lunedì 2 gennaio 2023

Corso di Tecniche dell'alimentazione: Lezione 15 CONOSCERE IL CIOCCOLATO

cacao
cacao
Il cacao (Theobroma cacao L., 1753) è una pianta appartenente alla famiglia Sterculiaceae originaria dell'America meridionale. Si presenta in forma di albero sempreverde, alto 5-10 m.
Foglie persistenti, alterne, ovali, con margine lievemente ondulato, lucide nella parte superiore, con picciolo fogliare dotato di articolazione che permette di orientarsi a seconda dell'intensità luminosa. Non tutte le specie di cacao hanno le foglie verdi
Piccoli fiori sparsi a mazzetti, bianchi, verdi o rosei, che spuntano direttamente sul tronco o sui rami adulti; di essi solo pochi si trasformeranno in cabosside, ovvero in frutti del cacao; hanno un calice profondamente diviso, i cinque petali sono clavati, l'ovario è sessile.
Dall'ovario si sviluppa il frutto (cabossa) a forma di cedro allungato, di colore giallastro - verdognolo, che diventa bruno-rossastro a maturazione, con la buccia solcata da 10 strisce longitudinali e contenente da 25 a 40 semi; i semi sono immersi in una sostanza ricca di zuccheri, chiara e di consistenza gelatinosa. Il peso della cabosside è variabile fra 300 e 500 grammi, lunghezza di 10–15 cm. In casi eccezionali tale frutto può arrivare anche a 1 kg.
All'interno di una polpa asprigna sono racchiusi numerosi semi ovali e piatti, a forma di mandorla, di colore bruno-violaceo, disposti in cinque file, contenenti zuccheri, grassi, albuminoidi, alcaloidi e coloranti.
Tra questi alcaloidi, i più importanti sono la teobromina e la caffeina (contenuta in quantità ridotta): il primo è un euforizzante mentre il secondo è un eccitante; grosse quantità di cacao possono infatti indurre una dipendenza fisiologica. La teobromina ha inoltre effetti diuretici: era infatti adoperata come diuretico in casi di scompenso cardiaco, finché non è stata rimpiazzata da farmaci più efficaci.
Sottospecie
Cacao criollo - Theobroma cacao cacao definito anche cacao nobile.
Semi bianchi, molto profumati e poco amari; originario del Messico, esso rappresenta il seme dei Maya, poco produttivo ma delicato e di qualità pregiata. Il cacao Criollo è più diffuso in America centrale e nel nord del Sudamerica, soprattutto nei suoi paesi d’origine, l’Ecuador ed il Venezuela. Particolarmente sensibile alle intemperie, ha bisogno di molte cure e la sua resa è relativamente scarsa. I suoi semi sono ricchi di aroma e di sostanze odorose. Il cacao Criollo, sia per i ridotti quantitativi che ne vengono prodotti (rappresenta meno del 10% sul totale del raccolto mondiale), sia per il prezzo più alto, è destinato alla fabbricazione di cioccolata di alto pregio. La produzione mondiale non supera l'1% del totale, mentre per la produzione di cioccolato, esso rappresenta il 10% delle specie di cacao utilizzate.
Cacao forastero - Theobroma cacao sphaerocarpum o cacao di consumo
Semi violetti dal gusto forte e amaro. Robusto e molto produttivo, dunque più a buon mercato. Molto diffuso, con esso viene prodotto l'80% del cioccolato; rappresenta oltre l’80% di tutto il cacao raccolto nel mondo. Coltivato in Africa occidentale, in Brasile e nel sud-est asiatico. Più resistente e di migliore resa, il cacao forastero dà un cacao lievemente aspro e amaro. Nelle varie zone di coltivazione si producono qualità più fini o più ordinarie, che vengono selezionate in funzione dell’uso cui sono destinate oppure mescolate tra loro.
Cacao Trinitario (ibrido dei primi due)
Originario della bassa Amazzonia ( Trinidad), con caratteristiche intermedie ai primi due. Coltivato in: Messico, Trinidad, Caraibi, Colombia, Venezuela, Asia sud-orientale. Esso rappresenta il 10% della produzione di cioccolato.
La Coltivazione
La coltivazione richiede elevate spese d'impianto e comincia a produrre dal quinto anno, mentre la fruttificazione dura per un trentina d'anni. La pianta teme l’insolazione diretta e quindi cresce all’ombra di alberi più alti quali palme e banani. Ogni pianta fornisce 1–2 kg di semi secchi; la fruttificazione è continua ma durante l'anno si hanno due periodi di massima produzione.
Aree geografiche
Il cacao di piantagione è coltivato tra il 20º parallelo nord e il 20º parallelo sud, ad altitudine più bassa rispetto a quello selvatico, per comodità di raccolta.
Tre le grandi zone dove viene coltivato in grandi quantità, in particolare:
Cacao americano: i più apprezzati sono quello messicano, il Bahìa brasiliano, coltivato in Brasile, Colombia e Ecuador e infine il Chuao e Porcelana, coltivati in Venezuela.
Cacao asiatico: Indonesia e Sri Lanka.
Cacao africano: importante la qualità prodotta in Ghana e anche quelle coltivate in Camerun, Nigeria, Costa d'Avorio e Madagascar


cacao
Ogni pianta fornisce 1–2 kg di semi secchi. Il cacao secco mercantile, che ha una resa del 50% rispetto al seme raccolto, si ottiene mediante lieve fermentazione, essiccamento e macinazione dei semi stessi.
Raccolta
Il frutto della pianta (definito cabossa), si raccoglie un paio di volte all'anno, viene schiacciato e lo si fa riposare per circa una settimana, per poi estrarne la polpa ed i semi. Un albero produce dai 20 ai 50 frutti maturi all’anno della dimensione di una barbabietola da zucchero (lunghezza 15/25 cm; diametro 7/10 cm; peso 500 g).
Fermentazione
Il procedimento di fermentazione può essere leggermente diverso a seconda del tipo di cacao che si vuole ottenere; tempo fa, ad esempio, la fermentazione avveniva in appositi cassoni di legno. Negli attuali processi di produzione, polpa e semi si fanno fermentare insieme per 5 o 6 giorni; un tempo, invece, la fermentazione del criollo non superava i tre giorni. La temperatura di fermentazione si assesta sui 45 - 50 °C e durante questo periodo, la polpa si liquefa e viene eliminata. La fermentazione inattiva il seme, che smette di germogliare e provoca il rammollimento della polpa rimasta aderente al seme, un processo di leggero addolcimento del cacao e inoltre l'ingrossamento del seme che assume una colorazione bruna; la fermentazione provoca l'ossidazione dei polifenoli, un'ossidazione troppo scarsa provoca un sapore amaro, mentre una troppo spinta rende il seme insipido (formazione dei precursori d'aroma). Attualmente la fase di fermentazione è sostituita dalla fermentazione in armadi su plance in legno di cedro da circa 80 cm che consentono un prodotto fermentato in maniera più omogenea ed esente da muffe.
Essiccazione
I semi vengono sottoposti ad essiccazione al sole per bloccare la fermentazione e per ridurre il contenuto di umidità che favorirebbe lo sviluppo di muffe. I semi sono distesi al sole e in questa fase occorre molta manodopera per coprire velocemente i semi di cacao in caso di pioggia. Questa fase dura 7-15 giorni.
Durante l'essiccatura i semi vanno accuratamente protetti dall'umidità, che potrebbe indurre la formazione di muffe e rendere il raccolto inutilizzabile per l'uso alimentare. I semi di cacao rovinati sono comunque recuperabili come fonte di burro di cacao, usato anche nell'industria cosmetica. Un'essiccatura accelerata o artificiale è più rapida, ma produce un cacao di qualità inferiore, usato nelle produzioni industriali.
Con queste procedure i semi sono resi fragili per il rammollimento della pellicola esterna; così le due metà dei semi si suddividono mediante semplice pressione, il seme si divide così in due parti, dette cotiledoni.
Il prodotto essiccato viene poi insaccato ed inviato ai centri di raccolta.
Tostatura (o torrefazione)
Questo processo, chiamato impropriamente torrefazione, dura fra i 70 e i 120 min, con temperatura variabile in funzione del prodotto che si vuole ottenere: la produzione di cacao da cioccolato richiede una temperatura fra i 98 e i 104 °C, mentre per la produzione di cacao in polvere fra i 116 e i 121 °C. Vi sono due tipologie diverse di tostatura:
·        In speciali essiccatoi in cui i semi, mentre cadono, sono investiti da un getto di aria calda.
·        Per avanzamento su letto fluido.
Questa operazione serve a facilitare la decorticazione del cacao e anch'essa determina l'addolcimento dello stesso.
Decorticazione e degerminazione
Dopo la tostatura si esegue un lungo processo di decorticazione e di degerminazione per mezzo di macchine apposite; i cotiledoni, dopo questa operazione, possono essere venduti allo stato di fatto oppure la lavorazione può continuare tramite la triturazione.
Triturazione
I cotiledoni vengono macinati fra cilindri caldi, che, fondendo il grasso contenuto (in percentuali superiore al 50%), li trasforma in una massa fluida, viscosa e bruna detta massa di cacao o liquore.
A questo punto viene addizionato di carbonato di potassio per amalgamare il grasso con le altre componenti ma anche per neutralizzare i tannini. La massa di cacao può essere utilizzata allo stato di fatto se si vuole fare il cioccolato, oppure continuare il trattamento con la separazione del grasso.
Separazione del grasso
Una buona parte del grasso viene separata per pressione, la parte rimanente, che ha ancora il 20-28% di grasso, viene posta in contenitori, nei quali si concreta in lastre in ambiente raffreddato dette panelli. Il burro di cacao può venire separato dalla pasta ottenuta anche tramite il processo Broma (sacchi di pasta di cacao appesi in una stanza calda, da cui il burro di cacao cola via).
Macinazione
Le lastre vengono quindi ridotte a polvere impalpabile. Questa polvere viene detta cacao solubile, ma è una denominazione impropria, in quanto non esiste una forma di cacao solubile; tale denominazione indica che la polvere viene suddivisa così finemente da rimanere in sospensione quando sia mescolata con acqua.
Solubilizzazione
Consiste nell'eliminare la parte grassa rimanente tramite un riscaldamento con vapore e carbonato di sodio o di potassio per un tempo sufficiente affinché l'amido si trasformi in destrina e avvenga una parziale scissione del grasso rimanente; questa pratica è molto utilizzata dai fabbricanti olandesi, ma esistono anche altri metodi.

cioccolato

Il lessico del cioccolato secondo l'Unione Europea

Di seguito vengono riportate le definizioni adottate nell'Unione Europea:
·         Burro di cacao: la sostanza grassa ottenuta da semi di cacao o da parti di semi di cacao
·         Cacao in polvere o cacao: il prodotto ottenuto mediante trasformazione in polvere di semi di cacao puliti, decorticati e torrefatti e che presenta un tenore minimo di burro di cacao del 20% (percentuale calcolata sul peso della sostanza secca) e un tenore massimo di acqua del 9%.
·         Cacao magro in polvere o cacao magro: è cacao in polvere con un tenore di burro di cacao inferiore al 20%
·         Cioccolato in polvere: un miscuglio di cacao in polvere e zuccheri, contenente non meno del 32% di cacao in polvere.
·         Cioccolato comune in polvere o cacao zuccherato: un miscuglio di cacao in polvere e zuccheri, contenente non meno del 25% di cacao in polvere; si aggiunge il termine "magro" se il prodotto sia magro o fortemente sgrassato ai sensi della definizione precedente.
·         Cioccolato: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 35%, di cui non meno del 18% di burro di cacao e non meno del 14% di cacao secco sgrassato.
·         Cioccolato al latte: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao, zuccheri e latte o prodotti a base di latte e che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 25%, di sostanza secca del latte del 14%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 3,5%, di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%.
·         Cioccolato comune al latte: il prodotto ottenuto da cacao, zuccheri e da latte o da prodotti a base di latte, che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 20%, di sostanza secca del latte del 20%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 5%, e di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%. Il Regno Unito, l'Irlanda e Malta possono autorizzare l'uso nel loro territorio del termine milk chocolate per questo tipo di cioccolato a condizione che tale termine sia accompagnato dall'indicazione del tenore di sostanza secca di latte nella forma «sostanza secca di latte: …% minimo».
·         Cioccolato bianco: il prodotto ottenuto da burro di cacao, latte o prodotti a base di latte e zuccheri, e che contiene non meno del 20% di burro di cacao e del 14% di sostanza secca del latte; burro o grassi del latte devono essere presenti in quantità pari almeno al 3,5%.

  Tipologie e caratteristiche organolettiche del cioccolato

Ad una semplice degustazione, anche superficiale, le diverse caratteristiche dei cioccolati appaiono subito evidenti. Ripassiamole insieme:

 

·         Cioccolato bianco: di colore avorio, lucido con profumo intenso, ricco e persistente; con sentori di latte, burro, vaniglia e biscotto; gusto dolce molto marcato, aroma intenso e persistente.
·         Cioccolato al latte: di colore marrone chiaro, lucido con profumo persistente, ricco e un aroma pieno di caramello e cacao. Al palato ha una buona fusibilità e una quantità percettibile di grassi; inoltre ha una struttura croccante. Gusto dolce con una leggera nota di amaro del cacao. Aroma intenso e persistente.
·         Cioccolato mi - doux: miscela di cioccolato al latte e fondente, colore marrone lucido, profumo intenso e persistente di cacao, caffè tostato e liquirizia. Buona fusibilità in bocca e struttura croccante. Gusto dolce con nota di amaro. Gusto intenso e persistente.
·         Surfin: dal colore marrone intenso, lucido con profumo intenso, forte e ampio; sentori di cacao tostato, liquirizia e tabacco. Struttura croccante in bocca e ottima fusibilità. Gusto dolce con una nota media di amaro e aroma fine e molto persistente.
·         Extra-bitter: dal colore marrone scuro, molto lucido. Profumo fragrante, aromatico, molto intenso e persistente. Sentori di cacao, caffè e orzo tostato. Struttura croccante, fusibilità lenta. Gusto intenso e persistente, amaro con una nota di dolce.
·         Amarissimo: dal colore marrone scuro tendente al nero. Profumo forte, molto intenso, aromatico. Sentori del cacao miscelata alla viola, al tabacco e alla liquirizia. Molto croccante al morso, fusibilità lenta in bocca, gusto amaro.

  Prodotti dolciari al cioccolato

Il cioccolato viene utilizzato nella preparazione di tantissimi prodotti dolciari, tra cui:
·         Cioccolato in barrette o blocchi.
·         Cioccolatini: possono essere di varie forme e arricchiti (ricoperti o ripieni) con tantissimi ingredienti. Tra i tanti tipi di cioccolatini si hanno i cremini, i gianduiotti.
·         Praline.
·         Uova di pasqua e conigli pasquali.
·         Scaglie di cioccolato: utilizzate per decorare e insaporire dolci.
·         Torta al cioccolato (per esempio la ben nota Sacher).
·         Crêpes al cioccolato.
·         Gelati e semifreddi.
·         Mousse al cioccolato.
·         Snack tascabili dove è solitamente accostato ad altri alimenti (cocco, caramello, ecc.).

I luoghi legati al cioccolato

La Svizzera
L'industria svizzera del cioccolato (localizzata principalmente nella Svizzera romanda) detiene record sia in termini di fatturato (1.690 milioni di franchi nel 2011) sia in termini di volume di produzione (176.332 tonnellate di cioccolata prodotte nel 2011) e di esportazione (il 60,7% della produzione). Il Paese vanta inoltre il più alto consumo di cioccolato procapite al mondo (12,3 chilogrammi). Dalla fine del Seicento a livello artigianale, la produzione di cioccolato su scala industriale iniziò nella prima metà dell'Ottocento.
Queste le figure chiave:
·        François - Louis Cailler (1819, inventore della "tavoletta"),
·        Philippe Suchard (1826),
·        Henri Nestlé (1866),
·        Jean Tobler (1867, creatore del Toblerone),
·        Daniel Peter (1875, inventore del cioccolato al latte)
·        Rodolphe Lindt (1879, inventore del cioccolato fondente).

Il Belgio

Nella prima metà dell'Ottocento nelle città del Regno iniziò la produzione delle praline: piccoli cioccolatini ripieni di liquore, marzapane o cioccolato fondente.

Il Piemonte

Torino è dal 1600 una delle capitali italiane e forse europee del cioccolato, qui sono stati inventati il cioccolato con le nocciole Prochet e la macchina per trattare industrialmente il cioccolato Caffarel. All'industria Talmone si deve la prima rete di commercializzazione nazionale di cioccolato.

La Sicilia

Il cioccolato di Modica ha origini antichissime, furono gli spagnoli che, per opera di Herman Cortés intorno al 1519, importarono i primi chicchi di cacao avendone appreso le qualità eccellenti e le potenzialità economiche, e ne instaurarono successivamente un vero e proprio commercio intorno al 1580. Facendo diversi usi e avendone appreso la lavorazione, fu durante la loro dominazione in Sicilia nel XVI secolo, che gli spagnoli la introdussero nella “Contea di Modica”, la Contea più grande del Regno di Sicilia, tale da nominarsi anche come “Il Regno nel Regno” sia per l’astensione del suo territorio (si estendeva, di fatto alle porte di Palermo) che per le ricchezze economiche, le risorse del territorio, la magnifica arte barocca nonché le tradizioni dolciarie radicate in essa.
Contrariamente a quanto avvenne in seguito nel Regno d’Italia e in tutta l’Europa, nella Contea di Modica non si passò mai alla lavorazione industriale del cioccolato, conservandone così l’artigianalità della sua manifattura. Il “Cioccolato di Modica” si presenta di colore nero scuro con riflessi bruni; rustico, quasi grezzo, con granuli di zucchero lasciati grossolani che gli conferiscono, oltre alla particolarità nel gusto, una brillantezza di riflessi quasi come “pietra marmorea”; il suo gusto di cacao è tondo, vellutato e persistente. La sua lavorazione, che avviene quasi a freddo (al massimo a 35 / 40 °C), permette di mantenere inalterate le sue caratteristiche organolettiche. Tutto ciò lo differenza dagli altri tipi di cioccolato, rendendolo originale e quindi unico nel suo genere
Le Fiere del cioccolato
Non può far mare partecipare anche ad una manifestazione sul cioccolato
Ogni anno sono molte le fiere dedicate al cacao e al cioccolato in ogni parte del mondo; in Italia tra le più frequentate si possono ricordare:
·        il CioccolaTò di Torino,
·        il Cioccoshow di Bologna in Piazza Maggiore,
·        la Fiera del cioccolato di Cervia (Ravenna),
·        la Fiera del Cioccolato di Firenze (Piazza Santa Croce),
·        l’Altrocioccolato di Gubbio,
·        l'Eurochocolate di Perugia
·        la Showcolate a Napoli presso la Mostra d'Oltremare
·        il Choccobarocco di Modica.


Cioccolato e salute

Il cacao ha un potere antiossidante (ORAC) tra i più elevati in assoluto, un indice di valore 80933, circa 19 volte più potente di una mela, che notoriamente viene considerata un ottimo antiossidante. Le qualità del cacao sono varie: è indicato in quanto energetico, leggermente stimolante e con virtù antidepressive.
Esso infatti è un prodotto blandamente psicoattivo per via del suo contenuto di teobromina, di feniletilamina, di piccole quantità di anandamide (un cannabinoide endogeno del cervello), caffeina e triptofano. La quantità di caffeina contenuta nel cioccolato non è considerata significativa, a meno che non venga espressamente aggiunta durante la lavorazione.
La tabella seguente riporta i valori nutrizionali corrispondenti a 100 grammi di cioccolato:
Valori nutrizionali (per 100 g di prodotto)[27]
Tipologia
Cioccolato fondente
Cioccolato al latte
Cioccolato bianco
Proteine (g)
3,2
7,6
7,5
Lipidi (g)
33,4
32,3
37
Carboidrati (g)
60,3
57
52
Lecitina pura (g)
0,3
0,3
0,3
Teobromina (g)
0,6
0,2
--
Calcio (mg)
20
220
250
Magnesio (mg)
80
50
30
Fosforo (mg)
130
210
200
Ferro (mg)
2
0,8
tracce
Rame (mg)
0,7
0,4
tracce
Vitamina A (IU)
40
300
220
Vitamina B1 (mg)
0,06
0,1
0,1
Vitamina B2 (mg)
0,06
0,3
0,4
Vitamina C (mg)
1,14
3
3
Vitamina D (IU)
50
70
15
Vitamina E (mg)
2,4
1,2
tracce
Valore energetico (kJ)
2.080
2.160
2.260
Valore energetico (kcal)
495,2
514,2
538

cioccolato
Gli esordi
I primi coltivatori e assidui consumatori del cacao furono probabilmente gli Olmechi, un'antica popolazione che visse e si sviluppò nella regione Mesoamericana (l'odierno Messico centrale) e che colonizzò e civilizzò l'America intorno al 1500-1400 a.C.
Secondo una leggenda azteca, la pianta fu donata dal dio Quetzalcoatl (da cui il nome cioccolato) per alleviare gli esseri umani dalla fatica.
I Maya produssero in seguito una bevanda calda a base di cacao cui però aggiungevano i fagioli delle loro piantagioni, che si trovavano nella regione di Tabasco, nell'attuale Messico.
Loro chiamarono questa bevanda "xocoatl" (da "xococ" che significa "cioccolato" e "atl" che sta per "acqua": la "x" è un fonema derivante dalla lingua spagnola arcaica e che è stato sostituito nella lingua inglese dal fonema "sh"). La ricetta dello "xocoatl" era molto semplice: si arrostivano i fagioli insieme al cacao, ed a questo miscuglio semi solido si aggiungeva acqua (in modo da farlo diventare liquido) e un po' di pepe.
I Maya veneravano in maniera quasi religiosa questa bevanda ed i chicchi di cacao erano preziosi, tanto da essere usati come valuta di scambio economico.
Dopo la scoperta dell'America (1492) gli europei scoprirono i semi del cacao quando Cristoforo Colombo li ricevette in dono, durante il suo quarto viaggio, presso l'isola di Guanaja. Nella civiltà azteca erano considerati un bene di lusso, e venivano importati per il fatto che la pianta non cresceva sul territorio dell'impero. Il consumo del cacao era una prerogativa dei ceti alti (nobili, guerrieri e sacerdoti), e rappresentava uno dei cardini della cucina azteca. I semi di cacao erano talmente preziosi da venire adoperati anche come moneta. Da ciò il primo nome del cacao (Amygdalae pecuniariae ovvero mandorla di denaro) poi sostituito da Linneo in Theobroma cacao o cibo degli dei. Le fonti del tempo narrano anche di frequenti contraffazioni effettuate riempiendo i gusci vuoti con sporcizia o fango. Proprio dal termine azteco in lingua nahuatl xocoatl deriva la parola "cioccolato".
Cristoforo Colombo inviò in Europa semi di cacao, ma le grandi potenze europee rispedirono al mittente tali piantagioni, preferendo accogliere al loro interno coltivazioni più facili da produrre.
Quelli che il navigatore italiano chiamava indiani d'America continuarono a divinizzare le piante di cacao fino al 1517, anno in cui il conquistatore Herman Cortés sbarcò sul litorale messicano, vicino l'odierna Vera Cruz, dove era ubicato l'impero azteco.
L'imperatore Montezuma II fece conoscere all'esploratore spagnolo la chocolatl, una bevanda dolcissima a base di cioccolato condito con vaniglia e le spezie ed in modo che una volta preparato sia ridotto ad una schiuma avente la stessa consistenza del miele. La grande innovazione del chocolatl era che una volta introdotta in bocca essa diventava liquida grazie al freddo della saliva. Montezuma II consumava tale bevanda prima di entrare nel suo harem perché era convinto che la sostanza fosse afrodisiaca. Dopo la morte di Montezuma e la conquista dell'impero azteco, Cortés fu nominato governatore dei territori da lui conquistati (il "nuovo mondo"). In questa veste egli decise di inviare gratuitamente in Spagna i semi di cacao che arrivano in Europa nel 1528.
Qui la bevanda ottiene il successo solo con l’aggiunta di zucchero, anice, cannella e vaniglia. La corte dell'imperatore Carlo V gradì moltissimo la nuova bevanda, tanto che la cioccolata calda divenne il vero status symbol delle classi sociali economicamente avanzate. La cioccolata calda era anche il regalo di nozze che Carlo V inviava quando un membro della sua famiglia sposava un nobile straniero: questi regali contribuirono alla diffusione della cioccolata calda in tutta Europa, diffusione favorita anche dal fatto che il sovrano non volle mai rendere pubblica la ricetta della cioccolata calda; nacquero in queste modo varie leggende sulla preparazione di questa dolcezza.
Lo sviluppo
La ricetta originale della cioccolata calda era una miscela di cacao, acqua, vino e vari tipi di spezie. Gli spagnoli cominciarono presto a riscaldare la miscela ed a dolcificarla con lo zucchero, che importavano dalle colonie dopo avere introdotto la coltivazione della canna da zucchero oltre oceano (la disponibilità di zucchero, cacao e caffè diede un notevole impulso all'arte culinaria, permettendo la nascita della pasticceria europea come arte autonoma).
Nel 1606 il cioccolato si produce anche in Italia, a Firenze e Venezia. Nel 1678 Antonio Ari ottiene dai Savoia il permesso di vendere la cioccolata in "bevanda" e creando di fatto la celebre scuola torinese del cioccolato. Furono i britannici però ad avere l'idea di sostituire l'acqua con il latte e di consumare la "hot chocolate" dopo pranzo.
Nel XVIII secolo nacquero a Londra ed in varie zone dell'Inghilterra le chocolate house, che divennero celebri almeno quanto le coffee house: in questi luoghi i clienti potevano consumare liberamente una tazza di cioccolata calda e parlare senza censura di politica, economia, scienza e filosofia. La prima "Casa del Cioccolato" nacque proprio nella capitale londinese nel 1657, ma a causa del suo costo eccessivo la cioccolata calda fu per più di un secolo una bevanda rivolta esclusivamente all'élite della società. Il termine "cioccolata calda" è un neologismo coniato probabilmente in Italia molto tempo dopo: inizialmente la bevanda era chiamata semplicemente cioccolata.
Nel 1802 il genovese Bozelli costruisce una macchina per raffinare la pasta di cacao.
Alla scuola torinese di cioccolato si forma Francois-Luis Cailler che nel 1819 fonda la prima fabbrica svizzera di cioccolato a Vevey.
Nel 1828 l’olandese van Houten separa il burro di cacao e crea la prima macchinetta che produce la cioccolata calda, tramite un dischetto di plastica contenente cacao, acqua e latte che veniva filtrato meccanicamente. La fragranza della bevanda uscita dalla macchinetta era però diversa da quella originale, in quanto più acida. Si scoprì poco dopo che i progettisti della macchinetta avevano usato surrogato di cacao, che era meno gustoso rispetto al cacao originale ma che si legava più facilmente al latte e all'acqua calda.
Nel 1865 a Torino Caffarel mescola cacao e nocciole producendo il cioccolato gianduia.
Nel 1878 lo svizzero Daniel Peter mescola il latte al cacao producendo il cioccolato al latte.
Nel 1879 a Berna Rodolphe Lindt produce il cioccolato fondente.
Nel 1923 a Chicago Frank Mars inventa la barretta al cioccolato.
La diffusione delle tavolette di cioccolato, vendute soprattutto nei bar, rese indispensabile l’aggiunta dell’aggettivo alla cioccolata liquida per distinguerla da quella solida.
Oggi
Si è recentemente diffusa negli Stati Uniti d'America l'usanza di aggiungere la panna montata alla cioccolata calda: ciò rende la bevanda più dolce ma sicuramente più calorica. La fantasia dei baristi tuttavia non si ferma certo qui: dal miele al caffè, dal caramello alla crema, dai cereali alle noccioline, tutto può essere aggiunto (con risultati più o meno soddisfacenti) alla cioccolata calda. Oggi la cioccolata calda è bevuta ed apprezzata in tutto il mondo. La cioccolata calda è anche diffusissima in Europa (Italia compresa) ed in Asia (India in particolare). Recentemente è nata in Italia la cioccolata "fredda", la cui ricetta è uguale a quella calda ma che si ottiene attraverso un processo di raffreddamento del cacao.
cioccolato
La preparazione del cioccolato avviene seguendo il seguente schema:

Miscelazione

Il processo di preparazione del cioccolato inizia con la "miscelazione" (blending o mélangeur).
Partendo dall'ingrediente base della pasta di cacao, ottenuta dalla lavorazione dei semi del cacao, vengono aggiunti gli altri ingredienti necessari, più precisamente:
·         fondente: pasta di cacao, burro di cacao, zucchero e vaniglia
·         al latte: come sopra, ma con aggiunta di latte o latte in polvere
·         bianco: burro di cacao, zucchero, vaniglia, latte o latte in polvere
In alcuni paesi la legge consente di tagliare il burro di cacao con altri grassi vegetali. Spesso viene aggiunta anche la lecitina di soia, che agisce come agente emulsionante favorendo una maggiore omogeneizzazione degli ingredienti. Diversi produttori introducono variazioni personalizzate alle proporzioni delle ricette base, come una sorta di "marchio di fabbrica".
Il cioccolato fondente più pregiato arriva a contenere non meno del 70% di cacao (sia polvere che burro). L'impasto viene poi passato dalle raffinatrici, che sono delle macchine laminatrici (tipiche fra queste quelle funzionanti a 5 cilindri). Il passaggio attraverso le macchine raffinatrici è detto in inglese refining o fine grinding.

Concaggio

Il successivo stadio prende il nome di concaggio (conchage o conching). Consiste nel mescolare per tempi molto lunghi la miscela di ingredienti in apposite impastatrici dette conche aggiungendo eventualmente dell'altro burro di cacao. Ciò deve avvenire a temperatura controllata appena sufficiente a mantenere la miscela liquida avendo cura di rompere i grumi dei vari ingredienti fino a portarli a dimensioni inavvertibili dalla lingua ed a farne una massa perfettamente liscia ed omogenea.
I cioccolati più pregiati vengono trattati in questo modo per non meno di una settimana. Terminata questa fase, il cioccolato viene mantenuto fuso in serbatoi a 45-50°C. Il concaggio serve, fra le altre cose, anche ad ossidare i tannini. Tale tipo di lavorazione fu inventato, nel 1880, da Rodolphe Lindt.

Temperaggio

La fase successiva al concaggio è il temperaggio (tempering).
Dato che il burro di cacao tende a cristallizzare in modo polimorfo ed irregolare, la massa di cioccolato fuso deve venire raffreddata cautamente, in modo da portare alla cristallizzazione desiderata, quella che produce un cioccolato che si spezza ma che allo stesso tempo si scioglie morbidamente. Per ottenerla, la massa di cioccolato viene raffreddata gradualmente da 45°C a 27°C, quindi riscaldata a 31°C (±1°C) per il cioccolato fondente, e 29°C per quello al latte e successivamente raffreddata fino allo stato solido.

Modellaggio

Dopo il temperaggio il cioccolato viene sottoposto al "modellaggio" (molding): viene versato in stampi che sono posti in leggera vibrazione per eliminare le bolle di aria imprigionate all'interno. Una volta raffreddato, il cioccolato assumerà la forma degli stampi ed è pronto al "confezionamento" (packaging).
 
Degustare è molto più che mangiare, implica infatti essere in grado di decifrare al meglio tutte le sensazioni che un cioccolato ci trasmette nel momento in cui si scioglie in bocca, andando quindi molto al di là di un semplice “buono” o “cattivo”.
Questo ci permette anche di gustare in modo ottimale il nostro cibo preferito, di coglierne tutte le sue peculiarità ma anche i suoi difetti; in altre parole, ci consente di capirlo nel profondo, fornendoci tutti gli strumenti per giudicarlo ed eventualmente apprezzarlo. Perché non dimentichiamoci che il cibo è soprattutto piacere, e tale deve rimanere; nessuna analisi organolettica potrà mai toglierci la componente edonistica di assaporare uno splendido cioccolato. Anzi, le giuste conoscenze in materia di degustazione non potranno far altro che rendere massimo questo piacere.
Per fare ciò occorre un’adeguata formazione.
Esistono appositi corsi e master nei quali si insegna a degustare ed a valutare i diversi tipi di cioccolato, tramite una parte teorica e una pratica, perché per capire il cioccolato è indispensabile soprattutto “praticarlo”.
Ma sapere riconoscere le caratteristiche principali di una tavoletta non basta per avere una conoscenza completa dell’argomento, in quanto è opportuno anche capire i motivi per i quali quel determinato cioccolato ha quelle specifiche caratteristiche; un fondente può risultare più o meno astringente, più o meno rotondo, o magari acido, farinoso, aromatico e tanto altro.
Oltre a saper individuare queste peculiarità, un degustatore dovrebbe capire, o almeno, ipotizzare, che cosa può aver conferito alla tavoletta le sue singole caratteristiche.
Ci sono poi tanti altri aspetti importanti: gli abbinamenti con gli alcolici, gli aspetti nutrizionali, la conservazione, il cioccolato in cucina, ecc.
Quali sono le regole di base per la degustazione?
Occorre sempre tenere presente che per apprezzare al massimo un cibo occorre saperne riconoscere tutte le sue caratteristiche, nel bene e nel male. Occorre quindi sapere quali sue caratteristiche andare ad analizzare, e come farlo. Solo così potremo, da un lato, sfruttare al meglio le capacità sensoriali di cui la natura ci ha dotati, e, dall’altro, riconoscere pregi e difetti di ogni cioccolato. E, finalmente, godere del piacere che ci offre.
La prima regola è quella di fare attenzione alla temperatura ambientale: sopra i 23-24 gradi il cioccolato inizia a soffrire, più marcatamente quello al latte e il gianduia.
La degustazione è un’esperienza polisensoriale.
Tutti e cinque i nostri sensi sono coinvolti nella degustazione, come dire che usiamo tutte le armi che abbiamo a disposizione per sviscerare le proprietà di ogni cioccolato.
Vista.
Una volta aperta la tavoletta, come prima cosa deve essere osservata attentamente sia la parte superiore che quella inferiore, nonché la sezione dopo averne spezzato alcuni quadratini. La parte superiore deve presentarsi lucida, omogenea; la parte inferiore non deve avere striature, macchie, bolle d’aria, ma deve essere uniforme e liscia; anche la sezione deve essere omogenea, liscia, senza bolle d’aria, come fosse porcellana.
Udito.
Una tavoletta di cioccolato fondente quando viene spezzata deve produrre il tipico snap, quel suono netto e pulito che siamo abituati a sentire. Per gli altri tipi di cioccolato questo parametro è poco significativo.
Tatto.
Una volta in bocca, il cioccolato deve sciogliersi rapidamente e in modo uniforme, senza dare sensazioni grasse, molli o gommose. Deve trasformarsi in una pasta setosa e scorrevole, priva di granuli e non sabbiosa, deve avvolgere la bocca senza rimanere appiccicosa. Deve essere meno astringente possibile, sensazione simile a quella offerta dai cachi acerbi. Un cioccolato avvolgente e piacevole, che non offra percezioni di spicco (come acidità, astringenza, amarezza, ecc.) ci darà anche una sensazione di maggiore rotondità.
Olfatto.
E’ tramite l’olfatto che percepiamo quelli che chiamiamo sapori, profumi, aromi. Il naso è l’organo più coinvolto in ogni degustazione: i recettori nasali ricevono le molecole del cioccolato per via retro-olfattiva, passando dalla bocca al naso attraverso la faringe. Un buon cioccolato deve essere ricco di profumi, aromatico, offrire sensazioni di complessità e completezza. Oltre all’aroma primario di cacao, che ci aspettiamo intenso ma non estremo, una tavoletta di qualità deve offrire anche degli aromi secondari, ovvero un insieme di profumi ricco e piacevole; talvolta è possibile identificarne alcuni, ad esempio di frutta, fiori, caramello, tabacco, caffè, liquirizia, spezie, legno, e tanti altri. Ma anche senza dare loro un’identità precisa, la presenza di un bouquet aromatico complesso e gradevole è di certo un importante valore aggiunto. E quanto più a lungo i profumi si faranno sentire, tanto migliore sarà anche la persistenza del cioccolato.
Gusto.
Il gusto è correlato a quanto lingua e bocca sono in grado di percepire, ovvero ai quattro sapori fondamentali: dolce, amaro, acido e salato. Un buon cioccolato non deve essere troppo dolce, in relazione alla sua tipologia: fondente, latte, gianduia, ecc.; non deve neanche dare sensazioni di amarezza, in particolare per le tavolette non fondenti. In modo simile, anche l’acidità deve essere contenuta, non deve farsi notare. E’ altresì importante che queste sensazioni gustative siano in equilibrio tra loro, evitando che una di esse spicchi più delle altre creando di conseguenza un disomogeneità sensoriale.
Alla fine, il cioccolato deve lasciarci una sensazione finale piacevole, complessivamente appagante, elegante ed armoniosa, proprio come ci aspettiamo da una grande tavoletta; devono invece essere assenti, o più limitate possibili, le caratteristiche meno piacevoli (come astringenza, amarezza, acidità, ecc.)
Chocolate Taster
Il Chocolate Taster (Degustatore di cioccolato) è un esperto in grado di comprendere le caratteristiche di ogni cioccolato e di valutarne la qualità dall’analisi organolettica compilando la relativa scheda di valutazione.
Conosce:
·        La storia del cioccolato e la coltivazione del cacao
·        I tipi di cacao e loro geografia
·        La lavorazione del cioccolato, dai semi alla tavoletta
·        Gli ingredienti dei diversi tipi di cioccolato, i grassi vegetali e l’etichetta delle tavolette
·        La conservazione del cioccolato
·        L’analisi organolettica del cioccolato
·        La scheda di valutazione del cioccolato
·        L’abbinamento del cioccolato con le bevande
·        L’uso del cioccolato in cucina
·        Le proprietà del cioccolato relative alla salute
12 CONSERVE (2^ Edizione)

Conserve. In queste 230 pagine ho raccolto circa 300 schede di ricette, prodotti e consigli di degustazione pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. La dispensa delle conserve deve essere sempre ben fornita. Molto meglio se sarete voi a produrre una parte di queste delizie. Confetture, marmellate, gelatine, sottolio, sottaceto, frutta essiccata, frutta candita, ecc. Nelle stagioni in cui certi prodotti non sono disponibili, la nostra dispensa dei sapori mostra il suo tesoro.



Corso di Tecniche dell'alimentazione: Lezione 14 CONOSCERE IL CAFFÉ

 

Il caffè è una bevanda ottenuta dalla torrefazione e macinazione dei semi di alcune specie di piccoli alberi tropicali appartenenti al genere Coffea, parte della famiglia botanica delle Rubiaceae, un gruppo di angiosperme che comprende oltre 600 generi e 13.500 specie. Sebbene all'interno del genere Coffea siano identificate e descritte oltre 100 specie, commercialmente le diverse specie di origine sono presentate come diverse varietà di caffè. Le più diffuse tra esse sono l'arabica e la robustaLe specie di caffè coltivate su grande scala sono tre: Coffea arabicaCoffea Robusta (meglio sarebbe dire Coffea canephora) e, in minor misura, Coffea liberica. Una decina vengono coltivate localmente. Le specie differiscono per gusto, contenuto di caffeina, e adattabilità a climi e terreni diversi da quelli di origine. Ricordiamo che tutte le specie coltivate esistono ancora, nelle zone d'origine, allo stato selvatico. È però anche vero che sono state create artificialmente molte nuove varietà.
SPECIE PRINCIPALI
Arabica
La specie che è stata usata per prima è Coffea arabica, una pianta originaria dell'Etiopia (dove il caffè viene chiamato buna), del Sudan sud-orientale e del Kenya settentrionale e in seguito diffusasi nello Yemen, luogo in cui, peraltro, si ebbero le prime tracce storiche del consumo della bevanda, nel lontano 1450 tra i seguaci del sufismo. I semi di Coffea arabica hanno un contenuto di caffeina molto inferiore a quelli delle altre specie di larga diffusione e rispetto alle altre specie è autoimpollinante, cioè autogama e inoltre predilige coltivazioni ad alta quota (tra 1000 e 2000 metri). La coltivazione di Coffea arabica fuori dei territori d'origine è iniziata molto presto, come ad esempio in Indonesia nel 1699.
Robusta (Coffea canephora)
Molto coltivata oggi è Coffea robusta (o Coffea canephora, nome considerato scientificamente più corretto ma poco usato commercialmente). È una specie originaria dell'Africa tropicale, tra l'Uganda e la Guinea, molto adattabile (cresce anche a quote inferiori ai 700 metri) e perciò più economica. La sua coltivazione è iniziata solo nell'Ottocento. È una pianta allogama, quindi richiede impollinazioni incrociate che la possono differenziare geneticamente con più facilità rispetto alla arabica.
Liberica
Tra le specie di coltura meno diffusa, la più importante è Coffea liberica, originaria della Liberia e coltivata, oltre che in Africa occidentale, soprattutto in Indonesia e nelle Filippine. Esiste anche una sua variante la cosiddetta Excelsa (Coffea liberica var. dewevrei). Infatti nel 1903 è stata scoperta in Africa una nuova specie di alberi del caffè, battezzata con il nome di Coffea excelsa. Tuttavia, successivamente, i botanici hanno ritenuto che questa specie fosse in realtà solo una varietà di Coffea liberica e il suo nome scientifico corretto è quindi Coffea liberica var. dewevrei. La varietà continua a essere chiamata Excelsa da coltivatori e commerciali e viene considerata molto promettente.
Specie minori
Ricordiamo qui solo le seguenti:
Stenophylla
Coffea stenophylla è originario dell'Africa occidentale, dove viene coltivato localmente (Liberia, Sierra Leone, Costa d'Avorio). È resistente alla siccità. Il profumo è stato paragonato a quello del tè, il sapore non è gradito a tutti i palati.
Mauritiana
Coffea mauritiana è il caffè marrone dell'Isola Maurizio e della vicina Isola della Riunione; una recente varietà orticolturale, il Bourbon pointu, sembra molto promettente.
Racemosa
Coffea racemosa, originaria del Mozambico, perde le foglie durante la stagione secca.
STORIA
Fino al XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta del caffè e, oltre all'Etiopia, si ipotizzava la Persia e lo Yemen. Pellegrino Artusi, nel suo celebre manuale, sostiene che il miglior caffè sia quello di Mokha (città nello Yemen), e che questo sarebbe l'indizio per individuarne il luogo d'origine.
Esistono molte leggende sull'origine del caffè.
La più conosciuta dice che un pastore chiamato Kaldi portava a pascolare le capre in Etiopia. Un giorno queste incontrando una pianta di caffè cominciarono a mangiare le bacche e a masticare le foglie. Arrivata la notte le capre anziché dormire si misero a vagabondare con energia e vivacità mai espressa fino ad allora. Vedendo questo il pastore ne individuò la ragione e abbrustolì i semi della pianta mangiati dal suo gregge, poi le macinò e ne fece un'infusione, ottenendo il caffè.
Esiste anche una leggenda che narra di un incendio in Abissinia di piante selvatiche di caffè che diffuse nell'aria il suo fumo per chilometri e chilometri di distanza.
Un'altra leggenda ha come protagonista il profeta Maometto il quale, sentendosi male, ebbe un giorno la visione dell'Arcangelo Gabriele che gli offriva una pozione nera (come la Sacra Pietra della Mecca) creata da Allah, che gli permise di riprendersi e tornare in forze.
Nel XV secolo la conoscenza della bevanda a base di caffè si estese fino a Damasco, al Cairo per arrivare infine ad Istanbul, dove il suo consumo avveniva nei luoghi d'incontro dell'epoca. Nella sua opera Sylva sylvarum, pubblicata postuma nel 1627, Francesco Bacone fornisce per primo una descrizione di questi locali in cui i turchi siedono a bere caffè, paragonandoli alle taverne europee.
I primi a descrivere in Europa la pianta di caffè furono: in Germania, il botanico Léonard Rauwolf, con un libro pubblicato nel 1583 e in Italia, il marosticense Prospero Alpini, nel suo libro De Medicina AEgyptiorum datato 1591. Nella rappresentazione di Prospero Alpini mancano però le bacche della pianta di caffè, che furono descritte in Europa solo nel 1605 da Charles de L'Écluse, direttore allora del giardino botanico di Vienna.
Per i suoi rapporti commerciali in Vicino Oriente, Venezia fu la prima a far uso del caffè in Italia, forse fin dal XVI secolo; ma le prime botteghe del caffè furono aperte solo nel 1645 ed il medico e letterato Francesco Redi nel suo Bacco in Toscana già cantava:
« Beverei prima il veleno/ Che un bicchier che fosse pieno/ Dell'amaro e reo caffè »
Nel XVII secolo, a Londra ed a Parigi una libbra di caffè veniva pagata fino a 40 scudi. L'uso si andò poi via via generalizzando per crescere fino all'immenso consumo che se ne fa tuttora.
Verso il 1650, cominciò ad essere importato e consumato in Inghilterra e si aprirono di conseguenza i primi caffè (intesi come circoli e bar e detti in inglese coffeehouse), come ad esempio quelli di Oxford e di Londra.
Nel 1663 in Inghilterra vi erano già 80 coffeehouse, cresciuti vertiginosamente fino a superare le 3000 unità nel 1715. I caffè divennero presto luoghi di nascita e diffusione di idee liberali, e furono frequentati da letterati, politici e filosofi, diffondendone l'uso in tutta Europa. Nel 1670 aprì il primo caffè a Berlino e nel 1686 a Parigi. Nel 1684 Franciszek Jerzy Kulczycki, soldato delle truppe del re polacco Jan III Sobieski, che era giunto in Austria per salvare Vienna dall'assedio dei Turchi, dopo la liberazione della città, aprì in questa la prima bottega del caffè, fra le prime in Europa. Costui utilizzò all'inizio i sacchi di caffè abbandonati dall'esercito ottomano in fuga.
Nel 1689 venne inaugurato il primo caffè negli Stati Uniti, a Boston, denominato London Coffee House. Seguì il The King's Arms, aperto a New York nel 1696.
Nel Settecento ogni città d'Europa possedeva almeno un caffè. Il caffè iniziò ad essere coltivato in larga scala nelle colonie britanniche e in quelle olandesi (in Indonesia). La Compagnia olandese delle Indie Orientali incominciò a coltivare il caffè già nell'ultimo decennio del XVII secolo, presso Giava utilizzando semi provenienti dal porto di Mocha, nello Yemen. Nel 1706 alcune piantine di caffè vennero trasferite da Giava al giardino botanico di Amsterdam; da lì, nel 1713, una pianta raggiunse la Francia.
Nel 1720 Gabriel de Clieu, un ufficiale della marina francese, salpò alla volta dei Caraibi con due piantine di caffè di cui solo una sopravvisse arrivando alla colonia francese della Martinica. Da lì, nei decenni seguenti, le piante si diffusero rapidamente in tutto il Centroamerica: Santo Domingo (1725), Guadalupa (1726), Giamaica (1730), Cuba (1748) e Porto Rico (1755).
Nello stesso periodo, precisamente nel 1718, gli olandesi portarono il caffè in un'altra loro colonia, la Guiana Olandese (attuale Suriname) da cui, nel 1719 entrò nella Guiana Francese e di qui penetrò infine in Brasile, dove, nel 1727, vennero create le prime piantagioni. L'industria nelle colonie dipendeva esclusivamente dalla pratica della schiavitù, abolita solo, peraltro formalmente, nel 1888.
Fu Carlo Linneo, botanico svedese a cui si deve la diffusione del sistema di classificazione degli organismi in genere e specie, a proporre per primo il genere Coffea nel 1737.
ZONE DI PRODUZIONE
Distribuzione geografica della coltivazione del caffè: (r) specie robusta, (a) specie arabica, (m) entrambe
Indicativamente, le zone di produzione sono rappresentate dalla seguente mappa: dati più precisi possono essere trovati sul sito dell'International Coffee Organization (ICO). Secondo le statistiche ivi riportate, i maggiori produttori mondiali sono, nell'ordine, il Brasile, il Vietnam, la Colombia e l'Indonesia. Seguono, con ordine variabile secondo le annate, Messico, Guatemala, Honduras, Nicaragua, El Salvador, Etiopia, India, Ecuador.
Qualità del caffè
Il caffè più pregiato del mondo, il Kopi Luwak, si produce in Indonesia. La produzione è dell'ordine dei 50 kg l'anno e costa all'incirca 500 € al kg. La particolarità del Kopi Luwak risiede nel fatto che si tratta di chicchi di caffè mangiati e digeriti dallo zibetto delle palme (luwak), raccolti poi a mano e tostati normalmente. Gli esponenti della Cup of Excellence, ovverosia una giuria che assegna gli Oscar del caffè, valutano alcuni parametri ritenuti fondamentali, tra i quali l'aroma, la dolcezza, il sapore, l'acidità, la mancanza di difetti, il retrogusto. In generale la qualità è in relazione con l'ambiente di crescita, con le pratiche adoperate nella coltura, con il tipo di lavorazione delle bacche (il grado e la loro omogeneità) e con il luogo di provenienza.
TIPOLOGIE DI BEVANDE COL CAFFÉ
Caffè espresso
Il caffè espresso è la bevanda più consumata e conosciuta in Italia tra le varie tipologie di caffè. È ottenuta dalla torrefazione e macinazione dei semi della Coffea arabica e Coffea robusta, preparata secondo un procedimento di percolazione sotto alta pressione di acqua calda per mezzo di un'apposita macchina. Normalmente, per ottenere un buon espresso da bar, il macinacaffè deve essere dotato di macina elicoidale centrifuga, l'unica adatta a frantumare i chicchi in fini granuli con dimensione uniforme, il grado di finezza della macinatura va scelto in base alle caratteristiche della macchina, della miscela e alle condizioni ambientali di umidità e temperatura; generalmente risulta più fine di quella da cui si ottiene il caffè da moka.
Caffè ristretto
Si ottiene con la macchina per caffè espresso, semplicemente lasciando fluire meno liquido nella tazzina, così da estrarre dalla polvere macinata del caffè solo le prime frazioni che contengono i tannini (tutto il colore scuro della bevanda e l'aroma); si ottiene un espresso più forte nel sapore. La concentrazione di caffeina è però molto ridotta. Si può preparare anche con la moka, spegnendo il fuoco non appena il caffè comincia a uscire.
Caffè corto
Diverso dal caffè ristretto, Il caffè corto è semplicemente mezza tazza di caffè preparato normalmente con la moka o con la napoletana, o con altro strumento che non sia la macchina per caffè espresso. in questa varietà si ha sempre la stessa concentrazione di caffeina di un caffè lungo ma una minor quantità di liquido.
Caffè lungo
Opposto al caffè ristretto, si ottiene lasciando fluire più acqua nella tazzina rispetto ad un normale espresso, si ha così un caffè con una minore concentrazione di aromi e un'alta concentrazione di caffeina. La definizione "lungo" è spesso usata per disprezzare il caffè servito, per via dell'eccessiva quantità di acqua che deconcentra il gusto e l'aroma.
Caffè macchiato
Si ottiene aggiungendo una piccola quantità di latte, freddo o caldo, nel normalissimo espresso appena preparato, e prende quindi il nome di macchiato freddo e macchiato caldo; il latte viene spesso schiumato prima di versarlo così da ottenere un caffè macchiato schiumato. Viene spesso confuso con il cappuccino ma quest'ultimo ha maggiori quantità di caffè e latte e viene servito in tazze più grandi, inoltre, sia caffè che latte vengono schiumati e spesso viene aggiunta polvere di cacao per esaltarne il gusto e l'aspetto. A Trieste il termine "cappuccino" definisce il caffè definito pressoché in tutto il resto d'Italia come "Macchiato caldo" o semplicemente macchiato. In questa città il termine "Caffelatte" definisce il cappuccino propriamente detto.
Caffellatte
Il caffellatte (anche caffè latte o caffè e latte) è una bevanda di origine italiana composta principalmente da caffè moka (al bar e fuori dall'Italia si usa il caffè espresso) e latte, consumata frequentemente sia a casa che al bar. A casa, il caffellatte viene preparato con quantità variabili di caffè e latte, e servito in una tazza. Al bar, a differenza del cappuccino, viene solitamente servito in un bicchiere di vetro, come il latte macchiato. ci sono aziende produttrici di caffè che hanno tazze per l'occasione da 200 ai 250 ml. La preparazione varia da regione a regione, di norma la stessa quantità di caffè 25 ml e appunto per differenza 175/225 ml. di latte montato. È generalmente preparato con latte caldo, oppure, in estate, con latte freddo e talvolta anche caffè freddo.
Latte macchiato
Il latte macchiato (un'alternativa al caffelatte o caffellatte) è una bevanda calda di origine italiana che consiste in due strati: panna e caffè espresso. Per la preparazione si versa in un bicchiere alto una parte di panna (al 40%) e una parte di latte liquido (al 60%) ed infine si versa un caffè espresso.
Espressino
L'espressino è il nome con cui viene indicato un particolare tipo di caffè, servito in bicchiere di vetro, che risulta essere come un "piccolo cappuccino". Alla base di caffè ristretto viene infatti aggiunta crema di latte e una spruzzata di cacao in polvere o liquido in superficie. Non va confuso con il marocchino o il mocaccino, che prevedono un tipo di lavorazione "inversa", col cioccolato sul fondo e caffè in superficie, né tantomeno con l'"espressino freddo", una fredda crema densa di caffè, servita in bicchieri di vetro soprattutto in estate.
Caffè decaffeinato
Espresso la cui polvere macinata è stata sottoposta ad un processo di estrazione della caffeina prima di essere usata per estrarre la bevanda (passa a caffè decaffeinato).
Caffè corretto
Caffè corretto è una comune definizione usata per indicare un normale espresso modificato dall'aggiunta di una piccola quantità di un superalcolico solitamente di grappa; si serve il caffè nella tazzina (o bicchierino) con tanto di alcolico già versato, oppure si servono caffè e alcolico separati. Si può intendere correzione anche con altri super alcolici come ad esempio brandy, mistrà, sambuca, rum o altro. In questo caso va, però, specificato il super alcoolico che si desidera. Per tale operazione è il caso di usare grappe derivanti da più vitigni (quindi non monovitigno), perché, in ogni caso, l'aroma specifico di un unico vitigno andrebbe a confondersi nel più forte aroma del caffè. In Spagna, si ha il corrispondente carajillo, anch'esso ottenibile con diversi tipi di correzione.
Resentin
In Veneto c'è l'usanza di fare il cosiddetto "resentìn" (o anche "rasentìn" in alcune zone), ovvero risciacquo: dopo aver bevuto il caffè corretto rimane sul fondo della tazzina una piccola quantità di bevanda, che si pulisce versandovi e bevendo un po' dell'alcolico usato per la correzione.
Moretta fanese
La Moretta fanese o Moretta di Fano è un caffè corretto originario della città di Fano (PU) ma ormai diffuso anche nelle zone e città limitrofe. È forte e dolce, e solitamente si beve come digestivo dopo i pasti o come un energetico pomeridiano. La correzione è una miscela di anice, rum e brandy, variabile a seconda delle ricette personali, ma approssimativamente in parti uguali. Una variante utilizza il cognac al posto del brandy. Utilizzando l'erogatore di vapore della macchina del caffè, si scaldano direttamente nel tradizionale bicchierino di vetro, tre cucchiaini di liquore con due cucchiaini di zucchero e una scorzetta di limone, fino a che lo zucchero non sarà completamente sciolto, dopodiché si aggiunge il caffè espresso bollente, tenendo il bicchierino leggermente inclinato in modo da evitare che i due liquidi si mescolino tra loro. Passaggio molto importante, perché una vera Moretta si contraddistingue per i suoi tre tipici strati (partendo dal basso): liquore, caffè e cremina del caffè.
Carajillo
Il carajillo è una sorta di caffè corretto dei paesi di lingua spagnola. Si ottiene in genere con brandy, whisky, rum o cognac. Viene servito - anche a colazione - in bicchierini di vetro resistenti al calore. Vi sono numerose varianti ottenute ad esempio con liquori all'anice; è possibile inoltre l'aggiunta di chicchi di caffè e scorza di limone: questi ultimi ingredienti vengono eventualmente riscaldati insieme al liquore, il quale può rimanere separato dall'espresso al momento di servire. La nascita della bevanda risalirebbe all'occupazione spagnola di Cuba. I conquistatori spagnoli avrebbero mischiato rum e caffè per darsi coraggio (coraggio si dice in spagnolo coraje, da cui derivano le parole corajillo e poi carajillo).
Caffè alla nocciola
Il caffè alla nocciola è una delle tante varianti di sfiziosi e gustosissimi caffè tra cui scegliere al bar. Da sorseggiare freddo o caldo, questa specialità proviene dalla Campania. A Napoli e a Salerno praticamente tutti i bar preparano il classico caffè alla nocciola, così come numerose altre varianti del solito caffè espresso, come ad esempio il caffè del nonno, che si ottiene con la crema di caffè e lo zucchero, o il caffè brasiliano o marocchino, preparato con un po' di latte e aggiunta di cacao. Ecco quali ingredienti occorrono per la preparazione del classico caffè alla nocciola freddo, perfetto per combattere la calura estiva senza rinunciare alla tazzina di caffé del pomeriggio: innanzitutto bisogna preparare e conservare del caffè amaro e ghiacciato, poi naturalmente serviranno delle nocciole tostate, dello zucchero, un po' d'acqua e, preferibilmente, della panna liquida da cucina, in assenza della quale andrà bene anche la semplice panna spray da supermercato.
Aiutandosi con un robot da cucina o un centrifugatore elettrico, si comincia dal tritare le nocciole insieme allo zucchero per 20 secondi alla velocità massima. Bisogna poi aggiungere mezzo misurino d'acqua e continuare a mescolare e centrifugare per altri 2 minuti a velocità abbastanza elevata, dando un'accelerata finale negli ultimi 15 secondi centrifugando di nuovo a velocità turbo.
Al composto va aggiunto poi il caffè, insieme alla panna, ed il tutto va ancora centrifugato per 3 minuti a velocità moderata. Ora potete servire il vostro caffè alla nocciola, che si consiglia di gustare ben freddo, magari con qualche scaglietta di ghiaccio!
Per chi desidera preparare invece un tradizionale caffè alla nocciola caldo, per una colazione speciale, le operazioni da eseguire non sono molto diverse da quando ci si prepara a casa il caffè con la moka: oltre al caffè vi occorreranno anche il concentrato di nocciola e un po' di cremina di caffè, preparata precedentemente. 
Pronti gli ingredienti, preparate e conservate uno o due caffè caldi, abbastanza ristretti, possibilmente già zuccherati nella caffettiera, poi unirli in un bicchiere ed aggiungere il concentrato di nocciola e col cucchiaino adagiare in superficie la crema di caffè.
Caffè al ginseng
Il Caffè al ginseng è una bevanda di origine asiatica. In oriente si è diffusa molti anni fa come preparato solubile confezionato in monodose denominate sachet in particolar modo nella dorsale asiatica individuabile in Thailandia, Malesia, Singapore. La bevanda si presenta nell'aspetto simile al caffelatte, avendo come ingredienti caratterizzanti la crema di latte (di solito di origine vegetale), lo zucchero, il caffè istantaneo e l'estratto secco di ginseng.
In Italia la sua diffusione nei bar è avvenuta soprattutto con l'ausilio di macchine automatiche per l'erogazione di prodotti solubili, che venivano utilizzate per offrire principalmente il caffè d'orzo, altro prodotto molto consumato, ma si trova anche nei negozi, supermercati per esempio, in confezioni adatte al consumo casalingo, simili alle bustine da tè.
La concorrenza della vendita del prodotto ha portato ad una modifica rispetto all'originale asiatico, che utilizza l'estratto secco di Ginseng. Una variazione sul tema è stata effettuata con la creazione del Caffè espresso Italiano con estratto secco di Ginseng.
Una variante del caffè al ginseng è la Tongkat Ali, che prevede l'aggiunta dell'estratto questa pianta, nativa della Malesia e dell'Indonesia.
Cappuccino
Il cappuccino è una bevanda di origine italiana composta da caffè espresso e latte montato a schiuma. In Italia, il Paese dove è più diffuso, viene consumato tradizionalmente nel corso della mattina, a colazione o dopo, mai durante i pasti. Solitamente viene bevuto zuccherato, spesso accompagnato da cornetti (croissant) o altre prodotti da forno o di pasticceria. Il cappuccino di solito è composto da circa 125 ml di latte e 25 ml di caffè. La schiuma (o, meglio, crema) dev'essere di bell'aspetto e in quantità abbondante. Talvolta, per completare, si aggiunge una spolverata di cacao o di cannella in polvere.
Esistono molte varianti nel mondo. In Italia le principali varianti sono cappuccino scuro e cappuccino chiaro. Ultimamente ad accrescere l'estetica del cappuccino ci sono le moderne tecniche dell'art coffee o latte art, con le quali è possibile decorarlo tramite disegni fatti con il bricchetto del latte o strumenti manuali.
Allenarsi con la crema di latte
Questo esempio può essere utilizzato sia per il proprio bar (per esempio, come addestrare un dipendente), oppure in un Istituto Alberghiero. Una piccola, ma doverosa premessa: uno dei problemi che si riscontra nei bar con mediocre e/o scarsa professionalità, è bere un buon cappuccino. Tralasciando i gusti personali dei clienti (chi lo vuole con poca “schiuma”, chi molto caldo ecc.). un buon cappuccino deve rispondere a determinati quesiti. Ad esempio una buona realizzazione prevede 1/3 di caffè, 1/3 di latte ed 1/3 di crema di latte. Abbiamo parlato di crema di latte, che differenza c’è con una normale schiuma? La schiuma è granulosa, con bolle e manco bella da vedersi, la crema ha un aspetto invitante e cremoso appunto. Tale deve essere la consistenza del latte una volta riscaldato con l’apposito lanciavapore. Ora per creare una buona crema dobbiamo usare alcuni accorgimenti: 1) il latte deve essere intero (poiché contiene un’alta percentuale di grassi e proteine); 2) lavorare con latte tenuto in frigo (partendo da latte freddo abbiamo più tempo per “lavorare” la crema).
Babyccino
Il cappuccino per i bambini, più piccolo e decorato artisticamente, con schiuma, marshmallow, cacao, ecc.
Mocaccino
Il mocaccino è una bevanda calda costituita da cappuccino, panna e cioccolata, talvolta con l'aggiunta di polvere di cacao.
Viene solitamente servita al bar in bicchiere di vetro, in modo da rendere visibili gli strati di caffè, cioccolata e schiuma di latte (il latte montato). In alcuni locali al posto della cioccolata viene usato un liquore al cioccolato leggermente alcolico. Spesso confuso con il Marocchino, tanto che in molte regioni d'Italia i termini sono usati per indicare la stessa cosa. Il marocchino in realtà non ha cioccolata ma solo caffè, crema di latte e cacao, sempre servito in un bicchiere di vetro.
Caffè messicano
Caffè de olla. 1 tazzina di caffè forte e bollente zuccherato a piacere, 2 cucchiai di tequila, 2 cucchiai di Kahlua, panna montata. Versate in un bicchiere precedentemente riscaldato, il caffè e i due liquori. Mescolate bene con cannella e coprite di panna montata.
Caffè in ghiaccio
Il caffè in ghiaccio è una bevanda fredda a base di caffè la cui preparazione è, in Italia, tipica del Salento. Si procede alla preparazione del normale caffè espresso che deve essere zuccherato a piacere in una tazzina. Si versa quindi il caffè zuccherato ancora bollente in un bicchiere di vetro (meglio se largo) colmo di grossi cubetti di ghiaccio (per evitare di "annacquare" la bevanda i cubetti non devono essere sciolti, ma "secchi", cioè appena prelevati dal freezer).
Il caffè si raffredda all'istante e conserva il suo aroma originario. La bevanda va consumata immediatamente. Il caffè in ghiaccio salentino può anche essere "soffiato" per pochi secondi con un getto di vapore per ottenere il cosiddetto "caffè in ghiaccio soffiato", più cremoso. Il caffè in ghiaccio, oltre che dal caffè freddo, si differenzia anche dal caffè shakerato in cui il caffè e i cubetti di ghiaccio sono agitati con l'utilizzo di uno shaker.
Caffè in ghiaccio con latte di mandorla
È una variante del caffè in ghiaccio anch'essa tipicamente salentina, che prevede l'utilizzo del latte di mandorla come dolcificante sostituto dello zucchero. Si prepara il caffè espresso e senza zuccherarlo si versa in un bicchiere colmo di cubetti di ghiaccio. Solo successivamente si aggiungono 2/3 cucchiai di latte di mandorla e si mescola il tutto con un cucchiaino[2]. Anche questa bevanda può essere "soffiata".
Caffè shakerato
Il caffè shakerato è una bevanda a base di caffè preparata utilizzando caffè espresso e alcuni cubetti di ghiaccio. Il caffè shakerato si ottiene shakerando insieme alcuni cubetti di ghiaccio, liquore alla vaniglia o Baileys Irish Cream, 3 cucchiaini di zucchero e una o più tazzine di caffè espresso (a piacere), possibilmente a temperatura ambiente.
Bevanda d'orzo
Caffè d'orzo, si definisce "caffè" in senso lato poiché non utilizza chicchi di caffè nella sua preparazione. Una bevanda d'orzo è una di quelle bevande prodotte dall'orzo, generalmente essiccato o tostato, e che generalmente si possono distinguere tra infusi d'orzo e surrogati d'orzo (orzo solubile), i secondi molto più bevuti in Italia.
L'orzo solubile, (talvolta abbreviato in orzo) è un surrogato del caffè senza caffeina, derivato appunto dall'orzo tostato. A volte viene erroneamente chiamato "caffè d'orzo" anche se questo appellativo è errato, in quanto il caffè deriva da una pianta completamente diversa.
Non essendoci oggi la necessità di usufruire di un caffè surrogato, la principale attrattiva di questa bevanda è il fatto che non contiene caffeina, per cui può essere consumata anche da chi ha bisogno di limitare l'assunzione di questa sostanza, mantenendo la vaga impressione di bere del caffè vero e proprio. Inoltre ha delle caratteristiche salutari ereditate dall'orzo: svolge ad esempio una funzione antinfiammatoria.
Infusi d'orzo e la "tisana d'Ippocrate"
Quando l'orzo viene preparato per infusione (spesso col metodo della decozione dell'orzo), si ottiene una bevanda somigliante più al tè che al caffè, almeno per il colore. Questa bevanda è conosciuta fin dall'antichità, tanto che viene chiamata la "tisana d'Ippocrate", che lodò le proprietà di questo cereale.
Marocchino
Il marocchino (anche detto vetrino o espressino nel sud italia) è una tra le tante forme di caffè servito nei bar italiani, nato ad Alessandria. Tale bevanda non è detta caffè marocchino ma semplicemente marocchino, poiché non deriva dal caffè, ma dal bicerin di Cavour. Non può infatti esser banalmente considerato un cappuccino in piccolo con aggiunta di cacao. Nacque con l'avvento delle moderne macchine per il caffè a pressione, come naturale evoluzione della storica bevanda sabauda. Si prepara versando nel bicchierino di vetro prima la schiuma del latte e poi il caffè, spesso viene aggiunto anche del cioccolato o del cacao. Con l'avvento delle prime macchine a pressione e come evoluzione del "Bicerin ëd Cavour", si prepara con una base di caffè espresso, cioccolato fondente in polvere e latte montato a crema. Esistono naturalmente molte varianti alla ricetta originale, ma il vero Marocchino è proprio questo.
Melange Viennese
Il Melange Viennese (in tedesco: Wiener Melange) chiamato anche semplicemente Melange è una particolare specialità con caffè di Vienna. Il melange è composto da una parte di espresso (a Vienna chiamato Mokka) e una parte di latte con una guarnizione di schiuma di latte. Può essere scambiato per un cappuccino dai non esperti. Dal cappuccino però si distingue perché il Melange ha una base di caffè più lungo (Verlängerter Mokka) e con una tostatura più leggera. Viene servito tendenzialmente in porzioni più abbondanti rispetto al cappuccino italiano.
Caffè turco
Prende il nome di caffè turco una tipologia di preparazione del caffè diffusa in Turchia, nella penisola balcanica e nei paesi arabi. Si prepara facendo bollire dell'acqua in un particolare bricco dalla forma allungata ("ibrik", solitamente di ottone). Quando l'acqua bolle, si toglie dal fuoco si aggiunge il caffè macinato finemente. A seconda delle varie tradizioni e località, possono essere aggiunte alcune spezie (opzionali) come il cardamomo. Il caffè così preparato assume una consistenza "sciropposa" e necessita di qualche minuto di decantazione per far depositare il sedimento sul fondo delle tazzine. Questo stesso sedimento assume forme particolari; queste vengono interpretate nella pratica mantica tipicamente turca (o delle zone influenzate dai turchi, come i Balcani) della lettura dei fondi di caffè (caffeomanzia).
Caffè frappé
Il caffè frappé (greco: φραπές, frapés) è un'invenzione greca. I suoi ingredienti di base sono caffè istantaneo, zucchero e acqua. La sua casuale scoperta è avvenuta nel 1957 ad opera di Dimitris Vakondios (in greco Δημήτρης Βακόνδιος). Gli ingredienti del frappé sono: caffè istantaneo, acqua, zucchero e, facoltativamente, latte. Il frappé può essere métrios (medio, 2 parti di caffè, 2 parti di zucchero), glykòs (dolce, 2 parti di caffè, 4 parti di zucchero) o skètos (senza zucchero) a seconda del rapporto fra i suoi ingredienti:
Versare in un bicchiere alto un centimetro di acqua e aggiungere la quantità desiderata di zucchero e caffè. Agitare il miscuglio in una frappiera o con un frullatore fin quando si formerà la schiuma. La schiuma deve arrivare all'incirca a metà del bicchiere. Aggiungere due o tre cubetti di ghiaccio e acqua fino ad un centimetro dal bordo del bicchiere. A piacere, aggiungere latte. Il frappé si serve con una cannuccia, affinché non si versi durante il trasporto esistono speciali bicchieri che si chiudono nella parte superiore ed hanno una cannuccia.
Irish coffee
L'Irish coffee, o caffè irlandese, è un caffè caldo, zuccherato, corretto con whiskey irlandese e con uno strato di panna sulla superficie. Viene servito pre-riscaldando il bicchiere, mettendoci il caffè corretto e zuccherato ed aggiungendovi per ultima la panna, leggermente montata. A volte, ma piuttosto raramente, al caffè vengono aggiunte spezie quali la noce moscata o la cannella.
Jamaican coffee
È come l'Irish coffee, ma con il rum al posto del whiskey
Caffè alla valdostana
Il caffè alla valdostana (in francese, café à la valdôtaine; in patois valdostano café à la cognèntse) è un modo comunitario di bere il caffè, tipico costume della cucina valdostana. Richiede un contenitore apposito, grolla o coppa dell'amicizia, intagliato in un pezzo di legno. Le varietà di caffè normalmente utilizzate per il caffè alla valdostana sono quella arabica e quella robusta. Esistono due modi per 
bere il caffè alla valdostana: con la grolla o con la coppa dell'amicizia.
• La coppa dell'amicizia (in francese, coupe de l'amitié) è un recipiente di legno con coperchio e vari beccucci usato soprattutto in Valle d'Aosta. Viene spesso chiamata erroneamente grolla, che invece è più alta e stretta.
• La Grolla (nome connesso con Graal), è un calice da vino in legno tradizionale della Valle d'Aosta. Solitamente è realizzata al tornio e rifinita con intagli a mano. Il legno più utilizzato è quello di noce seguito da quello di acero. Questi tipi di legno conferiscono un sapore particolare al contenuto senza il rischio di spaccarsi per il calore. Una volta usato solo per bere in compagnia (à la ronde), è ora utilizzato quasi esclusivamente come souvenir e trofeo in varie manifestazioni.
Caffè brasiliano
Si prepara versando in un bicchierino di vetro un cucchiaino di zucchero, un dito di Baileys e un dito di spuma di latte, si versa quindi il caffè e si spolvera con cacao amaro.
Caffè francese
Il caffè francese è una specie di infuso di caffè; una sua declinazione è il caffè alla francese pressato che viene preparato utilizzando una caffettiera a stantuffo o french press. Il caffè francese viene preparato inserendo in una caraffa del caffè macinato grosso e versandoci sopra dell'acqua bollente. Mescolando di tanto in tanto, dopo qualche minuto, il caffè viene versato in una tazza, facendolo filtrare attraverso un colino fine. Il risultato è un caffè molto simile al caffè americano.
Caffè al limone
Tipico di Giugliano in Campania si ottiene con l'aggiunta di limone di Sorrento
Caffè Cortado
Un cortado o cortadito è un caffè espresso con una piccola quantità latte caldo per ridurre l'acidità. È popolare in Spagna e in Portogallo, così come in America latina, dove si beve la sera. A Cuba, è conosciuto come cortadito. Ha diverse varianti, come cortado condensada (con latte condensato) e leche y leche (con latte condensato e crema).
Lágrima
Una lágrima è cortado con le proporzioni invertite. Si prepara con un pocillo pieno di latte caldo dove si versa una piccola quantità di caffè (la lágrima, la lacrima). È popolare in Argentina fra le persone che devono ridurre al massimo l'acidità prodotta dal caffè.
o con chicchi di caffè.

domenica 1 gennaio 2023

TAGLIATELLE AL RAGU' ALLA BOLOGNESE

Carne:
300 gr. macinata di vitello, 300 grammi di macinata scelta di manzo, 400 grammi di salsiccia.
Soffritto:
250 gr Cipolle, 250 Carote, 250 gr. Sedano.
Burro: 50 gr.
Aglio: 3 spicchi schiacciati.
Aromi: 5 foglie di alloro fresco.
Latte: 1/2 l.
Vino: 2 bicchieri di bianco.
Concentrato di pomodoro: 1 tubetto da 150 gr.
Si rosolano carne e soffritto separatamente. La costruzione del sapore nel ragù avviene dalle reazioni chimiche che avvengono non poiché è presente nelle materie prime. Si mette la carne in una pentola antiaderente eventualmente con un filo d’olio, giusto per non far attaccare. Se la carne è sufficientemente grassa l’olio non dovrebbe neanche servire. Accendete il fuoco e mantenetelo abbastanza alto. La carne inizialmente espellerà molta acqua. Questa andrà fatta evaporare tutta. Mescolate e schiacciate la carne con un mestolo o una spatola al silicone. Se ci sono dei pezzi troppo grandi spezzateli. La carne non deve bollire ma soffriggere, quindi non appena i liquidi si saranno asciugati continuate a fiamma viva, mescolando continuamente, rosolando per bene la carne. A poco a poco vedrete apparire dei grani di carne dal tipico colore arrostito. Continuate a fuoco medio sino a quando una buona parte della carne ha preso un bel colore marroncino. Prendete il burro, mettetelo nella pentola, scaldatelo e fatelo schiumare. Quando le bollicine di vapore se ne saranno tutte andate comincerà a prendere colore. Continuate sino a quando sentirete aromi di nocciola, e il burro fuso sarà appunto di colore nocciola. Attenzione a non esagerare od otterrete burro bruciato invece che beurre noisette. Aggiungete le verdure del soffritto, l’importante è che sia tutto tagliato a pezzettini molto piccoli. Mettete il fuoco al minimo e con il coperchio, per aiutare a rammollire, aspettate che la verdura “sudi”: cominci cioè a espellere tutta l’acqua. La cipolla deve diventare translucida e quasi sciogliersi. Se la cipolla inizia a bruciare senza che si sia sciolta potete aggiungere un pochino di acqua (un cucchiaio alla volta). È però il segno che avete usato un fuoco troppo alto, oppure avete avuto messo poco burro. Salare il soffritto e continuare a fuoco basso. Le cipolle prendono un colore dorato: Più la cottura è prolungata e più si formano molecole gustose. Idealmente si deve far soffriggere sino ad un attimo prima che inizi a bruciare. Aggiungere la carne. Tenete il fuoco vivo e se c’è dell’umidità residua aspettate che vada via. Quando la carne ricomincia a sfrigolare e a brunirsi aggiungete un bicchiere di vino. L’alcool contribuisce a sciogliere alcune molecole che erano rimaste imprigionate nelle verdure e nella carne. In più le componenti aromatiche del vino aggiungeranno gusto al ragù. Una prova che l’acqua è quasi tutta evaporata si può avere misurando la temperatura con un termometro: deve risultare superiore a 100 °C segno della completa evaporazione dell’acqua esterna. Aggiungere il concentrato di pomodoro per dare colore al ragù. Rimescolare. Aggiungete gradualmente il latte fresco intero, mescolando, fin tanto che il latte viene assorbito. Salare e aggiungere gli aromi. Lasciare cuocere a fuoco molto basso per più tempo possibile. Se si secca potete aggiungere altro latte. Il tempo totale di cottura è di circa 4 ore e mezza. E’ preferibile lasciare riposare un giorno.

2 PRIMI PIATTI (2^ Edizione)

In queste 330 pagine sono raccolte oltre 200 ricette di primi piatti pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. I primi piatti sono una particolarità italiana. Un bella tradizione. Ne conosco e cucino tantissimi, come si è soliti dire di mare e di monti. Mi piacerebbe presentarveli, nella speranza che incontrino il vostro favore e li possiate cucinare. Un augurio che li gustiate insieme ai vostri amici in un fantastico convivio. Magari brindando alla mia salute.