lunedì 8 luglio 2024

Corso di Tecniche dell'alimentazione: Lezione 16/16 COME COMPORRE UN MENU

Predisporre un buon menu è forse più difficile che preparare un buon piatto, poiché richiede la conoscenza dei ritmi stagionali e delle relative materie prime, esperienza nell'accostamento di sapori e colori, gusto e tecnica nell'abbinamento di cibi e vini, nonché intuito e fantasia nel seguire o contravvenire alle regole.  
Numero e successione delle portate
Il numero di portate di cui si può comporre il vostro pranzo dipende soprattutto dalle circostanze. Il pranzo all'italiana si compone di quattro - cinque portate: antipasti (facoltativi), un primo (asciutto o in brodo) un secondo di carne o pesce con contorni, dolce e/o frutta. Si presta a occasioni più impegnative ed a preparazioni con materie prime di più facile digeribilità.
La tradizione europea, di impronta francese, si basa invece su un piatto forte con il suo contorno, preceduto da una entrée (che potremmo assimilare ai nostri antipasti) e seguito da uno o più dessert, termine che nella terminologia francese indica indifferetemente i formaggi, i dolci, la frutta. Questa seconda ipotesi di menu si adatta particolarmente a pranzi o cene rapide o a valorizzare piatti unici, cucinature complesse o ingredienti meno facilmente digeribili.
Nella cucina italiana questo schema si presta in modo particolare a introdurre e valorizzare portate tipicamente "nordiche" come gli ossibuchi alla milanese con risotto, i piatti di carne o pesce con polenta, o portate impegnative e complesse quali le zuppe di pesce o i timballi di pasta o riso assai popolari nel Sud.
La scelta delle materie prime
Oggi è possibile reperire qualunque alimento in ogni periodo dell'anno: troviamo fragole a Natale e cavoli in estate... Tuttavia ognuno di noi ha sperimentato che il gusto degli ingredienti "fuori stagione" non ripaga del loro maggior costo, anzi spesso si tratta di alimenti forzati in serra, dall'aspetto lussureggiante e dal sapore inconsistente.
Rivolgiamoci soprattutto ai prodotti di stagione, meno costosi e più gustosi, con i quali è anche più facile costruire dei menu saporiti ed equilibrati. Lo stesso principio può essere seguito anche dal punto di vista del territorio: benché sia possibile reperire nei negozi specializzati anche i cibi più esotici, questi non sono quasi mai paragonabili per freschezza ai prodotti locali, che non subiscono lunghi viaggi e processi di conservazione non sempre affidabili; ingredienti "nostrani" ci consentiranno anche di valorizzare la cucina tradizionale del nostro territorio.
Nella scelta delle materie prime essenziale è anche la freschezza: invece di affannarvi alla ricerca di ingredienti "introvabili", cercate di non decidere il vostro menu prima di aver verificato cosa il mercato offre al momento. I ristoranti migliori e più esclusivi seguono questo criterio, variando la lista delle vivande ogni giorno proprio in funzione del mercato.
La progressione dei sapori e dei condimenti
Il nostro palato si adatta progressivamente alle sensazioni, e se viene subito "aggredito" da sapori intensi o piccanti e da condimenti eccessivamente untuosi tende a non apprezzare in seguito sapori più delicati; costruite pertanto la vostra lista partendo da antipasti o primi più leggeri ed aromatici per arrivare progressivamente ai sapori più forti ed ai condimenti più impegnativi. Giunti al "piatto forte", che è solitamente il "secondo", potete invertire la progressione, servendo magari formaggi delicati e dolci "al cucchiaio" che riportino il palato ad una sensazione di leggerezza.
L'abbinamento tra le portate
Le indicazioni sull'abbinamento tra le portate sono quelle che più consentono (talvolta richiedono) ragionate infrazioni; prendetele pertanto come suggerimenti utili ma non tassativi. In linea di principio, un buon menu deve avere una chiara e comprensibile "logica interna" che guidi l'abbinamento e la successione delle varie portate.
Ecco alcuni possibili tracciati, che possono subire variazioni e infrazione secondo il vostro gusto e la vostra fantasia:
Carne o pesce?
Tranne che in alcuni piatti particolari, come la Paella valenciana, è preferibile evitare l'abbinamento di carne e pesce; scegliete quindi una linea e seguitela sino in fondo, sempre ricordando il principio della progressione.
Se scegliete un pranzo a base di carne potete iniziare con antipasto di salumi, cui seguirà un primo asciutto o in brodo e infine il secondo con i suoi contorni; in questo caso la progressione dei sapori può proseguire con formaggi "impegnativi" come il parmigiano o il gorgonzola, debitamente abbinati a vini adeguati.
Un pranzo di pesce inizierà con antipasti a base di crostacei e/o di verdure, per poi proseguire con un primo di pasta o riso sempre a base di pesce e culminare con il secondo; per il suo sapore più delicato e la maggiore leggerezza, è preferibile non far seguire al pesce dei formaggi, meglio passare subito ad un delicato dessert. Se utilizzate sia pesci d'acqua dolce che di mare, serviteli in quest'ordine; essendo il pesce di mare più saporito, servito per primo annullerebbe il sapore di quello d'acqua dolce.
Pranzi vegetariani
Anche per i pranzi vegetariani valgono i principi fin qui esposti; se non siete vegetariani "di stretta osservanza" potrete integrare il pranzo con le proteine del latte e delle uova, da utilizzare per tortini, frittate ecc.
Contorni
Fate attenzione che i contorni non sovrastino i piatti principali, o che non contrastino eccessivamente: non servite patate arrosto o peperoni arrostiti con del pesce bollito, né contorni troppo "deboli" con dei secondi saporiti ed impegnativi; seguendo le regole del territorio e del mercato è tuttavia difficile fare grossi errori. Una buona insalata si accompagna quasi ad ogni piatto, meglio ancora se servita tra il secondo ed il dessert:
la verdura cruda infatti, se condita a dovere, aiuta a "ripulire" e rinfrescare il palato dopo un piatto impegnativo.
Dessert
Anche il dessert segue criteri di abbinamento e di progressione. Pranzi importanti richiederanno dolci a base di pasta, lievitata o meno, menu più leggeri e delicati prediligeranno invece dolci "al cucchiaio" come creme o budini, oppure a base di frutta e gelato. La frutta deve sempre essere servita per ultima: la sua funzione nel menu è infatti quella di rinfrescare il palato e di "ripulire" la bocca dai forti sapori del pranzo e dalla sensazione di untuosità che spesso si accompagna al fine pasto.
Abbinamento con i vini
Benché in molti si siano cimentati, finora nessuno è riuscito a formulare la regola perfetta dell'abbinamento tra vini e cibi. La enorme varietà delle situazioni gustative, a cui si aggiungono la non perfetta ripetitività delle ricette e l'altissimo numero di tipologie di vino non consentono di dare una "aura" scientifica all'argomento; la realtà si rivela più ricca e sorprendente della teoria, al punto che lo stesso Veronelli afferma che "la migliore regola è quella di andare contro alle regole".
Tuttavia alcuni principi di base possono essere forniti come guida nell'abbinamento. Vini e cibi sono costituiti da elementi gustativi sintetizzabili in quattro sapori fondamentali, che combinati tra loro caratterizzano il sapore: il salato, l'aspro, il dolce e l'amaro.
La prima buona regola consiglia che il vino smorzi, riequilibri le tendenze gustative del cibo, per aiutare il palato a percepire i sapori in modo adeguato e senza assuefazione; i vini e i cibi si devono pertanto abbinare creando un certo contrasto tra le tendenze dominanti dei rispettivi sapori.
Un secondo criterio è quello che concerne il rapporto tra il corpo e la struttura del vino e l'intensità e concentrazione del sapore dei cibi.
In sintesi, potremmo dire che per quanto riguarda l'equilibrio dei sapori l'abbinamento avviene per contrasto, mentre per la quantità del sapore prevale l'aspetto della analogia.
Cibi e sapori complessi e decisi chiederanno vini con le stesse caratteristiche, piatti delicati e leggeri avranno vini di simile struttura.
La pasta, il riso ed i risotti
Nell'abbinare i vini ad un piatto di pasta dovremo prendere in considerazione soprattutto i vari tipi di condimento.
Sughi a base di carne richiederanno vini rossi non corposi ma di buona struttura, condimenti a base di pesce prediligeranno vini bianchi (da scegliere in funzione del tipo di pesce), piatti con funghi saranno accompagnati da vini rosati a bassa acidità che non ne pregiudichino l'aroma.
Anche i piatti a base di riso verranno abbinati al vino in funzione dei condimenti e degli altri ingredienti; valgono in linea di massima i criteri indicati per la pasta.
Pesci, crostacei ecc.
E' tempo di sfatare il dogma dell'abbinamento del pesce con i vini bianchi: tale e tanta è la varietà della materia prima e delle preparazioni, che nella scelta dei vini dovremo tenerne conto; pesci bianchi delicati, crudi o al vapore o grigliati con attenzione chiederanno bianchi altrettanto delicati e non eccessivamente aspri, mentre per i fritti, ricchi di grassi aggiunti, sceglieremo vini più alcolici e con maggiore acidità, meglio se leggermente frizzanti.
Pesci al forno magari con patate e pesce azzurro, così come zuppe e brodetti, sono molto indicati con vini rossi di buon corpo, purché privi di tannino che, amarognolo e spigoloso, impedisce l'accostamento e serviti ben freschi, oppure con bianchi di gran corpo o rosati decisi.
Carni
Vale lo stesso discorso fatto per i pesci: la varietà delle materie e delle cotture richiede abbinamenti da valutare caso per caso. Carni alla griglia o ai ferri, di manzo o maiale o vitello, chiamano vini rossi di medio corpo, buona acidità e discreto tenore alcolico, magari a base di sangiovese. Le carni bollite, più grasse e meno saporite, richiederanno vini meno tannici e di più alta gradazione, eccellenti i Dolcetti e altri vini rossi piemontesi o dell'Oltrepo. Carni in padella o al forno saranno accompagnate con vini rossi morbidi, di buona alcolicità ma non tannici; infine, le carni rosse con lunghe cotture, generosamente speziate e la cacciagione, si sposeranno con i grandi vini rossi di lungo invecchiamento.
Funghi, tartufi, ortaggi
I funghi, ricchi di aromi e dal sapore delicato, sopportano solamente vini morbidi, soprattutto bianchi o rosati mentre con il tartufo, soprattutto nei primi piatti, possono entrare in scena grandi rossi maturi, Barolo Barbaresco o Bordogna.
Più difficile l'abbinamento con gli ortaggi, che salvo alcune eccezioni preferiscono l'acqua al vino; se li usate come contorno, curate l'abbinamento del vino con il piatto forte.
Formaggi e salumi
Hanno molto in comune: influenzati dalla tradizione, dal clima e dal territorio, subiscono processi di conservazione e trasformazione; quasi sempre vini, salumi e formaggi del medesimo territorio si sposano felicemente, purché vengano seguiti i criteri base dell'abbinamento.
Come raffinato dessert, potrete anche concedervi il brivido di accostare ad alcuni formaggi saporiti dei vini dolci liquorosi, o dei grandi "muffati" come il Sauternes.
Frutta e dolci
Con la frutta, comunque preparata, nessun abbinamento è consigliabile: acidità e zucchero sconsigliano ogni accostamento e guasterebbero l'equilibrio di qualunque vino.
I dolci sono dominati da un elemento preponderante, lo zucchero, spesso con una grossa componente di grassi aggiunti; un abbinamento per contrasto richiederebbe vini estremamente alcolici, quasi impossibili da reperire. Diamo quindi per scontato che a qualunque dolce abbineremo un vino dolce, distinguendo anche in questo caso alcune categorie.
Dessert al cucchiaio hanno bisogno di vini non eccessivamente dolci ma di buon tenore alcolico; torte e dolci a pasta lievitata hanno come partner ideali i vini di Moscato, meglio se frizzanti. Le torte a base di frutta amano vini altrettanto delicati, non eccessivamente zuccherini, mentre le torte cremose della grande pasticceria richiedono vini moderatamente dolci ma di buon tenore alcolico.
Grande nemico del vino è il freddo, che anestetizza le papille gustative: evitate quindi di accostare vino a gelati e sorbetti.
Altro nemico del vino in pasticceria è il cioccolato, e i dolci che lo hanno come base; meglio rivolgersi a un grande distillato o a un liquore dolce come il Grand Marnier.

domenica 7 luglio 2024

Corso di Tecniche dell'alimentazione: Lezione 15 CONOSCERE IL CIOCCOLATO

cacao
cacao
Il cacao (Theobroma cacao L., 1753) è una pianta appartenente alla famiglia Sterculiaceae originaria dell'America meridionale. Si presenta in forma di albero sempreverde, alto 5-10 m.
Foglie persistenti, alterne, ovali, con margine lievemente ondulato, lucide nella parte superiore, con picciolo fogliare dotato di articolazione che permette di orientarsi a seconda dell'intensità luminosa. Non tutte le specie di cacao hanno le foglie verdi
Piccoli fiori sparsi a mazzetti, bianchi, verdi o rosei, che spuntano direttamente sul tronco o sui rami adulti; di essi solo pochi si trasformeranno in cabosside, ovvero in frutti del cacao; hanno un calice profondamente diviso, i cinque petali sono clavati, l'ovario è sessile.
Dall'ovario si sviluppa il frutto (cabossa) a forma di cedro allungato, di colore giallastro - verdognolo, che diventa bruno-rossastro a maturazione, con la buccia solcata da 10 strisce longitudinali e contenente da 25 a 40 semi; i semi sono immersi in una sostanza ricca di zuccheri, chiara e di consistenza gelatinosa. Il peso della cabosside è variabile fra 300 e 500 grammi, lunghezza di 10–15 cm. In casi eccezionali tale frutto può arrivare anche a 1 kg.
All'interno di una polpa asprigna sono racchiusi numerosi semi ovali e piatti, a forma di mandorla, di colore bruno-violaceo, disposti in cinque file, contenenti zuccheri, grassi, albuminoidi, alcaloidi e coloranti.
Tra questi alcaloidi, i più importanti sono la teobromina e la caffeina (contenuta in quantità ridotta): il primo è un euforizzante mentre il secondo è un eccitante; grosse quantità di cacao possono infatti indurre una dipendenza fisiologica. La teobromina ha inoltre effetti diuretici: era infatti adoperata come diuretico in casi di scompenso cardiaco, finché non è stata rimpiazzata da farmaci più efficaci.
Sottospecie
Cacao criollo - Theobroma cacao cacao definito anche cacao nobile.
Semi bianchi, molto profumati e poco amari; originario del Messico, esso rappresenta il seme dei Maya, poco produttivo ma delicato e di qualità pregiata. Il cacao Criollo è più diffuso in America centrale e nel nord del Sudamerica, soprattutto nei suoi paesi d’origine, l’Ecuador ed il Venezuela. Particolarmente sensibile alle intemperie, ha bisogno di molte cure e la sua resa è relativamente scarsa. I suoi semi sono ricchi di aroma e di sostanze odorose. Il cacao Criollo, sia per i ridotti quantitativi che ne vengono prodotti (rappresenta meno del 10% sul totale del raccolto mondiale), sia per il prezzo più alto, è destinato alla fabbricazione di cioccolata di alto pregio. La produzione mondiale non supera l'1% del totale, mentre per la produzione di cioccolato, esso rappresenta il 10% delle specie di cacao utilizzate.
Cacao forastero - Theobroma cacao sphaerocarpum o cacao di consumo
Semi violetti dal gusto forte e amaro. Robusto e molto produttivo, dunque più a buon mercato. Molto diffuso, con esso viene prodotto l'80% del cioccolato; rappresenta oltre l’80% di tutto il cacao raccolto nel mondo. Coltivato in Africa occidentale, in Brasile e nel sud-est asiatico. Più resistente e di migliore resa, il cacao forastero dà un cacao lievemente aspro e amaro. Nelle varie zone di coltivazione si producono qualità più fini o più ordinarie, che vengono selezionate in funzione dell’uso cui sono destinate oppure mescolate tra loro.
Cacao Trinitario (ibrido dei primi due)
Originario della bassa Amazzonia ( Trinidad), con caratteristiche intermedie ai primi due. Coltivato in: Messico, Trinidad, Caraibi, Colombia, Venezuela, Asia sud-orientale. Esso rappresenta il 10% della produzione di cioccolato.
La Coltivazione
La coltivazione richiede elevate spese d'impianto e comincia a produrre dal quinto anno, mentre la fruttificazione dura per un trentina d'anni. La pianta teme l’insolazione diretta e quindi cresce all’ombra di alberi più alti quali palme e banani. Ogni pianta fornisce 1–2 kg di semi secchi; la fruttificazione è continua ma durante l'anno si hanno due periodi di massima produzione.
Aree geografiche
Il cacao di piantagione è coltivato tra il 20º parallelo nord e il 20º parallelo sud, ad altitudine più bassa rispetto a quello selvatico, per comodità di raccolta.
Tre le grandi zone dove viene coltivato in grandi quantità, in particolare:
Cacao americano: i più apprezzati sono quello messicano, il Bahìa brasiliano, coltivato in Brasile, Colombia e Ecuador e infine il Chuao e Porcelana, coltivati in Venezuela.
Cacao asiatico: Indonesia e Sri Lanka.
Cacao africano: importante la qualità prodotta in Ghana e anche quelle coltivate in Camerun, Nigeria, Costa d'Avorio e Madagascar


cacao
Ogni pianta fornisce 1–2 kg di semi secchi. Il cacao secco mercantile, che ha una resa del 50% rispetto al seme raccolto, si ottiene mediante lieve fermentazione, essiccamento e macinazione dei semi stessi.
Raccolta
Il frutto della pianta (definito cabossa), si raccoglie un paio di volte all'anno, viene schiacciato e lo si fa riposare per circa una settimana, per poi estrarne la polpa ed i semi. Un albero produce dai 20 ai 50 frutti maturi all’anno della dimensione di una barbabietola da zucchero (lunghezza 15/25 cm; diametro 7/10 cm; peso 500 g).
Fermentazione
Il procedimento di fermentazione può essere leggermente diverso a seconda del tipo di cacao che si vuole ottenere; tempo fa, ad esempio, la fermentazione avveniva in appositi cassoni di legno. Negli attuali processi di produzione, polpa e semi si fanno fermentare insieme per 5 o 6 giorni; un tempo, invece, la fermentazione del criollo non superava i tre giorni. La temperatura di fermentazione si assesta sui 45 - 50 °C e durante questo periodo, la polpa si liquefa e viene eliminata. La fermentazione inattiva il seme, che smette di germogliare e provoca il rammollimento della polpa rimasta aderente al seme, un processo di leggero addolcimento del cacao e inoltre l'ingrossamento del seme che assume una colorazione bruna; la fermentazione provoca l'ossidazione dei polifenoli, un'ossidazione troppo scarsa provoca un sapore amaro, mentre una troppo spinta rende il seme insipido (formazione dei precursori d'aroma). Attualmente la fase di fermentazione è sostituita dalla fermentazione in armadi su plance in legno di cedro da circa 80 cm che consentono un prodotto fermentato in maniera più omogenea ed esente da muffe.
Essiccazione
I semi vengono sottoposti ad essiccazione al sole per bloccare la fermentazione e per ridurre il contenuto di umidità che favorirebbe lo sviluppo di muffe. I semi sono distesi al sole e in questa fase occorre molta manodopera per coprire velocemente i semi di cacao in caso di pioggia. Questa fase dura 7-15 giorni.
Durante l'essiccatura i semi vanno accuratamente protetti dall'umidità, che potrebbe indurre la formazione di muffe e rendere il raccolto inutilizzabile per l'uso alimentare. I semi di cacao rovinati sono comunque recuperabili come fonte di burro di cacao, usato anche nell'industria cosmetica. Un'essiccatura accelerata o artificiale è più rapida, ma produce un cacao di qualità inferiore, usato nelle produzioni industriali.
Con queste procedure i semi sono resi fragili per il rammollimento della pellicola esterna; così le due metà dei semi si suddividono mediante semplice pressione, il seme si divide così in due parti, dette cotiledoni.
Il prodotto essiccato viene poi insaccato ed inviato ai centri di raccolta.
Tostatura (o torrefazione)
Questo processo, chiamato impropriamente torrefazione, dura fra i 70 e i 120 min, con temperatura variabile in funzione del prodotto che si vuole ottenere: la produzione di cacao da cioccolato richiede una temperatura fra i 98 e i 104 °C, mentre per la produzione di cacao in polvere fra i 116 e i 121 °C. Vi sono due tipologie diverse di tostatura:
·        In speciali essiccatoi in cui i semi, mentre cadono, sono investiti da un getto di aria calda.
·        Per avanzamento su letto fluido.
Questa operazione serve a facilitare la decorticazione del cacao e anch'essa determina l'addolcimento dello stesso.
Decorticazione e degerminazione
Dopo la tostatura si esegue un lungo processo di decorticazione e di degerminazione per mezzo di macchine apposite; i cotiledoni, dopo questa operazione, possono essere venduti allo stato di fatto oppure la lavorazione può continuare tramite la triturazione.
Triturazione
I cotiledoni vengono macinati fra cilindri caldi, che, fondendo il grasso contenuto (in percentuali superiore al 50%), li trasforma in una massa fluida, viscosa e bruna detta massa di cacao o liquore.
A questo punto viene addizionato di carbonato di potassio per amalgamare il grasso con le altre componenti ma anche per neutralizzare i tannini. La massa di cacao può essere utilizzata allo stato di fatto se si vuole fare il cioccolato, oppure continuare il trattamento con la separazione del grasso.
Separazione del grasso
Una buona parte del grasso viene separata per pressione, la parte rimanente, che ha ancora il 20-28% di grasso, viene posta in contenitori, nei quali si concreta in lastre in ambiente raffreddato dette panelli. Il burro di cacao può venire separato dalla pasta ottenuta anche tramite il processo Broma (sacchi di pasta di cacao appesi in una stanza calda, da cui il burro di cacao cola via).
Macinazione
Le lastre vengono quindi ridotte a polvere impalpabile. Questa polvere viene detta cacao solubile, ma è una denominazione impropria, in quanto non esiste una forma di cacao solubile; tale denominazione indica che la polvere viene suddivisa così finemente da rimanere in sospensione quando sia mescolata con acqua.
Solubilizzazione
Consiste nell'eliminare la parte grassa rimanente tramite un riscaldamento con vapore e carbonato di sodio o di potassio per un tempo sufficiente affinché l'amido si trasformi in destrina e avvenga una parziale scissione del grasso rimanente; questa pratica è molto utilizzata dai fabbricanti olandesi, ma esistono anche altri metodi.

cioccolato

Il lessico del cioccolato secondo l'Unione Europea

Di seguito vengono riportate le definizioni adottate nell'Unione Europea:
·         Burro di cacao: la sostanza grassa ottenuta da semi di cacao o da parti di semi di cacao
·         Cacao in polvere o cacao: il prodotto ottenuto mediante trasformazione in polvere di semi di cacao puliti, decorticati e torrefatti e che presenta un tenore minimo di burro di cacao del 20% (percentuale calcolata sul peso della sostanza secca) e un tenore massimo di acqua del 9%.
·         Cacao magro in polvere o cacao magro: è cacao in polvere con un tenore di burro di cacao inferiore al 20%
·         Cioccolato in polvere: un miscuglio di cacao in polvere e zuccheri, contenente non meno del 32% di cacao in polvere.
·         Cioccolato comune in polvere o cacao zuccherato: un miscuglio di cacao in polvere e zuccheri, contenente non meno del 25% di cacao in polvere; si aggiunge il termine "magro" se il prodotto sia magro o fortemente sgrassato ai sensi della definizione precedente.
·         Cioccolato: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 35%, di cui non meno del 18% di burro di cacao e non meno del 14% di cacao secco sgrassato.
·         Cioccolato al latte: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao, zuccheri e latte o prodotti a base di latte e che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 25%, di sostanza secca del latte del 14%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 3,5%, di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%.
·         Cioccolato comune al latte: il prodotto ottenuto da cacao, zuccheri e da latte o da prodotti a base di latte, che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 20%, di sostanza secca del latte del 20%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 5%, e di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%. Il Regno Unito, l'Irlanda e Malta possono autorizzare l'uso nel loro territorio del termine milk chocolate per questo tipo di cioccolato a condizione che tale termine sia accompagnato dall'indicazione del tenore di sostanza secca di latte nella forma «sostanza secca di latte: …% minimo».
·         Cioccolato bianco: il prodotto ottenuto da burro di cacao, latte o prodotti a base di latte e zuccheri, e che contiene non meno del 20% di burro di cacao e del 14% di sostanza secca del latte; burro o grassi del latte devono essere presenti in quantità pari almeno al 3,5%.

  Tipologie e caratteristiche organolettiche del cioccolato

Ad una semplice degustazione, anche superficiale, le diverse caratteristiche dei cioccolati appaiono subito evidenti. Ripassiamole insieme:

 

·         Cioccolato bianco: di colore avorio, lucido con profumo intenso, ricco e persistente; con sentori di latte, burro, vaniglia e biscotto; gusto dolce molto marcato, aroma intenso e persistente.
·         Cioccolato al latte: di colore marrone chiaro, lucido con profumo persistente, ricco e un aroma pieno di caramello e cacao. Al palato ha una buona fusibilità e una quantità percettibile di grassi; inoltre ha una struttura croccante. Gusto dolce con una leggera nota di amaro del cacao. Aroma intenso e persistente.
·         Cioccolato mi - doux: miscela di cioccolato al latte e fondente, colore marrone lucido, profumo intenso e persistente di cacao, caffè tostato e liquirizia. Buona fusibilità in bocca e struttura croccante. Gusto dolce con nota di amaro. Gusto intenso e persistente.
·         Surfin: dal colore marrone intenso, lucido con profumo intenso, forte e ampio; sentori di cacao tostato, liquirizia e tabacco. Struttura croccante in bocca e ottima fusibilità. Gusto dolce con una nota media di amaro e aroma fine e molto persistente.
·         Extra-bitter: dal colore marrone scuro, molto lucido. Profumo fragrante, aromatico, molto intenso e persistente. Sentori di cacao, caffè e orzo tostato. Struttura croccante, fusibilità lenta. Gusto intenso e persistente, amaro con una nota di dolce.
·         Amarissimo: dal colore marrone scuro tendente al nero. Profumo forte, molto intenso, aromatico. Sentori del cacao miscelata alla viola, al tabacco e alla liquirizia. Molto croccante al morso, fusibilità lenta in bocca, gusto amaro.

  Prodotti dolciari al cioccolato

Il cioccolato viene utilizzato nella preparazione di tantissimi prodotti dolciari, tra cui:
·         Cioccolato in barrette o blocchi.
·         Cioccolatini: possono essere di varie forme e arricchiti (ricoperti o ripieni) con tantissimi ingredienti. Tra i tanti tipi di cioccolatini si hanno i cremini, i gianduiotti.
·         Praline.
·         Uova di pasqua e conigli pasquali.
·         Scaglie di cioccolato: utilizzate per decorare e insaporire dolci.
·         Torta al cioccolato (per esempio la ben nota Sacher).
·         Crêpes al cioccolato.
·         Gelati e semifreddi.
·         Mousse al cioccolato.
·         Snack tascabili dove è solitamente accostato ad altri alimenti (cocco, caramello, ecc.).

I luoghi legati al cioccolato

La Svizzera
L'industria svizzera del cioccolato (localizzata principalmente nella Svizzera romanda) detiene record sia in termini di fatturato (1.690 milioni di franchi nel 2011) sia in termini di volume di produzione (176.332 tonnellate di cioccolata prodotte nel 2011) e di esportazione (il 60,7% della produzione). Il Paese vanta inoltre il più alto consumo di cioccolato procapite al mondo (12,3 chilogrammi). Dalla fine del Seicento a livello artigianale, la produzione di cioccolato su scala industriale iniziò nella prima metà dell'Ottocento.
Queste le figure chiave:
·        François - Louis Cailler (1819, inventore della "tavoletta"),
·        Philippe Suchard (1826),
·        Henri Nestlé (1866),
·        Jean Tobler (1867, creatore del Toblerone),
·        Daniel Peter (1875, inventore del cioccolato al latte)
·        Rodolphe Lindt (1879, inventore del cioccolato fondente).

Il Belgio

Nella prima metà dell'Ottocento nelle città del Regno iniziò la produzione delle praline: piccoli cioccolatini ripieni di liquore, marzapane o cioccolato fondente.

Il Piemonte

Torino è dal 1600 una delle capitali italiane e forse europee del cioccolato, qui sono stati inventati il cioccolato con le nocciole Prochet e la macchina per trattare industrialmente il cioccolato Caffarel. All'industria Talmone si deve la prima rete di commercializzazione nazionale di cioccolato.

La Sicilia

Il cioccolato di Modica ha origini antichissime, furono gli spagnoli che, per opera di Herman Cortés intorno al 1519, importarono i primi chicchi di cacao avendone appreso le qualità eccellenti e le potenzialità economiche, e ne instaurarono successivamente un vero e proprio commercio intorno al 1580. Facendo diversi usi e avendone appreso la lavorazione, fu durante la loro dominazione in Sicilia nel XVI secolo, che gli spagnoli la introdussero nella “Contea di Modica”, la Contea più grande del Regno di Sicilia, tale da nominarsi anche come “Il Regno nel Regno” sia per l’astensione del suo territorio (si estendeva, di fatto alle porte di Palermo) che per le ricchezze economiche, le risorse del territorio, la magnifica arte barocca nonché le tradizioni dolciarie radicate in essa.
Contrariamente a quanto avvenne in seguito nel Regno d’Italia e in tutta l’Europa, nella Contea di Modica non si passò mai alla lavorazione industriale del cioccolato, conservandone così l’artigianalità della sua manifattura. Il “Cioccolato di Modica” si presenta di colore nero scuro con riflessi bruni; rustico, quasi grezzo, con granuli di zucchero lasciati grossolani che gli conferiscono, oltre alla particolarità nel gusto, una brillantezza di riflessi quasi come “pietra marmorea”; il suo gusto di cacao è tondo, vellutato e persistente. La sua lavorazione, che avviene quasi a freddo (al massimo a 35 / 40 °C), permette di mantenere inalterate le sue caratteristiche organolettiche. Tutto ciò lo differenza dagli altri tipi di cioccolato, rendendolo originale e quindi unico nel suo genere
Le Fiere del cioccolato
Non può far mare partecipare anche ad una manifestazione sul cioccolato
Ogni anno sono molte le fiere dedicate al cacao e al cioccolato in ogni parte del mondo; in Italia tra le più frequentate si possono ricordare:
·        il CioccolaTò di Torino,
·        il Cioccoshow di Bologna in Piazza Maggiore,
·        la Fiera del cioccolato di Cervia (Ravenna),
·        la Fiera del Cioccolato di Firenze (Piazza Santa Croce),
·        l’Altrocioccolato di Gubbio,
·        l'Eurochocolate di Perugia
·        la Showcolate a Napoli presso la Mostra d'Oltremare
·        il Choccobarocco di Modica.


Cioccolato e salute

Il cacao ha un potere antiossidante (ORAC) tra i più elevati in assoluto, un indice di valore 80933, circa 19 volte più potente di una mela, che notoriamente viene considerata un ottimo antiossidante. Le qualità del cacao sono varie: è indicato in quanto energetico, leggermente stimolante e con virtù antidepressive.
Esso infatti è un prodotto blandamente psicoattivo per via del suo contenuto di teobromina, di feniletilamina, di piccole quantità di anandamide (un cannabinoide endogeno del cervello), caffeina e triptofano. La quantità di caffeina contenuta nel cioccolato non è considerata significativa, a meno che non venga espressamente aggiunta durante la lavorazione.
La tabella seguente riporta i valori nutrizionali corrispondenti a 100 grammi di cioccolato:
Valori nutrizionali (per 100 g di prodotto)[27]
Tipologia
Cioccolato fondente
Cioccolato al latte
Cioccolato bianco
Proteine (g)
3,2
7,6
7,5
Lipidi (g)
33,4
32,3
37
Carboidrati (g)
60,3
57
52
Lecitina pura (g)
0,3
0,3
0,3
Teobromina (g)
0,6
0,2
--
Calcio (mg)
20
220
250
Magnesio (mg)
80
50
30
Fosforo (mg)
130
210
200
Ferro (mg)
2
0,8
tracce
Rame (mg)
0,7
0,4
tracce
Vitamina A (IU)
40
300
220
Vitamina B1 (mg)
0,06
0,1
0,1
Vitamina B2 (mg)
0,06
0,3
0,4
Vitamina C (mg)
1,14
3
3
Vitamina D (IU)
50
70
15
Vitamina E (mg)
2,4
1,2
tracce
Valore energetico (kJ)
2.080
2.160
2.260
Valore energetico (kcal)
495,2
514,2
538

cioccolato
Gli esordi
I primi coltivatori e assidui consumatori del cacao furono probabilmente gli Olmechi, un'antica popolazione che visse e si sviluppò nella regione Mesoamericana (l'odierno Messico centrale) e che colonizzò e civilizzò l'America intorno al 1500-1400 a.C.
Secondo una leggenda azteca, la pianta fu donata dal dio Quetzalcoatl (da cui il nome cioccolato) per alleviare gli esseri umani dalla fatica.
I Maya produssero in seguito una bevanda calda a base di cacao cui però aggiungevano i fagioli delle loro piantagioni, che si trovavano nella regione di Tabasco, nell'attuale Messico.
Loro chiamarono questa bevanda "xocoatl" (da "xococ" che significa "cioccolato" e "atl" che sta per "acqua": la "x" è un fonema derivante dalla lingua spagnola arcaica e che è stato sostituito nella lingua inglese dal fonema "sh"). La ricetta dello "xocoatl" era molto semplice: si arrostivano i fagioli insieme al cacao, ed a questo miscuglio semi solido si aggiungeva acqua (in modo da farlo diventare liquido) e un po' di pepe.
I Maya veneravano in maniera quasi religiosa questa bevanda ed i chicchi di cacao erano preziosi, tanto da essere usati come valuta di scambio economico.
Dopo la scoperta dell'America (1492) gli europei scoprirono i semi del cacao quando Cristoforo Colombo li ricevette in dono, durante il suo quarto viaggio, presso l'isola di Guanaja. Nella civiltà azteca erano considerati un bene di lusso, e venivano importati per il fatto che la pianta non cresceva sul territorio dell'impero. Il consumo del cacao era una prerogativa dei ceti alti (nobili, guerrieri e sacerdoti), e rappresentava uno dei cardini della cucina azteca. I semi di cacao erano talmente preziosi da venire adoperati anche come moneta. Da ciò il primo nome del cacao (Amygdalae pecuniariae ovvero mandorla di denaro) poi sostituito da Linneo in Theobroma cacao o cibo degli dei. Le fonti del tempo narrano anche di frequenti contraffazioni effettuate riempiendo i gusci vuoti con sporcizia o fango. Proprio dal termine azteco in lingua nahuatl xocoatl deriva la parola "cioccolato".
Cristoforo Colombo inviò in Europa semi di cacao, ma le grandi potenze europee rispedirono al mittente tali piantagioni, preferendo accogliere al loro interno coltivazioni più facili da produrre.
Quelli che il navigatore italiano chiamava indiani d'America continuarono a divinizzare le piante di cacao fino al 1517, anno in cui il conquistatore Herman Cortés sbarcò sul litorale messicano, vicino l'odierna Vera Cruz, dove era ubicato l'impero azteco.
L'imperatore Montezuma II fece conoscere all'esploratore spagnolo la chocolatl, una bevanda dolcissima a base di cioccolato condito con vaniglia e le spezie ed in modo che una volta preparato sia ridotto ad una schiuma avente la stessa consistenza del miele. La grande innovazione del chocolatl era che una volta introdotta in bocca essa diventava liquida grazie al freddo della saliva. Montezuma II consumava tale bevanda prima di entrare nel suo harem perché era convinto che la sostanza fosse afrodisiaca. Dopo la morte di Montezuma e la conquista dell'impero azteco, Cortés fu nominato governatore dei territori da lui conquistati (il "nuovo mondo"). In questa veste egli decise di inviare gratuitamente in Spagna i semi di cacao che arrivano in Europa nel 1528.
Qui la bevanda ottiene il successo solo con l’aggiunta di zucchero, anice, cannella e vaniglia. La corte dell'imperatore Carlo V gradì moltissimo la nuova bevanda, tanto che la cioccolata calda divenne il vero status symbol delle classi sociali economicamente avanzate. La cioccolata calda era anche il regalo di nozze che Carlo V inviava quando un membro della sua famiglia sposava un nobile straniero: questi regali contribuirono alla diffusione della cioccolata calda in tutta Europa, diffusione favorita anche dal fatto che il sovrano non volle mai rendere pubblica la ricetta della cioccolata calda; nacquero in queste modo varie leggende sulla preparazione di questa dolcezza.
Lo sviluppo
La ricetta originale della cioccolata calda era una miscela di cacao, acqua, vino e vari tipi di spezie. Gli spagnoli cominciarono presto a riscaldare la miscela ed a dolcificarla con lo zucchero, che importavano dalle colonie dopo avere introdotto la coltivazione della canna da zucchero oltre oceano (la disponibilità di zucchero, cacao e caffè diede un notevole impulso all'arte culinaria, permettendo la nascita della pasticceria europea come arte autonoma).
Nel 1606 il cioccolato si produce anche in Italia, a Firenze e Venezia. Nel 1678 Antonio Ari ottiene dai Savoia il permesso di vendere la cioccolata in "bevanda" e creando di fatto la celebre scuola torinese del cioccolato. Furono i britannici però ad avere l'idea di sostituire l'acqua con il latte e di consumare la "hot chocolate" dopo pranzo.
Nel XVIII secolo nacquero a Londra ed in varie zone dell'Inghilterra le chocolate house, che divennero celebri almeno quanto le coffee house: in questi luoghi i clienti potevano consumare liberamente una tazza di cioccolata calda e parlare senza censura di politica, economia, scienza e filosofia. La prima "Casa del Cioccolato" nacque proprio nella capitale londinese nel 1657, ma a causa del suo costo eccessivo la cioccolata calda fu per più di un secolo una bevanda rivolta esclusivamente all'élite della società. Il termine "cioccolata calda" è un neologismo coniato probabilmente in Italia molto tempo dopo: inizialmente la bevanda era chiamata semplicemente cioccolata.
Nel 1802 il genovese Bozelli costruisce una macchina per raffinare la pasta di cacao.
Alla scuola torinese di cioccolato si forma Francois-Luis Cailler che nel 1819 fonda la prima fabbrica svizzera di cioccolato a Vevey.
Nel 1828 l’olandese van Houten separa il burro di cacao e crea la prima macchinetta che produce la cioccolata calda, tramite un dischetto di plastica contenente cacao, acqua e latte che veniva filtrato meccanicamente. La fragranza della bevanda uscita dalla macchinetta era però diversa da quella originale, in quanto più acida. Si scoprì poco dopo che i progettisti della macchinetta avevano usato surrogato di cacao, che era meno gustoso rispetto al cacao originale ma che si legava più facilmente al latte e all'acqua calda.
Nel 1865 a Torino Caffarel mescola cacao e nocciole producendo il cioccolato gianduia.
Nel 1878 lo svizzero Daniel Peter mescola il latte al cacao producendo il cioccolato al latte.
Nel 1879 a Berna Rodolphe Lindt produce il cioccolato fondente.
Nel 1923 a Chicago Frank Mars inventa la barretta al cioccolato.
La diffusione delle tavolette di cioccolato, vendute soprattutto nei bar, rese indispensabile l’aggiunta dell’aggettivo alla cioccolata liquida per distinguerla da quella solida.
Oggi
Si è recentemente diffusa negli Stati Uniti d'America l'usanza di aggiungere la panna montata alla cioccolata calda: ciò rende la bevanda più dolce ma sicuramente più calorica. La fantasia dei baristi tuttavia non si ferma certo qui: dal miele al caffè, dal caramello alla crema, dai cereali alle noccioline, tutto può essere aggiunto (con risultati più o meno soddisfacenti) alla cioccolata calda. Oggi la cioccolata calda è bevuta ed apprezzata in tutto il mondo. La cioccolata calda è anche diffusissima in Europa (Italia compresa) ed in Asia (India in particolare). Recentemente è nata in Italia la cioccolata "fredda", la cui ricetta è uguale a quella calda ma che si ottiene attraverso un processo di raffreddamento del cacao.
cioccolato
La preparazione del cioccolato avviene seguendo il seguente schema:

Miscelazione

Il processo di preparazione del cioccolato inizia con la "miscelazione" (blending o mélangeur).
Partendo dall'ingrediente base della pasta di cacao, ottenuta dalla lavorazione dei semi del cacao, vengono aggiunti gli altri ingredienti necessari, più precisamente:
·         fondente: pasta di cacao, burro di cacao, zucchero e vaniglia
·         al latte: come sopra, ma con aggiunta di latte o latte in polvere
·         bianco: burro di cacao, zucchero, vaniglia, latte o latte in polvere
In alcuni paesi la legge consente di tagliare il burro di cacao con altri grassi vegetali. Spesso viene aggiunta anche la lecitina di soia, che agisce come agente emulsionante favorendo una maggiore omogeneizzazione degli ingredienti. Diversi produttori introducono variazioni personalizzate alle proporzioni delle ricette base, come una sorta di "marchio di fabbrica".
Il cioccolato fondente più pregiato arriva a contenere non meno del 70% di cacao (sia polvere che burro). L'impasto viene poi passato dalle raffinatrici, che sono delle macchine laminatrici (tipiche fra queste quelle funzionanti a 5 cilindri). Il passaggio attraverso le macchine raffinatrici è detto in inglese refining o fine grinding.

Concaggio

Il successivo stadio prende il nome di concaggio (conchage o conching). Consiste nel mescolare per tempi molto lunghi la miscela di ingredienti in apposite impastatrici dette conche aggiungendo eventualmente dell'altro burro di cacao. Ciò deve avvenire a temperatura controllata appena sufficiente a mantenere la miscela liquida avendo cura di rompere i grumi dei vari ingredienti fino a portarli a dimensioni inavvertibili dalla lingua ed a farne una massa perfettamente liscia ed omogenea.
I cioccolati più pregiati vengono trattati in questo modo per non meno di una settimana. Terminata questa fase, il cioccolato viene mantenuto fuso in serbatoi a 45-50°C. Il concaggio serve, fra le altre cose, anche ad ossidare i tannini. Tale tipo di lavorazione fu inventato, nel 1880, da Rodolphe Lindt.

Temperaggio

La fase successiva al concaggio è il temperaggio (tempering).
Dato che il burro di cacao tende a cristallizzare in modo polimorfo ed irregolare, la massa di cioccolato fuso deve venire raffreddata cautamente, in modo da portare alla cristallizzazione desiderata, quella che produce un cioccolato che si spezza ma che allo stesso tempo si scioglie morbidamente. Per ottenerla, la massa di cioccolato viene raffreddata gradualmente da 45°C a 27°C, quindi riscaldata a 31°C (±1°C) per il cioccolato fondente, e 29°C per quello al latte e successivamente raffreddata fino allo stato solido.

Modellaggio

Dopo il temperaggio il cioccolato viene sottoposto al "modellaggio" (molding): viene versato in stampi che sono posti in leggera vibrazione per eliminare le bolle di aria imprigionate all'interno. Una volta raffreddato, il cioccolato assumerà la forma degli stampi ed è pronto al "confezionamento" (packaging).
 
Degustare è molto più che mangiare, implica infatti essere in grado di decifrare al meglio tutte le sensazioni che un cioccolato ci trasmette nel momento in cui si scioglie in bocca, andando quindi molto al di là di un semplice “buono” o “cattivo”.
Questo ci permette anche di gustare in modo ottimale il nostro cibo preferito, di coglierne tutte le sue peculiarità ma anche i suoi difetti; in altre parole, ci consente di capirlo nel profondo, fornendoci tutti gli strumenti per giudicarlo ed eventualmente apprezzarlo. Perché non dimentichiamoci che il cibo è soprattutto piacere, e tale deve rimanere; nessuna analisi organolettica potrà mai toglierci la componente edonistica di assaporare uno splendido cioccolato. Anzi, le giuste conoscenze in materia di degustazione non potranno far altro che rendere massimo questo piacere.
Per fare ciò occorre un’adeguata formazione.
Esistono appositi corsi e master nei quali si insegna a degustare ed a valutare i diversi tipi di cioccolato, tramite una parte teorica e una pratica, perché per capire il cioccolato è indispensabile soprattutto “praticarlo”.
Ma sapere riconoscere le caratteristiche principali di una tavoletta non basta per avere una conoscenza completa dell’argomento, in quanto è opportuno anche capire i motivi per i quali quel determinato cioccolato ha quelle specifiche caratteristiche; un fondente può risultare più o meno astringente, più o meno rotondo, o magari acido, farinoso, aromatico e tanto altro.
Oltre a saper individuare queste peculiarità, un degustatore dovrebbe capire, o almeno, ipotizzare, che cosa può aver conferito alla tavoletta le sue singole caratteristiche.
Ci sono poi tanti altri aspetti importanti: gli abbinamenti con gli alcolici, gli aspetti nutrizionali, la conservazione, il cioccolato in cucina, ecc.
Quali sono le regole di base per la degustazione?
Occorre sempre tenere presente che per apprezzare al massimo un cibo occorre saperne riconoscere tutte le sue caratteristiche, nel bene e nel male. Occorre quindi sapere quali sue caratteristiche andare ad analizzare, e come farlo. Solo così potremo, da un lato, sfruttare al meglio le capacità sensoriali di cui la natura ci ha dotati, e, dall’altro, riconoscere pregi e difetti di ogni cioccolato. E, finalmente, godere del piacere che ci offre.
La prima regola è quella di fare attenzione alla temperatura ambientale: sopra i 23-24 gradi il cioccolato inizia a soffrire, più marcatamente quello al latte e il gianduia.
La degustazione è un’esperienza polisensoriale.
Tutti e cinque i nostri sensi sono coinvolti nella degustazione, come dire che usiamo tutte le armi che abbiamo a disposizione per sviscerare le proprietà di ogni cioccolato.
Vista.
Una volta aperta la tavoletta, come prima cosa deve essere osservata attentamente sia la parte superiore che quella inferiore, nonché la sezione dopo averne spezzato alcuni quadratini. La parte superiore deve presentarsi lucida, omogenea; la parte inferiore non deve avere striature, macchie, bolle d’aria, ma deve essere uniforme e liscia; anche la sezione deve essere omogenea, liscia, senza bolle d’aria, come fosse porcellana.
Udito.
Una tavoletta di cioccolato fondente quando viene spezzata deve produrre il tipico snap, quel suono netto e pulito che siamo abituati a sentire. Per gli altri tipi di cioccolato questo parametro è poco significativo.
Tatto.
Una volta in bocca, il cioccolato deve sciogliersi rapidamente e in modo uniforme, senza dare sensazioni grasse, molli o gommose. Deve trasformarsi in una pasta setosa e scorrevole, priva di granuli e non sabbiosa, deve avvolgere la bocca senza rimanere appiccicosa. Deve essere meno astringente possibile, sensazione simile a quella offerta dai cachi acerbi. Un cioccolato avvolgente e piacevole, che non offra percezioni di spicco (come acidità, astringenza, amarezza, ecc.) ci darà anche una sensazione di maggiore rotondità.
Olfatto.
E’ tramite l’olfatto che percepiamo quelli che chiamiamo sapori, profumi, aromi. Il naso è l’organo più coinvolto in ogni degustazione: i recettori nasali ricevono le molecole del cioccolato per via retro-olfattiva, passando dalla bocca al naso attraverso la faringe. Un buon cioccolato deve essere ricco di profumi, aromatico, offrire sensazioni di complessità e completezza. Oltre all’aroma primario di cacao, che ci aspettiamo intenso ma non estremo, una tavoletta di qualità deve offrire anche degli aromi secondari, ovvero un insieme di profumi ricco e piacevole; talvolta è possibile identificarne alcuni, ad esempio di frutta, fiori, caramello, tabacco, caffè, liquirizia, spezie, legno, e tanti altri. Ma anche senza dare loro un’identità precisa, la presenza di un bouquet aromatico complesso e gradevole è di certo un importante valore aggiunto. E quanto più a lungo i profumi si faranno sentire, tanto migliore sarà anche la persistenza del cioccolato.
Gusto.
Il gusto è correlato a quanto lingua e bocca sono in grado di percepire, ovvero ai quattro sapori fondamentali: dolce, amaro, acido e salato. Un buon cioccolato non deve essere troppo dolce, in relazione alla sua tipologia: fondente, latte, gianduia, ecc.; non deve neanche dare sensazioni di amarezza, in particolare per le tavolette non fondenti. In modo simile, anche l’acidità deve essere contenuta, non deve farsi notare. E’ altresì importante che queste sensazioni gustative siano in equilibrio tra loro, evitando che una di esse spicchi più delle altre creando di conseguenza un disomogeneità sensoriale.
Alla fine, il cioccolato deve lasciarci una sensazione finale piacevole, complessivamente appagante, elegante ed armoniosa, proprio come ci aspettiamo da una grande tavoletta; devono invece essere assenti, o più limitate possibili, le caratteristiche meno piacevoli (come astringenza, amarezza, acidità, ecc.)
Chocolate Taster
Il Chocolate Taster (Degustatore di cioccolato) è un esperto in grado di comprendere le caratteristiche di ogni cioccolato e di valutarne la qualità dall’analisi organolettica compilando la relativa scheda di valutazione.
Conosce:
·        La storia del cioccolato e la coltivazione del cacao
·        I tipi di cacao e loro geografia
·        La lavorazione del cioccolato, dai semi alla tavoletta
·        Gli ingredienti dei diversi tipi di cioccolato, i grassi vegetali e l’etichetta delle tavolette
·        La conservazione del cioccolato
·        L’analisi organolettica del cioccolato
·        La scheda di valutazione del cioccolato
·        L’abbinamento del cioccolato con le bevande
·        L’uso del cioccolato in cucina
·        Le proprietà del cioccolato relative alla salute
12 CONSERVE (2^ Edizione)

Conserve. In queste 230 pagine ho raccolto circa 300 schede di ricette, prodotti e consigli di degustazione pubblicate nel corso degli anni sul blog DALLA PARTE DEL GUSTO (https://dallapartedelgusto.blogspot.com/). Desidero infatti condividere con voi la mia passione per la cucina. La dispensa delle conserve deve essere sempre ben fornita. Molto meglio se sarete voi a produrre una parte di queste delizie. Confetture, marmellate, gelatine, sottolio, sottaceto, frutta essiccata, frutta candita, ecc. Nelle stagioni in cui certi prodotti non sono disponibili, la nostra dispensa dei sapori mostra il suo tesoro.