L'Aceto Balsamico Tradizionale
(ABT) è un condimento tradizionale della cucina emiliana, prodotto con mosti
cotti d'uve provenienti esclusivamente dalla province di Modena e Reggio Emilia,
fermentati, acetificati ed in seguito invecchiati per almeno dodici anni.
Pur affondando le proprie
radici, probabilmente, già in età romana, la sua produzione è documentata a
partire dal 1046. Fu molto apprezzato nel rinascimento dagli estensi, che lo
fecero conoscere all'alta aristocrazia e a numerosi regnanti.
Prodotto fra i più apprezzati -
e sovente anche imitati - della cucina italiana, dal 2000 è tutelato dal marchio
di denominazione di origine protetta (DOP), riconosciuto in due differenti
denominazioni - Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (ABTM) e Aceto Balsamico
Tradizionale di Reggio Emilia (ABTRE). Il processo di trasformazione dei mosti
può avvenire solo nelle particolari condizioni ambientali e climatiche tipiche
dei sottotetti delle vecchie abitazioni e solo in un territorio piuttosto
limitato, caratterizzato da inverni rigidi e estati calde e ventilate. Per
queste ragioni non può essere ottenuto con lavorazioni industriali o su larga
scala, per cui la sua la produzione è molto limitata e il prezzo piuttosto
elevato.
Non è da confondersi con
l'Aceto Balsamico di Modena IGP, che è un vero e proprio aceto di vino - non un
condimento - tutelato con un disciplinare differente.
Uno studio profondo e
completo sulla storia del prodotto, la procedura di produzione, le condizioni di
invecchiamento ed il profilo sensoriale non è ancora stato pubblicato. I
documenti storici disponibili sono pochi e spesso confusi, cosa che rende la
ricostruzione storica degli aceti balsamici una sfida.
Gli antichi romani, non avendo
a disposizione lo zucchero di canna, che verrà introdotto nell'XI secolo da
Genovesi e Veneziani, erano usi cuocere e ridurre i mosti d'uva in diverse
concentrazioni che definivano come saba, defrutum e caraenum, come tramandatoci
da Virgilio nelle Georgiche. È facile immaginare che ben presto gli stessi
latini abbiano visto prodotti delle più basse concentrazioni fermentare, ed in
un secondo momento acetificare; ed infatti nel I secolo d.C. lo scrittore
Columella sottolineò come la sapa o il defrutum rischiavano di fermentare ed
acetificare (...solet acescere...).
Il primo inoppugnabile
documento relativo alla presenza dell’Aceto balsamico (…) giunge dal poema Vita
Mathildis, composto dal monaco benedettino Donizone nel convento di
Sant'Apollonio di Canossa fra il 1112 e il 1115.
Nel 1046 Enrico III, re di
Franconia, in viaggio verso Roma per essere incoronato Imperatore, chiese a
Bonifacio III di Canossa di "quell’aceto tanto lodato (... che...) aveva udito
farsi colà perfettissimo". Sebbene la parola "balsamico" non venga menzionata,
l'importanza del prodotto è confermata dal fatto che Bonifacio gliene fece dono
entro una botticella d'argento, e che Alberto, il visconte di Mantova, per
rispondere in modo adeguato abbia inviato all'Imperatore numerosi cavalli,
astori ed altri rapaci.
All'inizio del XVIII secolo il
medico e naturalista Antonio Vallisnieri annota che già nel 1288, quando Obizzo
II d'Este venne investito della Signoria di Modena, alla sua corte erano
conservate numerose botti di aceto. Inoltre fonti frammentarie di epoca
rinascimentale tramandano di differenti classificazioni delle varie tipologie di
aceti presenti nel Registro Ducale Estense (1556), e del loro utilizzo secondo
le diverse necessità ed occasioni.
Nel 1518 il poeta e
commediografo Ludovico Ariosto, nato a Reggio e vissuto in ambito estense,
scrive nella satira III indirizzata al cugino Annibale Malaguzzi un accenno
all’utilizzo culinario di "acetto e sapa" come condimenti di uso comune, ponendo
quindi anche un importante riferimento letterario al loro tradizionale utilizzo
in area emiliana.
Numerosissime sono le notizie storiche che riguardano
l'Aceto Balsamico. Il termine "balsamico" accanto alla parola aceto appare per
la prima volta nel 1700, come riportato nel registro delle vendemmie e vendite
dei vini per conto delle Cantine segrete ducali per l'anno 1747 (archivio di
Stato, Modena). Pur tuttavia, questa tradizione a produrre aceto balsamico
"particolarissimo" in un'area abbastanza ristretta, è tanto antica da trovare
precisa memoria già nel 1508 alla corte del duca di Modena, Alfonso I d'Este,
marito di Lucrezia Borgia.
Prodotto raffinato, destinato
solo alle tavole delle famiglie più abbienti, grazie ai Duchi di Modena e Reggio
venne fatto conoscere a membri illustri dell'aristocrazia europea, tanto che nel
1764, di passaggio a Modena nel corso di una missione diplomatica, il conte
Voronzov, Cancelliere imperiale di Moscovia, chiese di inviare alcune
bottigliette alla zarina Caterina la grande. Vent'anni dopo, nel 1792 il duca
Ercole III ne inviò un flacone a Francoforte come dono per l'incoronazione di
Francesco II d'Austria ad imperatore del S.R.I., segno questo della
considerazione che (quantomeno) il duca aveva per il prodotto delle sue
botti.
Ancora, documenti e manoscritti del XVI secolo e dell'anno 1796,
riferiscono dei mosti ben maturi utilizzati per la produzione dell'aceto
balsamico alla modenese e dei rincalzi dei 36 barili custoditi nel terzo
torrione del palazzo ducale verso S. Domenico.
È interessante notare come da
queste prime memorie appaiono di continuo due costanti fondamentali per la
produzione dell'Aceto Balsamico Tradizionale: il mosto cotto ottenuto dalle uve
tipiche quale prodotto di base e la dislocazione dei locali di produzione in
ambienti alti, generalmente di sottotetto.
Sicuramente il termine
"balsamico" veniva usato per indicare non solo l'aceto prodotto dalla
fermentazione di solo mosto cotto, ma vari generi di aceti aromatici o
speziati.
Molto probabilmente fu nel
tornante fra XVIII e XIX secolo che si affermò in modo definitivo il metodo del
"rincalzo" nella produzione dei particolari aceti modenesi e reggiani. Sempre in
tale periodo si strutturano le prime testimonianze (lettere, testamenti,
donazioni...) che parlano dell'aceto balsamico in senso stretto e per come lo
intendiamo oggi, si strutturano verso il XIX secolo, anche se poco tramandano
circa le ricette originali e le pratiche produttive correlate. Nel 1830 tale
definizione venne ulteriormente arricchita, per cui gli aceti presenti a Corte
vennero suddivisi in "balsamici", "semibalsamici", "fini e "comuni".
L'aceto
balsamico, segreto gelosamente conservato nelle soffitte della corte estense e
delle famiglie aristocratiche del ducato, iniziò ad essere appannaggio della
borghesia più ricca solamente a seguito dell'avventura napoleonica: per pagare
debiti e fornitori l'amministrazione imperiale francese espropriò le proprietà
dei vinti, e numerosi furono i beni venduti all'asta o utilizzati come pagamento
in natura. In tale contesto di mutamenti economici e politici, il possesso di
vaselli e batterie di aceto balsamico venne immediatamente percepito come un
segno di ascesa sociale, e durante tutto il secolo si infittiscono le fonti
documentali che fanno riferimento a passaggi, donazioni o lasciti testamentari
legati a batterie di aceto. Anche presso la borghesia, così come era stato uso
presso le famiglie aristocratiche, divenne buona regola aggiungere dei vaselli
di valore alla dote della donna in procinto di sposarsi.
Iniziò così la prima diffusione
delle conoscenze attorno al "balsamico", e nel settembre 1839 il conte savonese
Giorgio Gallesio scrisse con ammirazione delle tecniche di produzione che aveva
osservato nell'Acetaia dei conti Salimbeni di Nonantola. Il 4 maggio 1860,
Vittorio Emanuele II in visita in città a seguito del plebiscito, ordinò il
trasferimento dell'acetaia ducale presso il castello di Moncalieri dove
l'incuria e la non conoscenza del prodotto portarono alla sua
dispersione.
La prima e più dettagliata
codifica circa le tecniche e le ricette di produzione dell'aceto balsamico
risale al 1862, quando Francesco Aggazzotti scrisse una lettera all'amico Pio
Fabriani in cui descrive i segreti della propria acetaia di famiglia. Nel 1863
venne affrontato il primo studio scientifico, grazie alle analisi condotte con
le moderne tecniche (dell'epoca) dal chimico Fausto Sestini, che evidenziò le
notevoli differenze fra tale aceto rispetto a qualunque altro tipo.
A partire da tale data, le
testimonianze relative a questa produzione infittiscono e diventano più
ufficiali grazie alla diffusione commerciale: esposizione agraria 1863 in
Modena, esposizione emiliana in Bologna del 1888, depliant a stampa dell'epoca
in cui si afferma che l'aceto balsamico è una specialità modenese, prodotto da
uve scelte.
Per concludere, queste
testimonianze confermano che in provincia di Modena, da epoca immemorabile,
viene prodotto un particolare tipo di aceto, sconosciuto in altre zone, con
caratteristiche produttive e d'invecchiamento giunte pressoché inalterate fino
ai nostri giorni le quali sono state recepite e oggettivate nel disciplinare di
produzione dell'Aceto Balsamico Tradizionale di Modena.
L'intero processo di produzione
dell'ABT inizia dalla spremitura dell'uva e termina con la valutazione
gusto-olfattiva del prodotto invecchiato. I passaggi produttivi sono ben
determinati, dalla cottura del mosto d'uva, alla fermentazione alcolica, dalla
biossidazione acetica mediante acetobatteri al lento invecchiamento in barili di
legno.
L'ingrediente di base è il
mosto d'uva cotto. Le uve utilizzate sono i trebbiani (di Spagna, di
Castelvetro), i lambruschi (in tutte le loro varietà), Ancellotta, Sauvignon,
Sgavetta, Berzemino, Occhio di Gatta ed in generale le uve dei vigneti iscritti
alle DOC delle provincie di Modena e Reggio Emilia. La resa massima delle uve
ammesse è limitata a 160 quintali/ettaro.
Le uve devono essere
necessariamente coltivate nei territori provinciale di riferimento,
caratterizzati da un lieve tenore calcareo e dalla presenza di macro e micro
elementi. Anche l'intero processo produttivo deve svolgersi all'interno della
medesima area geografica, caratterizzata da inverni rigidi ed estati decisamente
calde, che rendono possibili i processi unici e particolari necessari per il
corretto sviluppo del prodotto.
La cottura (gergalmente detta
"cotta") del mosto d'uva di almeno 15 gradi saccarometrici (°Bx), privo di
qualsiasi additivo, avviene a pressione naturale, a fuoco diretto ed in
recipienti aperti per circa 12-24 ore ad una temperatura minima di 30 °C, fino
alla riduzione a circa 2/3 della massa totale. Per l'ABTM, a differenza di
quanto previsto dal disciplinare dell'ABTRE che prevede una concentrazione
minima di 30°Bx, non è previsto un minimo di concentrazione degli zuccheri, ed
anzi il tempo minimo di cottura è definito in 30 minuti. Tale tempo non è però
minimamente sufficiente a produrre quelle profonde modificazioni fisiche e
chimiche che necessariamente devono connotare il prodotto finale. Al contrario,
temperature di cottura troppo alte, magari associate a tempi lunghi di
ebollizione, potrebbero portare a cristallizzazioni indesiderate degli zuccheri,
a rallentamenti della fermentazione alcolica ed alla produzione di composti
furanici come il 5-idrossimetilfurfurale (HMC), per cui la tendenza scientifica
più recente è quella di cotture fra i 75-90 °C, per non oltre 14 ore, con una
riduzione del mosto fino a 28-30°Bx al massimo.
La cottura ferma tutte le
reazioni enzimatiche che vengono rapidamente iniziate dalla catecolo ossidasi, e
causa la scolorazione del mosto con la deattivazione indotta dal calore delle
proteine. Al contempo l'imbrunimento del mosto è dovuto a reazioni chimiche
non-enzimatiche dovute alla conversione degli zuccheri ed alla formazione di
melanoidine ad alto peso molecolare, e più in generale all'effetto della
reazione di Maillard. L'evaporazione induce la degradazione degli zuccheri (in
particolare il fruttosio), a seguito della loro disidratazione in ambiente acido
(che perdura anche durante i lunghi anni di invecchiamento dell'ABT, della
caramellizzazione e della stessa reazione di Maillard. Infine l'evaporazione
induce la concentrazione degli zuccheri stessi, degli acidi organici, dei
polifenoli, con il conseguente innalzamento della densità, della viscosità,
dell'indice di rifrazione, mentre si abbassa il valore di pH.
La fermentazione degli
zuccheri, in presenza di concentrazioni zuccherine non troppo elevate, si
innesta immediatamente, e prosegue nei mesi invernali. È dovuta a lieviti del
genere saccharomyces, prevalentemente saccharomyces cerevisiae, e del genere
zygosaccharomyces (lieviti osmofili e fruttosofili), in particolare lo
zygosaccharomyces bailii. I primi sono maggiormente apprezzati per gli aromi che
conferiscono al prodotto, mentre i secondi (che prolificano in ambienti a più
alta densità zuccherina o ad elevata acidità) dovrebbero essere non prevalenti.
Questo tipo di fermentazione è pressoché identica a quella che avviene per il
mosto crudo, come lo sono i lieviti prevalentemente coinvolti, e difatti la resa
di etanolo è pari a 0,6 gradi di alcol etilico per 1 grado di zucchero,
analogamente a quanto avviene per il vino.
In passato vi era la
convinzione di una interazione commensalistica fra i saccaromiceti e gli
acetobatteri, per cui la fermentazione alcolica e la biossidazione acetica
sarebbero avvenute simultaneamente. Studi recenti hanno dimostrato che in realtà
una concentrazione di acido acetico superiore al 3% del volume totale impedisce
la vita anche ai più resistenti zigosaccaromiceti, e per questo motivo la
tendenza più recente è quella di gestire la fase della fermentazione alcolica
separatamente dal resto del ciclo, con contenitori (tini, damigiane o botti)
separati dalla "batteria" vera e propria.
Nelle botti inizia il processo
chimico di "maturazione" del prodotto, grazie agli acetobatteri. Riferiti al
"balsamico" sono gli agenti della biossidazione dell'etanolo in acido acetico
secondo l'equazione:
C2H5OH + O2 > CH3COOH + H2O
ovvero: alcol etilico
+ ossigeno > acido acetico + acqua
Numerose sono le specie di acetobatteri
che intervengono nella fase di acetificazione dell'ABT, per lo più appartenenti
ai generi Acetobacter, Gluconobacter e Gluconoacetobacter. Alcuni di essi sono
considerati addirittura dannosi per la qualità finale del prodotto, come ad
esempio l'acetobacter xylinus. Il processo di biossidazione acetica e la
predominanza di una specie di acetobacter rispetto ad un'altra è determinata
prevalentemente dall'alcol presente nel mosto cotto fermentato, dalla sua
concentrazione di zuccheri (il 30% è considerato il limite massimo per la
presenze di acetobatteri) e dalla presenza di altri acidi fissi o volatili, tra
cui lo stesso acido acetico. La natura profondamente mutevole di questo tipo di
batteri ha sempre reso complessa la loro selezione, anche se di recente vi sono
stati studi per l'introduzione ceppi selezionati di acetobatteri.
I batteri coinvolti nella
deidrogenazione alcolica producono un'ampia gamma di composti oltre all'acido
acetico, come zuccheri acidi (acido tartarico, malico...), cellulosa e molti
composti volatili, spesso differenti a seconda della specie di acetobacter cui
appartengono. In definitiva la composizione chimica dell'ABT è decisamente
variabile e dipendente da vari fattori, quali il tipo di mosto, la modalità di
cottura, la temperatura di fermentazione ed ossidazione, ed altri ancora.
Una volta fermentato ed
acetificato, il prodotto inizia la fase di maturazione ed invecchiamento, due
fasi caratterizzate dall'effetto degli enzimi dispersi nel liquido dall'autolisi
dei microrganismi (fermenti ed acetobatteri). Gli enzimi catalizzano processi
chimico-fisici che originano sapori e profumi sempre più complessi, senza però
essere coinvolti nelle reazioni stesse (per cui al loro termine saranno "pronti"
a catalizzarne di nuove). Al termine di tale fase di maturazione, detta
"enzimatica", con il drastico ridursi delle reazioni catalizzate dagli enzimi,
si innescano processi di ossidazione e ossiriduzione che danno origine a
ulteriori modificazioni delle proprietà chimico-fisiche dell'aceto, spingendosi
fino alla formazione acidi umici, e facendo raggiungere un equilibrio fra le
sostanze fisse e volatili (ciò che gli assaggiatori chiamano "armonia matura ed
amalgamata" del prodotto).
Oltre a ciò, durante gli anni
di maturazione ed invecchiamento, l'aceto balsamico tradizionale subisce una
continua concentrazione, a causa della perdita di volume acquoso mediante
evaporazione. Generalmente il "calo annuale" si attesta sull'8-15% per le botti
più grandi, dette "di testa", incrementando fino al 12-25% per i barili più
piccoli ("di coda").
L'invecchiamento è legato
innanzitutto al tempo che l'aceto trascorre all'interno dei vari barili (la
cosiddetta "batteria") definito come "età" o "tempo di residenza", ma anche a
tutti i cambiamenti dipendenti dal tempo che occorrono nelle proprietà chimiche,
fisiche e sensoriali dell'aceto balsamico tradizionale ("tempo fisico di
maturazione").
La fase di maturazione dura
all'incirca dieci anni: assommata ai circa 2 anni necessari per la fermentazione
ed acetificazione del prodotto di partenza, ciò giustifica i 12 anni richiesti
come requisito minimo per la definizione di ABT. I 25 anni richiesti per il
prodotto extravecchio sono invece definiti in modo arbitrario, poiché i processi
enzimatici ed ossidativi non hanno praticamente fine, durando ininterrottamente
per secoli.
Per permettere questi continui
scambi di ossigeno, vapor acqueo e sostanze volatili, è fondamentale che l'ABT
sia conservato ed invecchiato in contenitori sostanzialmente aperti: la
disponibilità di botti per il trasporto del vino alle isolate osterie di
campagna (generalmente di modeste capacità), e l'accumularsi di un bagaglio di
esperienze e tradizioni, ha probabilmente indotto l'utilizzo di piccoli barili
di legno per la maturazione e conservazione del prodotto, al posto di altre
forme di contenitori (damigiane di vetro, anfore...). Ed infatti il legno
garantisce scambi con l'ambiente esterno non solo attraverso il cocchiume di
apertura, ma anche mediante la sua porosità, durante tutte le fasi di vita del
balsamico tradizionale. La batteria va collocata necessariamente in un luogo che
risenta delle escursioni termiche fra il giorno e la notte, ma ancor di più fra
l'estate e l'inverno: il processo di acetificazione, infatti, richiede una
temperatura ambientale superiore ai 20-22 °C, al di sotto dei quali gli
acetobatteri rimangono in stato di quiescenza. Per converso, il freddo invernale
è necessario a rallentare il processo evaporativo e a far sedimentare sul fondo
le sostanze mucillaginose e le parti corpuscolate del liquido, nonché a
garantire una decisa attività delle parti odorose. Ed infatti ancor oggi le
botti trovano collocazione nei sottotetti delle case, in modo da esporre l'aceto
in invecchiamento tanto ai rigidi inverni quanto alle afose estati emiliane. Le
grosse acetaie, con decine se non centinaia di batterie, sono sovente collocate
in vecchi fienili riadattati, oppure in moderni capannoni studiati appositamente
per garantire l'effetto delle stagioni.
La "batteria" di botti è
formata da un numero dispari di barili di legno superiore a cinque e di
differente capacità, disposte in ordine decrescente. Non vi è una spiegazione
chiara ed univoca sul perché le botti debbano essere in numero dispari, ma così
ha sempre voluto una vecchia ed ancor oggi rispettata tradizione locale. Il
numero pari o superiore a cinque è chiaramente individuabile nell'esigenza di
diversificazione dei legni ed aumentare il periodo di rimanenza del prodotto in
batteria. Le tipiche botti modenesi e reggiane sono per dimensioni simili al
caratello, ma di forma più tozza e meno allungata.
Ogni botte presenta un'apertura
generalmente rettangolare su due o tre doghe, chiamata "cocchiume", che facilita
l'ispezione e le operazioni di manutenzione, così come l'ossigenazione e
l'evaporazione del prodotto. Per permettere la maturazione del prodotto e la
continua azione degli acetobatteri le botti non sono sigillate, ma coperte solo
da una pezza, lasciando liberi gli acetobatteri di scambiare ossigeno con
l'ambiente circostante. Anche l'aria che lentamente filtra attraverso le fibre e
le porosità del legno partecipa attivamente alle fasi di maturazione ed
invecchiamento e quindi ai fondamentali scambi di ossigeno. Infine la
conservazione del prodotto in barili di legno aperti permette anche sua la
progressiva concentrazione, a seguito dell'evaporazione annuale di una
significativa quantità della frazione acquosa, unitamente alla dispersione di
altre sostanze volatili. Le botti non vengono custodite in cantina, ma
generalmente nei sottotetti, preferibilmente non coibentati. L'acetaia è il
luogo perfetto per la maturazione dell'aceto balsamico tradizionale, che
necessita forte escursione termica tra inverno ed estate. Nella stagione calda,
grazie alle alte temperature (in acetaia si arriva anche a 40 °C) si ha la
maggior attività batterica e anche la maggior evaporazione, mentre in inverno
l'attività batterica rallenta e il prodotto sedimenta tutte le impurità sul
fondo della botte. Annualmente parte del contenuto di ogni botte viene travasato
nella botte più piccola immediatamente adiacente, secondo una precisa sequenza,
fino ad ottenere nell'ultima botte un prodotto molto concentrato.
I disciplinari di produzione
del prodotto prevedono che per le botti si utilizzino legni pregiati della zona
di origine (ovvero gli antichi domini estensi). Solitamente i legni impiegati
sono il castagno, il rovere, il gelso, il frassino, il ciliegio e il ginepro.
Ciascun produttore seguendo le regole del Disciplinare sceglie a suo piacimento
legni più o meno aromatici per le sue botti. Il processo differisce da acetaia
ad acetaia ed è spesso frutto di esperienze tramandate nei secoli da famiglie di
produttori, che donano a ciascun aceto caratteristiche peculiari.
La botte più grande, quella in
cui annualmente viene inserito il mosto cotto fermentato, viene tradizionalmente
chiamata "badessa". Non è infrequente vedere acetaie in cui la badessa viene
tenuta esterna alla batteria, usandola quindi come contenitore dedicato
esclusivamente all'acetificazione del prodotto, ed introducendo quindi
un'ulteriore passaggio al tempo di residenza dell'ABT in acetaia. Come badesse,
in svariati casi vengono riutilizzate barriques da vino, che servono quindi ad
alimentare annualmente 2-4 batterie.
La produzione di aceto
balsamico tradizionale è un processo quasi continuo, annuale, di prelievo del
prodotto finito dalla botte più piccola, di riempimento della parte mancante e
di quella evaporata durante l'anno col prodotto contenuto nel barile
immediatamente a monte (travaso), ed infine il "rincalzo" della botte più grande
col prodotto "fresco", ossia il mosto cotto e fermentato, che avvia così la sua
acetificazione. Come già accennato, è sempre più invalsa l'abitudine ad eseguire
la fase di acetificazione esternamente alla batteria, in una "badessa", botte o
un tino, che pertanto aggiunge un'ulteriore fase di passaggio. Si tratta di una
procedura decisamente simile al metodo soleras usato in Spagna e in Portogallo
per l'invecchiamento dello Sherry e del Madeira, ma anche in Sicilia per quanto
riguarda il Marsala.
Ogni botte contiene quindi una
mistura di aceti di età e caratteristiche differenti - le proprietà
organolettiche variano ogni anno a seconda delle uve, della cottura e delle
stagioni, e quindi "l'età" dell'aceto può essere considerata come il tempo medio
di permanenza del prodotto in batteria rapportato - ponderato - alle diverse
quantità di aceto immesso negli anni. È stato a lungo dibattuto come calcolare
la reale "età" del prodotto, anche in considerazione del fatto che il
disciplinare pone come termine minimo un invecchiamento di 12 anni dall'avvio di
una batteria ex novo: ovviamente al termine del dodicesimo anno, solo una
frazione del prodotto contenuto nella botte più piccola risale all'aceto immesso
dodici anni prima, mentre gran parte del contenuto è frutto dei successivi
rincalzi e travasi.
In anni recenti è stato
proposto un modello capace di stimare l'età media dell'ABTM in relazione ai
rincalzi, ai prelievi succedutisi ed al volume delle botti, che potrebbe essere
un adeguato strumento di certificazione dell'età del prodotto.
La procedura dei rincalzi
impone un limite superiore al tempo di residenza dell'aceto nelle botti. La resa
della batteria è pertanto calcolata come rapporto fra la quantità di prodotto
prelevato (ABT) e la quantità di prodotto rincalzato nella botte più
grande.
La resa indica la capacità di
una batteria di concentrare il mosto cotto ed acetificato, correlandola
all'evaporazione della frazione acquosa del prodotto. Basse rese sono dovute
tanto a prelievi relativamente modesti, sia e soprattutto ad alti tassi di
evaporazione. Ciò comporta che se il tasso di evaporazione è alto, più veloce è
il flusso del prodotto da un barile all'altro, e minore è il tempo di residenza.
Di conseguenza, quando il tasso di resa è basso, l'età dell'aceto potrebbe
essere altrettanto bassa, essendo in funzione inversa alla quantità di prodotto
rincalzato.
La composizione dell'aceto
balsamico tradizionale è complessa e non ancora pienamente conosciuta. Le classi
dei componenti principali sono quella degli zuccheri (in particolare glucosio e
fruttosio) e degli acidi organici (fra gli altri, gli acidi acetico, gluconico,
malico, tartarico, succinico). La classe dei composti minori si riferisce agli
elementi volatili ed alle molecole antiossidanti, principalmente i polifenoli.
Un importante classe di composti minori, di recente indagata, sono le
melanoidine, una miscela eterogenea di polimeri derivanti da reazioni di
degradazione dello zucchero, innescate durante la cottura del mosto d'uva.
Questi polimeri contribuiscono a molte caratteristiche chimico-fisiche
dell'aceto balsamico tradizionale, tra cui le proprietà colligative, l'indice di
rifrazione, la densità, il calore specifico di fusione e le proprietà
reologiche.
Le più importanti proprietà
fisiche dell'ABT sono:
-
pH - generalmente inferiore a
3, una misura di dissociazione degli acidi carbossilici;
-
densità - intesa come densità
di massa a 20 °C, non può essere inferiore a 1,24 g/ml, ed è una misura del
grado di concentrazione del soluto tanto quanto dell'evaporazione
dell'acqua;
-
indice di rifrazione -
solitamente espresso con la scala di Brix, per un valore medio attorno a
73°BX;
-
colore - varia dal giallo/bruno
al bruno scuro durante l'invecchiamento, a causa della accumulazione dei
composti, principalmente melanoidine, da reazioni non enzimatiche come ad
esempio la degradazione acidica-catalizzata dello zucchero e la reazione di
Maillard;
-
viscosità - tale proprietà
fisica è una misura macroscopica del grado di interazione intermolecolare
all'interno della massa d'aceto, ed è facilmente determinata come la resistenza
al flusso in condizioni sperimentali controllate. La viscosità dell'aceto
balsamico tradizionale si aggira in media intorno a 0,56Paxs (pascal per
secondo) e determina la scorrevolezza dell'ABTM come viene valutata visivamente
secondo le procedure per le valutazioni sensoriali;
-
indice di flusso - indica la
deviazione delle proprietà di flusso dalla linearità (comportamento
newtoniano)
Nel 1977 venne assegnata la DOC
(D.M. 9-2-1977) all'aceto balsamico di Modena prodotto secondo i metodi
tradizionali. Si era ancora agli albori della commercializzazione del prodotto
tradizionale, condimento fino a quel momento riservato prevalentemente al
consumo familiare. Per distinguerlo dal "balsamico industriale", che si era
ormai affermato tanto sul mercato interno che su quelli stranieri, venne spesso
utilizzato il termine "'naturale'". Tale termine venne però avversato dai
produttori del "balsamico industriale", che ritenevano che potesse indurre il
consumatore a pensare che il loro prodotto fosse di sintesi o comunque "non
naturale".
Il 5 aprile 1983 un decreto
ministeriale riconobbe la denominazione "Aceto Balsamico Tradizionale di
Modena", per distinguere il prodotto da quello "industriale" dopo anni di liti e
contenziosi legali fra i differenti produttori, a causa della confusione
ingenerata nei consumatori, avendo entrambi i prodotti la medesima
denominazione. Con tale decreto l'ABTM venne classificato come "condimento
alimentare", mentre l'ABM rimase nella categoria degli aceti in senso stretto.
Tale definizione comprendeva tutti i balsamici tradizionali prodotti nelle due
provincie di Modena e Reggio Emilia.
Il 17 aprile 2000 il Consiglio
Europeo, con l’adozione del Regolamento (CE) n. 813/2000, riconobbe due
differenti "Denominazioni di Origine Protetta - DOP" agli aceti balsamici
tradizionali prodotti nelle due provincie di Modena e Reggio, definendone i vari
aspetti:
1) le basi ampelografiche dei
vigneti;
2) l'area geografica di
produzione;
3) le caratteristiche delle
materie prime;
4) le procedure di
produzione;
5) i requisiti chimici, fisici
e sensoriali per la vendita;
6) l'imbottigliamento,
l'etichettatura e la presentazione.
13 CONDIMENTI (2^ Edizione)
Condimenti. In
queste 120 pagine ho raccolto oltre 90 schede di prodotti, procedure e consigli
di cucina pubblicate nel corso degli
anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/).
Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Utilizzati
a caldo per cucinare o a freddo per completare, i condimenti sono essenziali in
cucina. Incominciamo insieme a conoscerli meglio, ampliando il nostro ancora
troppo ristretto orizzonte ed imparando con essi sapori preziosi fino ad ieri
sconosciuti.