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martedì 28 maggio 2024

Corso di cucina: Lezione 9 Antipasti

'MBRIULATA
200 g di farina di semola;
150 g di farina "00";
3 cucchiai di olio d'oliva;
20 g di lievito di birra;
latte;
sale.
Ingredienti ripieno:
3 patate piccole;
150 g di polpa di manzo tritata;
150 g di carne di maiale tritata;
1 piccola cipolla;
6 olive nere snocciolate;
4 cucchiai di pecorino grattugiato;
olio d'oliva;
sale;
pepe
Impastate la farina con olio, lievito di birra, del sale ed un po' di latte. Aggiungete tanto latte quanto basta a dare consistenza all'impasto. Dovrà risultare piuttosto sodo, quindi non abbondate con la mano. Durante l'impasto potrebbe tornare utile aggiungere un pochino di acqua tiepida. Quando l'impasto sarà pronto, mettetelo a lievitare per un 30 minuti. Approfittate di questo break per dedicarvi al ripieno. Pelate le patate e tagliatele a tronchetti. Fatele rosolare in padella con un pò di olio e sale. Mescolate i due diversi tipi di carne e aggiungete sempre un pizzico di sale e pepe. Ora rimettete le mani in pasta e ricavate una sfoglia spessa qualche millimetro. Spennellate un po' di olio di oliva e sistemate immediatamente sopra le patate, poi la carne ed infine le olive ed un po' di cipolla, che rallegra il sapore. Girate la sfoglia a spirale e cuocetela a forno caldo per circa 40 minuti. Prima di servirla fatela riposare 10 minuti.
La 'mbriulata o imbriulata consiste in un impasto di pasta di pane salato arrotolato farcito al suo interno da vari ingredienti: olive, cipolla e tritato di maiale. Prodotto tipico della cucina di Milena (CL) che si prepara tradizionalmente per la notte di Natale. Nello stesso paese ogni anno il secondo lunedì di agosto si tiene la "sagra della 'mbriulata". È un piatto tipico locale che anticamente le massaie preparavano come pasto unico per i familiari che si recavano per l'intera giornata a lavorare nei campi. La 'mbriulata dopo essere preparata si può consumare per alcuni giorni.

ACCIUGHE ALLA LIGURE

aglio, acciughe salate,origano, olio extra vergine. 
Una volta pulite le acciughe dalla lisca e sciacquate abbondantemente vanno poste in un piatto dove saranno coperte d'olio e spolverizzate di origano e aglio. È bene far passare qualche ora prima di gustarle.

ARANCINI SICILIANI
1 Kg riso
100 gr. burro
30 gr. di sale
2 bustine di zafferano
Ingredienti per il ragù:
1 cipolla
1 carota
1 gambo di sedano
2 foglie d'alloro
un pizzico di chiodi di garofano in polvere
gr. 250 tritato suino
gr. 250 tritato bovino,
gr.250 di caciocavallo grattugiato.
mezzo bicchiere di vino bianco
2 cucchiai di concentrato di pomodoro
200 gr di piselli
sale, 
pepe
Mettere gli ingredienti per il riso in una capiente pentola, possibilmente antiaderente, partendo da freddo e lasciare cuocere, a fuoco medio e senza mai mescolare, fintanto che il riso non avrà assorbito tutta l'acqua (impiegherà circa 40 minuti), quindi rovesciare il contenuto della pentola in una teglia (placca) o altro largo contenitore per farlo raffreddare. In un tegame largo, mettere la cipolla, la carota e il gambo di sedano tritati finemente con un filo d'olio (e.v.o.) fare andare a fuoco lento dopo qualche minuto versare la carne suina e la carne bovina e farla rosolare, quando la carne sarà rosolata, alzare la fiamma, sfumare col vino bianco e fare evaporare,aggiungere l'alloro e la polvere dei chiodi di garofano quindi i piselli ed il concentrato di pomodoro sciolto in un bicchiere d'acqua tiepida, aggiungere altri due bicchieri d'acqua aggiustare di sale e di pepe e fare cuocere a fuoco lento per circa un ora e mezza, se vediamo che asciuga troppo aggiungere dell'acqua calda. Finita la cottura fare raffreddare, togliere le foglie d'alloro e quando tutto sarà tiepido aggiungere il caciocavallo mescolando . Andiamo, ora, ad assemblare gli arancini: prendiamo sul palmo della mano una manciata di riso e formiamo una palla, grande quanto un'arancia, apriamo poi questa palla appena formata e la riempiamo con una bella polpetta del ragù che abbiamo preparato e che deve essere piuttosto asciutto, se dovesse essere troppo liquido lo aggiustiamo con un po di farina 00 ,richiudiamo a questo punto l'arancina compattandolo bene,per fare questa operazione è meglio tenere le mani ben umide. L'arancino così formato va poi passato in una pastella leggera (lega), fatta da acqua e farina, piuttosto liquida e poi nel pangrattato. Siamo così pronti per la frittura, che va fatta usando un tegame con abbondante olio di semi, appena l'olio sarà ben caldo immergervi uno o più arancini in modo che vengano completamente sommersi dall'olio, farli imbiondire ed appena avranno assunto quel bel colore dorato tirarli fuori e farli intiepidire su della carta assorbente.
L'arancino (in siciliano arancinu o arancina) è una specialità della cucina siciliana. Come tale, è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF) con il nome di "arancini di riso". Si tratta di una palla o di un cono di riso impanato e fritto, del diametro di 8-10 cm, farcito generalmente con ragù, piselli e caciocavallo, oppure dadini di prosciutto cotto e mozzarella. Il nome deriva dalla forma originale e dal colore dorato tipico, che ricordano un'arancia, ma va detto che nella Sicilia orientale gli arancini hanno più spesso una forma conica.
Etimologia
Nella parte occidentale dell'isola questa specialità è conosciuta come "arancina", mentre nella parte orientale è chiamata "arancino". Secondo lo scrittore Gaetano Basile la pietanza dovrebbe essere indicata al femminile, in quanto il nome deriverebbe dal frutto dell'arancio, l'arancia appunto, che in lingua italiana è al femminile. Tuttavia in siciliano la declinazione al femminile dei frutti non è frequente quanto in italiano, e nel caso specifico l'arancia viene detta arànciu. Pertanto in siciliano il nome di questa pietanza è originariamente al maschile (arancinu), come testimoniato dal Dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biundi, che nel 1857, al lemma arancinu, scrive: "[...] dicesi fra noi [in Sicilia] una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia". Il termine della lingua italiana arancino deriverebbe dal siciliano arancinu.
Storia
Le origini dell'arancino sono molto discusse. Essendo un prodotto popolare risulta difficile trovare un riferimento di qualche tipo su fonti storiche che possano chiarire con esattezza quali le origini e quali i processi che hanno portato al prodotto odierno con tutte le sue varianti. In assenza di fonti specifiche, quindi, alcuni autori si sono cimentati nell'immaginarne le origini a partire dall'analisi degli ingredienti che costituiscono la pietanza. Così, per via della presenza costante dello zafferano, se ne è supposta una origine alto-medioevale, in particolare legato al periodo della dominazione musulmana, epoca in cui sarebbe stato introdotto nell'isola l'usanza di consumare riso e zafferano condito con erbe e carne. L'invenzione della panatura nella tradizione a sua volta viene spesso fatta risalire alla corte di Federico II di Svevia, quando si cercava un modo per recare con sé la pietanza in viaggi e battute di caccia. La panatura croccante, infatti, avrebbe assicurato un'ottima conservazione del riso e del condimento, oltre ad una migliore trasportabilità. Si è supposto che, inizialmente, l'arancino si sia caratterizzato come cibo da asporto, possibilmente anche per il lavoro in campagna. Non mancano piuttosto le fonti relative al termine, arancinu, la cui più antica pare essere il Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino di Michele Pasqualino edito a Palermo nel 1785, in cui è riportato alla voce corrispondente "del colore della melarancia, rancio, croceus". Curiosamente, poco oltre il Pasqualino riporta che il termine arancia era riferito all'albero di citrus × aurantium, mentre aranciu al suo frutto, contrariamente a come avviene nella lingua italiana. Da questa edizione fino alla metà del XIX secolo il lemma arancinu indicava prevalentemente un tipo di colore. La prima documentazione scritta che parli esplicitamente dell'arancinu in qualità di pietanza è il Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi, il quale testimonia la presenza di "una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia". Questo dato può indurre a credere che l'arancino nascesse come dolce, presumibilmente durante le festività in onore di santa Lucia, e solo in seguito divenisse una pietanza salata. In effetti pare che i primi acquisti di uno degli elementi tipici costituenti l'arancino salato, il pomodoro, siano datati al 1852, cinque anni prima l'edizione del Biundi: la diffusione di tale ortaggio e il suo uso massiccio nella gastronomia siciliana si deve ipotizzare sia successiva a tale data e - verosimilmente - nel 1857 non era ancora divenuto parte dell'arancino. L'assenza di riferimenti precedenti al Biundi potrebbe in realtà essere indice di una relativa "modernità" del prodotto, certamente comunque nella sua versione salata. Sulla origine della versione dolce pure permangono notevoli dubbi: l'accostamento con santa Lucia e i prodotti tipici legati ai suoi festeggiamenti apre diverse possibilità di interpretazione. A Siracusa, secondo la tradizione, nel 1646 approdò una nave carica di grano che pose fine ad una grave carestia, evento ricordato con la creazione della cuccìa, un prodotto a base di chicchi di grano non macinato, miele e ricotta. Non è impensabile quindi che i primi arancini dolci siano una versione da trasporto della stessa cuccìa. In merito al legame tra i due prodotti e i festeggiamenti luciani, ancora oggi il 13 dicembre di ogni anno, è tradizione palermitana quanto trapanese, festeggiare il giorno di santa Lucia, in cui ci si astiene dal consumare cibi a base di farina, mangiando arancini (di ogni tipo, forma e dimensione) e cuccìa. In merito alla diffusione di questo prodotto nel mondo, si possono rintracciarne le origini nel fenomeno della emigrazione di siciliani all'estero, almeno nella sua fase iniziale, che fondarono rosticcerie nei luoghi in cui si stabilirono portando con sé i prodotti regionali. Un secondo fenomeno è dovuto alla creazione di rosticcerie di qualità in Italia e all'estero da parte di cuochi affermati e imprenditori siciliani.
Nella cultura di massa
L'arancino è considerato dai siciliani il prodotto di rosticceria più caratteristico della propria regione e quasi tutte le grandi città ne rivendicano la paternità. Questo atteggiamento fortemente campanilistico ha spesso acceso discussioni che oggi si sono diffuse a livello popolare anche grazie ai canali virtuali di discussione sociale, come blog, forum e altre forme di social network. In particolare nel comprensorio catanese si sostiene che la forma a cono si debba ad una ispirazione data dall'Etna: infatti tagliandone la punta esce dall'arancino il vapore che ricorderebbe il fumo del vulcano, mentre la superficie croccante della panatura e il rosso del contenuto ne rievocherebbero la lava nei suoi due stadi, calda e fredda. Sempre nel catanese, la forma a palla del prodotto ha generato un accostamento con le persone corpulente, definite con tono di scherno arancinu che' peri (arancino con i piedi, ossia arancino che cammina), per indicare una persona particolarmente rotonda. Nella letteratura appaiono diversi riferimenti a questo prodotto gastronomico. Il personaggio dei romanzi di Andrea Camilleri - il commissario Montalbano, nella finzione letteraria noto estimatore di questo piatto - è forse il più popolare tra essi e uno dei racconti dell'autore siciliano è persino intitolato Gli arancini di Montalbano e quasi per intero dedicato alla passione del commissario per tale pietanza.
Tipologie
Gli arancini più diffusi in Sicilia sono quello al ragù di carne (per praticità, un sostituto dell'originale sugo), quello al burro (con mozzarella, prosciutto e, a volte, besciamella) e quello agli spinaci (condito anch'esso con mozzarella). Inoltre, nel catanese sono diffusi anche l'arancino "alla norma" (con melanzane, detto anche "alla catanese") e quello al pistacchio di Bronte. La versatilità dell'arancino è stata sfruttata per diverse sperimentazioni. Esistono infatti ricette dell'arancino che prevedono, oltre ovviamente al riso, l'utilizzo di funghi, salsiccia, gorgonzola, salmone, pollo, pesce spada, frutti di mare, pesto, gamberetti nonché del nero di seppia (l'inchiostro). Ne esistono varianti dolci: gli arancini vengono preparate con il cacao e coperti di zucchero (vengono preparate solitamente per la festa di santa Lucia); ce n'è alla crema gianduia (soprattutto nella zona di Palermo) e al cioccolato, nonché all'amarena. Per facilitare la distinzione tra i vari gusti, la forma dell'arancino può variare.

BACIOCCA

Patate 800 g
Lardo quanto basta
Cipolle 2
Sale quanto basta
Parmigiano reggiano 80 g
Uova 2
Pasta sfoglia 1
Sbucciate le patate e tagliatele a fettine sottili. Ponetele in una ciotola, aggiungete acqua e sale e lasciatele riposare. Ponete il lardo in una padella e fatelo sciogliere, aggiungete le cipolle tagliate a fettine sottili e lasciate rosolare qualche minuto. Unite le patate, fatele rosolare, sfumate leggermente con un mestolo di acqua e lasciate cuocere con un coperchio. Mettete le uova in una ciotola, aggiungete parmigiano reggiano, sale, pepe e mescolate. Aggiungete le patate all'interno del composto. Versate il composto all'interno di un rotolo di pasta sfoglia steso in un tegame ricoperto di carta da forno e livellate la superficie con una forchetta. Girate i bordi all'interno. Cuocete in forno a 180°C per 40 minuti. Portate in tavola.

CAPPESANTE IN SALSINA

8 cappesante
60 gr di burro
2 cucchiai di olio
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
1 acciuga sott'olio
Mezzo cucchiaino di brandy
2 spicchi d'aglio
1 pizzico di pepe
Sale
Preparate la salsina: in una casseruola mettete metà burro, l’olio, il prezzemolo tritato, l’acciuga sciolta, il brandy, un po’ di pepe macinato e di aglio schiacciato. Aprite le conchiglie, estraete i molluschi (noci) e le uova (coralli): lavateli più volte sotto l’acqua corrente, separateli, eliminate la fine membrana e asciugateli. Lavate bene le conchiglie e asciugatele. Imburrate le conchiglie e distribuitevi noci e coralli, ben sistemati. Fate sciogliere il rimanente burro in una piccola casseruola e con esso spennellate i molluschi. Mettete le conchiglie in forno già caldo (250°) per 5 minuti. Intanto mettete sul fuoco la casseruola con gli ingredienti per la salsina. Fate scaldare e mescolate in continuazione. Togliete le conchiglie dal forno e versate in ognuna un po’ di salsina. Infornate ancora per qualche minuto e servite.

FALAFEL

Fave secche 500 g
Acqua 35 g
Farina 00 20 g
Prezzemolo 10 g
Cipolle 1
Aglio 1 spicchio
Sale fino 5 g
Cardamomo 2 g
Bicarbonato 2 g
Cumino 1 g
Pepe nero q.b.
Olio di semi di arachide q.b.
Per preparare i falafel di fave mettete le fave in una ciotola con acqua fredda e lasciatele in ammollo per una notte. Il giorno dopo scolatele in un colino e asciugatele con un canovaccio. Ponete le fave in un mixer, aggiungete lo spicchio di aglio la cipolla tagliata a fette grossolane e il prezzemolo, frullate le fave con gli aromi fino ad ottenere un composto omogeneo e ben compatto. Sciogliete il bicarbonato nell’acqua e aggiungete anche questa al composto. Aromatizzate il composto con il mix di spezie preparato con cumino e cardamomo. Per ultima unite la farina e frullate ancora per qualche istante. Dovrete ottenere un composto non troppo liscio, ma granuloso. Scaldate l’olio e portatelo alla temperatura massima di 180° (se preferite potete friggere i falafel anche nella friggitrice). Si sconsiglia la cottura in forno perchè non avendo panatura i falafel rischiano di seccarsi. Con un cucchiaino prendete l’impasto, tirate indietro la levetta presente sull’apposito attrezzo da falafel (se non disponete dell’attrezzo potete formare delle polpettine leggermente schiacciate formando dei dischi); riempite la conca fino a formare una cupoletta pressando bene con il cucchiaino (ogni felafel pesa 30 gr circa) Lasciate la levetta e versate il falafel direttamente nell’olio caldo, rigirate i falafel di tanto in tanto e toglieteli quando saranno dorati. Scolateli su un foglio di carta assorbente e salateli leggermente, se preferite. Serviteli i vostri falafel di fave caldi!

FONDUTA VALDOSTANA
Latte intero 250 g
Uova 4 tuorli
Burro 40 g
Pepe bianco una spolverata
Fontina 400 g
Per la sua preparazione viene usato un formaggio a pasta dura che viene fuso all'interno di una pentola apposita, detta caquelon, per essere mangiato caldo. A tavola deve essere servita nel caquelon (che è una sorta di casseruola, in ghisa, terracotta o porcellana) nella quale ogni commensale intinge il suo pezzo di pane grazie all'ausilio di una forchetta particolare. Il caquelon è posizionato al di sopra di un supporto metallico (generalmente in ferro battuto), alla base del quale si trova una fonte di calore (solitamente una candela o un fornelletto ad alcool) che mantiene la fonduta alla temperatura desiderata per tutta la durata del pasto.
La fonduta o fondue è uno dei piatti nazionali e tipici della Svizzera, ma radicato anche in Italia (Valle d'Aosta e Piemonte) e Francia (Savoia).
Per degustare la fonduta, ogni commensale ha a disposizione una forchetta da fonduta di forma allungata con cui s'infilza un pezzo di pane (più raramente una patata) che va immerso nel formaggio fuso presente all'interno della casseruola. Una volta immerso il pane, s'imprime alla forchetta un movimento rotatorio continuo cercando di non far fuoriuscire il formaggio al di fuori del caquelon; quando si ritiene che il pane abbia raggiunto una temperatura ideale, si può estrarre dal formaggio fuso e gustarlo apprezzandone il sapore.
Generalmente, nelle zone d'origine, è possibile acquistare dei mix di formaggi adatti per preparare una fonduta molto gustosa in quanto, per chi non è specialista, non è facile preparare un mix bilanciato di formaggi.
Il termine "fondue" nella lingua francese non indica solamente il piatto a base di formaggio, bensì un'altra specialità della cucina transalpina molto apprezzata anche in Italia: la fondue bourguignonne. Questo piatto consiste nel cuocere dei bocconi di carne (generalmente filetto di manzo, ma anche vitello, pollo o maiale) dentro una pentola tipo il caquelon colma d'olio. Esiste anche la fonduta al cioccolato, ove viene fatta fondere della cioccolata nel caquelon. Basta comunque un po' di fantasia per poter creare nuove ricette con qualsiasi tipo di alimento (carne, pesce, frutta...).
Pellegrino Artusi la definì cacimperio nel suo libro di cucina La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene.
Credenze e astuzie
Una tecnica molto diffusa è quella di "ungere" il caquelon con dell'aglio prima di metterci gli ingredienti, per esaltarne il gusto. A volte si preferisce ricoprire il fondo di pezzetti di aglio tagliato. Prima di mangiare il pane, farlo girare nel formaggio fuso imprimendogli un movimento ad otto, al fine di far conservare al formaggio la giusta consistenza.
Variante del precedente: alternare patate e bocconi di pane per degustare la fonduta al vacherin (o fondue fribourgeoise). Il pane, più solido, sarà immerso nella fonduta secondo la tecnica predetta (per le ragioni precitate), mentre la patata, essendo più friabile, verrà semplicemente immersa nel formaggio fuso.
Un trucco molto usato: inzuppare il pane nel kirsch prima di passarlo nel formaggio, tuttavia se il kirsch è già aggiunto nel composto questo trucco rischia di rovinare il sapore della fondue.
Una pratica utilizzata soventemente: rompere un uovo (o solamente il tuorlo) nella fonduta, quando sta per terminare e consumare il composto ottenuto.
Utilizzare del pane leggermente raffermo, permette di essere meno pesante rispetto al caso in cui il pane sia fresco, in quanto contiene troppa aria rischiando di provocare un senso di sazietà troppo prematuro.
Ponendo un disco d'alluminio tra la fonte di calore e il caquelon permette d'evitare la formazione di una crosta al composto. Infatti questa pratica scongiura lo svilupparsi di un calore eccessivo. Non è più un consiglio, ma una necessità, se il caquelon è in terra cotta, che rischia di sviluppare un calore eccessivo nelle vicinanze della fiamma. Anche se un vero amatore della fonduta adora grattare il fondo della padella con la forchetta per raccogliere la crosta.
Varianti
Esistono diverse varianti di questa specialità culinaria.
Fondute svizzere al formaggio
Fondue moitié-moitié (fonduta mezzo e mezzo): tipica del cantone e della regione di Friborgo. I due formaggi sono i caratteristici Gruyère (groviera) e il vacherin fribourgeois, di solito in percentuali di 50% ciascuno.
Fondue Vaudoise: 100 % Gruyère
Fondue fribourgeoise o fondue tiède (fonduta tiepida): ove viene utilizzato il formaggio vacherin fribourgeois
Fondue Appenzeller: formaggio appenzeller
Fondue au fromage de chèvre: formaggio di capra
Fondue de Suisse centrale: tipica delle zone della svizzera tedesca centrale, con 1/3 Gruyère, 1/3 Emmental et 1/3 Sbrinz
Fondue neuchâteloise (fonduta di Neuchâtel): groviera, emmentaler, anche in questo caso in percentuali di 50% ciascuno.
Fondue épicée (fonduta speziata): groviera, peperone, peperoncino
Fondue aux champignons: groviera, vacherin fribourgeois, funghi
Fondue à la tomate : groviera, emmentaler, pomodoro
Fondue Savoyarde: 1/3 Emmental, 1/3 Beaufort et 1/3 Comté
Fondue ticinese, o Leventinese: tipica del sud delle alpi svizzere, oltre a Gruyère al 50%, gli altri formaggi sono in misura mista Gottardo, Bedretto o altri della val Leventina.
Fondute italiane
Fonduta valdostana (Fondue valdôtaine)
Fonduta piemontese
Fondute francesi al formaggio
Fondue savoyarde: beaufort, comté, emmentaler
Fondue jurassienne: comté stagionato, comté
Fondue normande: camembert, pont-l'évêque, livarot, panna, latte, Calvados, scalogno
Altri tipi di fonduta
Fondue bourguignonne: bocconi di carne cotti nell'olio bollente (Svizzera)
Fondue chinoise: sottili fette di manzo, cavallo o vitello e verdure cotti nel brodo. Se si aggiungono anche pesci e frutti di mare, si ottiene una Fonduta mongola
Fonduta Bacchus: bocconi di carne di manzo cotti nel vino rosso e verdure
Fonduta bressane: bocconi di carne di pollo (eventualmente panati) cotti nell'olio di cocco
Fonduta al cioccolato: pezzi di frutta ricoperti di cioccolato fuso

GACHAMIGA

farina,
acqua,
olio d'oliva
sale
patate,
aglio,
pancetta,
chorizo,
salsiccia,
peperoncino
La gachamiga è un piatto della cucina spagnola preparato mescolando farina, acqua, olio d'oliva e sale. A seconda delle zone e dei gusti possono essere aggiunte nell'impasto o come accompagnamento patate, aglio, pancetta, chorizo, salsiccia, peperoncino o altro.
È un piatto comune nel sud-est della Spagna, in particolare nella Comunità Valenzana (province di Alicante e Valencia), nella regione di Murcia, di Castiglia-La Mancia (provincia di Albacete) e dell'Andalusia (province di Granada, Almería e Jaén).

GOUGÈRE
150 g Farina bianca
100 g Burro
3 Uova
150 g Formaggio gruyere
q.b. Sale
1 cucchiaio Mandorle a filetti
Imburrate e infarinate leggermente una teglia. Grattugiate 70 g di formaggio gruyère e dividete a dadini quello rimasto. Mettete in una casseruola 3 dl d'acqua, il burro e un pizzico di sale; ponetela sul fuoco e portate a ebollizione. Quando l'acqua alza il bollore, gettatevi in un sol colpo tutta la farina. Togliete la casseruola dal fuoco e lavorate energicamente l'impasto con un cucchiaio di legno. Mettete di nuovo la casseruola sul fuoco e lavorate ancora per qualche minuto l'impasto, finché si staccherà sia dalle pareti sia dal fondo del recipiente formando una palla e sfrigolando come se friggesse. Togliete dal fuoco, versate l'impasto in una terrina e lasciate intiepidire. Incorporate le uova intere, un uovo alla volta, facendo attenzione a non aggiungere il successivo finché il precedente non sia stato completamente assorbito dall'impasto. Aggiungete poi sia il gruyère grattugiato sia quello tagliato a dadini (tenete da parte 1 cucchiaio di questi ultimi per la finitura) e amalgamateli bene, mescolando delicatamente con un cucchiaio di legno. Mettete il composto in una tasca da pasticceria e formate una ciambella sopra la teglia. Spennellatela con l'uovo leggermente battuto con una forchetta e cospargetela con i filetti di mandorle e i dadini di formaggio tenuti da parte. Passate la teglia in forno a 180 °C e fate cuocere la ciambella per 20-30 minuti circa, finché sarà ben gonfia e dorata. Servitela tiepida.
Un gougère nella cucina francese, è una pasta choux al forno salata ed impastata con il formaggio. I formaggi comunemente utilizzati sono il groviera, il comté o l'emmental, ma esistono numerose varianti in cui vengono utilizzati altri formaggi o altri ingredienti. Si dice che le origine dei gougères vadano cercate in Borgogna, e specificatamente a Sens. In Borgogna, i gougères vengono solitamente serviti freddi come accompagnamento per la degustazione del vino nelle cantine o caldi come antipasto o come contorni. I gougères possono essere realizzati nella forma di piccoli pasticcini di 3 o 4 centimetri di diametro; i gougères da aperitivo invece in dimensioni di 10 o 12 centimetri 10–12. A volte possono essere ripieni di ingredienti, come funghi, prosciutto o manzo.

INVOLTINI CON BROCCOLETTI E QUARTIROLO
pasta fillo
200g foglie di broccoletto lessate
150g quartirolo fresco
sale, pepe, olio
Tagliare la verdura e passarla in padella con un filo d'olio, sale e pepe in modo che si asciughi bene. Farla raffreddare e mescolarla con il quartirolo tagliato a cubetti.
Ritagliare la pasta fillo in 15 rettangoli di 12x38 cm.
Prendere in mano il primo rettangolo, spennellarlo di olio e disporre una parte di composto su un angolo dello stesso. Ripiegare su se stesso (ottenendo così un rettangolo di 6x38) e rispennellare di olio. Dando forma triangolare al composto infagottato, iniziare a ripiegare il triangolo su se stesso fino a terminare la pasta. Rispennellare di olio e disporre su una teglia ricoperta di carta da forno. Procedere nello stesso modo con i restanti ritagli di pasta. Cuocere a 180 gradi per 12-13 minuti o fino a doratura.

MIGAS

Pane
Aglio
Peperoni verdi
Pancetta
Longaniza (salsiccia spagnola)
Olio evo, sale e acqua
Utilizzare il pane duro avanzato. Grattare e bagnare in acqua per qualche minuto fino a che sia trattabile. Spremere l’acqua avanzata della mollica. Scaldare l’olio in una padella profonda, friggere l’aglio tagliato in quattro parti per dare sapore all’olio. Tolto l’aglio, aggiungere alla padella le molliche di pane e mescolare fino a che diventano di un colore dorato. Aggiungere l’aglio fritto. In un altra padella fai friggere da soli i peperoni, la pancetta (fino a che diventa dorata) e la longaniza. Conservare il tutto in un piatto. Servire le molliche insieme alla longaniza, la pancetta ed i peperoni. Secondo i gusti, sminuzzare tutto e mescolare con le molliche o meglio lasciare che ogni invitato si serva con ciò che desidera.
Le migas, o migajas (letteralmente "briciole" in spagnolo), sono un piatto della cucina spagnola e portoghese avente come ingrediente principale delle briciole di pane. Sono tipiche del centro-sud della penisola iberica, principalmente nelle regioni della penisola iberica, principalmente nelle regioni spagnole de La Mancia, Murcia, Andalusia, Estremadura e Aragona, e in quelle portoghesi dell'Alentejo e Beira. Le migas sono un piatto molto diffuso tra i pastori, che possono sfruttare in questo modo il pane duro avanzato, anche se esistono anche le "migas de harina" ("migas di farina"), tipiche del sud-est spagnolo.
Migas spagnole
Nella cucina spagnola, le migas in origine venivano consumate a colazione utilizzando pane o tortilla avanzati, ma oggi le migas sono servite nei ristoranti come antipasto per pranzo o cena. Alcune fonti storiche associano l'origine di questo piatto al couscous nordafricano. In Estremadura, questo piatto include pane vecchio di un giorno inzuppato nell'acqua, aglio, paprica, olio di oliva e spinaci (o alfalfa); sono servite spesso con costolette di maiale fritte. A Teruel, in Aragona, le migas includono chorizo e pancetta, e sono servite spesso con uva.
Ne La Mancha, le migas manchegas sono di preparazione più elaborata, ma contengono gli stessi ingredienti di base delle migas aragonesi. In Andalusia le migas sono spesso mangiate la mattina della matanza (macellazione) e sono servite con uno stufato che include sangue coagulato, fegato, rognone e altre frattaglie, tradizionalmente mangiate subito dopo aver macellato un maiale, una pecora o una capra.
Migas portoghesi
Le migas sono un piatto tradizionale anche della cucina portoghese. Generalmente sono fatte con pane avanzato, o di frumento (regione dell'Alentejo) o di mais (regione di Beira). Aglio e olio di oliva sono ingredienti sempre presenti; altri ingredienti possono essere carne di suino, asparagi selvatici e pomodori (Alentejo) o cavolo verde, fagioli e riso (Beira).

PANADA SARDA
per la pasta:
300 gr farina (oppure 150 farina 150 semola fina);
20 gr strutto di maiale
per il ripieno di carne:
300 gr di carne di manzo
maiale o agnello tagliata a pezzetti;
patate,
carciofi,
sale,
pepe,
pomodori secchi,
prezzemolo,
aglio;
olio evo
Si incomincia facendo una sfoglia non molto sottile impastando la farina con acqua tiepida salata e lo strutto di maiale (oppure metà farina e metà semola fina e così la pasta verrà più croccante). La pasta così ottenuta si lavora a lungo e si tira infine in sfoglia circolare non troppo sottile. Bisogna ricordarsi di mettere da parte un po’ di pasta lavorata (circa un pugno) che servirà più tardi per il coperchio. La sfoglia circolare si depone su una terrina per aiutarsi a dare la giusta forma di "pentola". A questo punto si può cominciare a sistemare il ripieno che deve essere messo tutto a crudo. Per “sa panada” di anguille: mettere le anguille tagliate a pezzi e i piselli alternando con strati di aromi quali pomodori secchi (abbondanti) sale, pepe, prezzemolo, aglio secondo il gusto. Per “sa panada” di carne: mettere la carne di manzo, maiale o agnello tagliata a pezzi alternando con strati degli aromi già detti e piselli, patate, carciofi o melanzane, sempre secondo il gusto. Dopo aver disposto buona parte del ripieno bisogna sollevare pian piano i bordi della pasta seguendo la forma "a pentola" e lasciando qualche centimetro di bordo. A questo punto, prima di mettere il coperchio, bisogna ricordarsi di aggiungere alcuni cucchiai di olio d'oliva. Se per caso ci si dimentica di fare questa operazione, si può rimediare anche durante la cottura facendo un buco nel tappo, versando l'olio e quindi tappando nuovamente il buco con un po’ di pasta fresca. A questo punto bisogna chiudere “sa panada” utilizzando la piccola quantità di pasta messa da parte dalla quale verrà ricavata una sfoglia circolare di diametro sufficiente. Il coperchio, così ottenuto, viene posato sulla "pentola" e viene pizzicato ripetutamente saldandolo ai bordi di essa. Questa operazione è molto importante in quanto la tenuta deve essere perfetta e quindi la giuntura deve essere fatta con molta attenzione e con forte pressione delle dita. Si inforna con forno a temperatura media e si fa cuocere per 3 quarti d'ora (anguille) o 1 ora (carne). Se il forno fosse troppo caldo e la pasta diventasse ben dorata quando ancora non si è raggiunto il punto di cottura, basta proteggere la parte superiore con un foglio di stagnola e continuare la cottura per il tempo ancora necessario. Si può controllare empiricamente l'avvenuta cottura scuotendo leggermente “sa panada”: se il contenuto si muove, significa che è ben cotta.

La panada sarda (o sa panada, in Lingua sarda) è un piatto tipico sardo, originario di Assemini e diffuso in tutta la Sardegna. La paternità di questo piatto è contesa anche dal comune di Oschiri che, insieme ai comuni di Berchidda e Pattada, costituisce un'altra importante zona di produzione delle panadas. È conosciuto anche nel resto d'Italia e in altri Paesi, ed è oggetto di degustazione in numerose sagre, le principali delle quali si svolgono ad Assemini e a Oschiri. In altre parti del mondo esistono prodotti gastronomici simili - per ingredienti e preparazione - alla panada sarda, come l'empanada peruviana. La panada è una torta salata costituita da un involucro di pasta violata (detta croxiu), al cui interno sono contenuti - solitamente - carne, patate e altri condimenti. La panada per antonomasia si ritiene essere quella di anguille, tutt'ora ampiamente diffusa soprattutto nel Campidano, poiché in passato l'attività di sussistenza primaria del comune di Assemini è stata la pesca. Nella sua variante campidanese, viene servita in genere come secondo piatto ed ha una portata minima di quattro persone, ma può considerarsi anche un pasto completo, vista la varietà di ingredienti e il notevole apporto calorico che la contraddistinguono. Nella versione logudorese, si presenta più piccola, della grandezza all'incirca di un panino, e viene consumata tipicamente come piatto unico in occasioni festive. La variante ad oggi più consumata prevede tradizionalmente l'utilizzo di carne di agnello (o più raramente maiale o pollo), mentre le varianti vegetariane contengono piselli, carciofi o fave. Il condimento fondamentale è poi costituito da patate, pomodori secchi, prezzemolo, occasionalmente aglio. L'impasto, invece, è composto da farina di grano tipo "00", acqua, sale e olio (o strutto). La cottura avviene in forno.

PANCAKES SALATI

- 1 cucchiaino di lievito in polvere per torte salate
- 130 gr di farina
- sale
- 120 ml di latte
- 1 uovo
- 20 gr di burro
Prendete una ciotola e mescolateci dentro la farina, il lievito e un pizzico di sale. A parte fate sciogliere il burro a bagnomaria e unitelo al latte e al tuorlo dell’uovo. Mescolate in modo da ottenere un liquido omogeneo. A questo punto, unitelo al composto di farina lentamente, in modo che non si formino i grumi. All’ultimo
aggiungete l’albume montato a neve mescolando delicatamente dall’alto verso il basso per evitare che si smonti.
Mettete sul fuoco una padella e spalmatela con una noce di burro. Appena si sarà fuso, versate un mestolo di pastella nella padella e aspettate che si cuocia. Poi girate il pancake dall’altro lato e fatelo cuocere per un altro minuto dall’altra parte. Successivamente, toglietelo dalla padella e mettetelo su un piatto foderato di carta assorbente.

PANZANELLA

2 pomodori  maturi da insalata (oppure ciliegini)
15 foglie basilico
400 gr pane toscano a fette
1 piccolo cetriolo
1 cipolla  grossa rossa
aceto di vino bianco, olio evo, sale, pepe nero
Per preparare la panzanella sbucciate e tagliate la cipolla a fettine sottili, quindi mettetela in ammollo in una ciotolina con dell’acqua e un cucchiaio di aceto di vino bianco, per almeno 2 ore. Sbucciate il cetriolo aiutandovi con un pela patate, tagliatelo a rondelle sottili e mettetelo da parte. Infine mondate, lavate e tagliate a pezzettini il pomodoro, togliete i semi e tenete anch’esso da parte. Prendete ora 4 fette di pane toscano, eliminate la crosta con un coltello, quindi bagnatele con una soluzione di acqua e aceto (un cucchiaio), senza inzupparle troppo. Una volta che il pane si sarà semplicemente ammorbidito, strizzatelo, spezzettatelo grossolanamente con le mani e mettetelo in un’insalatiera capiente. Scolate la cipolla rossa dalla sua acqua di ammollo, quindi unitela al pane, aggiungete i pomodori, il cetriolo e le foglie di basilico spezzettate a mano. Amalgamate delicatamente tutti gli ingredienti aiutandovi con un cucchiaio, condite il tutto con dell’olio extravergine di oliva, poi aggiustate di sale e pepe. Mescolate nuovamente, assaggiate e, se necessario, aggiungete altro aceto di vino. Fate ora riposare la panzanella in frigorifero per almeno un’ora, affinché si insaporisca ulteriormente. La panzanella è pronta: al momento di servirla estraetela dal frigorifero almeno un quarto d'ora prima di consumarla in modo che torni a temperatura ambiente.
La panzanella, chiamata anche pansanella o panmolle o panmòllo, è un piatto tipico dell'Italia centrale (Toscana, Marche, Umbria e Lazio), nonché della Provincia di Enna. La ricetta originale prevede pane raffermo, cipolla rossa, basilico, il tutto condito con olio, aceto e sale. In Toscana e in Umbria il pane viene lasciato a bagno in acqua e poi strizzato fino a sbriciolarlo e spezzettarlo per mescolarlo agli altri ingredienti; nelle Marche le fette di pane raffermo vengono bagnate ma non sbriciolate e gli altri ingredienti posti sopra come si trattasse di una bruschetta. Nel tempo sono state introdotte alcune aggiunte, alcune delle quali, ormai riconosciute come canoniche, come il pomodoro crudo a pezzi e il cetriolo, altre più legate all'estro del cuoco, ad esempio olive speziate, uova sode a rotelle (si usano come guarnizione) e talvolta tonno. C'è da dire che la ricetta si presenta in molte varianti con aggiunte e sostituzioni di vario tipo: carote, finocchi, mais, sedano, peperoni a crudo, würstel, mozzarella, formaggi di vario tipo, sottoli, sottaceti, fagioli borlotti oltre che spezie a scelta per dare sapore, come origano, basilico, erba cipollina etc. In Toscana questo piatto è diffusissimo fino a Lucca, Viareggio e Bagni di Lucca, mentre in Lunigiana, Versilia e Garfagnana, come scoperto dagli studiosi dell'Università di Firenze che redassero l'Atlante Lessicale Toscano, è un piatto non tradizionale, tipico dei "villeggianti". A partire da Camaiore e Pescaglia "panzanella" significa pasta di pane fritta in olio bollente, l'equivalente di sgabeo. Da un punto di vista gastronomico queste zone, infatti, sono molto più affini alla Liguria che non alla Toscana. Nel Salento si prepara un piatto simile con friselle bagnate, al posto del pane. In Sicilia la panzaneddra fu diffusa grazie al contributo del Duca Alfio Panzanella (pratese di nascita) durante il secondo dei 3 viaggi a scopo commerciale (pare commerciasse in munta e fagioli). In breve tempo, il carattere particolarmente "povero" del piatto conquistò le classi meno agiate, rendendo la diffusione della ricetta talmente importante, da instillare forti dubbi sulla sua provenienza. Ancora oggi, specie nella zona di Piazza Armerina, non è inconsueto che gli operatori in campo gastronomico rivendichino l'originalità della ricetta. Il piatto risulta molto fresco; secondo alcuni è consigliabile addirittura riporlo qualche minuto in frigorifero, prima di servirlo, al livello e a temperatura uguale a quella dove viene riposta la verdura fresca.
Consumato preferibilmente in estate, anche perché è il periodo in cui si trovano con facilità le verdure di cui è composto, rappresenta un buon piatto unico.

POLPETTINE DI GAMBERETTI

250 g besciamella
200 g di gamberetti
1 albume
1 cucchiaio e mezzo di maizena
prezzemolo,
sale,
pangrattato
Uniamo l'albume alla besciamella, la maizena, il prezzemolo tritato e il sale. Amalgamiamo ed uniamo i gamberetti precedentemente lessati e tagliati grossolanamente. Rimescoliamo e poniamo a riposare un'ora in frigo. Riprendiamo il composto e formiamo con le mani tante piccole palline che vanno poi rotolate nel pangrattato e fritte in olio caldo.

ROSELLINE DI PROSCIUTTO CRUDO E FICHI


Fichi
Prosciutto crudo

Prendete i fichi e con un panno morbido e asciutto pulite delicatamente la parte esterna.
Tagliateli in 4 parti uguali ma senza dividerli alla base, poi apriteli delicatamente come un fiore che ha 4 petali e formate con ogni fetta di prosciutto crudo una rosellina, che porrete al centro di ogni fico. Ponete 3 fichi così formati su ogni piatto da portata e servite immediatamente.
 
TORTELO
per la sfoglia,
600 grammi di farina,
2 cucchiai d'olio,
1 bicchiere di acqua fredda;
per il ripieno:
1 kg di zucchine trombetta,
2 uova,
30 gr di parmigiano,
1 cipolla,
150 di riso.
Tritare le trombette e farle rosolare con la cipolla, poi amalgamarle con le uova e il formaggio grattugiato. Aggiungere il riso che ha il vantaggio di assorbire l'acqua formata dalle zucchine. Stendere la sfoglia e porla in un testo unto. Quindi versarvi il composto di verdure e il riso e coprire. Far cuocere in forno per 30 minuti circa.

UOVA IN COCOTTE CON SALMONE AFFUMICATO
100 gr ricotta
250 gr salmone affumicato
4 Uova
4 fette spesse 1 cm di pane
Olio evo
Pepe
Aneto qualche ciuffo
Per preparare le uova in cocotte con salmone affumicato iniziate a privare della crosta le fette di pane con un coltello, spennellatele leggermente con dell’olio extravergine di oliva e mettetele in forno a grigliare, in modalità grill qualche minuto, girandole durante la cottura. Nel frattempo tagliate il salmone affumicato a striscioline sottili e mettetelo in una ciotola, aggiungete i rametti di aneto, la ricotta e amalgamate bene gli ingredienti. Imburrate 4 cocotte da forno, ponetevi il composto di salmone e ricotta ed effettuate un piccolo solco al centro di ogni cocotte con il dorso di un cucchiaino. Ponete un uovo (facendo attenzione a non romperlo) sopra ogni cocotte. A questo punto riempite una teglia da forno di acqua bollente fino a metà, ponetevi all’interno le cocotte e infornate a 180°C per 15 minuti. Guarnite con del pepe macinato, delle foglioline di aneto e servite le uova in cocotte con salmone accompagnandole con le fette di pane grigliato tagliate a listarelle.