La Pasta di Gragnano è un prodotto alimentare - ottenuto dall’impasto della semola di grano duro con acqua della falda acquifera locale - prodotto su tutto il territorio del comune di Gragnano in provincia di Napoli.
Da ottobre 2013, a livello europeo, la denominazione "Pasta di Gragnano" è stata riconosciuta indicazione geografica protetta (IGP)[1].
La produzione della pasta risale alla fine del XVI secolo quando comparirono i primi pastifici a conduzione familiare. Fino al XVII secolo era un alimento poco diffuso ma, a seguito della carestia che colpì il Regno di Napoli, divenne un alimento fondamentale grazie alle sue qualità nutritive e per l'invenzione che consentiva di produrre pasta, detta oro bianco,a basso costo pressando l'impasto attraverso le trafile. I terreni ideali per consentire la produzione furono Gragnano e Napoli, grazie ai loro microclima composti da vento, sole e giusta umidità. Proprio gli abitanti del Regno di Napoli furono i primi a dare delle svolte importanti alla produzione di pasta, e nel 1861 all'apice della produzione della pasta c'erano gli stabilimenti di Gragnano. I gragnanesi, in quel periodo, furono i maggiori esportatori di pasta nel mondo in particolare nella vendita dei maccheroni. Grazie alla sua leggendaria tradizione, Gragnano divenne la patria della pasta celebrata da scrittori, storici e poeti. Uno dei tanti artisti che celebrarono le doti e le qualità degustative della pasta di Gragnano fu il poeta Gennaro Quaranta il quale compose Maccheronata, una poesia in risposta al pessimismo del poeta recanatese Giacomo Leopardi. La poesia integrale diceva così:
« E tu fosti infelice e malaticcio,/ o sublime Cantor di Recanati, / che bestemmiando la Natura e i Fati,/ frugavi dentro te con raccapriccio./ Oh mai non rise quel tuo labbro arsiccio,/ né gli occhi tuoi lucenti ed incavati,/ perché... non adoravi i maltagliati, /le frittatine all'uovo ed il pasticcio!/ Ma se tu avessi amato i accheroni/ più de' libri, che fanno l'umor negro,/
non avresti patito aspri malanni.../ E vivendo tra i pingui bontemponi/ giunto saresti, rubicondo e allegro, forse fino ai novanta od ai cent'anni... »
non avresti patito aspri malanni.../ E vivendo tra i pingui bontemponi/ giunto saresti, rubicondo e allegro, forse fino ai novanta od ai cent'anni... »
Il 12 luglio del 1845 il re del Regno di Napoli Ferdinando II di Borbone, durante un pranzo, concesse ai fabbricanti gragnanesi l'alto privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe, e così che per tutti, da allora, Gragnano diventò la città dei maccheroni.
I tipi di pasta che caratterizzano la produzione di Gragnano sono:
paste lunghe
Linguine
Spaghetti, alla chitarra o con curva
Vermicelli, con curva o bucati
Bucatini
Mafaldine
Mista lunga
Mafaldine
Mista lunga
Ferrazzuoli
Fusilli bucati
Fusilli bucati
Ziti lunghi
Candele lunghe
Fusilli bucati lunghi al bronzo
paste corte
Paccheri
Mezzi Paccheri
Mezzi Paccheri
Calamari
Sedani
Mezze penne rigate
Sedani
Mezze penne rigate
Mezzi Rigatoni
Millerighe
Mezze Millerighe
Mezze Millerighe
Fusilloni
Mezzi Borbardoni
Mezzi Borbardoni
Tortiglioni
Elicoidali
Casarecce
Occhi di lupo
Elicoidali
Casarecce
Occhi di lupo
Pennoni
Canneroni
Maccheroncelli
Pennette
Penne zite
Canneroni
Maccheroncelli
Pennette
Penne zite
Tubetti rigati
Gnocchi napoletani
Taccozzette
Vesuvio
Scialatielli
Corone di bronzo
Vesuvio
Scialatielli
Corone di bronzo
paste laminate
Farfalle
paste al forno
paste al forno
Cannelloni
Lumaconi
Conchiglioni
Fettuccine
Caccavelle
In base al tipo di superficie, le paste si dividono ancora in due categorie:
lisce, apprezzate per la leggerezza
Lumaconi
Conchiglioni
Fettuccine
Caccavelle
In base al tipo di superficie, le paste si dividono ancora in due categorie:
lisce, apprezzate per la leggerezza
rigate, apprezzate per la capacità di trattenere i sughi
Infine viene considerata la ruvidezza della superficie che aiuta il sugo ad attaccarsi e rende il contatto in bocca più gustoso. Essa cambia in base alla tecnica e agli strumenti di produzione; pertanto si apprezzano le più rugose e porose:
pasta fatta a mano
pasta trafilata al bronzo
pasta laminata
pasta da forno
I garganelli sono un tipo di una pasta all'uovo (rigata) ottenuta ripiegando delle piccole losanghe di pasta, riconosciuto prodotto tipico della regione Emilia-Romagna. L'aspetto è simile alle "penne" se si esclude che nel punto di sovrapposizione dei due lembi di pasta il garganello ha una diversa consistenza.
Il termine agnolotto o agnellotto deriva probabilmente da anellotto, a sua volta accrescitivo di anello, e indica un tipo di pasta ripiena simile ai ravioli. Gli agnolotti si mangiano in vari modi, come minestra, bolliti nel brodo o asciutti, con sugo di carne arrosto o con burro, salvia e Parmigiano Reggiano o Grana Padano, con ragù di carne.
Sebbene siano ormai diffusi in tutte le regioni italiane, gli agnolotti sono originari del Piemonte, in particolare nelle zone del Monferrato, nelle province di Alessandria e Asti. Secondo la tradizione popolare a inventari sarebbe stato un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelot, secondo altre scuole di pensiero, invece, il nome agnolotto deriverebbe dal termine piemontese anulot, che indicava un ferro usato per tagliare la pasta a forma di anello.
Per quanto riguarda la forma, essi sono estremamente simili ai ravioli: quadrati, con i bordi frastagliati, con al centro il ripieno racchiuso tra due sfoglie di pasta all’uovo, creando un rigonfiamento simile a una piccola cupola, sia da un lato sia dall’altro.
Nelle Langhe e nel Monferrato gli agnolotti hanno dimensioni più piccole e rettangolari e sono detti agnolotti al plin, con quest’ultimo termine che indica il pizzicotto con il quale si chiude questo tipo di pasta ripiena.
Per quanto riguarda il ripieno, nella tradizione popolare piemontese esso è costituito dagli avanzi dell’arrosto triturati e mescolati con verdure, riso e altri ingredienti. Proprio nel ripieno sta la differenza con i ravioli. A Calliano, in provincia di Asti, gli agnolotti sono ripieni con carne d’asino.
Dagli agnolotti piemontesi si differenziano quelli pavesi, perché nella zona dell’Oltrepò Pavese, la cucina subisce le influenze sia delle tradizioni culinarie del Piemonte sia di quelle piacentine. Per questo gli agnolotti pavesi sono ripieni di stufato alla pavese, un tipo di carne stracotta, come il ripieno degli anolini piacentini.
Dagli agnolotti piemontesi si differenziano quelli pavesi, perché nella zona dell’Oltrepò Pavese, la cucina subisce le influenze sia delle tradizioni culinarie del Piemonte sia di quelle piacentine. Per questo gli agnolotti pavesi sono ripieni di stufato alla pavese, un tipo di carne stracotta, come il ripieno degli anolini piacentini.
I cannelloni sono un formato di pasta di forma cilindrica. Il prodotto viene consumato con un ripieno salato che nella ricetta classica comprende un impasto di ricotta e spinaci oppure di carni macinate. È poi coperto con un sugo di pomodoro o con salsa besciamella e infine cotto al forno.
Nelle Marche ed in Umbria i cannelloni sono un formato di pasta fresca all'uovo. Il ripieno tipico è costituito da un impasto di carne macinata e la cottura è sempre al forno.
Questo tipo di pasta viene commercializzato sia nella versione precotta sia nella versione che necessita di una lessatura prima di essere riempito. Le dimensioni sono approssimativamente di 8 - 10 cm di lunghezza, circa 2 cm di diametro e uno spessore tra 0.9 e 1 mm .
I cannelloni sono formati da rettangoli di pasta all'uovo simili a quelli con cui si preparano le lasagne ma di formato più piccolo e arrotolati su se stessi per contenere il ripieno. La preparazione è la stessa e gli ingredienti sono farina, uova e acqua.
I cannelloni sono formati da rettangoli di pasta all'uovo simili a quelli con cui si preparano le lasagne ma di formato più piccolo e arrotolati su se stessi per contenere il ripieno. La preparazione è la stessa e gli ingredienti sono farina, uova e acqua.
I cappelletti sono un formato di pasta ripiena che si ottiene tagliando la sfoglia di pasta all'uovo in quadrati o cerchi, al centro dei quali viene posto il ripieno; la pasta viene poi piegata prima in due a triangolo, e poi unendo le estremità intorno a un dito della mano. I cappelletti vengono poi cotti in brodo di carne, preferibilmente di pollo.
Essendo una ricetta molto diffusa al giorno d'oggi su ampia base territoriale, molte tradizioni locali reclamano la primogenitura di questo piatto. Sicuramente l'area di origine, comunque, è l'Italia centro-settentrionale, probabilmente con lo sviluppo di tradizioni parallele, che in parte sussistono ancora oggi.
I cappelletti sono il piatto tipico della provincia di Reggio Emilia; la loro forma, che nell'Appennino reggiano è più minuta, tende ad aumentare scendendo dal crinale alla pianura e ad al Po. Vengono cucinati in brodo di cappone o con salse tipiche romagnole . Sono il piatto tipico anche nel Viadanese (parte del Basso Mantovano al confine con la provincia di Reggio Emilia).
In Romagna, dove è particolare anche il modo di "chiuderli", i cappelletti sono detti caplèt e costituiscono un piatto natalizio d'obbligo in tutta la regione. La tradizione più tipica è quella di confezionare il ripieno dei cappelletti con formaggio e petto di cappone. Tale ripieno in Romagna viene chiamato "compenso".
Pellegrino Artusi, padre fondatore del cappelletto romagnolo, nel suo La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, descrive la particolare ricetta dei "Cappelletti all’uso di Romagna" (ricetta n. 7), con ripieno a base di ricotta (o ricotta e raviggiolo), petto di cappone o lombata di maiale, da cuocere nel brodo di cappone.
In tutte le Marche, da nord a sud, i cappelletti sono considerati pasta tradizionale tipica e sono anche per questo apprezzati. Mentre i tortellini in alcune aree marchigiane sono giunti solo nel dopoguerra, i cappelletti sono da sempre preparati in casa in tutta le regione. Anche nelle Marche alcune ricorrenze annuali, come i grandi pranzi di Natale, prevedono come primo piatto, quasi obbligatoriamente, i cappelletti in brodo. A differenza della Romagna, dove il ripieno è confezionato con formaggio e petto di cappone, la ricetta marchigiana prevede solo il formaggio.
I cappelletti asciutti, con ragù di carne o altra salsa, sono una creazione recente.
I cappelletti si distinguono dai tortellini (che in Emilia sono più comuni dei cappelletti) per il modo di chiuderli: una volta messo il ripieno nella pasta, questa viene piegata su se stessa, poi - tramite un attrezzo munito di lama circolare - si tagliano dei fagottini.
Il ripieno dei cappelletti è infatti diverso a seconda delle zone:
Nelle ricette romagnole, il ripieno è detto e' pin d'é caplèt o e' batù, ed è a base di ricotta, a cui possono essere aggiunti altri formaggi teneri (caciotta o raviggiolo), parmigiano-reggiano grattugiato, noce moscata, uova crude e in alcune zone scorza di limone grattugiata. La sfoglia viene tagliata in quadratini di circa 5 cm di lato; in ciascuno di essi viene inserito un cucchiaio di ripieno. I cappelletti romagnoli vanno gustati sempre in brodo: essi vanno lessati in un ottimo brodo di carne. È buona norma non prelevarli subito dalla pentola ma lasciarli a bagno per qualche minuto affinché assorbano bene il brodo.
Nelle ricette marchigiane, il ripieno è invece a base di carni stufate comprensive degli "odori" sedano, carota e poca cipolla, passati al tritacarne, a cui vengono aggiunti uova crude, formaggio stagionato grattugiato, noce moscata e scorza di limone grattugiata.
Se il cappelletto è generalmente di taglia piccola e va consumato in brodo, la variante cappellaccio o "tortello", di identica forma, ma di dimensione almeno doppia, viene consumata asciutta; tipico di Ferrara e di Reggio Emilia è il cappellaccio di zucca con ripieno a base di zucca, tipico di Mantova il tortello ripieno di zucca e amaretto.
Al giorno d'oggi è possibile reperire cappelletti confezionati in ogni parte del mondo, soprattutto dove le comunità italiane hanno una certa importanza. I cappelletti confezionati "freschi" hanno normalmente una durata di sette settimane.
I cappelletti sono il piatto tipico della provincia di Reggio Emilia; la loro forma, che nell'Appennino reggiano è più minuta, tende ad aumentare scendendo dal crinale alla pianura e ad al Po. Vengono cucinati in brodo di cappone o con salse tipiche romagnole . Sono il piatto tipico anche nel Viadanese (parte del Basso Mantovano al confine con la provincia di Reggio Emilia).
In Romagna, dove è particolare anche il modo di "chiuderli", i cappelletti sono detti caplèt e costituiscono un piatto natalizio d'obbligo in tutta la regione. La tradizione più tipica è quella di confezionare il ripieno dei cappelletti con formaggio e petto di cappone. Tale ripieno in Romagna viene chiamato "compenso".
Pellegrino Artusi, padre fondatore del cappelletto romagnolo, nel suo La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, descrive la particolare ricetta dei "Cappelletti all’uso di Romagna" (ricetta n. 7), con ripieno a base di ricotta (o ricotta e raviggiolo), petto di cappone o lombata di maiale, da cuocere nel brodo di cappone.
In tutte le Marche, da nord a sud, i cappelletti sono considerati pasta tradizionale tipica e sono anche per questo apprezzati. Mentre i tortellini in alcune aree marchigiane sono giunti solo nel dopoguerra, i cappelletti sono da sempre preparati in casa in tutta le regione. Anche nelle Marche alcune ricorrenze annuali, come i grandi pranzi di Natale, prevedono come primo piatto, quasi obbligatoriamente, i cappelletti in brodo. A differenza della Romagna, dove il ripieno è confezionato con formaggio e petto di cappone, la ricetta marchigiana prevede solo il formaggio.
I cappelletti asciutti, con ragù di carne o altra salsa, sono una creazione recente.
I cappelletti si distinguono dai tortellini (che in Emilia sono più comuni dei cappelletti) per il modo di chiuderli: una volta messo il ripieno nella pasta, questa viene piegata su se stessa, poi - tramite un attrezzo munito di lama circolare - si tagliano dei fagottini.
Il ripieno dei cappelletti è infatti diverso a seconda delle zone:
Nelle ricette romagnole, il ripieno è detto e' pin d'é caplèt o e' batù, ed è a base di ricotta, a cui possono essere aggiunti altri formaggi teneri (caciotta o raviggiolo), parmigiano-reggiano grattugiato, noce moscata, uova crude e in alcune zone scorza di limone grattugiata. La sfoglia viene tagliata in quadratini di circa 5 cm di lato; in ciascuno di essi viene inserito un cucchiaio di ripieno. I cappelletti romagnoli vanno gustati sempre in brodo: essi vanno lessati in un ottimo brodo di carne. È buona norma non prelevarli subito dalla pentola ma lasciarli a bagno per qualche minuto affinché assorbano bene il brodo.
Nelle ricette marchigiane, il ripieno è invece a base di carni stufate comprensive degli "odori" sedano, carota e poca cipolla, passati al tritacarne, a cui vengono aggiunti uova crude, formaggio stagionato grattugiato, noce moscata e scorza di limone grattugiata.
Se il cappelletto è generalmente di taglia piccola e va consumato in brodo, la variante cappellaccio o "tortello", di identica forma, ma di dimensione almeno doppia, viene consumata asciutta; tipico di Ferrara e di Reggio Emilia è il cappellaccio di zucca con ripieno a base di zucca, tipico di Mantova il tortello ripieno di zucca e amaretto.
Al giorno d'oggi è possibile reperire cappelletti confezionati in ogni parte del mondo, soprattutto dove le comunità italiane hanno una certa importanza. I cappelletti confezionati "freschi" hanno normalmente una durata di sette settimane.
Le ceppe (più propriamente maccheroni con le ceppe) sono un tipo di pasta all'uovo tipiche della provincia di Teramo, in particolare di Civitella del Tronto. Sono una sorta di bucatini corti 8-10 cm , ottenuti arrotolando la pasta (farina, acqua, uova) intorno a un bastoncino di legno, la ceppa appunto. Con il tempo, per metonimia, con il termine ceppa si è passati ad indicare non solo lo strumento, ma il tipo di pasta stesso. All'originale ceppa in legno è andata via via sostituendosi un sottile ferro in acciaio inox.
I condimenti più usati sono comunemente rappresentati dal prosciutto, dai piselli e da abbondante parmigiano reggiano, oppure un ragù realizzato utilizzando la pasta della salsiccia.
A Codrignano, piccola frazione del comune di Borgo Tossignano (BO), dal venerdì che precede la prima domenica di settembre al martedì successivo, si tiene la Sagra del Garganello, dal 1989.
Il cous-cous o cuscus è un alimento tipico del Maghreb in Nordafrica, della Sicilia occidentale e della Sardegna sudoccidentale (Calasetta, Isola di Sant'Antioco e Carloforte), costituito da granelli di semola di frumento cotti a vapore (del diametro di un millimetro prima della cottura, poi via via sempre più grandi). Alcune varianti sono presenti anche nella cucina brasiliana.
Tradizionalmente il cuscus veniva preparato con semola di grano duro, Triticum durum, quella farina granulosa che si può produrre con una macinatura grossolana utilizzando macine primitive, ma oggi con questo nome ci si riferisce anche ad alimenti preparati con cereali diversi, come orzo, miglio, sorgo, riso, farro o mais.
Le Farfalle nascono da una sfoglia tagliata a quadretti e "pinzata" al centro, ed hanno una superficie delicata che si svela al palato attraverso una differente consistenza tra la parte centrale più spessa e le due estremità: un vero e proprio piacere per i buongustai. Tra le forme più allegre in cucina, le Farfalle volano di sapore in sapore, adattandosi a più diversi abbinamenti di gusto. La loro superficie liscia le rende particolarmente adatte all'abbinamento con i condimenti leggeri e delicati, a base di verdure. Rivelano tutto il loro piacere in gustose insalate di pasta, e si sposano perfettamente sia ai condimenti più tradizionali sia agli abbinamenti più fantasiosi. Per esaltare la vivacità delle Farfalle, gustatele con pomodorini e menta. Per stupire i vostri ospiti, realizzate le Farfalle in salsa Aurora a base di besciamella, salsa di pomodoro e burro.I ditali sono un tipo di pasta di origine campana, che hanno dato origine ad una vasta gamma di varianti. Sono particolarmente indicati nella preparazione di minestre e nella cucina napoletana sono spesso usati per preparare quelle che possono definirsi minestre asciutte, quali ad esempio la pasta e fagioli, la pasta e piselli e così via.
Le Fettuccine Emiliane sono strisce di sfoglia all’uovo ruvida e corposa, a sezione piatta e larghe circa 7 mm , che avvolgono di piacere i momenti a tavola.
Le Fettuccine Emiliane sono preparate con una sfoglia lavorata con pazienza e cura, secondo la tradizione emiliana, e si presentano ruvide e porose al punto giusto per trattenere i sughi ed esaltarne il sapore.
Le Fettuccine Emiliane sono preparate con una sfoglia lavorata con pazienza e cura, secondo la tradizione emiliana, e si presentano ruvide e porose al punto giusto per trattenere i sughi ed esaltarne il sapore.
Lasciatevi avvolgere dal gusto fresco e sorprendente delle Fettuccine Emiliane con vongole, cozze ed olive verdi, oppure sperimentate l’accostamento originale di verdure e vino nella ricetta con ristretto di Lambrusco, broccoli e formaggio fresco.
La frègula, il cui nome è a volte italianizzato in fregola, è un tipo di pasta di semola prodotto in Sardegna. La fregula, disponibile in varie dimensioni, è prodotta per "rotolamento" della semola entro un grosso catino di coccio e tostata in forno. Si presenta sotto forma di palline irregolari di diametro variabile fra i 2 e i 6 millimetri .
Una preparazione tipica della fregula è con il condimento di telline. Il piatto così ottenuto prende il nome di frègula de còciula (in lingua sarda), cioè "fregula di arselle".
La produzione della fregula ha origini certamente antiche. Il primo documento storico a farne menzione è lo Statuto dei Mugnai di Tempio Pausania risalente al XIV secolo, in cui si regolamenta la preparazione, che doveva avvenire rigorosamente dal lunedì al venerdì, per potere destinare ai campi l’acqua del sabato e della domenica.
I Fusilli sono nati nell'Italia centro-settentrionale, e devono il loro nome al fuso, attorno al quale si arrotolava la lana. Sono caratterizzati nella forma da tre alette attorcigliate che si rincorrono armoniosamente in un andamento a spirale, che cattura ogni tipo di condimento.
I Fusilli valorizzano i sughi più elaborati e densi, ma anche quelli più semplici, e consentono grandi risultati anche se si vuole osare qualche difficile esperimento culinario. Si adattano alla perfezione a ricche salse a base di carne o ricotta, ma rivelano la propria personalità multiforme anche nella freschezza delle insalate: le verdure sminuzzate, le spezie, il tonno scivolano tra le loro spire armoniosamente accompagnate dalle note vellutate dell'olio d'oliva crudo. Se cercate una soluzione raffinata preparateli agli asparagi e prosciutto: cucinate al dente sia la pasta che gli asparagi, arricchite il tutto con il sapore delicato del prosciutto.
I fusilli sono un tipo di pasta, secca o fresca, che si ottiene aggiungendo alla semola di grano duro e acqua o uovo. Nella versione all'uovo, a volte sono aggiunti spinaci o ortiche per ottenere un colore verde, peperoncino o barbabietola o rapa rossa o pomodoro per un colore rosso, nero di seppia per un colore nero o zafferano per un colore giallo più intenso.
I fusilli nacquero intorno al 1550 da un cuoco che stava al servizio del Granduca di Toscana. Un giorno mentre stava impastando un po' di pasta fatta in casa per cucinare, un pezzo di pasta cadde a terra e il figlio la prese e incominciò a farla rotolare sull'ago che usava la sua nonna per lavorare a maglia.
I fusilli nel corso del Novecento venivano fatti a mano da signore anziane del paese e poi venivano venduti. Ultimamente hanno una lunghezza di circa 7 cm e di solito lo spessore è di quasi 5 mm .
A differenza della pasta di grano duro, gli gnocchi sono un cibo casalingo facile da realizzare (qui trovate le ricette di: Gnocchi di patate, Gnocchi di semolino, Gnocchi di zucca e Gnocchetti di pane), fatto con pochi semplici ingredienti alla portata di qualsiasi cucina.
I vari tipi di gnocchi
Forse proprio per questo motivo nel tempo si sono succedute moltissime varianti di questa pasta, tanto che gli gnocchi si potrebbero definire non un formato, ma una famiglia a sé stante. Al giorno d’oggi in Italia conosciamo sostanzialmente tre categorie di gnocchi: quelli di patate, quelli di semolino (detti anche alla romana) e i canederli la cui radice tedesca del nome – knödel – significa proprio “gnocco”. A questi si possono aggiungere gli gnocchetti sardi – malloreddus – che a dire il vero hanno maggiori caratteristiche in comune con la pasta di semola. In passato, però, le tipologie erano molte di più e alcune di queste sono scomparse dalle nostre tavole.
La nascita degli gnocchi
Sembra che le prime ricette degli gnocchi siano pubblicate per la prima volta nella seconda metà del Cinquecento da parte di Cristoforo Messisbugo e Bartolomeo Scappi, due tra i più grandi cuochi del Rinascimento. I “maccaroni detti gnocchi” sono impastati con farina, pangrattato, acqua bollente e uova, poi passati “su il rovescio della gratugia”, proprio come si fa con gli odierni gnocchi di patate. Serviti asciutti, il condimento è quello tipico di tutta la pasta rinascimentale composto da burro, formaggio e spezie (e un po’ di zucchero, a piacere).
Questo tipo di preparazione resiste per diversi secoli fino all’inizio del Novecento, sotto diversi nomi con leggere varianti. La più comune è quella di aggiungere una buona dose di formaggio e aumentare il numero dei tuorli, formando una miscela simile a quella usata per gli odierni passatelli.
Il canederlo tedesco
Lo stesso impasto descritto per i “maccaroni” può essere arricchito con aggiunta di latte, mollica, a volte riso, burro e spezie per realizzare gli “gnocchi alla tedesca”, antenati dei moderni canederli. Appaiono inizialmente nell’“Apicio Moderno” di Francesco Leonardi del 1790, sempre sotto forma di piccoli gnocchetti da servire asciutti, ma in capo a pochi decenni assumeranno le classiche dimensioni di un uovo e verranno serviti in brodo, come lo “gnocco germanico” di Antonio Odescalchi del 1834 che prevede fegato e milza tra gli ingredienti.
Gli gnocchi bignè
Alla fine del Settecento fa la sua comparsa quella che sarà la ricetta più comune per gli gnocchi chiamati “gnocchi all’acqua” o “gnocchi bignè”. L’impasto è quasi identico all’odierna pasta choux (quella degli attuali bignè) e consiste in una polentina composta da acqua (o latte), burro, farina, arricchita con uova intere e un numero variabile di tuorli. Questa pasta si foggiava poi in piccoli cilindri, losanghe, oppure gettando a cucchiaiate l’impasto in acqua bollente attendendo che si gonfiasse prima di scolarlo e servirlo con burro e formaggio. Di questa ricetta esistono numerose varianti che prevedono anche spinaci o mozzarella, o ancora la farina di riso in sostituzione di quella di frumento.
Per quasi un secolo questa ricetta degli gnocchi rimase la più diffusa e si ritrova ancora quasi identica agli inizi del Novecento come “gnocchetti leggeri” (Giulia Lazzari Turco “Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza per l’uso di famiglia” del 1904) o come specialità regionale, chiamata “macaroni alla veneziana” (“100 specialità di cucina italiane ed estere” edito da Sognozo nel 1908).
Una delle ricette più antiche degli gnocchi all’acqua
Una delle ricette più antiche degli gnocchi all’acqua è riportata da Francesco Leonardi nel suo “Apicio moderno” del 1790: “Fate bollire in una cazzarola (pentola) un poco d’acqua con un buon pezzo di butirro, e sale, poneteci farina sufficiente per fare una pasta maneggievole come alla Reale (che prevedeva 22,8 cl di acqua, 56 gr di burro e una quantità non indicata di farina), fatela cuocere bene sopra il fuoco movendo sempre con una cucchiaja di legno, mettetela poscia in un’altra cazzarola. Quando sarà fredda poneteci per volta per ogni libbra (340 gr) di farina tre rossi d’uova crude e un bianco, maneggiando sempre acciò l’uova l’incorporino colla pasta, aggiungeteci un pugno di parmigiano grattato. Ponete la pasta sopra la tavola della Pasticceria, stendetela poco per volta colle mani con quasi niente farina, alla grossezza del dito grosso, tagliate gli gnocchi a mostaccioletti (piccole losanghe), fateli cuocere nell’acqua bollente giusta di sale, allorché diverranno gonfi, e dentro spongosi (spugnosi) saranno cotti; levateli subito, scolateli.”
Una volta pronti si dispongono a strati in una pirofila con burro, poca panna e parmigiano, prima di essere passati al forno. A discrezione si possono aggiungere cannella, noce moscata o pepe.
Gli gnocchi di patate
Sebbene la patata sia conosciuta e descritta dagli agronomi fin dal tardo Rinascimento, occorre attendere i drammatici esiti della carestia del 1764 per avere ricettari che ne consiglino il consumo mescolata a farina, sotto forma di pane o di pasta. La prima soluzione non prese mai piede a causa della consistenza del pane di patate che si scioglieva una volta bagnato, per cui non poteva essere utilizzato come base delle zuppe, uno degli alimenti cardine della gastronomia dell’epoca. L’introduzione della patata lessa all’interno degli gnocchi ebbe invece una discreta fortuna, ma ancora agli inizi del Novecento questa ricetta era solo una delle numerose varianti presenti in cucina.
Le prime ricette degli gnocchi di patate
Le prime ricette degli gnocchi di patate vengono proposte alla fine del Settecento e le patate lessate e schiacciate non sono semplicemente impastate con la farina, ma inserite all’interno della composizione degli gnocchi all’acqua (vedi sopra). Ancora per decine di anni dentro agli gnocchi di patate vennero inseriti svariati altri ingredienti, come tuorli d’uovo, panna, prezzemolo, aglio, ricotta e grasso di vitello. Pellegrino Artusi nel 1891 ne descrive due ricette: la prima con patate lessate e schiacciate impastate con petto di pollo tritato, parmigiano, tuorli d’uovo, farina e noce moscata. E la seconda, molto più semplice, con sole patate e farina.
Questa versione minimalista, destinata ad avere una grande fortuna, appare già nel 1871 sotto il nome di “gnocchi alla marchigiana”, ma nel 1908 il primo ricettario di cucina tradizionale italiana li include sotto le specialità bolognesi, mentre il “Talismano della felicità” del 1927 ne parla come un piatto tipico delle trattorie romane che viene servito il giovedì.
Gnocchi alla romana
Ma gli gnocchi alla romana che conosciamo oggi sono molto diversi e la loro particolarità è di essere formati da una polentina che, una volta raffreddata e tagliata in pezzi, non viene lessata in acqua, ma passata direttamente in forno con burro e formaggio. Sembra che appaiano per la prima volta ne “Il nuovo cuoco Ticinese” del 1846, un ricettario non esattamente laziale, ma che doveva godere di un punto di vista insolitamente ampio grazie alla sua posizione geografica.
Questa prima versione era composta da farina, latte, tuorli d’uovo profumata con buccia di limone grattugiata. Con lievi differenze (le uova sono intere, scompare il limone ed entra il gruviera) si ritrova ancora agli inizi del Novecento. La semola sostituirà la comune farina solo negli anni ‘30, andando a fissare la ricetta che oggi tutti conosciamo. Per la cronaca, nei ricettari viene citato un altro tipo di gnocco alla romana a base di patate e petto di pollo da servire in brodo, sostanzialmente identico a quello descritto da Pellegrino Artusi a fine Ottocento.
Gli gnocchi dispersi
Gli gnocchi sopravvissuti oggi sono una frazione di quelli registrati nei ricettari nel corso dei secoli di cui si è persa la memoria. Esistevano gli “gnocchi d’oro” a base di farina di granoturco, quelli “alla dama” impastati con tuorli d’uovo cotti, gli gnocchi di riso, di ceci, di piselli, alla panna e molti altri ancora. Tra ricette e varianti, solo il “Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza per l’uso di famiglia” di Giulia Lazzari Turco ne cita almeno 30 tipi da servire in brodo e 24 da servire asciutti: un patrimonio di specialità da cui attingere a piene mani per chi volesse sperimentare l’autentica, ma inusuale, cucina tradizionale italiana.
Gli gnocchi sopravvissuti oggi sono una frazione di quelli registrati nei ricettari nel corso dei secoli di cui si è persa la memoria. Esistevano gli “gnocchi d’oro” a base di farina di granoturco, quelli “alla dama” impastati con tuorli d’uovo cotti, gli gnocchi di riso, di ceci, di piselli, alla panna e molti altri ancora. Tra ricette e varianti, solo il “Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza per l’uso di famiglia” di Giulia Lazzari Turco ne cita almeno 30 tipi da servire in brodo e 24 da servire asciutti: un patrimonio di specialità da cui attingere a piene mani per chi volesse sperimentare l’autentica, ma inusuale, cucina tradizionale italiana.
Le linguine sono un tipo di pasta lunga di semola di grano duro.
La lunghezza è la stessa degli spaghetti ma, anziché avere la forma cilindrica, hanno sembianze piatte e appartengono alla stessa famiglia delle bavette (spaghetto schiacciato a sezione rettangolare, di medio spessore) e delle trenette (linguine a sezione quadrata con maggior spessore ma minore larghezza) originarie di Genova.La particolare conformazione di questo tipo di pasta ne predilige l'accostamento a sughi e condimenti a base di pesce. In Liguria il condimento tipico per le trenette è il pesto, per le linguine la ricetta tipica è le linguine allo scoglio.
I maccheroni sono un tipo di pasta alimentare ottenuta mescolando semola di grano duro e acqua. A volte all'impasto sono aggiunti peperoncino, spinaci o inchiostro di seppia per conferire rispettivamente una colorazione rossa, verde o nera. Esiste anche una versione all'uovo, ottenuta aggiungendo uova all'impasto.
Con il termine maccheroni ci si riferisce normalmente a un generico tipo di pastasciutta corta di forma tubolare, internamente vuota perché s'impregni meglio del sugo con cui viene accompagnata, e di dimensioni varie (in genere la lunghezza è di circa 6 cm ).
In Abruzzo ci si riferisce comunemente con il termine "maccheroni" ai cosiddetti maccheroni alla chitarra, un prodotto agroalimentare tipico della regione consistente in una pasta lunga a sezione quadrata, realizzata con degli specifici utensili denominati "chitarre".
In Sicilia, specialmente nell'entroterra, esiste anche la versione senza buco, ottenuta lavorando la pasta senza il ferretto o altro strumento similare, da servire con salsa di pomodoro e carne di castrato, caciocavallo o ricotta salata grattugiata. Va tuttavia precisato che questo tipo di pasta viene talvolta utilizzato anche per le minestre in brodo e che in alcune regioni il termine può indicare forme di pasta completamente diverse: così, ad esempio, i classici maccheroni alla chitarra abruzzesi (chiamati anche caratelle) o i maccheroni crioli (o cirioli) del Molise in realtà sono molto più simili a degli spaghetti, seppure con una sezione quadrata anziché rotonda. Analogamente, la maccaronara irpina è fatta con grossi spaghetti. I tipici maccheroncini di Campofilone, nelle Marche, sono tagliatelline all'uovo. Inoltre, in alcune zone della Toscana (in particolare nella provincia di Arezzo), per maccheroni si intendono le tagliatelle, come nel tipico piatto maccheroni co' l'ocio che viene realizzato appunto con tagliatelle al ragù d'oca, mentre in provincia di Lucca e Pistoia corrispondono agli straccetti (quadrati o rombi di pasta fatta in casa, spesso conditi con sugo di pomodoro o di funghi). In Calabria per maccheroni o filejia (nella parte centrosettentrionale) si intende un tipo di pasta lunga come mezzo spaghetto lavorata in casa, con un buco finissimo (fatto con un ferretto fino e lungo) e vanno cucinati con ragù o con la carne di capra.
Tale confusione o sovrapposizione lessicale va sostanzialmente attribuita alla più antica origine e al più vasto e generico significato del vocabolo maccheroni rispetto a quello più ristretto che ha assunto progressivamente negli ultimi due secoli con l'avvento di una terminologia specifica per ogni tipo di pasta e la nascita di nomi come spaghetti o tagliatelle.
Tale confusione o sovrapposizione lessicale va sostanzialmente attribuita alla più antica origine e al più vasto e generico significato del vocabolo maccheroni rispetto a quello più ristretto che ha assunto progressivamente negli ultimi due secoli con l'avvento di una terminologia specifica per ogni tipo di pasta e la nascita di nomi come spaghetti o tagliatelle.
In ogni caso il termine generico maccheroni è usato molto più spesso all'estero e inteso quasi come un sinonimo di pastasciutta se non addirittura di pasta. In Italia invece prevalgono le denominazioni legate alle diverse tipologie di pasta. Per fare alcuni esempi, quando i maccheroni si presentano con delle scanalature sulla superficie esterna vengono chiamati rigatoni (scanalature longitudinali) o tortiglioni (scanalature a spirale), se invece la forma è arcuata anziché diritta si utilizzano i termini sedani o sedanini (in base alle dimensioni) o anche lumaconi se i pezzi sono piuttosto larghi e con curvatura particolarmente accentuata.
I maccheroni sono un tipo di pasta alimentare ottenuta mescolando semola di grano duro e acqua. A volte all'impasto sono aggiunti peperoncino, spinaci o inchiostro di seppia per conferire rispettivamente una colorazione rossa, verde o nera. Esiste anche una versione all'uovo, ottenuta aggiungendo uova all'impasto.
Con il termine "maccheroni" ci si riferisce normalmente a un generico tipo di pastasciutta "corta" di forma tubolare, internamente vuota perché s'impregni meglio del sugo con cui viene accompagnata, e di dimensioni varie (in genere la lunghezza è di circa 6 cm ).
Va tuttavia precisato che questo tipo di pasta viene talvolta utilizzato anche per le minestre in brodo e che in alcune regioni il termine può indicare forme di pasta completamente diverse: così, ad esempio, i classici maccheroni alla chitarra abruzzesi (chiamati anche caratelle) o i maccheroni crioli (o cirioli) del Molise in realtà sono molto più simili a degli spaghetti, seppure con una sezione quadrata anziché rotonda. Analogamente, la maccaronara irpina è fatta con grossi spaghetti. I tipici Maccheroncini di Campofilone, nelle Marche, sono tagliatelline all'uovo. Inoltre, in alcune zone della Toscana (in particolare nella provincia di Arezzo), per maccheroni si intendono le tagliatelle, come nel tipico piatto "maccheroni co' l'ocio" che viene realizzato appunto con tagliatelle al ragù d'oca, mentre in provincia di Lucca corrispondono agli "straccetti" (quadrati/rombi di pasta fatta in casa, spesso conditi con sugo di pomodoro, o funghi). In Calabria per maccheroni o filejia (nella Calabria del centro nord) si intende un tipo di pasta lunga come mezzo spaghetto lavorata in casa, con un buco finissimo (fatto con un ferretto fino e lungo) e vanno cucinati con ragù o con la carne di capra.
In ogni caso il termine generico maccheroni è usato molto più spesso all'estero, dove è anche assimilato a quello di spaghetti e inteso quasi come un sinonimo di pastasciutta se non addirittura di pasta. In Italia invece prevalgono le denominazioni legate alle diverse tipologie di pasta. Per fare alcuni esempi, quando i maccheroni si presentano con delle scanalature sulla superficie esterna vengono chiamati "rigatoni" (scanalature longitudinali) o "tortiglioni" (scanalature a spirale), se invece la forma è arcuata anziché diritta si utilizzano i termini "sedani" o "sedanini" (in base alle dimensioni) o anche "lumaconi" se i pezzi sono piuttosto larghi e con curvatura particolarmente accentuata.
In uno specifico articolo, il linguista G. Alessio precisa che la parola può avere due origini: 1) dal greco bizantino, makarònia ossia «canto funebre» (attestato nel sec. XIII da Giacomo di Bulgaria), che sarebbe passato a significare «pasto del funerale» e quindi di «pietanza da servire» durante questo officio (attestato ancor oggi in Tracia orientale, nel senso di «pietanza a base di riso servita durante i funerali»); in questo caso il termine sarebbe composto dalla doppia radice di makàrios «beato» (derivato da màkar, «beato»; per il quale termine attuale greco, la connotazione funebre è attestata anche da makaritis «defunto») e di aeònios «eterno»; 2) dal greco maharia, «zuppa d'orzo» (anche questo, da «beato»), a cui si sarebbe aggiunto il suffisso /-one/. Secondo un'ultima ipotesi, il termine deriverebbe dal latino tardo maccare («schiacciare, comprimere»).
Secondo la leggenda, i maccheroni sarebbero stati portati in Italia da Marco Polo, di ritorno a Venezia dal lontano Catai (cioè dalla Cina), nel 1292. Questa ipotesi è stata da tempo confutata, in quanto sembra che fossero già in uso nella nostra penisola almeno da un secolo, come del resto la pasta in generale: lo scrittore arabo Idrisi ne attesta infatti la presenza in Sicilia, in particolare a Trabia.
Il Lazio ha inserito i maccheroni nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Come gli spaghetti, anche i maccheroni svolgono spesso il ruolo di simbolo della cucina italiana e più in generale dell'Italia.
Le Mafalde sono una pasta prodotta esclusivamente con farine di grano duro ed acqua e sono originarie della Campania. A Napoli un tempo erano dette "Fettuccelle Ricche" o Manfredi. Successivamente furono dedicate alla principessa Mafalda di Savoia e ribattezzate Reginette o "Mafaldine". Si prestano ad essere condite con vari sughi di carne, ad esempio nella cucina napoletana vengono condite con la ricotta precedentemente stemperata nel ragù napoletano, ed entrano spesso nella composizione della pasta mischiata.
Le Penne Rigate sono amate in tutta la Penisola, e cambiano nome a seconda delle regioni d'Italia. Ad esempio, per l'Umbria sono le "spole" e al sud le chiamano i "maltagliati". Ormai un fenomeno di costume, sono proverbiali per la loro versatilità perché risolvono mille situazioni, anche le più improvvise: dal piatto di pasta organizzato all'ultimo minuto con gli amici alla più classica delle tavolate familiari, riunita davanti a un bel piatto fumante di Penne all'arrabbiata o al ragù.
Le Penne Rigate si sposano alla perfezione con sughi di ogni tipo, da quelli della tradizione, a base di carne o pomodoro, a quelli più innovativi e originali, nati dall'unione tra verdure e formaggi. Con la loro linea snella, poi, sanno creare pasticci al forno dalla forma impeccabile, pronti per trionfare al centro di un pranzo di festa. La forma slanciata delle Penne Rigate si sposa bene anche con preparazioni più ricche, come la classica "boscaiola".
Le Mafalde sono una pasta prodotta esclusivamente con farine di grano duro ed acqua e sono originarie della Campania. A Napoli un tempo erano dette "Fettuccelle Ricche" o Manfredi. Successivamente furono dedicate alla principessa Mafalda di Savoia e ribattezzate Reginette o "Mafaldine". Si prestano ad essere condite con vari sughi di carne, ad esempio nella cucina napoletana vengono condite con la ricotta precedentemente stemperata nel ragù napoletano, ed entrano spesso nella composizione della pasta mischiata.
I maltagliati sono un tipo di pasta riconosciuta come prodotto tipico della regione Emilia-Romagna. Quando si fanno le tagliatelle la pasta viene arrotolata e quindi tagliata a strisce sottili, per ricavarne appunto le "tagliatelle". Quella parte di sfoglia che è rimasta, perché non permetteva di ricavarne delle tagliatelle, (generalmente i bordi), viene tagliata in modo irregolare tanto da ricavarne pezzetti di pasta del tutto disomogenei (i maltagliati). Trattandosi per lo più delle aree perimetrali della sfoglia, anche lo spessore è disomogeneo. Insomma sono pezzetti di pasta all'uovo che si differenziano per forma, dimensione e spessore.
L'uso più classico dei maltagliati è con la minestra di fagioli, esistono comunque numerose ricette, per lo più povere, che prevedono l'utilizzo dei maltagliati.
Gli sfridi di pasta sono anche all'origine di un celebre piatto romagnolo, gli strozzapreti, questa viene attribuita alla obbligatorietà della "decima" a favore del clero. Qui le massaie romagnole, sempre utilizzando gli sfridi di pasta invece di tagliarli ulteriormente (come per i maltagliati) li arrotolavano sul palmo della mano ricavandone una sorta di gnocchetti allungati. Nel compiere questa operazione, si mormora, commentassero: "Che si possa strozzare quel prete". Alludendo al destinatario della decima.
I marubini sono un tipo di pasta ripiena riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale per la regione Lombardia. Piatto tipico del Cremonese e della pianura piacentina, con un ripieno a base di brasato, pistum (impasto di salame cremonese), grana padano, noce moscata che vengono cotti e serviti nei tre brodi ottenuti utilizzando manzo, maiale e gallina. Sono abitualmente consumati anche nella pianura nordorientale piacentina. Nel resto del Piacentino e del Parmense esiste un piatto strettamente correlato che prende però il nome di anolini e che il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha riconosciuto, su proposta della Regione Emilia-Romagna, come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani tipico della provincia di Piacenza.Le Penne Rigate sono amate in tutta la Penisola, e cambiano nome a seconda delle regioni d'Italia. Ad esempio, per l'Umbria sono le "spole" e al sud le chiamano i "maltagliati". Ormai un fenomeno di costume, sono proverbiali per la loro versatilità perché risolvono mille situazioni, anche le più improvvise: dal piatto di pasta organizzato all'ultimo minuto con gli amici alla più classica delle tavolate familiari, riunita davanti a un bel piatto fumante di Penne all'arrabbiata o al ragù.
Le Penne Rigate si sposano alla perfezione con sughi di ogni tipo, da quelli della tradizione, a base di carne o pomodoro, a quelli più innovativi e originali, nati dall'unione tra verdure e formaggi. Con la loro linea snella, poi, sanno creare pasticci al forno dalla forma impeccabile, pronti per trionfare al centro di un pranzo di festa. La forma slanciata delle Penne Rigate si sposa bene anche con preparazioni più ricche, come la classica "boscaiola".
Appartenenti alla numerosissima famiglia napoletana degli Spaghetti, i Vermicelli sono stati protagonisti delle dissertazioni degli esperti sui calibri e le dimensioni della pasta lunga. Ma al di là delle dispute ciò che più interessa dei Vermicelli è sicuramente la loro consistenza particolarmente stuzzicante e la versatilità in cucina.
I Vermicelli appagano tutti i sensi e piacciono già alla vista, ancora prima di essere assaggiati. Ma è proprio all'assaggio che, grazie alla loro consistenza appetitosa, si raggiunge il massimo del piacere. Ideali per gli esperimenti più azzardati, i Vermicelli risolvono innumerevoli situazioni in cucina, prestandosi con uguale successo e allegria alle preparazioni classiche come a quelle più creative. Vero cavallo di battaglia della tradizione culinaria napoletana, i Vermicelli amano, oltre al classico sugo al pomodoro, tutti i condimenti, anche i più legati. La ricetta che suggeriamo è quella di abbinare i Vermicelli al sapore tutto mediterraneo del tonno e dei peperoni.
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