanze che, quando vengono applicate alla superficie esterna di un prodotto alimentare, gli conferiscono un aspetto brillante o forniscono un rivestimento protettivo.
- agenti umidificanti.
Impediscono l’essiccazione degli alimenti.
- amidi modificati.
Si ottengono attraverso uno o più trattamenti chimici di amidi
alimentari.
- gas d’imballaggio.
Gas differenti dall’aria introdotti in un contenitore prima, durante o dopo aver introdotto in tale contenitore un prodotto alimentare.
- agenti lievitanti.
Sostanze che liberano gas aumentando il volume di un impasto o pastella.
- agenti sequestranti.
Formano complessi chimici con ioni metallici.
- stabilizzanti.
Rendono possibile il mantenimento dello stato fisico-chimico di un prodotto alimentare.
- addensanti.
Aumentano la viscosità di un prodotto alimentare
PACKAGING
Ogni qualvolta si esce da un supermercato o da una rivendita di alimentari dopo una spesa si riportano a casa, oltre al cibo e ad acquisti di altra natura, anche i diversi imballaggi necessari al trasporto. Ma davvero tutti gli imballaggi sono necessari? E in quale misura? Come sono cambiati nel tempo, quali sono i materiali con i quali vengono confezionati e qual è il loro impatto ambientale?
Ogni qualvolta si esce da un supermercato o da una rivendita di alimentari dopo una spesa si riportano a casa, oltre al cibo e ad acquisti di altra natura, anche i diversi imballaggi necessari al trasporto. Ma davvero tutti gli imballaggi sono necessari? E in quale misura? Come sono cambiati nel tempo, quali sono i materiali con i quali vengono confezionati e qual è il loro impatto ambientale?
Si risponderà qui a queste e ad altre domande legate a quello che oggi viene tecnicamente chiamato packaging, parola di origine anglosassone che si riferisce non solo alla parte materiale dell’imballaggio ma anche a tutto ciò che concerne agli aspetti produttivi, estetici e di marketing.
Gli imballaggi sono nati insieme alla pratica del trasporto, nella necessità di proteggere merce delicata o deperibile, alimentare e non, durante uno spostamento più o meno lungo in cui sollecitazioni varie, eventuali urti o cambi di temperatura potessero in qualche modo deteriorala, romperla e compromettere quindi poi la vendita.
Già nell’antica Roma, si usavano anfore in cotto, un materiale perfetto e igienico che permetteva il trasporto nella vasta area del Mediterraneo di alimenti molto delicati e deperibili quali ad esempio olio, frumento e vino. Prima di allora, la stessa natura aveva suggerito la necessità di una protezione all’interno di contenitori speciali: il guscio delle uova, il riccio delle castagne, la dura corazza del cocco, la spinosa protezione del fico d’india, la resistente conchiglia di cozze o di vongole, il guscio delle noci o delle mandorle, o il caldo marsupio con cui i canguri ospitano i propri cuccioli sono tutte forme “naturali” di imballaggio.
Ci sono poi voluti diversi secoli perché le scoperte dell’uomo ispirassero via via nuove tipologie di imballaggio, dalla semplice carta, al cartone, al legno, alla plastica, al polistirolo, ai fogli di alluminio ecc.
Imballaggi: definizione e legge
Per imballaggio si intende un prodotto che può essere costituito da materiali di natura diversa che ha lo scopo di contenere e proteggere le merci, le materie prime o i prodotti finiti in modo da consentirne la manipolazione e la diretta consegna al consumatore finale. A tal fine l’imballaggio dovrà essere sicuro, pratico, economico, facilmente riciclabile.
Sugli imballaggi esistono leggi e norme alle quali i produttori si devono attenere, in particolare l’ex decreto legislativo Ronchi 22/1997(art. 35, lett. a), ora art. 218 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante Norme in materia ambientale, in base al quale vi è stata la
precisazione di tre tipologie di packaging indipendentemente dal materiale di cui possono essere fatti.
L’imballaggio primario: si riferisce all’imballaggio della singola unità di vendita; la bottiglia di acqua, la scatola di acciughe, il flacone dell’ammorbidente, di shampoo, ecc. In sintesi, si tratta di un imballaggio destinato in modo diretto al consumatore finale.
L’imballaggio secondario: è la confezione che include un certo numero di unità di vendita. Una volta eliminato, rivelerà comunque l’imballaggio primario. Sono esempi di imballaggio secondario: il film che avvolge la confezione da 6 bottiglie di acqua, la confezione in cartoncino che avvolge le 3 scatolette di tonno, la confezione che contiene le merendine, il cartoncino che chiude le due lattine di birra ecc. In questo caso si tratta di una tipologia di imballaggio da destinarsi o al consumatore finale oppure al rivenditore.
L’imballaggio terziario: è quello che consente il trasporto di un grosso numero di unità di vendita, ad esempio il bancale o il “pallet” sul quale si impilano le confezioni di acqua, o le grandi cassette di plastica che contengono le mele sfuse. Questo genere di imballaggio non è quasi mai reso disponibile al consumatore finale poiché canalizzato solo verso l’esterno della catena di distribuzione, restando nello stoccaggio.
Materiali maggiormente usati per gli imballaggi
Cartone
Si tratta di un materiale cartaceo le cui peculiarità sono rappresentate sia dallo spessore che dalla pesantezza, normalmente formato da uno strato ondulato centrale e da due fogli piani laterali.
Prodotto inizialmente in Cina nel XV secolo, fu poi solo nel 1817 utilizzato in Europa e più specificatamente in Inghilterra per produrre le prime scatole di cartone ad uso commerciale.
Il confine e la differenza tra la carta e il cartone è per convenzione posta a 224 g/m² con uno spessore di almeno 175 mm ; dal punto di vista delle proprietà meccaniche e ottiche del cartone sono racchiuse nello standard ISO 5651:1989. Esistono varie tipologie di cartone:
• Cartone piano o cartoncino
• Cartone ad onda semplice (due fogli esterni ed uno ondulato interno).
• Cartone ad onda doppia (tre fogli, di cui due esterni ed uno centrale e tra questi due fogli ondulati).
I fogli esterni possono essere composti da diverse carte:
• Kraftliner (simbolo K)
• Liner (simbolo L)
• Test (simbolo T)
• Camoscio (simbolo S)
Il foglio ondulato interno, invece, può essere:
• Semichimica (simbolo S)
• Medium (simbolo M)
• Fluting (simbolo F)
È utile sapere che per produrre una tonnellata di carta c’è bisogno di circa 15 alberi con un consumo di acqua pari a 440.000 litri , mentre per produrre la stessa quantità di carta riciclata non serve nessun albero e si consumano meno di 1900 litri di acqua. Ecco quindi che indirizzare gli acquisti verso imballaggi riciclati è un segno di sensibilizzazione nei riguardi dell’ambiente e una scelta consapevole ed etica.
Tetra Pak; un imballaggio rivoluzionario
Il Tetra Pak è un materiale molto usato come imballaggio primario per prodotti come succhi di frutta, latte pastorizzato fresco, ecc.
La sua invenzione è attribuita allo svedese Ruben Rausing. Nato nel 1895 a Helsingborg, egli si laureò in Economia e poi si trasferì negli Stati Uniti dove studiò alla Columbia University e qui convogliò i suoi interessi per un settore all’epoca pioneristico come quello degli imballaggi. Appreso quanto c’era da sapere al riguardo, fece ritorno in Svezia e lì, insieme ad un amico, fondò l’Akelund & Rausing, una ditta specializzata in imballaggi.
La sua idea era che l’imballaggio dovesse proteggere il contenuto e nello stesso tempo essere leggero, economico e rendere facile il trasporto. All’epoca il latte, uno degli alimenti più largamente diffusi e consumati al mondo, veniva unicamente trasportato all’interno di bottiglie di vetro, materiale sì igienico ma fragile, per di più pesante e non impilabile. Ecco quindi che Rausing, nel 1943, ideò un contenitore rivoluzionario: una carta speciale per contenere il latte, capace di ostacolare la sua dispersione e atta a proteggerlo dall’aria, naturale apportatrice di potenziali e pericolosi batteri, grazie anche alla presenza, all’interno, di un sottile strato di particolare plastica. In seguito, un collaboratore di Rausing propose una strana forma di imballaggio, a metà tra una piramide e un tetraedro, maneggevole, pratica e sicura dal punto di vista igienico, costituita da un materiale asettico e poco costoso.
Nel 1944 fu depositato il brevetto di Tetra Classic e nel 1950 fu fondata l’AB Tetra Pak, prima azienda al mondo per la produzione del Tetra Pak, un materiale destinato all’industria alimentare ed utilizzato, oltre che per il latte, anche per succhi di frutta, passate di verdure, tuorli di uovo pastorizzati, vino ecc. L’azienda è ancora oggi leader assoluto del settore, con più di 20.000 persone impiegate, oltre 100 miliardi di contenitori prodotti ogni anno e quasi 80 uffici commerciali disseminati sul globo.
Il contenitore Tetra Pak è costituito:
75% di carta, 20% da polietilene, 5% da alluminio.
PlasticaIn commercio esistono moltissimi tipi di plastica utilizzati per contenere cibi e bevande; tra gli ultimi contenitori ad essere stati prodotti e commercializzati, quelli adatti ad essere introdotti nei forni a microonde.
Per riconoscere questi ultimi, viene utilizzato il seguente simbolo:
Costituito da tre onde stilizzate, geometricamente sovrapposte le une sulle altre; il simbolo sta quindi ad indicare che il contenitore è adatto all'uso nel forno a microonde, aggiungendovi anche alcune specifiche quali:
• NO LID = senza coperchio
• 400W = la potenza massima che si può programmare sul forno per quel tipo di contenitore.
Tornando alla plastica è bene sapere che moltissimi contenitori prodotti con tale materiale sono riciclabili. Per verificarlo, bisogna sapere leggere i diversi simboli che vi vengono riportati: la sigla PET indica per l'appunto che si tratta da materiali riciclabili e che dunque possono essere buttati nei cassonetti riservati alla plastica. Dove invece non bisogna buttare, ad esempio, le stoviglie in plastica usa e getta, specialmente se sporche.
Di seguito si riporta uno schema dei simboli riportati sui diversi imballaggi dei prodotti disponibili sul mercato, per comprendere come riconoscere i materiali e regolarsi nella raccolta differenziata. Si tratta di simbologie denominate universalmente come International Universal Recycling Codes (Codici universali internazionali di riciclaggio).
LEGGERE LE ETICHETTE
Siamo al supermercato e con la lista della spesa in mano, decidiamo di ripristinare la nostra dispensa, intanto il carrello della spesa si riempie di svariate confezioni diverse per forma, grandezza e colore. Conosciamo esattamente ciò che stiamo acquistando, la sua composizione, l'origine ...in buona sostanza, leggiamo l'etichetta?
La risposta è molto spesso no! Leggere l'etichetta è uno strumento che il consumatore può utilizzare per conoscere tutto ciò che è contenuto in quel determinato prodotto, dunque la lista degli ingredienti, la tabella nutrizionale, i termini di scadenza, le modalità di conservazione e la provenienza del prodotto. Il suo scopo è quello di tutelare e informare l'acquirente in modo corretto e il più possibile trasparente; dal 1982 per legge l'etichetta deve riportare l'elenco degli ingredienti con nome specifico leggibile. Il governo ha poi emanato il D lgs 27/01/92 n. 109 che è il testo vigente secondo il quale devono essere riportate le seguenti indicazioni:
· Nome del prodotto
· Elenco degli ingredienti
· Quantitativo (peso netto/peso sgocciolato)
· Termini di scadenza
· Azienda produttrice
· Lotto di appartenenza
· Modalità di conservazione e eventualmente utilizzo
Al contempo un'etichetta non deve mai indurre in errore sulle caratteristiche del prodotto, sulla sua natura, origine, qualità, ecc. A questo proposito è bene considerare l'aspetto legato alle immagini utilizzate per completare la confezione e la pubblicità del prodotto venduto. Si tratta di "libere immagini", cioè di contorni "pittorici" scelti dall'azienda per richiamare l'attenzione del consumatore. E' comunque specificato in dicitura accanto alla foto che si tratta, appunto, di un'immagine che richiama il prodotto in questione, con il solo scopo di proporcelo esteticamente più interessante.
Per quanto concerne gli ingredienti, l'ordine in cui appaiono in etichetta non è assolutamente casuale ma è decrescente in relazione al peso, quindi il primo è quello quantitativamente più rappresentato e via via seguiranno gli altri. Per fare un esempio pratico: su una confezione di biscotti al miele gli ingredienti sono: farina di grano tenero, uova, miele, zucchero ovviamente sarà quantitativamente più presente il miele che lo zucchero.
Il consiglio è dunque quello di leggere molto attentamente l'etichetta e dunque tutti gli ingredienti in essa contenuti, è particolarmente importante per chi presenta problemi allergici, poiché potrà ponderare la sua scelta e conseguentemente il suo acquisto.
Il termine peso sgocciolato indica che: l'alimento solido è immerso in un liquido, quindi deve esserne indicata la quantità peso sgocciolato oltre al peso netto.
Per quanto concerne la scadenza è bene fare subito molta chiarezza. La data di scadenza è un elemento fondamentale per organizzare e controllare la nostra dispensa. Un piccolo aiuto:
· da consumarsi preferibilmente entro…; fino a quella data il prodotto garantisce le sue proprietà, ma può essere consumato anche per un breve periodo successivo alla data indicata: ad esempio per la pasta o il riso si applica questa dicitura;
· da consumarsi entro: va consumato assolutamente entro quella data e non oltre. Ad esempio per il latte, lo yogurt, i formaggi freschi.
La data può apparire:
gg/mese = per prodotti che si conservano per meno di tre mesi. Esempio latte, mozzarelle, yogurt
· mese/anno = per prodotti che si conservano per più di tre mesi ma per meno di 18 mesi. Esempio pasta all'uovo, biscotti, merendine, maionese.
· Anno = per prodotti che si conservano per almeno 18 mesi. Esempio pelati in scatola, piselli e tonno in scatola, olive in salamoia.
Se leggete un'etichetta che riporta la dicitura "gnocchi di patate"; le patate sono, effettivamente, l'ingrediente principale, mentre se la scritta riporta "gnocchi con patate": è molto probabile che al primo posto troverete farina di grano tenero, e poi le patate.
Ultimamente si dà sempre maggiore importanza alla tracciabilità e alla sicurezza alimentare ad esempio nel settore ortofrutticolo è entrata in vigore a partire dal 15/02/2003 un decreto legislativo (Dlgs/306/02) che dispone l'applicazione di una carta d'identità da applicare alla frutta e alla verdura. Si tratta di cartellini da esporre sulla merce in vendita i quali devono riportare: natura del prodotto, sua origine, varietà, categoria ecc.
Altro elemento interessante è il codice a barre (composto da un insieme di barre, lineette nere) attraverso il quale si risale alla provenienza nazionale ecco alcuni esempi: 80 Italia, 30 Francia, 57 Danimarca, 73 Svezia, 400 Germania, 76 Svizzera, 45/49 Giappone, 87 Olanda, 90 Norvegia.
Ogni confezione è fabbricata utilizzando uno specifico materiale vediamo qualche esempio: CA = cartone, AL = alluminio, PVC = polivinilcloruro, ACC = banda stagnata.
Tutte queste indicazioni sono utili per poter smaltire e differenziare correttamente i rifiuti.
Essere informati attraverso la lettura delle etichette ci permette di conoscere meglio gli alimenti che consumiamo e acquisire una maggiore consapevolezza sulla loro provenienza e tracciabilità.
CALENDARIO STAGIONALE VERDURE
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