lunedì 1 luglio 2024

Corso di Tecniche dell'alimentazione: Lezione 9 CONOSCERE IL RISO

RISO GENERALITA'
Il riso (Oryza sativa L., dal greco antico òryzha, όρυζα) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Gramineae, di origine asiatica. Insieme alla Oryza glaberrima, dal pericarpo pigmentato rosso coltivata in Africa, è una delle due specie di piante da cui si produce il riso.
L'Oryza sativa costituisce la stragrande maggioranza in quanto coltivata su circa il 95% della superficie mondiale di riso. Le origini del riso non sono certe, si ritiene che le varietà più antiche siano comparse oltre quindicimila anni fa lungo le pendici dell'Himalaya. L'unica cosa che sappiamo per certo sulle origini di questo alimento è che è nato in Asia, precisamente in Cina verso il VI millennio a.C. Costituisce il cibo principale per circa la metà della popolazione mondiale e viene coltivato in quasi tutti i paesi del mondo.
Esistono 3 sottospecie:
Indica, tipica dei climi tropicali, alto valore di mercato, cariosside lunga e sottile, produttività media e coltivata in India, Cina meridionale, Filippine, USA meridionale, Italia, Brasile;
Japonica, tipica dei climi temperati, produttività alta, cariosside corta e arrotondata, basso valore di mercato, coltivata in Giappone, Corea, Cina settentrionale, USA, Egitto, Italia;
Javanica, di minore importanza.
La Japonica è la sottospecie maggiormente coltivata in Italia, tipicamente usata per i risotti. A sua volta si divide in 4 tipologie:
Risi comuni (tondi e piccoli)
Risi semifini (tondi di media lunghezza)
Risi fini (affusolati e lunghi)
Risi superfini (grossi e lunghi)
La pianta ha origini asiatiche: i cinesi la coltivavano a scopo alimentare già nel VI millennio a.C., così come testimoniato da diversi siti del neolitico, nella Cina orientale. Si diffuse poi in Mesopotamia, Persia, Egitto e infine in Europa.
È una pianta erbacea, alta da 120 a 195 cm (può raggiungere anche i 5 metri di altezza) con radici avventizie e embrionali, le quali hanno la caratteristica di sviluppare dei parenchimi aeriferi, che permettono al riso di vivere in ambiente acquatico. Il fusto (detto culmo) presenta internodi cavi e nodi pieni e si sviluppa in maniera simile al frumento. Ha foglie di colore verde chiaro, a forma di guaina, lunghe parecchi centimetri e larghe due, con peli bianchi, corti e spessi; la ligula è lunga e sono presenti auricole pelose. All'apice dello stelo presenta una pannocchia (infiorescenza a panicolo) terminale, a maturità pendente, costituita da spighette uniflore con fiori ermafroditi a sei stami e un pistillo; l'ovaia contiene un solo ovulo. Il frutto è una cariosside ellittica o sferica con glumelle molto sviluppate, la cariosside è vestita (risone), peso 25–45 mg, importanti sono le sezioni trasversali e longitudinali delle cariossidi per classificare le tipologie di riso, uno dei parametri è il rapporto lunghezza/larghezza, altro carattere è l'evidenziazione del dente (presenza dell'embrione) la striscia può essere più o meno scura, la perla può essere vitrea o perlata. A livello italiano la classificazione è: tondo, semifino, fino, superfino. Il risone una volta liberato delle glumette che lo racchiudono ed opportunamente lavorato (dopo la sbramatura-raffinatura a volte si esegue anche l'oleatura con olio di lino o di vaselina e la brillatura con talco e glucosio) presenta un colore bianco avorio e consistenza dura.
L'Italia, con 1,44 milioni di tonnellate di riso prodotti nel 2005, rappresenta il principale produttore europeo e il ventisettesimo a livello mondiale. La coltivazione è concentrata principalmente nelle regioni Piemonte e Lombardia, nel triangolo "d'oro" Vercelli-Novara-Pavia. Viene inoltre coltivato in provincia di Mantova ed in Emilia-Romagna in particolare nel basso ferrarese. Viene inoltre coltivato in Veneto, in particolare nella bassa Veronese (Isola della Scala), nel Vicentino centrale (Grumolo delle Abbadesse), in Sardegna nella valle del Tirso e in Calabria nella Piana di Sibari.
Varietà di riso
Arborio
Il riso Arborio è una varietà italiana di riso molto utilizzato nella preparazione dei risotti[1] selezionato da Domenico Marchetti.Prende il nome dal comune vercellese di Arborio, nella Pianura Padana, dove la varietà è stata selezionata.
Il chicco si presenta grande perlato e tende ad aumentare notevolmente di volume durante la cottura assorbendo acqua fino a cinque volte l'equivalente del suo peso[4].
L'Arborio è una cultivar del gruppo di varietà Japonica della specie Oryza sativa e rientra tra quelli superfini.
Baldo
Il Baldo è una varietà di riso superfino italiano introdotta nel 1977, derivato dall'incrocio dell'Arborio con Stirpe 136 e prevalentemente coltivato nel Vercellese, Novarese e Pavese. Il responsabile del mantenimento della purezza è l'Ente Risi.
Nonostante sia coltivato da decenni e non sia particolarmente conosciuto, viene considerato un riso emergente tra i migliori d'Italia. Negli anni recenti infatti sta riscontrando un crescente successo venendo impiegato sia nelle cucine dei professionisti, sia in quelle familiari, grazie alla sua consistenza (nei risotti si mantiene al dente se viene ben tostato al momento della cottura), ma soprattutto grazie al suo sapore.
Il Baldo ha un'ottima capacità di assorbire i condimenti rilasciando amido durante la cottura; è consigliato per la maggior parte dei risotti. I risotti risulteranno cremosi e amalgamati con una perfetta sintonia tra il riso e i condimenti, motivo per il quale viene sempre più spesso preferito ad altre varietà.
Come accade anche per altre note varietà di riso commercializzate in Italia (Carnaroli, Arborio, Rosa Marchetti), sotto il nome Baldo possono essere commercializzate anche altre varietà appartenenti alla stessa classe merceologica (ad esempio varietà Galileo). I criteri di classificazione infatti rispondono a logiche legate alla forma merceologica e non alla sostanza (per evidenti ragioni di mercato industriale). Risulta quindi non facile poter ottenere una confezione di riso Baldo realmente contenente tale varietà e non altre surrogate.
Basmati
Basmati è una varietà di riso a grano lungo, famosa per la sua fragranza e il gusto delicato.
Il suo nome in hindi significa "Regina di fragranza", "Ricco di aroma innato" e deriva dal sanscrito vasaymayup (vasay: aroma; mayup: intriso). Successivamente divenne vasumati nelle lingue prakite[che lingua?], e infine basmati che conosciamo oggi.
Nel 2000, l'azienda statunitense RiceTec (sussidiaria della RiceTec AG del Liechtenstein) tentò di brevettare tre linee create come ibridi del riso Basmati. Al tempo stesso tentarono di registrare il nome "basmati". Il governo indiano intervenne e il tentativo venne vanificato. Nel frattempo, la Commissione Europea ha accettato di proteggere il riso Basmati in base ai suoi regolamenti riguardanti le indicazioni geografiche.
Il riso Basmati viene coltivato in India e Pakistan da centinaia di anni, e alcune varietà vengono oggi coltivate anche negli Stati Uniti. Si dice che le colline ai piedi dell'Himalaya producano il miglior Basmati e la Dehra Dun è la più pregiata di queste varietà. Patna è il nome del riso Basmati coltivato nel Bengala Occidentale. Il riso basmati ha un IG di 58 contro i 90 del riso bianco, in quanto più ricco di amilopectina; è quindi adatto a chi segue una dieta, in quanto non fa innalzare repentinamente i livelli di glucosio nel sangue.
Secondo i principi dell'Ayurveda, il basmati si considera il re del riso, saatvic (puro), capace di nutrire i tessuti del corpo senza appesantirlo.
Carnaroli
Carnaroli è un riso a chicco medio originario di Pavia, Novara e Vercelli. Tradizionalmente il riso Carnaroli viene usato per preparare il risotto ed è diverso dal più comune riso Arborio per maggiore contenuto di amido, consistenza più soda e il chicco più lungo. Il riso Carnaroli tiene la cottura meglio rispetto ad altre varietà di riso durante la cottura lenta richiesta per fare il risotto, perché presenta maggiori quantità di amilosio. Appartiene alla classe del riso "superfino" e spesso è chiamato "re dei risi".
Come accade anche per altre note varietà di riso commercializzate in Italia (Baldo, Arborio, Rosa Marchetti), sotto il nome Carnaroli possono essere commercializzate anche altre varietà appartenenti alla stessa classe merceologica (ad esempio varietà Carnise, Keope). Purtroppo i criteri di classificazione rispondono a logiche legate alla forma merceologica e non alla sostanza (per evidenti ragioni di mercato industriale). Risulta quindi non facile poter ottenere una confezione di riso Carnaroli realmente contenente tale varietà e non altre surrogate. Nonostante sia allo studio da diversi anni una proposta di legge che vada a modificare le attuali regole della commercializzazione, allo stato attuale vi sono poche garanzie per garantire la scelta dei consumatori.
Un fattore importante per gli amanti di questa varietà è ricercare il Carnaroli prodotto da semente certificata. La garanzia di tracciabilità e autenticità data dalla semente è un elemento determinante per la distinzione delle peculiarità di tale varietà. Infatti grazie all'impiego di semente certificata, rinnovata ogni anno nel ciclo di certificazione previsto dall'ENSE (Ente Nazionale Sementi Elette) sì è certi di poter assaporare il gusto autentico.
Maratelli
Il Maratelli, è una varietà di riso semifino, costituita nel 1914 ad Asigliano Vercellese grazie a Mario Maratelli. Questa varietà è una cultivar derivata in origine per ibridazione naturale, dalla varietà Chinese Originario, appartenente al gruppo Japonica. Il Riso Maratelli è incluso nelle varietà a ciclo precoce, presenta una taglia media, appartiene al gruppo dei risi con granella semifina, mutica e perlata. La pianta raggiunge un'altezza media di cm 96-118, il lembo fogliare risulta a portamento pendulo, la pannocchia risulta di lunghezza media, presenta un pericarpo di colore bianco, i chicchi sono tondeggianti, medi, ricchi di amido e perciò molto ben digeribili, le cariossidi hanno una lunghezza di cm 5,6 e una larghezza di cm 3,2 e uno spessore di mm 2,1, con un rapporto lunghezza/larghezza di 1,8. Mille cariossidi pesano gr. 24,1. Resa alla lavorazione grana intera 58,5%. Il ciclo vegetativo è di 145-160 giorni, il cultivar fiorisce nella prima metà d'agosto.
Rosa Marchetti
Il Rosa Marchetti è una pregiata e tradizionale varietà di riso Italiano appartenente al gruppo dei semi fini, introdotta nel 1972 dal Domenico Marchetti. Il chicco di medie dimensioni, è completamente trasparente mentre in cottura cambia colore diventando grigio perlato e raddoppia le proprie dimensioni. Trovò da subito l'accoglienza dei consumatori, essendo apprezzato per la preparazione di minestre, è stato poi riscoperto come ingrediente insostituibile anche per la preparazione di risotti speciali.
Agli inizi degli anni sessanta, camminando in una delle sue risaie destinate alla ricerca, Domenico Marchetti notò alcune pannocchie che si distinguevano dalle altre. Grazie alla sua grande esperienza di selezionatore, decise di isolare quelle pannocchie tenendole in evidenza in un cespo. Il Rosa Marchetti ha infatti un'origine completamente naturale, non si conosce infatti quale sia la progenie esatta di questa splendida varietà. Negli anni a seguire portò avanti le linee di quelle pannocchie più interessanti fino alla definizione della varietà. Per l'amore che lo legava alla propria consorte la intitolò col suo nome: Rosa Marchetti.
La varietà fu introdotta nel 1972 e da sempre la conservazione della purezza è stata mantenuta dalla famiglia Marchetti. Attualmente il responsabile del mantenimento in purezza è il nipote, anche lui con il nome di Domenico Marchetti. Poiché per diversi anni erano stati vani i tentativi di recupero del ciclo di certificazione del seme della varietà, dal 2014 Domenico Marchetti ha affidato in esclusiva la moltiplicazione di semente certificata e l'impiego della stessa alla Azienda Agricola Eleonora Bertolone che nel 2014 ha coltivato circa 6 ettari con semente certificata. Nel 2014 (dati Ente Risi) venivano coltivati circa 260 ettari di Rosa Marchetti, tra le provincie di Novara, Pavia e Vercelli.
Ottimo per risotti, è inoltre perfetto per minestre di riso in brodo e tantissime altre preparazioni a base di riso, tanti lo considerano insostituibile. Le sue caratteristiche garantiscono una eccezionale tenuta alla cottura e una capacità a legarsi con tutti gli ingredienti preposti per la preparazione dei diversi piatti.
Il Rosa Marchetti è una varietà precoce e grazie alla sua veloce emergenza dal terreno riesce a prevalere rispetto a molte infestanti. Essendo una varietà storica, ha una taglia alta ed è molto delicato, questi fattori fanno sì che la coltivazione del Rosa Marchetti in purezza sia molto impegnativa e possibile solo per chi ha grande esperienza nel campo della risicoltura.
Riso parboiled
Il parboiled (dall'inglese partially boiled, parzialmente bollito) è una modalità di trattamento dei chicchi di riso per salvaguardarne il contenuto di micronutrienti (vitamine e sali minerali) e consentire cotture prolungate.
Il parboiled presenta quasi lo stesso tenore nutritivo del riso integrale: il procedimento, il "parboiling", è adottato oggi in tutto il mondo, per lo più abbinato a moderne tecnologie.
Dopo essere stato sottoposto al procedimento, il riso grezzo viene avviato come sempre ai mulini per la sbramatura e per le ulteriori raffinazioni. A suo tempo, si otteneva un “effetto Parboiling” – in forma limitata - trattando dapprima il riso al vapore e lasciandolo poi essiccare al sole. Il riso parboiled ha un riflesso leggermente giallastro, ma con la cottura diventa bianchissimo e rimane al dente anche se cotto più a lungo.
Riso di Grumolo delle Abbadesse
Il Riso di Grumolo delle Abbadesse è un prodotto tipico veneto, presidio di Slow Food.
A Grumolo delle Abbadesse, un piccolo comune al confine tra le province di Vicenza e Padova, il riso è stato introdotto dalle monache benedettine e si coltiva dal ’500. Anche alle badesse si deve la bonifica dei terreni, il prosciugamento delle paludi e la costruzione dei canali. La varietà di grumolo, vialone nano ha chicchi minuscoli, ma la qualità, grazie alla caratteristiche del terreno e delle acque, è eccellente: si gonfia molto con la cottura e assorbe molto bene i condimenti.
Riso nero glutinoso
Riso glutinoso (Oryza sativa var. glutinosa o Oryza glutinosa; anche chiamato Riso appiccicoso, Riso dolce, Riso ceroso, Riso botan, biroin chal, Riso mochi, e perla di riso) è un tipo di riso asiatico a chicco fino bianco opaco allungato, particolarmente appiccicoso quando cotto. Questo cereale non contiene glutine, è definito così dal latino glūtinōsus poiché dopo la cottura diventa appiccicoso per l'elevato contenuto di amido, meglio di amilopectina. Infatti come tutti i risi può essere consumato da persone affette da celiachia. D'altra parte, si chiama appiccicoso, ma non deve essere confuso con le altre varietà di riso asiatico che diventano appiccicose in un modo o un altro, quando cotti.
Il riso glutinoso è un tipo di riso coltivato soprattutto in Asia meridionale: Giappone, Corea, Cina, Filippine, Thailandia, Laos, Indonesia e Vietnam. Si stima che l'85% della produzione di riso del Laos sia di questo tipo. Si hanno testimonianze dell'uso di questo tipo riso in queste regioni da almeno 1.100 anni. Le varietà non glutinose selezionate e migliorate, che vennero introdotte in Asia durante la Rivoluzione Verde, furono rifiutate in favore delle varietà tradizionali appiccicose. Nel corso del tempo, ceppi di riso glutinoso ad alto rendimento si sono resi disponibili dal Laotian National Rice Research Programme. Dal 1999, più del 70% delle aree lungo il fiume Mekong vengono coltivate con questo nuovo ceppo. Secondo la leggenda in Cina, il riso glutinoso viene coltivato da almeno 2.000 anni
Gli orientali lo usano per preparare soprattutto dessert e dolcetti.
Normalmente viene messo a bagno per qualche ora prima di essere cucinato. La cottura può avvenire da 20 minuti a oltre 12 ore: la più breve in pentola con due parti d'acqua e la più lunga raccolto in foglie di palma e immerso in acqua appena in ebollizione.
La farina bianca - ottenuta per macinazione - si usa per la preparazione di dolci, creme o assieme ad altre farine per la preparazione di base per paste. I chicchi, che possono essere di colore nero o viola scuro se integrali, non trovano applicazione nella tradizionale cucina europea, ma in cucine etniche. Vengono utilizzati in diversi modi, per esempio come contorno per accompagnare delicati piatti salati o per la preparazione di panetti dolci.
Riso Vialone Nano Veronese
Il riso Vialone Nano Veronese (IGP) è una varietà di riso italiano, appartenenete alla sottospecie japonica, a Indicazione geografica protetta, di categoria Semifino, tipico della Bassa veronese.
Ha come caratteristica dichiarata quella di essere coltivato in aree irrigate con acqua di risorgiva, in pratica la sua area di produzione coincide con l'alto bacino idrografico del fiume Tartaro. È una delle varietà di riso più apprezzate per preparare il risotto.
Lavorazione del riso
La cariosside del riso, appena raccolta grazie all'operazione di mietitura, è detta risone, riso grezzo o riso vestito. Esso viene lavorato tramite operazioni atte a liberarlo dalle parti tegumentali, le glume e le glumelle, che andranno a costituire la lolla o pula.
Per rendere il riso commestibile, sono necessarie varie lavorazioni, svolte in un'industria risiera. Nell'ordine:
la sbramatura, che viene effettuata con due dischi a smeriglio, ruotanti in senso contrario e ad adeguata distanza, che rompono le glumelle senza intaccare il granello;
la sbiancatura o raffinatura, che prevede uno o più passaggi nella sbiancatrice, in cui due coni (uno dentro l'altro) ricoperti da una superficie smerigliata tolgono i residui delle glumelle. Si ottiene il riso semilavorato o mercantile;
la lucidatura, compiuta in macchinari simili alle sbiancatrici ma con coni rivestiti da strisce di cuoio, che ha lo scopo di rendere il chicco più bianco e levigato. Il riso così ottenuto è noto come lavorato o raffinato. Esso viene infine selezionato e confezionato.
È poi possibile effettuare altri due procedimenti:
la brillatura, che prevede un trattamento con talco o glucosio, che fornisce il riso brillato, bianco e traslucido;
l'oliatura, in cui si ricopre il riso raffinato con un sottile strato di olio di lino o vaselina; il riso così ottenuto è anche detto camolino.
L'operazione di brillatura era molto comune, tuttavia nella maggior parte degli impianti attuali la lucidatura avviene tramite l'acqua polverizzata che attraversando il flusso di riso porta via la polvere residuale della lavorazione.
I vari tipi di riso così ottenibili sono:
il riso grezzo, detto anche cargo. Non presenta più la lolla, ma conserva ancora pericarpo ed embrione;
il riso sbramato speciale, o semigrezzo, passato alla sbiancatrice, ma in maniera incompleta;
il riso mercantile, ossia adatto al consumo ma non lavorato a fondo (due passaggi nella sbiancatrice). Non è adatto a lunghe conservazioni;
il riso raffinato, o riso bianco, passato tre o quattro volte alla sbiancatrice. Il pericarpo è stato eliminato completamente ed è adatto a essere conservato a lungo o esportato;
il riso camolino, che si ottiene dopo l'oliatura;
il riso brillato, che si ottiene ricoprendolo con talco o glucosio.
L'industria ha inoltre sviluppato ulteriori procedimenti per ottenere un prodotto con una maggiore qualità alimentare e maggior resistenza alla cottura. Il riso parboiled è tra questi. La tecnica di parboilizzazione consiste nel sottoporre il risone ad un trattamento idrotermico e successivo essiccamento. Ciò determina la parziale gelatinizzazione dell'amido, la denaturazione delle proteine dell'endosperma e la migrazione verso gli strati più interni di alcune vitamine e sali minerali aumentandone così il valore nutrizionale. Come svantaggio, il riso ottenuto a fine processo si presenta più scuro e con un aroma differente.
Il riso in cucina
In ambito gastronomico, con il termine riso viene indicata la cariosside (un frutto-seme) della pianta Oryza sativa.
Il riso, oltre a trovare largo impiego come piatto base, nella forma di riso salato bollito, si presta alla preparazione di piatti salati più elaborati come il risotto ma anche di dolci come il risolatte o budino di riso e la torta degli addobbi.La farina di riso, chiamata in giapponese “mochiko”, è un capostipite del regime alimentare orientale. In particolare si tratta di un derivato del noto cereale, di una polvere ottenuta dalla macinazione dei frutti della Oryza sativa. La buccia del chicco viene rimossa e si ottiene il riso grezzo, macinato per l’appunto in polvere di riso o farina di riso.

Il riso (Oryza sativa L., dal greco antico òryzha, όρυζα) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Gramineae, di origine asiatica. Insieme alla Oryza glaberrima, dal pericarpo pigmentato rosso coltivata in Africa, è una delle due specie di piante da cui si produce il riso.
L'Oryza sativa costituisce la stragrande maggioranza in quanto coltivata su circa il 95% della superficie mondiale di riso. Le origini del riso non sono certe, si ritiene che le varietà più antiche siano comparse oltre quindicimila anni fa lungo le pendici dell'Himalaya. L'unica cosa che sappiamo per certo sulle origini di questo alimento è che è nato in Asia, precisamente in Cina verso il VI millennio a.C. Costituisce il cibo principale per circa la metà della popolazione mondiale e viene coltivato in quasi tutti i paesi del mondo.
Classificazione
Esistono 3 sottospecie:
1 - Indica, tipica dei climi tropicali, alto valore di mercato, cariosside lunga e sottile, produttività media e coltivata in India, Cina meridionale, Filippine, USA meridionale, Italia, Brasile;
2 - Japonica, tipica dei climi temperati, produttività alta, cariosside corta e arrotondata, basso valore di mercato, coltivata in Giappone, Corea, Cina settentrionale, USA, Egitto, Italia;
3 - Javanica, di minore importanza.
La Japonica è la sottospecie maggiormente coltivata in Italia, tipicamente usata per i risotti. A sua volta si divide in 4 tipologie:
·        Risi comuni (tondi e piccoli)
·        Risi semifini (tondi di media lunghezza)
·        Risi fini (affusolati e lunghi)
·        Risi superfini (grossi e lunghi)
Caratteri botanici
È una pianta erbacea, alta da 120 a 195 cm (può raggiungere anche i 5 metri di altezza) con radici avventizie e embrionali, le quali hanno la caratteristica di sviluppare dei parenchimi aeriferi, che permettono al riso di vivere in ambiente acquatico. Il fusto (detto culmo) presenta internodi cavi e nodi pieni e si sviluppa in maniera simile al frumento. Ha foglie di colore verde chiaro, a forma di guaina, lunghe parecchi centimetri e larghe due, con peli bianchi, corti e spessi; la ligula è lunga e sono presenti auricole pelose. All'apice dello stelo presenta una pannocchia (infiorescenza a panicolo) terminale, a maturità pendente, costituita da spighette uniflore con fiori ermafroditi a sei stami e un pistillo; l'ovaia contiene un solo ovulo. Il frutto è una cariosside ellittica o sferica con glumelle molto sviluppate, la cariosside è vestita (risone), peso 25–45 mg, importanti sono le sezioni trasversali e longitudinali delle cariossidi per classificare le tipologie di riso, uno dei parametri è il rapporto lunghezza/larghezza, altro carattere è l'evidenziazione del dente (presenza dell'embrione) la striscia può essere più o meno scura, la perla può essere vitrea o perlata. A livello italiano la classificazione è: tondo, semifino, fino, superfino. Il risone una volta liberato delle glumette che lo racchiudono ed opportunamente lavorato (dopo la sbramatura-raffinatura a volte si esegue anche l'oleatura con olio di lino o di vaselina e la brillatura con talco e glucosio) presenta un colore bianco avorio e consistenza dura.
Italia
L'Italia, con 1,44 milioni di tonnellate di riso prodotti nel 2005, rappresenta il principale produttore europeo e il ventisettesimo a livello mondiale. La coltivazione è concentrata principalmente nelle regioni Piemonte e Lombardia, nel triangolo "d'oro" Vercelli-Novara-Pavia. Viene inoltre coltivato in provincia di Mantova ed in Emilia-Romagna in particolare nel basso ferrarese. Viene inoltre coltivato in Veneto, in particolare nella bassa Veronese (Isola della Scala), nel Vicentino centrale (Grumolo delle Abbadesse), in Sardegna nella valle del Tirso e in Calabria nella Piana di Sibari.
Varietà di riso
Arborio
Baldo
Basmati
Carnaroli
Lido
Maratelli
Rosa Marchetti
Originario
Ribe
Riso parboiled
Riso di Grumolo delle Abbadesse
Riso nero glutinoso
Riso Roma
Riso Vialone Nano Veronese
Traslucido
Lavorazione del riso
La cariosside del riso, appena raccolta grazie all'operazione di mietitura, è detta risone, riso grezzo o riso vestito. Esso viene lavorato tramite operazioni atte a liberarlo dalle parti tegumentali, le glume e le glumelle, che andranno a costituire la lolla o pula.
Per rendere il riso commestibile, sono necessarie varie lavorazioni, svolte in un'industria risiera. Nell'ordine:
la sbramatura, che viene effettuata con due dischi a smeriglio, ruotanti in senso contrario e ad adeguata distanza, che rompono le glumelle senza intaccare il granello;
la sbiancatura o raffinatura, che prevede uno o più passaggi nella sbiancatrice, in cui due coni (uno dentro l'altro) ricoperti da una superficie smerigliata tolgono i residui delle glumelle. Si ottiene il riso semilavorato o mercantile;
la lucidatura, compiuta in macchinari simili alle sbiancatrici ma con coni rivestiti da strisce di cuoio, che ha lo scopo di rendere il chicco più bianco e levigato. Il riso così ottenuto è noto come lavorato o raffinato. Esso viene infine selezionato e confezionato.
È poi possibile effettuare altri due procedimenti:
la brillatura, che prevede un trattamento con talco o glucosio, che fornisce il riso brillato, bianco e traslucido;
l'oliatura, in cui si ricopre il riso raffinato con un sottile strato di olio di lino o vaselina; il riso così ottenuto è anche detto camolino.
L'operazione di brillatura era molto comune, tuttavia nella maggior parte degli impianti attuali la lucidatura avviene tramite l'acqua polverizzata che attraversando il flusso di riso porta via la polvere residuale della lavorazione.
I vari tipi di riso così ottenibili sono:
·        il riso grezzo, detto anche cargo. Non presenta più la lolla, ma conserva ancora pericarpo ed embrione;
·        il riso sbramato speciale, o semigrezzo, passato alla sbiancatrice, ma in maniera incompleta;
·        il riso mercantile, ossia adatto al consumo ma non lavorato a fondo (due passaggi nella sbiancatrice). Non è adatto a lunghe conservazioni;
·        il riso raffinato, o riso bianco, passato tre o quattro volte alla sbiancatrice. Il pericarpo è stato eliminato completamente ed è adatto a essere conservato a lungo o esportato;
·        il riso camolino, che si ottiene dopo l'oliatura;
·        il riso brillato, che si ottiene ricoprendolo con talco o glucosio.
L'industria ha inoltre sviluppato ulteriori procedimenti per ottenere un prodotto con una maggiore qualità alimentare e maggior resistenza alla cottura. Il riso parboiled è tra questi. La tecnica di parboilizzazione consiste nel sottoporre il risone ad un trattamento idrotermico e successivo essiccamento. Ciò determina la parziale gelatinizzazione dell'amido, la denaturazione delle proteine dell'endosperma e la migrazione verso gli strati più interni di alcune vitamine e sali minerali aumentandone così il valore nutrizionale. Come svantaggio, il riso ottenuto a fine processo si presenta più scuro e con un aroma differente.
Valori nutrizionali
Il riso, in generale, contiene amido, proteine, vitamine (B1, B2 e niacina), sali minerali.
Il riso è l'alimento ideale per una dieta equilibrata perché:
- è facilmente digeribile (1-2 ore)
- ha sali minerali (ferro, fosforo e calcio) e vitamine (PP, la B1 e la B2) utili per giovani e anziani,
quello integrale è ricco di fibra
- ha un alto valore proteico e contiene lisina che è un amminoacido che aumenta il valore delle proteine.
Rispetto al riso brillato il Parboiled contiene 24 volte di più vitamine del gruppo B e di ferro.
Trattandosi di un alimento antiurico, il riso viene consigliato dai medici agli ammalati di gotta, di uricemia, a chi soffre di arteriosclerosi , di nefrite, di disturbi dell'apparato digerente, di dispepsie, anoressia, distensione addominale, carenza alimentare.
La crusca di riso contiene una sostanza in grado di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue.
Cenni storici
Viene coltivato dall'antichità in estremo Oriente, Cina, India, Giappone. Anche gli arabi, gli armeni, i copti, e i siri conobbero il riso e ne studiarono i metodi di coltura.
In Occidente il riso arrivò invece in epoca cristiana. Gli egizi e gli ebrei probabilmente non lo conobbero, e greci e romani lo citano solo come pianta aromatica e medicinale. Per tutto l’alto medioevo in Europa il riso viene usato come ingrediente per dolci o come pianta medicinale, il suo prezzo era altissimo come altre spezie preziose. In Italia (Piemonte e Lombardia), forse, fu introdotto dagli Arabi in Sicilia, o dai crociati di ritorno dalla Terrasanta, o dai mercanti della Repubblica di Venezia. Alla fine del diciassettesimo secolo approdò in America. A metà del secolo scorso furono importate dall’oriente numerose varietà.
LavorazioneDopo essere stato seminato nei vivai, il riso viene trapiantato in speciali appezzamenti di terreno (risaie) in cui viene mantenuta, a un livello costante, dell'acqua che lentamente scorre, defluendo verso appositi canaletti.
La maturazione del riso avviene sul finire dell'estate, quindi i chicchi di riso appena raccolti (cariossidi o detti anche risone o riso grezzo o paddy in inglese), dopo la mietitura, vengono portati alle riserie dove subiscono la lavorazione necessaria per renderli commestibili.
Le principali fasi sono:
1- la pulitura: Eliminazione dal risone di polvere, impurezze e semi estranei.
2- La sbramatura: Sgusciatura o scortecciatura del risone che viene poi chiamato "sbramato".
3- La sbiancatura: Eliminazione dal riso sbramato della sottile pellicola che ancora lo ricopre. Dopo il passaggio attraverso macchine spazzolatrici si ottiene un primo prodotto commerciabile, cioè il "riso mercantile".
4) La lucidatura: Levigazione del riso con l'intervento dell'olio di lino. Si ottiene così il "riso camolino".
5) La brillatura: Consiste in una lavorazione ulteriore e nella lucidatura finale in cui il riso acquista uno splendore e un aspetto perfetto e brillante. E' questo il cosiddetto "riso brillato".
Il riso parboiled viene ottenuto mettendo a bagno il risone per qualche giorno e trattato col vapore, in modo che vitamine e sali minerali filtrino dagli strati esterni del chicco a quelli più interni.
Alla fine di questi procedimenti viene selezionato e confezionato.
Dal riso precotto sottoposto ad ulteriori trattamenti (espansione) si ottiene il riso soffiato con cui si preparano gallette, ottimi sostituti del pane.
Come conservare
Una volta aperta la confezione è preferibile cercare di richiuderla il meglio possibile e tenerla in luogo fresco e asciutto.

La scelta del riso da usare per preparazioni diverse è importante al fine di portare a termine in modo adeguato ricette diverse. Infatti già dando una rapida occhiata al supermercato vi renderete conto che su ogni scatola viene indicata la preparazione migliore per quel tipo di riso specifico. Quindi la giusta scelta può veramente decretare il successo della vostra preparazione, al contrario sbagliare la tipologia di riso da usare può far abbassare drasticamente il risultato. Non servono conoscenze specifiche, basta individuare i tipi più comuni e come è meglio utilizzarli, anche perchè ogni qualità ha differenti dimensioni dei chicchi e diverse modalità di cottura.
Al supermercato vi troverete davanti molte confezioni di riso, e non sempre si capisce quali sia il più adatto per le varie ricette.

Lavorazione del Riso

La lavorazione del riso comprende una prima fase di pulitura, in cui si ha l'eliminazione di tutte le sostanze estranee tramite diversi passaggi in setacci, calamite, getti di aria ecc.

Segue una fase di sbramatura (in cui si vanno a distaccare le glumelle, una sorta di foglioline che avvolgono il chicco e che negli altri cereali si staccano spontaneamente al momento della raccolta). Dopo queste operazioni preliminari si ottiene un riso integrale, commestibile ma che necessità di lunghi tempi di cottura, e uno "scarto", chiamato lolla o pula di riso. Quest'ultimo prodotto, un tempo utilizzato nella preparazione dei mangimi o impiegato in agricoltura come fertilizzante, è stato poi ampiamente rivalutato, tanto che oggi assume un'importanza elevata per l'elevato contenuto lipidico, che per estrazione può dare l'olio di riso.

Il riso integrale viene poi sottoposto ad una sbiancatura, con lo scopo di eliminare gli strati più esterni del chicco. Questa operazione permette l'allontanamento del germe ed il distacco del pericarpo e dello strato aleuronico, fino ad ottenere la sola mandorla amilifera. La fase di sbiancatura avviene tramite diversi passaggi da cui si ottengono, in base ad un grado crescente di raffinazione, diverse tipologie di prodotti: riso semiraffinato, riso mercantile, riso raffinato di I grado e riso raffinato di II grado (che corrispondono, per intenderci, alle denominazioni "di tipo II, I, 0 e 00" delle farine).

Effettuata la sbiancatura, si esegue la brillatura finale, cioè un trattamento superficiale con glucosio o un'oliatura con olio di vaselina, per conferire ai chicchi la tipica lucidità.

Tipi di riso italiano
Il riso italiano si divide in tre grandi filoni, il riso integrale, quello bianco e quello trattato.
1 - Il riso integrale non viene raffinato e si ottiene eliminando solo la parte più esterna del chicco, mantenendo quindi tutti quelli che contengono le proprietà nutrizionali. Nel riso integrale da agricoltura biologica le parti esterne sono eliminate tramite dei rulli di sughero e che quindi gli consentono di mantenere intatto il germe di grano, ricco di vitamine A, D ed E. Il semintegrale bio passa due volte nei rulli invece quello bianco bio, passa 3 volte.
2 - Il riso bianco subisce dei processi di limatura per eliminare la parte più esterna del chicco. Questo si suddivide in 4 macrogruppi in cui sono contenute moltissime varietà di riso.
·        Riso comune, presenta i chicchi tondi e di piccole dimensioni, è indicato per preparare le minestre, le crocchette ed è perfetto nelle verdure ripiene. Questo è il riso che si usa per i dolci ad esempio per le frittelle, i budini, le zeppole di riso. Le varietà di riso comune più diffuse sono l’Auro, il Balilla, il Cripto  e l’Originario. Il riso comune tondo ha la caratteristica di avere i chicchi piccoli di forma rotonda. Durante la cottura, circa 12 minuti, tende a rilasciare l’amido quindi è perfetto per la preparazione di minestre e dolci, ma anche per il sushi.
·        Riso semifino ha i chicchi di grandezza media ed è particolarmente indicato per preparare i timballi, il riso in bianco, bollito, al sugo e in brodo, i supplì, gli arancini e i contorni. Le varietà più diffuse sono il Lido, l’Italico e il Vialone Nano. La forma dei chicchi del riso semifino è tondeggiante, leggermente allungati e di grandezza media. Rilascia amido durante la cottura (di circa 15 minuti) quindi si presta in cucina per la realizzazione di minestre, risotti mantecati e supplì.
·        Riso fino, presenta i chicchi affusolati e lunghi più o meno 6,4 mm, è particolarmente indicato per le insalate di riso, i risotti e i piatti unici invece è assolutamente sconsigliato per i dolci. Le varietà più comuni sono il Ribe e l’Ariete. Il riso fino ha i chicchi lunghi e di forma affusolata, la cottura che richiede è di circa 14 minuti ed è uno dei più versatili in cucina: lo userete infatti per tantissime preparazioni, per esempio i supplì.
·        Riso superfino, è il riso degli chef, presenta chicchi lunghi e grossi ed è indicato per i risotti più raffinati. Le varietà più diffuse sono l’Arborio, il Carnaroli, il Roma e il Baldo. I chicchi del riso superfino sono grandi e lunghi. Durante la cottura, che tiene bene, rilascia poco amido, quindi è perfetto per le insalate di riso e tutti i piatti dove è importante che i chicchi rimangano separati, per esempio la paella.
3 - Esistono poi categorie speciali di riso trattato.
·        Riso a cottura rapida. Viene sottoposto ad una parziale cottura seguita da disidratazione (è quindi un riso precotto ed essiccato), che consente di accorciare notevolmente i tempi di cottura (perché l'acqua penetra all'interno molto più velocemente).
·        Riso arricchito. Il riso può essere arricchito di vitamine idrosolubili dopo la raffinazione, con lo scopo di reintegrare le perdite o comunque assicurarne un livello adeguato per l'organismo. Si ottiene arricchendo il riso brillato con chicchi imbevuti di soluzione vitaminica, nel rapporto di 1 chicco ogni 200, oppure spruzzando le cariossidi con una soluzione composta da microelementi. In questo modo si tenta di ripristinare la quantità di sali minerali e vitamine persa durante il processo di sbiancatura. Dal momento che non sappiamo la quota di micronutrienti trattenuta durante il processo di cottura (dopo averli assorbiti in fase di lavorazione potrebbe rilasciarli in maniera importante all'acqua bollente), il riso arricchito non ha ottenuto un grosso successo commerciale.
·        Riso converted. E' un prodotto analogo al parboiled, ma ottenuto con tecniche più perfezionate e moderne con cui vengono ridotte maggiormente le perdite dei composti nutritivi.
·        Riso parboiled. Il parboiled (dall'inglese partially boiled, parzialmente bollito) è una modalità di trattamento dei chicchi di riso per salvaguardarne il contenuto di micronutrienti (vitamine e sali minerali) e consentire cotture prolungate. Il parboiled presenta quasi lo stesso tenore nutritivo del riso integrale. Il riso parboiled ha un riflesso leggermente giallastro, ma con la cottura diventa bianchissimo e rimane al dente anche se cotto più a lungo. Il riso integrale, dopo essere stato lasciato immerso in acqua per uno o due giorni, viene trattato con vapore per aumentarne l'umidità. Questo trattamento favorisce la migrazione delle componenti idrosolubili, come le vitamine ed i sali minerali, dai tegumenti esterni verso l'interno del chicco. Dopodiché si esegue un rapido essiccamento in modo che questi preziosi micronutrienti rimangano confinati al suo interno. Il riso parboiled mantiene un colorito più giallo rispetto al comune perché, oltre ai sali minerali e alle vitamine, migrano all'interno anche i pigmenti carotenoidi presenti negli strati esterni. In genere la varietà Ribe è quella che si appresta di più a questo tipo di trattamento.
Tipi di riso straniero
Abbiamo anche le varietà di riso esotiche. Le più diffuse sono:
·        Basmati, presenta il chicco affusolato ed ha un buonissimo profumo di sandalo, l’ideale per questo riso è la cottura a vapore ed è perfetto per preparare i contorni.
·        Venere, è il famoso riso nero originario della Cina, ricco di fibre e minerali ed ha un profumo delizioso e in cucina si presta a molte ricette, ad esempio con i frutti di mare.
·        Rosso, è un riso integrale, prodotto in quantità molto limitata e ottenuto da incroci naturali, è l’ideale per i cibi dal gusto deciso ma anche per essere consumato semplicemente bollito con un pò di olio.

·        Patna, è originario della Thailandia, è il riso orientale per eccellenza soprattutto nella versione parboiled, ha un aspetto soffice e sgranato ed è l’ideale per la cottura in forno. 

domenica 30 giugno 2024

Corso di Tecniche dell'alimentazione: Lezione 8 CONOSCERE LA PASTA

 

La Pasta di Gragnano è un prodotto alimentare - ottenuto dall’impasto della semola di grano duro con acqua della falda acquifera locale - prodotto su tutto il territorio del comune di Gragnano in provincia di Napoli.
Da ottobre 2013, a livello europeo, la denominazione "Pasta di Gragnano" è stata riconosciuta indicazione geografica protetta (IGP)[1].
La produzione della pasta risale alla fine del XVI secolo quando comparirono i primi pastifici a conduzione familiare. Fino al XVII secolo era un alimento poco diffuso ma, a seguito della carestia che colpì il Regno di Napoli, divenne un alimento fondamentale grazie alle sue qualità nutritive e per l'invenzione che consentiva di produrre pasta, detta oro bianco,a basso costo pressando l'impasto attraverso le trafile. I terreni ideali per consentire la produzione furono Gragnano e Napoli, grazie ai loro microclima composti da vento, sole e giusta umidità. Proprio gli abitanti del Regno di Napoli furono i primi a dare delle svolte importanti alla produzione di pasta, e nel 1861 all'apice della produzione della pasta c'erano gli stabilimenti di Gragnano. I gragnanesi, in quel periodo, furono i maggiori esportatori di pasta nel mondo in particolare nella vendita dei maccheroni. Grazie alla sua leggendaria tradizione, Gragnano divenne la patria della pasta celebrata da scrittori, storici e poeti. Uno dei tanti artisti che celebrarono le doti e le qualità degustative della pasta di Gragnano fu il poeta Gennaro Quaranta il quale compose Maccheronata, una poesia in risposta al pessimismo del poeta recanatese Giacomo Leopardi. La poesia integrale diceva così:
« E tu fosti infelice e malaticcio,/ o sublime Cantor di Recanati, / che bestemmiando la Natura e i Fati,/ frugavi dentro te con raccapriccio./ Oh mai non rise quel tuo labbro arsiccio,/ né gli occhi tuoi lucenti ed incavati,/ perché... non adoravi i maltagliati, /le frittatine all'uovo ed il pasticcio!/ Ma se tu avessi amato i  accheroni/ più de' libri, che fanno l'umor negro,/
non avresti patito aspri malanni.../ E vivendo tra i pingui bontemponi/ giunto saresti, rubicondo e allegro, forse fino ai novanta od ai cent'anni... »
Il 12 luglio del 1845 il re del Regno di Napoli Ferdinando II di Borbone, durante un pranzo, concesse ai fabbricanti gragnanesi l'alto privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe, e così che per tutti, da allora, Gragnano diventò la città dei maccheroni.
I tipi di pasta che caratterizzano la produzione di Gragnano sono:
paste lunghe
Linguine
Spaghetti, alla chitarra o con curva
Vermicelli, con curva o bucati
Bucatini
Mafaldine
Mista lunga
Ferrazzuoli
Fusilli bucati
Ziti lunghi
Candele lunghe
Fusilli bucati lunghi al bronzo
paste corte
Paccheri
Mezzi Paccheri
Calamari
Sedani
Mezze penne rigate
Mezzi Rigatoni
Millerighe
Mezze Millerighe
Fusilloni
Mezzi Borbardoni
Tortiglioni
Elicoidali
Casarecce
Occhi di lupo
Pennoni
Canneroni
Maccheroncelli
Pennette
Penne zite
Tubetti rigati
Gnocchi napoletani
Taccozzette
Vesuvio
Scialatielli
Corone di bronzo
paste laminate
Farfalle
paste al forno
Cannelloni
Lumaconi
Conchiglioni
Fettuccine
Caccavelle
In base al tipo di superficie, le paste si dividono ancora in due categorie:
lisce, apprezzate per la leggerezza
rigate, apprezzate per la capacità di trattenere i sughi
Infine viene considerata la ruvidezza della superficie che aiuta il sugo ad attaccarsi e rende il contatto in bocca più gustoso. Essa cambia in base alla tecnica e agli strumenti di produzione; pertanto si apprezzano le più rugose e porose:
pasta fatta a mano
pasta trafilata al bronzo
pasta laminata
pasta da forno


Il termine agnolotto o agnellotto deriva probabilmente da anellotto, a sua volta accrescitivo di anello, e indica un tipo di pasta ripiena simile ai ravioli. Gli agnolotti si mangiano in vari modi, come minestra, bolliti nel brodo o asciutti, con sugo di carne arrosto o con burro, salvia e Parmigiano Reggiano o Grana Padano, con ragù di carne.
Sebbene siano ormai diffusi in tutte le regioni italiane, gli agnolotti sono originari del Piemonte, in particolare nelle zone del Monferrato, nelle province di Alessandria e Asti. Secondo la tradizione popolare a inventari sarebbe stato un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelot, secondo altre scuole di pensiero, invece, il nome agnolotto deriverebbe dal termine piemontese anulot, che indicava un ferro usato per tagliare la pasta a forma di anello.
Per quanto riguarda la forma, essi sono estremamente simili ai ravioli: quadrati, con i bordi frastagliati, con al centro il ripieno racchiuso tra due sfoglie di pasta all’uovo, creando un rigonfiamento simile a una piccola cupola, sia da un lato sia dall’altro.
Nelle Langhe e nel Monferrato gli agnolotti hanno dimensioni più piccole e rettangolari e sono detti agnolotti al plin, con quest’ultimo termine che indica il pizzicotto con il quale si chiude questo tipo di pasta ripiena.
Per quanto riguarda il ripieno, nella tradizione popolare piemontese esso è costituito dagli avanzi dell’arrosto triturati e mescolati con verdure, riso e altri ingredienti. Proprio nel ripieno sta la differenza con i ravioli. A Calliano, in provincia di Asti, gli agnolotti sono ripieni con carne d’asino.
Dagli agnolotti piemontesi si differenziano quelli pavesi, perché nella zona dell’Oltrepò Pavese, la cucina subisce le influenze sia delle tradizioni culinarie del Piemonte sia di quelle piacentine. Per questo gli agnolotti pavesi sono ripieni di stufato alla pavese, un tipo di carne stracotta, come il ripieno degli anolini piacentini.
I cannelloni sono un formato di pasta di forma cilindrica. Il prodotto viene consumato con un ripieno salato che nella ricetta classica comprende un impasto di ricotta e spinaci oppure di carni macinate. È poi coperto con un sugo di pomodoro o con salsa besciamella e infine cotto al forno.
Nelle Marche ed in Umbria i cannelloni sono un formato di pasta fresca all'uovo. Il ripieno tipico è costituito da un impasto di carne macinata e la cottura è sempre al forno.
Questo tipo di pasta viene commercializzato sia nella versione precotta sia nella versione che necessita di una lessatura prima di essere riempito. Le dimensioni sono approssimativamente di 8 - 10 cm di lunghezza, circa 2 cm di diametro e uno spessore tra 0.9 e 1 mm.
I cannelloni sono formati da rettangoli di pasta all'uovo simili a quelli con cui si preparano le lasagne ma di formato più piccolo e arrotolati su se stessi per contenere il ripieno. La preparazione è la stessa e gli ingredienti sono farina, uova e acqua.

I cappelletti sono un formato di pasta ripiena che si ottiene tagliando la sfoglia di pasta all'uovo in quadrati o cerchi, al centro dei quali viene posto il ripieno; la pasta viene poi piegata prima in due a triangolo, e poi unendo le estremità intorno a un dito della mano. I cappelletti vengono poi cotti in brodo di carne, preferibilmente di pollo.
Essendo una ricetta molto diffusa al giorno d'oggi su ampia base territoriale, molte tradizioni locali reclamano la primogenitura di questo piatto. Sicuramente l'area di origine, comunque, è l'Italia centro-settentrionale, probabilmente con lo sviluppo di tradizioni parallele, che in parte sussistono ancora oggi.
I cappelletti sono il piatto tipico della provincia di Reggio Emilia; la loro forma, che nell'Appennino reggiano è più minuta, tende ad aumentare scendendo dal crinale alla pianura e ad al Po. Vengono cucinati in brodo di cappone o con salse tipiche romagnole . Sono il piatto tipico anche nel Viadanese (parte del Basso Mantovano al confine con la provincia di Reggio Emilia).
In Romagna, dove è particolare anche il modo di "chiuderli", i cappelletti sono detti caplèt e costituiscono un piatto natalizio d'obbligo in tutta la regione. La tradizione più tipica è quella di confezionare il ripieno dei cappelletti con formaggio e petto di cappone. Tale ripieno in Romagna viene chiamato "compenso".
Pellegrino Artusi, padre fondatore del cappelletto romagnolo, nel suo La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, descrive la particolare ricetta dei "Cappelletti all’uso di Romagna" (ricetta n. 7), con ripieno a base di ricotta (o ricotta e raviggiolo), petto di cappone o lombata di maiale, da cuocere nel brodo di cappone.
In tutte le Marche, da nord a sud, i cappelletti sono considerati pasta tradizionale tipica e sono anche per questo apprezzati. Mentre i tortellini in alcune aree marchigiane sono giunti solo nel dopoguerra, i cappelletti sono da sempre preparati in casa in tutta le regione. Anche nelle Marche alcune ricorrenze annuali, come i grandi pranzi di Natale, prevedono come primo piatto, quasi obbligatoriamente, i cappelletti in brodo. A differenza della Romagna, dove il ripieno è confezionato con formaggio e petto di cappone, la ricetta marchigiana prevede solo il formaggio.
I cappelletti asciutti, con ragù di carne o altra salsa, sono una creazione recente.
I cappelletti si distinguono dai tortellini (che in Emilia sono più comuni dei cappelletti) per il modo di chiuderli: una volta messo il ripieno nella pasta, questa viene piegata su se stessa, poi - tramite un attrezzo munito di lama circolare - si tagliano dei fagottini.
Il ripieno dei cappelletti è infatti diverso a seconda delle zone:
Nelle ricette romagnole, il ripieno è detto e' pin d'é caplèt o e' batù, ed è a base di ricotta, a cui possono essere aggiunti altri formaggi teneri (caciotta o raviggiolo), parmigiano-reggiano grattugiato, noce moscata, uova crude e in alcune zone scorza di limone grattugiata. La sfoglia viene tagliata in quadratini di circa 5 cm di lato; in ciascuno di essi viene inserito un cucchiaio di ripieno. I cappelletti romagnoli vanno gustati sempre in brodo: essi vanno lessati in un ottimo brodo di carne. È buona norma non prelevarli subito dalla pentola ma lasciarli a bagno per qualche minuto affinché assorbano bene il brodo.
Nelle ricette marchigiane, il ripieno è invece a base di carni stufate comprensive degli "odori" sedano, carota e poca cipolla, passati al tritacarne, a cui vengono aggiunti uova crude, formaggio stagionato grattugiato, noce moscata e scorza di limone grattugiata.
Se il cappelletto è generalmente di taglia piccola e va consumato in brodo, la variante cappellaccio o "tortello", di identica forma, ma di dimensione almeno doppia, viene consumata asciutta; tipico di Ferrara e di Reggio Emilia è il cappellaccio di zucca con ripieno a base di zucca, tipico di Mantova il tortello ripieno di zucca e amaretto.
Al giorno d'oggi è possibile reperire cappelletti confezionati in ogni parte del mondo, soprattutto dove le comunità italiane hanno una certa importanza. I cappelletti confezionati "freschi" hanno normalmente una durata di sette settimane.

Le ceppe (più propriamente maccheroni con le ceppe) sono un tipo di pasta all'uovo tipiche della provincia di Teramo, in particolare di Civitella del Tronto. Sono una sorta di bucatini corti 8-10 cm, ottenuti arrotolando la pasta (farina, acqua, uova) intorno a un bastoncino di legno, la ceppa appunto. Con il tempo, per metonimia, con il termine ceppa si è passati ad indicare non solo lo strumento, ma il tipo di pasta stesso. All'originale ceppa in legno è andata via via sostituendosi un sottile ferro in acciaio inox.
I garganelli sono un tipo di una pasta all'uovo (rigata) ottenuta ripiegando delle piccole losanghe di pasta, riconosciuto prodotto tipico della regione Emilia-Romagna. L'aspetto è simile alle "penne" se si esclude che nel punto di sovrapposizione dei due lembi di pasta il garganello ha una diversa consistenza.
I condimenti più usati sono comunemente rappresentati dal prosciutto, dai piselli e da abbondante parmigiano reggiano, oppure un ragù realizzato utilizzando la pasta della salsiccia.
A Codrignano, piccola frazione del comune di Borgo Tossignano (BO), dal venerdì che precede la prima domenica di settembre al martedì successivo, si tiene la Sagra del Garganello, dal 1989.
Il cous-cous o cuscus è un alimento tipico del Maghreb in Nordafrica, della Sicilia occidentale e della Sardegna sudoccidentale (Calasetta, Isola di Sant'Antioco e Carloforte), costituito da granelli di semola di frumento cotti a vapore (del diametro di un millimetro prima della cottura, poi via via sempre più grandi). Alcune varianti sono presenti anche nella cucina brasiliana.
Tradizionalmente il cuscus veniva preparato con semola di grano duro, Triticum durum, quella farina granulosa che si può produrre con una macinatura grossolana utilizzando macine primitive, ma oggi con questo nome ci si riferisce anche ad alimenti preparati con cereali diversi, come orzo, miglio, sorgo, riso, farro o mais.

I ditali sono un tipo di pasta di origine campana, che hanno dato origine ad una vasta gamma di varianti. Sono particolarmente indicati nella preparazione di minestre e nella cucina napoletana sono spesso usati per preparare quelle che possono definirsi minestre asciutte, quali ad esempio la pasta e fagioli, la pasta e piselli e così via.
Le Farfalle nascono da una sfoglia tagliata a quadretti e "pinzata" al centro, ed hanno una superficie delicata che si svela al palato attraverso una differente consistenza tra la parte centrale più spessa e le due estremità: un vero e proprio piacere per i buongustai. Tra le forme più allegre in cucina, le Farfalle volano di sapore in sapore, adattandosi a più diversi abbinamenti di gusto. La loro superficie liscia le rende particolarmente adatte all'abbinamento con i condimenti leggeri e delicati, a base di verdure. Rivelano tutto il loro piacere in gustose insalate di pasta, e si sposano perfettamente sia ai condimenti più tradizionali sia agli abbinamenti più fantasiosi. Per esaltare la vivacità delle Farfalle, gustatele con pomodorini e menta. Per stupire i vostri ospiti, realizzate le Farfalle in salsa Aurora a base di besciamella, salsa di pomodoro e burro.
Le Fettuccine Emiliane sono strisce di sfoglia all’uovo ruvida e corposa, a sezione piatta e larghe circa 7 mm, che avvolgono di piacere i momenti a tavola.
Le Fettuccine Emiliane sono preparate con una sfoglia lavorata con pazienza e cura, secondo la tradizione emiliana, e si presentano ruvide e porose al punto giusto per trattenere i sughi ed esaltarne il sapore.
Lasciatevi avvolgere dal gusto fresco e sorprendente delle Fettuccine Emiliane con vongole, cozze ed olive verdi, oppure sperimentate l’accostamento originale di verdure e vino nella ricetta con ristretto di Lambrusco, broccoli e formaggio fresco.
La frègula, il cui nome è a volte italianizzato in fregola, è un tipo di pasta di semola prodotto in Sardegna. La fregula, disponibile in varie dimensioni, è prodotta per "rotolamento" della semola entro un grosso catino di coccio e tostata in forno. Si presenta sotto forma di palline irregolari di diametro variabile fra i 2 e i 6 millimetri.
Una preparazione tipica della fregula è con il condimento di telline. Il piatto così ottenuto prende il nome di frègula de còciula (in lingua sarda), cioè "fregula di arselle".
La produzione della fregula ha origini certamente antiche. Il primo documento storico a farne menzione è lo Statuto dei Mugnai di Tempio Pausania risalente al XIV secolo, in cui si regolamenta la preparazione, che doveva avvenire rigorosamente dal lunedì al venerdì, per potere destinare ai campi l’acqua del sabato e della domenica.
I Fusilli sono nati nell'Italia centro-settentrionale, e devono il loro nome al fuso, attorno al quale si arrotolava la lana. Sono caratterizzati nella forma da tre alette attorcigliate che si rincorrono armoniosamente in un andamento a spirale, che cattura ogni tipo di condimento.
I Fusilli valorizzano i sughi più elaborati e densi, ma anche quelli più semplici, e consentono grandi risultati anche se si vuole osare qualche difficile esperimento culinario. Si adattano alla perfezione a ricche salse a base di carne o ricotta, ma rivelano la propria personalità multiforme anche nella freschezza delle insalate: le verdure sminuzzate, le spezie, il tonno scivolano tra le loro spire armoniosamente accompagnate dalle note vellutate dell'olio d'oliva crudo. Se cercate  una soluzione raffinata preparateli agli asparagi e prosciutto: cucinate al dente sia la pasta che gli asparagi, arricchite il tutto con il sapore delicato del prosciutto.
I fusilli sono un tipo di pasta, secca o fresca, che si ottiene aggiungendo alla semola di grano duro e acqua o uovo. Nella versione all'uovo, a volte sono aggiunti spinaci o ortiche per ottenere un colore verde, peperoncino o barbabietola o rapa rossa o pomodoro per un colore rosso, nero di seppia per un colore nero o zafferano per un colore giallo più intenso.
I fusilli nacquero intorno al 1550 da un cuoco che stava al servizio del Granduca di Toscana. Un giorno mentre stava impastando un po' di pasta fatta in casa per cucinare, un pezzo di pasta cadde a terra e il figlio la prese e incominciò a farla rotolare sull'ago che usava la sua nonna per lavorare a maglia.
I fusilli nel corso del Novecento venivano fatti a mano da signore anziane del paese e poi venivano venduti. Ultimamente hanno una lunghezza di circa 7 cm e di solito lo spessore è di quasi 5 mm.
A differenza della pasta di grano duro, gli gnocchi sono un cibo casalingo facile da realizzare (qui trovate le ricette di: Gnocchi di patate, Gnocchi di semolino, Gnocchi di zucca e Gnocchetti di pane), fatto con pochi semplici ingredienti alla portata di qualsiasi cucina.
I vari tipi di gnocchi
Forse proprio per questo motivo nel tempo si sono succedute moltissime varianti di questa pasta, tanto che gli gnocchi si potrebbero definire non un formato, ma una famiglia a sé stante. Al giorno d’oggi in Italia conosciamo sostanzialmente tre categorie di gnocchi: quelli di patate, quelli di semolino (detti anche alla romana) e i canederli la cui radice tedesca del nome – knödel – significa proprio “gnocco”. A questi si possono aggiungere gli gnocchetti sardi – malloreddus – che a dire il vero hanno maggiori caratteristiche in comune con la pasta di semola. In passato, però, le tipologie erano molte di più e alcune di queste sono scomparse dalle nostre tavole.
La nascita degli gnocchi
Sembra che le prime ricette degli gnocchi siano pubblicate per la prima volta nella seconda metà del Cinquecento da parte di Cristoforo Messisbugo e Bartolomeo Scappi, due tra i più grandi cuochi del Rinascimento. I “maccaroni detti gnocchi” sono impastati con farina, pangrattato, acqua bollente e uova, poi passati “su il rovescio della gratugia”, proprio come si fa con gli odierni gnocchi di patate. Serviti asciutti, il condimento è quello tipico di tutta la pasta rinascimentale composto da burro, formaggio e spezie (e un po’ di zucchero, a piacere).
Questo tipo di preparazione resiste per diversi secoli fino all’inizio del Novecento, sotto diversi nomi con leggere varianti. La più comune è quella di aggiungere una buona dose di formaggio e aumentare il numero dei tuorli, formando una miscela simile a quella usata per gli odierni passatelli.
Il canederlo tedesco
Lo stesso impasto descritto per i “maccaroni” può essere arricchito con aggiunta di latte, mollica, a volte riso, burro e spezie per realizzare gli “gnocchi alla tedesca”, antenati dei moderni canederli. Appaiono inizialmente nell’“Apicio Moderno” di Francesco Leonardi del 1790, sempre sotto forma di piccoli gnocchetti da servire asciutti, ma in capo a pochi decenni assumeranno le classiche dimensioni di un uovo e verranno serviti in brodo, come lo “gnocco germanico” di Antonio Odescalchi del 1834 che prevede fegato e milza tra gli ingredienti.
Gli gnocchi bignè
Alla fine del Settecento fa la sua comparsa quella che sarà la ricetta più comune per gli gnocchi chiamati “gnocchi all’acqua” o “gnocchi bignè”. L’impasto è quasi identico all’odierna pasta choux (quella degli attuali bignè) e consiste in una polentina composta da acqua (o latte), burro, farina, arricchita con uova intere e un numero variabile di tuorli. Questa pasta si foggiava poi in piccoli cilindri, losanghe, oppure gettando a cucchiaiate l’impasto in acqua bollente attendendo che si gonfiasse prima di scolarlo e servirlo con burro e formaggio. Di questa ricetta esistono numerose varianti che prevedono anche spinaci o mozzarella, o ancora la farina di riso in sostituzione di quella di frumento.
Per quasi un secolo questa ricetta degli gnocchi rimase la più diffusa e si ritrova ancora quasi identica agli inizi del Novecento come “gnocchetti leggeri” (Giulia Lazzari Turco “Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza per l’uso di famiglia” del 1904) o come specialità regionale, chiamata “macaroni alla veneziana” (“100 specialità di cucina italiane ed estere” edito da Sognozo nel 1908).
Una delle ricette più antiche degli gnocchi all’acqua
Una delle ricette più antiche degli gnocchi all’acqua è riportata da Francesco Leonardi nel suo “Apicio moderno” del 1790: “Fate bollire in una cazzarola (pentola) un poco d’acqua con un buon pezzo di butirro, e sale, poneteci farina sufficiente per fare una pasta maneggievole come alla Reale (che prevedeva 22,8 cl di acqua, 56 gr di burro e una quantità non indicata di farina), fatela cuocere bene sopra il fuoco movendo sempre con una cucchiaja di legno, mettetela poscia in un’altra cazzarola. Quando sarà fredda poneteci per volta per ogni libbra (340 gr) di farina tre rossi d’uova crude e un bianco, maneggiando sempre acciò l’uova l’incorporino colla pasta, aggiungeteci un pugno di parmigiano grattato. Ponete la pasta sopra la tavola della Pasticceria, stendetela poco per volta colle mani con quasi niente farina, alla grossezza del dito grosso, tagliate gli gnocchi a mostaccioletti (piccole losanghe), fateli cuocere nell’acqua bollente giusta di sale, allorché diverranno gonfi, e dentro spongosi (spugnosi) saranno cotti; levateli subito, scolateli.”
Una volta pronti si dispongono a strati in una pirofila con burro, poca panna e parmigiano, prima di essere passati al forno. A discrezione si possono aggiungere cannella, noce moscata o pepe.
Gli gnocchi di patate
Sebbene la patata sia conosciuta e descritta dagli agronomi fin dal tardo Rinascimento, occorre attendere i drammatici esiti della carestia del 1764 per avere ricettari che ne consiglino il consumo mescolata a farina, sotto forma di pane o di pasta. La prima soluzione non prese mai piede a causa della consistenza del pane di patate che si scioglieva una volta bagnato, per cui non poteva essere utilizzato come base delle zuppe, uno degli alimenti cardine della gastronomia dell’epoca. L’introduzione della patata lessa all’interno degli gnocchi ebbe invece una discreta fortuna, ma ancora agli inizi del Novecento questa ricetta era solo una delle numerose varianti presenti in cucina.
Le prime ricette degli gnocchi di patate
Le prime ricette degli gnocchi di patate vengono proposte alla fine del Settecento e le patate lessate e schiacciate non sono semplicemente impastate con la farina, ma inserite all’interno della composizione degli gnocchi all’acqua (vedi sopra). Ancora per decine di anni dentro agli gnocchi di patate vennero inseriti svariati altri ingredienti, come tuorli d’uovo, panna, prezzemolo, aglio, ricotta e grasso di vitello. Pellegrino Artusi nel 1891 ne descrive due ricette: la prima con patate lessate e schiacciate impastate con petto di pollo tritato, parmigiano, tuorli d’uovo, farina e noce moscata. E la seconda, molto più semplice, con sole patate e farina.
Questa versione minimalista, destinata ad avere una grande fortuna, appare già nel 1871 sotto il nome di “gnocchi alla marchigiana”, ma nel 1908 il primo ricettario di cucina tradizionale italiana li include sotto le specialità bolognesi, mentre il “Talismano della felicità” del 1927 ne parla come un piatto tipico delle trattorie romane che viene servito il giovedì.
Gnocchi alla romana
Ma gli gnocchi alla romana che conosciamo oggi sono molto diversi e la loro particolarità è di essere formati da una polentina che, una volta raffreddata e tagliata in pezzi, non viene lessata in acqua, ma passata direttamente in forno con burro e formaggio. Sembra che appaiano per la prima volta ne “Il nuovo cuoco Ticinese” del 1846, un ricettario non esattamente laziale, ma che doveva godere di un punto di vista insolitamente ampio grazie alla sua posizione geografica.
Questa prima versione era composta da farina, latte, tuorli d’uovo profumata con buccia di limone grattugiata. Con lievi differenze (le uova sono intere, scompare il limone ed entra il gruviera) si ritrova ancora agli inizi del Novecento. La semola sostituirà la comune farina solo negli anni ‘30, andando a fissare la ricetta che oggi tutti conosciamo. Per la cronaca, nei ricettari viene citato un altro tipo di gnocco alla romana a base di patate e petto di pollo da servire in brodo, sostanzialmente identico a quello descritto da Pellegrino Artusi a fine Ottocento.
Gli gnocchi dispersi
Gli gnocchi sopravvissuti oggi sono una frazione di quelli registrati nei ricettari nel corso dei secoli di cui si è persa la memoria. Esistevano gli “gnocchi d’oro” a base di farina di granoturco, quelli “alla dama” impastati con tuorli d’uovo cotti, gli gnocchi di riso, di ceci, di piselli, alla panna e molti altri ancora. Tra ricette e varianti, solo il “Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza per l’uso di famiglia” di Giulia Lazzari Turco ne cita almeno 30 tipi da servire in brodo e 24 da servire asciutti: un patrimonio di specialità da cui attingere a piene mani per chi volesse sperimentare l’autentica, ma inusuale, cucina tradizionale italiana.
Le linguine sono un tipo di pasta lunga di semola di grano duro.
La lunghezza è la stessa degli spaghetti ma, anziché avere la forma cilindrica, hanno sembianze piatte e appartengono alla stessa famiglia delle bavette (spaghetto schiacciato a sezione rettangolare, di medio spessore) e delle trenette (linguine a sezione quadrata con maggior spessore ma minore larghezza) originarie di Genova.La particolare conformazione di questo tipo di pasta ne predilige l'accostamento a sughi e condimenti a base di pesce. In Liguria il condimento tipico per le trenette è il pesto, per le linguine la ricetta tipica è le linguine allo scoglio.
I maccheroni sono un tipo di pasta alimentare ottenuta mescolando semola di grano duro e acqua. A volte all'impasto sono aggiunti peperoncino, spinaci o inchiostro di seppia per conferire rispettivamente una colorazione rossa, verde o nera. Esiste anche una versione all'uovo, ottenuta aggiungendo uova all'impasto.
Con il termine maccheroni ci si riferisce normalmente a un generico tipo di pastasciutta corta di forma tubolare, internamente vuota perché s'impregni meglio del sugo con cui viene accompagnata, e di dimensioni varie (in genere la lunghezza è di circa 6 cm).
In Abruzzo ci si riferisce comunemente con il termine "maccheroni" ai cosiddetti maccheroni alla chitarra, un prodotto agroalimentare tipico della regione consistente in una pasta lunga a sezione quadrata, realizzata con degli specifici utensili denominati "chitarre".
In Sicilia, specialmente nell'entroterra, esiste anche la versione senza buco, ottenuta lavorando la pasta senza il ferretto o altro strumento similare, da servire con salsa di pomodoro e carne di castrato, caciocavallo o ricotta salata grattugiata. Va tuttavia precisato che questo tipo di pasta viene talvolta utilizzato anche per le minestre in brodo e che in alcune regioni il termine può indicare forme di pasta completamente diverse: così, ad esempio, i classici maccheroni alla chitarra abruzzesi (chiamati anche caratelle) o i maccheroni crioli (o cirioli) del Molise in realtà sono molto più simili a degli spaghetti, seppure con una sezione quadrata anziché rotonda. Analogamente, la maccaronara irpina è fatta con grossi spaghetti. I tipici maccheroncini di Campofilone, nelle Marche, sono tagliatelline all'uovo. Inoltre, in alcune zone della Toscana (in particolare nella provincia di Arezzo), per maccheroni si intendono le tagliatelle, come nel tipico piatto maccheroni co' l'ocio che viene realizzato appunto con tagliatelle al ragù d'oca, mentre in provincia di Lucca e Pistoia corrispondono agli straccetti (quadrati o rombi di pasta fatta in casa, spesso conditi con sugo di pomodoro o di funghi). In Calabria per maccheroni o filejia (nella parte centrosettentrionale) si intende un tipo di pasta lunga come mezzo spaghetto lavorata in casa, con un buco finissimo (fatto con un ferretto fino e lungo) e vanno cucinati con ragù o con la carne di capra.
Tale confusione o sovrapposizione lessicale va sostanzialmente attribuita alla più antica origine e al più vasto e generico significato del vocabolo maccheroni rispetto a quello più ristretto che ha assunto progressivamente negli ultimi due secoli con l'avvento di una terminologia specifica per ogni tipo di pasta e la nascita di nomi come spaghetti o tagliatelle.
In ogni caso il termine generico maccheroni è usato molto più spesso all'estero e inteso quasi come un sinonimo di pastasciutta se non addirittura di pasta. In Italia invece prevalgono le denominazioni legate alle diverse tipologie di pasta. Per fare alcuni esempi, quando i maccheroni si presentano con delle scanalature sulla superficie esterna vengono chiamati rigatoni (scanalature longitudinali) o tortiglioni (scanalature a spirale), se invece la forma è arcuata anziché diritta si utilizzano i termini sedani o sedanini (in base alle dimensioni) o anche lumaconi se i pezzi sono piuttosto larghi e con curvatura particolarmente accentuata.
I maccheroni sono un tipo di pasta alimentare ottenuta mescolando semola di grano duro e acqua. A volte all'impasto sono aggiunti peperoncino, spinaci o inchiostro di seppia per conferire rispettivamente una colorazione rossa, verde o nera. Esiste anche una versione all'uovo, ottenuta aggiungendo uova all'impasto.
Con il termine "maccheroni" ci si riferisce normalmente a un generico tipo di pastasciutta "corta" di forma tubolare, internamente vuota perché s'impregni meglio del sugo con cui viene accompagnata, e di dimensioni varie (in genere la lunghezza è di circa 6 cm).
Va tuttavia precisato che questo tipo di pasta viene talvolta utilizzato anche per le minestre in brodo e che in alcune regioni il termine può indicare forme di pasta completamente diverse: così, ad esempio, i classici maccheroni alla chitarra abruzzesi (chiamati anche caratelle) o i maccheroni crioli (o cirioli) del Molise in realtà sono molto più simili a degli spaghetti, seppure con una sezione quadrata anziché rotonda. Analogamente, la maccaronara irpina è fatta con grossi spaghetti. I tipici Maccheroncini di Campofilone, nelle Marche, sono tagliatelline all'uovo. Inoltre, in alcune zone della Toscana (in particolare nella provincia di Arezzo), per maccheroni si intendono le tagliatelle, come nel tipico piatto "maccheroni co' l'ocio" che viene realizzato appunto con tagliatelle al ragù d'oca, mentre in provincia di Lucca corrispondono agli "straccetti" (quadrati/rombi di pasta fatta in casa, spesso conditi con sugo di pomodoro, o funghi). In Calabria per maccheroni o filejia (nella Calabria del centro nord) si intende un tipo di pasta lunga come mezzo spaghetto lavorata in casa, con un buco finissimo (fatto con un ferretto fino e lungo) e vanno cucinati con ragù o con la carne di capra.
In ogni caso il termine generico maccheroni è usato molto più spesso all'estero, dove è anche assimilato a quello di spaghetti e inteso quasi come un sinonimo di pastasciutta se non addirittura di pasta. In Italia invece prevalgono le denominazioni legate alle diverse tipologie di pasta. Per fare alcuni esempi, quando i maccheroni si presentano con delle scanalature sulla superficie esterna vengono chiamati "rigatoni" (scanalature longitudinali) o "tortiglioni" (scanalature a spirale), se invece la forma è arcuata anziché diritta si utilizzano i termini "sedani" o "sedanini" (in base alle dimensioni) o anche "lumaconi" se i pezzi sono piuttosto larghi e con curvatura particolarmente accentuata.
In uno specifico articolo, il linguista G. Alessio precisa che la parola può avere due origini: 1) dal greco bizantino, makarònia ossia «canto funebre» (attestato nel sec. XIII da Giacomo di Bulgaria), che sarebbe passato a significare «pasto del funerale» e quindi di «pietanza da servire» durante questo officio (attestato ancor oggi in Tracia orientale, nel senso di «pietanza a base di riso servita durante i funerali»); in questo caso il termine sarebbe composto dalla doppia radice di makàrios «beato» (derivato da  màkar, «beato»; per il quale termine attuale greco, la connotazione funebre è attestata anche da makaritis «defunto») e di aeònios «eterno»; 2) dal greco maharia, «zuppa d'orzo» (anche questo, da «beato»), a cui si sarebbe aggiunto il suffisso /-one/. Secondo un'ultima ipotesi, il termine deriverebbe dal latino tardo maccare («schiacciare, comprimere»).
Secondo la leggenda, i maccheroni sarebbero stati portati in Italia da Marco Polo, di ritorno a Venezia dal lontano Catai (cioè dalla Cina), nel 1292. Questa ipotesi è stata da tempo confutata, in quanto sembra che fossero già in uso nella nostra penisola almeno da un secolo, come del resto la pasta in generale: lo scrittore arabo Idrisi ne attesta infatti la presenza in Sicilia, in particolare a Trabia.
Il Lazio ha inserito i maccheroni nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Come gli spaghetti, anche i maccheroni svolgono spesso il ruolo di simbolo della cucina italiana e più in generale dell'Italia.
Le Mafalde sono una pasta prodotta esclusivamente con farine di grano duro ed acqua e sono originarie della Campania. A Napoli un tempo erano dette "Fettuccelle Ricche" o Manfredi. Successivamente furono dedicate alla principessa Mafalda di Savoia e ribattezzate Reginette o "Mafaldine". Si prestano ad essere condite con vari sughi di carne, ad esempio nella cucina napoletana vengono condite con la ricotta precedentemente stemperata nel ragù napoletano, ed entrano spesso nella composizione della pasta mischiata.

I maltagliati sono un tipo di pasta riconosciuta come prodotto tipico della regione Emilia-Romagna. Quando si fanno le tagliatelle la pasta viene arrotolata e quindi tagliata a strisce sottili, per ricavarne appunto le "tagliatelle". Quella parte di sfoglia che è rimasta, perché non permetteva di ricavarne delle tagliatelle, (generalmente i bordi), viene tagliata in modo irregolare tanto da ricavarne pezzetti di pasta del tutto disomogenei (i maltagliati). Trattandosi per lo più delle aree perimetrali della sfoglia, anche lo spessore è disomogeneo. Insomma sono pezzetti di pasta all'uovo che si differenziano per forma, dimensione e spessore.
L'uso più classico dei maltagliati è con la minestra di fagioli, esistono comunque numerose ricette, per lo più povere, che prevedono l'utilizzo dei maltagliati.
Gli sfridi di pasta sono anche all'origine di un celebre piatto romagnolo, gli strozzapreti, questa viene attribuita alla obbligatorietà della "decima" a favore del clero. Qui le massaie romagnole, sempre utilizzando gli sfridi di pasta invece di tagliarli ulteriormente (come per i maltagliati) li arrotolavano sul palmo della mano ricavandone una sorta di gnocchetti allungati. Nel compiere questa operazione, si mormora, commentassero: "Che si possa strozzare quel prete". Alludendo al destinatario della decima.

I marubini sono un tipo di pasta ripiena riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale per la regione Lombardia. Piatto tipico del Cremonese e della pianura piacentina, con un ripieno a base di brasato, pistum (impasto di salame cremonese), grana padano, noce moscata che vengono cotti e serviti nei tre brodi ottenuti utilizzando manzo, maiale e gallina. Sono abitualmente consumati anche nella pianura nordorientale piacentina. Nel resto del Piacentino e del Parmense esiste un piatto strettamente correlato che prende però il nome di anolini e che il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha riconosciuto, su proposta della Regione Emilia-Romagna, come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani tipico della provincia di Piacenza.
Le Penne Rigate sono amate in tutta la Penisola, e cambiano nome a seconda delle regioni d'Italia. Ad esempio, per l'Umbria sono le "spole" e al sud le chiamano i "maltagliati". Ormai un fenomeno di costume, sono proverbiali per la loro versatilità perché risolvono mille situazioni, anche le più improvvise: dal piatto di pasta organizzato all'ultimo minuto con gli amici alla più classica delle tavolate familiari, riunita davanti a un bel piatto fumante di Penne all'arrabbiata o al ragù.
Le Penne Rigate si sposano alla perfezione con sughi di ogni tipo, da quelli della tradizione, a base di carne o pomodoro, a quelli più innovativi e originali, nati dall'unione tra verdure e formaggi. Con la loro linea snella, poi, sanno creare pasticci al forno dalla forma impeccabile, pronti per trionfare al centro di un pranzo di festa. La forma slanciata delle Penne Rigate si sposa bene anche con preparazioni più ricche, come la classica "boscaiola".

Appartenenti alla numerosissima famiglia napoletana degli Spaghetti, i Vermicelli sono stati protagonisti delle dissertazioni degli esperti sui calibri e le dimensioni della pasta lunga. Ma al di là delle dispute ciò che più interessa dei Vermicelli è sicuramente la loro consistenza particolarmente stuzzicante e la versatilità in cucina.
I Vermicelli appagano tutti i sensi e piacciono già alla vista, ancora prima di essere assaggiati. Ma è proprio all'assaggio che, grazie alla loro consistenza appetitosa, si raggiunge il massimo del piacere. Ideali per gli esperimenti più azzardati, i Vermicelli risolvono innumerevoli situazioni in cucina, prestandosi con uguale successo e allegria alle preparazioni classiche come a quelle più creative. Vero cavallo di battaglia della tradizione culinaria napoletana, i Vermicelli amano, oltre al classico sugo al pomodoro, tutti i condimenti, anche i più legati. La ricetta che suggeriamo è quella di abbinare i Vermicelli al sapore tutto mediterraneo del tonno e dei peperoni.