TORO DE LIDIA
Il Toro de lidia è una razza bovina caratteristica della Spagna e importata anche in Portogallo, Francia e America latina. Si tratta di una varietà molto primitiva e piuttosto eterogenea, anche a causa della vastità del territorio sul quale è allevato e delle differenze tra i vari allevamenti, che spesso tendono a selezionare tori con caratteristiche particolari proprio a fini distintivi. Gli spagnoli spesso si riferiscono agli individui di questa razza chiamandoli semplicemente ganado bravo (bestiame coraggioso) o reses bravas (capi coraggiosi).L'antenato del toro de lidia è stato certamente il Bos taurus ibericus, una sottospecie dell'uro diffusa nell'Europa sudoccidentale, dalla Camargue al delta del Guadalquivir. Questo animale si differenziava dalla sottospecie dell'Europa centrale Bos taurus primigenius per le dimensioni minori e la corporatura più snella e agile. Razze che ricordano molto da vicino questi Bovini selvatici dell'Europa meridionale, oltre a quella di cui stiamo trattando, sono la Camarghese e la Corsa. Dopo la domesticazione i discendenti di questo animale, a differenza dei discendenti degli uri dell'Europa centrale, non persero mai il carattere battagliero e aggressivo che aveva reso proverbiali i loro antenati selvatici; anzi, col tempo e con le regole sempre più precise imposte dall'Ottocento in poi per gli spettacoli taurini, i vari allevamenti diedero origine a una vera e propria metodologia selettiva caratteriale, tesa proprio ad esaltare queste qualità.
Morfologia
Nell'aspetto generale, la maggior parte degli individui di questa razza non si discosta di molto dall'aspetto originario dell'uro iberico, tanto che essa, insieme alla Camarghese, giocò un ruolo importante nel tentativo di ricostruzione dell'uro da parte dei fratelli Heck, che portò appunto alla creazione dei bovini Heck.
Anche se i dati metrici variano molto da un allevamento all'altro e anche tra individuo e individuo all'interno di una singola mandria, il Toro de lidia si può considerare una razza di dimensioni medio-piccole se riferite alla media delle razze bovine, con pesi che variano tra i 500 e i 650 kg e un'altezza al garrese di 140 cm circa. Tali misure si riferiscono ai maschi adulti: le femmine sono molto più piccole e snelle, non superano quasi mai i 400 kg di peso e i 130 cm di altezza.
La variabilità del mantello del toro da combattimento è notevole, potendo variare dal bianco (ensabanado) al nero profondo (zaino) attraverso tutte le sfumature intermedie. Ogni sfumatura assume un termine specifico. I principali mantelli del toro da combattimento sono i seguenti:
Ensabanado: bianco puro
Albahío: bianco paglierino, tendente al giallastro
Jabonero: beige-giallastro chiaro (Isabella (colore))
Barroso: rosso-castano chiaro
Colorado: castano rossiccio piuttosto acceso
Castaño: castano profondo (marrone scuro)
Mulato: tra il marrone e il nero
Zaino: nero profondo
I tipi di mantello sopradescritti, tuttavia, si adattano solamente ad animali di pelo totalmente uniforme. Più di frequente, il pelo del toro da combattimento ha sfumature di più colori, tracce, macchie e altri segni, che determinano variazioni della denominazione. Per esempio, il mantello bianco a pezze scure si indica con il termine berrendo en... seguito dal colore della pezzatura: berrendo en castaño, berrendo en colorado e via dicendo.
Uno dei mantelli più diffusi in assoluto (quasi la metà degli animali in certi allevamenti) è quello che prende il nome di listón: consiste in una base di colore nero più o meno profondo (mulato o zaino) con una sfumatura di pelo più chiaro verso la parte alta del dorso, che forma al centro di esso come una sorta di "striscia" marrone-dorata, non ben distinguibile da lontano, che percorre l'animale dalla nuca all'attaccatura della coda. Questo mantello è identico a quello dell'uro.
Un numero limitato di esemplari di questa razza mostra l'oriblanco, la sfumatura bianca intorno alle labbra spesso presente anche in altre razze bovine.
Le corna del toro de lidia sono presenti in entrambi i sessi e sono generalmente rivolte dapprima all'esterno, quindi in avanti (talora leggermente verso il basso) e infine, in punta, verso l'alto. Non mancano tuttavia individui con punte divergenti, rivolte verso l'esterno (corniabertos) o, al contrario, convergenti in modo da "guardarsi" (corniapretados), asimmetriche (bizcos) o addirittura tendenti verso il basso, similmente alla razza da carne americana Hereford (capahchos).
Le corna sono già presenti in forma di grossi spuntoni negli esemplari di un anno, e a tre anni sono già grandi quasi quanto nell'adulto. La vacca presenta corna lunghe quasi come quelle dei tori, ma notevolmente più sottili.
Segno distintivo del toro da combattimento sono i frontali molto allargati che conferiscono al capo un aspetto triangolare, lo sviluppo, specie nel maschio, della muscolatura delle spalle e del collo, gli zoccoli di colore chiaro e piuttosto larghi (non dimentichiamo che l'uro viveva di preferenza presso il delta dei fiumi e le zone paludose in genere), le orecchie piccole se confrontate con altre razze bovine, la coda invece molto lunga e dotata di un fiocco di peli che può arrivare a sfiorare il suolo.
Rispetto alla maggioranza delle razze bovine, il dimorfismo sessuale nel bestiame da combattimento spagnolo è abbastanza ridotto e riguarda soprattutto le dimensioni. I maschi, come già detto, sono infatti notevolmente più pesanti e più muscolosi, nonché dotati di una evidente gibbosità muscolare (morrillo) situata subito dietro la nuca; sono inoltre provvisti del caratteristico ciuffo all'estremità del prepuzio, detto "pennello".
Tali caratteri sessuali secondari sono tuttavia chiaramente distinguibili solo in età matura, così che i tori e le vacche più giovani sono piuttosto difficili da distinguere gli uni dagli altri. La difficoltà è dovuta anche al fatto che entrambi i sessi hanno corna molto sviluppate e le femmine, tranne durante l'allattamento, non hanno mammelle esternamente distinguibili.
Allevamento e criteri di selezione
I più importanti allevamenti di tori da combattimento sono situati nella Spagna meridionale (soprattutto in Andalusia ed Estremadura), anche se ve ne sono in altre regioni spagnole nonché in Portogallo, Colombia e Messico. Tali allevamenti sono detti ganaderías, dal termine ganado che significa "bestiame", e spesso comprendono decine di ettari di terreno incolto, dominato dalla macchia mediterranea (dehesa in spagnolo) con alberi sparsi di leccio o sughera. Tali ampi spazi sono recintati, ma permettono ai bovini una vita allo stato quasi completamente brado, con interazioni sociali e gerarchie molto simili a quelle dei loro antenati, gli uri.
Negli allevamenti più tradizionalisti, i mayorales, cioè le persone che si occupano del bestiame, girano tra i recinti rigorosamente a cavallo; tuttavia esistono allevamenti in cui si è passati al trattore, che viene impiegato specialmente in operazioni quali la somministrazione del pienso (integrazione alimentare a base di cereali, utile per l'accrescimento dei bovini e anche per mescolarvi, ove occorra, farmaci, vitamine o altre sostanze).
Nei recinti da riproduzione, che hanno spesso superfici di svariati ettari, vivono insieme 25-30 vacche, tutte selezionate nel tentadero, e un semental (toro riproduttore) che può essere stato anch'esso selezionato tramite una tienta oppure essere sopravvissuto ad una corrida grazie all'indulto. Il riproduttore è attivo generalmente fino all'età di 10-12 anni; trascorsa questa età, l'animale è anziano e inutile, tuttavia è tradizione degli allevamenti non uccidere questi riproduttori "in pensione" e lasciare che muoiano di morte naturale.
All'inizio della primavera o spesso già alla fine dell'inverno, la vacca dà alla luce un vitello (ternero), più raramente due. L'allevatore non interviene minimamente durante il parto e non si avvicina alla coppia madre-figlio finché lo svezzamento non sia completato, anche perché le vacche da combattimento difendono i propri figli con un ardore battagliero di gran lunga superiore a quello delle loro cugine da latte o da carne.
Annualmente in primavera, i vitelloni nati nell'anno precedente, maschi e femmine, vengono finalmente separati dalla mandria originaria e posti in un recinto a parte. Tale operazione si svolge a cavallo, con l'aiuto di perros de presa (alani spagnoli) e di cabestros. In questa occasione, agli animali vengono attribuiti un numero progressivo, un marchio a fuoco con il simbolo dell'allevamento, nonché il nome individuale.
Il nome individuale del bestiame da combattimento si pone sempre tra virgolette, deve essere una parola in spagnolo e, dato che le "famiglie" dei tori da combattimento sono tradizionalmente matriarcali, deve iniziare con le stesse 2 o 3 lettere del nome della madre. La scelta del nome può essere anche difficile, perché oltre alla regola delle iniziali, generalmente si tende a cercare una parola che possa descrivere il carattere dell'animale, quale l'allevatore ha avuto modo di osservare in un anno trascorso dalla sua nascita.
In un nuovo recinto, maschi e femmine tra l'anno e i due anni resteranno insieme, fino a superare la prima, terribile prova di coraggio e resistenza al dolore: la tienta. Gli animali che la supereranno brillantemente saranno scelti per essere riproduttori, riproduttrici o combattenti.
VACCA BURLINA
La vacca Burlina è l'unica razza bovina autoctona del Veneto, precisamente dell'Altopiano dei Sette Comuni, ma sta rischiando di scomparire. È tutelata da un presidio Slow Food che riguarda la vacca Burlina e il Morlacco del Grappa.La vacca Burlina è inserita nel "Registro Anagrafico delle popolazioni bovine autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione" istituito nel 1985 per salvaguardare le razze bovine italiane a rischio di estinzione.
Sin dall'epoca del fascismo, periodo in cui fu incentivato l'allevamento di razze che producessero più latte, solo pochi esemplari di questa razza sono allevati nelle province di Vicenza e Treviso, ma attualmente la vacca Burlina è stata salvata dall’estinzione grazie alla produzione di formaggi tipici. Le Burline sono rustiche e frugali tanto da sopravvivere bene nei pascoli del Grappa ove vivono libere alimentandosi persino di ortiche. Attualmente a Montecchio Precalcino l'Azienda Agricola Sperimentale "La Decima" (di proprietà della Provincia di Vicenza) ne alleva alcuni esemplari allo scopo di incentivarne il reimpiego come vacca lattifera in virtù delle caratteristiche nutritive del suo latte, migliori di quelle, ad esempio, della Frisona.
Fino al 1930 circa, costituiva la razza da latte più diffusa negli allevamenti dell’Altopiano di Asiago, dei Colli Berici, dei Monti Lessini, del Monte Grappa, sia versante vicentino che trevigiano (nel censimento del 1931 la consistenza raggiungeva i 15.000 capi in Veneto).
La Burlina ha un’origine comune alle altre razze pezzate del Nord Europa e sarebbe giunta nelle nostre terre portata dai Cimbri, popolazione originaria dell’attuale penisola dello Jutland (Danimarca). Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che gli abitanti dell’Altopiano di Asiago sono costituiti in prevalenza da Cimbri e che anatomicamente le Burline sono simili alle razze della Frisia orientale dei Paesi Bassi e della Danimarca, ad esempio per il grande sviluppo del bacino, la lunghezza della testa, la sottigliezza del collo, i caratteri della cute, ecc. Da notizie storiche risulta che i popoli Cimbri, battuti dalle legioni romane intorno al 100 a.C., si ritirarono dalla pianura risalendo i monti dell'Altopiano di Asiago, dove si stabilirono. Essendo questo un territorio isolato, gli abitanti mantennero invariati per molto tempo i loro usi e costumi e perciò si può ritenere che questa condizione si sia mantenuta anche per i loro animali (Chiodi, 1927).
A suffragare tale ipotesi sono stati compiuti dagli zoologi studi genetici che dimostrano la vicinanza di tale razza ad altre vacche del nord Europa. Inoltre, come suggerisce l'illustre studioso Johu Zimmermann, una leggenda danese parla della regina Burhlina, secondo la quale la regina viveva nel palazzo reale di Børglum kloster presso Hjørring, proprio nella penisola dello Jutland settentrionale, in Danimarca.
L'aspetto è caratterizzato dal mantello pezzato nero e bianco, le dimensioni sono piccole rispetto alle più diffuse vacche frisone, l'altezza al garrese 120-125 cm e il peso non supera i 4 quintali.
Il Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste ha definito ufficialmente le caratteristiche morfologiche della razza Burlina con DM 24 aprile 1940. Nel DM venivano riconosciute come aree di allevamento i Comuni di Vallonara (oggi frazione del Comune di Marostica) e la frazione di S. Floriano di Marostica, Lusiana, Salcedo, Fara Vicentino, Lugo di Vicenza, Recoaro Terme e le zone a fondo valle dei Comuni di Valdagno, Cornedo Vicentino e Castelgomberto, tutti nella provincia di Vicenza.
VALDOSTANA
La razza Valdostana è la razza autoctona della Valle d’Aosta, regione italiana dove vengono allevati la quasi totalità dei suoi capi (85%). Esistono 3 razze di Valdostana che si differenziano per le loro caratteristiche morfologiche, mantello, produzione di latte e carne e temperamento. Queste razze sono: la Valdostana Pezzata Rossa, la Valdostana Pezzata Nera e la Castana. Per i soggetti di tali razze esistono 2 Libri Genealogici; in uno vengono iscritti solo i soggetti di razza Valdostana Pezzata Rossa e nell’altro sia i soggetti di razza Valdostana Pezzata Nera sia quelli di razza Castana.La Valdostana Pezzata Rossa è una delle poche razze indigene italiane a spiccata attitudine da latte che si distingue per la buona produzione di carne e per la robustezza. Deriva, come la Simmental, da bestiame pezzata del Nord Europa introdotto in Italia dai Burgundi verso la fine del V secolo. In seguito queste popolazioni si sono adattate alle particolari condizioni ambientali. La maggior parte degli esemplari presenti in Italia sono concentrati in Val d'Aosta. Nel 1937 viene fondata l'Associazione Nazionale Allevatori Bovini Razza Valdostana A.N.A. Bo.Ra.Va.
E' una delle 11 razze che aderiscono alla Federazione Europea delle razze del Sistema Alpino (Abondance-Francia; Grigio Alpina-Italia; Herens-Svizzera; Hinterwälder-Germania; Pinzgauer-Austria; Rendena-Italia; Tarentaise-Francia; Tiroler Grauvieh-Austria; Valdostana-Italia; Vordelwälder-Germania; Vosgienne-Francia).
Caratteristiche morfologiche
Il mantello è pezzato rosso carico (intenso e scuro), tendente al violetto.
Arti e regioni ventrali in genere bianchi.
Testa bianca con orecchie rosse; raramente macchie rosse sulla testa.
Musello roseo. Corna corte, di colore giallo ceroso come gli unghioni.
Animali armonici. Taglia e statura piccola. Caratteristiche produttive
E' una razza a duplice attitudine con prevalenza per il latte.
Razza perfettamente adattata al difficile ambiente di allevamento (alpeggio anche ad oltre 2.500 m di altitudine). la razza si caratterizza per l'elevata capacità motoria per spostamenti, per pascolare anche in zone poco produttive e per la resistenza alle patologie.
VALDOSTANA PEZZATA NERA

La Valdostana pezzata nera è una razza bovina italiana.
La Valdostana Pezzata Nera assieme alla Hérens allevata in Svizzera (da cui probabilmente deriva), appartiene al gruppo bovino autoctono che ha popolato originariamente l’arco alpino.
Il mantello è pezzato di nero e esente da peli rossi. La testa e il musello sono neri spesso con una stella bianca in fronte. Di taglia media, il peso è mediamente di 550-650 kg per i maschi e 450-550 kg per le femmine.
Questa razza è classificata con tendenza mista latte. Produce un ricco contenuto di proteine del latte ed è molto apprezzata nel settore delle carni. Queste sono le mucche efficaci nelle loro zone di origine in climi avversi, dove vengono sfruttate nel sistema di transumanza con la piena estate all'aperto sulle Alpi.
VITELLONE BIANCO APPENNINO CENTRALE

L’Indicazione geografica protetta “Vitellone bianco dell’Appennino centrale” è riferita alle carni provenienti da bovini, maschi e femmine, esclusivamente di razza Chianina, Marchigiana e Romagnola, di età compresa fra i 12 ed i 24 mesi. Tali razze hanno infatti significative caratteristiche morfologiche comuni quali: la pigmentazione apicale nera (cute, musello, lingua e palato, ecc.), il mantello bianco che si presenta fromentino alla nascita e nei primi tre mesi di vita, la struttura somatica. Caratteristiche comuni di pregio sono anche: la particolare precocità (l'età tipica di macellazione si colloca fra i 16 e i 20 mesi), le caratteristiche di accrescimento, la resa al macello (62-64%), e l'eccellente qualità delle carni che si presentano magre, sapide e a basso contenuto di colesterolo. L’IGP “Vitellone bianco dell’Appennino centrale”, unica denominazione attribuita alla carne bovina fresca in Italia, ha voluto in effetti legittimare il valore pregiato delle migliori razze bovine da carne italiane a mantello bianco: la Chianina, che ha conquistato fama nel mondo gastronomico per la mitica “bistecca alla fiorentina”, la Marchigiana, antica razza da carne e lavoro nei campi molto diffusa anche nelle aree interne della Campania, la Romagnola, nota per le sue carni di eccezionale qualità. Il “Vitellone bianco dell’Appennino centrale” IGP deve la sua rinomanza alle pregiate carni delle razze sopra indicate, particolarmente succulenti, oltre che nutrienti e dalle caratteristiche commerciali superiori: colore rosso vivo, grana fine, consistenti, sode ed elastiche al tempo stesso, con piccole infiltrazioni di grasso (bianco) che solcano la massa muscolare. Qualità che derivano dalla razza dell’animale ma anche dal regime alimentare durante il periodo dell’ingrassamento. Il valore altamente nutritivo delle carni del “Vitellone bianco dell’Appennino centrale” IGP è costituito dall’elevato tasso di proteine di alto valore biologico, il basso contenuto in grasso (il valore medio dell’IGP è del 2%), l’ottimo contenuto in ferro, nella forma più facilmente assorbibile dall’organismo, e la buona percentuale di vitamine del gruppo B. Il bestiame destinato alla produzione della carne IGP, identificato ed iscritto ai libri genealogici, viene allevato secondo le norme prescritte dal disciplinare di produzione e marchiato a fuoco. La marchiatura viene effettuata al mattatoio da un esperto incaricato dall'organismo di controllo. Il logo deve viene impresso sulla superficie della carcassa, in corrispondenza della faccia esterna dei 18 tagli di carne previsti dal disciplinare. La carne è posta in vendita al taglio o in confezioni sigillate e sempre in punti vendita convenzionati che si impegnano a mantenere separate tale prodotto dalle altre carni. L’eccezionale fama conquistata in cucina dalle carni del “Vitellone bianco dell’Appennino centrale” IGP non ha bisogno di altre specificazioni: la tenerezza e il sapore delle squisite bistecche, alla griglia o in padella, dell’arrosto, allo spiedo o al forno, del bollito, dello spezzatino, richiamano solo la bontà e il valore delle antiche tradizioni alimentari italiane.Cenni storici
Le razze Chianina, Marchigiana e Romagnola appartengono all’antico patrimonio genetico della zootecnia italiana e le cui origini risalgono addirittura all’epoca etrusca. Già in era pre-romana, in vaste aree dell'Appennino centrale, erano allevati, infatti, animali riconducibili alle razze su indicate, contraddistinti dall’avere il mantello bianco, un notevole sviluppo somatico adatto soprattutto al lavoro dei campi, ed altre affinità e similitudini dovute sia alla comune origine filogenetica che all'omogeneo areale di allevamento. Le tre razze sono di ceppo podolico, discendono infatti, dal Bos Taurus Primigenius; sia la razza Chianina che quella Romagnola hanno contribuito al miglioramento della Marchigiana, perciò con fondate ragioni si è giunti, nel tempo, a considerarle come un unico “tipo animale”. La Chianina, allevata soprattutto in Toscana e Umbria, per le sue intrinseche qualità, dovute anche ad un lavoro di selezione durato secoli, è stata esportata nel secolo scorso anche in America latina, Stati Uniti e Canada ed è a buon diritto la razza bovina da carne più famosa al mondo. La Romagnola, originaria delle fertili terre della Romagna e in parte del bolognese, è il frutto anch’essa del laborioso lavoro di selezione sugli antichi animali allevati dai barbari nel sesto-settimo secolo dC, con risultati di grande valore per quel che riguarda soprattutto la qualità della carne prodotta. La storia della Marchigiana, la razza da carne più diffusa in Campania e nelle altre regioni centro-meridionali limitrofe, è diversa: essa infatti è il frutto dell’incrocio tra le prime due razze operato intorno alla metà dell’800 da parte degli allevatori marchigiani, completato da successivo lavoro di selezione nel secolo scorso. L'effetto di questi incroci fu una trasformazione evidente del bovino iniziale: miglior sviluppo muscolare, mantello più chiaro, corna più corte e testa più leggera; la statura viene ad abbassarsi, per rendere la razza adatta ancor meglio al lavoro dei campi, rimanendo comunque, i vitelloni, particolarmente vocati per la produzione di una carne di assoluto pregio qualitativo.
Area di produzione
L'area di produzione del “Vitellone bianco dell’Appennino centrale” IGP comprende le aree interne collinari e montane degli Appennini centrali, dal Tosco-Emiliano fino alla Campania, in cui sono comprese le province per intero di Benevento ed Avellino.
Dati economici e produttivi
Attualmente la produzione di “Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale” IGP è in fase di notevole crescita. I dati della certificazione al 31.12.05 ci forniscono le seguenti informazioni: gli allevamenti in Campania (tutti di razza Marchigiana) iscritti al registro dell'IGP sono 386, di cui 353 nel beneventano e 33 in Irpinia. In Campania risultano iscritti anche 4 macelli (3 a Benevento e uno ad Avellino), mentre le macellerie autorizzate alla vendita sono 62 (2 ad Avellino, 18 a Benevento, 7 a Caserta, 32 a Napoli e 3 a Salerno).
I capi certificati, nel 2005, in Campania sono stati 2.570, su un totale dell'IGP in Italia di 42.126 capi.
Registrazione
L'Indicazione Geografica Protetta (IGP) “Vitellone bianco dell'Appennino centrale” è stata riconosciuta con Regolamento (CE) n. 134/98 (pubblicato sulla GUCE n. L 15/98 del 21 gennaio 1998). Con Decreto dell'11 novembre 2009 (pubblicato sulla G.U. n. 277 del 27.11.2009), il MiPAF ha accordato la protezione transitoria nazionale alla modifica del Disciplinare di produzione, richiesta dal Consorzio di tutela in ordine alla disciplina produttiva e all’ampliamento della zona di produzione. Tale richiesta è stata anche pubblicata a cura della competente Commissione Agricoltura della UE sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea C082 del 16.03.2011. Trascorsi sei mesi dalla pubblicazione entro i quali altri Stati membri possono presentare eventuali opposizioni, come prevede la procedura comunitaria, le modifiche saranno definitivamente approvate con apposito Regolamento.
Organismo di controllo
L'organismo di controllo autorizzato è la Società “3A-PTA Parco Tecnologico Agroalimentare dell'Umbria”, con sede in: Frazione Pantalla - 06050 Todi (PG), tel. 075.89571, fax 075.8957257. Sito web: www.parco3a.org.
Consorzio di tutela
Il Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale I.G.P. è stato riconosciuto dal Mipaaf con D.M. del 29 marzo 2004 (pubblicato sulla G.U. n. 80 del 5 aprile 2004) in base all'art. 14 della legge 526/99 per la tutela, vigilazna e valorizzazione del prodotto. Esso ha sede legale in via B. Simonucci 3, loc. Ponte S. Giovanni - Perugia; tel. 0756079257 - fax 075398511. Sito web: www.vitellonebianco.it
WAGYU
Wagyu è un termine riferito a diverse razze bovine giapponesi, le più famose delle quali sono state geneticamente selezionate per avere carni intensamente marmorizzate, ovvero per produrre una elevata quantità di tessuto ricco di grassi insaturi, che tendono a distribuirsi e lasciare striature simili a quelle del marmo nello spessore delle masse muscolari, anziché nello strato peri-muscolare e sottocutaneo, come normalmente accade. Questa caratteristica rende la carne di Wagyu particolarmente saporita, tenera e costosa.Vi sono diverse aree del Giappone specializzate nell'allevamento di questi bovini, ciascuna delle quali dà il proprio nome agli animali e alla carne che produce. Tra gli esempi più famosi vi sono il manzo di Kobe e quelli di Mishima, Matsusaka, Ōmi e Sanda.
In Giappone
La carne bovina giapponese è famosa in tutto il mondo per le sue caratteristiche, nonché per il suo elevato prezzo di mercato, che può avvicinarsi ai 1000 € al kg, ma può anche attestarsi su valori più modesti, intorno ai 100 €/kg. Normalmente il prezzo sale con la marmorizzazione della carne, che indica anche il rapporto tra grassi insaturi e grassi saturi. Questo manzo nasce da allevamenti giapponesi estremamente isolati, per via delle caratteristiche socio/geografiche dell'arcipelago nipponico. Da quando furono importati in Giappone alcuni secoli fa, questi bovini iniziarono il loro isolamento genetico. Il Wagyu ha un tasso di crescita molto più lento degli altri bovini.
Il bue domestico fu importato in Giappone dall'Asia continentale nel II secolo, e fu usato principalmente per i lavori pesanti nell'agricoltura. I primi esemplari arrivarono nella regione di Shikoku e, data la natura montuosa del territorio, si diffusero nel resto del Paese molto lentamente e in gruppi geograficamente isolati. Per diversi secoli i buoi non furono mangiati per motivi religiosi, fino a quando un comandante militare ne impose il consumo alimentare sostenendo i soldati sarebbero stati fisicamente più forti. Dopo essersi ampiamente diffuso il consumo tra i militari, continuava ad essere un sacrilegio mangiare e cucinare i bovini nelle civili abitazioni, e i contadini che si erano abituati a mangiarne erano costretti a cucinarli all'aperto, inizialmente scaldando il vomere con delle braci ed usandolo come piastra.
I primi allevatori di bovini per il consumo alimentare iniziarono a selezionare le razze più adatte nella prima metà del XIX secolo; i libri in cui furono registrate le prime selezioni risalgono agli anni trenta di quel secolo e sono tuttora esistenti. Tra il 1868 ed il 1910 furono incrociate diverse razze di mucche, tra le quali la Brown Swiss, la Shorthorn, la Devon, la Aberdeen Angus, la Ayrshire, la Coreana, la Frisona e la Simmental. Nei primi anni del XX secolo, quando le tipologie di mucche formatesi divennero eccessive, gli incroci con razze provenienti dall'estero furono vietati e da allora la fecondazione è sottoposta al controllo del Registro del Wagyu Giapponese, che si attiene strettamente ai criteri genetici e di allevamento prescelti. Il controllo qualità è concentrato su una soddisfacente quantità di marmorizzazione e una bassa percentuale di colesterolo. Particolarmente protettivi sulla genetica delle razze Wagyu, i giapponesi hanno fatto diventare i bovini un patrimonio nazionale.
Tecniche di allevamento
Vi sono svariati accorgimenti che gli allevatori di wagyu utilizzano per rendere le carni più tenere e saporite. Fra queste vi sono uno speciale regime alimentare, che comprende la somministrazione di birra o sake, ed il massaggio degli animali, che è probabilmente utilizzato per prevenirne i crampi in piccole fattorie dove non hanno spazio sufficiente per tenere in esercizio i muscoli.
Razze
Vi sono le seguenti quattro razze di wagyu:
La razza nera giapponese costituisce il 90% delle razze Wagyu nazionali, con diversi allevamenti a Tottori, Tajima, Shimane e Okayama.
La razza bruna giapponese detta anche razza rossa, è la seconda per quantità ed ha allevamenti a Kōchi e Kumamoto
La razza senza corna giapponese
La razza Shorthorn giapponese comprende l'1% delle razze Wagyu del Paese
In Australia
La Australian Wagyu Association è la più grande associazione fuori del Giappone. Vengono allevati sia i capi importati dal Giappone che quelli derivati da incroci operati in Australia, e la carne viene esportata in Asia, Europa e Stati Uniti.
Negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti sono stati importati alcuni capi ormai svariati decenni fa, e sono stati incrociati con la razza Angus. La nuova razza ottenuta è stata chiamata "manzo di Kobe in stile americano". I capi vengono alimentati secondo la tradizione giapponese, con utilizzo di granoturco, alfalfa, orzo e fieno di grano.
In Italia
In Italia questo tipo di bestiame è tuttora poco diffuso, i primi esemplari italiani sono stati dichiarati il 24 gennaio 2008 in Lombardia. Un'importante azienda veneta fondata da Ferdinando Borletti, imprenditore milanese cofondatore anche de La Rinascente e della Standa, alleva nella località di Ca' Negra, dal 2009, alcuni esemplari di wagyu seguendo il metodo tradizionale giapponese.