venerdì 7 febbraio 2025

Corso di cucina: 39 CONOSCERE GLI ORTAGGI A FOGLIA



Introduzione – Le foglie che raccontano il mondo

Gli ortaggi a foglia non sono semplici ingredienti: sono metafore vegetali che attraversano la storia dell’alimentazione e dell’immaginario umano. Da millenni le foglie verdi non solo nutrono, ma rappresentano salute, rinascita, leggerezza e perfino ribellione. Nell’antica Grecia, la lattuga era associata al riposo e alla fertilità; nel Medioevo, la cicoria simboleggiava la virtù dell’umiltà; nei banchetti rinascimentali, spinaci e bietole erano segni di raffinatezza e curiosità verso l’esotico.

Le foglie sono un emblema di fragilità e resistenza allo stesso tempo: delicate nella consistenza, ma tenaci nella crescita, capaci di rigenerarsi con un taglio e di sopravvivere anche in terreni ostili. In molte culture, la verdura a foglia è stata la compagna dei poveri e l’ornamento dei ricchi, oscillando tra l’orto di campagna e la tavola sontuosa delle corti.

Sul piano simbolico, la foglia rimanda alla ciclicità: nasce, si apre, si espande, appassisce. Eppure, ogni nuova foglia riprende il filo della continuità. Non stupisce allora che nel linguaggio comune parliamo di “voltare pagina” o “voltare foglio”: l’idea è la stessa, rinnovarsi.

Nell’alimentazione contemporanea, gli ortaggi a foglia hanno guadagnato un’aura di cibi salutisti e di modernità alimentare, spesso protagonisti di diete detox, centrifughe e “green bowls” da social network. Ma la loro popolarità non è mai stata soltanto moda: in fondo, queste foglie ci insegnano a guardare con leggerezza la complessità della vita, a nutrirci senza appesantirci, a ricordare che il verde non è solo un colore, ma una filosofia.

In questa chiave, gli ortaggi a foglia sono un alfabeto della cucina: ogni specie una lettera, ogni sapore un segno. Lattuga, spinaci, bietole, rucola, verza, cavoli, radicchio, cicoria: tutti partecipano a un racconto collettivo che intreccia biologia, cultura, storia e gusto.

Perfetto 🌿 allora allarghiamo il discorso e lo strutturiamo come un vero piccolo “trattato leggero” sugli ortaggi a foglia, con sezioni dal tono colto ma con titoli un po’ giocosi che alleggeriscono la lettura. Ti preparo una versione ampia, articolata e frizzante:


Foglie da Masticare, Idee da Coltivare

Un’introduzione colta e divertente agli ortaggi a foglia

1. Il pensiero filosofico della lattuga

Platone distingueva il mondo delle idee da quello delle cose sensibili. Se avesse avuto un orto, avrebbe forse aggiunto una terza categoria: la lattuga. Cresce ovunque, si reinventa in decine di varietà, ma resta sempre fedele a un’idea di leggerezza. Dalla romana all’iceberg, la lattuga ha accompagnato banchetti imperiali e pranzi moderni da schiscetta. È l’ortaggio che non offende nessuno e che dà dignità anche al più triste toast.

2. Spinaci: il paradosso di Braccio di Ferro

Gli Arabi li portarono in Spagna, Caterina de’ Medici li rese di moda in Francia, e un marinaio dei fumetti li trasformò in doping legittimo. In realtà, il ferro degli spinaci non è così miracoloso come si crede, ma resta comunque un alimento ricco e versatile. Bolliti, saltati in padella, frullati in zuppe o crudi in insalate: gli spinaci hanno mille travestimenti. Il loro pregio più grande è la duttilità, il difetto la tendenza a diventare una poltiglia se dimenticati sul fuoco.

3. Bietole: le equilibriste tra gambo e foglia

Poche verdure incarnano la “teoria dei due corpi” come la bietola: il gambo, carnoso e resistente, e la foglia, morbida e delicata. Le cucine regionali italiane le hanno adottate in mille varianti, dalle torte salate liguri ai contorni campani. Il bello della bietola è che non chiede molto: un po’ d’acqua, un filo d’olio, e il gioco è fatto. Il suo lato oscuro? Se trascurata in frigo, perde la sua freschezza in poche ore, come un’eroina tragica destinata a sfiorire.

4. Rucola: la punk del piatto

Con il suo sapore pepato, la rucola è la ribelle delle insalate. Non cerca di piacere a tutti, anzi: divide. I Romani la conoscevano come afrodisiaco (una lattuga trasgressiva, insomma), oggi è il tocco gourmet sulle pizze e nelle insalate miste. È l’esempio perfetto di come un’erbaccia selvatica possa scalare le gerarchie culinarie fino ai ristoranti stellati.

5. Verza e cavolo nero: i filosofi stoici dell’orto

Inverno, freddo, zuppe dense: entrano in scena la verza e il cavolo nero, due ortaggi che non si piegano alle difficoltà. La verza si lascia arrotolare, imbottire, stufare. Il cavolo nero, coriaceo e profondo, è l’anima della ribollita toscana. Sono foglie che non cercano la leggerezza, ma la profondità: più che insalata, meditazione gastronomica.

6. Indivia e radicchio: l’eleganza dell’amaro

Non tutte le foglie vogliono essere dolci. Indivia e radicchio fanno del gusto amarognolo la loro cifra di stile. L’indivia belga, bianca e gialla, sembra un piccolo lampadario vegetale; il radicchio di Treviso, allungato e raffinato, è un’icona della cucina veneta. Sono le verdure che insegnano che anche l’amaro, se ben dosato, può essere un piacere.

7. Cicoria selvatica: la ribelle campestre

Spezza la monotonia con un gusto deciso, quasi rude. È stata per secoli l’alimento delle campagne, la verdura povera raccolta lungo i fossi. Oggi riscoperta come ingrediente “gourmet”, la cicoria dimostra che l’umiltà non toglie dignità. Anzi, restituisce sapore a piatti che altrimenti scivolerebbero nell’insipido.


Excursus finale: Catalogo semiserio delle foglie

Ortaggio Pregio Difetto Aneddoto colto
Lattuga Democratica e leggera Può diventare noiosa Era sacra agli Egizi per la sua linfa lattiginosa
Spinacio Versatile e nutriente Si affloscia subito Caterina de’ Medici lo rese di moda in Francia
Bietola Due verdure in una Delicata da conservare Presente nei piatti liguri da secoli
Rucola Piccante e stimolante Divide i palati I Romani la consideravano afrodisiaca
Verza Robusta e invernale Odore forte in cottura Ingrediente chiave dei piatti alpini
Cavolo nero Identità toscana Non per tutti i denti Cuore della ribollita
Radicchio Raffinato e amarognolo Costoso fuori stagione Celebre nelle tavole venete
Cicoria Autentica e rustica Gusto deciso Pianta simbolo della cucina contadina

Negli ortaggi a foglia le parti commestibili sono, appunto, le foglie, gli organi presenti nella maggior parte delle piante e deputate ad eseguire la fotosintesi clorofilliana ricavando così nutrimento per la pianta dall’energia solare.

Sono molte le piante di cui si consumano le foglie, o anche le foglie in aggiunta ad altre parti della pianta: l’erba cipollina, ad esempio, è una foglia, così come il basilico; anche del cavolfiore si consumano le foglie oltre che il fiore.
Poiché botanicamente non è semplice classificarle, l’agricoltura per motivi pratici ha identificato alcune delle piante più comuni che vengono coltivate solamente per il consumo delle foglie (e per la produzione di seme destinato alla riproduzione). Queste piante sono chiamate ortaggi da foglia da taglio, e comprendono sei tipologie: la bietola, la cicoria, la lattuga, la rucola, lo spinacio e la valerianella. All’interno di queste categorie possono essere poi presenti anche piante conosciute con altri nomi.
Queste piante sono principalmente destinate al consumo tal quale, alcune come fresche, altre come verdure cotte (bollite) per problemi di sapore o di consistenza. Vengono poi vendute come prodotti di prima gamma (verdure crude e non trattate in nessun modo), di quarta gamma (verdure lavate e pronte per essere consumate) oppure di quinta gamma (verdure già cotte pronte per essere consumate). La seconda e la terza gamma sono rispettivamente le conserve e il surgelato e non riguardano gli ortaggi da foglia, mentre per la quinta gamma interviene il processo di cottura, che limita i rischi alimentari.
Degli ortaggi da foglia da taglio fanno parte inoltre alcune specie di importanza minore a causa della ridotta diffusione sul mercato, generalmente utilizzate come ingredienti per i prodotti già imbustati detti “misticanza”: tra queste il crescione, il tarassaco, la mizuna, il tatsoi, la senape ed altre piante.
Caratteristiche nutrizionali degli ortaggi a foglia
Tutti i nutrizionisti concordano sul fatto che le verdure a foglia siano una componente importante di un’alimentazione bilanciata ed equilibrata. Esse sono tra gli alimenti in assoluto meno nutrienti, almeno dal punto di vista energetico, perché le Kcal che contengono sono davvero pochissime. Ma delle verdure sono importanti sia la fibra, che permette di regolare il transito intestinale, sia le vitamine e gli oligoelementi, di cui gli ortaggi da foglia sono ricchi a differenza di altri alimenti vegetali di cui si consumano parti diverse oppure degli alimenti di origine animale, in particolare per le vitamine.
Di seguito si riporta la tabella nutrizionale: i dati sono relativi alle verdure crude, anche se alcune di essere devono necessariamente essere consumate previa cottura.
La cottura, che generalmente avviene sotto forma di bollitura, fa perdere molte delle sostanze nutritive della foglia (basta guardare il colore dell’acqua di bollitura) ma allo stesso tempo concentra i principi nutritivi, perché sarà stata persa gran parte dell’acqua. In particolare, la verdura cotta è consigliabile a chi ha necessità di assumere, magari per problemi intestinali, grandi quantità di fibra.
I valori nutrizionali di seguito indicati sono da intendersi per 100 grammi di prodotto.
Acqua
L’acqua è la componente in assoluto maggiore degli ortaggi a foglia in quanto le foglie hanno, per la pianta, una funzione di produzione di molecole che andranno a nutrirla. La fotosintesi clorofilliana, a cui le foglie sono deputate, ha lo scopo di produrre molecole (di glucosio, per la precisione) sfruttando l’energia solare; il glucosio, attraverso la linfa composta soprattutto da acqua, viene trasportato nella pianta. È per questo che il contenuto di acqua è molto alto, anche superiore a quello di altri alimenti vegetali di cui si consumano parti diverse. 

Bietola
Cicoria
Lattuga
Rucola
Spinacio
Valerianella
Acqua
89,3
95
94,3
91
90,1
93,5
Proteine
1,3
1,2
1,8
2,6
3,4
2,4
Lipidi
0,1
0,1
0,4
0,3
0,7
0,2
Carboidrati
2,8
1,7
2,2
3,9
2,9
2,4
Fibra
1,2
1,5
1,5
0,9
1,9
1,7
Energia (Kcal)
17
12
19
28
31
21
Sodio
10
7
9
ND
100
ND
Potassio (mg)
196
180
240
468
530
459
Ferro (mg)
1
1,5
0,8
5,2
2,9
2,2
Calcio (mg)
67
150
45
309
78
ND
Fosforo (mg)
29
26
31
41
62
ND
Vitamina A (micro g)
263
267
229
742
485
425
Vitamina C (mg)
24
8
6
110
54
38
Proteine
Le proteine negli ortaggi non solo sono poche ma sono anche difficili da digerire: a differenza di quelle dei semi (si pensi, ad esempio, ai legumi) queste proteine non hanno alcuna funzione nella crescita della pianta e sono quindi solamente delle proteine strutturali, che mantengono la forma della foglia. 
La qualità di queste proteine è quindi molto bassa, e il loro quantitativo è minimo. Ciò significa che un’alimentazione equilibrata deve essere necessariamente supportata anche da alimenti di altro tipo.
Lipidi
I lipidi sono sempre presenti in quantità ridotte nelle verdure a foglia, fattore che anche in questo caso dipende dalla struttura e dalla funzione della foglia stessa. I lipidi sono strutturali, quindi sono contenuti all’interno della parete cellulare e ne costituiscono la struttura, ma non hanno la funzione di materiale di riserva. 
Le piante, in generale, contengono pochi lipidi tranne che nei semi, che hanno invece la funzione di far crescere la pianta quando ancora non ha le radici e le foglie; al di fuori di quella parte, però, sono sempre in quantità minima. L’assenza dei lipidi è anche il principale motivo per cui in questi ortaggi è contenuta così poca energia, il che ne fa un alimento ideale per chi voglia eliminare la fame assumendo però alimenti a bassissima concentrazione energetica, come nelle diete dimagranti.
Carboidrati
I carboidrati negli ortaggi a foglia sono rappresentati dal glucosio, uno zucchero facilmente digeribile ma che, come si osserva dalla tabella, qui non supera mai il 2-3% del contenuto della foglia. Il che significa che se si mangiano 100 grammi di lattuga, ad esempio, si assumono solamente 3 grammi di zucchero, meno di un cucchiaino da caffè.
Fibra
La fibra vegetale è l’elemento più ricercato negli ortaggi a foglia, che vengono consumati proprio per il loro contenuto. In realtà la tabella dice come la fibra, rispetto ad altre sostanze nutritive, non sia così rappresentata. Ma dal momento che la fibra non è digeribile, nella dieta umana c’è bisogno di meno fibra di quanto non si abbia bisogno di glucosio, o di lipidi o proteine. Ciò significa che un ortaggio che contiene, all’incirca, la stessa quantità di fibra e di zuccheri, è un ortaggio che, di fatto, per metà resta completamente precluso alla digestione ed ha solamente la funzione di attrarre acqua nell’intestino. Avendone meno bisogno, quella fibra che dalla tabella potrebbe sembrare presente in moda quantità in realtà è moltissima e gli ortaggi da foglia da taglio sono ritenuti una delle categorie di alimenti più ricchi in fibra in assoluto.
Sali minerali
Dalla tabella si può notare come anche i sali minerali siano molto rappresentati negli ortaggi a foglia e la loro presenza consente di mantenere la loro struttura “a foglia”, quindi aperta. Tuttavia mangiare molte verdure non vuol dire necessariamente assumere i livelli di sali necessari: il calcio ad esempio, che è il più presente tra i minerali delle verdure, si trova in una forma non biodisponibile, per cui di fatto transita dall’intestino senza essere assorbito, se non in minima parte.
Discorso diverso per potassio, ferro e magnesio, di cui invece gli ortaggi a foglia sono una buona fonte e proprio per questo (visto che gli alimenti di origine animale non sono particolarmente ricchi di questi elementi) non dovrebbero mai mancare in un’alimentazione equilibrata.
Le vitamine
Gli ortaggi da foglia contengono molte vitamine, tra cui la vitamina A, molto abbondante, e la vitamina C, che di solito si cerca in altri vegetali ma di cui anche gli ortaggi a foglia sono ricchi. Altre vitamine che sono abbondanti nelle verdure sono le vitamine del gruppo B, in particolare l’acido folicoche prende il nome proprio da queste verdure e di cui gli ortaggi da foglia rappresentano la principale fonte di assunzione rispetto a qualsiasi altro alimento.
L’acido folico è un precursore dell’emoglobina, molecola usata dai globuli rossi per trasportare ossigeno nel nostro organismo.

BARBA DI FRATE

La Barba di frate o Barba del Negus (Salsola soda L., 1753) è una pianta appartenente alla famiglia Chenopodiaceae (assegnata alle Amaranthaceae dalla classificazione APG). È una specie di piccole dimensioni (massimo 70 centimetri), annuale, e possiede foglie e fusto succulenti. È una pianta alofita, e in quanto tale richiede dei suoli ricchi di sale; cresce abitualmente nelle zone costiere ed è originaria del bacino del Mediterraneo.
È una pianta dai molteplici usi; è edibile e viene perciò largamente usata in cucina (in questo ambito la pianta viene anche chiamata agretto) e veniva inoltre usata, in passato, quale importante fonte di soda (carbonato di sodio), che veniva estratta dalle sue ceneri dopo combustione.
Questa pianta annuale succulenta forma piccoli cespugli che possono crescere fino ai 70 cm di altezza; possiede foglie e fusto generalmente tendente al rosso. Produce dei piccoli fiori che formano infiorescenze e che spuntano direttamente dal fusto, alla base delle foglie.
La specie è nativa dell'Eurasia e del Nord Africa, ed è conosciuta soprattutto in Italia (in particolare in Sicilia) e Spagna, dove in passato si incentrava la sua coltivazione; è diffusa anche sulla costa atlantica dell'Europa ed è stata importata anche negli Stati Uniti, paese in cui sta diventando una specie invasiva, specialmente nei suoli salini della California. 
Le foglie e i fusti di S. soda sono commestibili e, principalmente le piantine giovani e i germogli, largamente usate in cucina. La pianta è utilizzata soprattutto nella dieta mediterranea, e in particolare in Italia (dove è una verdura nota con il nome di barba del frate o agretti) e in Spagna (dove è nota con il nome di barrilla). È diffusa anche nella cucina anglosassone, dove viene chiamata con il nome italiano di agretti.

BASILICO


Il basilico (Ocimum basilicum, L., 1753) è una pianta erbacea annuale, appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, normalmente coltivata come pianta aromatica.
Originario dell'India, il basilico è utilizzato tipicamente nella cucina italiana e nelle cucine asiatiche in Taiwan, Thailandia, Vietnam, Cambogia e Laos, per via del marcato profumo delle sue foglie, che a seconda della varietà può essere più o meno dolce o pungente.
Il nome deriva dal latino medievale basilicum, con origine dal greco basilikon (phyton) ("pianta regale, maestosa"), da basileus "re".
L'etimologia è incerta: alcune interpretazioni ritengono sia così chiamato perché usato per produrre profumi per il re, o in riferimento all'utilizzo sacro delle antiche popolazioni Hindu, oppure, più semplicemente, per l'importanza "regale" conferita alla pianta.
Il nome è stato probabilmente confuso con quello del basilisco, la creatura mitologica greca descritta come un serpente dal veleno letale, col potere di uccidere con lo sguardo. Il basilico ne sarebbe stato l'antidoto.
Il basilico è una pianta erbacea annuale alta fino a 60 cm, con foglie opposte, ovali, lanceolate, a volte bollose, di 2-5 centimetri di lunghezza. Il colore delle foglie varia dal verde pallido al verde intenso, oppure è viola o porpora in alcune varietà. I fusti eretti, ramificati, hanno una sezione quadrata come molte delle Lamiaceae, e hanno la tendenza a divenire legnosi e frondosi.
I piccoli fiori bilabiati, bianchi o rosei, hanno la corolla di 5 petali irregolari. Gli stami sono 4 e gialli. I fiori sono raggruppati in infiorescenze all'ascella delle foglie.
I semi sono fini, oblunghi e neri.
Il basilico è nativo e cresce selvatico nell'Asia tropicale e in India. Si diffuse dal Medio Oriente in Antica Grecia e in Italia dai tempi di Alessandro Magno, intorno al 350 a.C.. Solo dal XVI secolo iniziò a essere coltivato anche in Inghilterra e, con le prime spedizioni migratorie, nelle Americhe.
Sono state classificate circa 60 varietà e cultivar di O. basilicum, che si differenziano per l'aspetto e l'aroma. La difficoltà nel classificare il basilico è dovuta principalmente alle caratteristiche polimorfiche della pianta e all'impollinazione incrociata, rendendo a volte dubbia l'identità botanica del basilico così come citata in diverse letterature.


Tra le varietà si ricordano:
Basilico comune (O. basilicum 'Crispum'), dalle grandi foglie e dal profumo intenso.
Basilico genovese (O. basilicum 'Genovese Gigante'), rinomato in Italia per produrre il pesto. Ha foglie larghe, un aroma di gelsomino, di liquirizia e di limone. È Denominazione di origine protetta.
Basilico greco (O. basilicum 'Minimum'), dalle piccole foglie allungate, ha un profumo più dolce e meno pungente delle varietà a foglie larghe e si adatta meglio ai climi freddi.
Basilico tailandese (O. basilicum var. thyrsiflora), l'aroma delle sue foglie ricorda la menta e il chiodo di garofano, e si utilizza con i frutti di mare e nelle minestre esotiche. Ha un profumo di liquirizia per il suo contenuto di estragolo.
Basilico porpora messicano (O. basilicum 'Purple Ruffles'), con foglie decorative di color porpora e fiori rosa pallido, ha un aroma dolce ed un po' piccante, si può usare nelle insalate.
Basilico messicano (O. basilicum 'Cinnamon'), con un forte profumo di cannella e dai fiori color porpora.
Basilico Dark Opal (O. basilicum 'Dark Opal'), simile al basilico messicano, con sapore più intenso.
Basilico lattuga (O. basilicum 'Lettuce Leaf') e basilico napoletano (O. basilicum 'Napoletano'), varietà dalle foglie più grandi.

BIETOLA

Bietola da coste - Beta vulgaris L. var. cycla (L.) Ulrich Famiglia: Chenopodiaceae
Origine e diffusione
La Bietola da coste è un ortaggio da foglia per cuocere; vengono utilizzati il lembo fogliare e i piccioli molto sviluppati (coste). Coltivata in tutte le regioni italiane, specialmente nel Lazio, Liguria, Toscana e Puglia ed è presente sul mercato tutto l'anno, anche se maggiore è la richiesta nel periodo invernale.
Ha un discreto valore energetico (26 cal/100 grammi), un discreto contenuto in vitamine e un buon contenuto in sali minerali.
Caratteri botanici
La bietola da coste è una pianta erbacea biennale (annuale in coltura) originaria del bacino del Mediterraneo.
Presenta una radice fittonante carnosa di 2-4 cm di diametro e 20-30 cm di lunghezza. Le foglie basali sono riunite a rosetta ed hanno un lembo spatolato o lanceolato, liscio o bolloso, sorretto da un picciolo carnoso ed appiattito (costa) di color bianco argento, verde, rosato o rosso, lungo 15-20 cm. Lo scapo fiorale è angoloso e ramificato, i fiori piccoli, verdastri e sessili riuniti in glomeruli di 3-5 spighe fogliacee, a loro volta riunite in pannocchie; ciascun fiore è costituito da un ovario uniloculare, 5 stami e 3 brevi stigmi; l'impollinazione è anemofile e la fecondazione spesso incrociata, agevolata anche dalla proterandria; la fioritura avviene in primavera-estate e la raccolta del seme in luglio-agosto; il frutto è un glomerulo legnoso grinzoso indeiscente, da marrone chiaro a scuro, contenente 3-5 semi. La durata della germinabilità è 4-5 anni (peso 1.000 semi da 18 a 24 grammi).
Esigenze ambientali
Ha basse esigenze termiche e tollera temperature di -2 -3°C. Si adatta a tutti i tipi di terreno, anche se preferisce quelli profondi, freschi, ben drenati e dotati di sostanza organica, con pH neutro o subalcalino; tollera bene elevati gradi di salinità.
Presenta esigenze idriche elevate; i fabbisogni di elementi nutritivi per produzioni di 300 quintali ad ettaro sono di 180 kg/ha di N, 90 kg/ha di P2O5 e 180 kg/ha di K2O.
Si avvantaggia dell'apporto di letame (300-400 q.li/ha). Durante la coltivazione a ciclo lungo (autunno-inverno) è necessario intervenire ripetutamente con azoto.
Varietà
Le cultivar vengono distinte in base alla colorazione e bollosità delle foglie, grandezza e colore delle coste, adattamento alla coltura da taglio. Nelle varietà da taglio il picciolo fogliare è meno sviluppato e di colore verde.
Tecnica colturale
Può essere coltivata in primavera come sarchiata da rinnovo o nel periodo autunno-vernino come intercalare; è sconsigliato coltivarla in successione a spinacio, barbabietola e mais.
L'impianto può essere mediante semina o trapianto; con la semina meccanica si effettua una distribuzione a file distanti 30-40 cm, diradando poi a 15-20 cm lungo la fila, realizzando densità di 15-25 piante a metro quadrato; sono necessari 6-7 kg di seme ad ettaro. Nel caso di bietola da taglio la densità è molto più elevata. L'operazione colturale più importante, oltre a irrigazione e concimazione, è costituita dal diserbo chimico.
Raccolta e produzione
La bietola da coste (produzioni ad ettaro superiori a 300 quintali) viene raccolta mediante sfogliatura successiva o taglio dell'intera pianta. La bietola da taglio viene raccolta mediante sfalciatura, quando le foglie hanno raggiunto un'altezza di 15-20 cm; il numero di tagli varia con il periodo di coltura (200-250 q/ha).


CICORIA

La cicoria comune (Cichorium intybus L., 1753) è una pianta erbacea, perenne con vivaci fiori di colore celeste, appartenente alla famiglia Asteraceae. La cicoria comune raggiunge un'altezza massima di 1,5 m (minimo 20 cm). Il ciclo biologico è perenne, ma a volte anche annuale; nel primo anno spunta una rosetta basale di foglie, mentre il fusto fiorale compare solamente al secondo anno di vita della pianta.
La famiglia delle Asteraceae (o Compositae, nomen conservandum) è la famiglia vegetale più numerosa, organizzata in quasi 1000 generi per un totale di circa 20.000 specie. Il genere di questa pianta (Cichorium) comprende una decina di specie di cui quattro sono proprie della flora italiana.
In cucina l'utilizzo più frequente è quello delle foglie nelle insalate (fresche o cotte). Per evitare l'eccessivo gusto amaro le foglie vanno raccolte prima della fioritura o va eliminata la parte più interna. Anche se oggi questo alimento è messo in secondo piano, non dimentichiamoci che in passato era molto più utilizzato come ad esempio "pane e cicoria ripassata". È grazie al popolo romano che, tra tutte le erbe spontanee, la cicoria è quella che maggiormente viene ricordata anche da chi in campagna non ci va mai. Anticamente esisteva il personaggio del "cicoriaro" che come mestiere raccoglieva nei campi questa pianta e poi la rivendeva nei mercati rionali. Attualmente la maggioranza dei piatti preparati con la cicoria rientrano nella categoria dei "piatti tipici regionali", mentre in Puglia si aggiunge al purè di fave.
Il gruppo delle cicorie comprende numerose varietà molto diverse tra loro, in genere a raccolta autunnale o invernale. Il caratteristico sapore amarognolo è particolarmente gradevole nelle piante giovani, che sono quindi da preferire al momento dell’acquisto.

CRESCIONE

Il crescione (Lepidium sativum) è una pianta annuale, facile da coltivare e di sapore gradevole; è caratterizzata da steli alti (circa 20 cm) e sottili con foglie sottili dalla forma ovale.
Il crescione è molto aromatico, ha un sapore acidulo e piccante, molto caratteristico. Si presenta di un colore verde e fiori piccoli e bianchi, quando ancora seme invece è di colore rosso scuro.
Ricco di vitamine e sali minerali (fra cui lo zolfo), aiuta a disintossicarsi dal fumo e smog, inoltre è un diuretico naturale, fa bene per chi soffre di ritenzione idrica e di ipertensione. Ha anche proprietà digestive e cardiovascolari.[senza fonte].Il crescione è idoneo per uso alimentare, è una pianta aromatica ed è anche definita pianta medicinale.
In cucina è usato sia cotto (lesso o in zuppa) sia crudo: nelle insalate, antipasti, piadine. In Italia è molto diffuso nella cucina romagnola. Va usato fresco, altrimenti perde le sue proprietà nutritive. Può essere usato anche come pianta aromatica per insaporire purè e formaggi o decorazioni. Si usano sia le foglie che i fiori. Va raccolto poco prima e durante il periodo di fioritura (maggio, giugno), non va raccolto oltre tale periodo.


ERBA DI SAN PIETRO

Tanacetum balsamita L. è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae o Composite e al genere Tanacetum. Nelle varie regioni d'Italia è conosciuta con molti nomi locali quali menta romana, erba amara, erba buona, erba della madonna, erba di san Pietro, erba di santa Maria, fritola, costo, o menta greca. Coltivata come erba aromatica negli orti. Talvolta è usato il sinonimo Chrysanthemum balsamita o anche Balsamita major Desf.
Quest'erba è originaria dell'Asia occidentale e del Caucaso. Vive nelle regioni temperate e si è quindi perfettamente ambientata in Europa, in Africa del nord e in Nordamerica.
La balsamita è una pianta erbacea alta fino a 1,2 metri, perenne e latifoglia. Ha foglie semplici, ovali, verde vivo, con uno spiccato profumo simile alla menta. I fiori sono raggruppati in piccoli capolini dai 5 ai 6 mm di diametro, a loro volta raggruppati in corimbi.
Ama i terreni freschi, le boscaglie umide e i greti dei fiumi.
Per secoli è stata coltivata per il suo piacevole profumo (da cui il nome, dal greco bàlsamon), nonché per le proprietà officinali. L'origine della balsamite è orientale: era nota ad Egizi, Greci e Romani (che probabilmente la portarono in Inghilterra). Culpeper, erborista del XVI secolo, la definisce “comune”. I coloni la portarono in America, dove attualmente, negli stati orientali e medio-orientali, cresce spontanea sul ciglio delle strade. Anticamente i suoi fiori venivano utilizzati anche come segnalibro nelle bibbie (da questo deriva il suo nome comune di Erba della Bibbia).
Le sue foglie vengono usate per salse, ripieni, frittate, selvaggina, cui dona un sapore simile a quello della menta, ma tendente all'amaro. È ingrediente principale del ripieno del Tortello amaro di Castel Goffredo, un Prodotto agroalimentare tradizionale della regione Lombardia. Le foglie vengono in genere raccolte prima della fioritura. Sono utilizzate fresche, o possono essere congelate ed usate in un secondo tempo.

INDIVIA


L'indivia (Cichorium endivia), chiamata anche scarola, è una pianta commestibile appartenente alla famiglia delle Asteraceae (o Composite).
Spesso confusa con la "cugina" cicoria (entrambe appartengono allo stesso genere Cichorium), l'indivia sviluppa una rosetta di foglie assai increspate le quali formano un cespo piuttosto lasso.
L'imbianchimento delle foglie si esegue raccogliendole e legandole con un filo di rafia. La varietà belga, Indivia Belga, si presenta a forma di grosso sigaro color crema perché fatta crescere al buio; questa tecnica consente alle foglie di rimanere bianche e più tenere.
Si presenta fondamentalmente in due varietà: la varietà classica detta crispum (particolare in foto) e la varietà latifolium, comunemente chiamata scarola.
Tra la varietà crispum ricordiamo: la Riccia fine d'estate, la Riccia fine di Ruen, la riccia grossa di Pancalieri, la Riccia a cuore giallo.
Tra la varietà scarola ricordiamo: la Gigante degli ortolani, la Dilusia, la Bionda a cuore pieno, la Cornetto di Bordeaux.
La pianta predilige terreni molto fertili, sciolti e ricchi di sostanza organica. Si semina in semenzaio e si mette a dimora quando le piantine hanno quattro o cinque foglie, rispettando la distanza di 25–30 cm sulla fila e 30–40 cm tra le file.
Le irrigazioni devono essere frequenti finché le piante non formano il cespo, poi vanno a diradare onde evitare il marciume delle foglie e del colletto.
La raccolta si esegue in autunno, inverno e all'inizio primavera.


LATTUGA
La lattuga, nome scientifico Lactuca sativa, è una pianta il cui consumo è documentato già presso gli antichi romani e greci. Le principali varietà dell’ortaggio sono state oggetto di una regolamentazione da parte della Comunità Europea relativamente alle denominazioni, a fronte di differenze tra forme e sapori. In particolare, il Reg. CE 1543/2001, distingue la Lattuga a cappuccio, varietà capitata, il Lattughino, varietà crispa, la Lattuga romana, varietà longifolia e Lattuga asparago, varietà angustana.
Queste sono le varietà di lattuga autoctone che si possono trovare in natura ma alcune aziende sementifere hanno incrociato tra loro alcune varietà selvatiche di lattuga creando in questo modo varietà come la nota Lattuga Iceberg.
La lattuga è una pianta piuttosto piccola, e in base alle cultivar il fusto centrale può essere corto o lungo; nel primo caso, le tante foglie che partono da esso conferiscono alla lattuga la forma a “cesto” mentre per altre varietà le foglie sono più distanziate una dall’altra.
A volte viene chiamata, in modo generico, con il nome di insalata ma l’appellativo è errato, in quanto’ insalata’ deriva dal termine latino “salata”, ovvero “con aggiunta di sale”. È corretto, invece, chiamare così le pietanze composte da più di un ingrediente e con aggiunta di sale, come le insalate di riso o le insalate di pomodori, presente o meno la lattuga.
La lattuga è anche un allergene: benché i casi di allergia all’ortaggio siano numericamente limitati, la sua presenza all’interno di un prodotto alimentare deve obbligatoriamente segnalata in modo evidente a beneficio di coloro che hanno dimostrato sensibilità alla proteina Lac s 1.
Lattughe
Sono le insalate più delicate, sia per la consistenza della foglia, sia per quanto riguarda la conservazione. Oltre all’ottima lattuga da taglio, le lattughe si suddividono nei grandi gruppi seguenti.
Lattuga cappuccio: di forma rotonda e dalle foglie molto larghe, concave e rugose. è il tipo di lattuga più utilizzato in cucina per insalate e guarnizioni. Tra le diverse varietà, due in particolare si distinguono per robustezza e consistenza croccante: la trocadero e la iceberg; quest’ultima in particolare resiste anche al calore e, per questo, è spesso utilizzata nella preparazione degli hamburger.
Lattuga a costa lunga: detta anche lattuga romana, ha forma molto allungata e consistenza croccante: è utilizzata sia a crudo nelle insalate, sia cotta brasata o nella preparazione di minestre.
Dotate di un bassissimo rendimento calorico (12 calorie per 100 grammi), e quindi molto indicate nelle cure dimagranti, presentano un notevole valore nutrizionale perché ricche in sali minerali (fosforo, potassio, calcio, ferro) e vitamine, in particolare l’acido folico. Questa vitamina, infatti, oltre a svolgere un’attività antianemica, sembra ritardare i disturbi mentali della senescenza, ma soprattutto è indispensabile durante la gravidanza per prevenire le malformazioni del nascituro. Notevole è anche la presenza della provitamina A, o beta-carotene, che svolge azione antiossidante contro i radicali liberi, oltre che protettiva sulla pelle, tutelandola dagli effetti irritativi dei raggi solari. Importante è anche la presenza delle fibre vegetali che combattono la stitichezza e il rischio di emorroidi e diverticoli. Alla lattuga viene anche attribuita un’attività protettiva del fegato e sedativa sul sistema nervoso.
Si ritiene che abbia come centro di origine primario il Medio-Oriente. Lo storico Plinio racconta che i legionari romani, quando conquistavano nuovi territori, piantavano grandi campi di lattuga per assicurarsi anche fuori casa pasti sani e gustosi. Da allora in poi la lattuga non è mai mancata su tutte le tavole, ricche e povere, vegetariane e non. Il nome Lattuga deriva dal lattice contenuto sia nelle foglie, che nel fusto, che nelle radici.
Il maggior produttore mondiale è la Cina con oltre il 30% della produzione, seguono nell’ordine l’India, gli Stati Uniti, la Spagna, il Giappone, l’Italia, La Francia, la Turchia ed il Bangladesh. La coltivazione in Italia è condotta per oltre il 91 per cento in pien’aria e, nell’ultimo decennio, sia le superfici che le produzioni si sono mantenute sostanzialmente stabili. Le Regioni in cui è maggiormente presente la coltivazione di questa specie sono la Puglia, la Campania, la Sicilia ed il Lazio.
Le numerose varietà di lattuga si differenziano per diversi caratteri quali forma, colore e disposizione delle foglie, oltre che per l'aspetto del grumolo. Troviamo la lattuga romana, caratterizzata da foglie strette e allungate; la lattuga a cappuccio, caratterizzata da un cespo a foglia larga di forma tondeggiante con margini leggermente ondulati; la lattuga da taglio o lattughini, ce ne sono di diversi tipi, quelli a foglie lunghe e verdastre, quelli a foglie tenere e bianche, o quelle raccolte in piccoli cespi ricciuti.
Nell'ambito di ciascuna sottospecie, poi, le singole varietà sono classificate in base alla stagione di coltivazione: primaverili, estivo-autunnali ed invernali.
Come scegliere la lattuga
È il prodotto orticolo destagionalizzato per eccellenza; lo si trova tutto l’anno in varie tipologie. Le lattughe migliori presentano le foglie di un colore brillante e vivace, consistenti e carnose al tatto e addirittura croccanti, nelle tipologie Iceberg, per le larghe nervature fogliari e con una sensazione di burro nelle Cappuccine e nelle Romane. Il margine fogliare deve essere sempre integro e non deve mai presentare imbrunimenti o marciumi, che sono sintomi di cattiva coltivazione e conservazione. I cespi interi devono presentare un taglio del torsolo fresco o appena arrossato per l’ossidazione del lattice.
Come conservare la lattuga
Le lattughe cappuccine e romane a cespi interi, se ben asciutte e in buste microforate, si conservano in frigorifero nello scomparto orto-frutta per quasi una settimana. La tipologia Iceberg, invece, anche alcune settimane. Le baby leaf (a foglie piccole, singole, intere o tagliate) subiscono una rapida disidratazione nei frigoriferi domestici (3-4°C) e sono facilmente soggette a marciumi se non ben asciutte. È consigliabile non interrompere la catena del freddo per le insalate imbustate come IV Gamma, soprattutto se a foglie tagliate, e ripassarle sotto un filo d’acqua fresca prima di consumarle per allontanare il classico odore di chiuso e, contemporaneamente, permettere una re-idratazione.


RADICCHIO
Radicchio
Le cicorie a foglia rossa o variegata, comunemente chiamate radicchi, sono oggi la varietà più diffusa. Nella loro coltivazione si utilizza in genere un metodo particolare, la forzatura, una serie di operazioni che servono a conferire all’ortaggio il caratteristico colore: si estirpano le piante con la radice e se ne recidono le foglie sopra il colletto; le piante, conservate in mucchi, generano nuove foglie dal caratteristico colore rosso. Il radicchio ha molte caratteristiche benefiche. È depurativo ed è consigliato in caso di stitichezza e grazie all'elevato contenuto di vitamina A, vitamina C e di ferro, facilita la digestione, la funzione epatica e stimola la secrezione biliare. Inoltre è ottimo anche in caso di diabete, obesità ed insonnia. E' particolarmente indicato a chi ha problemi di pelle, di artrite e di reumatismi.
Il consumo regolare, sia crudo che cotto, delle foglie o delle radici di questo ortaggio ha un effetto benefico sullo stato fisico e, inoltre, il suo succo viene utilizzato in cosmesi per produrre preparati per la pelle irritata.
Per secoli il radicchio è stato il cibo deli poveri. Ad un certo punto questa comunissima cicoria spontanea delle nostre campagne si trasformò in un pregiato ortaggio dell'inverno. La cicoria (o radicchio selvatico) Cichorium intybus era già conosciuta dai Greci e dai Romani che la usavano cruda come insalata attribuendole proprietà terapeutiche tra cui quella di curare l’insonnia. SI trovano poi citazioni di Plinio il Vecchio (23–79 a.C.) nel “Naturalis Historia” e di Galeno (129 d.C.– 210 d.C.) che la definisce erba amica del fegato. Apicio (25 a.C.) esperto di gastronomia dell’antichità cita il radicchio o cicoria selvatica consigliando di servirla con garum, poco olio …e cipolla affettata.
La radice della cicoria serviva anche per fare un surrogato del caffé,impiego introdotto nel XVII secolo circa a scopo terapeutico.
Il radicchio rosso viene introdotto in Veneto intorno al XV secolo forse nella sua forma spontanea piuttosto diverso da quello che oggi consumiamo come Radicchio tardivo di Treviso. Aurelio Bianchedi, direttore del’Ispettorato Agrario di Treviso, dava per certo in una sua monografia del 1961 che «Se l’origine del Radicchio rosso di Treviso è tutt’ora avvolta nel buio dell’incertezza, la sua storia diventa chiara a metà del XVI secolo quando, per la prima volta in Italia, l’ortaggio meraviglioso venne sottoposto a coltivazione con forzatura in provincia di Treviso e più esattamente in frazione di Dosson del comune di Casier. Attestazioni attendibili lo documentano».
I radicchi vengono classificati in base all'epoca di raccolta (precoci e tardivi) ed in base alle caratteristiche della pianta come colorazione e forma della foglia (radicchio rosso, radicchio variegato e radicchio bianco).
Il gruppo dei radicchi rossi, con foglie di colore dal rosso intenso al rosso carminio con nervatura centrale ben sviluppata di colore bianco comprende il Rosso di Treviso (che si divide nelle due varietà: precoce e tardivo), il Rosso di Verona ed il Rosso di Chioggia.
Il gruppo dei radicchi variegati è caratterizzato, invece, da foglie di colore rosso e bianco con presenza sul fondo di striature di colore verde-giallastro, e la nervatura centrale è in genere meno sviluppata rispetto a quella dei radicchi rossi; a questo gruppo appartengono il Variegato di Castelfranco e il Variegato di Chioggia.
Esiste anche la varietà radicchio bianco come il radicchio di Lusia.
Come scegliere il radicchio
Quando si acquista il radicchio è molto importante che le foglie non siano appassite o troppo bagnate, perché il contenuto vitaminico dipende dalla freschezza del prodotto. Le foglie non devono essere troppo scure e macchiate e il cespo deve essere leggermente aperto.
Se la parte esterna del cespo fosse leggermente appassita, bisogna eliminarla insieme alla base altrimenti può risultare molto amara.
Come conservare il radicchio
Si conserva in frigo nello scomparto della verdura, chiuso in un sacchetto di plastica o avvolto in un telo da cucina. Può essere conservato in frigo anche per una settimana.
Indivie
L'indivia (Cichorium endivia), chiamata anche scarola, è una pianta commestibile appartenente alla famiglia delle Asteraceae (o Composite).
Spesso confusa con la "cugina" cicoria (entrambe appartengono allo stesso genere Cichorium), l'indivia sviluppa una rosetta di foglie assai increspate le quali formano un cespo piuttosto lasso.
L'imbianchimento delle foglie si esegue raccogliendole e legandole con un filo di rafia. La varietà belga, Indivia Belga, si presenta a forma di grosso sigaro color crema perché fatta crescere al buio; questa tecnica consente alle foglie di rimanere bianche e più tenere.
Si presenta fondamentalmente in due varietà: la varietà classica detta crispum e la varietà latifolium, comunemente chiamata scarola.
Tra la varietà crispum ricordiamo: la Riccia fine d'estatela Riccia fine di Ruen, la riccia grossa di Pancalieri, la Riccia a cuore giallo.
Tra la varietà scarola ricordiamo: la Gigante degli ortolani, la Dilusia, la Bionda a cuore pieno, la Cornetto di Bordeaux.
La pianta predilige terreni molto fertili, sciolti e ricchi di sostanza organica. Si semina in semenzaio e si mette a dimora quando le piantine hanno quattro o cinque foglie, rispettando la distanza di 25–30 cm sulla fila e 30–40 cm tra le file.
Le irrigazioni devono essere frequenti finché le piante non formano il cespo, poi vanno a diradare onde evitare il marciume delle foglie e del colletto.
La raccolta si esegue in autunno, inverno e all'inizio primavera.
Altre varietà molto utilizzate sono quelle elencate di seguito.
Cicoria: le varietà più utilizzate in insalata sono il pan di zucchero, dalle foglie verdi racchiuse in un ampio cappuccio allungato, la ceriolo, piccola e a forma di rosa, nelle due varietà verde e rossa, e la tenera zuccherina di Trieste.
Indivia belga: ortaggio dalla caratteristica forma ovale allungata; deve presentare foglie bianche ben serrate, con sfumature giallo chiaro: quelle tendenti al verde hanno un sapore amaro molto più accentuato. È consigliabile eliminare sempre il torsolo: per facilitare l’operazione, potete tagliare l’indivia a metà, oppure incidere l’ortaggio alla base, in modo da estrarre il cono duro.
Indivia scarola: pianta dalle foglie larghe e lisce, con bordi appena frastagliati, caratterizzata da una consistenza croccante e da una leggera tonalità amarognola. Viene consumata sia cruda sia cotta, ed è particolarmente utilizzata nella gastronomia campana (per esempio nella preparazione della pizza con la scarola e della scarola imbottita).
Questa insalata ha foglie larghe, di forma ondulata e margini ripiegati verso il centro. Di consistenza croccante, di colore verde e bianco, il suo sapore rimane leggermente amaro. Molto indicata per le diete dimagranti, grazie alle sue proprietà depurative e per lo scarso contenuto di calorie. Essendo ricca di potassio è ottima anche in caso di ipertensione.
La scarola è originaria del Bacino del Mediterraneo e si è diffusa in molti Paesi dell’area temperata, poiché si adatta bene a coltivazioni autunno-invernali grazie alla resistenza al freddo.
La scarola è coltivata in tutte le regioni ma principalmente (dati Istat) in Puglia, Campania, Abruzzo, Marche e Lazio. L’importanza economica della cicoria riccia è invece inferiore. Scarola e riccia, allo stato spontaneo, sono piante biennali; formano la rosetta fogliare nel periodo autunno-invernale ed emettono lo scapo fiorale in primavera. Nel periodo estivo la scarola può essere coltivata fino a 1.500- 2.000 m sul livello del mare; diffusa è la coltivazione estiva della scarola sull’altopiano del Fucino in Abruzzo e in alcune vallate trentine. Nel periodo prettamente invernale la coltura può essere effettuata in pien’aria solo nell’Italia centro-meridionale in zone riparate dal gelo; diffusa anche nel centro nord è la coltivazione delle tipologie che si adattano a cicli estivo-autunnali. L’indivia presenta una crescita invernale più lenta ed è in generale più sensibile al freddo della scarola.
L'Indivia (Cichorium endivia), assieme alla lattuga costituisce il gruppo di insalate, cioè ortaggi da foglie per consumo crudo e comprende due sottospecie: indivia scarola (Cichorium endivia latifolium) e indivia ricciuta (Cichorium endivia crispum).
L'indivia scarola è la più importante delle indivie, sia per qualità del prodotto sia per diffusione, interessando ampie superfici agrarie in avvicendamento con altre colture erbacee di pieno campo. Tra le varietà più diffuse: Bubikopf, Gigante degli ortolani, Verde Fiorentina, Full Heart.
L'indivia ricciuta differisce dalla scarola per le sue foglie con lembi profondamente laciniati ed arricciati; i cespi hanno la rosetta di foglie a "cuore" molto ridotto. Le cure colturali e l'imbiancamento si praticano come per la scarola. Le varietà di maggiore interesse sono: Indivia di Ruffec, Riccia a cuore d'oro, di Pancalieri.
Come scegliere la scarola
La scarola deve avere colore brillante e vivace, foglie fresche, consistenti e carnose. Attenzione ai margini delle foglie che devono essere integri, privi di parti molli o annerite. Controllare che il cespo non sia umido, in caso contrario vuol dire che la scarola non è fresca.
Come conservare la scarola
La scarola va consumata fresca, al più tardi entro due giorni dall'acquisto dopo averla messa in frigo, se si ritarda il consumo perde gran parte delle vitamine che la caratterizzano. Può essere conservata anche cotta, in questo caso può stare in frigorifero per 3 giorni circa.


RUCOLA
La rucola, ruchetta o ruca, è una pianta erbacea annuale molto apprezzata in ambito alimentare per il suo particolare sapore. La sua specie è Eruca vesicaria, ma fa parte della sua classificazione anche un’altra pianta, appartenente da un genere diverso, comunemente chiamata “Rucola selvatica” e appartenente alla specie Diplotaxis tenuifolia. Le due piante vengono spesso confuse, soprattutto a causa del sapore molto simile. Originaria delle zone mediterranee e dell’Asia, viene utilizzata sia come contorno che come condimento, ad esempio nella realizzazione dei pesti. Si cerca soprattutto a causa della presenza di alcune particolari molecole (glucosidi) che, relativamente alla crescita della pianta, le conferiscono un sapore amaro e piccante allo stesso tempo, motivo per cui viene utilizzata anche come pianta aromatica, oltre che come pianta da consumo.
La rucola coltivata, che si può trovare nelle confezioni del supermercato o anche come prodotto di prima gamma (non confezionato) è quella appartenente alla specie Eruca vesicaria, mentre la rucola selvatica non si trova in vendita ma viene generalmente raccolta come erba selvatica, anche se le foglie sono leggermente diverse dall’altra.
Dalla rucola, tra l’altro, si possono utilizzare anche i semi, che analogamente ai semi di finocchio o ai semi di senape si possono usare come condimenti per le insalate.

SPINACIO

Lo spinacio (Spinacia oleracea) è una pianta erbacea della famiglia delle Chenopodiaceae (Amaranthaceae secondo la classificazione APG).
Originario dell'Asia sudoccidentale, è stato introdotto in Europa attorno al 1000, sebbene sia diventato sempre più importante come alimento solo nel corso del XIX secolo. Di questa pianta si consumano le foglie spesse e verdi.
Gli spinaci sono effettivamente tra gli ortaggi con il più alto contenuto di ferro, ma è diffusa l'errata convinzione che ne contenga un quantitativo elevato tanto che a volte si mangiano spinaci in alcuni casi di anemia. Sembra che questa credenza (più volte smentita) sia nata in seguito ad un errore di battitura su un'etichetta: invece di scrivere 3,4 mg ogni 100 g (anche se secondo altre rilevazioni la quantità sarebbe di 2,9 mg ogni 100 g) fu scritto 34. Questo avvenne, plausibilmente, prima del 1929, quando fece la sua comparsa il fumetto Braccio di Ferro.
Altri vegetali hanno un contenuto molto più alto di ferro (riferito a 100 grammi di alimento): lenticchie (9 mg di ferro ogni 100 gr), semi di girasole (8,9 mg), farina di soia (8,4 mg), ceci (6,7 mg/100 g). Inoltre altre sostanze (acido folico) presenti negli spinaci formano col ferro dei composti di coordinazione e pertanto lo rendono meno biodisponibile.
Valori nutrizionali
Gli spinaci hanno un'azione lassativa, sono ricchi di minerali e sono da stimolo per l'attività del cuore e del pancreas. Particolarmente indicati in caso di debolezza ed anemia.
Cenni storici
Gli spinaci sono un ortaggio certamente noto ma dalle origini molto incerte. La Persia sembra sia il suo luogo d'origine, e sul nome le leggende si infittiscono: alcuni lo fanno derivare dall'italianospinace, originato dal latino spina per il frutto spinoso, altri invece dall'arabo aspanakh passando per lo spagnolo espinaca. Misterioso anche l'arrivo in Europa, sembra siano stati gli arabi a introdurlo verso l'anno Mille,oppure i crociati. Si racconta che Caterina de' Medici, quando lascio' Firenze per andare in sposa a Enrico di Valois, futuro re di Francia, porto' con se alcuni cuochi in grado di cucinare in vari modi gli spinaci che pare fossero la sua verdura preferita. Da allora nella cucina classica francese, le preparazioni che richiedono un letto di spinaci sono chiamate per questo “a' la florentine”. Bisogna aspettare il XIX secolo finche' gli spinaci diventino un ortaggio di grande consumo, prima in Europa e poi in America.
Coltivazione
La coltivazione e il consumo di spinaci assume importanza rilevante solamente nell'Ottocento, anche se risulta che venisse coltivato a Firenze, neglio orti delle benedettine, già nel Cinquecento.
Lo spinacio viene coltivato soprattutto nelle regioni del nord Europa, dove il clima è più favorevole. La parte edibile delle pianta è costituita dalle foglie, che hanno forma e dimensioni molto diverse a seconda della varietà.
Varietà
Tra le diverse varietà di spinaci troviamo:
il tipo gigante d'inverno, caratterizzato da foglie grandi e crespe;
il tipo viroflay, caratterizzato da un cespo grosso;
il tipo riccio di Castelnuovo, che ha foglie tonde e spesse;
il tipo merlo nero, che ha foglie non troppo grandi ed arricciate.
Come scegliere
accertatevi che le foglie siano verdi ed il loro colore uniforme, che non abbiamo parti scure, ingiallite od appassite, e che i gambi siano forti ed integri.
In caso gli spinaci abbiano lo stelo fiorito ed i cespi siano pieni di terra, non acquistateli perché la produzione è scadente.
Come conservare
potete conservarli in frigo per 2-3 giorni chiusi in sacchetti di plastica, dopo averli accuratamente lavati ed asciugati; se volete congelarli fatelo dopo averli lessati e accuratamente strizzati. Ma ricordate, che in ogni caso è bene consumare subito gli spinaci, soprattutto una volta cotti, a causa delle trasformazioni che i nitriti contenuti nei concimi chimici a cui vengono sottoposti subiscono, e che in alcuni casi provocano crisi respiratorie o cefalee.

VALERIANA
L'insalata valeriana (detta anche valerianella o formentino) è una pianta erbacea annuale, classificata nella famiglia delle Valerianaceae, Genere Valerianella, Specie locusta; la nomenclatura binomiale dell'insalata valeriana è Valerianella locusta. Altri nomi volgari dell'insalata valeriana sono: dolcetta, gallinella, lattughella, songino, soncino ecc.
L'insalata valeriana è dunque una verdura da consumare in maniera analoga alla lattuga e alle cicorie (radicchi). Le caratteristiche organolettiche ricercate sono offerte dalla piantina giovane e dalle sue morbide foglie; quando viene lasciata maturare, la pianta si allunga per la fioritura e la produzione di semi fino a 30-40cm di altezza, riduce quindi la propria massa fogliare e sviluppa porzioni meno gradevoli al palato (stelo e fiori). Da sviluppata, la valerianella è più appetibile in forma cotta.
L'insalata valeriana è una pianta erbacea annuale (quando seminata in inverno) o biennale. Si presenta come un cespuglietto privo di stelo, con foglie a forma di spatola, di colore verde brillante e lunghe una decina di centimetri. Valerianella locustaNei mesi tardo-primaverili produce uno stelo fiorale diramato in vari mazzetti di piccoli fiori color bianco-azzurro. Il frutto dell'insalata valeriana è un achenio grigio dalla superficie liscia.
Di valerianella ne esistono due varietà (cultivar) ben distinguibili. La prima, che produce semi grossi e delle foglie allungate, è chiamata "d'Olanda a Seme Grosso" (idonea alla coltivazione in serra); l'atra, invece, fruttifica dei semi più piccoli e viene detta "Verde Cuore Pieno" (idonea alla coltivazione all'aperto).
L'insalata valeriana è una pianta spontanea del territorio Mediterraneo ed è presente in tutte le relative zone a clima temperato. Secondo certi studi botanici francesi (piuttosto datati), i territori d'origine della valerianella sono le isole italiane maggiori, Sicilia e Sardegna.
L'insalata valeriana può essere facilmente coltivata, poiché non necessita accorgimenti particolari. Resiste brillantemente sia in pianura che in montagna e predilige terreni soleggiati, ben drenanti e azotati; può complementare lo sfruttamento del terreno utilizzato per le patate. Essendo una pianta che nasce in climi temperati, nelle regioni settentrionali dovrebbe essere protetta dal gelo invernale.
La coltivazione di valerianella può essere fatta per semina diretta (a spaglio) in file distanti 15-24cm. A temperatura di 15-20C° i semi germinano in circa 7 giorni; la semina può essere svolta nel periodo compreso tra la primavera e l'autunno, considerando un ciclo vitale produttivo di circa 2-3 mesi. E' sempre fondamentale il diserbo. L'innaffiatura è da praticare con suolo ben asciutto e mai nelle ore più calde. I parassiti sono gli stessi di tutte le altre insalate.
L'impiego culinario dell'insalata valeriana è sovrapponibile a quello degli altri ortaggi a foglia. Di quella giovane viene prediletto il consumo a crudo (per la dolcezza e la delicatezza del sapore); se saltata in padella, meglio quindi non eccedere con le spezie e gli aromi (come pepe e aglio), inoltre, in entrambi i casi, si consiglia l'utilizzo di un olio extravergine di oliva delicato.
La valerianella ha un apporto energetico molto ridotto e la sua funzione nutrizionale è di aumentare principalmente gli apporti di fibra, sali minerali e vitamine nella dieta. Le poche calorie contenute sono di origine glucidica e proteica, mentre i grassi risultano ininfluenti; il colesterolo è assente. I sali minerali più rilevanti sono ferro e potassio, mentre per quel che riguarda le vitamine spiccano le concentrazioni di carotenoidi (pro-vit. A), acido ascorbico (vit. C), tocoferoli (vit. E) e acido folico.
Dal punto di vista dietetico, l'insalata valeriana si presta a qualunque tipo di regime alimentare, compresi: terapia ipocalorica contro il sovrappeso e strategie nutrizionali per la cura delle patologie del metabolismo. La porzione di valerianella è (più o meno) libera e oscilla dai 50 ai 200 g.

giovedì 6 febbraio 2025

Corso di cucina: 38 Focacce tipiche


Benvenuti nel regno della focaccia

Eccoci nel regno della focaccia, una delle invenzioni più geniali della cucina italiana: semplice come il pane, ma con quel tocco in più che la rende irresistibile. In apparenza è solo farina, acqua, lievito, olio e sale. Ma tra le mani degli italiani diventa un piccolo capolavoro gastronomico, un foglio bianco su cui ogni regione ha scarabocchiato la propria idea di felicità.

La focaccia è l’eterna compagna di viaggio: la si trova calda nelle panetterie al mattino, tagliata a quadretti negli aperitivi, imbottita per diventare merenda di scuola o, nei casi più seri, addirittura protagonista di pranzi interi. C’è chi la ama sottile e croccante, chi alta e soffice come un cuscino, chi la vuole lucida d’olio da ungerne le dita e chi preferisce arricchirla con cipolle, pomodorini, olive o erbe aromatiche. Insomma, la focaccia non è una: sono tante, e ognuna racconta un pezzetto di Italia.


Le focacce più note d’Italia

🔹 Focaccia genovese

La regina indiscussa. Alta il giusto, morbida dentro e leggermente croccante fuori, con quelle tipiche fossette dove l’olio d’oliva si raccoglie come rugiada dorata. Tradizione vuole che venga bagnata con un’emulsione di acqua, olio e sale prima della cottura, che la rende unica. In Liguria si consuma a qualsiasi ora, persino a colazione intinta nel cappuccino (sì, accade davvero!).

🔹 Focaccia barese

Qui la semplicità incontra il sole del Sud. La base è simile alla pizza, ma sopra ci finiscono immancabilmente pomodorini rossi e olive nere. Il risultato è un trionfo di sapori mediterranei: crosta croccante, interno soffice e un profumo che richiama subito l’estate pugliese.

🔹 Focaccia di Recco

Più sottile di un foglio di quaderno e doppia di bontà: due veli di pasta racchiudono un cuore filante di formaggio fresco. Non è pane, non è pizza: è poesia ligure, tutelata persino dall’IGP. Va mangiata calda, altrimenti il formaggio perde la sua magia.

🔹 Schiacciata toscana

In Toscana la chiamano "schiacciata", e già il nome rende l’idea. È una focaccia semplice, senza troppi fronzoli, morbida e leggermente unta d’olio. Perfetta da sola, ma imbattibile se farcita con salumi toscani come finocchiona o prosciutto crudo. Alcune varianti, come la “schiacciata con l’uva”, diventano quasi un dolce.

🔹 Focaccia piemontese

In Piemonte assume forme e varianti diverse, spesso più simili a focaccine rotonde. In Monferrato si trova quella arricchita con lo strutto, più rustica, oppure versioni dolci con zucchero e burro: la prova che la focaccia, oltre a sfamare, può anche coccolare.

🔹 Focaccia veneta o veneto-polesana

Diffusa soprattutto tra il Polesine e Venezia, è parente stretta della pizza bianca romana: semplice, sottile, soffice, spesso arricchita da un filo d’olio e qualche granello di sale grosso. Una base neutra che si presta a mille accompagnamenti.

🔹 Focaccia sarda (o spianata)

In Sardegna la “spianata” è un pane-focaccia piatto, morbido ma consistente, cotto tradizionalmente nei forni a legna. Può accompagnare qualsiasi piatto, ma è deliziosa anche da sola, soprattutto se condita con un filo di olio d’oliva locale.


👉 In definitiva, la focaccia è come una tavolozza: ogni regione ci ha dipinto sopra la propria identità, trasformando un impasto base in un simbolo di territorio. E la magia è che, nonostante la varietà infinita, resta sempre riconoscibile: la focaccia è casa, ovunque tu vada.

BARTOLACCIO

200 g di farina
300 g di patate
50 g di pancetta
50 g di parmigiano grattugiato
20 g di lievito di birra
1 cucchiaio di strutto
sale
pepe
Lessare le patate, intanto che queste cuociono preparare l’impasto con la farina, lo strutto, il lievito di birra e acqua quanto basta. Lavorare il tutto per cinque/sei minuti. Lasciare lievitare l'impasto coperto e al caldo per circa un'ora. Nel frattempo rosolare la pancetta tagliata a cubetti, condire con sale e pepe. Quando le patate saranno cotte schiacciarle in una ciotola, aggiungere la pancetta, il pecorino e la noce moscata, mescolare fin quando gli ingredienti saranno ben amalgamati e aggiustare di sale e pepe. Ora tirate la sfoglia non troppo grossa altrimenti non cuoce bene, non troppo sottile perchè potrebbe rompersi col peso del ripieno. A questo punto potete scegliere se tagliare la sfoglia a dischi o a rettangoli. Riempite ogni metà di rettangolo/disco lasciando vuoto un po’ di bordo poi ripiegate la sfoglia vuota, sigillate bene e rifilate con la forchetta. Quando saranno pronti tutti li cuocete su di una piastra molto calda girandoli per non farli bruciare. Se avete una stufa a legna potete utilizzare la teglia in terra cotta che è l’ideale e, se ne avanza qualcuno, sono ottimi anche freddi il giorno dopo.
Il Bartolaccio, o bartlàz in dialetto forlivese, è un prodotto alimentare tipico dell'Appennino forlivese. Noto ad esempio è quello di Tredozio. Si compone di una sfoglia sottile, i cui ingredienti sono soltanto acqua e farina, farcita di un particolare ripieno: purea di patate, pancetta, formaggio grana stagionato, sale e pepe. La sfoglia, poi, è richiusa su se stessa in modo da formare una mezzaluna (a somiglianza di un crescione). Il tutto è quindi cotto sulla piastra. Si tratta di un prodotto della tradizione contadina povera.

CALZONE AL FORNO BARESE
calzone al forno barese
Il calzone al forno è una specialità gastronomica originaria della  cucina barese derivando dalla focaccia alla barese: le varianti sono praticamente centinaia poiché diffondendosi in Italia e all'estero le ricette locali hanno adottato ingredienti caratteristici delle più disparate località. Questo tipo di calzone si cuoce sempre nel forno: a legna o alimentato dai vari tipi d'energia.
Il calzone più diffuso in Puglia, delle dimensioni di una normale focaccia, è a forma circolare fatto con sfoglia all'olio che avvolge un ripieno di spaghettini o capellini, inseriti nel calzone pochi minuti dopo averli cotti e scolati, con cipolla, acciughe, capperi e olive. Le varianti di farciture comprendono filetti di pesce, carne tritata, fior di latte, ricotta e altro; le varianti di forma comprendono quelle tubolare e rettangolare.

CANASCIONE
canascione
Il canascione o 'a pizza chiena (la pizza ripiena) è una torta rustica salata composta da una pasta simile a quella della pizza e farcita con un ripieno di uova, salumi (prosciutto crudo) e formaggi (pecorino).
È un prodotto della tradizione gastronomica contadina, diffuso soprattutto nel nord della Campania (Napoli e Caserta) e in Ciociaria. È una ricetta tipica del periodo pasquale, soggetta a numerose varianti regionali per quanto riguarda la farcitura, mentre gli ingredienti per la pasta sono identici in ogni luogo.

FAZZINO DELLA VAL BORMIDA
Il Fazzino, (lisone o lisotto) è prodotto indistintamente un po' in tutta la val Bormida, terra di castagne, funghi e patate dove la tradizione culinaria offre piatti di origine contadina dal gusto semplice ed antico. Ma è a Murialdo che trova la sua terra d'elezione. In località Riofreddo, il 16 agosto, è possibile degustarlo in occasione della festa di San Rocco.
Ogni paese della valle apporta leggere variazioni alla ricetta base, creando così un prodotto che muta nel gusto.
Ancora un esempio di come l'unione di elementi semplici e poveri possa creare un piatto gustoso e sostanzioso che ha saputo superare inalterato le mode: è il fazzino, lisone o lisotto, morbida focaccina di patate con una leggera cavità all'interno per raccogliere i condimenti tipici, ottime se cotte sulla stufa a legna, come vuole la tradizione.
Ingredienti: farina, lievito di birra, patate, sale.
Preparazione: fate bollire le patate con la pelle e passatele quando sono ancora calde, unitele poi alla farina e al lievito (o bicarbonato), aggiungendo un pizzico di sale. Impastate il tutto sino ad ottenere un impasto molle. Formate quindi delle palline grosse quanto una patata media e ponetele in frigo a lievitare per mezz'ora.
Nel frattempo tagliate a spicchi la cipolla e fatela ammorbidire in acqua e sale. Mettetene un pò su ogni pallina insieme all'olio e lasciate lievitare in frigo per un'altra mezz'ora.
Dopo la lievitazione spruzzate con acqua e mettete a cuocere. C'è chi, invece di far lievitare l'impasto, lo stende direttamente (sostituendo il bicarbonato al lievito), e lo taglia a rombi. Una volta cotti possono essere conditi oppure no, a seconda dei gusti e delle tradizioni, e si servono ancora caldi.
A Pallare si prevede l'impiego di una cipolla, o del porro unito all'uovo e all'olio; a Osiglia si usa l'aglio o il pesto; a Calizzano non è previsto nessun tipo di condimento.

farina,
lievito di birra,
patate,
sale.
Fate bollire le patate con la pelle e passatele quando sono ancora calde, unitele poi alla farina e al lievito (o bicarbonato), aggiungendo un pizzico di sale. Impastate il tutto sino ad ottenere un impasto molle. Formate quindi delle palline grosse quanto una patata media e ponetele in frigo a lievitare per mezz'ora.
Nel frattempo tagliate a spicchi la cipolla e fatela ammorbidire in acqua e sale. Mettetene un pò su ogni pallina insieme all'olio e lasciate lievitare in frigo per un'altra mezz'ora.
Dopo la lievitazione spruzzate con acqua e mettete a cuocere. C'è chi, invece di far lievitare l'impasto, lo stende direttamente (sostituendo il bicarbonato al lievito), e lo taglia a rombi. Una volta cotti possono essere conditi oppure no, a seconda dei gusti e delle tradizioni, e si servono ancora caldi.
A Pallare si prevede l'impiego di una cipolla, o del porro unito all'uovo e all'olio; a Osiglia si usa l'aglio o il pesto; a Calizzano non è previsto nessun tipo di condimento.

FOCACCETTE AL FORMAGGIO
Le focaccette al formaggio (in dialetto genovese 'e fugasette) sono una pasta ripiena di formaggio e fritta; sono una specialità tipica della cucina della riviera ligure di levante, Sori, Recco, Uscio, Camogli, tutti comuni della provincia di Genova, che si affacciano nel Golfo Paradiso e che è diventata nota in tutto il mondo.
Da oltre 40 anni si svolge ogni anno a Recco la Sagra delle Focaccette, in concomitanza con la Festività della Santa Spina, nel giorno di Pasquetta e la domenica successiva. Ottanta persone della comunità parrocchiale di N.S. delle Grazie di Megli, preparano le famose focaccette col formaggio, gustose frittelle salate, con una sfoglia croccante e sottile, ripiene di formaggio stracchino, fritte nell’olio bollente. Vengono preparate circa 3.500 focaccette, per la preparazione delle quali occorrono circa 400 kg di farina, 400 litri di olio, in un padellone di circa 2,00 m. di diametro, visibile al pubblico. Il padellone contiene circa 150 litri d’olio per ogni turno di frittura.
La focaccetta col formaggio può essere considerata una variazione della famosa focaccia col formaggio originaria di Recco: in effetti gli ingredienti adoperati sono molto simili, alla tradizionale focaccia senza lievito, fatta con farina, acqua e olio, viene in questo caso aggiunto del formaggio di tipo crescenza, varianti casalinghe con altri formaggi come la prescinsêua, il grana grattugiato o il gorgonzola; mentre diversi sono ovviamente il modo di preparazione e la procedura di cottura, che nel caso delle focaccette prevede un taglio rotondo o quadrato e la frittura. Variante casalinga è di cuocerle al forno, con un velo d'olio nella teglia.
Alle focaccette col formaggio si abbina un vino bianco, fresco e leggero come il Vermentino.
Le focaccette al formaggio molto spesso vengono inserite in un assortimento di antipasti, come i grissini al timo, le frittelle salate di cipolla e le frittelle di lattuga, i biscotti salati, le olive marinate.

FOCACCIA BARESE
focaccia alla barese
La focaccia tipica barese è un prodotto lievitato da forno tipico della Puglia e diffuso specialmente nelle province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Taranto, dove la si può trovare abitualmente nei panifici. Nasce, probabilmente ad Altamura o Laterza, come variante del tradizionale pane di grano duro, probabilmente dall'esigenza di sfruttare il calore iniziale forte del forno a legna, prima che questo si stabilizzi sulla temperatura ideale per cuocere il pane. Prima di procedere all'infornamento delle pagnotte, si stendeva un pezzo di pasta di pane cruda su una teglia, lo si lasciava riposare un po', dunque lo si condiva e infine lo si cuoceva.
Trattandosi di un prodotto della tradizione, la ricetta, tramandata di generazione in generazione, presenta numerose varianti, per lo più su base geografica.
Nella sua versione più tipica, la base della focaccia si ottiene amalgamando semola rimacinata, patate lesse, sale, lievito e acqua così da ottenere un impasto piuttosto elastico, molle ma non appiccicoso, che viene lasciato lievitare, steso in una teglia tonda unta con molto olio extravergine d'oliva, quindi lasciato lievitare di nuovo, condito e cotto, preferibilmente in forno a legna.
L'olio viene anche versato sulla superficie della focaccia insieme al condimento. Circa quest'ultimo, che va posto sull'impasto inderogabilmente prima della cottura, è possibile distinguere almeno tre varianti tradizionali:
la focaccia per eccellenza, che prevede pomodori freschi e/o olive baresane;
la focaccia alle patate, che prevede il ricoprimento dell'intera superficie superiore con fette di patata spesse circa 5 mm;
la focaccia bianca, condita con sale grosso e rosmarino.
A tali varianti se ne affiancano altre, che di volta in volta prevedono l'aggiunta di peperoni, melanzane, cipolle o altre verdure.
Al termine della cottura, si sarà ottenuta una spianata più soffice della pizza con un'altezza di 1-3 cm. Va gustata calda per assaporarne appieno la fragranza.

FOCACCIA CON LE CIPOLLE
La focaccia con le cipolle alla genovese (a fugàssa co-e çiòule in lingua genovese) è una variante della comune focaccia genovese. Alimento di antiche tradizioni nei quartieri più popolari di Genova e colazione usuale degli scaricatori del porto perché capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame. La focaccia con la cipolla è un alimento molto economico ed è possibile prepararla anche in casa. A Genova molte persone mangiano la focaccia con le cipolle per colazione, intinta nel caffelatte o al bar con un buon bicchiere di vino bianco (u gianchettu).
L'impasto è come quello per la focaccia genovese: farina, acqua, lievito di birra, olio e sale.
Si usa l'olio d'oliva in quantità che può variare rispetto al peso della farina: più olio si aggiunge e più la focaccia viene unta. Per farla indorare molto bisogna aggiungere del malto. La pasta va lavorata col mattarello e tirata una sfoglia il più sottile possibile, al massimo mezzo centimetro, delle dimensioni della teglia da forno che si usa e una volta posizionata nella teglia unta d'olio, bisogna schiacciarla il più possibile, con la punta delle dita. Le cipolle, abbondanti, tagliate sottile, crude, irrorate con un poco d'olio e sale, si aggiungono a lievitazione avvenuta, prima di mettere nel forno. La temperatura del forno e i tempi di cottura variano dal tipo di forno che si usa: in media, forno ad alta temperatura per il tempo minimo per rendere cotta la farina. La morbidezza dipende dal tempo di cottura, meno si cuoce e più rimane molle.

FOCACCIA DI PATATE
500 g di farina, 
300 g di patate quarantine, 
olio, 
sale, 
pepe, 
lievito di birra q.b.
Bollire le patate e farle raffreddare. Impastare insieme le patate, la farina, l'acqua l'olio ed il lievito. Far lievitare il tempo necessario. Stendere l'impasto in una teglia unta e cuocere in forno a 200° per circa 30 minuti. Dopo la cottura gettare qualche chicco di sale grosso sulla focaccia ancora calda.

FOCACCIA DI RECCO
300 grammi di farina di grano duro,
500 grammi di formaggetta ligure o crescenza,
acqua,
olio extravergine di oliva,
sale.
Preparate la sfoglia unendo due parti di farina e una d'acqua e volendo un po' d'olio. Formate un panetto e fatelo riposare sotto uno strofinaccio in un luogo tiepido al riparo dalle correnti. Dividete la pasta in due tirando due sfoglie molto sottili, quasi trasparenti. Stendetene una sul fondo di una teglia ben unta e distribuitevi sopra il formaggio a pezzetti. Coprite con l'altra sfoglia, chiudete bene i bordi e praticate dei piccoli fori sullo strato superiore. Cospargete di sale, spalmate con olio e infornate per 10-15 minuti a temperatura elevata.

FOCACCIA LIGURE
La focaccia classica di Genova, meglio conosciuta come focaccia alla genovese (in lingua ligure a fugàssa), è una specialità tipica della cucina ligure: sorta di pane piatto (al massimo 2 cm) si distingue perché, prima dell'ultima lievitazione viene spennellata con un'emulsione composta da olio extravergine d'oliva, acqua e sale grosso, la si può consumare già a colazione, come "rompi digiuno" nella mattinata o come aperitivo-antipasto.
È particolarmente gradevole se accompagnata con un buon bicchiere di vino bianco (o gianchetto - pron. [u gianchettu] in lingua ligure) che ne favorisce la digestione. I genovesi usano anche inzuppare la focaccia nel caffelatte come colazione.
La focaccia viene preparata nei forni di ormai diverse città italiane, ma risulta spesso differente da quella tradizionale genovese. A parere di molti, infatti, la vera focaccia alla genovese la si può apprezzare solo nelle città liguri e nei borghi dislocati lungo la riviera ligure. I buongustai sono soliti aspettare di acquistarla calda, appena uscita da una delle varie infornate che si succedono nella mattinata, come si usa per la farinata. La focaccia è tipica del mattino, la farinata della sera, anche se ormai con i tempi moderni questo ritmo si è perso.
Il segreto della sua fragranza è costituito dalla qualità della farina e soprattutto dall'uso di olio extravergine d'oliva.
La elaborata lievitazione e l'accurata lavorazione della pasta richiedono una ventina di ore (ecco perché il prodotto risente decisamente delle condizioni climatiche, riuscendo meno buono nelle giornate particolarmente piovose); l'optimum di cottura lo garantisce soltanto un forno da panettiere (meglio se a legna), tuttavia una discreta focaccia può essere preparata anche nella cucina di casa. La sua variante più classica consiste nella sua ricopertura con cipolle tagliate assai finemente (fugàssa co-a çiòula).
Nella sua versione classica gli ingredienti occorrenti sono:
Farina bianca di grano tenero tipo 00 o 0 di media forza (W 200-300, 500 g)
lievito di birra (quantità variabile a seconda delle condizioni climatiche. Per una lievitazione di 20 ore con temperatura ambiente di 20 °C 0.1%)
acqua pura (400 g) oppure una miscela di acqua e vino bianco (300 g acqua e 100 g di vino bianco)
sale fino per l'impasto (10-15 g) e sale grosso per il condimento (10 g)
olio d'oliva extravergine (100 g, includendo sia quello dell'impasto sia quello usato per ungerla)
Spesso viene aggiunto sopra l'impasto base o cipolle o rosmarino o olive
La possibilità di elaborare varianti è limitata solo dalla fantasia del panettiere.
Molto diffusa è anche la focaccia con le cipolle, alimento di antiche tradizioni nei quartieri più popolari di Genova e pasto usuale degli scaricatori del porto perché capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame.
Tradizionali sono la focaccia con le olive (sopra, come per quella con le cipolle) o con la salvia (nell'impasto) o con il rosmarino (nell'impasto) o con le patate (nell'impasto) o con l'uvetta passa (in forma più dolciastra, nell'impasto); ultimamente si fanno focacce con patate e/o pomodori (sopra) o noci (nell'impasto) o con il formaggio (non tipo Recco).
In Liguria è anche possibile trovare versioni decisamente moderne, ma non meno valide. È possibile assaporare, per esempio, focaccia cosparsa di salse varie, affettati o anche versioni dolci, farcite di panna, frutta secca o crema gianduia.
Da alcuni anni a questa parte è invalsa a Genova la locuzione linguistica errata ancorché deplorevole, di indicare la focaccia genovese classica come "focaccia normale", per distinguerla dalle varianti.
La fugàssa co-o formàggio, focaccia con il formaggio, propria di Recco, non è considerabile una variante della focaccia genovese in quanto prodotta con pasta non lievitata.
Oltre alla vendita a peso, la focaccia è venduta secondo altre unità di misura. Tra queste ricordiamo:
Mille lire (usata in particolare per focaccia da consumarsi subito, uscendo dal panificio. Ovviamente oggi non più usata)
Sleppa (o slerfa) (corrispondente a 1/8 di leccarda, che equivale a 150~200 g.)
Strisce (misura equivalente circa a 40~60 g.) Le strisce di focaccia vengono disposte su un cabaret di cartone (o polistirolo) in occasione di piccoli rinfreschi mattutini sul luogo di lavoro.
Quadretti (bocconi quadrati con lato di 6~8 cm. utilizzati in alternativa alle strisce).

500 grammi di farina di grano tenero,
1 decilitro d'olio extravergine d'oliva,
30 grammi di sale,
30 grammi di lievito di birra,
acqua.
Formate con parte della farina una fontana sulla spianatoia. Sciogliete il lievito di birra con acqua tiepida e unitelo alla farina che deve essere lavorata come la pasta del pane. Lasciate riposare la pasta sotto un canovaccio, meglio se di lana, in un luogo tiepido per almeno 2 ore. A questo punto prendete la pasta lievitata ed unite la restante farina, l'olio e, facoltativo, mezzo bicchiere di vino bianco; lavorate per ottenere una pasta morbida e fate nuovamente lievitare sempre sotto uno strofinaccio per altre 2 ore. Dopo la lievitazione, stendere la pasta in una teglia con le mani e lasciare le impronte delle dita che raccoglieranno l'olio versatovi. Spolverizzate con il sale grosso che deve essere frantumato da una bottiglia usata come mattarello. Lasciate riposare ancora, prima di cuocere in forno a 200-230° per circa 30 minuti. La focaccia può essere aromatizzata alla salvia che deve essere tritata ed aggiunta direttamente nell'impasto, con le olive tritate, anch'esse unite alla farina, oppure arricchita con le cipolle che tagliate a fette si cospargono sulla pasta già stesa prima di infornare.

FOCACCIA LIGURE CON LE PELLETTE DI OLIVE
Focaccine fritte o al forno, nel cui impasto viene inserita la pelle (epicarpo) dell'oliva, conservato sott'olio.
La proverbiale parsimonia ligure ha partorito un’altra squisitezza: la focaccia con le pellette di olive, nata dall'esigenza di non sprecare nulla, la focaccia co-e porpe, come si chiama nel Levante, co-a murcia come si chiama nel Ponente, per non buttare le olive già spremute;
Dalla frangitura delle olive (nei frantoi con macine in pietra) per la produzione di olio extravergine di oliva le pellette vengono separate dalla sansa mediante lavaggio in acqua calda e per affioramento: vengono quindi raccolte, asciugate e messe sott'olio. Tutti gli olivicoltori della zona conoscevano questi prodotti in quanto quando portavano a frangere le oliva si facevano donare le pellette. Poi una volta a casa le lavavano bene, togliendo alcuni residui di nocciolo macinato. Asciugate, venivano messe in barattoli di vetro coperte d'olio e durante l'anno venivano usate quando si impastava per preparare le focaccette che erano un piatto di lusso che ogni contadino offriva ai proprietari o agli ospiti di casa.
Zona di produzione: Da Varazze a Quiliano
Ingredienti: per un etto di farina di grano, un bicchiere di olio extravergine di oliva, mezzo bicchiere d'acqua, sale q.b., due cucchiai di pelli di oliva, lievito di birra.
Preparazione: Si impasta il tutto e si lascia lievitare, si stende a sfoglia e si inforna. In alternativa lo taglia a losanghe, quindi si frigge in abbondante olio extravergine d'oliva.
per un etto di farina di grano,
un bicchiere di olio extravergine di oliva,
mezzo bicchiere d'acqua,
sale q.b.,
due cucchiai di pelli di oliva,
lievito di birra.
Si impasta il tutto e si lascia lievitare, si stende a sfoglia e si inforna. In alternativa lo taglia a losanghe, quindi si frigge in abbondante olio extravergine d'oliva.

FOCACCIA MESSINESE
La focaccia messinese (o focaccia alla messinese, così chiamata nei comuni limitrofi ove non è natìa e quindi solo rassomigliante) è una specialità tipica della gastronomia messinese. La sua preparazione è molto comune nella città e meno nella provincia di Messina: essa si caratterizza per un impasto alto, soffice, che si cucina in forno a legna in grandi teglie. Tradizionalmente è ricoperta di scarola, pomodoro a pezzi, acciughe e formaggio (in genere tuma, anche se negli ultimi anni è usata anche la mozzarella). Condivide gran parte degli ingredienti con il pitone messinese, noto prodotto della rosticceria locale. Sia la pasta, sia lo spessore, differiscono significativamente rispetto a quelli di una normale pizza. Si ritiene che la ricetta abbia iniziato ad acquistare una sua fisionomia all'inizio del Novecento, per poi essere stabilizzata dai panificatori messinesi all'inizio del secondo dopoguerra, nella forma in cui la conosciamo oggi. Il prodotto è comunemente presente in tutti i panifici e le rosticcerie di Messina e molto meno in quelli della sua provincia, oltre a conoscere una discreta diffusione anche nel resto della Sicilia orientale dove però la ricetta si discosta dal prodotto tipico messinese. Nella zona dei Nebrodi, in luogo della tuma o della mozzarella, è spesso utilizzata la provola locale, che costituisce un presidio slow food.

FOCACCIA NOVESE
La focaccia novese è una specialità da forno tipica della cucina piemontese, prodotta artigianalmente dalle panetterie della zona di Novi Ligure (Novese) ed Ovada. È una sorta di pane piatto (presenta al massimo un centimetro d'altezza) condito con olio extravergine d'oliva e sale grosso. Durante il processo produttivo la focaccia viene stirata e poi successivamente manipolata per produrre piccoli alvei sulla superficie. È consigliato l'abbinamento al vino di produzione locale Cortese di Gavi DOCG.
La composizione degli ingredienti, e dunque dell'impasto, rendono tale prodotto molto simile alla focaccia genovese, dalla quale si distingue per un minor contenuto di olio d'oliva e l'aggiunta di strutto.
Con la deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte del 15 aprile 2002 n. 46-5823 la focaccia novese è stata riconosciuta prodotto agroalimentare tradizionale del Piemonte in attuazione del D.lgs. n. 173/98, art. 8 e D.M. n. 350 dell'8 settembre 1999.

FOCACCIA VERDE
farina,
olio,
sale,
lievito,
bietole,
1 cipolla,
uova,
formaggio in grana.
Impastare la farina con olio di oliva, sale e lievito. Porre l'impasto in una teglia unta d'olio. Tritare le bietole a crudo e aggiungere olio, sale, uova, cipolla e formaggio. Il composto preparato con gli ingredienti sopra elencati si pone sulla pasta e si inforna. A cottura ultimata, aggiungere le olive.

PIZZOLO

150 g di farina per pizza
50 g di farina integrale
110 ml di acqua tiepida
2 cucchiaini di zucchero
1/3 di bustina di lievito disidratato
grana grattugiato
timo
olio extravergine d’oliva
Disponete le farine in una ciotola, e sulla spianatoia versate le farine al centro e aggiungete il lievito disidratato e lo zucchero. Versate l’acqua tiepida a poco a poco e impastate con le mani. Rimettete l’impasto ben lavorato nella ciotola dopo aver unto i bordi con un po’ d’olio. Lasciate a lievitare per almeno 3-4 ore, in un luogo caldo. Prendete una teglia da pizza e ungetela leggermente con olio. Stendete il vostro impasto omogeneamente, in modo che sia alto più o meno un centimetro. Infornatelo a 200° per almeno 15-20 minuti. Quando il pizzolo sarà cresciuto un po’ e si sarà un po’ colorato, uscitelo dal forno e fatelo raffreddare per 5-10 minuti. Con un coltello tagliate il pizzolo in due facendo molta attenzione a non romperlo. Farcitelo secondo il vostro gusto con salumi, carne, formaggi o verdure. Chiudete il pizzolo e bagnate la parte superiore con poco olio, mettendo anche il grana grattugiato e il timo. Rimettete in forno per circa 10 minuti, a 220°. Sfornate e gustate.
Se vi trovate dalle parti di Siracusa, in particolare a Sortino, non potete non assaggiare il pizzolo (pizzòlu). Si tratta di un prodotto tipico della cucina dell’isola: è una sorta di pizza tonda, farcita all’interno e condita con olio, origano, pepe, formaggio e sale. I ripieni sono i più disparati: spinaci, melanzane, peperoni, carne di ogni tipo, prosciutto crudo e scamorza. In alcuni casi, ai può anche optare per la doppia farcitura: il pizzolo, in questo caso viene condito in due modi diversi.Il nome deriva da una grossa pietra di forma ovoidale, che richiamerebbe la concezione greca della ciclicità della vita. Il pizzolo sarebbe legato alle focacce rituali diffuse in epoca greco-romana. Nel corso dei secoli si è affermato come tipico pane contadino, un piatto povero che veniva farcito con ciò che si aveva. La notorietà del pizzolo, però, arriva molto più avanti. Alcuni sortinesi emigrarono nel nord Europa in cerca di fortuna, aprendo delle pizzerie specializzandosi nella preparazione di pizze farcite. Al ritorno in Sicilia, negli anni Ottanta, continuano a preparare i pizzoli, che riscuotono un enorme successo. Il boom arriva negli anni Novanta.

SCACCIATA
Nella provincia di Catania, da una tradizione che risale alla fine del XVII secolo, deriva la scacciata, molto simile ad un calzone o ad una pizza a due strati, che prevedeva due differenti versioni originali: in città a base di caciocavallo e acciughe, nelle zone intorno a Catania con broccoli, cavolfiori, patate lesse e addirittura carne speziata (salsiccia o brasato).

SFINCIONE
La pizza siciliana più conosciuta è lo sfincione originario di Palermo e diffuso in molte zone dell'isola, ma accanto ad esso esistono diverse altre varietà di pizze. Le differenze nella preparazione della pizza in Sicilia sono legate alla cultura e alla tradizione locale che, in un'isola vasta come la Sicilia, hanno portato a ricette dalle caratteristiche a volte assai diverse tra loro. Con i fenomeni di emigrazione che hanno toccato la popolazione siciliana all'inizio del XX secolo, alcune ricette sono sbarcate anche in altre nazioni mantenendo in parte le loro caratteristiche originarie, così ad esempio nel New Jersey si indica col termine inglese sicilian pizza la versione italoamericana dello sfincione.
A Palermo è molto diffuso lo sfincione (in siciliano sfinciuni), una pizza al taglio venduta sia nelle rosticcerie che dagli ambulanti a base di pomodoro, cipolla, acciughe, pangrattato e caciocavallo.
Lo sfincione (sfinciuni o spinciuni in siciliano) è un prodotto tipico della gastronomia palermitana. È un prodotto tipico siciliano, come tale è stata ufficilamente inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).
Al pari della sfincia di San Giuseppe, il nome si fa derivare dal latino spongia, "spugna" oppure dall'arabo isfan col quale si indica una frittella di pasta addolcita con il miele. Si tratta di una antica ricetta che vede come ingrediente cardine il pane pizza (morbido e lievitato, simile appunto ad una spugna) con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, e pezzetti di formaggio tipico siciliano (chiamato caciocavallo ragusano). Lo sfincione si può gustare solo a Palermo e dintorni presso alcune pizzerie, gastronomie e panifici.
Il prodotto più originale viene però prodotto artigianalmente nei pressi di Porta Sant'Agata, e commercializzato da ambulanti che spaziano per le vie della città a bordo di motoveicoli a tre ruote (conosciuti meglio come "lapini") ed invitano ad assaporare il loro prodotto gridando a voce alta o attraverso un amplificatore.

STIRPADA 
Stirpada, scherpada o scarpazza, rotonda o quadrata, mignon o di normali dimensioni, ma sempre di torta di verdure si tratta.
Zona di produzione: comune di Calice al Cornoviglio, località Pegui (per la stirpada), comune di Ponzano, La Spezia (per la scherpada) comune Sarzana (per la scarpazza)
Stirpada
Preparazione: lavare le foglie di bietola e borragine e tritarle non troppo fini. Bollire la zucca gialla, tagliare il porro e farlo soffriggere insieme alla zucca e alle erbette. Mescolare il tutto con pecorino e parmigiano. Preparare quindi la classica sfoglia ligure con farina, acqua, olio e sale e tirarla molto sottile. Tagliare la sfoglia in piccoli quadrati, versarvi sopra l'impasto di erbe e ripiegare i bordi. Cuocere in forno caldo per 30 minuti circa.
Scherpada
Preparazione: si fanno bollire le erbe (1500 g) e zucca gialla (500 g) tagliata a pezzi; nel frattempo si soffriggono a parte con olio di oliva i porri (3) tagliati finemente e si ammorbidisce con acqua la mollica di pane (200 g). Una volta cotte, le verdure vengono macinate e quindi mescolate con i porri, la mollica del pane strizzata, il formaggio grattugiato (100 g formaggio pecorino e 100 g formaggio vaccino stagionato), l'olio di oliva (un bicchiere) e il sale quanto basta. Il tutto viene impastato sino ad ottenere un ripieno compatto che è disposto tra due dischi di sfoglia preparata con farina di grano, acqua e sale, e quindi cotta nei testi caldi dieci minuti per lato.
Scarpazza
Preparazione: per la sfoglia, predisporre 200 grammi di farina, due cucchiai d'olio, un bicchiere d'acqua e un pizzico di sale. Procedimento per il ripieno: tagliare i porri a rondelle e farli rosolare per cinque minuti; aggiungere le erbette (sia coltivate che spontanee) e salarle. Sbattere a parte le uova, unire i porri, le erbette, il parmigiano, il pecorino grattugiato e amalgamare il tutto. Versare l'impasto di verdure nella teglia foderata con la sfoglia, spianarlo e guarnire con striscioline di pasta come una crostata. Cuocere in forno per 40 minuti.
Lavare le foglie di bietola e borragine e tritarle non troppo fini. Bollire la zucca gialla, tagliare il porro e farlo soffriggere insieme alla zucca e alle erbette. Mescolare il tutto con pecorino e parmigiano. Preparare quindi la classica sfoglia ligure con farina, acqua, olio e sale e tirarla molto sottile. Tagliare la sfoglia in piccoli quadrati, versarvi sopra l'impasto di erbe e ripiegare i bordi. Cuocere in forno caldo per 30 minuti circa.
Si fanno bollire le erbe (1500 g) e zucca gialla (500 g) tagliata a pezzi; nel frattempo si soffriggono a parte con olio di oliva i porri (3) tagliati finemente e si ammorbidisce con acqua la mollica di pane (200 g). Una volta cotte, le verdure vengono macinate e quindi mescolate con i porri, la mollica del pane strizzata, il formaggio grattugiato (100 g formaggio pecorino e 100 g formaggio vaccino stagionato), l'olio di oliva (un bicchiere) e il sale quanto basta. Il tutto viene impastato sino ad ottenere un ripieno compatto che è disposto tra due dischi di sfoglia preparata con farina di grano, acqua e sale, e quindi cotta nei testi caldi dieci minuti per lato.
per la sfoglia, predisporre 200 grammi di farina, due cucchiai d'olio, un bicchiere d'acqua e un pizzico di sale. Procedimento per il ripieno: tagliare i porri a rondelle e farli rosolare per cinque minuti; aggiungere le erbette (sia coltivate che spontanee) e salarle. Sbattere a parte le uova, unire i porri, le erbette, il parmigiano, il pecorino grattugiato e amalgamare il tutto. Versare l'impasto di verdure nella teglia foderata con la sfoglia, spianarlo e guarnire con striscioline di pasta come una crostata. Cuocere in forno per 40 minuti.
Nel piccolo borgo di Pegui, frazione di Calice al Cornoviglio, era consuetudine preparare le stirpade in occasione del Natale. La rotonda scherpada è protagonista della sagra che dal 1975 si svolge ogni anno, l'ultima settimana di agosto, a Ponzano superiore, piccolo paese collinare del comune di Santo Stefano Magra. La scarpazza è invece di Sarzana, territorio in cui anche a livello culinario si incontrano ben tre regioni: Liguria, Emilia Romagna e Toscana. Queste torte di erbetti, hanno comunque un denominatore comune: il ripieno è costituito da una miscellanea di verzure, coltivate e spontanee, un riferimento preciso al preboggion genovese espressione della cucina povera dell'entroterra ligure.

STRAZZATA
La Strazzata è un tipo di focaccia caratteristico della Basilicata, originario della zona di Avigliano. Il nome è una forma italianizzata di strazzat, che in dialetto locale significa "stracciata" o "strappata", il che rimanda all'uso di staccarne i pezzi "strappando" la focaccia con le mani, anziché con l'uso del coltello. Gli ingredienti base sono acqua, lievito, farina, pepe nero macinato e origano (un'altra varietà prevede anche l'aggiunta di strutto e piccoli pezzi di lardo). Come da tradizione, questo alimento era utilizzato nei matrimoni e nelle feste in genere, per accompagnare il vino.
Preparazione
La strazzata, tramite lavorazione a mano, si ottiene sciogliendo il lievito nell’acqua tiepida e mescolandolo con la farina si crea un impasto morbido e compatto. La farina deve provenire da una molitura non troppo fine, cioè deve contenere una parte di crusca che dà una colorazione alla strazzata leggermente più scura del pane. All’interno dell'impasto viene aggiunto il pepe nero, dopo essere stato rigorosamente macinato, e il lardo (secondo un'altra variante della ricetta). L’impasto finale viene fatto riposare fino ad una completa lievitazione naturale e dopo aver effettuato un buco al centro viene cotto nel forno a legna. La strazzata viene farcita, generalmente, con provolone e prosciutto crudo, ma anche con frittata e peperoni.
Manifestazioni
L'alimento è il protagonista dell'omonima Sagra della Strazzata, organizzata dall'associazione culturale "Il Cigno" e che si tiene annualmente nel periodo di agosto a Stagliuozzo, frazione aviglianese di circa 250 abitanti, a un paio di km dal castello federiciano di Lagopesole. Altri prodotti offerti dalla manifestazione sono il vino Aglianico del Vulture DOC e i formaggi di Filiano.