mercoledì 26 giugno 2024

Corso di Tecniche dell'alimentazione: Lezione 4 CONOSCERE I SALUMI

BACON
Il bacon (dal medio inglese bacoun che deriva a sua volta forse dalla parola proto-germanica bacho che significa posteriore del suino o prosciutto) è un salume di suino preparato con la pancia dell'animale, oppure con la lonza comprensiva di parte della pancetta (e in questo caso prende il nome di back bacon). Nel Regno Unito è diffusa l'abitudine di preparare nello stesso modo del bacon anche la coscia posteriore del suino, spesso disossata, ottenendo un prodotto noto come gammon che viene solitamente commercializzato affettato con la denominazione di gammon steak. La carne viene prima trattata con sale, zuccheri, conservanti (nitrati e/o nitriti) e spesso spezie, sia in salamoia (wet cure) sia a secco (dry cure) per un periodo di qualche giorno, in funzione delle dimensioni del pezzo. Successivamente il bacon può essere ulteriormente stagionato, oppure affumicato a freddo o a caldo. Il bacon non affumicato (o affumicato a freddo) di solito viene cotto prima del consumo, mentre il bacon affumicato a caldo (che ha già subito una sorta di cottura) può anche essere consumato tale e quale. Nei paesi di influenza anglosassone il bacon è spesso consumato insieme alle uova (bacon and eggs) nell'ambito del cosiddetto full breakfast.

BRESAOLA
Tra i prodotti di carne salati, la bresaola rientra nella categoria di salumi crudi a pezzo intero non affumicati. In varie zone dell'Italia Settentrionale vengono prodotti vari tipi di bresaola, che si distinguono per le carni utilizzate, che possono essere di manzo, di cavallo o di cervo o di maiale, dal budello o materiale utilizzato per l'insaccatura, nonché per la procedura impiegata per la produzione. La bresaola appare di norma come cilindro o parallelepipedo, più o meno regolare, avvolto dal budello di colore grigiastro, con o senza legatura. Al taglio la bresaola appare di colore rossastro, più o meno scuro o acceso a seconda delle carni impiegate, compatta, con scarse venature dovute ai depositi di grasso e al connettivo naturali. Si consuma affettata, come antipasto o come secondo.
Bresaola della Valtellina
La bresaola della Valtellina, prodotta a partire dalla carne di manzo (essenzialmente punta d'anca, ma vengono utilizzati anche i tagli anatomici della sottofesa e del magatello), è tutelata dall'Indicazione geografica protetta. Dagli scarti di produzione della bresaola di manzo, ovvero le carni più vicine all'osso, viene prodotta la Slinzega. Esiste un consorzio di tutte le azienda che si fregiano del bollino igp e che è attivo nel proteggere l'indicazione di tipicitá e diffondere il consumo della bresaola.
Bresaola di cavallo
In provincia di Asti ed in Veneto (in particolare in provincia di Padova) è tipicamente prodotta una bresaola di cavallo. Viene utilizzata la carne della coscia del cavallo, priva di nervi e grasso. La procedura di produzione prevede la salmistrazione, la speziatura e l'asciugatura in locali riscaldati, infine la stagionatura.
Bresaola di cervo
In provincia di Novara viene prodotta una bresaola utilizzando i tagli più pregiati della coscia e della spalla del cervo. La carne viene lasciata macerare in una salamoia a base di vino rosso. Una volta insaccata, l'asciugatura e la stagionatura concludono la produzione della bresaola di cervo.
Bresaola della val d'Ossola
Nella Val d'Ossola in Piemonte è prodotta una bresaola di manzo, conosciuta anche come "carne salata". Per la sua produzione viene utilizzata la punta dell'anca e il magatello del bovino. La carne salata è conciata con spezie ed aromi naturali: cannella, chiodi di garofano, aglio, rosmarino, alloro, facoltativamente ginepro. La pezzatura è variabile in dipendenza dei tagli di carne che sono lavorati. Si presenta compatta, consistente e di colore rosso intenso, con scarsissima infiltrazione di grasso.
Bresaola affumicata
È una variante della bresaola di manzo prodotta in Valchiavenna, provincia di Sondrio. Dopo l'insaccatura in budello naturale e la stagionatura, avviene l'affumicatura con legno di pino.

COPPA
La coppa, detta anche capocollo, capicollo (Campania), finocchiata (Siena), lonza (Lazio) o lonzino (Marche e Abruzzo) è un insaccato, che è presente nel territorio italiano con varie interpretazioni e ricette, ottenuto dalla lavorazione della porzione superiore del collo del maiale e da una parte della spalla (questo ne giustifica il nome). Le carni vengono salate e massaggiate (questa operazione è necessaria per favorire sia la penetrazione che la distribuzione uniforme del sale) poi vengono insaccate in un budello naturale e fatte stagionare. Nel corso della lavorazione vengono aggiunte spezie ed erbe aromatiche tipiche delle diverse località di produzione del salume. In passato, per la sua stagionatura, si avvolgeva la carne in una tela grezza o la si legava con spago di canapa. Con questo nome si intende anche una parte del maiale, ottima per la cottura alla brace, alla griglia o pietra ollare. Prende nomi differenti a seconda della regione.
Prodotti riconosciuti
Marchi di tutela attribuiti dall'Unione europea
D.O.P.
Capocollo di Calabria
Coppa Piacentina
Coppa di Corsica/Coppa de Corse
I.G.P.
Coppa di Parma
Prodotti agroalimentari tradizionali italiani
Regione Puglia capocollo di Martina Franca
Regione Basilicata capocollo
Regione Campania capicollo
Regione Lazio lonza
Regione Lombardia Coppa Maccarana (finocchiella)
Regione Toscana capocollo tipico senese (finocchiata)
Regione Umbria capocollo
Regione Marche e Abruzzo coppa, lonza, lonzino
Regione Molise capocollo

COTECHINO
Il cotechino è un tipo di insaccato consumato cotto, è originario del Friuli-Venezia Giulia, ma diffuso poi in tutte le regioni del nord Italia, è un piatto abbastanza famoso insieme all'inseparabile compagno lo Zampone di Modena. Deve il suo nome alla cotica, la cotenna di maiale, e prende nomi locali a seconda della zona in cui viene prodotto. La tradizione vuole che sia il piatto che si consuma il primo giorno dell'anno (o l'ultimo) accompagnato dalle lenticchie. Si prepara riempiendo il budello con un impasto fatto di:
cotenna;
carne, solitamente non tagli pregiati;
pancetta
condito con sale e spezie, nella produzione industriale vengono aggiunti per la conservazione nitriti e nitrati. Simile al cotechino, in Friuli esiste il musetto, esso è fatto principalmente con carni derivanti dal muso del maiale.
La pezzatura varia da pochi etti (formato salsiccia) a più di un chilo (formato grosso salame). Richiede tempi lunghi di cottura, a fuoco basso per non rompere il budello, in modo che le cotenne diventino morbide. Si procede bucando la pelle del cotechino con uno stuzzicadenti in parecchi punti per permettere la fuoriuscita del grasso durante la cottura, poi lo si avvolge in un tovagliolo, lo si lega e lo si mette in una pentola di acqua fredda, tanta che ne sia ricoperto. Mettere la pentola, con coperchio, su un fuoco medio e attendere che inizi a bollire. A questo punto abbassare il fuoco in modo che dal coperchio esca solo un filo di vapore. Deve bollire così per altre quattro ore. Alcuni sostituiscono l'acqua dopo un paio d'ore con altra già bollente.
Riconoscimenti
Il cotechino di Modena è un salume a Indicazione geografica protetta (IGP).
Cinque regioni hanno inserito il cotechino nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali:
Emilia Romagna:Cotechino di Modena insieme allo Zampone Modenese.(Cùdghèin in dialetto modenese)
Lombardia: cotechino (bianco, cremonese, della bergamasca, mantovano, pavese)
Molise: cotechino (formato salsiccia)
Trentino: cotechino di maiale
Veneto: sono riconosciuti sette diversi prodotti: coeghin nostrano padovano; coessin co la lengua del basso vicentino, coessin del basso vicentino, coessin della Val Leogra, coessin in onto del basso vicentino, coessin co lo sgrugno, cotechino di puledro, codeghin de Lavagno
Valacchia: cotechino (moro e dalle forme rotonde)

CULATELLO

Il culatello di Zibello è un salume a denominazione di origine protetta tipico della provincia di Parma. È inoltre catalogato tra i Presidi di Slow Food dell'Emilia-Romagna.
Il Culatello, citato con certezza per la prima volta in un documento del 1735, è prodotto a partire dalla coscia di maiale. Il Consorzio del Culatello di Zibello ha stabilito che la lavorazione può avvenire solo in una determinata e circoscritta zona ed esclusivamente nel periodo tra ottobre e febbraio, quando la Bassa è avvolta dalla nebbia e dal freddo. È in quel periodo che la parte di carne ricavata dalla coscia dei suini adulti, allevati secondo metodi tradizionali, viene decotennata, sgrassata, disossata, separata dal fiocchetto e rifilata a mano, così da conferirle la caratteristica forma "a pera". A queste operazioni seguiranno poi, dopo circa una decina di giorni, la salatura e la cosiddetta investitura, cioè l'insaccamento del salume nella vescica del suino e la legatura con lo spago che, dopo la stagionatura, dovrà risultare a maglie larghe e irregolari. La stagionatura in cantina accompagna il Culatello dalle nebbie invernali all'afa estiva, per arrivare sulle nostre tavole l'inverno successivo nel pieno delle sue più originali qualità di sapore. Il periodo di stagionatura è da un minimo di 10 mesi per le pezzature inferiori (almeno 3 kg) fino ad una media di 14 mesi per tutti i pezzi. La produzione annua è di circa 50.000 pezzi di Culatello di Zibello DOP.

LARDO

lardo
Il lardo è il prodotto della salagione, aromatizzazione e stagionatura dello strato di grasso che si trova appena sotto la cute del maiale. Questo taglio grasso del maiale si preleva dal collo, dal dorso e dalla parte alta dei fianchi dell'animale. Il nome lardo sarebbe da attribuire propriamente al prodotto stagionato, mentre il taglio di carne grassa da cui il lardo si produce, ordinariamente sarebbe corretto chiamarlo "grasso fresco", per distinguerlo dal prodotto stagionato. Tale distinzione linguistica non sempre è osservata nel linguaggio corrente. La parola lardo deriva dal latino làrdum o làrinum e dal greco larinòs, λαρινός, ossia "ingrassato" (da la - in - e rinòs - cuoio, scuso - quindi "ben coperto" o "pingue").
Il più conosciuto è probabilmente il lardo di Colonnata che, per il suo gusto unico e la sua delicatezza, ha reso famosa la località toscana da cui prende nome.
La qualità del lardo dipende della scelta delle materie prime (dalla qualità del "grasso fresco" che deve essere di suino pesante, agli aromi con i quali viene strofinato) e della sapiente arte della stagionatura che ancora oggi viene fatta nelle vasche di marmo (conche) in cui il prodotto rimane per circa 6 mesi.
Un altro tipo è il lardo di Arnad che, a differenza del precedente, viene stagionato in vasche di legno e insaporito con aromi come ginepro, alloro, noce moscata, salvia e rosmarino. Lardo di Arnad è una Denominazione di origine protetta. Il lardo è stato riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come prodotto tradizionale su proposta della Regione Basilicata.

MORTADELLA
La Mortadella Bologna IGP è un prodotto di salumeria realizzato con carne di puro suino, finemente triturata, mescolata con lardo, leggermente aromatizzata con spezie, insaccata e cotta.
Dal luglio 1998, a livello europeo, la denominazione Mortadella Bologna è stata riconosciuta quale indicazione geografica protetta (IGP). A seguito di questo riconoscimento, solo la Mortadella Bologna può fregiarsi del marchio IGP, mentre tutte le altre produzioni che non rientrano nelle regole del disciplinare, possono essere commercializzate come mortadella comune e in alcun modo posso usare la denominazione 'Bologna' o la dicitura 'IGP' sui prodotti venduti, anche se erroneamente nel linguaggio comune è uso indicare come 'Bologna' anche la comune mortadella.
L'origine del nome "mortadella" è tuttora fonte di dibattito, ma risalirebbe all'epoca dell'Impero Romano. Secondo alcuni deriverebbe da mortarium (mortaio), l'utensile usato per schiacciare la carne di maiale; condividerebbe quindi l'etimo con la mortandela trentina (salume niente affatto simile).
Altri ritengono invece che provenga da mortarum, una salsiccia aromatizzata con bacche di mirto, oppure da murtatum che significa, appunto, carne finemente tritata nel mortaio.
La mortadella è nata probabilmente nel I secolo e la sua produzione si è sviluppata in un'area compresa tra Emilia-Romagna e Lazio; tuttavia, per un periodo di tempo, questo salume entrò nell'oblio, ma ricomparve nel tardo Medioevo, dove veniva prodotto esclusivamente nella città di Bologna.
Le sue origini sono da ricercare nei territorio dell'antica Felsina etrusca e della Bononia dei Galli Boi, che vivevano in ambienti ricchi di boschi di querce che fornivano le ghiande, principale alimento dei maiali di allora, allevati allo stato brado o addomesticati.
Nel museo archeologico di Bologna è conservata la prima testimonianza della presenza di un produttore di mortadella: una stele di epoca romana imperiale raffigura sette maialetti condotti al pascolo e un mortaio con pestelle.
Si parla della mortadella già nei libri di cucina del Trecento, anche se è probabile che esistessero diversi tipi di mortadella confezionate con carni di vitello e di asino.
La fabbricazione e l'applicazione dei sigilli di garanzia era di competenza della Corporazione dei Salaroli, una delle più antiche di Bologna, che già nel 1376 aveva per stemma un mortaio con pestello.
Nel 1661 per regolare la produzione fu pubblicato un bando del cardinale Girolamo Farnese, cardinale legato di Bologna, che impediva la produzione di mortadella con carni diverse da quelle di maiale, anche perché tale reato provocava “in grave pregiudicio del Pubblico, e particolarmente della Dote che gode ab antiquo detta città di fabbricar Mortadelle d'isquisita perfettione”. Questo provvedimento è considerato il primo provvedimento emanato al mondo a tutela di una specialità gastronomica.
Oggigiorno, le caratteristiche della mortadella sono stabilite dal Consorzio della Mortadella Bologna e approvate dall'Unione Europea.
La mortadella Bologna IGP, di puro suino, è un insaccato cotto, dalla forma cilindrica od ovale, di colore rosa e dal profumo intenso, leggermente speziato.
Per la sua preparazione vengono impiegati solo tagli pregiati (carne e lardelli di elevata qualità), triturati adeguatamente allo scopo di ottenere una pasta fine. Il sapore è pieno e ben equilibrato. Una volta tagliata, la superficie si presenta vellutata e di colore rosa vivo uniforme. La mortadella Bologna emana un profumo particolare e aromatico e il suo gusto è tipico e delicato.
Principali valori nutrizionali:
Parte edibile: 100%
Proteine: 15,7%
Lipidi: 25%
Acidi grassi saturi: 8,3%
Energia: 288 kcal per 100 g
La Mortadella è un prodotto estremamente versatile e utilizzato in diverse preparazioni. Può essere consumata affettata abbinata con il pane o tagliata a cubetti come antipasto.
La Mortadella è protagonista dei piatti della tradizione bolognese: è infatti un ingrediente del ripieno dei tortellini, frullata compone la "spuma di Mortadella", e nel Gran fritto alla Bolognese compare come ingrediente dello Stecco petroniano.
L'utilizzo della mortadella in cucina non si limita alle ricette della tradizione, ma è anche oggetto di ricette e interpretazioni più fantasiose.
Dal 2007, nel primo weekend di ottobre, a Zola Predosa, si tiene "Mortadella, Please", il Festival Internazionale della Mortadella di Zola Predosa. La festa è organizzata da alcuni produttori locali.
Nel 2013 c'è stata la prima edizione "MortadellaBò", un evento annuale che viene abitualmente organizzato a fine estate dal Consorzio di Tutela della Mortadella Bologna IGP in Piazza Maggiore a Bologna, che coinvolge tutte le aziende consorziate produttrici, le istituzioni locali e le rappresentanze amministrative della città di Bologna.
Una buona percentuale della produzione italiana di mortadella viene esportata.

PANCETTA
La pancetta (detta anche ventresca di maiale) è un salume di suino preparato con la parte della pancia dell'animale. Le parti della pancia dei suini vengono squadrate e rifilate. La conservazione o meno della cotenna dipende dal tipo di preparazione prevista per la pancetta. Le rifilature delle pancette sono utilizzate per la parte grassa dei salami (lardelli) o per ricavarne ciccioli. Successivamente alla rifilatura, le pancette passano alla salagione. Vengono cosparse di sale (in alcune zone, oltre al sale, si aggiungono anche aromi e spezie - ad esempio frequentemente pepe nero, raramente altri aromi come chiodi di garofano e noce moscata) e sono poste a riposare per alcuni giorni. L'insaccato che successivamente se ne ricava, varia da regione e regione e, in base alla destinazione finale, può essere: Arrotolata come un grosso salame (con o senza cotenna). Se si rimuove la cotenna, la pancetta si insacca in un grosso budello naturale o artificiale e viene legata; se all'interno si inserisce un blocco di coppa (detta anche "capocollo") si avrà la "pancetta coppata" Steccata, con cotenna (piegata e stretta tra due robuste assi tenute legate saldamente fra loro); Stesa con cotenna; Dopo i tre tipi di preparazione sopra riportati inizia la stagionatura vera e propria che può durare dai 50-60 giorni per la pancetta stesa e per le pezzature piccole, fino ai 90-120 giorni per le pezzature più grosse. Altre preparazioni della pancetta possono essere: Affumicata, con cotenna, in apposite stufe e lasciata stesa; Cubettata, sia affumicata che dolce, pronta per sughi e commercializzata come prodotto semilavorato. Queste ultime due preparazioni di norma non richiedono stagionatura. L'aspetto esteriore finale del taglio di pancetta sarà di uno strato di grasso bianco con filettature rosa (più o meno scure) di carne magra. Il grasso della pancetta affumicata si presenta con un colore più scuro, tendente al giallo avorio; se la pancetta sarà stata aromatizzata con peperoncino, il bianco del grasso avrà riflessi rossicci.
Prodotti a denominazione d'origine protetta e agroalimentari tradizionali italiani
Due prodotti possono vantare la denominazione DOP:
Pancetta Piacentina
Pancetta di Calabria
La pancetta di maiale è tanto diffusa in Italia da essere inoltre inserita nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali di 12 Regioni:
Basilicata
Calabria
Campania: Pancetta arrotolata e pancetta tesa
Emilia-Romagna: Pancetta canusina, pancetta piacentina
Friuli e Venezia Giulia: pancetta arrotolata dolce e affumicata, pancetta arrotolata manicata, pancetta con lonza, pancetta stesa
Liguria
Lombardia: pancetta con filetto, con pisteum, alla bergamasca, pavese
Marche: pancetta arrotolata
Piemonte
Toscana: pancetta apuana, pancetta e rigatino, pancetta stesa vergazzata
Trentino- Alto Adige, pancetta affumicata, panceta ligada all'ai della Val Rendena e pancetta nostrana all'aglio di Caderzone
Umbria: Ventresca di maiale
Veneto: pancetta col tocco (filetto) del basso vicentino e pancetta con l'ossocollo del basso vicentino

PROSCIUTTO COTTO

Il prosciutto cotto è un salume tipico italiano ottenuto dalla salatura e cottura della coscia del maiale. Si definisce prosciutto cotto unicamente il salume derivato dal taglio anatomico di riferimento, che si chiama infatti "prosciutto". Un salume simile, ricavato invece dalla spalla del maiale (meno pregiato, ma simile a livello nutrizionale) viene denominato spalla cotta. Si tratta di un salume cotto, non insaccato e parzialmente ricoperto da cotenna. Il Ministero dello sviluppo economico diversifica il prosciutto cotto in tre tipologie distinte:
prosciutto cotto di alta qualità - devono essere identificabili almeno 3 dei 4 muscoli principali della coscia intera del suino. Il tasso di umidità deve essere compreso tra il 75,5 ed il 76,5%;
prosciutto cotto scelto - devono essere identificabili almeno 3 dei 4 muscoli principali della coscia intera del suino. Il tasso di umidità deve essere compreso tra il 78,5 ed il 79,5%;
prosciutto cotto ottenuto dalla coscia del suino (eventualmente disossata, sgrassata, sezionata e privata dei tendini e della cotenna) Il tasso di umidità deve essere compreso tra l’81 e l’82%
Tali denominazioni disciplinano la produzione e la vendita del prosciutto cotto su tutto il territorio italiano.
Lavorazione
Le cosce di maiale vengono schiacciate e salate con una salamoia contenente sale, aromi e una bassa dose di conservanti (ad es. nitriti). Successivamente avviene la zangolatura ("massaggiatura", per distribuire in modo uniforme la salamoia nei tessuti), la pressatura in stampi e la cottura a vapore. Vi sono inoltre varianti arrosto e affumicate.

PROSCIUTTO CRUDO
Il prosciutto crudo è un salume tipico italiano (prodotto agroalimentare tipico italiano) ottenuto dalla salatura a secco dalla coscia del maiale, in particolare da animali che hanno raggiunto un peso intorno ai 150 kg. Specialità ottenute dallo stesso taglio anatomico in nazioni diverse dall'Italia assumono nomi specifici e non possono essere assimilate al prodotto italiano, soprattutto in virtù del fatto che la specificità del prosciutto crudo italiano risiede nelle particolari tecniche produttive e nella stagionatura in microclimi specifici. Il prosciutto crudo si ottiene tramite salatura, fermentazione e successiva stagionatura della coscia (arto posteriore) del maiale; tale taglio di carne è detto infatti "prosciutto". In nessun caso può essere utilizzato il termine "prosciutto crudo" per definire specialità salate ottenute da altre parti anatomiche del suino, ivi compresa la spalla. In taluni casi è invalso l'uso della definizione di prosciutto crudo per identificare salumi ottenuti dalla coscia di animali diversi dal maiale. In questi casi si pospone alla dizione prosciutto crudo la denominazione dell'animale dal quale viene ricavato ("prosciutto crudo d'oca", "prosciutto crudo di cinghiale", ecc.). I prosciutti crudi si dividono in due grandi gruppi: i prosciutti ai quali viene asportato lo zampino e parte dello stinco (ad esempio il Prosciutto di Parma) e i prosciutti che conservano tali parti anatomiche (ad esempio il Prosciutto di San Daniele). Per questi prosciutti esiste un disciplinare che ne regola non solo il trattamento della carne, ma anche la selezione delle razze suine utilizzabili e la qualità e quantità della loro alimentazione, dal momento della nascita al raggiungimento del peso/età per il macello. Il prosciutto crudo viene conciato a secco e lavorato con sale marino. Alcuni disciplinari di prosciutti DOP escludono tassativamente l'impiego di conservanti, mentre nella maggior parte dei prosciutti prodotti in Italia è consentito l'uso di nitrati nelle quantità previste dalla legge. L'utilizzo di nitriti è invece molto raro. Dopo la salatura iniziale e l'inizio dei processi di fermentazione, il prosciutto crudo viene stagionato (e in questa fase perde una buona percentuale di acqua: la parola prosciutto deriva, infatti, dal latino "perexsuctum" che significa "prosciugato").
Dal punto di vista prettamente tecnico, il processo di stagionatura può essere equiparato a quello di una naturale mummificazione per disidratazione.
Varietà
Le principali varietà italiane di prosciutto sono:
prosciutto Veneto Berico-Euganeo
prosciuttino crudo d'oca del Friuli
prosciutto crudo Praga del Friuli-Venezia Giulia
prosciutto di Carpegna
prosciutto di Cormons
prosciutto di Cuneo
prosciutto di Modena
prosciutto di Norcia
prosciutto di maiale brado di Norcia
prosciutto di Parma
prosciutto di San Daniele
prosciutto di cinta senese
jambon de Bosses
prosciutta di Castelnuovo
prosciutto dei Nebrodi
prosciutto del Carso o carsolino
prosciutto Toscano
prosciutto di Faleria
Speck dell'Alto Adige
prosciutto dolce o affumicato del Friuli-Venezia Giulia
speck friulano di Sauris
prosciutto sardo
prosciutto di Sauris
prosciutto di Casaletto
prosciutto di monte
prosciutto di Pietraroja
prosciutto di Venticano
Riconoscimenti
I prosciutti possono fregiarsi del marchio D.O.P.:
prosciutto di Carpegna DOP (Marche)
prosciutto di Cuneo DOP (Piemonte)
prosciutto di Modena DOP (Emilia-Romagna)
prosciutto di Parma DOP (Emilia-Romagna)
prosciutto di San Daniele DOP (Friuli-Venezia Giulia)
prosciutto toscano DOP (Toscana)
prosciutto Veneto Berico-Euganeo DOP (Veneto)
Vallée d'Aoste jambon de Bosses DOP (Valle d'Aosta)
Ha ottenuto il marchio IGP:
prosciutto di Norcia I.G.P. (Umbria)
speck dell'Alto Adige IGP (Alto Adige)
prosciutto di Sauris (Friuli-Venezia Giulia)
Il prosciutto è stato riconosciuto prodotto tradizionale su proposta delle seguenti regioni:
Basilicata
prosciutto crudo
Calabria
prosciutto crudo di San Lorenzo Bellizzi
Campania
fiocco di prosciutto
prosciutto di Casaletto
prosciutto di monte
prosciutto di Pietraroja
prosciutto di Venticano
Friuli-Venezia Giulia
prosciuttino crudo d'oca
prosciutto cotto Praga
prosciutto di Cormons
prosciutto del Carso o carsolino
prosciutto dolce o affumicato
Lazio
prosciutto (di Guarcino, di Bassiano)
prosciutto dei monti Lepini al maiale nero
prosciutto di montagna della Tuscia
Liguria
prosciutto cotto di Castiglione Chiavarese
prosciutta di Castelnuovo (La Spezia)
Lombardia
prosciuttini (della Valtellina, della Valtellina al pepe)
prosciuttino d'oca stagionato
prosciutto cotto
prosciutto mantovano
Marche
prosciutto aromatizzato del Montefeltro
prosciutto delle Marche
Molise
prosciutto
prosciutto di spalla
Piemonte
prosciutto cotto
prosciutto crudo della Valle Gesso
prosciuttello dell'Alta Val Susa
prosciutto montano della Val Vigezzo
paletta di Coggiola
Puglia
prosciutto di Faeto
Sardegna
prosciutto di pecora - presuttu de berveghe
prosciutto di suino - presuttu
Sicilia
prosciutto di suino nero dei Nebrodi
Toscana
prosciutto bazzone della Garfagnana e della Valle del Serchio
prosciutto del casentino
prosciutto di Cinta Senese (prosciutto chiantigiano)
prosciutto di Sorano
Provincia autonoma di Bolzano
Bauernschinken (prosciutto contadino)
Umbria
prosciutto nostrano
Valle d'Aosta
Prosciutto alla brace di Saint-Oyen (jambon à la braise Saint-Oyen)
Veneto
prosciutto crudo dolce di Este e Montagnana
Varianti europee
Aree geografiche europee con certificazioni di produzione, sebbene non denominati "prosciutti" hanno un processo di produzione simile ai prosciutti italiani:
Beher Bernando Hernandez (Guijuelo), un "prosciutto" spagnolo
Ammerländer Dielenrauchenschinken (Germania)
Dehesa de Extremadura (Spagna)
Gailtaler Speck (Austria)
Guijuelo (Spagna)
Holsteiner Katenschinken (Germania)
Jamón ibérico [Spagna)
Jamón serrano (Spagna)
Jamón de Huelva (Spagna)
Jamón de Teruel (Spagna)
Jamón de Trevélez (Spagna)
Jambon de Luxeuil (Francia)
Jambon de Bayonne (Francia)
Jambon de l'Ardèche (Francia)
Jambon d'Ardennes (Belgio), solitamente affumicato
Jambon sec des Ardennes (Francia)
Kraški Pršut o Prosciutto del Carso (Slovenia)
Lacón Gallego (Spagna)
Los Pedroches (Spagna)
Njeguški pršut o Prosciutto di Njeguši (Montenegro)
Presunto de Barrancos (Portogallo)
Presunto de Barroso (Portogallo)
Presunto de Vinhais (Portogallo)
Presunto o Paleta de Campo Maior e Elvas (Portogallo)
Presunto o Paleta de Santana da Serra (Portogallo)
Presunto o Paleta do Alantejo (Portogallo)
Prosciutto dalmata o Dalmatinski pršut (Croazia)
Prosciutto istriano o Istarski pršut (Croazia e Slovenia)
Schwarzwälder Schinken (Germania)
VALORI NUTRIZIONALI
I prosciutti crudi hanno diverse proprietà nutritive a seconda del tipo. Il Prosciutto di Parma ha solo il 18,5% di lipidi, percentuale che scende al 3,8% se privato del grasso visibile. Il San Daniele è appena poco superiore nel contenuto lordo (23% circa), ma inferiore se sgrassato (3,2%). Entrambi sono ricchi di sali minerali quali sodio, potassio, calcio, fosforo, magnesio e zinco, così come contengono importanti quantità di vitamina B1, B2, B6 e PP. Gli altri tipi di prosciutto hanno generalmente quantità di grassi superiori ed analoghe proprietà nutritive. Tutti hanno generalmente un buon contenuto proteico, ed hanno un coefficiente di digeribilità attorno al 97%. Il prosciutto crudo è considerato infatti un alimento predigerito dal sale. Il prosciutto crudo (e cotto) è indicato nella alimentazione infantile, anche perchè il bambino piccolo lo trova molto appetibile. Esistono peraltro delle controindicazioni nell'anziano quando vi sono delle riserve severe sull'apporto giornaliero di sale, ad esempio cardiopatici, ipertesi, neuropatici. Il crudo è sconsigliato anche quando nell'organismo vi è ritenzione idrica (edema, cioè gonfiore alle parti declivi, per accumulo di acqua).
VARIETA'
Le seguenti denominazioni di prosciutto sono regolate dal decreto ministeriale del 21 settembre 2005:
- Prosciutto crudo stagionato. Questa denominazione è riservata al prosciutto crudo stagionato almeno 7 mesi, oppure almeno 9 mesi se il peso finale è superiore a 8 chili. Non è ammessa la stufatura, cioè la stagionatura "accelerata" con aria calda. L'umidità deve essere inferiore al 64 per cento (valore che indica il periodo di stagionatura) e il contenuto proteico superiore al 24 per cento (se l'umidità fosse più alta, il valore proteico diminuirebbe). E' anche noto che nel prodotto con alta umidità, stagionato poco e male, le fette si "appiccicano" e il sapore è più di carne che di prosciutto.
- Prosciutto crudo. Questa denominazione identifica il prodotto meno qualitativo che non ha i requisiti del precedente, quindi il periodo di stagionatura è discrezionale e può essere usata la stufatura.
COME SCEGLIERE
Il colore del prosciutto crudo deve essere uniforme e rosso-rosato, il profilo e le striature di grasso bianco candido. L’odore deve essere intenso e gradevole.
COME CONSERVARE
Il prosciutto crudo affettato deve essere conservato in frigorifero per 1 giorno al massimo, ben coperto. Se intero, è meglio conservarlo in luogo fresco, al massimo per 12 mesi. Una volta iniziato è necessario però conservarlo in frigorifero per un mese al massimo, coprendo la parte tagliata con pellicola trasparente.
PRODOTTI A MARCHIO
Prosciutto di Carpegna DOP: il Prosciutto di Carpegna al taglio è tendenzialmente rosa salmonato con giusta quantità di grasso solido, di colore bianco rosato. L’odore è dolce e penetrante, mentre il gusto è caratteristico, delicato, dolce e fragrante; una variante di sapore è il San Leo, dolce ed armonicamente profumato.
Prosciutto di Modena DOP: il Prosciutto di Modena si caratterizza per una forma tipicamente a pera ed un peso mai inferiore a 7kg. Si presenta al taglio di colore rosso vivo; con un profumo estremamente gradevole. Il sapore è dolce ma intenso, non salato.
Prosciutto di Norcia IGP: il Proscitto di Norcia è un proscitto delle aree montagnose della zona omonima, dalla caratteristica forma a pera. La fetta tagliata risulta rossa, il sapore è intenso ma non salato, il profumo è delicatamente speziato.
Prosciutto di Parma DOP: il Prosciutto di Parma ha forma tondeggiante, la parte del taglio, effettuato per separare la coscia dalla mezzena, viene protetta da un sottile strato di sugna costituito da un impasto di grasso animale e sale e, eventualmente, pepe e farina di riso. Tutto il resto è ricoperto dalla cotenna. Una volta affettato, il prosciutto presenta un bel colore rosa intenso e un bordo di grasso bianco. Il gusto è dolce e delicato, poco salato e con aroma fragrante e caratteristico. Prosciutto di San Daniele DOP: il Prosciutto di San Daniele ha una forma distintiva “a chitarra” caratterizzata dal mantenimento della parte terminale, detta zampino. Al taglio ha un colore uniforme rosso-rosato, con striature di grasso bianco. Il profumo è intenso, il gusto è dolce e delicato con retrogusto più marcato. Talvolta nel magro è possibile trovare dei microscopici granuli di una certa consistenza, che non sono granelli di sale, ma semplici ed innocui cristalli di tirosina, una sostanza naturale che deriva dall’invecchiamento delle proteine.
Prosciutto Toscano DOP: il prodotto finito ha forma tondeggiante, ad arco alla sommità, di peso variabile intorno agli 8-9 kg: al taglio, la fetta si presenta di colore dal rosso vivo al rosso chiaro, con scarsa presenza di grasso intramuscolare. Il sapore è delicato, con equilibrata sapidità ed un aroma caratteristico derivante dall’elaborata stagionatura.
Proscitto Veneto Berico-Euganeo DOP: il prosciutto Veneto Berico-Euganeo è prodotto dalla carne fresca della coscia del maiale adulto. La coscia viene semi-pressata nel processo di salagione. La carne è di colore rosa tendente al rosso con le parti grasse perfettamente bianche. Ha un profumo caratteristico, un gusto dolce e morbido dovuto all’impieto di una quantità minima di sale.

SALAME

Il salame è un salume insaccato e stagionato ottenuto a partire da una miscela di macinato di carne e grasso. Il nome deriva dall'operazione di salatura che si rende necessaria per assicurarne la conservazione. Alla carne e al grasso vengono aggiunti sale e spezie che variano localmente (tra le quali: aglio, pepe nero o bianco, macinato o in grani, finocchio, macis). La carne maggiormente usata è tradizionalmente quella di maiale, considerata per quest'uso di maggior pregio, tanto che la normativa italiana vigente, impone al produttore di dichiarare sull'etichetta che accompagna il prodotto, la tipologia di carne impiegata, se solo suino o misto suino, infatti, in molti prodotti tradizionali è specificato puro suino. Prodotti tipici vengono preparati con carne di: capra, pecora, cavallo, asino, oca, selvaggina come il cinghiale o frattaglie. Altri ingredienti, a secondo delle tradizioni locali, possono essere le rape o il sangue. Il grasso è sempre suino, per motivi organolettici e di conservazione. Il processo di stagionatura può essere favorito dall'introduzione di alcuni ingredienti quali latte, vino, destrosio, nitriti e nitrati. L'insieme delle spezie e degli aromi aggiunti alla carne prende il nome di concia. L'impasto può essere insaccato in un involucro di budello animale (solitamente suino, ma anche ovino, bovino o equino), o artificiale (cellulosa o collagene quelli più utilizzati). La lunghezza varia dai 10 ai 60 cm, il diametro (calibro) varia da 3 (Salame Cacciatore DOP) a circa 20 cm (crespone). Una volta insaccato il salame passa di norma un periodo in locali di asciugatura (circa una settimana) per passare poi alla stagionatura vera e propria, che varia a seconda della grandezza del salame (da 2 settimane per le salsicce stagionate fino anche a 6 mesi per prodotti tradizionali). Il salame prende i nomi dai tipi di budello usato o dai componenti e dalle località in cui viene prodotto.

SALSICCIA
salsiccia
La salsiccia è un insaccato di carne, tipico di molte regioni italiane e diffuso in tutto il mondo. In Italia, secondo gli ingredienti e le zone dove viene prodotta, assume varie denominazioni come luganega, salamella, salamina, salamino o salametto.
La prima testimonianza storica sull'uso di insaccare nel budello di maiale la sua carne insieme a spezie e sale è dello storico romano Marco Terenzio Varrone, che ne attribuisce l'invenzione e l'uso ai Lucani: «Chiamano lucanica una carne tritata insaccata in un budello, perché i nostri soldati hanno appreso il modo di prepararla dai Lucani».
Secondo una tradizione lombarda, spuria e molto recente, la sua invenzione sarebbe invece opera della regina longobarda Teodolinda, che inventò la salsiccia e che ne avrebbe poi regalato la ricetta agli abitanti di Monza. Anche i Veneti rivendicano la paternità di questo prodotto, affermando che la salamella sarebbe nata sul loro suolo, e sono tante altre regioni italiane che ne reclamano i natali. Tuttavia, le fonti antiche che si occupano di questa ricetta sono concordi nel ritenere che essa sia un'invenzione del popolo dei Lucani, conquistato da Roma nel III secolo a.C. (l'antica Lucania corrisponde all'odierna Basilicata, comprese limitate zone della Campania meridionale). In particolare, scrittori come Cicerone, Marziale, oltre al già nominato Marco Terenzio Varrone, parlano più volte nelle loro opere della "lucanica", specialità introdotta nell'antica Roma dalle schiave lucane, e apprezzata per la facilità di trasporto e di conservazione che conferiva alla carne di maiale, oltre che per lo squisito sapore. D'altronde, a riprova della genuinità di questa ricostruzione, si osservi che dal nome "lucanica" è derivato "luganega", termine che gli stessi lombardi, i trentini e i veneti tutt'oggi danno a un tipo di salsiccia di piccolo diametro, destinata al consumo immediato. Viene prodotta solitamente riempiendo un budello naturale di suino (budellozza) o di montone (lucanicchia o, nel linguaggio volgare, luganega) con un misto di parti magre (es. spalla) e grasse (es. pancetta) tagliate a dadini (o tritate) e mescolate con sale. All'impasto così ottenuto viene aggiunto solitamente vino (prevalentemente rosso) e altre spezie, quali possono essere pepe, peperoncino, coriandolo, finocchio, noce moscata, anche zucchero (destrosio, saccarosio). Nelle produzioni industriali viene aggiunto di norma acido ascorbico (E300) come antiossidante e latte in polvere affinché il salume conservi una certa morbidezza nel tempo. L'insieme del sale e degli aromi viene denominato concia. Può essere consumata fresca (previa cottura) o secca (quindi stagionata).
Salsicce riconosciute tradizionali
Su proposta delle rispettive regioni, sono stati riconosciuti dal ministero le seguenti salsicce, considerate nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Regione Abruzzo
salsiccia di fegato
salsiccia di fegato con miele
salsiccia di maiale sott'olio
salsiccia di cotica
salsicciotto frentano
Regione Basilicata
salsiccia dolce, con finocchietto (o semi di coriandolo) e con peperoncino rosso di Senise in polvere.
salsiccia piccante, con finocchietto e peperoncino piccante.
salsiccia pezzente, così chiamata per l'impiego di parti meno pregiate e più grasse.
salsiccia sotto sugna
Regione Calabria
salsiccia con finocchietto selvatico, satizza
salsiccia piccante, con finocchietto e peperoncino piccante.
salsiccia di coretto
salsiccia pezzente
salsiccia sott'olio (d'oliva)
salsiccia sotto sugna
Regione Campania
salsiccia
salsiccia affumicata
salsiccia di polmone
salsiccia sotto sugna
salsiccia sotto sugna di Casale di Carinola
salsiccia sotto sugna di Vairano Patenora
salsiccia Rossa di Castelpoto
salsiccione nocerino, salame da cuocere
cervellatine
Regione Emilia-Romagna
salsiccia fina o grosso
salsiccia matta (fatta con tagli meno pregiati, soprattutto della gola vicino al taglio per il dissanguamento dell'animale in fase di macellazione)
salsicciotto alla piacentina, salame da cuocere
Regione Lazio
salsiccia al coriandolo di Monte San Biagio (LT) (fresca, conservata e secca)
salsicce (corallina romana, susianella, al coriandolo, paesana)
salsicce secche aromatiche
salsicce secche di suino della Ciociaria e dei monti Lepini
salsiccia dei monti Lepini al maiale nero
salsiccia di fegato (mazzafegato di Viterbo, paesana da sugo)
salsiccia di fegato dei monti Lepini al maiale nero
salsiccia di fegato di suino (tipica dell'Alta Valle del Velino)
salsiccia sott'olio (allo strutto)
Regione Liguria
salsiccia
salsiccia di ceriana, slasiccia
salsiccia di pignone
Regione Marche
salsiccia
salsiccia di fegato
salsiccia di cinghiale
Regione Molise
salsiccia di fegato di maiale
salsiccia di maiale
salsiccia di maiale di Pietracatella
Regione Piemonte
salsiccia al formentino
salsiccia di Bra
salsiccia di cavolo o sautissa ëd coi
salsiccia di riso
Regione Puglia
salsiccia a punta di coltello dell'Alta murgia a Spinazzola [Gravina in Puglia]
salsiccia alla salentina, sardizza, sarsizza, satizza
salsiccia dell'appennino dauno
salsicciotti di Laterza
Zampina, prodotto tipico di Sammichele di Bari
salsiccia suino a punta di coltello, di Altamura
Cervellata, prodotto tipico di Toritto, inserito nella lista dei (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).[5]
Regione Sardegna
salsiccia di Siligo, di suino, affumicata, con pepe nero, chiodi di garofano e finocchietto selvatico
salsiccia di suino fresca
salsiccia di suino secca di Irgoli detta comunemente "Sartizzu"
Regione Siciliana
salsiccia di maiale fresca, secca e affumicata, "a sasizza"
salsiccia pasqualora
salsiccia ravanusana, "sasizza" mista di carne vaccina e suina
salsiccione grasso
Regione Toscana
salsiccia con patate
salsiccia con fagioli
salsiccia di cinghiale
salsiccia di cinghiale sott'olio
salsiccia di montignoso
salsiccia toscana (sarciccia)
Regione Trentino-Alto Adige
Provincia autonoma di Bolzano:
Hirschwurst (salsiccia di cervo)
Leberwurst (salsiccia di fegato)
salsiccia fresca o luganegheta fresca o salziza fresca (Provincia di Trento)
Regione Umbria
salsicce
Regione Veneto
salsiccia con le rape
salsiccia equina
salsiccia tipica polesana
VALORI NUTRIZIONALI
Generalmente si attribuisce alla carne di maiale fama di essere toppo grassa, ma va detto che del maiale esistono anche tagli magri, che sono sani ed equilibrati , infatti questa è una componente che varia secondo la razza, la specie e il sesso, l’età, il taglio e l’alimentazione ricevuta dall’animale: ovviamente, come per tutti gli alimenti, non bisogna abusarne. La coscia del maiale, ottima alla griglia, oltre ad essere una delle parti più pregiate dell’animale, ricca in proteine muscolari facilmente assimilabili, è anche una delle più magre, insieme alla lonza e al filetto. Le parti anteriori del maiale vanno cucinate più lungo affinché diventino tenere; esse contengono molte proteine, quelle che formano il collagene, che fa parte della pelle, delle ossa, dei tendini; proteine di scarso valore (povere in aminoacidi essenziali), che diventano gelatina e rendono più difficile la digestione. Inoltre, per prevenire l’elevato consumo di grassi della carne di maiale potremmo stare attenti a eliminare il grasso visibile sulla carne prima di cucinarla avendola preventivamente tenuta in frigorifero (il grasso a basse temperature solidifica e si toglie più facilmente), e sgrassare le preparazioni durante e dopo la cottura. La carne di maiale è molto proteica (apporta da 18 a 20 grammi di proteine ogni cento grammi), anche se il contenuto varia in funzione della specie, dell’età e della parte; inoltre contiene tutte le sostanze minerali necessarie per il nostro organismo, buone quantità di ferro, vitamina B, vitamina A e D contenute nel fegato. Il maiale ha diverse proprietà nutritive, ma bisogna ricordare che le viscere, come il rognone, il fegato o il cervello hanno un elevato contenuto di colesterolo.
La carne di maiale è però sconsigliata a chi soffre di gotta, e a chi soffre di colesterolo (può optare per i tagli più magri); inoltre nel caso d’ipertensione, va ridotto il consumo di carne in generale e vanno eliminati gli insaccati per via del sale aggiunto, in quanto quest’ultimo ritiene l’acqua che provoca un’elevata pressione sanguigna.
VARIETA'
Le razze suine attualmente allevate sono derivate dalla selezione e spesso dall'incrocio di suini di ceppo europeo e di ceppo orientale. I primi sono caratterizzati da profilo fronto-nasale rettilineo, orecchie portate in avanti orizzontalmente, taglia piuttosto ridotta e forniscono carne magra e di qualità pregiata. i secondi hanno come caratteri peculiari un profilo fronto-nasale nettamente concavo, il muso e le zampe corti e un'accentuata precocità con la tendenza a produrre carne grassa e lardo. Le antiche razze europee possono essere ulteriormente suddivise nel ceppo celtico (presente nell'Europa centro-settentrionale) e in quello iberico, predominante nei Paesi mediterranei. Dalle razze celtiche, di buona mole, con cute rosea e orecchie pendule, derivano le principali razze suine migliorate.

SOPPRESSATA
soppressata
La soppressata è un particolare tipo di salume, riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale italiano e diffuso in Basilicata, Puglia, Calabria, Abruzzo, Molise e Campania. Si ritiene che la soppressata (dial. lucano: "subbursata" o "soperzata" a seconda delle zone) abbia avuto origini in Basilicata e viene prodotta nella regione da almeno tre secoli, secondo la testimonianza scritta più antica datata 1719. Il nome deriva dall'azione di pressione compiuta mentre il prodotto è in fase di essiccazione, dandogli una forma appiattita. Il prodotto divenne anche molto conosciuto nel resto d'Europa e nelle Americhe, soprattutto negli Stati Uniti, grazie agli immigrati italiani che fecero conoscere le proprie tradizioni all'estero. A seconda delle regioni italiane, il salume viene chiamato in vari modi come Soprassata e Soppresata. In Pennsylvania (U.S.A.), ove il prodotto è molto apprezzato, la soppressata viene chiamata Supersata, anche se, in gergo, viene usato più il suo diminutivo Supie.
Preparazione
La carne utilizzata è di puro suino macellata fresca, mediante la tecnica definita "punta di coltello", un taglio grossolano che consente alla carne di rimanere molto compatta e mantenere così una peculiare integrità organolettica. La soppressata è preparata con una selezione di tagli nobili di prosciutti, spalle e rifili di pancetta e lardo tenero (questi ultimi, in particolare, vengono utilizzati allo scopo di "ammorbidire" la carne utilizzata, normalmente troppo magra per poter essere utilizzata da sola), anche se esistono delle varianti fatte con carne bovina.
La carne così tagliata viene poi condita semplicemente con sale, grani di pepe interi (eventualmente "ravvivati", poco prima, mediante una leggera pestatura in mortaio), e peperone essiccato in polvere. Successivamente, viene infilata in un budello che, se naturale, va pulito scrupolosamente con sale e limone, e viene legata con spago per compattarne il contenuto. La soppressata viene poi lasciata ad essiccare, al buio, dalle 3 alle 12 settimane, a seconda del diametro, perdendo il 30% del suo peso originario.
L'essiccazione ottimale va fatta ad umidità e temperatura controllata (un innalzamento repentino della temperatura può provocare il "buco" all'interno del salume, e rovinarne alcune peculiari caratteristiche), per questo motivo nelle zone di produzione della soppressata si è soliti prepararla d'inverno: una stanza fredda infatti, debitamente munita di camino, può essere all'occorrenza deumidificata e riscaldata nelle giornate troppo fredde e umide, e lasciata raffreddare rapidamente nel naturale rigore invernale, dopo una delle rare giornate di sole. Dopo l'essiccazione, la soppressata viene generalmente conservata in barattoli con olio d'oliva. Varianti della preparazione descritta sono una leggera affumicatura, e la conservazione (raro per questo prodotto, più consueto per il salame pezzente) nella "sugna" fresca di maiale.
Varianti
Sono diffusi vari tipi di soppressata, soprattutto nell'Italia meridionale:
Soppressata di Ricigliano (SA)
Soppressata di Basilicata: è riconosciuta prodotto agroalimentare tradizionale. I comuni di Castelluccio, Rivello, Lauria, Viggianello, Rotonda, Latronico, Lagonegro, Vietri di Potenza, Cancellara e Vaglio ne sono tra i maggiori produttori.[senza fonte]
Soppressata di Puglia: di cui è molto nota quella della Murgia e nello specifico delle città di Gravina e di Martina Franca.
Soppressata di Napoli: spesso prodotta in ambito casalingo e senza obiettivi commerciali.
Soppressata di Calabria a marchio DOP.
Soppressata del Molise: prodotta prevalentemente per consumo casalingo, caratteristiche le produzioni di Rionero Sannitico, Macchiagòdena, Montenero di Bisaccia e Castel del Giudice.
La soprassata toscana (detta anche capofreddo o capaccia), che è composta da parti di suino "di scarto"; come i tendini, le cotenne, la testa (esclusi occhi e cervello) e parti del collo. La soprassata viene insaporita con varie spezie, prezzemolo e buccia di limone.
Un'altra variante (del Cilento) è la soppressata di Gioi, caratterizzata dalla carne magrissima, attraversata in tutta la lunghezza da un unico cilindro di grasso.
La soppressata bresciana è riconosciuta come Prodotto agroalimentare di tradizione.

SPECK
speck
Lo speck dell'Alto Adige IGP (in ladino cioce) è una specialità della salumeria sud-tirolese. Consiste in un prosciutto crudo completamente disossato, lievemente affumicato, tipico del territorio altoatesino, in Italia. È protetto dall'Unione europea con il marchio IGP. Il termine speck, in tedesco, significa letteralmente "lardo".
I primi documenti contenenti la parola speck risalgono al XVIII secolo, ma esso compare nei regolamenti dei macellai e nei registri contabili dei principi tirolesi già dal 1200, seppur con definizioni e nomi diversi.
Inizialmente lo speck veniva prodotto per la necessità di conservare la carne. Esso permetteva di conservare per tutto l'anno la carne dei maiali che venivano uccisi durante il periodo natalizio. Lo speck rappresentava soprattutto per i ceti meno abbienti l'unica opportunità di mangiare carne e far fronte al bisogno di lipidi. Col tempo è diventata una delle pietanze principali in occasione di feste e banchetti. E ancora oggi, insieme al pane e al vino, è il protagonista della tipica "merenda" sudtirolese.Lo speck è un prodotto tipico della provincia italiana dell'Alto Adige ed è nato dall'unione dei due metodi di conservazione della carne: la stagionatura, come il prosciutto crudo nell'area mediterranea, e l'affumicatura, tipica del nord Europa. L'Alto Adige trovandosi in una posizione intermedia e godendo di un particolare clima ha fuso i due metodi, producendo lo speck secondo la regola "poco sale, poco fumo e molta aria fresca", che consiste in una salatura moderata e nell'alternanza di fumo e aria fresca.
Inizialmente lo speck veniva prodotto dalle singole famiglie contadine. Successivamente la produzione si è sviluppata prima a livello artigianale, con i macellai di paese, e negli anni sessanta a livello industriale.
Tra le diverse aziende presenti nel territorio locale, ma anche nazionale, l'azienda Senfter di San Candido (BZ), è una delle maggiori produttrici di speck in Italia.
In Valle d'Aosta nel 2008 un noto salumificio locale dopo due anni di sperimentazione ha iniziato la produzione di Reinhold Speck, un tipo di speck affumicato alle piante aromatiche alpine. Altra produzione tipica è quella dello speck di Sauris, prodotto della tradizione di Sauris, un paesino situato a 1200 metri s.l.m. in provincia di Udine con origini e lingua tedesca. Lo Speck Alto Adige IGP deve il suo carattere inconfondibile al metodo di lavorazione tradizionale. Il disciplinare di produzione prevede un'affumicatura leggera della coscia salata di maiale, una stagionatura media di 22 settimane e un contenuto di sale non superiore al 5% nel prodotto finale. L'elemento che accomuna i piccoli e grandi produttori è il rispetto della regola "poco sale, poco fumo e molta aria fresca" e la dedizione e cura nel creare una specialità amata ben oltre i confini nazionali. La produzione prevede cinque fasi: selezione della materia prima, speziatura, affumicatura, stagionatura, controlli e marchio di qualità. Per la produzione dello Speck Alto Adige IGP vengono utilizzate solo cosce suine magre e provenienti da allevamenti riconosciuti appartenenti ad un Paese all'interno dell'Unione Europea. Esse vengono selezionate in base ai criteri definiti nel capitolato sulla materia prima e tagliate secondo i metodi tradizionali. Le cosce selezionate vengono marchiate con la data di inizio produzione, a garanzia indelebile e come base per i successivi controlli. Le baffe di speck vengono cosparse di sale e di una miscela di aromi (sale, pepe, ginepro, rosmarino, alloro). Esse vengono salmistrate a secco in ambiente controllato per tre settimane e girate più volte per agevolare la penetrazione uniforme della salamoia. Il contenuto di sale nel prodotto finale non deve superare il 5%. Successivamente, le baffe vengono sottoposte alternativamente alle fasi di affumicatura e asciugatura. L'affumicatura con legna poco resinosa è leggera e la temperatura del fumo dev'essere inferiore ai 20 gradi centigradi. La fase finale è quella della stagionatura, in cui le baffe restano appese in locali pervasi da aria fresca. La durata della stagionatura è definita tenendo conto del peso finale della baffa ed è di circa 22 settimane. Durante questa fase si forma uno strato naturale di muffa aromatica, rimossa alla fine del processo, che arrotonda il gusto dello speck ed evita che si secchi troppo. Infine, lo speck che risponde ai criteri imposti dal disciplinare di produzione e che ha superato i controlli viene marchiato a fuoco sulla cotenna in 4 differenti punti con l'apposito sigillo.

WURSTEL
würstel
Il würstel (dal diminutivo della parola tedesca Wurst, "insaccato", secondo i dialetti tedeschi meridionali, laddove il termine in tedesco standard, hochdeutsch, suonerebbe Würstchen), detto anche salsiccia, è una specie di insaccato preparato con carni tritate bovine e suine, tipico della Germania e dell'Austria e, in Italia, del Trentino e dell'Alto Adige.
Da alcuni anni sono commercializzati anche würstel prodotti con carne di pollo e di tacchino, pubblicizzati come prodotti più leggeri rispetto a quelli di suino e molto apprezzati dal mercato mediorientale (o dagli immigrati musulmani all'estero). Il würstel più diffuso in Italia corrisponde generalmente al Wiener o Wiener Würstchen (letteralmente "salsicciotto di Vienna" o "viennese") reperibile in Germania. Lo stesso prodotto in Svizzera è chiamato Wienerli e in Austria Frankfurter (Würstel), letteralmente "salsicciotto di Francoforte", sebbene in origine i due tipi (Wiener e Frankfurter) non fossero identici: il primo conteneva sia carne suina che bovina, era più corto e veniva servito appaiato a un altro, il secondo conteneva solo carne suina, era più lungo e veniva servito da solo. Alcune aziende del settore hanno cominciato a produrre anche in Italia wurstel simili a quelli venduti in Germania, commercializzandoli come "Wurstel tipici".
Solitamente i würstel sono venduti caldi lungo le strade e le vie dei centri storici in caratteristiche bancarelle o carrettini, assieme a un panino e salse a scelta (senape, ketchup, maionese, o salsa al curry). Gli statunitensi chiamano questo panino hot dog (letteralmente, "cane caldo"), sebbene chiamino i würstel "wiener" o "frankfurter" (entrambe le definizioni indicano lo stesso prodotto di carne suina) il termine hot dog per estensione può riferirsi anche alla singola salsiccia.
Nel consumo casalingo è comune cuocerli su una piastra o sulla griglia o bolliti e servirli accompagnati da patatine fritte o insalata.
La carne è sottoposta a una minuta macinazione insieme a grasso di maiale, aromi, additivi e a un'alta percentuale di acqua (o ghiaccio), insaccata e quindi cotta in forni a vapore. Come involucro è utilizzato budello naturale o artificiale, ai würstel "senza pelle", cioè privi di involucro, il budello viene tolto prima di essere confezionati in lattine metalliche insieme a un liquido di governo simile a gelatina, gli altri sono confezionati sottovuoto in un involucro costituito da una pellicola di plastica. Solitamente vengono venduti in confezioni da tre pezzi. Sono diffusi sia il formato grande sia un formato più piccolo, venduto in pezzi da quattro. Alcune aziende producono anche mini-wurstel della lunghezza di 3-4 centimetri, utilizzati ad esempio per preparare spiedini o come antipasto. In Italia questo tipo di bestiame è tuttora poco diffuso, i primi esemplari italiani sono stati dichiarati il 24 gennaio 2008 in Lombardia. Un'importante azienda veneta fondata da Ferdinando Borletti, imprenditore milanese cofondatore anche de La Rinascente e della Standa, alleva nella località di Ca' Negra, dal 2009, alcuni esemplari di wagyu seguendo il metodo tradizionale giapponese.

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