lunedì 13 marzo 2023

CONOSCERE I FRUTTI DI BOSCO ED I PICCOLI FRUTTI

I frutti di bosco sono una categoria di frutta che si sviluppa nel particolare clima umido del sottobosco.
Gelso nero (Morus nigra)
Gelso rosso (Morus rubra)
Gelso bianco (Morus alba)
Corniolo (cornus mas)
Uva spina (Ribes uva-crispa)
Crespino (berberis vulgaris)
Sambuco nero (Sambucus nigra)
Pero corvino (Amelanchier ovalis)
Amelanchier canadensis
Marasca (Prunus cerasus var. marasca)
Amarena (Prunus cerasus var. amarena)
Visciola (Prunus cerasus var. austera)
Fragola di bosco (Fragaria vesca)
Lampone (Rubus idaeus)
Mirtillo nero (Vaccinium myrtillus)
Mora (Rubus ulmifolius)
Mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea)
Ossicocco o Mortella (Vaccinium oxycoccos)
Ossicocco americano (Vaccinium macrocarpon)
Ribes nero (Ribes nigrum)
Ribes rosso (Ribes rubrum)
Ribes bianco (Ribes sativum)
Corbezzolo (Arbutus unedo)

Per fragola si intendono i frutti (in realtà si tratta di un frutto aggregato) delle piante del genere Fragaria a cui appartengono molte specie differenti.
Comunemente con questo termine si intende la parte edule della pianta: anche se le fragole sono considerate dei frutti dal punto di vista nutrizionale, non lo sono dal punto di vista botanico: i frutti veri e propri sono i cosiddetti acheni ossia i semini gialli che si vedono sulla superficie della fragola. La fragola viene considerata come un frutto aggregato perché non è altro che il ricettacolo ingrossato di un'infiorescenza, posizionata di norma su un apposito stelo.
La pianta, al di fuori del sistema riproduttivo, ha sistemi di moltiplicazione non sessuale, come lo stolone, ramificazione laterale radicante per mezzo della quale può produrre nuovi cespi che sono di fatto cloni dello stesso individuo vegetale. Le fragole oggi comunemente coltivate sono ibridi derivanti dall'incrocio tra varietà europee e varietà americane.
Dotate di un buon contenuto calorico a causa dell'elevato tenore zuccherino, le fragole rappresentano una eccellente fonte di vitamina C e di flavonoidi. Della famiglia dei flavonoidi fanno parte gli antociani, i quali sembrerebbero essere responsabili delle potenziali caratteristiche anti-infiammatorie delle fragole.
Varietà
Oltre alle fragole selvatiche esistono numerosissime varietà di fragole coltivate , a cui ogni anno se ne aggiungono di nuove , alcuni esempi :
"Belrubi", di forma allungata
"Pocahontas", di forma rotonda
"Gorella", a forma di cuore
"Carezza", a forma conica regolare, di grandi dimensioni
"Alba", forma conica allungata, lucida, ottima produzione, maturazione precoce
"Roxana", colore rosso intenso, ottima produzione, maturazione medio tardiva
"Arosa", fragola rustica, forma rotondeggiante, resistente al tatto, media produzione
"Darselect", colore rosso intenso, di grandi dimensioni, dal sapore molto dolce e un aroma da vera fragola.
Sabrosa", varietà nata in Spagna da incroci naturali. È adatta al clima Mediterraneo. Il frutto ha forma conica allungata e di colore rosso brillante. Il calibro è di dimensioni medio-gradi. Ciascuna fragola pesa in media 22-23 g. La polpa è rossa e croccante (durezza media ≥ 350 g/cm2). È una fragola aromatica e molto zuccherina (°Bx ≥ 7,5). Il sapore e l'aroma sono intensi. Dolcezza e acidità sono ben bilanciate. Il periodo della raccolta è da gennaio a giugno.

Ribes (Ribes sativum L.) è l'unico genere della famiglia delle Grossulariaceae. Il genere Ribes è diffuso in quasi tutta l'Europa e in gran parte del Nordamerica. È presente anche in tutta l'Asia a nord di una linea che collega il Caucaso al Giappone meridionale, in aree ristrette del Nordafrica e lungo le Ande fino alla Terra del Fuoco.
Il Ribes nigrum (comunemente detto ribes nero, talvolta cassis) è una pianta della famiglia delle Grossulariaceae. Oltre al ribes nero, esiste anche il ribes rosso. È un arbusto originario delle zone montuose dell'Eurasia, alto fino a 2 metri con fogliame deciduo e fusti ramosi. La corteccia è liscia, da chiara a rossastra nei fusti giovani, mentre diviene scura nei fusti vecchi. Le foglie sono grandi, piane, picciolate, con tre - cinque lobi, apice acuto e margine dentato. La pagina inferiore, coperta da un leggero tomento, è ricca di ghiandole giallastre dalle quali emana un caratteristico odore. I fiori appaiono in primavera, raccolti in racemi pendenti, sono pentameri, di colore verde-biancastro, poco appariscenti. I frutti, delle bacche nere globose ricche di semi con all'apice le vestigia del fiore, compaiono in agosto-settembre. Si differenzia molto dal ribes rosso per il colore, l'aroma e sapore e destinazione dei frutti. Le foglie, le gemme ed i frutti sono intensamente profumati per la presenza di ghiandole contenenti oli essenziali. Il ribes nero viene coltivato prevalentemente a scopo alimentare, ma negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede la finalità terapeutica. Il terreno deve presentare del calcare attivo e si deve apportare un ottimo quantitativo di potassio, essendo una specie potassiofila. La distanza consigliata tra le file è di 3 metri mentre sulla fila è sufficiente lasciare 1,5 m tra un individuo e l'altro. La moltiplicazione della specie avviene principalmente per talea di ramo. Salvo particolari condizioni non necessita di interventi irrigui. Tenendo presente che il ribes fruttifica prevalentemente sui rami di un anno e poco su quelli corti e inseriti su legno vecchio, l'operazione di potatura deve essere rivolta ad assicurare il rinnovo delle vegetazione.
Usi Alimentari
È alla base della Crème de cassis (cassis è il nome francese del ribes nero), un liquore a 20 % vol con cui si prepara il kir, con l'aggiunta di vino bianco.
Il ribes bianco (Ribes sativum (Rchb.) Syme) è una pianta apparente alla famiglia delle Grossulariaceae.
La pianta viene coltivata prevalentemente a scopo alimentare, ma negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede la finalità terapeutica. Il ribes bianco può essere coltivato a controspallina con palatura e filo di ferro, ponendo le piante a 2 m di distanza una dall'altra. La moltiplicazione della specie avviene principalmente per talea di ramo. Salvo particolari condizioni non necessita di interventi irrigui.
Il ribes bianco, rispetto al ribes rosso e al ribes nero ha un sapore più dolce e ha pochi nutrienti, ma è comunque una fonte eccellente di vitamina C e di Vitamina B6.

Vaccinium è un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Ericacee, i cui frutti sono comunemente noti come mirtilli. I mirtilli sono piccoli arbusti. Il gigante tra i mirtilli, il Vaccinium arboreum del Nordamerica, è un piccolo albero, che può arrivare a 9 m. Altri mirtilli sono arbusti che superano il metro, mentre molti (tutti quelli presenti in Italia) sono di piccole dimensioni o addirittura striscianti. Il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) fiorisce in maggio e fruttifica in luglio-agosto, ha foglie ovali e frutti bluastri, che si consumano freschi o trasformati in marmellata. Il mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea) ha foglie coriacee sempreverdi, con fiori bianchi o rosa, riuniti in grappoli terminali; produce bacche rosse commestibili ma amarognole, anch'esse adatte ad essere trasformate in marmellata.
I fiori hanno una forma tipica a orcio rovesciato, con petali saldati tra loro. Questa forma è comune a tutte le Ericaceae. I frutti hanno l'aspetto di bacche, ma in realtà sono false bacche, come le banane e i cocomeri, perché si originano - oltre che dall'ovario - da sepali, petali e stami.
La maggior parte delle specie vive nell'emisfero settentrionale e soprattutto in climi temperati e freddi, ma non mancano mirtilli propri di aree tropicali come le Hawaii, il Madagascar, Giava. In Italia il genere Vaccinium cresce allo stato spontaneo sui monti del Centro e del Nord.
Produzione
Uso alimentare
Molte specie di mirtilli producono bacche commestibili, più o meno aspre secondo la specie e il grado di maturazione. Tra le altre, citiamo il mirtillo nero (il più usato) e il mirtillo rosso.
Il mirtillo, in generale, contiene discrete quantità di acidi organici (citrico, malico, etc.), zuccheri, pectine, tannini, mirtillina (glucoside colorante), antocianine, vitamine A e C e, in quantità minore, vitamina B. Si sottolinea l'influenza favorevole delle antocianine sui capillari della retina e su tutti gli altri capillari in generale. Il succo di mirtillo è consumato sempre di più per via delle sue proprietà benefiche.

Il mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea L.) è un piccolo arbusto sempreverde della famiglia delle Ericaceae. I frutti, di colore rosso come indicato dal nome comune, sono commestibili. Da notare che non si tratta del Vaccinium macrocarpon (ossicocco o cranberry in inglese) né della mortella di palude con cui viene spesso confuso. L'habitat originario della specie è quello delle foreste circumboreali dell'Eurasia settentrionale e del Nord America, e si estende dall'area temperata fino ai climi subartici. La pianta si presenta in forma di cespugli polloniferi semilignei, con fusto perenne e steli striscianti a sviluppo orizzontale (stoloni), lunghi fino a 2 metri. Nelle aree paludose danno origine a fitti intrecci di tralci e radici. Le foglie sono piccole e ovali, di colore verde brillante nella pagina superiore, più pallido nella pagina inferiore. I getti verticali (5-8 cm) che si sviluppano dalle gemme sugli stoloni, possono essere vegetativi o dare origine al frutto.
I fiori sono bianco-rosati, a forma di campanula, rivolti verso il suolo. Sono formati da 4 petali ricurvati all'indietro e possono trovarsi singoli o a piccoli grappoli. Fioriscono nella seconda metà dell'estate. I frutti sono bacche tonde, di 0,5-1 cm di diametro, la buccia è lucida e dura, di colore rosso brillante che con la maturazione volge al rosso scuro. La polpa è densa, ricca di semi, di gusto acidulo e astringente per l'elevato contenuto di tannini, che conferiscono al mirtillo proprietà antiossidanti. Oltre che nell'industria alimentare, la bacca viene utilizzata nell'industria cosmetica sotto forma di saponi, profumi, creme, e nell'industria farmaceutica che sfrutta le proprietà antiossidanti e antibatteriche dei suoi componenti.

L'uva spina (Ribes uva-crispa L.) è una pianta della famiglia Grossulariaceae. L'uva spina è un arbusto spinoso a rami intricati, alto 50-150 cm. La sua forma biologica è NP - nano-fanerofita, cioè pianta legnosa con gemme perennanti poste tra 20 cm e 2 m dal suolo. Ha foglie lobate, senza stipole, di pelosità variabile. I fiori, solitari o a racemo di 2-3 fiori, hanno un breve peduncolo. Il calice è formato da cinque sepali giallo-verdi, gialli o porporini, di 5-7 mm. La corolla è formata da cinque petali minori dei sepali, alternati ad essi. Il fiore ha 5 stami epipetali (disposti in corrispondenza dei petali). L'ovario è infero, con uno stilo bifido. Il frutto è una bacca con numerosi semi, di dimensione e pelosità variabile. L'uva spina è una pianta eurasiatica, diffusa dall'Europa al Giappone. In Italia è comune sulle Alpi e sull'Appennino centro-settentrionale, fino al Molise. Cresce nei boschi e nelle radure di montagna, dai 100 ai 1600 m di quota.
Il frutto è commestibile e aromatico, la pianta viene coltivata soprattutto nell'Europa centrale e, in parte, anche in Italia.
lampone
Il lampone (Rubus idaeus, L. 1753) è un arbusto della famiglia delle Rosaceae, il cui omonimo frutto, di colore rosso e sapore dolce-acidulo è molto apprezzato nelle preparazioni alimentari.
La fioritura avviene normalmente tra maggio e giugno mentre il frutto, composito, matura in tarda estate o inizio autunno. Cresce tipicamente negli spazi aperti all'interno di un bosco o colonizza opportunisticamente parti di bosco che sono stati oggetto di incendi o taglio del legno. È facilmente coltivabile nelle regioni temperate e ha una tendenza a diffondersi rapidamente. Il lampone è un aggregato di drupe. Il lampone è normalmente utilizzato nella preparazione di confetture, sciroppi e gelatine.

Il sambuco comune (Sambucus nigra L.) è una pianta angiosperma dicotiledone legnosa a foglie decidue. È una specie molto diffusa in Italia soprattutto negli ambienti ruderali (lungo le linee ferroviarie, parchi, ecc.), boschi umidi e rive di corsi d'acqua. Il sambuco è un arbusto alto 4–6 m. I rami portano delle foglie composte, di colore verde scuro, lunghe 10–30 cm. Le foglie sono imparipennate con margine dentato-seghettato; la forma delle foglioline è lanceolata con apice acuminato, la fillotassi è opposta. I fiori sono ermafroditi e portati in infiorescenze (corimbi) molto vistose, larghe 10–23 cm. I singoli fiori sono formati da 5 petali fusi alla base (fiori gamopetali), calice anch'esso gamesepalo, ovario infero, 4 stami sporgenti. Fiorisce tra aprile e giugno. I frutti sono delle bacche nerastre, lucide.


Morus L. è un genere di piante della famiglia delle Moracee, originario dell'Asia, ma anche diffuso, allo stato naturale, in Africa e in Nord America. Comprende alberi o arbusti da frutto di taglia media, comunemente chiamati gelsi. Le foglie sono alterne, di forma ovale o a base cordata con margine dentato. Le principali specie conosciute e rinvenibili in Italia e in Europa sono il gelso bianco (Morus alba) e il gelso nero (Morus nigra), mentre le altre sono di varie parti del mondo. Il "frutto" del gelso è in realtà una infruttescenza detta sorosio costituita da tanti piccoli frutti accostati, generati da altrettanti fiori, e quindi altrettanti ovari. Il tutto è disposto su uno stelo. Il nome generico Morus viene dal latino mōrus, parola mediterranea attestata anche nel greco μόρον móron "nero" per via del colore dei frutti di alcune varietà. La parola latina si è poi diffusa in area germanica (antico alto tedesco mūrboum, tedesco Maulbeere) e celtica insulare (gallese mwyar).
Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]
Il genere comprende le seguenti specie:
Morus alba L. (gelso bianco), coltivato, originario dell'Estremo Oriente
Morus australis Poir., proprio dell'Asia orientale e meridionale
Morus cathayana Hemsl., diffuso in Cina, Corea e Giappone
Morus celtidifolia Kunth (gelso texano), diffuso dagli Stati Uniti fino all'Argentina
Morus indica L. (gelso indiano), coltivato, originario della regione himalaiana
Morus insignis Bureau, diffuso nell'America centrale e meridionale
Morus japonica Audib. (gelso giapponese), endemico del Giappone
Morus liboensis S.S.Chang, esclusivo del Guizhou (Cina)
Morus macroura Miq., diffuso dal Tibet all'Indocina
Morus mesozygia Stapf (gelso africano), proprio dell'Africa a sud del Sahara
Morus mongolica (Bureau) C.K. Schneid., dell'Asia orientale
Morus nigra L. (gelso nero), coltivato, originario del Medio Oriente
Morus notabilis C.K. Schneid., endemico in Yunnan e Sichuan (Cina)
Morus rubra L. (gelso rosso), coltivato, originario del Nordamerica
Morus serrata Roxb. (gelso himalaiano), proprio della regione himalaiana e terre adiacenti
Morus trilobata (S.S. Chang) Z.Y. Cao, endemico in Guizhou (Cina)
Morus wittiorum Hand.-Mazz., presente solo in Cina
Linneo aveva inserito nel genere Morus anche altre specie, che già a partire dalla fine del '700 furono spostate nel genere affine Broussonetia. Anche queste specie sono indicate con il nome volgare di "gelso", in particolare Broussonetia papyrifera, il gelso da carta.
Le specie del genere Morus vengono coltivate per diversi scopi:
I frutti (more di gelso nere, di gelso bianche, di gelso rosso) sono edibili (famosa la granita siciliana ai gelsi). Inoltre da essi vengono estratti oli essenziali usati come aromatizzanti per cosmetici naturali e sigarette elettroniche.
Le foglie (soprattutto del gelso bianco) sono utilizzate in bachicoltura come alimento base per l'allevamento dei bachi da seta, e questo giustifica la presenza residua nelle campagne.
Come piante ornamentali.
Per ricavarne legname facilmente lavorabile, buona legna da ardere e per ricavarne pertiche flessibili e vimini per la fabbricazione di cesti; per l'ultimo uso spesso gli alberi sono drasticamente capitozzati.
Il corbezzolo (Arbutus unedo L., 1753), che viene chiamato anche albatro o, poeticamente, arbuto, è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Ericaceae e al genere Arbutus. È diffuso nei paesi del Mediterraneo occidentale e sulle coste meridionali dell'Irlanda. I frutti vengono chiamati corbezzole o talvolta albatre.
Uno stesso arbusto ospita contemporaneamente fiori e frutti maturi, per il particolare ciclo di maturazione. Questo, insieme al fatto di essere sempreverde, lo rende particolarmente ornamentale, per la presenza sull'albero di tre vivaci colori: il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il verde delle foglie. Dato che questi sono i colori della bandiera d'Italia, il corbezzolo è un simbolo patrio italiano.
Il nome corbezzolo deriva dal latino volgare corbitjus, incrocio del lemma mediterraneo (preindoeuropeo) corba, sopravvissuto nell'Italia settentrionale, e del nome del genere dal latino arbutus, derivato da arbuteus, anch'esso lemma di origine mediterranea (preindoeuropeo).
Il nome scientifico della specie, unedo, deriva da Plinio il Vecchio che, in contrasto con l'apprezzamento che in genere riscuote il sapore del frutto, sosteneva che esso fosse insipido e che quindi dopo averne mangiato uno (unum = uno e edo = mangio) non veniva voglia di mangiarne più.
Dal nome greco del corbezzolo (κόμαρος - pron. kòmaros) derivano alcuni nomi dialettali dei frutti (Marche (cocomeri), Calabria (cacumbari)), e anche il nome del Monte Cònero, il promontorio sulle cui pendici sorge Ancona, e la cui vegetazione è appunto ricca di arbusti di corbezzolo.
Il corbezzolo è longevo e può diventare plurisecolare, con crescita rapida. È una delle specie mediterranee che meglio si adatta agli incendi, in quanto reagisce vigorosamente al passaggio del fuoco emettendo nuovi polloni, soprattutto su terreni acidi e sub-acidi.
Si presenta come un cespuglio o un piccolo albero, che può raggiungere un'altezza di 10 m. È una pianta latifoglia e sempreverde; inoltre è molto ramificato, con rami giovani di colore rossastro.
Le foglie hanno le caratteristiche tipiche delle piante sclerofille. Hanno forma ovale lanceolata, sono larghe 2-4 centimetri e lunghe 10-12 centimetri, hanno margine dentellato. Si trovano addensate all'apice dei rami e dotate di un picciolo corto. La lamina è coriacea e si presenta lucida e di colore verde-scuro superiormente, mentre inferiormente è più chiara.
I fiori sono riuniti in pannocchie pendule che ne contengono tra 15 e 20. La corolla è di colore bianco-giallastro o rosea, urceolata e con 5 piccoli denti ripiegati verso l'esterno larghi 5-8 millimetri e lunghi 6-10 millimetri. Le antere sono di colore rosso scuro intenso con due cornetti gialli. I fiori sono ricchi di nettare e per questo motivo intensamente visitati dalle api, se il clima non è già diventato troppo freddo. Dai fiori di corbezzolo si ricava dunque l'ultimo miele della stagione, pregiato per il suo sapore particolare, amarognolo e aromatico. Questo miele è prezioso anche perché non sempre le api sono ancora attive al momento della fioritura e non tutti gli anni è possibile produrlo, essendo la fioritura in ottobre-novembre.
Il frutto è una bacca sferica di circa 2 centimetri, carnosa e rossa a maturità, ricoperta di tubercoli abbastanza rigidi spessi qualche millimetro; i frutti maturi hanno un buon sapore, che non tutti, però, apprezzano. È possibile utilizzare i frutti per marmellate casalinghe (confetture) e altre preparazioni.
I frutti maturano in ottobre-dicembre, nell'anno successivo rispetto alla fioritura che dà loro origine, hanno una maturazione scalare e possono essere presenti sullo stesso arbusto bacche rosse mature e più chiare ancora acerbe.
Il legno di corbezzolo è un ottimo combustibile per il riscaldamento casalingo utilizzato su camini e stufe, ma il suo utilizzo maggiore è per gli arrosti grazie alle sue caratteristiche aromatiche. Il corbezzolo è un legno molto robusto e pesante; dopo circa 60 gg dal taglio può perdere fino al 40% del suo peso.
È una tipica essenza della macchia mediterranea, presente sia in Europa meridionale che nel Nordafrica; è ugualmente molto diffusa sulle coste atlantiche del Portogallo e della Spagna e nel sud dell'Irlanda. Il corbezzolo è una pianta xerofila, cresce in ambienti semiaridi, vegetando tra altri cespugli e nei boschi di leccio. Predilige terreni silicei e cresce ad altitudini comprese tra 0 e 800 metri. In Italia il suo areale è continuo su tutte le coste liguri, sarde, siciliane, tirreniche e in quelle adriatiche da sud fino ad Ancona.
I frutti sono eduli, dolci e molto apprezzati. Hanno una maturazione che si conclude a ottobre-dicembre dell'anno successivo, quando si hanno i nuovi fiori. Si possono consumare direttamente, conservarli sotto spirito, utilizzarli per preparare confetture e mostarde, cuocerli nello zucchero per caramellarli. Nelle Marche, e specificamente nella zona del promontorio di Monte Conero, una secolare tradizione voleva che gli abitanti della zona accorressero nel giorno dei santi Simone e Giuda (28 ottobre) nelle selve per cibarsi abbondantemente dei frutti del corbezzolo incoronandosi dei rami della pianta, perpetuando così un rito bacchico rivisitato in chiave cristiana. Oggigiorno la festa del corbezzolo non è più celebrata ufficialmente, ma gli abitanti della zona del Conero amano ancora recarsi nei boschi del promontorio per raccogliere i corbezzoli durante le belle giornate autunnali.
Vino di corbezzolo
Con la fermentazione dei frutti si ottiene il "vino di corbezzolo", a bassa gradazione alcolica e leggermente frizzante in uso in Corsica, Algeria e nella zona del promontorio del Conero, dove è detto vinetto.
Acquavite
Con la distillazione dei frutti schiacciati si ottiene invece un'acquavite, in uso specialmente in Sardegna.
Liquore
Facendo macerare i frutti per 10-30 giorni in soluzione alcolica se ne ottiene un delicato liquore. Questo liquore, di produzione prevalentemente artigianale è detto in Portogallo Aguardente de Medronhos, mentre nella zona del promontorio del Conero è chiamato arbuto del Monte.
Miele
Pregiato miele di corbezzolo, perché è una buona pianta mellifera. Il corbezzolo è un arbusto resistente alla siccità, e tollera leggermente il freddo, fino a circa -10/-15 °C, è un arbusto rustico e resistente a molti parassiti. Vegeta in terreni sub-acidi, anche rocciosi. Il corbezzolo, fiorendo in inverno, fruttifica solo in zone a clima mite dove le api possono impollinare, ad esempio nell'Italia meridionale, sebbene la pianta tolleri anche inverni più freddi (come il nespolo del Giappone).

Il rovo (Rubus ulmifolius Schott, 1818) è una pianta spinosa appartenente alla famiglia delle Rosaceae. Si presenta come pianta arbustiva perenne, sarmentosa con fusti aerei a sezione pentagonale lunghi fino a 6 metri ed anche più, provvisti di spine arcuate. È una semicaducifoglia, infatti molte foglie permangono durante l'inverno. Le foglie sono imparipennate, variabilmente costituite da 3-5 foglioline a margine seghettato di colore verde scuro, ellittiche o obovate e bruscamente acuminate, pagina superiore glabra e pagina inferiore tomentosa con peli bianchi. I fiori bianchi o rosa, sono composti da cinque petali e cinque sepali. Sono raggruppati in racemi a formare infiorescenze di forma oblunga o piramidale. Il colore dei petali varia da esemplare a esemplare con dimensioni comprese tra i 10 e 15 mm. La fioritura compare al principio dell'estate. Il frutto commestibile è composto da numerose piccole drupe, verdi al principio, poi rosse e infine nerastre a maturità (mora), derivanti ognuna da carpelli separati ma facenti parte di uno stesso gineceo. In Italia il frutto è maturo in agosto e settembre; il gusto è variabile da dolce ad acidulo. La moltiplicazione della pianta avviene per propaggine apicale o talea.
Il suo areale comprende quasi tutta l'Europa, il Nordafrica ed il sud dell'Asia. È stata introdotta anche in America e Oceania. La pianta è indicativa di terreni profondi e leggermente umidi. La riproduzione è sessuale attraverso i semi contenuti nelle drupe, ma anche vegetativa attraverso l'interramento di rami che danno origine ad una pianta nuova. È considerata una infestante in quanto tende a diffondere rapidamente e si eradica con difficoltà. Né il taglio né l'incendio risultano efficaci. Anche gli erbicidi danno scarsi risultati. Poiché è una pianta eliofila, tollera poco l'ombra degli altri alberi, pertanto si riscontra ai margini dei boschi e lungo i sentieri, nelle siepi e nelle macchie. Spesso nei boschi i rovi formano delle vere barriere intransitabili. Specialmente in associazione con la vitalba, essi possono creare dei grovigli inestricabili spesso a danno della vegetazione arborea che viene in pratica aggredita e soffocata. Tali situazioni sono quasi sempre l'espressione di un degrado boschivo.
Il nome scientifico di questa specie è composto dal nome di genere Rubus e da quello di specie ulmifolius. Rubus (dal latino ruber, rosso) potrebbe far riferimento al colore dei frutti maturi di altre specie dello stesso genere, come il lampone, o direttamente alla forma immatura del frutto di questa specie stessa. Ulmifolius (dal latino ulmus, olmo e folia, foglia) deriva dalla similitudine con le foglie dell'albero Ulmus minor.
Usi
La pianta è utilizzata per delimitare proprietà e poderi con funzione principale difensiva. Altre funzioni delle siepi a rovo sono nella fornitura di nettare per la produzione del miele (in Spagna), nella associazione di specie antagoniste di parassiti delle colture (ad esempio le viticole), nella formazione di corridoi ecologici per specie animali. Il frutto, annoverato tra i cosiddetti frutti di bosco, ha discrete proprietà nutrizionali con marcata presenza di vitamine C e A. Cento grammi di more fresche contengono infatti 52 kcal, 0,7 gr di proteine, 0,4 gr di lipidi, 12,8 gr di glucidi, 32 mg di calcio, 0,6 mg di ferro, 6.5 er (equivalente in retinolo) di vitamina A, 21 mg di vitamina C. Presenta indicazioni in erboristeria per le sue proprietà astringenti e lassative. Si tratta di un frutto delicato che mal si presta a lunghe conservazioni. È commercializzato per scopi alimentari al naturale e come guarnizione di dolci, yogurt e gelati, oppure nella confezione di marmellate, gelatine, sciroppi, vino e acquavite (ratafià). Nell'uso popolare, i giovani germogli, raccolti in primavera, sono ottimi lessati brevemente e consumati con olio, sale e limone al pari di molte altre erbe selvatiche primaverili. I germogli primaverili, colti quando il sole è alto, lavati e lasciati a macerare in una brocca di acqua fredda tutta la notte, danno una deliziosa e aromatica acqua depurativa, tradizionalmente usata per favorire le funzioni intestinali e depurare l'organismo dalle tossine accumulate durante l'inverno.

L'ossicocco (Vaccinium subg. Oxycoccus), detto anche mirtillo palustre o mortella di palude, è un sottogenere di piante appartenenti al genere Vaccinium. Secondo alcuni autori dovrebbe essere considerato come un genere a sé stante.La specie più comune in Europa è il Vaccinium oxycoccus, ma il Vaccinium macrocarpon, d'origine americana, è quello più commercializzato.
Secondo l'Economic Research Service del Ministero dell'Agricoltura degli Stati Uniti, i maggiori produttori di ossicocco sono il Wisconsin (circa metà della produzione totale) ed il Massachusetts (un terzo). Altri paesi produttori sono il Canada, il Cile ed alcuni paesi dell'Europa orientale.
È utilizzato nella prevenzione e cura dell'infezione delle vie urinarie, soprattutto nelle donne (se si tratta di cistiti ricorrenti o trattate prima con antibiotici: nel lungo termine, con dosi che negli studi variano da 50 a 500 mg/die protratte da 4 a 12 mesi). La sua efficacia è stata attribuita al rilascio di acido ippurico, che acidificava le urine con una presunta funzione batteriostatica: tuttavia, altri alimenti davano alle urine acidità superiore senza effetti sulle infezioni.
Nuovi studi hanno dimostrato che la mortella di palude ha un'attività antiadesione verso i batteri uropatogeni: "occupa" nell'epitelio delle cellule i recettori (altrimenti) leganti i cloni di Escherichia Coli e di altri batteri gram-negativi, infettivi per le vie urinarie. Gli ossicocchi sono ricchi di calcio e ossalati, che sono una frequente causa di calcoli renali. Oltre ai frutti freschi, i succhi, o i frutti secchi a scopo alimentare, in vari Paesi vengono venduti molti prodotti a base di ossicocco per i suoi effetti sulla salute. Nei paesi dell'Europa centro-orientale (ad esempio in Polonia, dove prende il nome di żurawina) si possono comprare nelle comuni farmacie sciroppi o succhi concentrati (dal sapore molto acido), integratori alimentari a base di questo frutto o di altre parti della pianta, tisane; gli infusi talvolta possono essere trovati anche nei normali negozi (spesso mescolati con altre piante), più facilmente che in Italia.

Il corniolo (Cornus mas L., 1753) è un albero da frutto, spontaneo, appartenente alla famiglia delle Cornaceae e al genere Cornus.
I cornioli sono arbusti o piccoli alberi, caducifoglie e latifoglie, alti fino a 5-6 metri e altrettanto estesi in larghezza. I rami sono di colore rosso-bruno e brevi, la corteccia è screpolata. Sono piante longeve, possono diventare plurisecolari e hanno una crescita molto lenta. Le foglie sono semplici, opposte, con un picciolo breve (5-10 mm) e peloso, la forma è ovata o arrotondata, integra e un po' ondulata ai margini, acuminata all'apice; sono ricoperte parzialmente da peluria su entrambe le pagine, e presentano un colore verde (più chiaro nella parte inferiore) e una nervatura al centro e 3-4 paia di nervature secondarie.
I fiori sono ermafroditi (cioè hanno organi per la riproduzione sia maschili sia femminili), si presentano in forma di ombrelle semplici e brevi, circondate alla base da un involucro di 4 brattee (foglia modificata che protegge il fiore) di colore verdognolo sfumato di rosso, che si sviluppano prima della fogliazione. La corolla è a 4 petali acuti, glabri (privi di pelo), di colore giallo-dorato, odorosi. Fiorisce da dicembre ad aprile[senza fonte]
Il frutto del corniolo è una drupa (frutto carnoso) commestibile (perché edule), con la forma di una piccola oliva o ciliegia oblunga; ha un colore rosso-scarlatto, rosso corallo o anche giallo, dal sapore acidulo, contenente un unico seme osseo. Il periodo di fioritura in Italia va da febbraio a marzo, mentre i frutti maturano ad agosto. Il legno è duro e compatto, con alta resistenza, molto usato nei secoli passati.
Il corniolo è specie propria dell'Europa centro-orientale sino al Caucaso e all'Asia minore; in Italia si trova in tutta la penisola, ma è più frequente nelle regioni settentrionali. È una specie che predilige i terreni calcarei, e vive in piccoli gruppi nelle radure dei boschi di latifoglie, tra gli arbusti e nelle siepi del piano sino a 1300 (anche 1530) metri.
Il corniolo è coltivato come pianta ornamentale in orti e giardini, e per i suoi frutti commestibili. Ama terreni freschi e ombreggiati, calcarei, per cui è facile trovarlo nei boschi d'alta collina o di montagna. Esistono diverse varietà con frutti rossi o gialli, più o meno grandi. È un arbusto che non teme le gelate tardive, rustico e resistente agli attacchi di molte malattie.
I piccoli frutti rossi vengono lavorati, oltre che per la produzione di succhi di frutta e marmellate (ottime come accompagnamento al bollito di carne), anche per aromatizzare alcuni tipi di alcolici, come, ad esempio, la grappa. I prezzi di questi prodotti sono relativamente alti a causa della bassa fertilità e del piccolo contenuto di alcool.
Si possono mangiare i frutti anche freschi, ma è preferibile gustare quelli appena caduti o quelli che si staccano dallo stelo con un leggero tocco di mano, cioè quando sono a piena maturazione.
Il legno del corniolo è di colore bruno-chiaro nelle parti interne (alburno), mentre nella corteccia è rossastro, con anelli poco distinti. È il più duro presente in Europa, molto resistente, e viene utilizzato, tra l'altro, per la produzione di pipe. Nel passato era usato per la fabbricazione di pezzi di macchine soggetti a forte usura (per es. raggi e denti da ruota) e per lavori di tornio. La sarissa, picca usata dalla falange macedone, era in legno di corniolo.
Tutta la pianta ha proprietà tintorie (in giallo). Il corniolo è un'erba officinale.

Il crespino comune (nome scientifico Berberis vulgaris L., 1753) è una pianta spontanea, appartenente alla famiglia delle Berberidaceae e al genere dei Berberis.
Il nome del genere deriva dal greco Berberi, che significa Conchiglia, per via dei petali fatti a conca.
Il crespino comune è un piccolo albero o un arbusto alto da uno a tre metri, latifoglie. Ha grosse radici scure all'esterno e gialle all'interno; l'arbusto presenta rami spinosi.
Le foglie sono semi-persistenti. Le foglie sono ellittiche, si restringono alla base in un corto picciolo e arrotondate all'apice; la superficie è larga e lucida, il margine è dentellato. Le foglie sono alterne sui rami lunghi oppure sono riunite in fascetti su dei rametti molto corti, alla base di ognuno dei quali è presente una spina composta da tre a sette aculei pungenti.
I fiori sono gialli con sei petali, sono piccoli e riuniti in mazzetti.
Il frutto è una bacca lunga 1 cm e sono (eduli) commestiibili, rossa e persistente sulla pianta, che contiene da due a tre semi dal guscio corneo. La fioritura si ha ad aprile-maggio e la maturazione avviene ad luglio.
Cresce nelle zone aride montane, ai margini dei boschi, nelle siepi, nei pascoli fra i 100 e i 2000 m. Se presente in zone limitrofe a coltivazioni soggette a ruggini, può essere un ospite secondario del patogeno, ma in Italia ciò non accade a causa dell'ambiente non adatto, al contrario ad esempio della Francia.
Il crespino comune con le sue spine può essere impiegato per fare una siepe difensiva e impenetrabile nei confini degli appezzamenti. La pianta è resistente e rustica, tollera abbastanza le potature, non teme il freddo e resiste a brevi periodi di siccità. inoltre è un'erba officinale ed un'erba medicinale.
Possiede proprietà amaricanti, toniche, astringenti, febbrifughe, depurative, diuretiche. Viene usata la corteccia delle radici come anche foglie e frutti.
A maturazione, in estate a luglio, i frutti hanno un sapore Aspro-acido e non sono molto buoni. Dopo le prime gelate, in autunno, i frutti si addolciscono e possono venire usati per preparare marmellate, confetture e sciroppi dal sapore forte e gradevole. In ogni caso solitamente i frutti non si consumano allo stato fresco. Sono molto ricchi di acido malico (e a questo si deve il loro sapore acido) e di vitamina C. Per chi si accingesse a raccogliere le bacche, è consigliata cautela per via delle terribili spine. In altre tradizioni culinarie, come ad esempio quella russa e soprattutto l'iraniana, i frutti vengono utilizzati spesso per bevande gassate e succhi ma anche per piatti di carne. In Iran vengono consumati solitamente secchi e in occasione di ricorrenze speciali quali ad esempio il matrimonio.
Ci sono alcune varietà di crespino con foglie rosse o con bacche gialle, usate come ornamentali, alcune sono sempreverdi.
Amelanchier ovalis detto comunemente Pero corvino è un arbusto appartenente alla famiglia delle Rosaceae.
Il nome del genere deriva da un termine di origine gallica che significa "piccola mela", mentre il nome della specie deriva dal latino ovum che significa uovo, dato per via della forma delle foglie, appunto ovali. In greco Amelanchier meles (mela) e anchein (strozzare), cioè mela aspra; la presenza della lettera a iniziale indica negazione; infatti il sapore del frutto è dolciastro.
Arbusto cespuglioso alto massimo fino a 3 m, ma usualmente con un'altezza che va da 1-1,5 m. , fusto e rami a corteccia rossastra cosparsi di peli corti e patenti o di tomento ad anelli. Foglie caduche, ovato-ellittiche con la pagina inferiore bianca tomentosa. Fiori bianchi al termine di brevi rami ascellari, in corte infiorescenze a racemo. Sepali corti, acuti e divergenti arrossati di sotto. Di forma molto tipica e inconfondibile, con 5 petali molto lunghi e stretti, molto distanziati tra loro, vellutati, con numerosi stami. Compaiono prima o contemporaneamente alle foglie. la fioritura avviene ad aprile. Frutti a pomo, sferici, di 1 cm di diametro, nero-blu opaco, contenenti una decina di semi e la maturazione si completa a luglio.
Pianta poco comune. Cresce spontaneo nei boschi radi, sui pendii e anche su luoghi rocciosi. Predilige terreni calcarei, mentre per quanto riguarda luce e acqua non ha particolari necessità, ma comunque come quasi tutte le piante montane non resiste ad una accentuata siccità estiva. Sopporta molto bene il freddo e in italia cresce fino a oltre 2000 metri di quota.
I frutti, che sono eduli (commestibili) e hanno un sapore simile alla pera, ma non sono molto appetibili per la scarsità di polpa e la quantità di semi, possono essere consumati freschi o usati per fare confetture, conserve e per aromatizzare la grappa. Una volta se ne ricavava anche una bevanda alcolica. L'amelanchier è un'ottima pianta mellifera, ma non si riesce a produrre miele per la sua scarsa diffusione. È considerata sia una pianta medicinale che una pianta officinale: infusi di foglie o corteccia hanno proprietà antipiretiche, antinfiammatorie, antireumatiche, astringenti e diuretiche. Il legno dell'amelanchier è duro ed elastico e può venire utilizzato per ricavarne manici per attrezzi, è pure adatto ad essere tornito ed intarsiato per produrre oggetti di pregio.

9 FRUTTA (2^ Edizione)
 

Frutta. In queste 230 pagine ho raccolto oltre 120 schede di prodotti, lavorazione e tecniche di cucina pubblicate sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. In ogni stagione la frutta sta sulla nostra tavola. Quante virtù ci stanno nella frutta? Tantissime, facciamone allora tesoro. Ma una conoscenza più approfondita rende il nostro tesoro ancora più ricco ed appetibile. Ogni tipo di frutto ha molte varianti, occorre conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro fruttivendolo di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.




domenica 12 marzo 2023

CONOSCERE GLI ORTAGGI DA RADICE

La barbabietola (Beta vulgaris L., 1753) è una pianta appartenente alla famiglia Chenopodiaceae. Ne esistono diverse qualità: da orto, da foraggio, destinate all'alimentazione del bestiame, quelle da zucchero.
La barbabietola è una pianta erbacea biennale a radici fittonanti, raramente perenne, con fusti che possono arrivare a 1-2 m di altezza. Le foglie sono a forma di cuore, lunghe 5-20 cm nelle piante selvatiche (spesso molto più grandi nelle piante coltivate). I fiori sono molto piccoli, dal diametro di 3-5 mm, di colore verde o rossastro, con cinque petali; sono raccolti in dense spighe ed hanno un'impollinazione anemofila. Il frutto è costituito da un gruppo di dure noci.
Le parti commestibili della barbabietola sono le foglie (bieta o bietola) e le radici.
La bieta fa la sua comparsa già nel mondo greco. Teofrasto ne parla col nome di τεῦτλον (tèutlon). A Roma ne parlano Plinio il Vecchio e Columella. La Beta, infatti, veniva usata non solo come cibo, ma anche come medicinale.
Già nel XV secolo era assai diffusa la sua coltivazione, soprattutto nei monasteri. Inizialmente veniva coltivata per le sue foglie, in seguito si diffuse anche il consumo della radice (specialmente la variante rossa).
Lo sviluppo delle colture di barbabietola è strettamente legato alla scoperta dello zucchero che se ne può estrarre.
Nel XVII secolo l'agronomo francese Olivier de Serres annotò che la barbabietola cotta produce un succo simile allo sciroppo di zucchero, ma questa affermazione non ebbe seguito.
Finalmente nel 1747 il chimico prussiano Andreas Sigismund Marggraf dimostrò che i cristalli dal sapore dolce ricavati dal succo di barbabietola erano gli stessi che si ottenevano dalla canna da zucchero, ma non andò oltre. Fu un suo allievo, Franz Karl Achard, che cominciò a produrre commercialmente lo zucchero, aprendo una prima fabbrica nel 1801 a Cunern, nella Bassa Slesia (al tempo regione prussiana, oggi in Polonia).
Ai primi dell'Ottocento, comunque, lo zucchero di canna era ancora diffusissimo. Ma le guerre napoleoniche, con il blocco dell'importazione dello zucchero di canna (1806), fecero sì che la sperimentazione sulle barbabietole procedesse più speditamente, finché nel 1811 alcuni scienziati francesi mostrarono a Napoleone dei panetti di zucchero estratto da barbabietola: l'imperatore ne ordinò la coltivazione (su ben 320 km² di terreno) e, grazie anche all'intervento del finanziere ed imprenditore Benjamin Delessert, che aprì in Francia il primo stabilimento ove si estraeva lo zucchero dalla barbabietola con il metodo di Achard opportunamente perfezionato, nel giro di pochi anni sorsero più di 300 fabbriche di zucchero da barbabietola in tutta Europa.
Oggi l'Europa coltiva 120 milioni di tonnellate di barbabietole e produce 16 milioni di tonnellate di zucchero bianco; la Francia e la Germania sono i maggiori produttori ma, eccettuato il Lussemburgo, tutti i paesi dell'Unione europea estraggono zucchero dalle barbabietole in quantità tale da soddisfare il 90% del fabbisogno.
In Italia la barbabietola viene coltivata dalla fine del XVII secolo, specialmente nella valle padana e nelle province di Ferrara, Ravenna, Mantova e Rovigo.
La barbabietola viene coltivata nei paesi a clima temperato.
È una pianta a ciclo biennale: nel primo anno nella radice si accumulano riserve sotto forma di zucchero, nel secondo si sviluppa il fusto fiorifero. In coltura, per poter estrarre lo zucchero, la pianta viene estirpata al completamento dello sviluppo del primo anno.
Nelle regioni settentrionali viene seminata in primavera e raccolta a partire dalla fine di agosto. Nel meridione, per ridurre le contrazioni della resa in radici e in zucchero, dovute alla maggiore intensità dei processi respiratori causata dalle temperature più alte, si coltiva invece a ciclo autunno-primaverile, con raccolta in estate. Gradisce un terreno di medio impasto, neutro o appena basico, e ben drenato, ma è una delle specie agrarie che si adatta meglio ai terreni argillosi, purché ben sistemati dal punto idraulico.
Le barbabietole vengono coltivate come foraggi, per lo zucchero (es. barbabietola da zucchero), come ortaggio a foglia (bietole), o come tubero (" barbabietole", "barbabietola da tavola", o "barbabietole da giardino" o, in piemontese, "biarava"). I tuberi coltivati più diffusi includono:
"Albina Vereduna", una varietà bianca.
"Golden Burpee's", una barbabietola con la buccia rosso-arancio e polpa gialla.
"Chioggia", una varietà a impollinazione originariamente coltivata in Italia. Gli anelli concentrici delle sue radici bianche e rosse sono di grande impatto visivo quando affettate. Essendo una varietà storica, la Chioggia non ha subito processi di miglioramento e presenta concentrazioni relativamente elevate di geosmina.
"Detroit" di colore rosso scuro e con concentrazioni relativamente basse di geosmina, è una coltivazione commercialmente popolare negli Stati Uniti.
"Barbabietola indiana" non è dolce come la barbabietola occidentale ma più nutriente[senza fonte]
"Lutz Greenleaf", una varietà con una radice rossa e foglie verdi, e nota per la sua capacità di conservarsi in magazzino senza alterazione della qualità.
"Red Ace", per il suo tipico colore rosso brillante nel tubero e con fogliame verde venato di rosso.
Il sapore di "terra" di alcune tipologie di barbabietola deriva dalla presenza di geosmina. I ricercatori non hanno ancora chiarito se sono le stesse barbabietole a produrre geosmina, o se è prodotta dai microbi simbiotici del terreno che vivono nella pianta. Tuttavia, esistono programmi di riproduzione in grado di produrre coltivazioni con livelli di geosmina bassi rendendo il sapore più accettabile per i consumatori.
Oltre ad essere ricca di zuccheri, sali minerali e vitamine ed altre sostanze utili, alla barbabietola si attribuiscono proprietà dietetiche e salutari: assorbe le tossine dalle cellule e ne facilita l'eliminazione, è depurativa, mineralizzante, antisettica, ricostituente, favorisce la digestione, stimola la produzione di bile e rafforza la mucosa gastrica, cura le anemie, le infezioni del sistema cerebrale, stimola la produzione dei globuli rossi, scioglie i depositi di calcio nei vasi sanguigni e ne impedisce l'indurimento, infine stimola il sistema linfatico.
Il succo di barbabietola negli ultimi anni è stato a lungo studiato per le sue proprietà stimolanti, specialmente in ambito sportivo. Grazie al suo alto contenuto di nitrati sarebbe in grado di potenziare il rendimento muscolare in maniera del tutto naturale. Secondo una ricerca dell'Università di Exeter (Inghilterra), il succo di barbabietola sarebbe in grado di migliorare il rendimento degli atleti. Il succo somministrato ad un team di ciclisti, ha dimostrato un incremento della loro velocità superiore al 2,5%
Gli scarti di lavorazione della barbabietola e della canna da zucchero vengono utilizzati per produrre materie plastiche biodegradabili come la MINERV PHA.
È un ortaggio da radice che ha tantissimi nomi, anche se corrisponde sempre a una sola pianta: la Beta vulgaris, una varietà della quale, la bietola da coste, appartiene agli ortaggi da foglia.
Se la pianta è, infatti, la stessa, la differenza è data dal fatto che la barbabietola, come la barbabietola da zucchero (che non si mangia) ha una radice che si ingrandisce diventando riserva di sostanze nutritive, mentre le foglie rimangono più piccole almeno nella prima parte della crescita, quando l’ortaggio si raccoglie. La radice rigonfia serve alla pianta per poter superare le avversità della stagione invernale, e proprio per questo è abbastanza ricca in zuccheri, da cui il suo sapore dolciastro.
È una pianta particolarmente ricca di vitamine e di antiossidanti, ed è proprio per questo motivo che è molto ricercata nella cucina salutistica e, per la bassa concentrazione energetica, nelle diete.
Negli ultimi anni è molto studiato anche il succo di barbabietola, che viene estratto e venduto a parte come una bevanda stimolante, a causa dello zucchero che mette rapidamente a disposizione dei muscoli.
manioca
La manioca, detta anche tapioca o yuca, è una radice tuberosa che cresce in molti paesi dell’area tropicale e subtropicale del mondo. Appartiene alla specie Manihot esculenta, è coltivata da tantissimi anni e, sebbene le varietà che producono radici tuberose abbastanza grandi da essere commestibili siano tutte frutto della selezione umana, è una pianta piuttosto rustica. La sua forma è allungata, la polpa è bianca come quella delle patate a polpa bianca e può raggiungere una lunghezza anche di 80 cm, mentre il diametro rimane sempre piccolo, cinque centimetri al massimo. All’interno è presente un cavo legnoso che deve essere rimosso prima di poterla mangiare. Gli utilizzi sono, né più e né meno, quelli della normale patata: può essere bollita, schiacciata in purè, ma anche cotta al vapore oppure fritta e arrostita, e anche il sapore non è diverso da quello della patata. La sua componente principale, proprio come per la patata, è l’amido, per cui questo ortaggio ha un alto indice glicemico; avendo molto amido è possibile anche estrarlo, ottenendo così un addensante simile alla fecola di patata (o alla fecola di mais, che è sempre amido). Inoltre, se la manioca viene fatta fermentare, si ottengono anche alcune bibite alcoliche.
La tapioca è molto conservabile perché contiene pochissima acqua, e questo permette la sua esportazione su mercati anche molto lontani (altre colture come l’igname, tipico delle stesse zone, non riescono ad arrivare qui da noi); alcune avversità ambientali spesso impediscono la crescita della pianta, e questo sfavorisce le grandi produzioni dell’ortaggio. Per quanto riguarda la stagionalità, la tapioca si estrae quando inizia la stagione secca, cioè quando la pianta mette le sostanze necessarie alla sua sopravvivenza nella radice tuberosa. In Italia la tapioca non viene coltivata perché, nonostante la pianta sia in grado di crescere, non avrebbe le condizioni che la porterebbero alla formazione della radice tuberosa, la parte commestibile.

topinambur
Il Topinambur, detto anche Rapa Tedesca o Carciofo di Gerusalemme (per il suo sapore simile al carciofo) è una pianta da tubero appartenente alla specie Heliantus tuberosus, che fa parte dello stesso genere del girasole (Heliantus annuus), per cui botanicamente è molto differente dalle patate, anche se l’uso che se ne fa è simile. Il fiore, tra l’altro, di un giallo vivo, somiglia molto a quello del girasole, così come la sua tendenza a girare in tondo per seguire la direzione del sole (fenomeno detto eliotropismo).
Il fusto è composto da una parte che sporge fuori dal terreno, simile al fusto di altre piante erbacee come appunto il girasole, e una parte che si trova sotto terra che alla fine della stagione, quando la pianta inizia a seccare, si ingrandisce e forma il tubero, che è la parte commestibile della pianta. Il tubero si forma generalmente in inverno o comunque in tardo autunno, quando viene raccolto.
Nonostante il tubero sia potenzialmente in grado di produrre altre piante, in questo caso la riproduzione avviene principalmente tramite il fiore, con i semi che cadono per terra, quindi il Topinambur si trova nella situazione esattamente opposta a quella delle patate. Tuttavia, lasciando dei tuberi per terra nascerà una nuova pianta di Topinambur.
In Italia il Topinambur è una pianta ubiquitaria, ovvero cresce in tutte le regioni indistintamente tranne che in Sardegna, poichè isolata dalle acque; è molto comune, anche se è considerata una pianta esotica perché non è originaria delle nostre zone bensì dell’America, importata come tanti altri prodotti nel XV secolo.
Il Topinambur si consuma in inverno, perché non è particolarmente conservabile; si consuma generalmente cotto ma, visto che non è una pianta solanacea e quindi non contiene sostanze tossiche come le solanine delle patate, si può mangiare anche crudo, presentando in questo caso un diverso sapore.
È una pianta indicata per le persone diabetiche grazie al suo alto contenuto di inulina, che è una catena di glucosio (come l’amido) ma legato in un modo che l’organismo non è in grado di scindere. Si comporta quindi come se fosse fibra vegetale, e viene scissa solamente dai batteri intestinali. Comportandosi come fibra, è fortemente aerogena, ma viene assorbita molto lentamente (e solo in parte) dall’organismo, così che non aumenta la glicemia, fattore invece tipico delle patate, permettendo di nutrirsi evitando di peggiorare la situazione metabolica dei soggetti che soffrono di diabete. L’inulina ha inoltre l’effetto attivo di abbassare la concentrazione di colesterolo e acidi urici plasmatici, nonché quello di stabilizzare il glucosio ematico.

oca
Nonostante sia una pianta poco conosciuta perché cresce soprattutto in America Meridionale, in particolare nella catena montuosa delle Ande, l’Oca non è rara da trovare nei mercati italiani. Il suo nome scientifico è Oxalys tuberosa, ed è una pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle Oxalidacee, di cui alcuni esponenti che nascono qui da noi e sono ad essa correlati sono alcune piante trifogliate (ma non il trifoglio vero e proprio!), che si può vedere come erba da prato. Tuttavia non è correlata né con le patate, né con il Topinambur, dal punto di vista della botanica.
Della pianta si possono consumare sia le foglie che i germogli, come verdura fresca (che non si trova in Italia per problemi di conservazione) sia il tubero che è invece quello disponibile nei mercati.L’oca ha un periodo di maturazione molto lungo che può superare gli otto mesi, e termina nel corso dell’inverno, quando si forma il tubero. Molto sensibile alle condizioni atmosferiche (per cui non è sempre disponibile) quando la pianta termina la sua maturazione, si forma il tubero che la aiuta a sopravvivere all’inverno. Il sapore del tubero è acidulo e piccante, e la consistenza è simile a quella della carota se consumato crudo (anch’esso, come il Topinambur, non ha il problema della presenza di solanine), farinosa se cotto. Il colore della superficie va dal giallo al viola, passando per il rosa, colorazione sviluppata quando l’ortaggio è stato esportato e coltivato in Nuova Zelanda, dove ha trovato un clima simile a quello andino.Dal punto di vista nutrizionale è simile alle patate ed è ricco di amido, oltre che di ossalati, che vengono però limitati attraverso i metodi di coltivazione tradizionali per evitare una eccessiva acidità. Lasciandola al sole, nell’Oca non si attiva la fotosintesi, ma altre reazioni chimiche che distruggono gli ossalati e rendono il suo sapore dolciastro. Arriva da noi grazie alla sua elevatissima resistenza nell’ambiente, e si può consumare cotta in vari modi oppure cruda, nell’insalata. Il sapore è simile a quello del ravanello, quando è cruda, a quello delle patate quando è cotta.


mashua

Più difficile da trovare nelle nostre zone è la Mashua, Tropaoleum tuberosum, una pianta anch’essa come l’Oca originaria del Perù e delle regioni andine che si può usare per fini ornamentali ma anche alimentari, se viene estratto il suo tubero commestibile.
La Mashua è conosciuta e coltivata fin dall’antichità, ed è una fonte di cibo rilevante anche se non molto consumata all’estero per la sua reputazione (fondata, a causa della presenza di isotiocianati che abbassano i livelli di testosterone) di alimento antiafrodisiaco. In realtà ha tutto il potenziale per diffondersi in quanto è è un alimento molto nutriente, altamente resistente ai parassiti, ha alti livelli di acido ascorbico, beta carotene e tutti gli amminoacidi essenziali, oltre ad essere molto resistente all’ambiente esterno, in particolare ai parassiti, per la presenza dell’isotiocianato.
Il carboidrato presente all’interno è, come nel caso delle patate, l’amido, per cui aumenta l’indice glicemico e non è adatta ai diabetici, ma allo stesso tempo non ha all’interno la solanina come le patate, per cui si può consumare sia cruda che cotta, senza problemi.

La carota selvatica (Daucus carota), è molto comune soprattutto in luoghi pietrosi ed spesso presente in grandi distese; fiorisce in estate. Si mangia sia la radice a fittone che le foglie, sia crude in insalata che aggiunte a zuppe o minestre. È bene quindi se si sceglie di raccoglierne le radici lasciare sempre qualche piantina nella zona conservandone così la sua presenza sul territorio. è una pianta erbacea dal fusto di colore verde appartenente alla famiglia delle Apiaceae; La carota spontanea è diffusa in Europa, in Asiae nel Nord Africa. Ne esistono molte e diverse cultivar che sono coltivate in tutte le aree temperate del globo.


La patata dolce, detta anche patata americana o batata, è una specie vegetale appartenente alla specie Ipomoea batatas, e nonostante sia visivamente simile ad una patata non è correlata, dal punto di vista botanico, con essa. Si coltiva nelle regioni tropicali, come la Manioca, e le sue radici tuberose sono globose e commestibili, oltre che particolarmente ricche di amido. La buccia dell’ortaggio ha un colore che varia dal rosso al viola al marrone, in base alle diverse varietà, mentre l’interno può essere giallo, arancione o viola anche se le varietà più vendute e più caratteristiche sono quelle di colore arancione acceso (simile alle carote). Ad oggi, la maggior parte delle patate dolci mondiali si coltiva nei paesi in via di sviluppo dove il clima è più favorevole per la pianta ma viene coltivata anche in alcune regioni italiane, come la Puglia e il Veneto, dove è riuscita anche ad ottenere la certificazione PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale. I metodi di cucina sono gli stessi delle patate: si possono fare bollite, fritte o arrosto e solo il sapore è leggermente più dolce a causa della presenza di saccarosio libero all’interno della radice tuberosa. Dal punto di vista culinario, quindi, viene trattata esattamente come le comuni patate, se non per la differenza di sapore che porta ad usarla in piatti diversi. Oltre a questo si possono estrarre dalla batata l’alcool (per fermentazione), la farina e l’amido, e vengono consumate anche le foglie, specialmente quelle giovani, perché non facendo parte delle Solanacee la Batata non ha problemi per la presenza di solanina.

Poco conosciuto in Italia, la Colocasia esculenta è un ortaggio da radice tipico dell’America del Sud, di cui si consuma la radice (che a volte è detta tubero per la somiglianza visiva con la patata, ma si tratta di una radice a tutti gli effetti). È molto diffuso in tutti i continenti nelle zone tropicali, anche se viene dall’America; è un ortaggio molto resistente e, tra l’altro, accumula gli zuccheri sotto forma di amido (altra analogia con le patate), così da essere un ortaggio di consumo primario per alcune popolazioni che questa pianta ha addirittura aiutato a sopravvivere in alcune isole dell’Oceano Pacifico. Deve necessariamente essere consumato cotta, perché ha dei principi irritanti che vengono denaturati con il calore; è ricco di calcio, di ferro e di proteine, ma non particolarmente di vitamine, rispetto alla patata.

Il Sedano Rapa è una variante di un’altra pianta appartenente agli ortaggi da fusto, ovvero il sedano. Appartiene alla specie Apium graveolens, proprio come il sedano, nella variante Apium graveolens rapaceum.
La differenza fondamentale con il sedano tradizionale è il fatto che il sedano rapa ha una grandissima radice rigonfia, di colore marrone all’esterno e bianco all’interno e molto globoso; è la radice principale della pianta da cui partono tante piccole radichette.
La coltivazione del sedano rapa è più lunga rispetto a quella del sedano, in quanto la radice si sviluppa dopo che si sono sviluppate le foglie, che comunque non vengono tolte prima dello sviluppo della radice; man mano che la temperatura scende la radice diventa più grande, e quando viene raccolta si può conservare in frigo anche per quattro o cinque mesi (di solito nelle celle, non in casa). Per questo motivo il sedano rapa si trova in commercio nella prima metà dell’anno.
La radice è poco calorica, ed ha un sapore meno intenso rispetto alle coste, così che viene usata anche come ingrediente principale in alcune preparazioni; può anche essere conservata per lunghi periodi sott’olio. Essendo comunque una pianta di sedano, anche la radice è allergizzante, e non deve essere consumata dalle persone che sono allergiche al sedano, contenendo le stesse proteine.
La rapa (Brassica rapa L.) è una pianta della famiglia delle Brassicaceae largamente coltivata come ortaggio, di cui si consumano, secondo le varietà botaniche, le foglie, la radice, le cime fiorite, il seme oleoso.
Varietà coltivate
La rapa comune (Brassica rapa subsp. rapa) viene coltivata per la sua radice di forma tondeggiante, talvolta piuttosto tozza, ricoperta da una pellicina di colore rosso-violaceo, non edibile. L'interno è formato da una pasta bianca o giallognola, a seconda delle varietà, leggermente spugnosa, di gusto lievemente dolciastro. La si consuma generalmente cotta con burro od olio di oliva e sale. Entra nella composizione della giardiniera ed è il componente principale di un tipico piatto friulano: la brovada.
La cima di rapa (Brassica rapa subsp. sylvestris var. esculenta) è un ortaggio tipicamente italiano ma, introdotta dagli emigranti, si coltiva anche negli Stati Uniti e in Australia. In Italia il 95% della superficie coltivata si trova in Lazio, Puglia e Campania.
Di essa si consumano le infiorescenze (dette anche friarielli o broccoletti) in boccio con le foglie tènere presenti, secondo ricette che in generale fanno riferimento alla tradizione locale nelle diverse regioni.
La cima di rapa è largamente utilizzata e molto diffusa nella cucina tradizionale meridionale, in particolare in quella pugliese.
Viene consumata cotta e rappresenta l'ingrediente principale di numerosi piatti tipici della cucina pugliesi, tra cui si ricordano le famose "orecchiette e cime di rape" (e "o strascinati e cime di rape" , "rape stufate col peperoncino", "fave e rape", "cime di rapa lesse condite con olio extravergine di oliva"). Altra specialità pugliese, particolarmente diffusa nel Palagianese è la puccia con rape e salsiccia.
Si preferisce l'uso di giovani esemplari, non più di 15 cm, per via del loro sapore meno amaro.
Il cavolo rapa (Brassica oleracea L. var. gongylodes) è una varietà di Brassica oleracea. La parte inferiore del fusto (chiamata "torsa") forma un ingrossamento a forma di globo, di poco staccato dal terreno. La torsa (chiamata impropriamente rapa) ha una consistenza carnosa e costituisce la parte commestibile dell'ortaggio; può avere esteriormente una colorazione bianca, verde o violetta.
La semina avviene in semenzaio a maggio o giugno. Il trapianto in campo delle piantine è effettuato dopo un paio di mesi. La raccolta viene effettuata in autunno.
Il cavolo rapa può essere consumato crudo (nella preparazione di insalate), cotto al vapore o bollito.


La parola 'rafano' può corrispondere a due piante diverse, per cui necessita una distinzione. Il Raphanus Raphanistrus, appartenente alla stessa famiglia del ravanello, è una pianta che non si mangia, mentre il rafano comunemente inteso appartiene alla specie Armoracia rusticana, ed è detto anche Rafano Rusticano, Rafano Tedesco barbaforte.
È una pianta da radice che si coltiva proprio per la parte sotterranea che non si consuma cruda a causa della presenza di principi attivi (isotiocianati in altissima concentrazione) particolarmente pungenti. Piuttosto, viene lavorata per preparare, con l’aceto, lacosiddetta salsa di rafano o salsa Cren, una specialità usata anche come ingrediente dal sapore particolarmente incisivo e che, per l’effetto diretto che viene dal contatto con le mucose, causa una forte lacrimazione quando viene mangiata.
La salsa è diffusa in alcune parti d’Italia, soprattutto in Trentino e in Veneto, e serve per insaporire mentre in altre regioni il rafano subisce una lavorazione diversa per preparare altre portate (come i dolci).
Il daikon, anche se visivamente è completamente diverso dal ravanello, in realtà è una pianta strettamente correlata a quest’ultimo: viene definito anche ravanello cinese, perché cresce spontaneo nei paesi asiatici. Appartiene alla specie Raphanus sativus, ma ad una varietà diversa rispetto al ravanello comune che è la varietà longipinnatus, e raggiunge dimensioni molto maggiori rispetto al ravanello comune, perché può arrivare addirittura a un metro di lunghezza (la media va però dai 25 ai 35 centimetri), considerando solamente la radice. La forma è allungata e il colore è biancastro, tanto che visivamente somiglia ad una carota dal diametro maggiore. In Italia non è molto conosciuto e utilizzato, mentre in Giappone è un ortaggio base della cucina, consumato sia crudo (in insalata), che cotto in stufati oppure in zuppe. È caratterizzato per l’elevato contenuto in vitamine, ed è una pianta molto nutriente perché, come il ravanello, accumula le sostanze nutritive prima della crescita effettiva della pianta, per cui costituisce una riserva di nutrimento.



Il ravanello è una pianta da radice che appartiene alla specie Raphanus sativus, con la radice commestibile. Nonostante il genere sia Raphanus, non ha nulla a che vedere con il Rafano, pianta da radice che appartiene a una famiglia completamente diversa.
La classificazione dei ravanelli non è semplice, perché ne esistono diverse varietà (che secondo alcuni botanici sono specie a sé stanti), che si distinguono sia per il colore della radice, che va dal bianco al rosso intenso (e al viola, dette “varietà nere”), sia per la lunghezza della radice, che può essere globosa e terminare con una piccola punta oppure allungata e meno sviluppata in larghezza, più simile a quella di una carota. Si parla quindi di varietà tonde e di varietà semilunghe. A differenza delle carote e delle pastinache, dove la radice si sviluppa di pari passo insieme alla pianta, nel ravanello la radice compare prima della parte che fuoriesce dal terreno, e poi la pianta, per crescere, prende le sostanze nutritive accumulate nella prima fase della vita; questo significa che un ravanello non raccolto, man mano, perderà la parte commestibile della radice. La radice, seppur piccola, è ricca di sostanze nutritive e non sono presenti principi anti nutrizionali, motivo per cui il ravanello può essere consumato crudo senza alcun problema.


La pastinaca, conosciuta e coltivata in Italia solamente in alcune regioni ma molto diffusa nel Vecchio Continente, oltre che in quello americano, è una pianta che appartiene alla stessa famiglia delle carote, le Apiacee. È un ortaggio da radice visivamente somigliante ad una carota, dal colore sempre chiaro e dal fittone più lungo. Di pastinaca ne esistono moltissime specie, ma solo 14 sono quelle commestibili e la più diffusa al mondo per la coltivazione è la Pastinaca sativa, anche se altre possono essere trovate nei mercati locali. 
La pastinaca è più dura rispetto alla carota, e anche se teoricamente è commestibile come ortaggio crudo, per rompere le strette connessioni interne della radice è necessaria la cottura; le tecniche sono le stesse della patata, anche se in questo caso non sono presenti fattori antinutritivi (che sono presenti invece nelle foglie, che sono tossiche e pertanto non vengono utilizzate nemmeno per l’alimentazione animale). 
La pastinaca è molto fibrosa, più della carota, e di conseguenza è anche meno calorica, anche se le difficoltà di consumo e la maggior facilità di coltivazione delle carote ne limitano la diffusione; il gusto della pastinaca è più acidulo rispetto a quella della carota.


La carota (Daucus carota L., 1753) è una pianta erbacea dal fusto di colore verde appartenente alla famiglia delle Apiaceae; è anche uno dei più comuni ortaggi; il suo nome deriva dal greco Karotón. La carota spontanea è diffusa in Europa, in Asia e nel Nord Africa. Ne esistono molte e diverse cultivar che sono coltivate in tutte le aree temperate del globo.
Allo stato spontaneo è considerata pianta infestante e si trova facilmente in posti assolati ed in zone aride e sassose ma anche in tutti gli ambienti rurali e perfino alle periferie cittadine.
È una specie erbacea biennale, alta fino a 100 cm, che nel secondo anno sviluppa un fusto eretto e ramificato con foglie verdi profondamente divise e villose. Ha grandi ombrelle di forma globulare composte da ombrellette. Queste sono a loro volta formate da fiori piccoli bianchi a cinque petali; il fiore centrale è rosso scuro. L'infiorescenza presenta grandi brattee giallastre simili alle foglie.
Nei fiori sono presenti delle piccole ghiandole profumate che attirano gli insetti. Le infiorescenze dopo la fecondazione dei fiori si chiudono a nido d'uccello. Fiorisce in primavera da maggio fino a dicembre inoltrato. I frutti sono dei diacheni irti di aculei che aiutano la disseminazione da parte degli animali. La radice è lunga a fittone di colore giallastro, a forma cilindrica, lunga 18–20 cm con diametro intorno ai 2 cm. Nel gergo comune si è soliti riferirsi alla carota come alla parte edibile, di colore arancione, che è la radice.
La carota è coltivata a fittone radicale di colore bianco nelle varietà da foraggio ed arancio nelle varietà da ortaggio (cristalli di caroteni nei cromoplasti delle cellule parenchimatiche). La carota è ricca di vitamina A (Betacarotene), B, C, PP, ed E, nonché di sali minerali e zuccheri semplici come il glucosio. Per questo motivo il suo consumo favorisce un aumento delle difese dell'organismo contro le malattie infettive.
La parte edibile della carota – che si coltiva due volte l'anno – è la radice (sviluppata a cono rovesciato): le carote precoci vengono raccolte dopo circa quattro mesi mentre le tardive ne richiedono circa sei. In base al tempo di coltivazione la loro lunghezza può variare da un minimo di 3 cm a un massimo di 20 cm. L'uso in cucina della carota è svariato; può essere utilizzata per preparare puree, succhi, minestre, dolci ecc., ma anche cruda in insalata. Ad una temperatura di 0 °C ed un'umidità percentuale tra 90-95 si può conservare per diversi mesi mantenendo inalterate tutte le sue proprietà organolettiche. Se cotta al vapore o consumata cruda conserva ugualmente ogni sua proprietà.
La parte centrale color porpora del fiore bianco viene usata dagli artigiani della miniatura. Dai suoi frutti si ricava un olio aromatico che viene usato per la produzione di liquori.
La carota è molto usata in cosmesi perché antiossidante e ricca di betacarotene, perciò stimola l'abbronzatura prevenendo la formazione di rughe e curando la pelle secca e le sue impurità; la sua polpa è un ottimo antinfiammatorio adatto a curare piaghe, sfoghi cutanei e screpolature della pelle.
Le carote si possono cucinare in vari modi, sia grattugiate con il succo di limone per contrastare con la sua acidità la dolcezza della carota. Si possono anche cucinare al vapore. Vengono talvolta usate per accompagnare il soffritto con il sedano e le cipolle. Inoltre sono famose le torte di carote, spesso insieme alle mandorle.
Molto apprezzate già nell’antica Roma in quanto considerate diuretiche, utili nelle malattie del fegato, nelle artropatie e soprattutto per il mantenimento di una pelle fresca e giovanile. Quest’ultima attività è stata oggi riconosciuta dalla Scienza per la sua elevata ricchezza in provitamina A, o beta-carotene (che proprio dalla carota deriva il suo nome), un potente antiossidante che consente alla pelle di abbronzarsi evitando l’eritema solare, ma anche di limitare la comparsa dell’acne, di rughe precoci e di impurità in genere. L’azione del beta-carotene si estrinseca inoltre nella prevenzione dell’invecchiamento, di alcuni tumori e dell’aterosclerosi. Da non sottovalutare poi la presenza di vitamine e di sali minerali, utili nel trattamento della gotta e nelle convalescenze, dopo un’assunzione prolungata di antibiotici, in quanto ripristinano l’equilibrio dei batteri probiotici intestinali. Il succo fresco e la polpa della carote combattono i foruncoli e le discromie cutanee.
Cenni storici
La carota non ha sempre avuto quella colorazione arancione che conosciamo. Questo tubero, che in diverse lingue si traduce con il termine "radice", viene dall’Asia Minore. Si pensa che all’origine, più di duemila anni fa, la sua polpa fosse biancastra e fibrosa e la buccia molto dura. Tanto per intenderci, i Greci e i Romani se ne interessarono pochissimo, e solo dal Rinascimento in poi si iniziò a coltivarne delle varietà più appetitose.
Secondo una buona parte di studiosi la varietà di carota oggi coltivata deriverebbe dall’Afghanistan, probabilmente zona di origine di questa specie orticola. La carota era già conosciuta ed utilizzata dai Greci e dai Romani che però se ne interessarono pochissimo. In ogni modo la apprezzavano per le sue proprietà medicinali considerandola, in alcuni casi, cibo afrodisiaco e di lusso.
La diffusione della carota dall’area mediterranea all’Europa Occidentale avviene tuttavia solo a partire dal 1300. E’ certo che nel 1400 la produzione penetra in Francia e in Germania, dove la carota veniva utilizzata come dolcificante per cibi e bevande, mentre in Olanda arriva nel 1600, ma solamente nella cultivar dal colore arancio come evidenziano alcuni dipinti conservati nei musei olandesi. Solo dal Rinascimento in poi, dunque, si iniziò a coltivare la carota in Europa costantemente e ad ottenere varietà più saporite.
Coltivazione
Può crescere sia allo stato selvatico (con radice dura e non commestibile) che per coltivazione. Circa i due terzi della produzione mondiale di carote si ottiene in Europa ed Asia. Il 75% della produzione italiana, che si attesta attorno alle 500.000 tonnellate, proviene da tre sole regioni: Sicilia (42%), Abruzzo (21%) e Lazio (12%). Altre aree importanti per questa coltura sono Veneto, Emilia-Romagna e Puglia. le varietà precoci si seminano in gennaio - marzo, e in questo caso si raccolgono le radici in agosto; le semiprecoci in aprile - maggio, le tardive da fine agosto a tutto ottobre per ottenere una produzione nel periodo autunno-inverno; è consigliabile seminare scalarmente ogni 15-25 giorni, in questo modo si ottengono radici a diverse epoche e di conseguenza sarà possibile avere carote fresche per un lungo periodo di tempo.
Varietà
Le carote si distinguono secondo il colore e la forma della radice. Dal punto di vista orticolo le varietà più importanti sono quelle rosse, intendendo con questo termine tutte quelle che producono radici di colore rosso o arancio. Per quanto riguarda la forma, vengono suddivise in corte, mezzane e lunghe. Altro carattere molto importante è l'epoca di maturazione, in base alla quale le varietà si distinguono in precoci medie o tardive.
Fra quelle a radice corta e di forma sferoidale, si ricordano Rossa parigina o Mercato di Parigi, Rossa corta e Signal; tra quelle a radice media, le più pregiate sono Nantes, Chantenay, Amsterdam e Touchon. Per quanto riguarda le cultivar a radice lunga, infine, la più diffusa in Italia è la Fiumicino.
Come scegliere
Le foglie sono il miglior parametro visivo della qualità. Foglie fresche sono sempre correlate a carote appena colte che si presentano di colore brillante e turgide. Le carote fresche si spezzano ma non si piegano. Il colore delle carote dipende molto dalla varietà e dal contenuto di carotenoidi, che se è elevato ne cambia il sapore. È possibile trovare sul mercato vecchie varietà di carote di colore verde pallido e violaceo, che, però, sono più fibrose e non hanno un valore nutrizionale maggiore di quelle comuni. In genere, le baby carote più comuni sono quelle ottenute dal taglio e abrasione di quelle comuni lunghe; ma è possibile trovare quelle ottenute da semine fitte e vendute a mazzetti.
Come conservare
Le carote, mondate e lavate per eliminare eventuali tracce di terra, si conservano per alcune settimane nella parte più fredda del vano frigo. L’inserimento in sacchetti di polietilene microforati è opportuno per contenere l’appassimento, ma al contempo, è necessario evitare un eccessivo ristagno di umidità che favorirebbe lo sviluppo di marciumi. È consigliabile, inoltre, attuare ricambi d’aria all’interno dei contenitori per evitare l’accumulo di etilene (sostanza prodotta dagli organi vegetali) che favorirebbe la comparsa del retrogusto amaro.
Prodotti a marchio
Carota dell'Altopiano del Fucino IGP: presenta una radice di forma prevalentemente cilindrica con punta arrotondata, priva di peli radicali e senza cicatrici profonde nei punti di emissione del capillizio. Di colore arancio intenso, è prodotta nell'intero comprensorio dell'Altopiano del Fucino in provincia di L'Aquila; si caratterizza per l'epidermide liscia e la polpa estremamente croccante.

La scorzonera Hispanica L., è una specie erbacea perenne, annuale in coltura. Nel primo anno forma una radice fittonante carnosa di colore scuro in superficie e all'interno di colore bianco crema, il secondo anno emette lo scapo fiorale. La radice è cilindrica allungata (fino a 20 cm di lunghezza). La zona di produzione è Mendatica, in valle Arroscia. È in realtà un ortaggio di importanza secondaria nel mercato nazionale, ma ha invece grande significato locale poiché rientra nella preparazione di pietanze tradizionali.
Esiste pure la scorzobianca o radice amara. Prende questo nome in contrapposizione alla scorzonera o radice dolce. Scorzonera Originaria e ancora diffusa allo stato spontaneo in Europa centrale e meridionale, la troviamo anche nel Caucaso, in Crimea e Asia. Il suo nome deriva dalla parola catalana escorso che significa vipera, perché, nel Medioevo, a questa radice si attribuivano poteri taumaturgici contro il veleno di questi rettili. Non ci è dato sapere con quale efficacia.

La cima di rapa appartiene come il cavolo alla famiglia delle Brassicacee, ma ad una specie diversa che è Brassica rapa. Si coltiva sia per consumarne la radice, che ha una forma globosa, sia per la sua infiorescenza (ed è per questo che rientra nella categoria degli ortaggi a fiore) che è simile a quello del cavolo; è conosciuta anche come broccolo di rapa o cima di rapa.
Le rape coltivate per la raccolta delle cime fanno parte della varietà Esculenta, e si caratterizzano per la radice a fittone, che non ingrossa e quindi non può essere consumata. Nella parte superiore delle rape si formano le infiorescenze, a forma di ombrello, che devono essere raccolte, come accade per il cavolo, prima dell’apertura dei fiori. Le cime di rapa possono essere classificate in molti modi, sono ortaggi da radice, ma anche sono ortaggi a fiore a tutti gli effetti, ma si distinguono dal cavolo per tollerare meno il freddo ed è per questo che sono particolarmente coltivate (e di conseguenza consumate) nel Sud Italia, rispetto alle regioni del nord.

10 ORTAGGI (2^ Edizione)

 

Ortaggi. In queste 360 pagine ho raccolto oltre 250 schede di prodotti, lavorazione e tecniche di cucina pubblicate sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Ortaggi, che spettacolo vedere i banchi dei prodotti dell'orto traboccare di colori in ogni stagione. Ed i sapori? In cucina lo spettacolo visivo si muta in spettacolo aromatico. Senza giungere agli eccessi di una dieta vegetariana sbilanciata, gli ortaggi sono salute... e risparmio. In ogni stagione la verdura sta sulla nostra tavola. Ma una conoscenza più approfondita ci fa scoprire che ogni tipo di ortaggio ha molte varianti. Si deve conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro ortolano di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.

BRANCALEONE FOX TERRIER

“Brancaleone Fox Terrier” è il primo di un ciclo di volumi che Jean Jacques Bizarre, nom de plume di un bon vivant di origini parigine, ha dedicato alla Liguria, terra che conosce molto bene poiché vi ha risieduto a lungo in compagnia del suo adorato cane, costantemente attorniato dalle sue amicizie senza confini. Il libro è scritto sotto forma di diario che è anche guida turistica e gastronomica romanzata. Il volume si compone di 682 pagine. Leggendolo conoscerete luoghi, miti, leggende, eventi, itinerari, ristoranti e quanto di buono si può trovare in questa affascinante terra. Ma Jean Jacques ha anche aperto a voi le porte del suo cuore e delle sue grandi passioni: le belle donne e la buona cucina (non necessariamente nell'ordine).