domenica 26 gennaio 2025

Corso di cucina: 26 Conoscere gli ortaggi a fiore e da seme

CONOSCERE GLI ORTAGGI A FIORE

L’ortica (Urtica dioica) è una pianta erbacea perenne dioica, nativa dell'Europa, dell'Asia, del Nord Africa e del Nord America, ed è la più conosciuta e diffusa del genere Urtica. Possiede peli che, quando si rompono, rilasciano un fluido che causa bruciore e prurito. La pianta è nota per le sue proprietà medicinali, per la preparazione di pietanze e, nel passato, per il suo esteso uso nel campo tessile.
Le ortiche sono usate in cucina dai tempi dei Greci e dei Romani in tutta Europa, e costituiscono ancor oggi un alimento diffuso nelle aree rurali. I germogli e le foglie ancora tenere si raccolgono in primavera, prima della fioritura. La cottura distrugge i peli urticanti.
L'ortica contiene una quantità significante di minerali, come calcio, ferro e potassio, vitamine (vitamina A, vitamina C), proteine e amminoacidi, che ne fanno un alimento ad alto valore nutritivo, adatto ad esempio a diete vegetariane. I valori nutrizionali variano a seconda del periodo di raccolta e diminuiscono con la preparazione e la cottura. Le foglie e i germogli si usano nei risotti, nelle tagliatelle verdi, nei tortelli (nella sfoglia e/o nel ripieno), nei minestroni, nelle zuppe, nelle frittate, nelle torte salate e nelle frittelle.
La malva (malva sylvestris) è una pianta appartenente alla famiglia delle Malvaceae. Il nome deriva dal latino malva ed ha il significato di molle, perché dai tempi più antichi se ne riconoscono le proprietà emollienti.
I principi attivi si trovano nei fiori e nelle foglie che sono ricchi di mucillagini; contiene anche potassio, ossalato di calcio, vitamine e pectina. In cucina si usano i germogli, i fiori freschi o le foglioline. Utilizzata come verdura può regolare le funzioni intestinali grazie alle mucillagini che si gonfiano e premono delicatamente sulle pareti dell'intestino, stimolandone la contrazione e quindi agevolandone lo svuotamento. In erboristeria se ne commerciano sia le foglie che i fiori e viene utilizzata prevalentemente per le proprietà antiinfiammatorie ed emollienti, sia per uso esterno che per uso interno. La pianta trova largo uso nelle infiammazioni delle mucose e nelle forme catarrali delle prime vie bronchiali, viene utilizzata anche come lassativa, antiflogistica, emolliente e oftalmica. Per tali usi le foglie di malva vengono preparate in decotto, affinché le mucillagini possano sciogliersi nell'acqua.
È pianta visitata dalle api per il polline ed il nettare.
La borragine (Borago officinalis, L.) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Boraginaceae.
La pianta è probabilmente originaria dell'Oriente, ed è diffusa in gran parte dell'Europa e nell'America centrale, dove cresce tuttora in forma spontanea fino ai 1000 m s.l.m.. Viene coltivata in tutte le regioni temperate del globo. Il nome deriva dal latino borra (tessuto di lana ruvida), per la peluria che ricopre le foglie. Altri lo fanno derivare dall'arabo abu araq (= padre del sudore), attraverso il latino medievale borrago, forse per le proprietà sudorifere della pianta.
Pianta erbacea, spesso coltivata come annuale, può raggiungere l'altezza di 80 cm. Ha foglie ovali ellittiche, picciolate, che presentano una ruvida peluria, verdi-scure raccolte a rosetta basale lunghe 10-15 cm e poi di minori dimensioni sullo stelo. I fiori presentano cinque petali, disposti a stella, di colore blu-viola, al centro sono visibili le antere derivanti dall'unione dei 5 stami. I fiori sono sommitali, raccolti in gruppo, penduli in piena fioritura e di breve durata. Hanno lunghi pedicelli. I frutti sono degli acheni che contengono al loro interno diversi semi di piccole dimensioni.
Le foglie giovani sono variamente impiegate in cucina.
L'uso tradizionale è allo stato cotto delle foglie, che vengono utilizzate in molti piatti regionali per minestroni, ripieni per ravioli e pansoti in Liguria, torte e frittate. Tipico è il consumo in frittelle dei fiori e delle foglie (passate in pastella e poi fritte). La cottura elimina la peluria che copre le foglie. In moderata quantità le foglie giovani sono state usate crude in insalata e sono usati episodicamente in egual modo anche i fiori.
I fiori azzurri sono usati per colorare e guarnire i piatti e per colorare l'aceto; congelati in cubetti possono costituire decorazione per le bevande estive.

La bardana maggiore (Arctium lappa) è una pianta erbacea, eretta e biennale, appartenente alla famiglia delle Asteraceae.
È molto comune lungo i fossati ma anche in montagna a quote basse. Fiorisce in estate, si raccoglie e si usa la radice, lo stelo fiorale, i piccioli e le foglie. Una volta raccolta la radice è buona norma spargere tutt’intorno alla zona i semi (staccandoli dalla pianta). La radice è grossa nelle piante di 2-3 anni mentre nelle piante più piccine è bene raccogliere solo le foglie e i piccioli in quanto la radice che troveremmo sarebbe davvero troppo piccina. La radice va cotta a lungo magari a vapore e quindi condita con del semplice olio evo. Lo stelo fiorale (prima della fioritura) va pulito dalle foglie e dalla parte fibrosa esterna e quindi va cotto anch’esso. Infine i piccioli possono essere cotti e fritti con della semplice pastella di farina di ceci e birra ghiacciata. Il suo sapore ricorda molto il carciofo.
Per utilizzi alimentari si usano (le parti eduli) foglie, le radici e i semi. L'Oriente (fino in Giappone dove è divenuto un ortaggio popolare col nome di gobo) ha una ricca tradizione di ricette alimentari con questa pianta. Possono essere mangiati anche i gambi crudi in insalata (ma prima vanno privati della corteccia esterna e comunque devono essere prelevati da una pianta giovane). la bardana è tra le erbe alimurgiche.

La camomilla (Matricaria chamomilla L.) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Asteraceae.
Il nome deriva dal greco χαμαίμηλον (chamàimēlon), parola formata da χαμαί (chamài), "del terreno" + μήλον (mēlon), "mela" per l'odore che somiglia a quello della mela Renetta; questa derivazione è conservata nel nome spagnolo "manzanilla", da manzana, che significa "mela". Il nome del genere, Matricaria, proviene dal latino matrix, matricis, che significa "utero", con riferimento al potere calmante nei disturbi mestruali.
La pianta ha radici a fittone e un portamento cespitoso, con più fusti che partono dalla base, più o meno ramificati nella porzione superiore. L'altezza non supera in genere i 50 cm nelle forme spontanee, mentre nelle varietà coltivate può arrivare agli 80 cm. La pianta è spiccatamente aromatica.
Le foglie sono alterne e sessili, oblunghe. La lamina è bipennatosetta o tripennatosetta, con lacinie lineari molto strette.
I fiori sono riuniti in piccoli capolini con ricettacolo conico e cavo. I fiori esterni hanno la ligula bianca, quelli interni sono tubulosi con corolla gialla. I capolini di diametro di 1–2 cm, sono riuniti in cime corimbose. Tali fiori hanno un odore aromatico gradevole e contengono un'essenza caratteristica costituita dal principio attivo azulene, e da una mescolanza di altre sostanze (acido salicilico, acido oleico, acido stearico, alfa-bisabololo).
Il frutto è una cipsela di circa 1 mm di lunghezza, di colore chiaro, privo di pappo.
La specie è diffusa in Europa ed in Asia ed è naturalizzata anche in altri continenti. Cresce spontaneamente nei prati ed in aperta campagna, non oltre gli 800 m, diventa spesso invadente comportandosi come pianta infestante delle colture agrarie.
È una specie rustica che si adatta anche a terreni poveri, moderatamente salini, acidi. Il ciclo di vegetazione è primaverile-estivo, con fioritura in tarda primavera e nel corso dell'estate.
Da questi fiori si producono infusi che notoriamente vengono utilizzati per i loro effetti blandamente sedativi. Oltre che alla somministrazione orale, è possibile ricorrere all'uso di preparati di camomilla anche per nebulizzazioni, linimenti anti-stress, impacchi, colliri e collutori (questi ultimi anche assieme alla malva).
La camomilla è dotata di buone proprietà anti-infiammatorie, locali ed interne, e costituisce un rimedio calmante tipico dei fenomeni nevralgici (sciatica, trigemino lombaggine e torcicollo). Questo grazie a certi componenti dell'olio essenziale (alfa-bisabololo, guaiazulene, camazulene e farnesene), ad una componente flavonoide (soprattutto apigenina, quercetina, apiina e luteolina) ed ai lattoni matricina e des-acetil-matricarina. Il suo potere antiflogistico a parità di principio attivo (in peso) è stato comparato a quello del cortisone. Altri flavonoidi presenti (eupatuletina, quercimetrina) e le cumarine sono responsabili delle proprietà digestive e spasmolitiche. Queste combinazioni di principi attivi ne fanno un buon risolvente nella dismenorrea, nei crampi intestinali dei soggetti nervosi, negli spasmi muscolari e nei reumatismi. Le tisane ottenute con questa pianta inoltre provocano l'espulsione di gas intestinali in eccesso.
Sono infine note le proprietà nutrizionali della camomilla rispetto ai capelli e rispetto al cuoio capelluto; si utilizza anche per schiarire i capelli biondi che con il tempo tendono al castano: per questi scopi si deve preparare un infuso di fiori di camomilla, lasciarlo raffreddare, filtrarlo e poi utilizzarlo regolarmente dopo lo shampoo, per almeno una o due volte a settimana.




I cavoli fanno parte della famiglia della Brassicacee o Crucifere. Si tratta di una famiglia composta da tante piante che condividono caratteristiche simili: una delle più evidenti è il fatto di avere i fiori composti da quattro petali e non da cinque, come accade solitamente; la disposizione “a croce” da appunto il nome di Crucifere alla famiglia.
Una volta che il fiore è stato impollinato si sviluppa il frutto, che è detto siliqua. Negli ortaggi a fiore non lo si vede praticamente mai perché, appunto, si consumano quando sono ancora allo stato di fiore, ma in altre piante sono ben evidenti. Una delle silique più famose è quella della senape, che fa parte di questa famiglia ed ha la forma di un grande baccello (anche se non lo è) che contiene i semi.
Tra l’altro, fanno parte di questa famiglia alcune piante come la rucola, di cui si consumano le foglie.
I cavoli appartengono tutti alla stessa specie, anche se tra loro ci sono differenze particolarmente evidenti. Il genere è Brassica oleracea, e comprende praticamente tutte le specie di cavolo più conosciute. Tra le varietà di cavolo si possono distinguere:
• Il cavolfiore, var. Botrytis, il più importante, propriamente, tra gli ortaggi a fiore;
 Il cavolo broccolo, var. Italica, è l’altro tipo di cavolo di cui si consuma il fiore e non le foglie o il fusto, a differenza di altre specie trattate di seguito. Le piccole infiorescenze definite “broccoli” fanno in realtà parte di una grande palla simile a quelladel cavolfiore, ma vengono solitamente separate prima della vendita.
 Il cavolo cappuccio, var. Capitata, molto consumato in Italia. Si caratterizza per le sue foglie lisce, che rappresentano la parte edule della pianta a differenza del cavolfiore, e si consuma generalmente crudo. Se viene fatto fermentare è utilizzato per una delle preparazioni più famose a base di cavolo, i crauti.
 Il cavolo verza, var. Sabauda. Molto simile al cavolo cappuccio, la differenza principale è rappresentata dalle foglie, che sono increspate e riunite in una palla molto compatta; anche in questo caso si consumano proprio le foglie.
• Il cavolo di Bruxelles, var. Gemmifera. Poco coltivato in Italia per motivi climatici, in realtà non è un fiore né una foglia, ma un germoglio che cresce sotto le foglie principali del cavolo. Per questo, a differenza delle altre piante da cui si raccoglie un solo cavolo, da questa pianta se ne raccolgono 25-30.
 Il cavolo rapa, var. Gongylodes. È diverso da tutti gli altri cavoli in relazione alla parte che si mangia; in modo simile ad una cipolla, infatti, di questo cavolo si mangia il fusto, che ha una forte escrescenza alla base che viene mangiata cruda o cotta. Non vengono invece consumate le foglie o il fiore.
 Il cavolo nero, var. Acephala sabellica. Di color verde scuro e dalle foglie molto rugose. Si consumano così solo le foglie, utilizzate nella preparazione di piatti tipici toscani come la “ribollita”.
 Il cavolo di Pechino, var. Pekinensis, poco diffuso in Italia ma simile ai cavoli Cappuccio e Verza, solo di forma molto più allungata. La parte edule sono le foglie.

Il cavolfiore (Brassica oleracea L. var. botrytis) è una varietà di Brassica oleracea. Il cavolfiore è caratterizzato da un'infiorescenza, detta testa o palla, costituita da numerosi peduncoli fiorali, molto ingrossati e variamente costipati. L'infiorescenza, che può assumere una varia colorazione (bianca, paglierina, verde, violetta) costituisce la parte commestibile dell'ortaggio.
Il cavolfiore ha numerose varietà, che vengono distinte in base all'epoca di maturazione, per cui vi sono varietà precocissime (raccolte ad ottobre), precoci (raccolte a novembre-dicembre), invernali (raccolte a gennaio-febbraio) e tardive (raccolte da marzo a maggio).
Il cavolfiore preferisce terreni freschi, profondi, di medio impasto. La semina avviene in semenzaio tra maggio e luglio; per le produzioni primaverili avviene a gennaio. Il trapianto in campo delle piantine viene effettuato 40-50 giorni dopo la semina. Prima del trapianto, il terreno viene preparato con un'aratura, con cui si esegue anche la concimazione, preferibilmente organica. I lavori successivi al trapianto consistono in una o due sarchiature. L'irrigazione è praticata dopo il trapianto (a luglio-agosto) e durante la crescita dell'infiorescenza se si verifica siccità. La raccolta viene effettuata tagliando il torsolo alla base.
Le malattie da funghi che colpiscono più frequentemente il cavolfiore sono l'oidio (causato da Erysiphe cruciferarum), la peronospora (causata da Peronospora brassicae), l'alternariosi (causata da Alternaria brassicae), l'ernia delle crucifere (causata da Plasmodiophora brassicae), il marciume secco delle crucifere (causato da Phoma lingam). Tra gli insetti, i parassiti più importanti sono: l'afide ceroso del cavolo (Brevicoryne brassicae), la mosca del cavolo (Delia radicum) e due lepidotteri, la cavolaia (Pieris brassicae) e la nottua del cavolo (Mamestra brassicae).
In cucina il cavolfiore può essere consumato bollito, fritto, arrostito o cotto al vapore. Può essere usato come contorno o anche come piatto principale, nella preparazione di zuppe di verdura.



Il cavolfiore e i
 broccoli sono due ortaggi molto simili tra loro. Sono tra le crucifere più coltivate in Italia, e la loro coltivazione è iniziata in Toscana, anche se conosciuti fin dai tempi dell’antica Roma.
La parte commestibile è data dall’inflorescenza, che può essere di vari colori secondo le varietà, ed è sempre molto compatta. Nel cavolfiore classico è di colore bianco, mentre in altre varietà locali, come quella romanesca, è di colore verde; in altre ancora è di colore viola acceso. Il broccolo, molto simile al cavolfiore, ha un’inflorescenza di colore verde scuro. Le infiorescenze sono circondate da una decina di foglie, che si sviluppano direttamente dal fusto della pianta.
Ogni piccola escrescenza del cavolo è il germoglio di un fiore, anche se quelli che si trovano più in basso sono sterili, mentre solo quelli più in alto sono fertili; se la “palla” del cavolo non viene raccolta quando i fiori non sono ancora sbocciati, quindi quando normalmente si consuma, questa si allungherà, i germogli che si trovano più in alto sbocceranno e si avranno dei fiori gialli, che danno poi origine, quando saranno stati impollinati (l’impollinazione avviene ad opera degli insetti) al frutto, la siliqua, con numerosi semi di diametro 1-2,5 mm. Questo processo è praticamente identico sia nel cavolo che nel broccolo.
La raccolta dipende essenzialmente dalle varietà, ma essendo una coltura invernale i cavoli, delle diverse tipologie, si trovano freschi da ottobre fino a maggio, che è il periodo che arriva alla fioritura e poi alla successiva semina. Anche in uno stesso campo, i cavoli non maturano tutti insieme ma lo fanno gradualmente, e questo fa sì che siano richieste da 3 a 6 raccolte diverse per raccogliere tutte le piante.
Alcune varietà di cavolo in passato potevano avere delle infiorescenze del peso di anche cinque chili, mentre quelle che vengono coltivate oggi, soprattutto per via della rapidità di crescita, non arrivano oltre il chilo e mezzo di peso. Le foglie che circondano l’infiorescenza si possono essere lasciare, al momento della raccolta, oppure tolte. A seconda di quante ne vengono rimosse il cavolo può essere:
 Affogliato, in cui rimangono praticamente tutte le foglie a copertura dell’infiorescenza;
 Coronato, in cui vengono eliminate solo le foglie più esterne lasciando scoperta la parte superiore della “palla”;
• Defogliato, quando sono rimosse quasi tutte le foglie esterne lasciando in gran parte scoperta la palla; è la forma più comune con cui si trova in commercio;
• Nudo, quando tutte le foglie sono eliminate e il cavolo viene avvolto nella plastica.
I broccoli, che sono singole parti di una grande inflorescenza, sono sempre presentati come nudi.
Da notare che l’infiorescenza del cavolfiore è molto deperibile, e l’appassimento è particolarmente rapido; in un frigorifero casalingo non si conserva per più di cinque giorni e, se non conservato, deve essere consumato poco dopo l’acquisto.
Impiego in cucina
Le diverse varietà di cavoli hanno numerosi impieghi in cucina. Sono molto usati nella cucina italiana, e anche in quella europea, sia crudi che cotti. Per ciascuna varietà esistono ricette e utilizzi particolari.
Il cavolo è pianta alimentare, ma ha modesto contenuto nutrizionale, con modeste quantità di glucidi ed ancor meno di proteine. Per i composti minerali, e microelementi presenti in ampia varietà, è però molto utile per ricostituire le riserve minerali dell'organismo. Per l'elevato contenuto in fibre e per la presenza di parte cellulare vegetale ha elevato potere saziante, (pur non essendo cibo equilibrato), se unito, come è tradizione, con legumi, o carboidrati (pane o pasta).
Per i suoi effetti di ricostruzione vitaminica, rimineralizzante, e soprattutto promotrice il movimento intestinale svolge azione preventiva di molti tumori (soprattutto intestinali), e costituendo massa diluente e tampone chimico, combatte le ulcere gastro duodenali. Per la netta azione osmotica delle foglie fresche, queste sono usate per disinfiammare le contusioni.
I più importanti composti minerali contenuti sono zolfo, calcio, fosforo, rame, iodio, selenio, magnesio. Tutti i cavoli (soprattutto se freschi) sono ricchi di vitamine, soprattutto vitamina B1, e vitamina C.
C'è un antico proverbio che dice “i cavoli sono sempre in mezzo”.
Quasi tutte le crucifere, (famiglia a cui appartiene anche il cavolo), hanno mostrato una straordinaria capacità di raccogliere, e fissare nei propri tessuti, i minerali contenuti nel suolo, spesso essenziali per l'alimentazione umana, ma anche metalli pesanti, che spesso sono tossici, quali cromo, piombo, arsenico, cadmio.
Per tale uso sono state usate coltivazioni di altre piante di tale famiglia su suoli inquinati da tali metalli, per depurarli; i metalli pesanti sono poi estratti e concentrati.
Coltivando piante di cavolo a scopo alimentare è bene assicurarsi che i suoli non siano inquinati da tali metalli.
Perché i cavoli puzzano
Quando vengono cotti, tutti i cavoli emanano un cattivo odore perché sono ricchi di composti di zolfo, che vengono liberati dalla cottura.
I solfuri, in gran parte isotiocianato di metile, svaniscono al 90% dopo 8 minuti di cottura, e l'estrazione è totale dopo 16 minuti.
Tuttavia tutti i cavoli contengono anche sostanze nutrizionalmente molto utili, che sembra abbiano addirittura una funzione di prevenzione del cancro e che si disperdono con la cottura. Per tale motivo, i ricercatori suggeriscono di cuocerli nella pentola a pressione, in modo da ridurre sia il tempo di cottura e la perdita di tali sostanze, sia la diffusione di cattivi odori.
E molto utile, nei casi in cui è possibile, ad esempio in insalata e nei crauti, usare come cibo anche i cavoli non cotti, dato che contengono in condizione non modificata sostanze utili (anche composti dello zolfo), e vitamine, infatti alcune vitamine (come la vitamina C), si degradano con la cottura.
Il cavolo e le colonizzazioni
Con la scoperta dell'America iniziò l'epoca dei viaggi navali su lunghe distanze, tale fatto pose una drammatica questione: come contrastare lo scorbuto. Con la navigazione costiera, la assenza da terra ricorreva solo per pochi giorni, ed il cibo fresco durava abbastanza bene per tale periodo, non si erano mai verificati casi di malattia particolari.
Invece navigando per lunghi periodi senza toccare terra, e senza cibi freschi, si mostrarono subito, nei marinai, gravissimi problemi di tipo organico, nervoso, gastrico, rivelatesi poi come "carenza di vitamina C", (le scorte di vitamina dell'organismo, se non ri-alimentate si esauriscono piuttosto rapidamente). Si notò che tali sintomi, che portavano alla morte certa, erano scongiurati se nella dieta erano presenti agrumi, ma soprattutto cavoli, (reperibili con facilità anche nei paesi nordici).
Ben presto tutte le navi oceaniche ebbero a bordo una grossa scorta di cavoli freschi, che permetteva, grazie a quella verdura fresca, ricca di vitamina C (la vitamina C si degrada con la cottura), di poter fare viaggi di molte settimane senza toccare terra. Nella soste a terra, in qualsiasi posto del mondo, erano poi ricercati i cavoli, (o piante analoghe della stessa famiglia), o agrumi, secondo la latitudine) per ricostruire le scorte. Grazie ai cavoli ed agli agrumi la colonizzazione giunse rapidamente in ogni angolo del mondo.
Il cavolo cappuccio (Brassica oleracea L. var. capitata) è una varietà di Brassica oleracea. Ha la caratteristica di avere le foglie esterne lisce, concave e serrate, che racchiudono le foglie più giovani in modo da formare una palla compatta detta "testa" o "cappuccio".
In base all'epoca di maturazione, si possono avere varietà primaverili, estivo-autunnali o invernali; le primaverili si possono definire precoci, le invernali tardive.
Tra le varietà primaverili si possono ricordare il Cuore di bue e l' Expert precocissimo, tra le estivo-autunnali il Mercato di Copenhagen e il Green boy, tra le invernali il Bianco olandese tardivo e il Brunswich.
La semina viene eseguita in semenzaio e il trapianto in pieno campo viene effettuato dopo un paio di mesi. Per le varietà destinate alla produzione di crauti, si può eseguire la semina diretta nel terreno. Le varietà primaverili vengono seminate a settembre, le varietà estive e autunnali sono seminate tra marzo e maggio e le varietà invernali vengono seminate a maggio-giugno.
Prima della semina, il terreno deve essere preparato con una lavorazione profonda. Dopo il trapianto, vengono praticati durante la coltivazione lavori di sarchiatura. L'irrigazione è indispensabile per le varietà estive e autunnali.
La raccolta avviene quando il cappuccio è compatto e ben chiuso. In genere, le varietà primaverili sono raccolte a maggio, le estivo-autunnali tra giugno e ottobre e le invernali durante tutto l'inverno.
Le malattie da funghi che colpiscono più frequentemente il cavolo cappuccio sono l'oidio (causato da Erysiphe cruciferarum), la peronospora (causata da Peronospora brassicae), l'alternariosi (causata da Alternaria brassicae), l'ernia delle crucifere (causata da Plasmodiophora brassicae), il marciume secco delle crucifere (causato da Phoma lingam). Tra gli insetti, i parassiti più importanti sono: l'afide ceroso del cavolo Brevicoryne brassicae, la mosca del cavolo (Delia radicum) e due lepidotteri, la cavolaia (Pieris brassicae) e la nottua del cavolo (Mamestra brassicae).
In cucina il cavolo cappuccio si può consumare crudo in insalata oppure cotto al vapore, bollito (per la preparazione di zuppe) o al forno. Si può anche fare fermentare per la preparazione dei crauti.

Il carciofo è una pianta appartenente alla famiglia Asteracee, particolarmente coltivato in Italia per uso alimentare. Appartiene alla specie Cynara cardunculus e se ne possono trovare più varietà diverse che sono:
• La varietà scolymus, che è il carciofo coltivato comunemente consumato.
• La varietà altilis, che è il cardo domestico.
• La varietà silvestris, conosciuto anche come cardo selvatico e usato per la preparazione del caglio (il caglio vegetale, usato per evitare quello animale).
Di queste tre varietà, solo la prima rappresenta un ortaggio a fiore nel senso proprio del termine; infatti, del cardo non viene mangiato il fiore bensì la base delle foglie, e così anche per il cardo selvatico nonostante non venga mangiato comunemente. Si pensa, però, che sia il cardo che il carciofo derivino dal cardo selvatico, e siano stati selezionati dall’uomo per le due caratteristiche desiderate (il picciolo e il fiore, appunto).
Già conosciuto ai tempi degli antichi romani, è una coltura tipica dell’Italia e, anche se si trova in Francia e in Spagna, in altri paesi è un ortaggio pochissimo conosciuto. Il periodo di raccolta sono i mesi che vanno dall’autunno alla primavera, con l’autunno nelle zone meridionali del nostro paese per poi proseguire verso i mesi di marzo-maggio nelle zone più settentrionali.

Il carciofo (Cynara scolymus L.) è una pianta della famiglia Asteraceae coltivata in Italia e in altri Paesi per uso alimentare e, secondariamente, medicinale.

Il carciofo è una pianta erbacea perenne alta fino a 1,5 metri, provvista di un rizoma sotterraneo dalle cui gemme si sviluppano più fusti, che all'epoca della fioritura si sviluppano in altezza con una ramificazione dicotomica. Il fusto, come in tutte le piante "a rosetta", è molto raccorciato (2-4-cm), mentre lo stelo fiorale è robusto, cilindrico e carnoso, striato longitudinalmente.

Le foglie presentano uno spiccato polimorfismo anche nell'ambito della stessa pianta (eterofillia). Sono grandi (fino a circa 1,5 m in alcune cultivar da seme), oblungo-lanceolate, con lamina intera nelle piante giovani e in quelle prossime ai capolini, pennatosetta e più o meno incisa in quelle basali. La forma della lamina fogliare è influenzata anche dalla posizione della gemma da cui si sviluppa la pianta. La superficie della lamina è verde lucida o verde-grigiastra sulla pagina superiore, mentre nella pagina inferiore è verde-cinerea per la presenza di una fitta tomentosità. Le estremità delle lacinie fogliari possono esse spinose in alcune varietà (Spinoso di Palermo, Spinoso Sardo).

I fiori sono riuniti in un capolino (detto anche calatide) di forma sferoidale, conica o cilindrica e di 5–15 cm di diametro, con un ricettacolo carnoso e concavo nella parte superiore. Sul ricettacolo sono inseriti i fiori (flosculi), tutti con corolla tubulosa e azzurro-violacea e calice trasformato in un pappo setoloso, utile alla dispersione degli acheni tramite il vento (disseminazione anemocora). Nel capolino immaturo l'infiorescenza vera e propria è protetta da una serie di brattee involucrali strettamente embricate, con apice inerme, mucronato o spinoso, a seconda della varietà. Fiori e setole sono ridotti ad una corta peluria che si sviluppa con il procedere della fioritura. In piena fioritura le brattee divergono e lasciano emergere i fiori. La parte edule del carciofo è rappresentata dalla base delle brattee e dal ricettacolo, quest'ultimo comunemente chiamato cuore. In Sardegna è molto richiesta anche la parte terminale dello scapo fiorale dalla terzultima o penultima foglia.

Il frutto è un achenio (spesso chiamato erroneamente "seme") allungato e di sezione quadrangolare, provvisto di pappo. Il colore varia dal marrone più o meno scuro al grigio con marmorizzazioni brune.

ll genoma di carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus L.) è stato recentemente decodificato. L'assemblaggio copre 725 delle 1.084 Mb che costituiscono il genoma della specie. La sequenza codifica per circa 27.000 geni ed ha un contenuto di elementi ripetuti pari al 58,4%, la cui espansione si stima sia avvenuta circa 2,5 milioni di anni fa. La comprensione della struttura del genoma del carciofo è fondamentale per identificare le basi genetiche di caratteri di interesse agronomico e la futura applicazione di programmi di selezione assistita.

In questa specie sono stati identificati, con l'ausilio di marcatori molecolari (AFLP, microsatelliti e transposon display), tre differenti taxa: C. cardunculus L. var. sylvestris Lam. (cardo o carciofo selvatico) abbondantemente diffusa allo stato spontaneo nel bacino del mediterraneo centro-occidentale; C. cardunculus L. var. altilis DC. (cardo coltivato o cardo domestico); C. cardunculus L. var. scolymus (L.) Fiori (carciofo).

Varietà

Le varietà di carciofo sono classificate secondo diversi criteri. I principali sono i seguenti:

In base alla presenza e allo sviluppo delle spine si distingue fra varietà spinose e inermi. Le prime hanno capolini con brattee terminati con una spina più o meno robusta, le inermi hanno invece brattee mutiche o mucronate.

In base al colore del capolino si distingue fra varietà violette e verdi.

In base al comportamento nel ciclo fenologico si distingue fra varietà autunnali o rifiorenti e varietà primaverili o unifere. Le prime si prestano alla forzatura in quanto possono produrre capolini nel periodo autunnale e una coda di produzione nel periodo primaverile. Le seconde sono adatte alla coltura non forzata in quanto producono capolini solo dopo la fine dell'inverno.

Fra le varietà più famose si annoverano il Brindisino, il "Paestum" (carciofo IGP proveniente dall'omonima città della magna Grecia di Capaccio-Paestum) Spinoso sardo (coltivato anche in Liguria con il nome di Carciofo spinoso d'Albenga), il Catanese, il Verde di Palermo, la Mammola verde, il Romanesco, il Mazzaferrata di Cupello, il Violetto di Toscana, il Precoce di Chioggia, il Violetto di Provenza, il Violetto di Niscemi. Le varietà di maggiore diffusione in passato erano il Catanese, lo Spinoso sardo e il Violetto di Provenza, fra i tipi autunnali forzati, e il Romanesco e il Violetto di Toscana fra quelli primaverili non forzati. Lo Spinoso sardo, una delle varietà più apprezzate nel mercato locale e in alcuni mercati dell'Italia settentrionale ha subito un drastico ridimensionamento dagli anni novanta a causa della ridotta pezzatura media dei capolini e della minore capacità produttiva rispetto ad altre cultivar (Tema, Terom, Macau, ecc.).

Cenni storici

Documentazioni storiche, linguistiche e molecolari sembrano indicare che la domesticazione del carciofo (Cynara scolymus) dal suo progenitore selvatico (Cynara cardunculus) possa essere avvenuta in Sicilia, a partire dal I secolo circa. Proprio in orti familiari della Sicilia centro-occidentale (nei dintorni di Mazzarino) ancora oggi si conserva un'antica cultivar che, sotto il profilo morfo-biologico e molecolare, sembrerebbe una forma di transizione tra il cardo selvatico ed alcune delle varietà di carciofo di più ampia diffusione.

La pianta chiamata Cynara era già conosciuta dai greci e dai romani, ma sicuramente si trattava di selvatico. A quanto sembra le si attribuivano poteri afrodisiaci, e prende il nome da una ragazza sedotta da Giove e quindi trasformata da questi in carciofo.

Nel secolo XV il carciofo era già consumato in Italia. Venuto dalla Sicilia, appare in Toscana verso il 1466.

La tradizione dice che fu introdotto in Francia da Caterina de' Medici, la quale gustava volentieri i cuori di carciofo. Sarebbe stata costei che lo portò dall'Italia alla Francia quando si sposò con il re Enrico II di Francia. Luigi XIV era pure un gran consumatore di carciofi.

Gli olandesi introdussero i carciofi in Inghilterra: abbiamo notizie che nel 1530 venivano coltivati nel Newhall nell'orto di Enrico VIII.

I colonizzatori spagnoli e francesi dell'America introdussero il carciofo in questo continente nel secolo XVIII, rispettivamente in California e in Louisiana. Oggi in California i cardi sono diventati un'autentica piaga, esempio tipico di specie aliena invasiva in un habitat in cui non si trovava precedentemente.

Produzione

La produzione mondiale del carciofo, secondo la FAO, nel 2011 è stata superiore a 1,5 milioni di tonnellate, di cui oltre il 60% nell'area mediterranea.

Di fatto i carciofi si coltivano soprattutto in Italia, Egitto e Spagna. Negli Stati Uniti d'America la maggior produzione di carciofi si ha nello Stato della California, e all'interno della California la contea di Monterey concentra più dell'80% del totale.

Da qualche anno, a causa di un'epidemia degli asparagi, nelle terre nuove del progetto Chavimochic del Perù si cominciò a coltivare il carciofo con il fine di esportarlo ai paesi europei, facendo del Perù il quarto produttore mondiale.

Una resa tipica della coltivazione è di 100 quintali per ettaro.

L'Italia detiene il primato mondiale nella produzione di questo ortaggio (pari a circa il 30%). Le zone di maggiore produzione sono la Sicilia (Piana di Gela e Piana di Catania), Sardegna e Puglia.

Il carciofo è una tipica pianta degli ambienti mediterranei. Il suo ciclo naturale è autunno-primaverile: alle prime piogge autunnali le gemme del rizoma si risvegliano ed emettono nuovi getti. I primi capolini sono emessi verso la fine dell'inverno, a partire dal mese di febbraio. In tarda primavera la pianta va in riposo con il disseccamento di tutta la parte aerea.

Nelle zone più calde delle regioni mediterranee il carciofo viene coltivato con una tecnica di forzatura che ha lo scopo di anticipare al periodo autunnale la produzione di capolini. La tecnica consiste nel forzare il risveglio nel corso dell'estate: dai rizomi di una coltura precedente si prelevano le gemme, dette ovuli, e dopo una fase di pregermogliamento sono messi a dimora dalla seconda metà di giugno in poi, facendo seguire un'irrigazione copiosa. In questo modo l'attività vegetativa ha inizio in piena estate, con differenziazione a fiore nel mese di settembre e produzione dei capolini di primo taglio nei mesi di ottobre e novembre.
La forzatura del carciofo produce risultati solo nelle cultivar rifiorenti, e in ogni modo è causa di situazioni di stress biologico che deprimono la longevità della carciofaia. Per questo motivo le carciofaie forzate sono condotte in coltura annuale, biennale o triennale. Dopo il secondo o terzo anno la percentuale di diradamento è tale da rendere economicamente più vantaggioso il reimpianto della carciofaia.

Il carciofo si può propagare sia per via sessuata, con la riproduzione da seme, sia per via vegetativa sfruttando la sua naturale predisposizione ad emettere nuove piante dalle gemme del rizoma. La riproduzione da seme, pur essendo tecnicamente attuabile, non ha alcuna utilità pratica per le cultivar italiane: a causa del forte grado di eterozigosi delle nostre varietà, le piante nate da seme avrebbero caratteri completamente diversi ed eterogenei rispetto allo standard varietale. La propagazione vegetativa tradizionale segue metodi diversi secondo il tipo di ciclo colturale, ma si riconducono a due tipi: la propagazione per ovoli e quella per carducci.

Gli ovoli sono porzioni di rizoma ingrossate provviste di una o più gemme. La propagazione per ovoli si pratica con il prelievo, all'inizio dell'estate, dei rizomi dalle vecchie carciofaie. Da questi vengono separati gli ovoli, messi a pregermogliare per uno o due giorni e poi messi a dimora in un periodo che va dalla seconda metà di giugno fino agli inizi di agosto. L'epoca di "semina" è correlata all'epoca del raccolto del primo taglio.

I carducci sono i polloni basali emessi dal rizoma delle piante di oltre un anno d'età nelle prime fasi vegetative. Fra le operazioni colturali che si praticano durante la fase vegetativa è prevista la scarducciatura, ossia il diradamento della coltura con l'eliminazione dei polloni in quanto sottraggono risorse nutritive alla pianta a scapito delle rese qualitative della produzione. I polloni asportati possono essere messi a dimora in autunno per impiantare una carciofaia poliennale che darà la prima produzione al secondo anno d'impianto.

Le colture ottenute da ovoli iniziano il loro ciclo in piena estate e sono pertanto in grado di produrre capolini già nell'autunno successivo o nella primavera successiva. Questa tecnica di propagazione è pertanto utilizzata per le varietà autunnali o rifiorenti in coltura forzata. Le colture ottenute da carducci iniziano il loro ciclo in autunno inoltrato e poiché la pianta non riesce ad acquisire una sufficiente vigoria l'impianto è finalizzato a dare la prima produzione al secondo anno. Questa tecnica si adotta pertanto per le varietà primaverili in coltura non forzata.

La propagazione vegetativa ha il pregio di trasmettere il genotipo delle piante madri alle piante propagate, permettendo il mantenimento dello standard varietale. Ha però lo svantaggio di trasmettere le virosi accumulate, che sono una delle principali cause che riducono la longevità di una carciofaia. Per migliorare lo stato fitosanitario delle colture si può ricorrere a piante ottenute da micropropagazione. Questa tecnica consiste in una moltiplicazione in vitro con l'espianto dei meristemi apicali dagli apici vegetativi delle piante. I meristemi prelevati, detti espianti, essendo composti da cellule embrionali possono rigenerare un'intera pianta se opportunamente trattati (coltivazione in vitro su substrati nutritivi in cella climatica).

Il principio su cui si basa la micropropagazione risiede nel fatto che le cellule vegetali embrionali, essendo in fase di moltiplicazione, non sono infettate dai virus, pertanto le piante micropropagate sono risanate, ossia esenti da virus. In realtà la sicurezza del risanamento dipende dall'età delle cellule prelevate: le cellule effettivamente sane sono quelle del cono vegetativo, che rappresentano una porzione minima del meristema apicale, mentre all'aumentare della distanza dall'apice meristematico aumenta la probabilità che la cellula sia infettata dai virus. Con espianti di dimensioni ridotte aumenta la percentuale di risanamento delle piante micropropagate, per contro si riduce la percentuale di attecchimento. Un congruo compromesso si raggiunge prelevando espianti di dimensioni dell'ordine di mezzo millimetro.

Le colture ottenute da piante micropropagate presentano, almeno nei primi anni, un migliore stato fitosanitario che si manifesta con una maggiore vigoria e, di riflesso, una più elevata produttività. La micropropagazione presenta per contro degli svantaggi:
Le colture micropropagate sono più suscettibili alle avversità ambientali, pertanto il mantenimento dello stato fitosanitario richiede cure colturali più attente.

La micropropagazione è una tecnica costosa perché la prima fase richiede l'impiego di attrezzature di laboratorio e tecnici altamente specializzati. Il materiale micropropagato pertanto è molto più costoso di quello tradizionalmente usato, che in sostanza è materiale di scarto il cui costo è essenzialmente legato alla manodopera richiesta per il prelievo.

Le piante micropropagate danno produzioni qualitativamente differenti da quelle micropropagate quando allo standard varietale contribuisce la base genetica dei virus latenti integrati nel DNA dell'ospite. Questo fenomeno si è riscontrato ad esempio nello Spinoso sardo, che con la micropropagazione perde in modo significativo parte delle proprietà organolettiche.

Dopo l'acqua, il componente principale dei carciofi sono i carboidrati, tra i quali si distinguono l'inulina e le fibre.

I minerali principali sono il sodio, il potassio, il fosforo e il calcio.

Tra le vitamine prevale la presenza di B1, B3, e piccole quantità di vitamina C.

Più importante per spiegare le attività farmacologiche degli estratti di carciofo è la presenza di un complesso di metaboliti secondari caratteristici:

Derivati dell'acido caffeico: tra gli altri acido clorogenico, acido neoclorogenico, acido criptoclorogenico, cinarina.

Flavonoidi: in particolare rutina.

Lattoni sesquiterpenici: tra gli altri cinaropicrina, deidrocinaropicrina, grosseimina, cinaratriolo.

Usi terapeutici

La cinarina sembra avere effetti colagoghi. Gli estratti di carciofo hanno mostrato in studi clinici di migliorare la coleresi e la sintomatologia di pazienti sofferenti da dispepsia e disturbi funzionali del fegato. La cinarina ha mostrato di essere efficace come rimedio ipolipidemizzante in vari studi clinici.

La cinarina ha anche effetti coleretici, sembra cioè stimolare la secrezione di bile da parte delle cellule epatiche e aumentare l'escrezione di colesterolo e di materia solida nella bile.

I derivati dell'acido caffeico in genere mostrano effetti antiossidanti ed epatoprotettivi.

La medicina naturale e la fitoterapia usano il carciofo nel trattamento dei disturbi funzionali della cistifellea e del fegato, delle dislipidemie, della dispepsia non infiammatoria e della sindrome dell'intestino irritabile. Lo utilizza inoltre, per il suo sapore amaro, in caso di nausea e vomito, intossicazione, stitichezza e flatulenza. La sua attività depurativa (derivata dall'azione su fegato e sistema biliare e sul processo digestivo) fa sì che venga usata per dermatiti legate ad intossicazioni, artriti e reumatismi.

L'attività dei principi amari sull'equilibrio insulina/glucagone ne indica la possibile utilità come supporto in caso di iperglicemia reattiva o diabete incipiente, e l'effetto dei principi amari sulla secrezione di fattore intrinseco ne indica un possibile utilizzo in caso di anemia sideropenica.

Usi culinari

Il basso contenuto calorico del carciofo fa sì che sia specialmente indicato nelle diete dimagranti.

I fiori, come quelli del cardo, contengono il lab-fermento (chimosina), che si usa come caglio del latte.

La cucina della Liguria valorizza molto questo ingrediente, che, per il fatto di maturare in primavera, diventa in tale periodo il componente base della locale torta pasqualina.

Specialità della cucina romana sono invece il Carciofo alla Romana (stufato in olio d'oliva, brodo vegetale, prezzemolo, aglio e mentuccia), il Carciofo alla Giudia, (intero e fritto in olio di oliva) il Fritto di Carciofi in pastella e l'insalata di carciofi (crudi a lamelle).

Il cardo
Il cardo (Cinara cardunculus) è un ortaggio invernale di forma simile al sedano, ma appartenente alla stessa famiglia dei carciofi.
La parte commestibile del cardo è il gambo, che ha un gusto simile a quello del carciofo, con sfumature che ricordano vagamente il sedano.
Il cardo è un ortaggio difficile da coltivare. Infatti i suoi gambi sono piuttosto duri e di sapore amarognolo, per limitare l'amaro devono essere coltivati il più possibile in assenza di luce, il che li rende anche più candidi; e devono subire l'effetto delle gelate tardo-autunnali, che li rendono più teneri.
I gambi devono essere bianchi e compatti e non presentare tracce di colore verde, altrimenti saranno duri e amari.
I cardi che tendono ad aprirsi non sono più molto freschi, meglio scegliere piante dal colore chiaro, chiuse e pesanti, prive di macchie, con costole croccanti e larghe.
Qualità nutrizionali del cardo
Il cardo ha pochissime calorie e un indice di sazietà piuttosto alto, quindi può essere arricchito di sapore anche utilizzando una certa quantità di grassi pur mantenendo una elevata sazietà.
Preparazione del cardo
Solo i cardi di ottima qualità, come quelli gobbi, si possono mangiare crudi, gli altri vanno sottoposti a cottura anche piuttosto prolungata (30-60 minuti).
Per evitare che si scuriscano, vanno cotti immediatamente oppure conservati in acqua acidulata. Se si vuole mantenere il colore anche dopo la bollitura, è bene spremere il succo di mezzo limone anche nell'acqua di cottura.
Il cardo si sposa molto bene con le acciughe sotto sale, infatti è un accompagnamento obbligatorio per la bagna cauda, la salsa bollente piemontese a base di acciughe, burro e aglio.
Caratteristiche nutrizionali
Vengono presi qui in considerazione vari tipi di ortaggi di cui si consuma il fiore, e poi il cardo e uno dei tanti cavoli di cui si consumano le foglie, il cavolo cappuccio, per valutare le differenze nutrizionali. 

Cavolfiore
(crudo)
Broccolo
(crudo)
Cima di
Rapa
(cruda)
Cavolo Cappuccio (crudo)
Carciofo
(crudo)
Cardo
(crudo)
Acqua
90,5
89
91,4
92,2
91,3
94,3
Proteine
3,2
3,4
2,9
2,1
2,7
0,6
Lipidi
0,2
0,3
0,3
0,1
0,2
0,1
Carboidrati
2,7
2
2
2,5
2,5
1,7
Fibra
2,4
3
2,9
2,6
5,5
1,5
Energia (Kcal)
25
24
22
19
22
10
Sodio (mg)
8
N/A
N/A
23
133
23
Potassio (mg)
350
N/A
N/A
260
376
293
Carboidrati
2,7
2
2
2,5
2,5
1,7
Ferro (mg)
0,8
1,2
1,5
1,1
1
0,2
Calcio (mg)
44
72
97
60
86
96
Vitamina A (ug)
50
123
225
19
18
Tracce
Vitamina C (mg)
59
77
110
47
12
4
Ferro (mg)
0,8
1,2
1,5
1,1
1
0,2
Acqua
L’acqua è sempre molto presente all’interno di questi ortaggi, se si considera che i fiori e le foglie sono fondamentali per la sopravvivenza della pianta e sono pertanto due organi molto vascolarizzati (la linfa delle piante è costituita soprattutto dall’acqua). Si può notare che all’incirca il 90% degli ortaggi sono sempre costituiti da acqua, anche se la percentuale aumenta leggermente negli ortaggi di cui si consumano parti diverse dal fiore (cardo e cavolo cappuccio) che sono quindi leggermente meno nutrienti.
Proteine
Se si ha bisogno di proteine, questi ortaggi non sono proprio la scelta più indicata. Non solo, infatti, le proteine sono qui presenti in bassa misura, ma sono anche poco nutrienti in quanto hanno tutte funzione di struttura per la pianta. Anche in questo caso, si può notare come i fiori veri e propri siano leggermente più ricchi in proteine rispetto agli ortaggi di cui si consumano le altre parti (in particolare del cardo, che ne è particolarmente povero) ma bisogna considerare che l’apporto proteico di questi vegetali è sempre e comunque minimo.
Lipidi
Anche dal punto di vista dei grassi, gli ortaggi a fiore sono molto poveri, ciò che ne fa degli ottimi alimenti per chi sta seguendo una dieta dimagrante. Tanto più che la scarsità di calorie fa sì che l’energia impiegata per masticarli sia persino superiore a quella ottenuta con il consumo.
Carboidrati
Anche per i carboidrati non ci sono particolari differenze tra un tipo di ortaggio e l’altro, gli zuccheri contenuti in questi alimenti sono sempre e comunque pochi. Viene praticamente assunto solamente lo zucchero che la pianta utilizza per sopravvivere (i fiori non hanno funzione di riserva a differenza dei semi, ad esempio) e questo fa sì che, anche da questo punto di vista, una dieta basata su questi ortaggi ha sicuramente delle caratteristiche benefiche. Tra tutti, il cardo è l’ortaggio meno ricco di zuccheri.
Fibre
Le fibre sono presenti negli ortaggi a frutto in una percentuale attorno al 3%, il che significa che hanno un ruolo importante nel transito intestinale degli altri alimenti, perché lo favoriscono. L’ortaggio più ricco di fibre è il carciofo per via delle brattee, ricche di fibra perché dure e dalla funzione protettiva verso il fiore che deve nascere.
Il cardo, invece, è l’alimento che contiene meno fibra perché è un organo di collegamento, che veicola l’acqua e le sostanze nutritive dalle radici alle parti superiori della pianta.
Per gli altri fiori, infine, il contenuto è medio (ma sempre tendente al basso) perché nel fiore le fibre hanno semplicemente la funzione di mantenere la struttura del fiore.
Da notare che alimenti ricchi di fibre migliorano la velocità del transito intestinale e impediscono alle altre sostanze di rimanere troppo nell’intestino, impedendo che vengano assorbite e aumentando l’effetto dimagrante di queste verdure che, oltre ad essere poco caloriche di per sé, impediscono all’organismo di assorbire bene le calorie contenute negli altri alimenti.
Vitamine e minerali
Gli ortaggi a fiore sono molto ricchi di vitamine e minerali, componenti che hanno un’azione importante nel fiore, che ospita il futuro seme da cui nascerà la nuova pianta.
In generale, tutti i fiori sono ricchi di potassio poiché esso serve alla pianta per attivare i processi interni alle cellule; il sodio, invece, si trova in quantità inferiore tranne che nel carciofo che ne è particolarmente ricco, anche se non troppo da poter dare problemi a chi non può assumerne (infatti i carciofi in cucina si salano).
I fiori sono poi ricchi di ferro, ciò che spiega come gli ortaggi a fiore siano la prima scelta dei medici (a parte la carne) per l’assunzione di questo importante minerale. Tanto i cavoli quanto i carciofi e i cardi sono consigliati per l’assunzione di ferro, e consumarli con il limone (che nel carciofo, tra l’altro, evita l’ossidazione) permette di assorbire meglio il ferro in essi contenuto.
Il calcio, infine, è stabile ed ha un valore simile in tutti gli ortaggi a fiore perché, come la fibra, ha funzione strutturale, anche se bisogna notare che altri ortaggi, come quelli a foglia, ne contengono molto di più.
Infine, per quanto riguarda le vitamine, gli ortaggi a fiore ne hanno un buon contenuto, in particolare di vitamina A e vitamina C che hanno effetti benefici sull’organismo; ad esserne più ricchi di tutti sono i fiori delle cime di rapa.
Proprietà degli ortaggi a fiore
Oltre alla composizione chimica “di base”, riportata nella tabella nutrizionale, in alcuni ortaggi si possono trovare delle molecole ulteriori, che hanno un’azione benefica sull’organismo. Alcune di queste molecole non sono (addirittura) ancora state scoperte, mentre in altri casi si conoscono ma la loro azione non è ancora ben compresa.
Il cavolfiore e i broccoli, ma in misura minore anche i cavoli di cui si consumano le foglie, contengono in particolare il sulforafano, un composto contenente anche zolfo che sembra abbia la capacità di distruggere le cellule tumorali. Interferisce inoltre con il ciclo vitale di alcuni batteri come l’Helicobacter pylori, scongiurando quindi l’emergenza di alcune patologie gastriche.
I cavoli, e in particolare le foglie, sono poi ricchissime di acido folico o folato, una sostanza che, assorbita nell’intestino, stimola la rigenerazione del tessuto nervoso, rallentando così la comparsa di patologie cerebrali o a carico del midollo spinale. Inoltre le donne in gravidanza sono in grado di passare la molecola dal proprio circolo ematico alla circolazione fetale, così da stimolare lo sviluppo del sistema nervoso del bambino ed evitare le anomalie.
Per quanto riguarda il carciofo, si segnala anche la presenza di cinarina, un polifenolo presente in in particolare nella fase di formazione del capolino dell’ortaggio. Andrebbe mangiato crudo, perché la cottura ne modifica la struttura, fino a distruggerla.
Si tratta di una molecola molto utile per la protezione del fegato, uno stimolante epatico che ha un ruolo di protezione, specialmente dalla troppa presenza di grassi all’interno dell’organo o nei casi di fibrosi, che può sfociare in cirrosi epatica.
Protegge infatti le cellule del fegato dall’azione dei radicali liberi, e poi stimola la produzione di bile (ovvero il metabolismo epatico, l’attività stessa del fegato). Favorendo poi lo svuotamento della cistifellea, oltre alla produzione di bile, è importante per la prevenzione dei calcoli biliari.

ORTAGGI DA SEME
legumi sono vegetali molto apprezzati per le loro qualità nutrizionali e possono essere consumati sia singolarmente che in abbinamento con altri tipi di vegetali o come contorno delle pietanze.
Essi appartengono alla famiglia delle Fabaceae, comunemente detta anche delle Leguminose. Si tratta di un gruppo di piante che condividono una serie di caratteristiche comuni.
La dimensione della pianta può variare, così che esistono delle leguminose erbacee, delle leguminose arbustive e anche alcune piante arboree, strutturate come un albero, tra cui la mimosa. Anche le foglie sono particolari: nella maggior parte delle famiglie sono palmate, ossia hanno una nervatura centrale più tante piccole nervature che si diramano da essa nelle dimensioni; si distinguono da altre foglie, ad esempio quelle della maggior parte delle graminacee, che invece hanno nervature tutte parallele tra di loro.
La caratteristica che distingue tutte le piante appartenenti alla famiglia, senza eccezioni, è il frutto: viene chiamato baccello, anche se per alcuni legumi particolari, “strozzati” in mezzo (caso tipico, quello delle arachidi) si chiama lomento. Il baccello ha una fascia longitudinale detta sutura, che quando la pianta è giunta a maturazione si apre, facendo cadere i semi; in agricoltura, i legumi vengono raccolti prima che possano cadere e poi vengono estratti industrialmente o manualmente; in alcuni casi non vengono estratti e il frutto, che è il baccello, viene consumato intero.
Ciò che generalmente si mangia delle leguminose, quelli generalmente chiamati legumi, sono i semi della pianta, semi che in alcuni casi vengono consumati freschi o conservati come freschi (fave, piselli) mentre in altri casi vengono fatti essiccare e poi reidratati per il consumo oppure lavorati per la creazione di farina, o per l’estrazione di concentrati proteici od oli. I legumi possono anche essere inscatolati in contenitori a chiusura ermetica, coperti da un liquido, oppure surgelati.
La caratteristica botanica più importante che contraddistingue le leguminose sono però in assoluto le loro radici. L’apparato radicolare è particolare, ma soprattutto è diverso da quello di tutte le altre piante: nelle radici sono infatti presenti una serie di cavità (dette tubercoli radicali) create per accogliere dei microrganismi, in particolare dei batteri. Queste piante infatti hanno una simbiosi con alcuni batteri, detti Rizobi, tra cui quelli del genere Rhizobium leguminosarum, che crescono nella maggior parte delle radici delle leguminose ma non di tutte (leguminose come la Sulla o la Soia hanno dei batteri particolari) e la loro presenza è indispensabile alla crescita della pianta. Se il batterio “giusto” per quella pianta non vive in quel terreno, essa non riuscirà a crescere. I rizobi, infatti, hanno la capacità di fissare l’azoto atmosferico, ossia di prendere quel 78% di azoto presente nella nostra atmosfera (che noi respiriamo, ma che non prende parte ai processi respiratori) e lo trasformano in una forma che sia assimilabile dalla pianta.
La pianta senza rizobio non ha disponibilità di azoto, perché a differenza di altre piante ha perso nel corso dell’evoluzione la capacità di “cercarlo” nel terreno per conto proprio, quindi se il terreno non ha il giusto rizobio le piante non cresceranno; per permetterlo, magari perché le condizioni climatiche sono adatte, bisogna portare nel campo un po’ di terreno dove il rizobio per quella coltura è presente. In alternativa bisogna sfruttare terreni dove qualche anno prima sono già state coltivate piante della stessa specie, i cui rizobi siano ancora presenti nel terreno.
L’importanza di questi batteri ha come diretta conseguenza l’alta percentuale di proteine contenuta nei legumi: se si possono sostituire le proteine della carne con quelle della soia, o dei fagioli, o dei ceci, è proprio perché ci sono dei rizobi che, fissando l’azoto, lo rendono disponibile alla pianta per creare i composti azotati di base, gli amminoacidi; catene di amminoacidi formano le proteine, che vengono accumulate in tutte le parti della pianta, foglie comprese (importanti per la mangimistica animale) e in particolare nei semi.
I rizobi, però, non arricchiscono solo le piante, ma anche il terreno stesso: in agricoltura, i legumi sono definiti colture di arricchimento, generalmente da alternare ai cereali che, invece, sono definiti depauperanti. Non avendo rizobi che fissano l’azoto per loro, colture come il mais o il grano assorbono tutto l’azoto già presente nel terreno, che l’anno successivo deve essere reimmesso grazie alla semina delle leguminose.
È anche grazie a questo meccanismo che si può spiegare l’alta resa delle coltivazioni e il fatto che produrre un chilo di proteine vegetali è molto più economico ed ha un impatto minore sull’ambiente rispetto alla produzione di un chilo di proteine animali.
Le varietà di legumi
Nel mondo esistono tantissime varietà di leguminose, molte delle quali non sono commestibili perché i semi sono troppo piccoli, o hanno un cattivo sapore, o ancora non hanno un elevato valore nutrizionale. Esistono poi varietà coltivate solo in alcune parti del mondo, anche molto diffuse, e piante che sono coltivate e consumate solo in una specifica zona.
In Italia i legumi più importanti a livello sia economico che di consumo sono sei: i fagioli, i ceci, le lenticchie, i piselli, le fave e la soia.
I legumi: caratteristiche nutrizionali
I legumi sono molto apprezzati in alimentazione per le loro proprietà nutritive ma anche per la quota proteica che li contraddistingue. Come già descritto nel paragrafo dedicato alla botanica, la loro struttura permette di accumulare un grande quantitativo di azoto prendendolo direttamente dall’aria, grazie airizobi, azoto utilizzato per produrre amminoacidi che costituiranno le proteine.
Nella tabella nutrizionale delle cinque varietà di legumi prese in considerazione si è scelto, per equiparare i valori, di confrontare tutti i semi nella loro forma da secchi, tralasciando i semi freschi. Per sapere quante sostanze si assumono mangiando gli stessi legumi ma freschi o reidratati (operazione necessaria per la cottura) è sufficiente aggiungere alla misura il quantitativo di acqua che avrebbero perso con l’essiccamento o che hanno assunto durante la reidratazione.
Tutti i valori sono da considerarsi per 100 grammi di alimento.

Acqua
(gr)
Proteine
(gr)
Grassi
(gr)
Carboidrati
(gr)
Fibra
(gr)
Energia
(kcal)
Calcio
(mg)
Fosforo
(mg)
Fagioli
10,3
20,2
2
47,5
17,3
291
102
464
Ceci
10,3
20,9
6,3
46,9
13,6
316
142
415
Lenticchie
11,2
22,7
1
51,1
13,8
1219
57
376
Piselli
13
21,7
2
48,2
15,7
286
48
320
Fave
10,2
21,3
3
29,7
21,1
224
ND
ND
Il quantitativo di acqua è ovviamente basso poiché sono stati presi in considerazione solo i legumi secchi; in un legume fresco (ad esempio i fagioli freschi) l’acqua non è particolarmente abbondante rispetto a quella presente in altri organismi vegetali, poiché costituisce solo il 60% del seme.
Parlando invece di proteine, si può notare che il contenuto proteico dei legumi è sempre particolarmente alto, soprattutto in relazione alla quota proteica contenuta in qualsiasi altro vegetale consumato. Questo ha portato alla credenza che i legumi possano sostituire, a parità di quantitativo consumato, la carne e i latticini. In realtà, nonostante in una dieta vegetariana i legumi siano fondamentali per assumere la quota proteica di cui l'organismo ha bisogno, non tutte le proteine hanno la stessa qualità, e quella dei legumi ammonta a circa la metà di quella della carne.
Relativamente ai grassi, il contenuto nei legumi è assolutamente trascurabile. Vi sono tuttavia sono alcuni legumi, dette oleaginose, come la soia e le arachidi, che contengono un alto quantitativo di lipidi. Se si osserva però il valore energetico si può vedere che è piuttosto alto rispetto a quello di altri vegetali, e ciò non è dovuto solamente all’alto contenuto in proteine, ma soprattutto a quello di carboidrati. I carboidrati sono infatti la componente che garantisce un maggior valore energetico a questo alimento, e che lo rende così un alimento “completo”, da consumare anche da solo. Il contenuto in fibre, inoltre, è piuttosto elevato e questo rende i legumi alimenti dall’indice di sazietà particolarmente alto. Il contenuto in fibre aiuta le persone che soffrono di stitichezza, di sovrappeso, o di alcune situazioni patologiche come le malattie coronariche, l’aterosclerosi o la calcolosi.
Per quanto riguarda i minerali, i legumi sono particolarmente ricchi in fosforo ma soprattutto in calcio, elemento ricercato sia in alimentazione umana che animale (è da queste piante che i bovini assumono il calcio che si ritrova nel latte e che finisce, per conseguenza, nel formaggio).
Cucinare i legumi
I legumi, come abbiamo visto, si possono trovare in varie forme e possono arrivare sul mercato in seguito a diverse tipologie di conservazione. I legumi che mantengono maggiormente il loro valore nutrizionale sono quelli freschi che tuttavia si trovano solamente nella loro stagione di raccolta; seguono i legumi surgelati, che non subiscono una perdita di sostanze nutritive. Ci sono poi i legumi secchi, che perdono più sostanza a causa del processo di essiccamento e di conservazione, mentre all’ultimo posto si hanno i legumi conservati in barattolo, generalmente legumi freschi che hanno subito il processo di bollitura, e che perdono alcune sostanze nutritive, che finiscono nel liquido di conservazione (liquido di governo) durante la permanenza sugli scaffali degli esercizi commerciali.
Per quanto riguarda i legumi surgelati, questi non devono essere fatti scongelare prima della cottura, pena la perdita di sostanze nutritive con l’acqua di scongelamento.
I legumi secchi
Per quanto riguarda la cottura dei legumi secchi, la prima cosa da fare è una cernita. Spesso, infatti, durante il confezionamento rimangono tra i legumi alcune parti diverse della pianta, o vi sono legumi che presentano dei difetti come l’atrofia; in entrambi i casi potrebbero non cuocere bene. Individuati eventuali semi, essi devono quindi essere rimossi. È opportuno, prima dell’ammollamento, anche lavare i legumi secchi per rimuovere la polvere e gli agenti antimicotici che vengono aggiunti in fase di confezionamento per evitare l’ammuffimento.
I legumi devono quindi essere ammollati, per un tempo che varia in base al singolo legume. E non alla specie, ma anche alla singola varietà: ad esempio, fagioli più piccoli vengono reidratati prima rispetto a quelli più grandi. Il processo è osmotico, per cui l’acqua entra dentro il legume fin quando questo non è saturo, e i legumi non possono crescere più di un certo quantitativo, indipendentemente da quanto restano in acqua. Nell’acqua, però, potrebbe innescarsi il processo di fermentazione batterica, motivo per il quale sarebbe bene cambiare più volte l’acqua di ammollo mentre si aspetta la fine del processo, specialmente se questo è molto lungo. L’acqua deve essere a temperatura ambiente e quantitativamente circa tre volte il peso dei legumi secchi.
L’ultimo passaggio per cucinare i legumi è quello della cottura. I legumi devono essere cotti per uccidere i batteri ma per evitare che possano rompersi durante il processo devono essere messi in acqua a temperatura ambiente, quindi questa deve essere innalzata ma non deve superare di molto la temperatura di ebollizione (e anche se non la raggiunge, se ci sono solo delle bollicine ai lati del contenitore, va bene lo stesso, significa aver raggiunto una temperatura di 80-90 gradi). Si parla di bollitura leggera  sobbollitura, e permette di lasciare integri i legumi. Importante anche tappare il contenitore, per non perdere il liquido di evaporazione e quindi molte delle sostanze nutritive, in particolare gli elettroliti, che fuoriescono dai legumi durante il processo di cottura.

L'arachide (Arachis hypogaea L., 1753) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Fabacee (o Leguminose), originaria del Sud America.
I frutti sono chiamati arachidi, spagnolette, noccioline americane, bagigi, scachetti, caccaetti (dal nahuatl tlālcacahuatl, che significa 'cacao di terra', divenuto in spagnolo o cacahuate, nei paesi delle Americhe dove viene usata questa parola, o cacahuete, in Spagna), giapponi o cecini.
È una pianta annuale erbacea con fusto eretto, pubescente, che raggiunge un'altezza fra i 30 e gli 80 cm.
Le foglie sono opposte, paripennate, composte da quattro foglioline lunghe da 1 a 6 centimetri e larghe 0,5–3,5 cm.
I fiori sono tipicamente papillionati, del diametro di 2–4 cm, di colore giallo con venature rossastre.
Dopo l'impollinazione, il frutto si sviluppa in un legume lungo da 2 a 5 centimetri, che si fa strada sottoterra per maturare, contenente da 1 a 4 semi. L'epiteto specifico (hypogaea) fa riferimento proprio a questa particolarità.I semi di arachide (dal greco αραχίδα), detti anche spagnolette, noccioline americane, bagigi, scachetti, cecini, galette, marchesini, caccaetti o scaccaglie, sono legumi utilizzati per il consumo alimentare umano ed animale. Dai semi si ricava inoltre l'olio di arachidi, oppure si consumano in pasta (burro di arachidi) o interi, dopo essere stati tostati.
I principali costituenti di un seme di arachide sono carboidrati semplici (zuccheri) e complessi (amido), protidi (per un totale del 30%) e olio (40-50%).
I semi di arachide vengono solitamente consumati dopo tostatura. Le applicazioni più frequenti sono l'accompagnamento di aperitivi, dove si consumano tostati e salati,nella birra,tostati e zuccherati oppure caramellati. Vengono inoltre ridotti in pasta per ricavare il burro di arachidi, creme spalmabili dolci o salate, gelati, croccanti al caramello e aggiunti, in pasta o in farina, a svariati prodotti da forno quali biscotti, torte o merendine. Dai semi di arachide, inoltre, si ricava l'olio di arachide, che trova un ampio uso in cucina grazie ad un punto di fumo alto, secondo solo all'olio di oliva. Dai semi si isola anche l'arachina.

Il fagiolino, detto anche tegolina o cornetto, è il baccello verde e acerbo di diverse cultivar della pianta del fagiolo comune (Phaseolus vulgaris), utilizzato come verdura. A differenza dei fagioli, i fagiolini vengono quindi raccolti e consumati con i loro baccelli, tipicamente prima che i semi interni siano arrivati a maturazione.

La fava (Vicia faba L., 1753) è una pianta della famiglia delle Leguminose o Fabaceae.
Possiede un apparato radicale fittonante, con numerose ramificazioni laterali nei primi 20 cm che ospitano specifici batteri azotofissatori (Rhizobium leguminosarum).
Il fusto ha sezione quadrangolare, cavo, ramificato alla base, con accrescimento indeterminato, alto da 70 a 140 cm.
Le foglie, stipolate, glauche, pennato-composte, sono costituite da 2-6 foglioline ellittiche.
I fiori sono raccolti in brevi racemi che si sviluppano all'ascella delle foglie a partire dal 7º nodo. Ogni racemo porta 1-6 fiori pentameri, con vessillo ondulato, di colore bianco striato di nero e ali bianco o violacee con macchia nera. La fecondazione è autogama.
 Il frutto è un legume allungato, cilindrico o appiattito, terminante a punta, eretto o pendulo, glabro o pubescente che contiene da 2 a 10 semi con ilo evidente, inizialmente verdi e di colore più scuro (dal nocciola al bruno) a maturità.
In relazione alla grandezza del seme, in Vicia faba L. vengono distinte quattro varietà botaniche:[
Vicia faba var. paugyuga con semi molto piccoli, di origine indiana, non è coltivata
Vicia faba var. minor Beck, detta comunemente favino, con peso dei 1000 semi inferiore a 700 grammi e baccello clavato e corto; è utilizzata come foraggio o sovescio;
Vicia faba var. equina Pers., detta comunemente favetta, con peso dei 1000 semi compreso tra 700 e 1000 grammi e baccello clavato e allungato.
Il pisello (Pisum sativum L., 1753) è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia Fabaceae, originaria dell'area mediterranea e orientale.
La pianta è largamente coltivata per i suoi semi, consumata come legume o utilizzata come alimento per il bestiame. Il termine designa anche il seme della pianta, ricco di amidi e proteine (dal 16 al 40%)
Il pisello è coltivato dall'era neolitica e ha accompagnato i cereali nelle origini dell'agricoltura nel Vicino Oriente. Nell'Antichità e nel Medio Evo è stato un alimento base in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Ai nostri giorni, la sua coltura è praticata nei cinque continenti, particolarmente nelle regioni a clima temperato dell'Eurasia e dell'America del Nord.
Il pisello secco è un alimento tradizionalmente importante in alcuni paesi, in particolare nel subcontinente indiano e in Etiopia, ma è relativamente in disuso come farinaceo e come fonte di proteine nella maggior parte dei paesi occidentali, dove è ormai principalmente coltivato per l'alimentazione animale o per l'esportazione. Dopo il XVII secolo, il pisello è divenuto un legume fresco popolare, la cui consumazione durante tutto l'anno è favorita dalle tecniche di conservazione e di surgelazione.
Il pisello è soggetto a diversi tipi di coltura, a secondo dei paesi e della destinazione dei prodotti. I piselli secchi sono coltivati tradizionalmente in un certo numero di paesi del Terzo Mondo dove costituiscono una coltura di sussistenza, praticata nella stagione fredda o in altitudine, in particolare in Africa orientale (Etiopia, Uganda, Kenya). Nei paesi industrializzati (Europa, Canada, Stati Uniti) è essenzialmente una coltura meccanizzata rivolta principalmente all'alimentazione animale, all'industria conserviera e alla surgelazione, ma anche in orticoltura professionale per il mercato del fresco. I piselli sono spesso presenti negli orti familiari.
Il pisello si riproduce unicamente per seme. In terreni poveri la inoculazione delle sementi con ceppi di Rhizobium può migliorare la resa della coltura, ma tale pratica non è generalmente necessaria nella maggior parte dei casi.
Nei paesi temperati, il pisello si semina sia a fine inverno o all'inizio della primavera, sia in autunno, nelle regioni dove le gelate non sono troppo temibili, o più a nord ricorrendo a delle varietà resistenti al freddo (varietà invernali). Il pisello è in effetti una pianta annuale senza dormienza, che può essere seminata senza necessità di vernalizzazione. Le varietà invernali permettono di guadagnare in precocità di raccolta e in rendimento. Per i piselli da conserva, seminati in primavera, le semine sono scaglionate in maniera da distribuire il carico di lavoro delle macchine. Nei paesi tropicali e subtropicali, i piselli si coltivano nella stagione fredda. In Cina e a Taiwan è praticata la coltura intensiva in serra di cime di piselli mangiatutto, che vengono raccolti freschi non appena la pianta raggiunge i 10 cm di altezza.
Il ciclo vegetativo dei piselli è di circa 140 giorni per le varietà primaverili, potendo scendere a 90 giorni per le varietà ultra-precoci e a 240 giorni per le varietà invernali.
Usi alimentari
Dalla pianta di pisello si ricavano vari tipi di alimento, sia per l'uomo che per il bestiame:
i piselli secchi, cioè i semi raccolti a maturità, costituiscono un legume secco, e sono utilizzati anche per gli animali domestici, sia come grani interi (volatili) che sotto forma di farina (suini e bovini); rappresentano inoltre una importante materia prima per l'industria di trasformazione (amidi, estratti proteici)
i piselli freschi, sia sotto forma di semi immaturi che di baccelli interi ugualmente immaturi, sono un legume fresco
i giovani germogli foliari sono anch'essi usati nell'alimentazione umana, particolarmente in Asia, così come i semi germogliati
la pianta nel suo insieme, sia fresca che essiccata, è utilizzata come foraggio per i ruminanti.
Nell'alimentazione umana i piselli orticoli si utilizzano sia freschi, che secchi.
I piselli freschi, noti come «piselli novelli» (o «petit pois» in francese) possono essere consumati subito dopo la raccolta ovvero essere conservati o surgelati; alcune varietà, le cosiddette «mangiatutto», si consumano con tutto il baccello.
Nell'Unione europea, sia i piselli da sgusciare che i "mangiatutto" devono rispettare delle norme di commercializzazione fissate da un regolamento comunitario del 1999, che prevede la loro classificazione in due categorie in base ad alcuni standard di qualità.
Nei piselli secchi il seme, che può essere verde o giallo, viene ripulito dei suoi tegumenti e i due cotiledoni sono separati. I piselli secchi vengono spesso preparati in forma di creme o purea.

Lens culinaris Medik. è una pianta dicotiledone della famiglia delle Fabaceae (o Leguminose) detta volgarmente lenticchia, coltivata sin dall'antichità.
È una pianta annuale, utilizzata per i semi commestibili, ricchi di proteine e di ferro noti come lenticchie.
Diverse sono le varietà di lenticchie. I frutti sono dei legumi che contengono due semi rotondi appiattiti. Le lenticchie fanno parte dei legumi secchi apprezzati in Europa anche se la produzione mondiale non è elevata: 3.841.883 t (2004).
La lenticchia rappresenta una delle prime specie domesticate: testimonianze archeologiche relative alla grotta di Franchthi in Grecia dimostrano che venisse mangiata tra il 13.000 e l'11.000 a.C..
È stata una delle prime colture domesticate e il suo consumo viene attestato nell'episodio biblico di Esaù, nella Genesi.
La lenticchia è una pianta annuale erbacea, alta da 20 cm a 70 cm. Gli steli sono dritti e ramificati.
Le foglie sono alterne e composte (imparipennate con 10-14 foglioline oblunghe) e terminano con un viticcio generalmente semplice o bifido. Sono munite alla base di stipole dentate.
I fiori, a corolla papilionacea tipica della sottofamiglia delle Faboideae, sono di color bianco o blu pallido e riuniti in grappoli da due a quattro. Il calice è regolare, a cinque denti sottili e relativamente lunghi. La fioritura avviene tra maggio e luglio.
I frutti sono dei baccelli appiattiti, corti, contenenti due semi dalla caratteristica forma a lente leggermente bombata. Il colore dei semi varia secondo le varietà da pallido (verde chiaro, biondo, rosa) a più scuro (verde scuro, bruno, violaceo).
Distribuzione e habitat
Questa specie è originaria delle regioni temperate calde del mondo antico:
Sud-Est dell'Europa: Cipro e Grecia
Asia Minore e Vicino Oriente: Turchia, Siria, Libano, Israele, Giordania, Iraq, Iran
Caucaso e Asia Centrale: Azerbaigian, Georgia, Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Afghanistan e Pakistan.
Principali varietà coltivate
Svariate sono le cultivar di Lens culinaria in tutto il mondo. In Europa alcune cultivar sono state considerate prodotti tipici e dotate di denominazioni di origine (per es. la lenticchia verde di Puy AOC in Francia).
 In alcuni casi vengono vendute decorticate come la lenticchia corallo o rosa o la Petite Golden.
Commercialmente le cultivar si possono dividere in base al colore - verde (Richlea, Laird), giallo, rosso, marrone (Masoor dalla buccia marrone e l'interno aranciato) - e alla taglia (piccole, medie, grandi).
In Italia, le cultivar di lenticchie più diffuse sono:
Lenticchia di Castelluccio di Norcia a Indicazione geografica protetta (I.G.P.) e a Denominazione di origine protetta (D.O.P.)
Lenticchia di Colfiorito prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Ustica prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Onano prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Altamura prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Villalba prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Ventotene prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia di Rascino prodotto agroalimentare tradizionale e presidio di Slow Food
Lenticchia di Valle Agricola prodotto agroalimentare tradizionale
Lenticchia nera di Leonforte o dei Monti Erei PAT
Produzione
La lenticchia è relativamente tollerante alla siccità e viene coltivata in tutto il mondo. Secondo i dati forniti dalla FAOSTAT (FAO) nel 2013 la produzione mondiale di lenticchie è stimata in 4,9 milioni di tonnellate.
Le principali zone di produzione sono il Canada (il più grande esportatore al Mondo), il Subcontinente indiano (il maggior produttore al mondo, la cui produzione viene per lo più esaurita in loco) e la Turchia.

Il cece (Cicer arietinum L.) è una pianta erbacea della famiglia delle Fabaceae. I semi di questa pianta sono i ceci, legumi ampiamente usati nell'alimentazione umana che rappresentano un'ottima fonte proteica.
Il nome deriva dal latino cicer. È noto che il cognome di Cicerone discendeva da un suo antenato che aveva una caratteristica verruca a forma di cece sul naso.
Il nome specifico arietinum si riferisce invece alla somiglianza che hanno i semi con il profilo della testa di un ariete.
È stata una delle prime colture domesticate; il cece coltivato deriva da forme selvatiche del genere Cicer, probabilmente da Cicer reticulatum. Le specie selvatiche si sono originate probabilmente in Turchia, mentre le prime testimonianze archeologiche della coltivazione del cece risalgono all'età del bronzo e sono state rinvenute in Iraq; i ceci si diffusero in tutto il mondo antico: antico Egitto, Grecia antica, Impero romano.
La pianta, annuale, presenta una radice ramificata profonda (le più profonde possono arrivare anche a 1,20 m di profondità) le quali le donano una media resistenza alla siccità. Gli steli sono ramificati eretti pelosi eretti o semiprostrati con altezza variabile tra i 40 e gli 80 cm. Le foglie sono opposte, composte e imparipennate con 6-7 paia di foglioline ellittiche e denticolate; i fiori sono solitari ascellari, bianchi, rosei o rossi; i semi, rotondeggianti e lisci o rugosi, angolosi e rostrati a seconda della cultivar, sono contenuti in numero di 2-3 nei baccelli, sono commestibili.
I ceci, semi del Cicer arietinum, sono tra i legumi più coltivati al mondo.
Il cece è la terza leguminosa per produzione mondiale, dopo la soia e il fagiolo; la coltivazione avviene principalmente in India e Pakistan. In Italia la coltivazione non è molto diffusa a causa delle basse rese e della scarsa richiesta; viene consumato principalmente in Liguria, dove piatti tipici a base di ceci sono la farinata e la panissa, nelle regioni centrali come minestra e nelle regioni meridionali insieme con la pasta.
Questa pianta trova le sue condizioni ottimali in ambienti semiaridi, nei climi temperati viene seminato a fine inverno (data la sua scarsa resistenza al freddo) con seminatrici di precisione o seminatrici da frumento opportunamente regolate in modo da non spezzare il seme. Questo viene disposto ad una distanza tra le file di 35–40 cm ad una profondità di semina di 5–7 cm e con una densità di 20-30 piante al metroquadro. Per prevenire attacchi crittogamici alla pianta i semi vanno prima conciati. Raggiunta la maturazione il cece può essere raccolto sia con il metodo tradizionale (ormai quasi scomparso) estirpando la pianta, lasciandola essiccare in campo e sgranata a mano o con mietitrebbiatrice con pick-up al posto dell'organo falciante, sia con metodi meccanici con l'intervento di mietitrebbiatrici possibili solo in terreni livellati e su varietà a portamento eretto. Presenta una produzione media di 3.5 tonnellate ad ettaro con produzione di paglia dalle scarse qualità nutrizionali per l'utilizzo zootecnico.
Durante il suo ciclo necessita di una concimazione di 40–60 kg/ettaro di fosforo, per quanto riguarda il fabbisogno di azoto, è fornito dai batteri del genere Rizobium i quali, attraverso la simbiosi con questa pianta si occupa della fissazione dell'azoto atmosferico nel terreno.
Il cece non sopporta terreni troppo fertili i quali gli comportano una bassa allegagione, argillosi per asfissia radicale o ristagni idrici.

Il fagiolo (Phaseolus vulgaris L., 1758) è una pianta della famiglia delle leguminose originaria dell'America centrale. Fu importato, a seguito della scoperta dell'America, in Europa dove esistevano unicamente fagioli di specie appartenenti al genere Vigna, di origine subsahariana: i fagioli del genere Phaseolus si sono diffusi ovunque soppiantando il gruppo del mondo antico, in quanto si sono dimostrati più facili da coltivare e più redditizi (rispetto al Vigna la resa per ettaro è quasi doppia).
Il fagiolo viene coltivato per i semi, raccolti freschi (fagioli da sgranare) o secchi, oppure per l'intero legume da mangiare fresco (fagiolini o cornetti). Le varietà a ciclo vegetativo più lungo, nelle regioni temperate sono seminate in primavera, quelle a ciclo più breve in estate. Nel caso dei fagioli rampicanti è necessaria la collocazione di sostegni.
Principali varietà da seme:
Bingo
Blason de Biella
Blu della Valsassina
Borlotto Lingua di Fuoco e Borlotto Lingua di Fuoco Nano
Borlotto Suprema dwarf
Borlotto di Vigevano Nano
Cannellin Scaramanzin negrèè
Cannellino o Lingot
Fejuolo pacificus el drammoso cotenna
Cantare
Bianco di Spagna (fagiolana)
Giallorino della Garfagnana
Lamon (Lucian Fejuol)
Meraviglia di Venezia black
Romano Pole
Fesciela lamon negrucc fagiolos de Biella
Castagnaio fejuolo marron's
Sossai Extra Large (varietà protetta)
Stregonta e Stregonta Nano
Superbo Migliorato
Elegante fagiolo
Fagiolo maggiolino
Fagiolo patrone
Principali varietà "mangiatutto" (fagiolino, piattone, ecc.):
Anellino Giallo e Verde
Beurre de Rocquencourt
Bobis Bianco
Bobis a Grano Bianco e Bobis a Grano Nero
Cornetto Largo Giallo e Cornetto Largo Verde
Nano Burro mangiatutto
Nerina mangiatutto
Paguro fagiolato mangiatutto
Prelude dwarf mangiatutto
Slenderette mangiatutto
Superpresto mangiatutto
Trionfo Violetto mangiatutto
Wade mangiatutto
Varietà tipiche italiane
Borlotto nano di Levada PAT
Fagiolino  Meraviglia di Venezia PAT
Fagiolo bianco di Pigna
Fagiolo di Atina
Fagiolo di Carìa
Fagiolo di Controne PAT
Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP
Fagiolo di Negruccio di Biella
Fagiolo di Saluggia PAT
Fagiolo di Sarconi IGP
Fagiolo di Sorana IGP
Fagiolo Gialét PAT
Fagiolo Scalda PAT
Fagiolo Tondino di Villaricca (NA)
Fagiolo zolfino
Fasóla posenàta di Posina (var. fagiolo di Spagna) PAT Fasou de' Brebbie (Fagiolo di Brebbia)
Fagiolino
Appartenenti alla famiglia delle Leguminose, come i fagioli, i fagiolini sono ricchi di sali minerali. Oltre a nutrire e rinfrescare l'apparato gastrointestinale, svolgono una spiccata azione diuretica. Per il buon contenuto di vitamina A, proteine e potassio sono raccomandati nelle malattie cardiache. Il fagiolino ha un basso potere calorico (17 Kcal. per 100 g. di sostanza) ed è molto ricco di fibra alimentare. Pur essendo una leguminosa la concentrazione di proteine è bassa: questo è dovuto al fatto che la raccolta del baccello viene effettuata quando ancora il fagiolo all'interno è in fase di maturazione e non ha ancora accumulato tutte le sostanze di riserva che gli saranno necessarie al momento della germinazione. Il fagiolino è dunque da considerare un ortaggio piuttosto che un legume.
Cenni storici
Il fagiolo, originario del Messico e dell'America centrale, fu introdotto dai conquistatori spagnoli in Europa all'inizio del XVI secolo, dove, per la verità, già esistevano alcune specie consimili (ad esempio la Fagiolina del Trasimeno). Il fagiolo viene coltivato per i semi, raccolti freschi (fagioli da sgranare) o secchi, oppure per l'intero legume da mangiare fresco (i fagiolini).
Coltivazione
Nel mondo si producono complessivamente oltre 16 milioni di tonnellate di fagioli l’anno. Il primo posto va all’India, seguita da Brasile, Cina, Birmania, Messico, Indonesia e Stati Uniti. Se invece si ordinano i maggiori produttori del mondo in base alla resa per ettaro, l’India diventa il fanalino di coda, mentre il primo posto va agli Stati Uniti, seguiti da Canada, Indonesia e Cina. Le 2 570 000 tonnellate di fagioli indiane, infatti, sono prodotte annualmente su una superficie di oltre 7 milioni di ettari, mentre gli Usa ricavano 886 360 tonnellate da 560 000 ettari. Molto più ridotta la produzione di fagioli del genere Vigna: poco più di 3 milioni di tonnellate, dei quali oltre 2 milioni concentrati in Nigeria.
Varietà
Quando si parla di fagiolino ci si riferisce alle varietà di fagiolo che mantengono tenero (e, quindi, adatto al consumo) l'intero frutto, cioè il legume o baccello che racchiude i fagioli. Numerose sono le varietà che vengono coltivate: fagiolini verdi fini (con baccelli lunghi), i fagiolini "mangiatutto", la varietà di colore giallo e i diversi ibridi.Secondo la maturità del fagiolino, si distinguono diversi calibri: molto fini, fini e medi
Come scegliere
Controllare che il fagiolino abbia un bel colore verde intenso. Evitate il fagiolino troppo grosso perchè dentro contiene il seme che non è gradevole al palato. Se comprati già spuntati vanno usati in brevissimo tempo perchè conservati in frigorifero potrebbero marcire alle estremità.
Come conservare
In frigorifero chiusi in un sacchetto di plastica per alimenti, possono essere conservati 3-4 giorni; se hanno ancora il picciolo (che è segno di freschezza), possono resistere fino ad un massimo di 7 giorni.
Spuntati e dopo l'eliminazione dell'eventuale filo, possono essere sbollentati per 2 minuti circa e successivamente surgelati e riposti in sacchetti di plastica: in questo modo possono essere conservati fino ad 1 anno.
Prodotti a marchio
Fagiolo di Sarconi IGP: prodotto prevalentemente nella varietà Borlotto nano e Cannellino, ha forma ovale o tondeggiante e colore dal giallo pallido al bianco, con s triature più scure. Il sapore è delicato e piacevole. Il fagiolo è coltivato da secoli nella zona di origine, che comprende i territori dei seguenti comuni in provincia di Potenza: Sarconi, Grumento Nova, Marsiconuovo, Marsico Vetere, Moliterno, Montemurro, Paterno, S. Martino d’Agri, Spinisio, Tramutola, Biggiano. E’ prodotto prevalentemente nelle varietà Borlotto nano e Cannellino. Ha forma ovale o tondeggiante e colore dal giallo pallido al bianco, con striature più scure.
Fagiolo di Sorana IGP: il fagiolo ha colore bianco latte con leggere venature perlacee, o rosso vinato con striature di colore più intenso. Presenta una forma schiacciata, quasi piatta per il tipo bianco, quasi cilindrica cojn tegumento più consistente per il tipo rosso. Il gusto è pieno e delicato e la buccia molto tenera. La zona di produzione comprende la parte del territorio del Comune di Pescia (Pistoia) che ricade nei versanti orientale e occidentale del torrente Pescia di Pontito. A renderlo un cibo particolarmente ricercato, oltre alle caratteristiche organolettiche sono le sue caratteristiche di facile digeribilità.

sabato 25 gennaio 2025

Corso di cucina: 25 CONOSCERE LE SOLANACEE

Le Solanaceae sono una famiglia di angiosperme dicotiledoni che comprende molte specie commestibili ed altre velenose. Molte specie di questa famiglia hanno infatti componenti alcaloidi psicoattivi, tra cui anche l'alcaloide tossico solanina, presente in alcune specie nella pianta e nei frutti ancora acerbi, che scompare o si trasforma in altre sostanze, innocue o salutari, quando il frutto è maturo.
Delle solanacee si consuma solitamente il frutto, anche se con alcune eccezioni come le patate (di cui invece si consuma il tubero, un organo con funzione di riserva). Appartengono a questa famiglia piante come il pomodoro, la melanzana e il peperone, le patate e altre piante come quelle da cui si ricavano gli alcaloidi in industria farmaceutica (tabacco per la nicotina e belladonna per l’atropina).
Altre piante, come la Datura, sono invece velenose e non hanno utilizzi pratici.

Fra le piante più conosciute appartenenti alla famiglia troviamo piante importanti per l'alimentazione umana (le patate, le melanzane, i pomodori, i peperoncini, i peperoni, le bacche di Goji), piante da cui si ricavano droghe farmaceutiche (la belladonna per l'atropina, il tabacco) e piante velenose (le datura).

Le Solanaceae sono rappresentate allo stato spontaneo in tutti i continenti, con un maggior numero di specie nel continente americano, e ben si adattano a quasi tutti gli ecosistemi, nonostante la maggior parte di esse prediliga il caldo piuttosto che il freddo intenso.

Le Solanaceae presentano fiori attinomorfi, gamosepali e gamopetali. I pezzi fiorali del calice e della corolla sono in numero di 5. L'androceo è formato da 5 stami non sempre saldati per le antere; l'ovario è supero, formato da due carpelli. Le foglie sono alterne, a lamina intera o profondamente incisa. I frutti possono essere bacche come nel caso del pomodoro o capsule come nel caso della Datura. I semi sono di solito piatti e tondeggianti con un diametro medio di circa 2–4 mm.

Questa famiglia viene riconosciuta sia dalle classificazioni tradizionali che dalla classificazione APG e in entrambi i casi viene collocata nell'ordine delle Solanales.

La suddivisione in sottofamiglie è invece controversa e ancora (2007) oggetto di dibattito anche all'interno della stessa classificazione APG.

Vengono riconosciuti un centinaio di generi e oltre 2000 specie.

La patata (Solanum tuberosum L.) è un tubero commestibile parte di una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Solanaceae (Dicotiledoni), molto utilizzato a scopo alimentare, originaria del Perù, della Bolivia, del Messico e del Cile e portata in Europa dagli spagnoli nel XVI secolo intorno al 1570. Non si conoscono varietà spontanee né si sa da quale specie originaria di Solanum si sia originata la patata edule diffusa dal Centro e Sud America e ora consumata in diverse parti del mondo.
Arrivata tardi in Europa ed affermatasi solo alla fine del secolo XVIII, in breve la patata divenne l'alimento fondamentale nell'alimentazione delle classi umili. In Irlanda la dieta delle classi più povere era basata esclusivamente su latte e patate, mentre il grano era utilizzato per pagare i canoni spettanti ai proprietari inglesi. La grande carestia fu dovuta alla diffusione di un fungo (Phytophthora infestans) che determinò la perdita di buona parte dei raccolti nel giro di pochi anni; la popolazione irlandese diminuì drasticamente. Anche nelle campagne dell'appennino modenese le patate costituivano un importante genere di autoconsumo, mentre il prodotto dell'allevamento veniva venduto ai mercati di città.
Cenni Storici
La patata, il nome deriva dal caraibico "batata", che designava la patata dolce, è un tubero commestibile della famiglia delle Solanacee: il Solanum Tuberosum.
La pianta, contenente al livello dei germogli e della bacca a maturazione, la solanina, un alcaloide velenoso, è originaria dell’ America meridionale, nel territorio compreso fra il Perù e il Cile, da dove i conquistatori spagnoli alla fine del 1500 la portarono alla loro corte di Madrid, presentandola come una curiosità botanica detta “il tartufo americano“. Ed in tale ruolo essa fu considerata per parecchi lustri, fin quando non si pensò bene di destinarne il tubero alla alimentazione animale; con questa funzione essa iniziò a diffondersi prima nei Paesi a stretto contatto politico con gli Spagnoli, Italia e Germania, solo successivamente nel resto dell’ Europa e con varie difficoltà nella Francia immediatamente prerivoluzionaria.

Contrariamente a quanto accaduto ad altre colture di larga diffusione provenienti dal Nuovo Mondo e in seguito diffuse, con tempi e modi diversi, per tutto il globo, (quali ad esempio il pomodoro o il mais), la patata raggiunse un certo successo solo in America del Nord e in Europa, per contro non fu accolta in Cina, Giappone, e in tutta l'area islamica.

Anche in Europa la diffusione della coltivazione fu lenta, influenzata da una diffidenza nei confronti di ciò che "cresce sottoterra" fino ad arrivare ad affermare che il consumo diffondesse la lebbra e ad asserire, nell'Encyclopédie del 1765, che si tratta di "cibo flatulento". Ci furono poi casi di intossicazione causati dall'esposizione prolungata dei tuberi alla luce (come è noto l'esposizione alla luce dei tuberi fa sviluppare la solanina, tossica), tali fatti enfatizzati nei racconti popolari ebbero un effetto dissuasivo al consumo: la decisione poi di costringere i galeotti o i soldati ad alimentarsi di patate, perché a disposizione a buon prezzo, non fu un buon viatico a considerare le patate un cibo di qualità.

Gli spagnoli la conobbero fin dai primi decenni (1539) del XVI secolo in Perù ma la pianta non risvegliò particolari interessi nella penisola iberica, maggiore interesse incontrò in Italia dove le patate vennero chiamate "tartuffoli".

Nel 1600 l'agronomo francese Olivier de Serres, nella sua opera Théâtre d'agriculture et Ménage des champs, ne descrive in maniera dettagliata la coltivazione e nell'opera Rariorum plantarum historia di Charles de l'Écluse del 1601 ne viene data una dettagliata descrizione botanica: a quest'ultimo, che fu per lungo tempo botanico di corte dell'imperatore Massimiliano II, si deve l'introduzione della patata (e di altre piante esotiche) in Austria.

La tradizione vuole che l'introduzione della patata in Inghilterra (1588) sia merito di Walter Raleigh, la coltivazione si diffuse però soprattutto nella vicina Irlanda.

 Per contro l'Inghilterra ne diffuse soprattutto le pratiche di coltivazione all'estero: nel suo libro, La ricchezza delle nazioni, Adam Smith deplorava che i suoi compatrioti non apprezzassero un prodotto che aveva, apparentemente, dimostrato il suo valore nutrizionale nella vicina Irlanda.

La diffusione del tubero fu quindi poco uniforme: in Francia, ad esempio, coinvolse inizialmente poche aree del Delfinato e dell'Alsazia (1666) e in seguito della Lorena (1680) dove nel 1787 viene descritta come cibo principale degli abitanti della campagna.

Più incisiva fu la diffusione in aree come la Svezia, la Svizzera e soprattutto la Germania.

 L'agronomo francese Antoine Parmentier, rientrato in Francia nel 1771 in seguito a un periodo di prigionia trascorso in Prussia dopo la Guerra dei sette anni, prese parte a un concorso indetto dall'Accademia di Besançon sulla ricerca di possibili sostituti del pane, e redasse un articolo sul valore nutrizionale della patata. Sempre nel '700 anche l'economista Antonio Zanon condusse una battaglia per l'introduzione della patata nell'agricoltura della pianura friulana, mentre alla fine dello stesso secolo l'avvocato e agronomo cuneese  Giovanni Vincenzo Virginio si adoperò per cercare di diffondere la patata in Piemonte pubblicando nel 1799 in Torino, presso la Stamperia Reale, il Trattato della coltivazione delle patate o sia pomi di terra volgarmente detti tartiffle, dato in luce dall'avvocato Vincenzo Virginio, Socio ordinario della Reale Società agraria di Torino e di altre Accademie, dedicato agli accurati Agricoltori del Piemonte e arrivando a distribuire gratuitamente patate al popolo a scopo promozionale.

In Irlanda, grazie al clima umido e fresco, particolarmente congeniale alla crescita del tubero, in breve progressione la patata diventò l'alimento principale di gran parte della popolazione (1700-1750). Il diffuso ricorso alla monocoltura, per di più limitata a una o due varietà, espose però la popolazione irlandese al grave rischio degli effetti catastrofici legati al fatto che eventuali malattie potessero colpire le piante. Ciò infatti si verificò con l'arrivo di una terribile malattia della patata, fino ad allora sconosciuta in Irlanda, la Peronospora, che colpì dapprima sporadicamente i raccolti fino poi a colpirli tutti contemporaneamente e con eguale virulenza: data l'uniformità della specie, nelle varietà che erano coltivate, i raccolti andarono completamente persi.

Le conseguenze furono spaventose, provocando una serie di carestie culminate nella devastante Grande carestia del 1845, che fu la concausa che scatenò l'emigrazione massiccia degli Irlandesi negli Stati Uniti nella seconda metà dell'800.

Coltivazione
In primavera, dopo il periodo delle gelate, gli agricoltori interrano le plantule, ossia piccole patate germogliate: è la fase della piantatura.
Verificano quindi che le plantule siano sufficientemente distanziate l’una dall’altra per permettere alle patate di crescere regolarmente. Dalle plantule spunteranno il gambo e le foglie. Al loro apparire, tutt’attorno, le macchine accumuleranno della terra a formare un piccolo monticciolo. Al riparo dalla luce, nuovi tuberi nasceranno sottoterra. Durante l’estate gli agricoltori sorveglieranno la crescita delle patate, annaffiando il terreno se necessario.
Oggi nel mondo si producono 310 milioni di tonnellate di patate. I primi cinque paesi produttori sono la Cina (64 milioni di tonnellate), la Russia (35 milioni di tonnellate), l’India (25 milioni di tonnellate), gli Stati Uniti (25 milioni di tonnellate) e la Polonia (15 milioni di tonnellate).
Le patate prodotte in Europa rappresentano il 60% della produzione mondiale. I primi quattro paesi produttori sono la Polonia, la Germania, la Francia e la Gran Bretagna. Le patate sono un alimento di base nel nostro continente dove costituiscono una produzione di tutto rilievo, dalla cosiddetta vecchia Europa (Germania, Gran Bretagna, Francia…) all’Europa del Nord (Danimarca, Svezia…) passando per la nuova Europa (nazioni dell’Est, paesi baltici).
Varietà
Qualitativamente parlando, seppur provenienti da molteplici varietà, esistono in commercio solo pochi tipi fondamentali di patate:
Patate a pasta bianca, caratterizzate dalla polpa farinosa, adatte ad essere schiacciate, speciali per la preparazione di gnocchi, puré, sufflè, crocchette;
Patate a pasta gialla, caratteristiche per la polpa compatta, devono il loro colore alla presenza di caroteni; sono eccellenti per essere lessate, cotte a vapore, arrostite, fritte a livello industriale o casalingo e si rivelano altresì adatte per insalate e cotture a forno;
Nell’ambito delle Patate a pasta gialla hanno una connotazione a sé le patate a buccia rossa, particolarmente indicate per cotture intense, quali cartoccio, forno e frittura;
Una connotazione a parte rivendicano le Patate Novelle: raccolte prima della maturazione completa, presentano la buccia sottile,con la quale andrebbero bollite, polpa più tenera e dolce; generalmente sono più piccole di quelle mature, si conservano per poco tempo.
Valore nutrizionale
Dal punto di vista nutrizionale le patate sono conosciute principalmente per l'alto contenuto in carboidrati (circa 26 grammi in una patata di 150 g, cioè medie dimensioni), presenti principalmente sotto forma di amidi. Una piccola ma significativa parte di tali amidi delle patate è resistente agli enzimi presenti nello stomaco e nell'intestino tenue, sì da raggiungere l'intestino crasso quasi intatto. Si ritiene che questi amidi abbiano effetti fisiologici pari a quelli delle fibre alimentari.
Le patate sono fonte di importanti vitamine e minerali. Una patata di medie dimensioni (150 g), consumata con la buccia, fornisce 27 mg di vitamina C (45% della dose giornaliera raccomandata), 620 mg di potassio (18% della dose giornaliera raccomandata), 0,2 mg di vitamina B5 (10% della dose giornaliera raccomandata), oltre a tracce di tiamina, riboflavina, folati, niacina, magnesio, fosforo, ferro e zinco; le patate sono assieme alle cipolle e a seconda della natura del terreno in cui sono cresciute l'alimento con le quantità più significative di selenio e litio. Inoltre il contenuto di fibre di una patata con buccia (2 g) è pari al contenuto di fibre del pane integrale, della pasta e dei cereali. Oltre alle vitamine, ai minerali ed alle fibre, le patate contengono svariati composti fitochimici, quali i carotenoidi ed i polifenoli.
Non tutte le sostanze nutritive delle patate si trovano nella buccia; questa contiene circa la metà delle fibre, ma più della metà delle sostanze nutritive sono contenute nella polpa. La cottura può alterarle notevolmente.
Le patate novelle e le varietà a forma allungata contengono una quantità minore di sostanze tossiche, e rappresentano una fonte eccellente di nutrienti. Le patate sbucciate e conservate a lungo perdono parte delle proprie proprietà nutrizionali, benché mantengano il proprio contenuto di potassio e vitamina B.
Le patate sono spesso escluse dalle diete a basso indice glicemico, in quanto si ritiene che possiedano un'alta quantità di glucidi. In realtà l'indice glicemico delle patate varia in maniera considerevole a seconda della loro varietà (patata a buccia rossa, a pasta bianca, eccetera), della loro origine (zona di coltivazione), della preparazione (metodo di cottura, se consumata fredda o calda, in purè, a tocchetti o intera ecc.), e degli altri cibi con cui si accompagna (salse ricche di grassi o ad alto contenuto proteico).
Tossicità
Come molte Solanacee, per esempio il pomodoro, la patata contiene diverse tossine, soprattutto nelle parti verdi, nei fiori e nei germogli: il fusto e le foglie comunque non sono mai stati usati per l'alimentazione (le foglie invece servirono come surrogato del tabacco in periodi particolarmente difficili). Inoltre il frutto è molto tossico, come nella maggioranza delle specie del genere Solanum, come la morella (Solanum nigrum) o la dulcamara.
Vanno conservate al buio, per evitare la germogliazione, e non ingerite se compaiono fiori o germogli sulla buccia.
La principale di queste tossine è un alcaloide, la solanina, che è presente anche nel tubero a basse dosi (meno di 10 mg per 100 g) e concentrata soprattutto nella buccia, che è quindi meglio togliere. Quando la concentrazione è più elevata, come in alcune varietà, ne deriva un gusto amaro del tubero. I tuberi verdi (colorazione dovuta alla produzione di clorofilla come conseguenza dell'esposizione solare) contengono una cospicua quantità di solanina, con valori che possono anche arrivare a 100 mg/100 g. Occorre quindi evitare di consumare i tuberi quando questi presentino parti verdi, perché in tal caso si rischia un'intossicazione. Le patate devono quindi essere conservate al buio per evitare la produzione di solanina.
La solanina non è eliminata dalla cottura, perché viene degradata solo a temperature superiori ai 260 °C (valori che non vengono raggiunti nemmeno durante la frittura). L'ingestione di solanina provoca raramente la morte, ma può causare delle emorragie, specie alla retina.
La patata contiene anche lectine, ma queste sono distrutte dalla cottura. Le lectine sono delle proteine capaci di legarsi in modo reversibile a mono o oligosaccaridi. Questa proprietà permette alle lectine d'agglutinare i globuli rossi umani e di perturbare probabilmente il buon funzionamento dell'apparato digerente degli insetti che si nutrono della pianta, costituendo così un ruolo difensivo della pianta stessa nei confronti degli insetti.
Preparazione
I modi per preparare le patate sono vari. Le patate possono essere cotte con la buccia o senza, intere o a pezzi, con condimenti o senza. La cottura è sempre necessaria per scomporre gli amidi. La maggior parte delle preparazioni a base di patate sono servite calde. In alternativa - come nel caso dell'insalata di patate e delle patatine fritte - le patate possono essere servite anche fredde.
Le ricette più comuni sono quelle del purè di patate, preparato con patate bollite, pelate e schiacciate, cui in seguito si aggiungono latte e burro. Vi sono poi le patate cotte intere al forno; le patate bollite o cotte al vapore; tagliate in cilindri o in dischi e poi fritte; tagliate a cubetti e cotte al forno; cotte in casseruola e condite con salse dense; tagliate a cubetti o in fette e fritte; tagliate alla julienne e fritte; possono essere altresì usate per fare gnocchi, rösti o focacce. Tagliate in pezzi, le patate sono un ingrediente comunemente usato nello spezzatino.
A differenza di altri alimenti le patate si prestano facilmente alla cottura a microonde senza perdere i propri valori nutrizionali, a patto che siano avvolte in un foglio di plastica bucherellato che consenta la ventilazione ed allo stesso tempo trattenga l'umidità. Questo metodo di cottura dà risultati simili a quello della cottura in forno.
Secondo stime della FAO solo poco più dei due terzi del totale (323 milioni di tonnellate) delle patate prodotte nell'anno 2005 è stato destinato ad utilizzi alimentari.
Il consumo alimentare di patate si sta progressivamente spostando da metodi di consumo diretto del prodotto acquistato fresco al consumo di prodotti industriali a base di patate.
Piatti tipici
Le patate sono molto popolari in Europa. In Italia sono utilizzate per preparare gnocchi e purè, oppure accompagnano i pasti bollite, arrostite o saltate; di solito vengono consumate senza buccia. Tra i piatti regionali, citiamo l'mbriulata siciliana e la pitta pugliese, il gâteau di patate tipico soprattutto in Lazio, Campania e Calabria. In Svizzera accompagnano la raclette, oppure, nel rösti, ormai quasi un piatto nazionale, sono grattugiate e poi cotte. Le patate sono anche l'ingrediente principale di molte minestre o zuppe.
In Irlanda il "side plate" (piattino laterale sempre presente nelle tavole apparecchiate) ha precisamente la funzione di accogliere una, due o più patate sempre in accompagnamento a qualsiasi secondo piatto. Se con il primo (solitamente una zuppa) in tavola era presente del pane, viene portato via perché carni e pesce si accompagnano con verdure miste ma soprattutto e sempre con patate bollite.
Le patate schiacciate sono un ingrediente importante di molti piatti inglesi, come la shepherd's pie. Le patate novelle sono considerate prelibate in Europa Settentrionale (Danimarca, Svezia, Finlandia): servite lesse e insaporite con aneto, fanno da contorno alle aringhe del Baltico. Il piatto nazionale della cucina lituana, gli cepelinai, è una sorta di gnocco, ottenuto da patate grattugiate e ripieno di carne e/o formaggio.
Si dice scherzosamente che gli inglesi parlino soprattutto del tempo atmosferico; ebbene invece gli irlandesi, immancabilmente, ad ogni pasto disquisiscono sulla bontà e la qualità delle patate, tanto più apprezzate quanto più farinose e capaci quindi di trattenere il burro salato che si usa per condirle. "Ball of flour" (palla di farina) è il miglior "complimento" per una patata in Irlanda. Molti (ma non tutti) la mangiano con la buccia. Persino nei ristoranti cinesi in Irlanda, qualsiasi piatto prevede, oltre ai classici tipi di riso, l'accompagnamento di patate fritte.
Prodotti industriali
Uno dei principali prodotti industriali derivati da patate sono le patate congelate, che costituiscono la grande maggioranza delle patate fritte servite nei ristoranti e nei fast food. Si calcola che questo tipo di consumo riguardi oltre 11 milioni di tonnellate all'anno.
Un altro prodotto industriale sono gli snack a base di patata (le cosiddette "patatine"), diffusi in moltissimi paesi. Le patatine sono preparate tagliando e friggendo delle fettine sottili di patate. Il prodotto viene poi confezionato con sapori diversi, dal solo sale ad altre tipologie di aromi più elaborate. Alcuni tipi di snack sono preparati utilizzando un impasto di fiocchi di patate disidratati.
I fiocchi di patate vengono prodotti facendo essiccare un impasto di patate bollite e sono utilizzati in diversi prodotti alimentari, dai preparati per purè agli snack.
Un altro prodotto disidratato è la fecola di patate ricavata dall'essiccamento di patate bollite; la fecola è di colore bianco (viene infatti anche chiamata farina di patate), priva di glutine, ricca di amido ed è utilizzata nell'industria alimentare come addensante per salse; essa si trova normalmente in commercio ed è utilizzata per rendere più soffici i prodotti di pasticceria.
Come scegliere
Bisogna scegliere le patate, di qualunque varietà esse siano, senza macchie alla buccia, non raggrinzite, non soffici, anche la polpa deve essere esente da macchie e da odori sgradevoli; soprattutto non devono essere germogliate: la germogliazione infatti eleva di parecchio il livello di solanina normalmente presente nel tubero in quantitativi insignificanti, esponendo il consumatore a reale rischio di disturbi come vomito, dispnea, polso frequente e in qualche caso di enterite. La presenza eccessiva di solanina, velenosa in concentrazioni superiori a 400 mg. per chilo di patate, è attestata dalla colorazione verde che qualche volta si nota sotto la buccia o i germogli.
Come conservare
Occorre conservare bene le patate affinché non germoglino troppo rapidamente o non diventino verdi o nere.
Durante la conservazione bisogna evitare sia le temperature troppo elevate, che favoriscono la comparsa dei germogli, sia le temperature troppo basse che invece addolciscono la patata. È meglio quindi scegliere un luogo fresco (6 - 8°C), come la verduriera del frigo, per esempio. Le patate devono essere conservate al riparo dalla luce per evitare che diventino verdi e assumano un sapore amaro

Capsicum L. è un genere di piante della famiglia delle Solanaceae, originario delle Americhe ma attualmente coltivato in tutto il mondo. Oltre al noto peperone, il genere comprende varie specie di peperoncini piccanti, ornamentali e dolci.
Secondo alcuni, il nome latino "Capsicum" deriva da "capsa", che significa scatola, e deve il nome alla particolare forma del frutto (una bacca) che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto che significa mordere, con evidente riferimento al piccante che "morde" la lingua quando si mangia.
Il peperoncino piccante era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5500 a.C. era conosciuto in Messico, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la sola spezia usata dagli indiani del Perù e del Messico. In Europa il peperoncino giunse grazie a Cristoforo Colombo che lo portò dalle Americhe col suo secondo viaggio, nel 1493. Poiché Colombo sbarcò in un'isola caraibica, molto probabilmente la specie da lui incontrata fu il Capsicum chinense, delle varietà Scotch Bonnet o Habanero, le più diffuse nelle isole.
Introdotto quindi in Europa dagli spagnoli, ebbe un immediato successo, ma i guadagni che la Spagna si aspettava dal commercio di tale frutto (come accadeva con altre spezie orientali) furono deludenti, poiché il peperoncino si acclimatò benissimo nel vecchio continente, diffondendosi in tutte le regioni meridionali, in Africa ed in Asia, e venne così adottato come spezia anche da quella parte della popolazione che non poteva permettersi l'acquisto di cannella, noce moscata, ecc.
Il frutto venne chiamato peperone a causa della somiglianza nel gusto (sebbene non nell'aspetto), con il pepe, Piper in latino. Il nome con il quale era chiamato nel nuovo mondo in lingua nahuatl era chilli o xilli (leggi cìlli o scìlli), e tale è rimasto sostanzialmente nello spagnolo del Messico e dell'America Centrale (chile) e nella lingua inglese (chili) e pure in alcuni nomi di varietà, come il chiltepin (C. annuum var. aviculare), derivato dalla Lingua nahuatl chilitecpintl o peperoncino pulce, per le dimensioni e il gusto ferocemente piccante. Il chiltepin è ritenuto l'antenato di tutte le altre specie. Nei paesi del Sudamerica di lingua spagnola e portoghese, invece, viene comunemente chiamato ají, modernizzazione dell'antillano asci. La parola in lingua quechua per i peperoncini è uchu, come nel nome usato per il rocoto dagli Inca: rócot uchu, peperoncino spesso, polposo.
Il Capsicum annuum è un arbusto perenne a vita breve che, in condizioni di clima sfavorevole, viene coltivato come annuale. Le piante si presentano sotto forma di cespuglio alti da 40 a 80 cm (a seconda della specie) con foglie di colore verde chiaro. I fiori hanno la corolla bianca avente da 5 a 7 petali con stami giallo tenue. Le altre specie hanno portamenti diversi: C. frutescens significa "a forma di arbusto", mentre molte varietà di C. chinense arrivano a 2 metri nei paesi d'origine. Anche la resistenza al clima freddo e caldo varia: il tabasco (C. frutescens) e il rocoto (C. pubescens), ad esempio, resistono anche a -5 C° per brevi periodi, mentre l'habanero (C. chinense) è molto sensibile all'insolazione: se eccessiva causa scottature sui frutti. Il Capsicum pubescens ha fiori viola e semi neri, il Capsicum baccatum presenta delle macule sulla corolla, il Capsicum chinense ha corolla bianca o verdognola e stami viola, con 2 o più fiori per nodo. Il Capsicum frutescens ha anch'esso corolla verdognola e stami viola, ma i fiori sono singoli.
Tutte le specie possono essere coltivate in Italia, anche in balcone, seminando verso febbraio al Centro e al Sud e marzo al Nord, mentre i frutti si possono raccogliere in estate e in autunno. Questi andrebbero usati subito dopo la raccolta affinché non perdano le loro proprietà, ma si possono conservare anche sott'olio o in polvere (dopo averli fatti seccare al sole), oppure congelandoli. La semina avviene in febbraio-marzo, a seconda del clima, possibilmente in ambiente riscaldato a temperatura di circa 25-30 °C, con composta da semi, ½ torba e ½ sabbia. Alcune varietà, soprattutto i C. chinense e il chiltepin, hanno lunghi tempi di germinazione. Questi possono essere ridotti con una corretta concimazione, e una temperatura della composta di 30-35 °C di giorno, e circa 20 °C di notte. Allo spuntare della seconda coppia di vere foglie, si ripicchettano le piantine in contenitori singoli, per poi mettere a dimora dopo le ultime gelate, e comunque quando la temperatura notturna non scende sotto i 15 °C (aprile - maggio). Il terreno dev'essere sciolto, acido, ben drenato con una buona componente sabbiosa, non troppo fertilizzato: un uso eccessivo di nitrati porterebbe a bellissime piante fogliose, con pochissimi o nessun fiore, e quindi frutti. Va bene una composta John Innes numero 2: successive concimazioni dovrebbero limitarsi a potassio, fosforo e microelementi. Va somministrato nuovamente dell'azoto solo se la pianta viene fatta svernare, alla ripresa vegetativa.
Al contrario di quanto si pensa, il peperoncino ha bisogno di molta acqua durante la coltivazione, senza però creare ristagni. Per aumentare il gusto piccante dei frutti, basta diminuire le innaffiature, anche azzerandole, nelle 48-72 ore precedenti la raccolta, stando attenti a non far morire la pianta. Un'altra tecnica è quella di annaffiare solamente quando le foglie si sono abbassate, un chiaro indice di scarsità d'acqua.
Per favorire la maturazione dei frutti, si può aumentare il tenore di potassio del terreno, ad esempio con del solfato di potassio.
C. chinense richiede molto calcio, che può essere aggiunto tramite farina d'ossa o equivalente. Quando la pianta ferma la crescita e le nuove foglie avvizziscono, è un indizio della carenza di calcio.
Essendo perenni a vita breve, possono essere fatte svernare in casa, in una posizione calda e assolata. Devono essere portate all'interno o in serra quando la temperatura di notte scende sotto i 10 °C (le tropicali, sotto i 15 °C), mentre di giorno possono essere portate fuori se la temperatura si mantiene sopra i 15-20 °C. D'inverno le piante possono perdere le foglie, e necessitano una potatura per lo meno dei rami secchi in marzo.
Il metodo solitamente utilizzato è la riproduzione per seme, anche se è possibile fare delle talee di rami semi-maturi, lunghe 10 - 15 cm, trattando le estremità con ormone radicante e mettendole in cassone freddo con composta da radicazione, trapiantando poi a dimora in vaso o in terra nello stesso periodo delle piantine ottenute da semi. Tale metodo è indicato per ringiovanire una pianta fatta svernare all'interno o in serra. È possibile l'innesto su solanacee più resistenti, tipo il solanum capsicastrum o il solanum jasminoides, tuttavia non è una pratica molto diffusa, sia per la scarsa percentuale di successo, sia per la difficoltà dell'innesto con piante semilegnose.
Il peperone è attaccato da diversi insetti e funghi. Tra gli insetti rivestono maggiore importanza la mosca bianca (Trialeurodes vaporariorum), la nottua (Agrotis ipsilon), la minatrice americana (Liriomyza trifolii) e un afide, Macrosiphum euphorbiae. Tra i funghi, i più importanti sono la muffa grigia, il mal bianco, la cancrena pedale e le tracheomicosi causate da Fusarium oxysporum, Verticillium albo-atrum e Verticillium dahliae

Il pomodoro è una delle piante appartenenti alla famiglia delle Solanacee più diffusa; precisamente appartiene ad un’unica specie, che è Solanum lycopersicum, e tutte le varietà che si trovano in vendita, ovvero le cultivar, sono tutte della stessa specie.
Il pomodoro è una coltura tipica del centroamerica; importata con la scoperta dell’America, venne considerata una pianta ornamentale a causa del colore dorato dei suoi frutti.
In principio era considerata velenosa, e per questo non veniva mangiata; successivamente i botanici hanno provveduto, con una serie di incroci, a diminuire le sostanze tossiche al suo interno quando il frutto giunge a maturazione, donando al contempo il tipico colore rosso al frutto maturo; nelle diverse varietà esistono però oggi anche pomodori maturi gialli, verdi, rosa, viola oppure neri.
Il pomodoro è il frutto della pianta, che contiene al suo interno moltissimi semi (polisperma) e di cui si consuma la polpa. Il fatto che inizialmente fosse considerata velenosa dipende dal contenuto dall’interno della pianta di un alcaloide tossico, la solanina (classe di molecole che nel pomodoro comprende la deidrotomatina e l’alfa-tomatina), che si trova anche in altre piante della stessa famiglia. La solanina non viene distrutta con la cottura del pomodoro, ed è molto abbondante in tutte le parti della pianta, motivo per cui fusto e foglie non vengono utilizzate per scopo alimentare nemmeno per gli animali.
Il frutto immaturo contiene un’alta concentrazione di solanina, ma questa via via scompare, rendendolo così commestibile; i pomodori “da insalata”, nonostante il colore verde, sono però in fase di maturazione e questo li rende abbastanza poveri di solanina da poter essere consumati senza problemi.
Un altro composto che il pomodoro contiene è il licopene, che a differenza della solanina ha una funzione antiossidante, ovvero è in grado di legare i radicali liberi cellulari impedendo che facciano danni. Alcuni studi ritengono che questa sostanza abbia un certo effetto sulla prevenzione dei tumori, in particolare del tumore prostatico, per cui è consigliato il consumo di grandi quantitativi di pomodoro.
Cenni storici
Il pomodoro è nativo della zona dell'America centrale, del Sudamerica e della parte meridionale dell'America Settentrionale, zona compresa oggi tra i paesi del Messico e Perù. Gli Aztechi lo chiamarono "xitomatl", il termine "tomatl" indicava vari frutti simili fra loro, in genere sugosi. La salsa di pomodoro divenne parte integrante della cucina azteca. Alcuni affermarono che il pomodoro aveva proprietà afrodisiache, sarebbe questo il motivo per cui i francesi anticamente lo definivano "pomme d'amour", pomo d'amore. Si dice che dopo la sua introduzione in Europa sir Walter Raleigh avrebbe donato questa piantina carica dei suoi frutti alla regina Elisabetta, battezzandola con il nome di "apples of love" (pomo d'amore).
La data del suo arrivo in Europa è il 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in patria e ne portò gli esemplari; ma la sua coltivazione e diffusione attese fino alla seconda metà del XVII secolo. Arriva in Italia nel 1596 ma solo più tardi, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud Campania-Napoli, si ha il viraggio del suo colore dall'originario e caratteristico colore oro, che diede appunto il nome alla pianta, all'attuale rosso, grazie a selezioni e innesti successivi.
Inizialmente si pensò che fosse una pianta velenosa in quanto somigliava all'erba morella Solanum nigrum. Difatti, di fronte al dubbio, venne adottata assieme alla patata e a quella americana, come pianta decorativa. I più ricchi situavano questi alimenti stranieri in bei vasi che ornavano le finestre e i cortili. I primi pomodori che arrivarono in Spagna furono piantati nell'orto del medico e botanico Nicolàs Monardes Alfaro, autore del libro Delle cose che vengono portate dall'Indie Occidentali pertinenti all'uso della medicina (1565 - 1574): per la prima volta il pomodoro viene inteso come coltura con proprietà curative. Gradualmente si comprese che poteva avere un utilizzo farmacologico e gastronomico. Non è ben chiaro come e dove, nell'Europa barocca, il frutto esotico di una pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie di credenze e dicerie popolari, comparisse sulla tavola di qualche coraggioso (oppure affamato) contadino. Infatti, gli stessi indigeni del Perù, i primi coltivatori del pomodoro, non mangiavano i frutti della pianta, usata invece a solo scopo ornamentale e come tale fu conosciuta dagli Europei: nel 1640 la nobiltà di Tolone regalò al cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro, e sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di pomodoro alle dame, come atto d'amor gentile. Così la coltivazione del pomodoro, come pianta ornamentale, dalla Spagna, forse attraverso il Marocco, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando il clima adatto per il suo sviluppo, soprattutto in Italia, nella regione dell'Agro nocerino-sarnese, tra Napoli e Salerno.
Scarsissima è, inoltre, la documentazione relativa all'uso alimentare: le prime sporadiche segnalazioni di impiego del suo frutto come alimento commestibile, fresco o spremuto e bollito per farne un sugo, si registrano in varie regioni dell'Europa meridionale del XVII secolo. Soltanto alla fine del Settecento la coltivazione a scopo alimentare del pomodoro conobbe un forte impulso in Europa, principalmente in Francia veniva consumato soltanto alla corte dei re nell'Italia meridionale nella zona di Napoli si diffuse rapidamente tra la popolazione, storicamente oppressa dai morsi della fame, facendolo diventare un ortaggio tipico e fondamentale della cucina Campana, dove sono diffuse parecchie industrie e coltivazioni di pomodoro.
Nel 1762 ne furono definite le  tecniche di conservazione in seguito agli studi di Lazzaro Spallanzani che, per primo, notò come gli estratti fatti bollire e posti in contenitori chiusi non si alterassero. In seguito, nel 1809, un cuoco parigino, Nicolas Appert, pubblicò l'opera L'art de conserver les substances alimentaires d'origine animale et végétale pour pleusieurs années, dove fra gli altri alimenti era citato anche il pomodoro.
La prima classificazione botanica fu a cura di Carlo Linneo nel 1753, in genere Solanum, come Solanum lycopersicum (lycopersicum deriva dal greco, letteralmente pesca dei lupi).
Nel 1768 tuttavia Philip Miller cambiò il nome, sostenendo che le differenze dalle altre piante del genere Solanum, quali patata e melanzana, erano sostanziali, tali da giustificare la creazione di un nuovo genere: da qui il nuovo nome scientifico di Lycopersicon esculentum. Questo nome ebbe notevole successo, sebbene fosse contrario alle regole di nomenclatura vegetale, secondo cui, se si sposta la specie in un nuovo genere, l'epiteto specifico (lycopersicum) non deve essere cambiato, ma solo il nome del genere: Hermann Karsten corresse l'errore nel 1881 e pubblicò il nome formalmente corretto Lycopersicon lycopersicum.
La controversia sul nome scientifico del pomodoro non è tuttavia finita. Innanzitutto il nome di Miller era fino a poco fa il più usato, nonostante l'errore indicato prima. Poi, le moderne tecniche di biologia molecolare hanno permesso di creare precisi alberi filogenetici, che hanno indicato come il pomodoro in realtà faccia parte veramente del genere Solanum, dando sostanzialmente ragione a Linneo. Il nome ufficiale è oggi quindi Solanum lycopersicum, sebbene il nome di Miller rimanga ancora in uso in molte pubblicazioni.
Generalità
Tutte le parti verdi della pianta sono tossiche, in quanto contengono solanina, un glicoalcaloide steroidale che non viene eliminato nemmeno per mezzo dei normali processi di cottura; per tale motivo, il fusto e le foglie non vengono utilizzati a scopo alimentare.
Anche il frutto contiene solanine (α-tomatina e deidrotomatina) ma in quantità molto basse: il frutto maturo rosso ne contiene da 0,03 a 2,3 mg/100 gr di peso fresco, il pomodoro giallo-rossastro per insalata ne contiene mediamente 6 mg/100 gr di peso fresco, mentre il pomodoro verde per insalata ne contiene mediamente 9 mg/100 gr di peso fresco. Va precisato che il pomodoro verde per insalata si trova in realtà all'inizio della maturazione e contiene una quantità di solanine assai inferiore al frutto verde completamente immaturo, dove il contenuto di solanine può superare i 50 mg/100 gr di peso fresco.
Il frutto maturo è ricco di principi nutritivi seppure a basso contenuto calorico, ed è comunemente utilizzato a scopi alimentari, in insalata o come ingrediente nella preparazione di salse e piatti cotti, come la pizza. Il succo o il centrifugato di pomodoro, assunti come bevanda rendono disponibile all'organismo una quantità significativa di licopene, un antiossidante che si ritiene possa svolgere una certa funzione protettiva rispetto al rischio di tumori alla prostata.  Il succo di pomodoro costituisce anche, con l'aggiunta di vodka, tabasco, limone, sale e pepe, la base di un cocktail Bloody Mary solitamente servito come aperitivo (viene talora chiamata Virgin Mary la versione analcolica dello stesso cocktail, che si riduce a succo di pomodoro condito come sopra).
Nelle zone temperate, la pianta del pomodoro non sopravvive al clima invernale, e quindi è coltivata come annuale.
Per i pomodori da tavola si preferisce la semina in semenzaio, con successivo trapianto sul terreno.
In generale la pianta ha andamento strisciante. Nei climi mediterranei, come molte colture orticole di origine esotica, il pomodoro può soffrire gli effetti dell'accumulo di umidità, dei parassiti, e di diverse fitopatologie. Per questo la coltivazione a terra può causare deterioramento delle bacche e della pianta in generale, ed è necessaria normalmente l'installazione di sostegni. Alcune varietà, più basse e robuste, non hanno tuttavia bisogno di essere sostenute, ed i frutti più robusti non sono danneggiati dal contatto con il suolo; naturalmente tali frutti (a buccia dura), non sono adatti per il consumo fresco, ma sono ottimi per la produzione di derivati. I frutti maturi possono piegare i rami portandosi a contatto con il terreno, fattore che ne velocizza il deterioramento. È quindi consigliabile posizionare uno strato di paglia o di materiale isolante alla base delle piante.
 I pomodori gradiscono esposizione piuttosto assolata, anche se nelle ore più calde questo può causare sofferenza sia alla pianta che ai frutti; per alcune varietà con clima molto soleggiato è consigliabile un leggero ombreggiamento. Il terreno deve essere ben fertilizzato; moderata ma regolare irrigazione.
Come è ovvio, per un frutto composto in gran parte da acqua, la natura del suolo e dell'acqua di irrigazione influisce in modo sensibile circa la qualità del frutto stesso; la temperatura dell'acqua di irrigazione non deve mai essere molto diversa dalla temperatura ambiente da causare shock termici. Per questo motivo si consiglia l'irrigazione alla mattina, o al tramonto.
Per aumentare la produttività ed evitare che l'eccessivo sviluppo della parte verde sottragga risorse alla pianta, le varietà indeterminate vanno sottoposte alla sfemminellatura o scacchiatura, che consiste nell'eliminazione dei germogli cosiddetti ascellari. Questi sono riconoscibili perché nascono alla base di una ramificazione già esistente e danno luogo allo sdoppiamento del fusto della pianta. Nella coltivazione vengono usualmente eliminati con le dita non appena si presentano. Se lasciati crescere tuttavia anche questi producono fiori e frutti, al pari del corpo principale della pianta.
La raccolta è fatta prevalentemente a mano. Molte qualità di pomodoro, quando giungono a maturazione, modificano la base del picciolo, che diventa fragile, il distacco della bacca risulta quindi molto agevole. Alcune varietà industriali sono selezionate per la raccolta meccanizzata, con accentuata caratteristica di distacco della bacca e buccia particolarmente robusta; alla estirpazione della pianta ed al suo scuotimento i frutti cadono al suolo senza danneggiarsi, dove sono raccolti.
Spesso le varietà adatte alla raccolta meccanizzata sono a sviluppo determinato, ossia, una volta raggiunto un certo iniziale grado di produzione dei frutti esse smettono di svilupparsi, in tal modo la cessata produzione di altri fiori ed altri frutti in varie fase di maturazione, permette la quasi completa raccolta in una unica soluzione dei frutti presenti.
In condizioni normali invece la pianta è a sviluppo "indeterminato", ciò deriva dal fatto che naturalmente la pianta tende ad avere uno sviluppo pluriennale, e quindi continua, in clima sufficientemente caldo, a produrre fiori e frutti in diversa fase di sviluppo
Varietà
Nonostante le cultivar rosse siano più diffuse in commercio, le bacche del pomodoro possono assumere colorazioni differenti.
Si va dalle cultivar di colore bianco (white queen, white tomesol) a quelle di giallo (douce de Picardie, wendy, lemon), rosa (thai pink), arancioni (moonglow), verdi anche a maturazione (green zebra), e persino nere violacee (nero di Crimea, purple perfect). Alcune varietà scure sono state appositamente selezionate, con tecniche tradizionali (ma anche OGM), per ottenere una pigmentazione del frutto da antocianine (pomodoro nero, blu, o viola per usufruire delle proprietà antiossidanti associate di tali pigmenti (nomi commerciali: "Indigo Rose", "Sunblack", ecc.).
In alcune cultivar la buccia è leggermente pelosa, simile alla pelle di una pesca.
Esistono pomodori lunghi (San Marzano), rotondi e molto grossi (beefteak), a forma di ciliegia, riuniti in grappoli (reisetomaten), e persino cavi all'interno (tomate à farcir).
Fra le varietà più semplici da coltivare vi sono:
The Amateur: a cespuglio, dai frutti di media grandezza, molto gustosi, ottima per iniziare.
Moneymaker: fra le varietà più note e affidabili, produce numerosi frutti di grandezza medio-piccola.
Gartenperle: varietà precoce, a cespuglio, è ideale per la crescita in vaso. Produce numerosi piccoli frutti, del tipo ciliegino.
Marmande: cultivar tardiva, molto nota dai frutti, grossi e saporiti, simili a quelli del pomodoro di Belmonte.
A seconda delle cultivar, la raccolta può avvenire da 40-50 giorni a oltre 120 giorni dal trapianto.
Trasformazione industriale
L'industria del pomodoro è creatura tipicamente italiana. La sua culla sarebbe stata Parma, nelle cui campagne dopo la metà dell'Ottocento i contadini producevano pani di polpa essiccata, al sole, e non per nulla chiamati "pani neri". Avrebbe imposto la svolta l’agronomo Carlo Rognoni, docente all'Istituto tecnico di Parma, che avrebbe sperimentato la coltura, nei propri poderi, dal 1865, e sarebbe stato protagonista della diffusione, prima del 1895, dei primi processi razionali, presto adottati da numerosi laboratori artigianali. A Parma, dove il pomodoro è destinato a diventare la tra le specie orticole più coltivate, fino al 1880 non rientra tra le abitudini alimentari del mondo contadino. Ma di lì a poco, in queste terre, si sarebbe assistito all’avvento dell’industria della trasformazione del pomodoro, che ancora oggi rappresenta una delle più importanti realtà dell’economia italiana.
In seguito al successo della propria industria conserviera piemontese, nel 1875 l'astigiano Francesco Cirio creò a Napoli la prima industria conserviera meridionale.
I laboratori che dichiarano la propria attività, a Parma, alla Camera di Commercio, sono 4 nel 1893, 5 nel 1894, 11 nel 1896. L'industria parmense acquisisce un autentico primato europeo dopo l'importazione dalla Francia, nel 1905, delle apparecchiature per la condensazione del concentrato di pomodoro sottovuoto.
Le imprese parmensi sono, l'anno medesimo, 16, tutte dotate di apparecchiature moderne, quando da Parma l'industria inizia a dilatarsi alla finitima Piacenza. Insieme le due province conseguiranno l'indiscusso primato mondiale del "concentrato", mentre la grande industria di Cirio nel Mezzogiorno si specializzerà piuttosto nei "pelati", ottenuti dal tipico pomodoro campano, il San Marzano. Attualmente, il pomodoro è coltivato su una superficie di 135.000 ha con una produzione media di 33 t/ha di cui il 30% destinata al consumo fresco ed il 70% all’industria conserviera. L’industria ne impiega il 50% per i concentrati, il 30% per i pelati e il resto per triturati, passati, ecc.
Uso del pomodoro in cucina
L’utilizzazione del pomodoro, o di suoi derivati, nella cucina mediterranea ed extra-mediterranea, è talmente diffusa che sembra impossibile immaginare che la pizza, la pasta e tanti altri piatti, sono nati e vissuti a lungo (la pizza per millenni) senza la sua presenza, così come sembra strano che il pomodoro non sia nato nel bacino del Mediterraneo, ma ha origini ben più esotiche e solo in tempi relativamente recenti è divenuto un alimento principe della cucina italiana.
Il termine italiano “pomodoro”, invece, è riconducibile al colore giallo dei primi frutti apparsi in Europa, alla fine del ’500, soppianti poco dopo da varietà a frutto rosso, anch’essi presenti nell’America Meridionale; dal Messico, dove era coltivato in mezzo al mais, il pomodoro giunse in Spagna. Attraverso il possedimento spagnolo di Napoli, nel sec. XVI, il pomodoro, inizialmente considerato una pianta medicinale entrò nella cucina italiana, attribuendogli il nome di “mela d’oro” o “pomo d’oro” e attraverso Genova e Nizza lo trasmisero ai provenzali, utilizzato prevalentemente per abbellire i balconi.
Dalla Spagna, al seguito degli Arabi, il pomodoro giunse in Sicilia, dove si ritrovano le più antiche ricette italiane a base di pomodoro, soprattutto sughi per condire la pasta, in alternativa ai condimenti a base di burro, formaggio e spezie.

Come scegliere

I pomodori devono avere la buccia soda e ben tesa, lucida, senza ammaccature e discretamente pesanti rispetto al loro volume. Il picciolo deve essere turgido e di un bel colore verde brillante. Devono avere un odore gradevole ed intenso.
Come conservare
Conservare i pomodori in frigorifero nello scomparto della frutta e verdura, oppure in un luogo fresco e asciutto. Non sono particolarmente delicati e si possono mantenere tranquillamente per 6-7 giorni.


La melanzana (Solanum melongena L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae, coltivata per il frutto commestibile.
La melanzana, originaria dell'India, viene introdotta dagli Arabi all'inizio del IV secolo e quindi non ha un nome latino o greco. Gli Arabi chiamano la melanzana badingian e in Italia venne inizialmente chiamata petonciana o petonciano o anche petronciano. Per evitare fraintendimenti sulle sue proprietà, la prima parte del nome venne mutata in mela (ovvero frutto per antonomasia) dando così origine al termine melangiana e poi melanzana. Il nome melanzana, in particolare, veniva popolarmente interpretato anche come mela non sana, proprio perché non è commestibile da cruda. Dalla forma araba con l'articolo (al-badingian) derivano invece la forma catalana (albergínia) e francese (aubergine).
La melanzana (Solanum melongena L.) è una pianta erbacea, eretta, alta da 30 cm a poco più di un metro. I fiori grandi, solitari, sono violacei o anche bianchi. I frutti sono bacche grandi, allungate o rotonde, normalmente nere, commestibili dopo la cottura.
La melanzana rossa è una pianta d'aspetto simile alla melanzana per portamento ma il suo frutto arrotondato si colora di rosso intenso come un pomodoro, tanto da essere scambiata per quest'ultimo. Coltivata essenzialmente in Africa e in Asia.
Proprietà
La melanzana cruda ha un gusto amaro che si stempera con la cottura, che rende inoltre l'ortaggio più digeribile e ne esalta il sapore. D'altra parte, la melanzana ha la proprietà di assorbire molto bene i grassi alimentari, tra cui l'olio, consentendo la preparazione di piatti molto ricchi e saporiti. Per questi motivi la melanzana viene consumata preferibilmente cotta. La normale cottura non è in grado di eliminare del tutto la solanina, che si degrada completamente a temperature molto più alte (circa 243 °C); ciò però non è un problema, perché nella melanzana il contenuto di solanine (α-solanina, solasonina e solamargina) è pari a 9–13 mg/100 gr di peso fresco, ben al di sotto della quantità ritenuta accettabile per gli ortaggi (20–25 mg/100 gr di peso fresco).
Esigenze colturali
La melanzana, originaria di climi subtropicali, richiede climi non eccessivamente freddi. La crescita comunque s'arresta quando la temperatura scende sotto i 12 °C. La resa media è di circa 25 t/ha. La melanzana andrebbe coltivata in terreni fertili e ben drenati, in posizione soleggiata ma riparata. Ha bisogno di un clima che non sia né troppo freddo, né troppo umido né ventoso. È possibile coltivarla in vasi di 23 cm con del terriccio.
Cucina
Si consuma fritta, cotta al forno o grigliata, alcune preparazioni tipiche sono: la parmigiana di melanzane, la moussaka, la ratatouille e la caponata.
Valori Nutrizionali
Anche se giunte in Europa in epoca relativamente recente (XIII sec.) la loro coltivazione si diffuse rapidamente, con produzione in Italia di varietà di pregio come la Violetta, di notevole valore gastronomico,ma anche salutistico. Le melanzane possiedono, infatti, un discreto contenuto vitaminico e minerale e soprattutto di alcuni polifenoli che svolgono attività antiossidante proteggendo l’organismo dai radicali liberi. Da un punto di vista terapeutico, la melanzana è consigliata nella cura dell’insufficienza epatica per la sua azione stimolante le vie biliari; ma è soprattutto indicata nelle diete dimagranti perché, oltre al contenuto vitaminico e minerale, possiede un modesto rendimento calorico (18 calorie per 100 g) in quanto ha un elevato contenuto di acqua, pari ad oltre il 90%, ed è praticamente priva di grassi. Non va inoltre sottovalutata la presenza di fibre che proteggono l’intestino e limitano l’assunzione del colesterolo e dei trigliceridi, svolgendo attività protettiva nei confronti delle malattie vascolari.
Cenni Storici
La melanzana è originaria dell'India ma già durante la preistoria era coltivata in Cina e in altri paesi dell'Asia centrale. In Europa però sembra che non fosse conosciuta fino a circa 1500 anni fa: la diffusione in Europa di nomi derivati dall'arabo e la mancanza di nomi antichi latini e greci indicano che fu portata nell'area mediterranea dagli arabi agli inizi del Medioevo. In Europa, la prima regione che ha conosciuto la melanzana pare sia stata l'Andalusia, nel sud della Spagna. In Italia la melanzana viene cucinata a partire dal Quattrocento.
Coltivazione
La melanzana (Solanum melongena L.) viene coltivata nelle regioni a clima temperato e caldo. La pianta è originaria dell'India ma ha un secondo centro di diversificazione in Cina; il 90 per cento della superficie mondiale è coltivata in Asia. L'interesse verso la coltura è cresciuto negli ultimi quindici anni durante i quali, nei principali Paesi produttori, si è assistito ad un aumento della superficie e delle produzioni areiche.
In Italia la melanzana è coltivata soprattutto nelle zone meridionali dove si concentra il 75 per cento della produzione; le regioni dove la coltura è maggiormente diffusa in pien'aria sono la Campania, il Lazio, la Puglia, la Sicilia e la Calabria.
Varietà
La Melanzana di Murcia con foglie e fusto spinosi, frutto violetto, rotondo;
La Melanzana rossa DOP di Rotonda, con una forma simile ad un pomodoro, colore rosso-arancione, polpa fruttata e un sapore leggermente piccante, appartiene ad altra specie.
La Black Beauty, di forma ovale e di colore viola scuro;
La Gigante bianca di New York, dal frutto enorme, bianco sfumato di violetto con caratteristica forma a borsetta;
La Larga Morada, di colore rosato striata di viola e dal gusto delicato;
La Precoce di Barbentane, di forma allungata;
La Violetta di Napoli, dalla forma allungata e dal sapore più forte e piccante;
La Bianca ovale, pianta vigorosa e rustica adatta a vari ambienti climatici, che produce frutti di colore bianco avorio, di forma ovale, con pochi semi; è poco coltivata in Italia;
La Tonda comune di Firenze (o “Melanzana violetta pallida”), si è imposta sul mercato di Firenze per i suoi frutti rotondeggianti a polpa tenera, compatta e poco acida e con pochissimi semi, dalla buccia viola chiaro caratteristica;
La Violetta lunga migliorata delle cascine, pianta vigorosa molto produttiva, dal frutto allungato, violetto un po’ claviforme;
La Violetta lunga palermitana con frutto di grande dimensioni, allungato, claviforme, di colore violetto scuro;
La Violetta nana precoce con frutto più piccolo delle precedenti ma molto precoce.
Come scegliere
La buccia deve essere liscia e lucida, la polpa deve risultare compatta al tatto e i frutti devono dare una sensazione di peso. La mancanza di questi caratteri è indice di prodotto scadente spesso con polpa vuota e, probabilmente, amara. Indice di freschezza è lo stato della guaina del peduncolo che deve presentare un taglio fresco nella parte più alta dell’attaccatura alla pianta. La protuberanza alla fine del frutto (umbone) è tipica delle produzioni in serra delle melanzane durante le stagioni fredde; questi frutti non hanno semi e sono più acquose delle melanzane prodotte in pieno campo d’estate, le quali, però, possono presentare molti semi e risultare amare.
Come conservare
La temperatura ideale è di 10-13°C; al di sotto di 10°C possono subire dei danni (tacche sulla buccia); pertanto, vanno tenute a temperatura ambiente durante l’inverno e in frigorifero nel comparto frutta e ortaggi d’estate, dove si possono tenere sfuse o in sacchetti in polietilene per mantenere meglio la turgidità della bacca e la brillantezza della buccia; ma durano solo pochi giorni (3 o 4). Per periodi più lunghi, le melanzane possono essere surgelate grigliate su piastra su entrambi i lati. La grigliatura induce una discreta disidratazione e una parziale cottura dell’ortaggio, che lo rendono molto più stabile durante la successiva conservazione.

10 ORTAGGI (2^ Edizione)

 

Ortaggi. In queste 360 pagine ho raccolto oltre 250 schede di prodotti, metodi di lavorazione e tecniche di cucina pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO
(https://dallapartedelgusto.blogspot.com/).
Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. Ortaggi, che spettacolo vedere i banchi dei prodotti dell'orto traboccare di colori in ogni stagione. Ed i sapori? In cucina lo spettacolo visivo si muta in spettacolo aromatico. Senza giungere agli eccessi di una dieta vegetariana sbilanciata, gli ortaggi sono salute... e risparmio. In ogni stagione la verdura sta sulla nostra tavola. Ma una conoscenza più approfondita ci fa scoprire che ogni tipo di ortaggio ha molte varianti. Si deve conoscerle e, se è il caso, acquistarle. Con questo semplice gesto avremo dato il nostro piccolo ma decisivo contributo alla pratica della biodiversità alimentare. Oggi la disponibilità di prodotti di qualità è enormemente cresciuta grazie a metodologie di trasporto veloci e conservazione sicure. Non limitiamoci a ciò che ci propone il nostro ortolano di fiducia. Se lo stimoliamo al meglio, lui ci darà il meglio.

BRANCALEONE FOX TERRIER

“Brancaleone Fox Terrier” è il primo di un ciclo di volumi che Jean Jacques Bizarre, nom de plume di un bon vivant di origini parigine, ha dedicato alla Liguria, terra che conosce molto bene poiché vi ha risieduto a lungo in compagnia del suo adorato cane, costantemente attorniato dalle sue amicizie senza confini. Il libro è scritto sotto forma di diario che è anche guida turistica e gastronomica romanzata. Il volume si compone di 682 pagine. Leggendolo conoscerete luoghi, miti, leggende, eventi, itinerari, ristoranti e quanto di buono si può trovare in questa affascinante terra. Ma Jean Jacques ha anche aperto a voi le porte del suo cuore e delle sue grandi passioni: le belle donne e la buona cucina (non necessariamente nell’ordine).